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Riassunto libro "il nuovo millennium 3" dal capitolo 1 a 7, Appunti di Storia

In questo file è presente il riassunto discorsivo e dettagliato del libro di testo, utilizzato per ripasso in funzione dell'esame di maturità. CONTENUTO In particolare troverete: società di massa; illusioni della belle epoque; età giolittiana; Riassunto dei testi di approfondimento (scritti sulla questione meridionale; nuovo corso della politica interna italiana; obiettivo: la Libia; i rapporti di Giolitti con i cattolici); prima guerra mondiale; rivoluzione russa; primo dopoguerra; fascismo.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 25/01/2023

ChiaraBressano
ChiaraBressano 🇮🇹

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Scarica Riassunto libro "il nuovo millennium 3" dal capitolo 1 a 7 e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! LA SOCIETA’ DI MASSA (capitolo 1) 1. Ch c’ l societ d mass Con società di massa intendiamo la nostra società, in questo ambiente si verifica il fenomeno di “pieno”, infatti le città, i treni e le strade si riempivano. La massa è dunque un insieme omogeneo in cui i singoli individui scompaiono rispetto al gruppo, nuovo soggetto politico e civile (fenomeno di costume). Nella società di massa i cittadini vivono nei grandi agglomerati urbani e gli individui non producono più ciò che consumano, ma partecipano ai meccanismi dell’economia di mercato, comprando ciò di cui hanno bisogno con il denaro ricavato dal lavoro dipendente. Con la terza rivoluzione industriale, la società di massa si diffuse in tutto il pianeta dando luogo alla globalizzazione, fenomeno politico e culturale. Nell’economia della società di massa il terziario assunse un ruolo sempre più importante e i lavoratori di questo settore andarono ad ingrossare la piccola borghesia. Il progressivo allargamento delle competenze dello stato portò all’aumento dei dipendenti pubblici nei trasporti, nella sanità e nell’istruzione; intanto l’industria crebbe il numero degli impiegati che a differenza degli operai, svolgevano mansioni manuali e così per distinguerli dalle “tute blu” degli operai, gli impiegati vennero chiamati “colletti bianchi”. Per la tutela dei loro interessi e per la scalata sociale, gli impiegati preferivano puntare sull’impegno e sulle qualità individuali; quindi il ceto impiegatizio fece propri i valori tradizionali della borghesia (individualismo, proprietà privata) che erano diversi da quelli della classe operaia. PARTITI DI MASSA E SINDACATI In Italia l’introduzione del suffragio universale maschile avvenne nel 1912 con Giolitti e l’estensione del diritto di voto alle masse provocò un mutamento sostanziale nella vita politica degli stati, si andò quindi affermando il modello del partito politico di massa, che conquistava il consenso di un gran numero di elettori. I partiti di massa potevano essere di due tipi: ★ partiti di militanti, come quelli socialisti, organizzati in strutture gerarchiche; ★ partiti di opinione, come i partiti americani, organizzati con una struttura leggera che si mobilitava solo in vista delle elezioni. Contemporaneamente ai partiti di massa, sorsero organizzazioni sindacali a livello nazionale, come le Trade Unions (1868) in Inghilterra e in Italia la Confederazione Generale del Lavoro (1906). Lo sciopero era lo strumento di lotta che utilizzavano per dare più forza alle rivendicazioni operaie, come la riduzione degli orari di lavoro e gli aumenti del salario. LA VITA QUOTIDIANA La diffusione su larga scala dei beni di consumo rese più comoda la vita di molte famiglie; insieme all’illuminazione elettrica, all’acqua potabile e alle automobili si diffusero infatti anche i mass media, ovvero i mezzi di comunicazione di massa come la stampa. La diffusione delle informazioni permise l’allargarsi dell’area dell’opinione pubblica, in grado di influenzare le scelte della politica. L’istruzione non venne più considerata come un bene elitario, ma un’opportunità da offrire a tutti i cittadini. La scuola venne organizzata e finanziata dallo stato e si giunse a renderla obbligatoria e gratuita così da superare la piaga sociale, cioè l’analfabetismo. LA MODA Furono le fabbriche tessili delle città inglesi a determinare un cambiamento nel vestire, fornendo buoni tessuti di cotone a prezzi sempre meno elevati. La nuova tecnologia applicata al tessile portò sul mercato nuove fibre artificiali e l'introduzione della macchina da cucire dopo il 1870, semplificò la lavorazione degli abiti. La distribuzione dei capi di vestiario iniziò a diffondersi anche nei grandi magazzini dove i prezzi potevano essere più contenuti. La crescita dei redditi inoltre, consentì di assegnare una maggiore percentuale di spesa all’abbigliamento. La nuova moda non stravolgeva più il corpo della donna, ma lo liberava. Coco Chanel iniziò ad elaborare le sue fantasie, la perfezione del taglio prendeva spunto dal vestiario maschile e reinventò il tailleur, che era composto da vari pezzi: una giacca stile cardigan e una gonna semplice. Il suo stile divenne una sorta di divisa per le donne, inoltre eliminò dalla sua linea di moda il corsetto. Rosa Genoni si trasferì nel 1887 a Milano dove entra a far parte della vita politica e viene assunta come stilista per gli abiti della scala. Era una femminista e i suoi modelli erano sportivi e rivoluzionari. Viene conosciuta come creatrice del Made in Italy. GIOCHI DI MASSA Nel medioevo le attività fisiche erano considerate una necessità, mentre i cristiani imposero una concezione opposta, proibendo pratiche che consideravano corrotte perché mettevano in evidenza il corpo e non l’anima. Nell’800 si ha una rinascita dello sport come momento educativo e in particolare la rinascita dello sport agonistico come momento di confronto fisico e spirituale si deve a Pierre de Coubertin, un aristocratico proveniente da una famiglia legata ai valori tradizionali che lo crebbe con un’educazione cattolica. Scelse di riorganizzare i giochi olimpici ad Atene essendo nate in Grecia. In poco tempo le Olimpiadi divennero non più un confronto fisico e spirituale, ma la vetrina sportiva della società di massa. 2. I dibait politic social Il dibattito ideologico dell’800 riguardava i limiti dello stato e i diritti dei cittadini. L’attenzione si era poi spostata sui problemi causati dalla rivoluzione industriale, soprattutto sulla questione sociale. ➔ i conservatori guardavano con preoccupazione alle rivendicazioni di operai e contadini: sostenevano che gli scioperi avrebbero sprofondato la società nel disordine; ➔ i liberali esaltavano i valori della libertà, chiedendo allo stato di astenersi da ogni intervento nel campo dell’economia; ➔ i socialisti sostenenevano che una società più giusta non potesse nascere se non dalle lotte delle classi oppresse (contadini e operai); ➔ la Chiesa condannava sia il socialismo che il libero mercato. Nel corso dell’800 all’interno del movimento socialista si impose la tendenza marxista che individuava nella rivoluzione lo strumento di riscatto del proletariato, così in tutti i paesi europei nacquero partiti socialisti. Il primo a formarsi fu la SPD, il partito socialdemocratico tedesco; poi in Italia nel 1892 a Genova e si chiamava Partito dei lavoratori italiani e poi cambiò in Partito Socialista italiano. NUOVE TEORIE POLITICHE E PROGRESSI DELLA SCIENZA Un ambito di interesse fu lo studio delle motivazioni dell’agire politico; pioniere in questo senso fu l’italiano Mosca che formulò la teoria della classe politica secondo la quale il potere effettivo è detenuto da un ristretto numero di individui. Per il sociologo Pareto la politica era dominata da istinti e non era altro che uno scontro di elitè. Sul fenomeno della burocratizzazione, scrisse pagine il tedesco Max Weber, secondo il quale l’accrescersi degli apparati burocratici era una tendenza inevitabile nel momento in cui la società veniva dominata dal “potere razionale”. Le scoperte scientifiche cambiarono profondamente la conoscenza della realtà fisica, gli scienziati inglesi Thompson e Rutherford posero le basi della fisica atomica. Il tedesco Planck nel 1900 formulò l’ipotesi che sta alla base della fisica quantistica, ovvero l’energia è costituita da elementi minimi indivisibili, cioè i quanti. Nel 1905 Einstein enunciò la teoria della relatività che fu decisiva per una messa in discussione della fisica classica, affermava infatti che la misurazione del tempo poteva variare in funzione di altre variabili, come la velocità. LE ILLUSIONI DELLA BELLE EPOQUE (capitolo 2) 1. Nazionalism militarism Il nuovo secolo sembrò dare l’avvio ad un'epoca di pace e benessere, la vita quotidiana venne radicalmente modificata da numerose invenzioni, come il telefono, la lampadina, il motore a scoppio e il cinema. Per questo dopo la tragedia della prima guerra mondiale, il periodo che va dalla fine dell’800 al 1914, è stato chiamato Belle èpoque. Si trattò però di un’epoca in cui si diffusero il nazionalismo e il razzismo. L’Europa aveva esteso al massimo i propri domini coloniali, i paesi industrializzati extraeuropei come Giappone e Stati Uniti allargavano le rispettive zone di influenza. Fra le nazioni europee si moltiplicavano i contenziosi e i motivi di tensione e in diversi paesi africani e asiatici comparivano i primi fermenti di indipendenza. Esistevano stati che puntavano tutto sulla potenza militare e nel contempo intellettuali o gruppi politici che si opponevano con tutte le loro forze a questa visione. Anche l’aumento delle spese militari venne considerato come l’inevitabile premessa di un conflitto. I NAZIONALISMI E LA LORO DIFFUSIONE L’idea di nazione si affermò in Europa nella prima metà dell’800, tuttavia dal 1850 assunse sempre più un carattere militaresco, fino a diventare ideologia di guerra. Il nazionalismo si diffuse in tutta Europa: ★ il nazionalismo francese sostenne il revanscismo, cioè la volontà di rivincita nei confronti della Germania; ★ il nazionalismo italiano rivendicò per l’Italia le terre non liberate; ★ il nazionalismo tedesco ebbe come programma il pangermanesimo (il dominio della Germania su tutte le terre di lingua tedesca), e accusò gli ebrei di tutti i mali della società tedesca; ★ il nazionalismo panslavista sostenne in Russia la politica di espansione degli zar in nome della riunificazione di tutte le terre slave. La sua ideologia fu intrisa di antisemi LOGICA DI POTENZA E MILITARISMO Il nazionalismo fomentò la logica di militarismo e nell’epoca della società di massa, la conseguenza fu la formazione di grandi eserciti di massa. In Europa avvenne una ristrutturazione degli eserciti e il cardine di questa riforma fu il servizio militare obbligatorio per tutti i maschi validi. Dal punto di vista economico, era assai difficile mantenere gli eserciti di massa con le risorse allora a disposizione degli stati: di qui la scelta di limitare l’arruolamento mediante il sorteggio o la possibilità di comprare l’esonero. Dal punto di vista politico, le classi dirigenti moderate temevano di dover concedere il diritto di voto a coloro che mettevano a rischio la propria vita per la patria. Alla creazione degli eserciti di massa contribuivano due fattori importanti: ➔ un grande esercito era uno strumento di deterrenza; ➔ la tecnologia, grazie alla produzione in serie, metteva a disposizione grandi quantità di armi. Anche i grandi gruppi industriali, che vedevano importanti fonti di guadagno nelle forniture, spingevano i governi a costruire gli eserciti di massa. Prendevano così forma i grandi eserciti moderni di massa che parteciparono alla prima guerra mondiale. 2. I dilagar de razzism Per razzismo s’intende la convinzione che la specie umana sia suddivisa in razze biologicamente diverse tra loro, ne consegue il ritenere che esista una gerarchia tra “razze superiori” e “razze inferiori”. Si trattava di sentimenti in genere ispirati a pregiudizi di carattere sociale, politico o culturale. Precursore di questa convinzione fu il francese De Gobineau, autore di un Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, in cui affermava che la diversità delle razze era dovuta a fattori biologici. Il razzismo tedesco affondò le radici nel mito del popolo, il Volk, concepito come comunità di sangue legata misticamente alla terra. Proprio per la sua vicinanza alla natura, il contadino tedesco appariva l’incarnazione del popolo: la figura socialmente e politicamente più conservatrice era quindi il carattere modello. Grande importanza per la diffusione di questo mito ebbero le opere di Wagner che esaltava le doti morali degli antichi guerrieri germanici. Anche se il razzismo riteneva di affondare le proprie radici nella scienza, il suo successo fu legato ad una sorta di isteria collettiva che si manifestò nei modi tipici della società di massa, ovvero i giornali. IL PARADOSSO DEL RAZZISMO AMERICANO Nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776, si afferma che tutti gli uomini nascono uguali. Nel contempo però la Costituzione federale del 1787 riconosce l’esistenza della schiavitù. La schiavitù era essenziale per l’economia del sud del paese, fino a quando l’economia industriale del nord non prese il sopravvento. Nel 1865 a Pulaski (Tennessee) venne fondata un’organizzazione clandestina, il Ku Klux Klan (significa gruppo chiuso), che nel momento in cui compivano le loro spedizioni o nelle manifestazioni pubbliche, indossavano vestiti bianchi. La firma delle azioni del secondo Klan (odio per i neri e minoranze degli immigrati europei), era costituita da grosse croci infuocate nei pressi delle abitazioni delle vittime. 3. L’invenzion de complo ebraic Un caso particolare di razzismo è quello che attribuisce agli ebrei caratteristiche morali negative e in particolare la pervicace volontà di comandare sulle razze superiori Gli ambienti antisemiti hanno ritenuto che questo potesse accadere soltanto con l’inganno e con attività segrete. A questo scopo, comparvero i Protocolli dei Savi di Sion, titolo di un libretto che presenta un piano ebraico per il dominio del mondo. I protocolli si presentano come un piano mirante alla distruzione della civiltà cristiana per insediare “un re degli ebrei” come “re del mondo”. I Protocolli dei Savi di Sion sono in realtà un plagio di un libro anti bonapartista scritto nel 1864 a Bruxelles. I Protocolli sarebbero nati per volontà del capo della polizia segreta russa come propaganda destinata a giustificare la politica antiebraica. Il grande successo di ciò si può spiegare riconoscendo nella cospirazione ebraica mondiale, un vero e proprio mito con precise funzioni: ★ esplicativa: il mito soddisfa il bisogno di sapere, illudono quindi di poter comprendere le vicende della storia attraverso la demonizzazione di un eterno nemico; ★ difensiva: rivelare i segreti dei nemici è il modo più efficace per combatterli; ★ giustificatrice delle violenze: la pubblicazione dei Protocolli era inizialmente servita come pretesto per legittimare i pogrom; ★ politica: i Protocolli costituiscono un mezzo per costruire il nemico assoluto, giustificano infatti l’eliminazione definitiva di ciò che è considerato il principio delle disgrazie umane. 4. L’aar Dreyfu Durante la Belle epoque, il fatto più emblematico accadde in Francia. Nel 1908 Murras fondò il movimento Action Francaise, che vedeva nella repubblica e nella democrazia l’origine di tutti i mali. Murras progettava uno stato forte basato sull’esercito e su un cattolicesimo razionario e antisemita. Tra il 1912 e il 1914, i conservatori portarono al governo Poincaré, revanscista convinto e militarista. Il nuovo foverno di destra apporvò subito una legge che portava il servizio militare a tre anni. Nel frattempo, l’opinione pubblica francese era stata scossa da una furibonda campagna antisemita, l’affare Dreyfus: un intricato caso di spionaggio. L’INCHIESTA Il caso Dreyfus ebbe inizio nel 1894 quando i servizi segreti francesi trovarono nell’ambasciata tedesca materiali utilizzati dall’esercito francese. Seguì immediatamente un’inchiesta, durante la quale si scoprì che vi era una certa somiglianza tra la scrittura presente in quei materiali e quella del capitano Dreyfus, ufficiale dello Stato Maggiore Le origini ebree del comandante giocarono a suo svantaggio, infatti venne incarcerato e successivamente dichiarato colpevole di spionaggio dal consiglio di guerra. Nel 1895 Dreyfus fu condannato ai lavori forzati della Guyana francese. La condanna di Dreyfus divenne occasione per una furibonda campagna antisemita. La scrittura incriminata era simile anche a quella di un altro ufficiale, il comandante Esterhazy, ma per scagionarlo, i servizi segreti francesi guidati dal colonnello Henry produssero altri documenti che accusavano Dreyfus. L’Europa si divise in due gruppi: ★ la triplice alleanza (Germania, Austria e Italia); ★ la triplice intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia); La Germania si trovava accerchiata dall’alleanza tra Russia e Francia. LE CRISI MAROCCHINE Nei primi anni del 1900 ci fu il primo focolaio di tensioni in Marocco, ultimo territorio nordafricano rimasto indipendente. L’intesa tra Francia e Inghilterra del 1904 riconosceva alla Francia il diritto al dominio sul Marocco, che si sarebbe aggiunto alla Tunisia e all’Algeria. Nel 1905 la Germania, che era interessata al Marocco, si presentò come garante dell’indipendenza marocchina, ma in una conferenza internazionale tenutasi a Algeciras nel 1906, venne assegnato il protettorato sul Marocco alla Francia. Nel 1911 la Francia occupò militarmente alcune città marocchine. Le trattative portarono al riconoscimento del dominio francese su tutto il Marocco in cambio della cessione alla Germania di una parte del Congo francese. LA POLVERIERA BALCANICA Un altro focolaio di tensioni era rappresentato dall’area balcanica che era sotto il dominio ottomano. Si creò una miscela esplosiva che coinvolse vari paesi europei: ➔ l’Austria considerava i Balcani la sua naturale area di espansione; ➔ la Russia intendeva crearsi uno sbocco sul Mediterraneo; ➔ l’Italia voleva giungere al pieno controllo del Mar Adriatico; ➔ la Gran Bretagna riteneva vitale quest’area per i suoi interessi commerciali in oriente. La rivoluzione dei Giovani Turchi, scoppiata ad Istanbul nel 1908, pose fine all’assolutismo del sultano, ma innescò una catena di rivalità che sfociarono nelle guerre balcaniche. LE GUERRE BALCANICHE Il movimento dei Giovani Turchi intendeva trasformare l’Impero in una moderna monarchia costituzionale, ma ciò portò ad una crisi che sfociò nella disintegrazione dell’Impero. Approfittando della rivoluzione, l’Austria si impossessò della Bosnia-Erzegovina e la Russia lo riconobbe ma come sconfitta, fu quindi spinta a rinsaldare l’amicizia con Gran Bretagna e Francia. I turchi subirono un’ulteriore sconfitta nel 1912 con l’occupazione italiana della Libia; poi nel 1912 e 1913 esplosero le guerre balcaniche, che piegarono l’impero ottomano. L’impero ottomano venne sconfitto, ma Serbi e Bulgari non riuscirono ad accordarsi sulla spartizione della Macedonia ed iniziarono il secondo conflitto. La Bulgaria venne sconfitta e la pace di Bucarest del 1913 divide la maggior parte della Macedonia tra Serbia e Grecia. La Serbia uscì dalle guerre vittoriosa, ma non aveva ancora raggiunto i suoi grandi obiettivi: ★ il controllo della Bosnia-Erzegovina; ★ lo sbocco sul mare, impedito dalla formazione dello stato dell’Albania nel 1913. Si trattava quindi di una situazione assai intricata e delicata, dalla quale dipendevano la pace o la guerra in Europa e nel mondo. L’ETA’ GIOLITTIANA (capitolo 3) 1. I caraer general del’et gioliian Nel 1901 il re Vittorio Emanuele III nominò presidente del consiglio Giuseppe Zanardelli. Lo affiancava, come ministro degli interni, Giovanni Giolitti, nato nel 1842 a Mondovì. Dal 1901 al 1914 Giolitti esercitò un’influenza sulla vita politica dell’Italia, infatti questo periodo venne definito età giolittiana. Quando durante questo periodo le cose si facevano difficili, Giolitti era solito lasciare il potere nelle mani di altre persone che però, essendo incapaci, lo richiamavano sempre. Nella “memorie della mia vita” scritte nel 1922, Giolitti racconta di discendere da una famiglia di amministratori, da qui il suo attribuire maggior importanza ai problemi amministrativi o giuridici. Giolitti entrò in parlamento nel 1882, dopo aver acquisito una grande familiarità con i conti e la finanza pubblica. Per i primi due anni Giolitti non prese la parola, partecipò a molte riunioni e dimostrò ai colleghi di conoscere perfettamente il bilancio dello stato. Nonostante la grande stima che nutriva verso Depretis, Giolitti sapeva che avrebbe potuto crearsi un proprio ruolo politico e ambire a incarichi di governo. BUON SENSO IRONIA E FURBIZIA Attraverso la figura del suo avversario, Giolitti sembrava delineare il suo ideale di politico, fornendo una sorta di autoritratto. Per lui infatti era importante che il politico avesse buon senso, fosse deciso e fermo nelle scelte, affrontasse i problemi con efficienza ma anche con ironia, e non doveva serbare rancore per gli avversari. Era però indispensabile la furbizia. IL DECOLLO INDUSTRIALE DELL’ITALIA L’età giolittiana coincise con il decollo della rivoluzione industriale in Italia. I progressi più evidenti si registrarono nell’industria siderurgica, elettrica, meccanica e del cotone. Queste industrie avevano sede soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale, formato da Torino, Milano e Genova. Lo sviluppo economico e industriale fu favorito da alcune condizioni particolari: ★ l’industria italiana fu fortemente aiutata nel suo nascere dall’intervento statale, in particolare dalle varie commesse statali nel campo dei trasporti ferroviari; ★ l’industria si sviluppò in un sistema protetto, si aveva infatti una politica protezionistica, attuata con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, che favorì notevolmente lo sviluppo delle industrie del nord Italia. Lo sviluppo industriale portò notevoli miglioramenti nel livello medio di vita degli italiani, infatti nelle città arrivarono l’illuminazione elettrica, i trasporti urbani, gas e acqua corrente. La vita nelle città comportò nuovi disagi per gli abitanti e soprattutto per quelli delle classi operaie, costretti a vivere in quartieri generalmente sovraffollati, malsani e degradati. I SOCIALISTI Giolitti elaborò un piano di riforme, allo scopo di allargare la base della partecipazione alla vita dello stato italiano, coinvolgendo in particolare il Partito Socialista Italiano che interpretava la protesta della classe operaia. All’interno del PSI, si erano formate due correnti: ★ quella riformista, guidata da FIlippo Turati, ritenevano che si dovesse cambiare la società gradualmente, attraverso riforme. Turati pensava si dovesse dare un appoggio alle iniziative democratiche di Giolitti, per garantire al PSI nuovi spazi d’azione. ★ quella massimalista (prevedeva la realizzazione completa del programma socialista), guidata da Lazzari e Mussolini, ritenevano che per cambiare la società fosse necessario ricorrere alla rivoluzione, senza scendere a compromessi. Giolitti invitò Turati a far parte del suo governo, ma lui non accettò perché era troppo forte l’opposizione dei massimalisti. Turati infatti venne messo in minoranza dai massimalisti in due occasioni, la prima nel Congresso di Bologna del 1904. Nel settembre dello stesso anno venne proclamato il primo sciopero generale nazionale (coinvolgeva contemporaneamente tutti i lavoratori della nazione): una vittoria dei massimalisti. Per reazione, Giolitti indisse nuove elezioni, nelle quali gli elettori premiarono i liberali. Turati e riformisti tornarono alla guida del partito, ma furono nuovamente superati dai massimalisti nel Congresso di Reggio Emilia nel 1912. 2. I doppi volt d Gioli ’emigrazion italian L’azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo di far politica venne definito del “doppio volto”: ★ un volto aperto e democratico nell’affrontare i problemi del nord; ★ Un volto conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del sud. Per quanto riguarda il nord, Giolitti consentì gli scioperi, infatti per lui non esisteva un reale pericolo rivoluzionario, a meno che il governo non avesse spinto i lavoratori alla ribellione armata. Giolitti inoltre varò alcune riforme che migliorarono le condizioni di lavoro degli operai: ➔ Fu stabilito un massimo di 10 ore; ➔ venne riorganizzata la cassa nazionale per l’invalidità e la vecchiaia dei lavoratori; ➔ vennero presi dei provvedimenti allo scopo di tutelare la maternità e il lavoro dei fanciulli (età minima di 12 anni); ➔ aumento dei salari dei lavoratori. Così nel nord si andò diffondendo quel benessere economico tipico della società di massa. UN POLITICO SPREGIUDICATO Altre riforme furono la statalizzazione delle ferrovie (1905) e la nazionalizzazione delle assicurazione sulla vita (1912), a questo scopo venne creato un apposito ente, l’INA (istituto nazionale assicurazioni). Questo provvedimento però venne osteggiato dalle assicurazioni private, inoltre non venne mai affrontata la questione meridionale, anzi, nell’età giolittiana il divario tra nord e sud del paese crebbe. D’Annunzio fu tra i primi intellettuali italiani a intuire il nuovo carattere di spettacolarità e mercificazione della società. Medico e psichiatra, Cesare Lombroso, fu l’inventore dell’antropologia criminale, una disciplina che tentava di applicare il metodo scientifico ai comportamenti umani, in particolari a quelli criminali. Per Lombroso esistono due tipi di delinquenti: ★ il delinquente nato, nel quale si ritrovano tutte le anomalie involutive; ★ il delinquente d’occasione, recuperabile perché portato al delitto da fattori esterni. Quando morì nel 1909, i suoi libri vennero presto dimenticati. Il futurismo fu l’unico movimento d’avanguardia nato in Italia con un respiro internazionale. L’atto di nascita fu il Manifesto del futurismo pubblicato da Marinetti. L’ideologia che il manifesto voleva esprimere era l’aggressività e la violenza distruttiva nei confronti di tutto il passato. Al contrario celebrava l’amore per il pericolo, la ribellione e la guerra. Il futurismo esaltava la nuova civiltà della macchina e rifiutava il mondo dell’interiorità. Scritti sulla questione meridionale (Gaetano Salvemini) Nacque a Molfetta da una famiglia modesta dal punto di vista economico, si trasferisce poi a Firenze per gli studi. Qui Salvemini è portato a riflettere sulle condizioni del Meridione in generale. Iscritto al partito socialista italiano fin da giovanissimo, critica spesso le direttive ufficiali del partito, che ritiene danneggino il proletariato meridionale. Nel 1910 Salvemini lascia definitivamente il Partito Socialista avendo perso ogni speranza di interessare i socialisti del nord con i problemi del sud. Gaetano critica molto la politica spregiudicata di Giolitti e la dispendiosa campagna militare in Libia. Allo scoppio della prima guerra mondiale Salvemini si arruola volontario. All’avvento al potere di Mussolini nel 1922, fu uno dei pochi a denunciare da subito la pericolosità e a opporsi in modo deciso. Quando il socialista Matteotti venne ucciso, salvemini si espose e venne arrestato. Consapevole del pericolo, sceglie di abbandonare l’Italia e nel 1933 si trasferisce definitivamente negli Stati Uniti. Muore a Sorrento nel 1957. Gli Scritti sulla questione meridionale raccolgono la produzione di Salvemini sulla tematica del Meridione, che ha rappresentato un argomento cruciale per la storia italiana. Sul finire dell’800, la maggior parte delle opere dedicate alla situazione dell’Italia del Sud, sostenevano che la disparità economica fosse dovuta ad un inferiorità di abitanti del sud. Utilizzando dati economici, l’analisi di Salvemini individua nel comportamento della classe governativa i responsabili della miseria del proletariato del Sud. Per lui lo sviluppo economico del meridione non è un elemento secondario per la crescita del paese, ma costituisce il punto di partenza per lo sviluppo di tutta l’Italia. L’ideale cui aspirava Salvemini è quello di un socialismo riformista e liberale che si ponga come una via tra capitalismo e socialismo. Gaetano concepisce la storia come uno strumento per l’educazione e la sensibilizzazione della società. L’opera è una raccolta di scritti aventi come tema la questione meridionale, per Salvemini, il problema del sud è dovuto alle tre “malattie” che lo affliggono e ne impediscono lo sviluppo. 1. malattia dello stato accentratore, divoratore e distruttore; 2. oppressione economica; 3. struttura sociale semifeudale che impedisce la formazione di una borghesia con idee moderne. Il mezzogiorno secondo Salvemini non fa economia perché il fisco sfrutta continuamente tutte le risorse della popolazione che ricava dalla terra appena tanto da mangiare e riesce a malapena a pagare le tasse dirette e indirette. Quindi alla prima difficoltà tutto va per aria. Nuovo corso della politica interna italiana Nell’autobiografia “memorie della mia vita”, Giolitti espose i criteri adottati nel suo indirizzo di governo. Qui viene messo in evidenza il passaggio dalla politica liberale conservatrice ed una liberale progressista. La sinistra democratica era espressione della borghesia. Giolitti pensava che fosse arrivato il momento di prendere gli interessi delle masse popolari e lavoratrici. Il malessere economico che gravava sul paese, l’affacciarsi di nuove dottrine politiche (come il socialismo), creavano indubbiamente nuovi problemi. La principale questione era se questi problemi potevano risolversi con il regime di libertà o se richiedevano l’adozione di provvedimenti violenti. Giolitti preferiva i modi liberali. Il governo non aveva che due doveri: mantenere l’ordine pubblico e garantire la libertà al lavoro. Nessuno poteva ormai impedire che le classi popolari acquistassero potere politico ed economico, e il dovere delle istituzioni era quello di persuadere queste classi con i fatti. Solo con tale atteggiamento si sarebbe ottenuto che l’avvento di queste classi riuscisse ad introdurre nelle istituzioni, una nuova forza conservatrice. Il ministro della malavita Per salvemini, Giolitti era l’ennesimo interprete di una classe politica democratica più a parole che nei fatti. L’onorevole Giolitti approfitta delle miserevoli condizioni del mezzogiorno per legare a sé la massa dei deputati meridionali, ma non fu certo il primo uomo che considerò il sud come terra di conquista. Giolitti ebbe il buon senso di capire che occorreva cambiare strategia e non continuare la politica del “mulo bendato” (Salvemini riconosce a Giolitti di aver preso atto delle nuove condizioni sociali e di aver abbandonato la politica di cieca repressione delle organizzazioni sindacali). Non appena Giolitti diventò ministro degli interni nel 1901 e abbandonò la politica di compressione contro le organizzazioni operaie, si scatenò un ciclone di scioperi senza precedenti. In quegli anni i poveri diavoli (operai del sud) facevano valere le loro ragioni, ma nonostante ciò, Giolitti li trovò e li lasciò nel meridione. Obiettivo: la Libia L’impresa coloniale italiana in Libia del 1911 viene raccontata dall’autore sfatando il mito degli “italiani brava gente”. Dal 1903 i nazionalisti auspicavano la ripresa dell’espansionismo coloniale; combattevano aspramente il pacifismo, il socialismo, l’internazionalismo, ma invocavano la guerra. A condurre questa battaglia c’era un nutrito gruppo di scrittori e giornalisti che non si preoccupava di inventare le più inverosimili storie sulle ricchezze della libia. Inutilmente uomini saggi si dichiaravano contrari all’impresa libica e ne ponevano in evidenza i pericoli e gli oneri economici che avrebbe comportato. Gaetano Salvemini per finire definiva la Libia “una enorme voragine di sabbia”. C’era soltanto il desiderio di fare la guerra. Il presidente del consiglio Giolitti non credeva alla favola della “terra promessa”, si cercò allora di capire le ragioni del suo voltafaccia. Si disse che era stato spinto dalla ricerca di un giusto equilibrio del Mediterraneo o che avesse voluto creare uno sfogo alle tendenze nazionalistiche. Ma lui stesso ammise solo il merito di aver individuato e colto al momento giusto l’obiettivo indicato dal fato. Giolitti fondava questa certezza sulle informazioni che riceveva da Tripoli, da Carlo Galli, il quale minimizzava i pericoli ed escludeva ogni collusione con i turchi e gli arabi. La passeggiata militare era costata all’Italia morti e feriti, ma ora la terra promessa, non più difesa dai turchi era a portata di mano. L’unico problema era che lo “scatolone di sabbia”, era infestato dai guerriglieri arabi, i quali diventavano a tutti gli effetti dei ribelli. Benedetto Croce - il governo liberale Superando i diversi ostacoli, l’Italia dopo il 900 visse un decennio di opere e speranze. Non pensa che si stesse entrando in un’età d’oro, perché né la filosofia, né la storia potevano definirlo tale. Sosteneva che quelli furono gli anni in cui in Italia si attuò l’idea di un governo liberale, che Croce pensava essere così perfetta da non poterla ridurre ad un pensiero astratto. Suffragio universale maschile - Giolitti che tornò al governo nel marzo del 1911, stimò insufficiente il disegno elettorale che c’era fino a quel momento, pensando che per l’educazione politica delle classi popolari, convenisse ampliare la base elettorale e avvicinarla al suffragio universale. Le idee dei conservatori non lo fermarono, perché la classe colta e dirigente non lo influenzava. Occupazione della Libia - Le riforme sociali attuate rivolte alle classi operaie, non impedirono che venisse fermato il progetto di occupazione della Libia, poiché insieme andavano ad accrescere il potere della crescente forza italiana. Giolitti andò a Tripoli perché non sopportava l’idea che gli altri paesi europei continuassero ad espandere i propri confini sulla costa africana, senza che in nessun posto sorgesse la bandiera italiana. Nonostante ciò, da un resoconto di svantaggi e vantaggi che avrebbe portato la Libia, mai si capì il motivo ultimo dell’impresa. LA PRIMA GUERRA MONDIALE (capitolo 4) 1. Caus inizi dell guerr La prima guerra mondiale (1914-18) ebbe varie cause. Queste cause erano di carattere: POLITICO: ★ il desiderio di rivincita dei francesi nei confronti della germania, con la conseguente rivendicazione dei territori dell’Alsazia e della Lorena; ★ la rivalità tra Austria e Russia per il dominio nell’area dei Balcani; ★ il malcontento delle varie nazionalità presenti all’interno dell’impero austro ungarico; ★ la crisi dell’impero ottomano; ★ la presenza di due schieramenti di stati contrapposti → triplice alleanza (Germania, Austria e Italia) e triplice intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia). ECONOMICO ➔ la rivalità economica tra Gran Bretagna e Germania, provocata dalla rapida crescita industriale di quest’ultima. Inoltre l’accresciuta presenza economica della Germania nell’area balcanica e nel Medio Oriente preoccupava non solo gli inglesi ma anche la Russia; ➔ la necessità per tutte le potenze industriali di espandere il proprio mercato e di garantirsi il rifornimento delle materie prime. MILITARE Le cause militari sono da ricercarsi nella politica militarista delle grandi potenze e nella corsa agli armamenti dei paesi europei più industrializzati. CULTURALE ● dilagante nazionalismo che esaltava la potenza militare; ● tesi razziste sulla necessità di salvaguardare l’identità nazionale da ogni contaminazione; ● l’applicazione del darwinismo alle relazioni internazionali, cioè la convinzione che la guerra tra gli stati fosse l’equivalente della lotta per la sopravvivenza nella natura; ● molti giovani vedevano nella guerra l’unica possibilità di cambiamento della situazione sociale e politica; ● esaltazione della guerra e della violenza da parte di movimenti culturali come il futurismo. LA CAUSA OCCASIONALE La scintilla scoccò il 28 giugno 1914, quando un nazionalista serbo, uccise a Sarajevo l’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie. L’Austria approfittò del grave fatto di sangue per motivare un’aggressione militare alla Serbia e risolvere la questione balcanica. Il 23 luglio inviò alla Serbia un ultimatum con richieste umilianti, per cui il governo serbo decise di respingerle e di conseguenza il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra. LE PRIME FASI DELLA GUERRA Dal conflitto tra Austria e Serbia si passò ad una guerra europea, infatti all’ordine di mobilitazione generale impartito dallo zar di Russia (T.I), rispose la Germania (T.A) che dichiarò guerra alla Russia e alla Francia. Le truppe tedesche diedero attuazione al piano Schlieffen che prevedeva un attacco massiccio alla Francia aggirandone le difese militari mediante l’attraversamento di Belgio e Lussemburgo. Fra gli aderenti ai due schieramenti solo l’Italia si dichiarò neutrale. Dopo una rapida e travolgente avanzata, i francesi riuscirono a bloccare i nemici sul fiume Marna, ma nessuno dei contendenti riuscì ad avere la meglio. GUERRA DI POSIZIONE Dall’autunno del 1914, i due eserciti furono costretti a fronteggiarsi su una line dal Mare del Nord alla Svizzera. Furono predisposte le trincee, cioè dei fossati scavati nel terreno che furono dotati di ripari e di reticolati di filo spinato. Ormai svanita la possibilità di sconfiggere gli avversari con una guerra di movimento, si era passati ad una guerra di posizione; ma presto si giunse ad una situazione di stallo. il 31 ottobre entrava in guerra la Turchia in appoggio degli imperi centrali. 2. L’Itali i guerr Nell’agosto del 1914 il governo presieduto da Salandra proclamò la neutralità del nostro paese appellandosi alle clausole della Triplice Alleanza, che prevedevano solo guerre difensive, mentre in questo caso Austria e Germania erano gli aggressori. Si formarono così due schieramenti contrapposti: ★ neutralisti, favorevoli alla pace, tra cui spiccava Giovanni Giolitti, che voleva ottenere dall’Austria Trento e Trieste offrendo in cambio proprio la neutralità dell’Italia. Oltre ai liberali che si ispiravano a Giolitti, c’erano i socialisti che ritenevano la guerra uno scontro dal quale i proletari avrebbero avuto solo danni. C’erano poi i cattolici e i comunisti; ★ gli interventisti che erano favorevoli alla guerra ed erano soprattutto nazionalisti e irredentisti (di destra), convinti che la violenza bellica fosse un segno di vitalità della nazione, così la vedevano anche gli ufficiali dell’esercito e l’ambiente della corte, intorno al re Vittorio Emanuele III. A loro si affiancavano la piccola borghesia e i grandi industriali, per i quali la guerra si prospettava come un’occasione per elevati profitti. Gli interventisti di sinistra erano rappresentati da esponenti democratici, repubblicani e socialisti. L’organo principale divenne presto il quotidiano “il popolo d’Italia”, diretto da Benito Mussolini, che era stato un importante dirigente del Partito Socialista. Divenne inoltre direttore dell’ “avanti” nel 1912. IL PATTO DI LONDRA Il governo italiano agiva per vie diplomatiche, così fu raggiunto, con le potenze dell’Intesa, un accordo basato sulla richiesta di sottrarre territori ai paesi nemici. Il 26 aprile 1915, il ministro degli esteri Sonnino sottoscrisse, a nome del governo il Patto di Londra che impegnava l’Italia a entrare in guerra nel giro di un mese e le garantiva in caso di vittorio dell'Intesa, Trento e Trieste, l’Istria e la Dalmazia. Il 3 maggio l’Italia uscì dalla Triplice alleanza e il 24 dichiarò guerra all’Austria-Ungheria. 3. L grand guerr Nel 1915 l’esercito italiano non era ancora pronto a sostenere un conflitto impegnativo, inoltre la linea del fronte italo-austriaco, con una forma ad “S”, rendeva difficile la tenuta delle posizioni da parte delle truppe italiane. Comandante supremo dell’esercito italiano fu nominato il generale Luigi Cadorna, che si distinse subito per la dura disciplina imposta ai soldati. Non si fidava dell’esercito di massa, formato da militari di leva. Il generale Cadorna, decise di portare un attacco frontale alle posizioni tenute dagli austriaci lungo l’Isonzo e sul Carso; così tra giugno e dicembre 1915 si svolsero le prime quattro battaglie dell’Isonzo. Nel giugno del 1916 gli austriaci scatenarono la Strafexpedition, la spedizione punitiva contro l’ex alleato ritenuto colpevole di tradimento, ma ben presto l’offensiva si arrestò per la tenace resistenza italiana. Il generale Cadorna decise allora di sferrare una controffensiva che portò alla liberazione di Gorizia. SUGLI ALTRI FRONTI… le vicende belliche del 1918 furono favorevoli agli imperi centrali, i tedeschi infatti riuscirono a occupare importanti zone industriali della Francia. All’inizio del 1916 i tedeschi prepararono contro l’esercito francese un'offensiva che sfociò nella battaglia di Verdun. Sin dall’inizio la Gran Bretagna aveva attuato un blocco navale, al fine di impedire che ai porti tedeschi giungessero materie prime e alimenti, così per spezzare l’accerchiamento, la flotta della Germania affrontò la marina inglese nel Mare del nord, dove si svolse la battaglia navale dello Jutland. 4.L’infern dell trince La prima guerra mondiale fu segnata dall’uso della trincea, si trattava di un fossato scavato nel terreno dove i militari erano costretti a vivere a lungo ed esposti alle intemperie dalle quali era impossibile difendersi. Su tutti i fronti di guerra i combattenti dovettero sopportare condizioni estreme di vita, anche l'approvvigionamento del cibo per le truppe delle trincee di prima linea era spesso difficoltoso. Le condizioni igieniche erano pessime e ciò trasformò le trincee in ricettacoli di Nel 1914 gli armeni sudditi dell’impero ottomano si trovarono a dover combattere contro i loro fratelli cittadini della Russia. Alcuni disertarono e il governo turco ebbe motivo di dubitare della lealtà degli altri. Nel febbraio del 1915 fu decisa dal governo turco l’eliminazione sistematica della popolazione armena (genocidio, ghenos, uccisione di un popolo, tutto o in parte). Successivamente fu ordinata la deportazione di tutti i superstiti verso alcune zone periferiche dell’impero, infatti molti di essi sparirono nel deserto della Mesopotamia o della Siria. 8. Dall svolt de 1917 all conclusion de confli Dall’inizio del 1917 i tedeschi decisero di intensificare la guerra sottomarina, per bloccare tutti i rifornimenti ai paesi nemici e isolare economicamente la Gran Bretagna. Proprio la guerra sottomarina, spinse gli Stati Uniti ad entrare nel conflitto a fianco dell’Intesa facendo prevalere gli interessi economici. Il 1917 fu un anno decisivo per le sorti del conflitto, non solo per l’intervento degli USA, ma anche perché il regime zarista russo fu rovesciato e sostituito da una repubblica, cui il governo decise di proseguire la guerra. La situazione interna divenne sempre più confusa fino alla rivoluzione dell’ottobre 1917, quando il potere fu assunto dai comunisti guidati da Lenin. Il nuovo governo decise di uscire dalla guerra, anche se ciò portò a pesanti concessioni da parte della Russia. CAPORETTO: LA DISFATTA DELL’ESERCITO ITALIANO Con un grande sforzo offensivo gli austriaci, appoggiati dai tedeschi, sfondarono le linee italiane a Caporetto, in Slovenia. La ritirata delle truppe italiane guidate da Cadorna divenne in breve tempo una vera e propria disfatta e l’esercito nemico penetrò in Italia, causando la perdita di 400 mila uomini. La sconfitta ebbe immediate ripercussioni politiche: ★ venne formato un nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, ★ il generale Cadorna dovette lasciare il comando e fu sostituito da Armando Diaz, che impose ai soldati una disciplina meno rigida ed evitò tutte le azioni e le offensive che potevano portare ad un inutile sacrificio dei suoi uomini. L’italia è stata sconfitta per due motivi principali: 1. l’egocentrismo di Cadorna, definito “il generalissimo”, che avrebbe dovuto collaborare con l’esercito, ma pensava che questo fosse corrotto e poco motivato; 2. grande impreparazione dell’esercito italiano e dei piemontesi. 1918: LA CONCLUSIONE DEL CONFLITTO Anche se la Russia aveva firmato il trattato di pace di Brest-Litovsk, Austria e Germania avvertivano sempre di più che il blocco economico attuato dall’intesa, impediva di prolungare ulteriormente il conflitto. Così decisero di passare all’offensiva. Dopo la battaglia della Marna e di Amiens tutti i fronti degli imperi centrali crollarono: ➔ l’Italia sconfisse gli austriaci a Vittorio Veneto; ➔ la Turchia si arrese; ➔ la Germania, dopo la proclamazione della repubblica, firmò l’armistizio di Rethondes. 9. I traat d pac I ministri dei paesi vincitori si riunirono a Parigi nel gennaio del 1919, in una Conferenza per la pace, i delegati degli stati vinti furono convocati solo per la firma finale. Il presidente americano Wilson aveva presentato 14 punti che riassumevano i progetti statunitensi per le future relazioni internazionali. Wilson richiamava al rispetto dell’autodeterminazione, che indica sia la capacità delle popolazioni di disporre di se stesse, sia il diritto di un popolo di scegliersi la propria forma di governo. Le potenze europee però non affrontarono le trattative di pace guidate da questi alti ideali, infatti la Francia puntava ad indebolire la Germania, mentre la Gran Bretagna voleva evitare che la Francia diventasse troppo forte. I 14 punti di Wilson: 1. libertà assoluta di navigazione nei mari; 2. eliminazione delle barriere economiche; 3. liberazione di tutto il territorio francese e restituzione dell’Alsazia e della Lorena da parte della Germania; 4. costituzione di uno stato polacco indipendente. IL PREVALERE DELLA LINEA PUNITIVA L’obiettivo della conferenza per la pace era di trovare un equilibrio tra la necessità di penalizzare gli sconfitti e quella di risarcire i vincitori, allo stesso tempo occorreva rispettare i principi di nazionalità e autodeterminazione. Nel corso delle trattative si scontrarono due strategie politiche: ★ quella che intendeva piegare la Germania per consentire alla Francia di sostituirla nel ruolo di grande potenza europea; ★ quella di Wilson che proponeva un modello fondato sull’equilibrio delle nazioni e sul rispetto dei popoli. Prevalse la linea punitiva. LA NUOVA CARTA D’EUROPA I trattati di pace furono firmati tra il 1919 e il 1920 nella città francese di Versailles e le decisioni più significative furono: ➔ la nascita di nuovi stati europei (jugoslavia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Estonia); ➔ la Palestina e l’Iraq furono affidati agli inglesi, la Siria alla Francia; ➔ la Germania venne riconosciuta come principale responsabile del conflitto, quindi: ● fu costretta a pagare i danni di guerra; ● fu privata di tutte le colonie; ● l’Alsazia e la Lorena tornarono alla Francia; ● furono annullati gli accordi di Brest-Litovsk con la Russia quindi la Germania perse i territori baltici; ➔ l’Italia ricevette dall’Austria il Trentino, l’Alto Adige, Venezia Giulia e Trieste, anche se oltre a queste aveva richiesto l’Albania, la Dalmazia, la Turchia e Fiume. Le altre potenze ritenevano però che queste concessioni avrebbero violato il principio dell’autodeterminazione e si opposero alla richiesta; ➔ la Turchia perse tutti i territori. LA FINE DELLA CENTRALITA’ EUROPEA Le reazioni ai trattati di pace furono particolarmente violente in Germania: i tedeschi ritenevano di essere stati sottoposti a condizioni troppo dure. l’Italia non ebbe i vantaggi sperati e questo causò il risentimento nei confronti degli alleati. Quattro imperi crollarono: quello austro-ungarico, quello tedesco, quello russo e quello turco. Il primato dell'Europa si era indebolito ed era passato agli Stati Uniti che divennero la prima potenza politica ed economica del mondo. LA RIVOLUZIONE RUSSA (capitolo 5) 1. L’imper russ ne XIX secol Nell’800 la Russia fu l’esponente del conservatorismo politico e sociale. Gli zar esercitavano un potere autocratico, cioè un potere personale assoluto. L’aristocrazia, l’esercito, la chiesa costituivano il 5% della popolazione e appoggiavano il regime zarista. L’Impero russo continuò ad espandersi per tutto l’800, al suo interno convivevano decine di popoli, caratterizzati da lingue e tradizioni diverse, infatti i russi non superavano il 45% della popolazione. Uno dei problemi più gravi della Russia era l’arretratezza delle campagne, i contadini erano ancora sottoposti alla servitù della gleba e disponevano a stento del necessario per sopravvivere, in quanto gran parte di ciò che producevano veniva dato ai proprietari terrieri. Il malcontento era generale e si manifestava in modo violento attraverso frequenti rivolte. Lo zar Alessandro II tentò di affrontare i problemi legati all’arretratezza attraverso una politica di riforme, la cui più importante fu quella dell’abolizione della servitù della gleba. Il contadino liberato riceveva in uso permanente la terra, in cambio però doveva pagare un riscatto al proprietario. Questo non fece altro che favorire i kulaki (medi proprietari), che acquistarono parte delle terre, pagandole a basso prezzo, dai contadini schiacciati dai debiti. GLI INIZI DELLO SVILUPPO INDUSTRIALE L’arretratezza dell’economia russa era particolarmente evidente nelle relazioni commerciali con l’estero, infatti il paese dipendeva economicamente dall’occidente. A partire dal 1870 quindi vennero compiuti grandi sforzi per sviluppare un’industria nazionale e questo fu possibile grazie all’appoggio dei capitali stranieri, in particolare Francia, Germania e Gran Bretagna. Tra il 1885 e il 1898 ci fu un boom economico e i principali stabilimenti sorsero intorno alle grandi città come Mosca, San Pietroburgo e Baku. OCCIDENTALISTI E SLAVOFILI: IL POPULISMO L’opposizione allo zarismo prese il nome di intellighenzia, una classe colta che si divideva in: ★ occidentalisti, prospettavano una “via europea” al progresso, in quanto valutavano positivamente il capitalismo e le sue conseguenze. Volevano quindi un’economia capitalistica e la democrazia; ★ slavofili, sostenevano una “via nazionale” in cui la Russia doveva sfruttare il proprio ritardo storico e trarre profitto dagli errori degli altri paesi, evitando le miserie della rivoluzione industriale e del capitalismo. Nel mese di settembre, il comandante in capo dell’esercito marciò su Pietrogrado con le truppe e tentò di abbattere il governo repubblicano, ma quest’ultimo riuscì a reprimere il colpo di Stato. LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE La disfatta militare e la miseria spingevano sempre di più i bolscevichi alla decisione di rovesciare con forza il governo provvisorio. A questo scopo venne creata anche una forza militare, la Guardia Rossa e uno dei principali organizzatori fu Trockij. La sera del 25 ottobre i rivoluzionari conquistarono Palazzo d’Inverno e la notte fu dichiarato aperto il II Congresso panrusso dei soviet. Il potere era quindi nelle mani di Lenin e dalla sera del 26 ottobre, si diede inizio al vero e proprio “potere sovietico”. 3. L nascit del’URSS Il primo atto del Congresso dei soviet fu l’approvazione di due decreti: ★ quello sulla pace che invitava i paesi in guerra ad una pace immediata; ★ quello sulla terra che aboliva la proprietà privata della terra. Era evidente che i bolscevichi volessero l’appoggio delle masse contadine. Contemporaneamente venne creato un nuovo governo rivoluzionario che fu chiamato Consiglio dei commissari del popolo che era composto da bolscevichi ed era presieduto da Lenin. I suoi primi provvedimenti furono la nazionalizzazione delle banche e la consegna della gestione delle fabbriche agli operai. L’ASSEMBLEA COSTITUENTE Il 12 novembre 1917 ebbero luogo le elezioni per la formazione dell’Assemblea Costituente e i risultati furono sfavorevoli ai bolscevichi. L’Assemblea Costituente si riunì il 19 gennaio 1918, ma i suoi lavori durarono un giorno solo perché i bolscevichi, considerata l'ostilità dell’assemblea nei confronti del nuovo potere, la sciolsero alla fine della prima seduta. Intanto fuori dalla Russia i governi dell’Intesa iniziavano a temere il potere sovietico. LA PACE DI BREST-LITOVSK Uno dei principali problemi da affrontare era quello della guerra; i bolscevichi che avevano promesso la pace al popolo, si trovavano a trattare con il nemico in condizioni di netta inferiorità. La Russia dovette accettare: ★ la cessione alla Germania delle regioni comprese tra Bielorussia e Caucaso; ★ il riconoscimento dell’indipendenza della Finlandia e dell’Ucraina; ★ la rinuncia alle pretese territoriali sui paesi baltici e sulla Polonia. LA GUERRA CIVILE A partire dalla primavera del 1918 la Repubblica dei soviet dovette fronteggiare una duplice minaccia: l’intervento armato delle potenze occidentali ai suoi confini e la guerra civile. I governi dell’Intesa volevano eliminare il governo bolscevico principalmente per: 1. ricostituire una repubblica democratica che continuasse la guerra; 2. eliminare un esempio pericoloso di governo rivoluzionario. I reparti delle potenze occidentali andarono ad appoggiare le forze controrivoluzionarie che si erano organizzare nel paese (le armate bianche), guidate da ex generali zaristi, contadini e piccoli proprietari. Contro di loro combatteva l’armata rossa, l’esercito bolscevico costituito nel febbraio 1918 da Trockij. La guerra civile costò 3 milioni di morti e nell’estate 1922 vide vittoriose le truppe rosse. L’armata rossa dovette sostenere anche un altro attacco esterno, quello della Polonia che però venne respinta. La guerra si concluse nel 1921 con l’acquisizione da parte della Polonia di parte della Bielorussia e dell’Ucraina. UN REGIME SEMPRE PIU’ AUTORITARIO In piena guerra civile, nel luglio 1918, entrò in vigore la prima Costituzione sovietica che prevedeva che il nuovo stato diventasse una repubblica federale e che a essa si aggregassero liberamente le eventuali repubbliche socialiste che si fossero formate sia sul territorio dell’ex impero, sia oltre confine. Così nel dicembre 1922 nacque l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Tutti gli oppositori furono dichiarati fuori legge, fu reintrodotta la pena di morte e venne creata una polizia politica, la CEKA, famosa per i suoi metodi violenti. IL COMUNISMO DI GUERRA Nel 1917, quando i bolscevichi presero il potere, le condizioni economiche della Russia erano pessime: i contadini avevano costituito piccole aziende agricole che producevano per l’autoconsumo e non rifornivano le città. Nel 1918 il governo bolscevico attuò in campo economico una politica autoritaria, che fu poi definita da Lenin, comunismo di guerra. Lo stato arrivò quindi a controllare tutti i settori dell’economia e per risolvere il problema degli approvvigionamenti alle città e all’esercito, squadre di operai bolscevichi vennero inviate nelle campagne per strappare ai contadini tutto ciò che non fosse strettamente necessario. Questa politica permise di assicurare il rifornimento all’esercito, ma aggravò ulteriormente la crisi economica: il malcontento dei contadini si manifestò con sommosse e scioperi. IL X CONGRESSO E LA NUOVA POLITICA ECONOMICA La gravità della crisi indusse Lenin ad una critica radicale del comunismo di guerra e ad un’esaltazione alla necessità di un approccio riformista alla trasformazione dell’economia. La nuova linea fu ufficialmente adottata dal X Congresso del Partito Comunista che nel marzo del 1921 approvò la Nuova Politica Economica (NEP), che segnò la fine del comunismo di guerra. ★ ai contadini veniva permesso di coltivare la terra per le loro necessità e di vendere le eccedenze, dopo aver consegnato allo stato una parte del raccolto; ★ lo stato manteneva solo il controllo delle fabbriche con più di 20 dipendenti. IL PARTITO UNICO Un altro provvedimento importante preso durante il X Congresso fu la proibizione del frazionismo, cioè l’organizzazione di correnti stabili nel partito, ovvero all'interno del Partito Comunista non dovevano esistere contrasti. Si approvò la regola del cosiddetto centralismo democratico, cioè una volta che il partito assumeva una posizione era vietato contrastarla o manifestare dissenso. Si accentuava così il carattere autoritario del partito, tutto il potere decisionale era nelle mani dei capi di partito, soprattutto di Lenin. L’URSS diventava sempre di più uno stato totalitario a partito unico. 4. L scontr tr Stali Trocki Nell’estate del 1922 Lenin fu colpito da primo attacco di una grave malattia e questo fece aprire un periodo di dure successioni. Stalin (1879) o “uomo d’acciaio”, si faceva chiamare così per sottolineare la sua grande forza di volontà. Fin da giovane si dedicò alle teorie di Marx e Lenin e poi aderì al partito bolscevico e si distinse per le sue capacità organizzative. LE REGOLE DI STALIN PER IL SUCCESSO Trockij disprezzava Stalin per la sua mancanza di educazione e di cultura, lo definiva una mediocrità. Lenin lasciò scritto nel testamento politico di togliere Stalin dalla carica di segretario generale poiché lo considerava troppo grossolano. Le regole di Stalin per arrivare al successo erano 4: 1. ogni metodo è giustificabile per arrivare al risultato desiderato; 2. gli uomini devono essere messi da parte quando non servono più; 3. le alleanze sono fatte per essere rotte; 4. le idee non hanno consistenza se non sono legate al potere. Una volta giunto al potere Stalin si preoccupò di ampliare la propria cultura soprattutto in campo filosofico. Allo stesso modo cercò di superare un’altra grande debolezza: la difficoltà a parlare in pubblico. TROCKIJ, IL TRIBUNO DELLA RIVOLUZIONE Trockij nacque in Ucraina nel 1879 e fin da giovane si avvicinò agli ambienti marxisti. Nel 1905, quando scoppiò la prima rivoluzione, Trockij si distinse nella direzione del soviet di Pietroburgo. Nel 1917 venne eletto nel Comitato centrale del partito bolscevico e per le sue abilità oratorie venne definito “il tribuno della rivoluzione". I PUNTI DI CONTRASTO I punti sui quali si contrapponevano maggiormente gli schieramenti erano: ★ le gestione del partito: lo schieramento di Trockij denunciava la centralizzazione la gestione autoritaria del partito; ★ il giudizio sulla NEP: Trockij la accusava di favorire i contadini e i commercianti a spese della classe operaia, mentre Stalin sosteneva che bisognasse dare libertà di commercio ai coltivatori e incentivare la produzione agricola; ★ la diversa valutazione della situazione politica internazionale: secondo Trockij un paese arretrato come l’Unione Sovietica non poteva svilupparsi rimanendo l’unico paese socialista sulla scena internazionale, mentre Stalin riteneva che bisognava puntare sull’edificazione del socialismo nella sola Unione Sovietica. Il loro addestramento era duro e violento e il tutto era accompagnato da una carica psicologica fondata sul mito della forza. Nacque così la leggenda dell’Ardito che si scaglia all’assalto prima di tutti. Quando la guerra finì, gli Arditi che tornavano a casa si trovavano spaesati e avevano difficoltà a rientrare nell’ordine. Molti continuavano a credere che la vita fosse un campo di battaglia nel quale per vincere bastava l’entusiasmo e il coraggio. Nel 1921 gli arditi non erano più sbandati, avevano trovato la loro guida nel duce. LA SFIDUCIA NELLA DEMOCRAZIA LIBERALE Nella società l’insoddisfazione era diffusa e molti aspiravano a un nuovo sistema politico che ponesse termine alla situazione di crisi. Gli operai delle industrie, i contadini nelle campagne, i ceti medi nelle città avviarono una stagione di lotte e manifestazioni. La democrazia vacillò e nacque un grande disprezzo per le istituzioni parlamentari. Solo nei paesi di antica tradizione liberale come la Francia e l’Inghilterra il sistema politico resse, mentre negli altri stati d’Europa la crisi del dopoguerra aprì la strada a nuovi governi di tipo autoritario e dittatoriale. 3. I bienni rss Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, si diffuse il modello del nuovo stato comunista che diventò per gli operai e i contadini europei un sogno realizzabile. I conservatori di tutta Europa temevano il contagio rivoluzionario poiché Lenin e i bolscevichi promuovevano la formazione di partiti comunisti in tutto il mondo. Lenin riteneva necessario riunire in un’unica organizzazione internazionale i veri socialisti rivoluzionari, così nel marzo 1919 sorse a Mosca la Terza Internazionale, cioè l’Internazionale comunista. Questa avrebbe avuto il compito di coordinare e controllare il movimento comunista internazionale. Nel luglio 1920 si tenne a Mosca il II Congresso dell’Internazionale comunista e Lenin elaborò un documento in cui fissava 21 punti con le condizioni per poterne far parte: ★ estromissione da tutti i posti di responsabilità del movimento operaio gli elementi riformisti; ★ approvazione della rottura totale con il riformismo; ★ sostenere senza riserve ogni repubblica sovietica nella lotta contro le forze controrivoluzionarie. Tra il 1920 e il 1921 i socialisti rivoluzionari fondarono dei partiti comunisti in molti paesi europei. LA CRESCITA DEL MOVIMENTO OPERAIO Negli anni successivi alla guerra, partiti politici e sindacati videro aumentare il numero dei loro iscritti. I lavoratori europei si aspettavano un cambiamento radicale e soluzioni nuove. Il movimento operaio chiedeva una società più equa e giusta mentre i contadini volevano terre da coltivare. IL BIENNIO ROSSO Tra il 1919 e il 1920 l’Europa fu toccata da un’ondata di scioperi e agitazioni operaie per l’aumento del salario e la giornata lavorativa di otto ore. Questo periodo di lotte chiamato biennio rosso metteva anche in gioco il potere nello stato e nelle fabbriche. Sorsero spontaneamente i consigli operai che, su modello dei soviet russi, si presentavano come i rappresentanti del proletariato nella futura società comunista. In Germania i consigli degli operai e dei soldati avevano occupato le fabbriche. La disgregazione dell’Impero asburgico aveva ridotto l’Austria a un piccolo stato dove nel 1919 venne proclamata la repubblica, successivamente i comunisti tentarono di spingere il popolo alla rivoluzione, ma senza successo. In Ungheria socialisti e comunisti diedero vita ad una Repubblica dei Consigli sul modello sovietico guidata dal comunista Bela Kun. Anche in Italia il biennio rosso mise in crisi il vecchio sistema politico. IL FALLIMENTO DELLE RIVOLUZIONI L’esperienza rivoluzionaria in Europa fu un fallimento, in tutti i paesi i tentativi di sovvertire il sistema economico e politico furono stroncati con la forza. In Ungheria, il fallimento della repubblica sovietica lasciò il potere alla controrivoluzione guidata da Horthy che eliminò fisicamente l’opposizione comunista e instaurò il primo regime autoritario dell’Europa del dopoguerra. 4. Diatur, democrazi nazionalism. In Europa la crisi del dopoguerra contribuì alla nascita e alla diffusione di dittature e di regimi totalitari, solo Francia e Gran Bretagna ressero alla crisi. Nel resto d’Europa invece la fragilità del sistema parlamentare non resse alla spinta delle forze che premevano per una svolta autoritaria. Nel 1922, Mussolini andò al governo in Italia e in pochi anni organizzò un regime dittatoriale che fu assunto come modello da molti altri paesi (Portogallo, Austria, Germania…). L’Europa degli anni 30 era quasi interamente occupata da regimi autoritari. L’EUROPA DEMOCRATICA Nel primo dopoguerra, la Francia fu guidata da governi di centro-destra. Dal 1926 al 1929 il paese fu guidato da Raymond Poincarè, capo dei moderati. Fu un periodo di stabilizzazione politica e sociale, favorito anche dalla debolezza del movimento sindacale. Alla fine della guerra, anche la Gran Bretagna attraversò una crisi economica e sociale molto grave, infatti il tradizionale primato economico inglese era passato agli Stati Uniti. Negli anni 20 i lavoratori dell’industria e del settore minerario avviarono una lunga fase di agitazioni sindacali e politiche. Nel 1924 ci fu anche una prima esperienza di governo laburista (ispirazione socialista). ATATURK, IL PADRE DEI TURCHI L’impero turco fu fortemente ridimensionato dai trattati di pace del 1919 e il suo territorio venne spartito tra le potenze europee. La Francia e l’Inghilterra riuscirono ad ottenere il controllo di una buona parte dell’area mediorentale attraverso il sistema dei mandati, cioè una forma di amministrazione territoriale che prevedeva l’affidamento temporaneo a una grande potenza degli stati e dei popoli che non riuscivano a reggersi da sé. Con il sistema dei mandati la Gran Bretagna ottenne l’amministrazione di importanti territori in medio oriente che avevano fatto parte dell’impero turco, mentre la Francia ottenne la Siria, il Libano e il Camerun. I turchi si ribellarono a questa nuova forma di colonialismo e avviarono la loro riscossa nazionale a cui capo ci fu Mustafa Kemal, che aveva già combattuto contro gli inglesi durante la prima guerra mondiale. Dopo due anni di conflitto, inglesi e francesi si ritirarono e la Turchia ottenne il riconoscimento della sua autorità e la restituzione di una parte dei territori perduti. Il 29 ottobre 1923 in Turchia venne proclamata la repubblica e Kemal ne divenne presidente; inoltre la capitale fu trasferita ad Ankara. Ataturk mise mano in ogni settore e iniziò subito un progrmma riformatore per fare entrare la Turchia nella civiltà, infatti seocondo lui, uno stato civilizzato doveva essere uno stato laico: per questo voleva liberare la Turchia dall’islam. ★ chiuse le scuole religiose e ne confiscò i beni; ★ soppresse la poligamia; ★ assicurò uguaglianza alle donne e nel 1934 ottennero il diritto di voto; ★ vietò il fez e il turbante, simboli dell’antico oriente. 5. Le colonie e i movimenti indipendentisti Francia e Inghilterra dovettero fronteggiare anche la crescita dei movimenti indipendentisti e nazionalisti nelle colonie, in Africa e in Asia. L’estensione dei movimenti anticolonialisti fu determinata da questi motivi: ➔ reparti militari avevano partecipato alla guerra a fianco dell’intesa dando prova di lealtà; ➔ durante la guerra in occidente i combattimenti avevano conosciuto le idee democratiche; ➔ la pubblicazione dei 14 punti di Wilson che riconosceva i diritti delle popolazioni indigene; ➔ l’Unione sovietica svolse un’azione a favore dei movimenti anticolonialisti. La decolonizzazione vera e propria di sarebbe poi solo realizzata dopo la II guerra mondiale. LA RIORGANIZZAZIONE DELLE COLONIE INGLESI La crisi del dopoguerra provocò una ristrutturazione dell’immenso impero coloniale inglese, le colonie inglesi vennero organizzate in forme diverse, per esempio c’erano i dominions, le colonie con una forte componente di popolazione bianca che nel 1931 entrarono a far parte del Commonwealth, cioè una libera associazione di comunità autonome unite dalla fedeltà alla corona britannica. Oltre al Commonwealth, la Gran Bretagna deteneva possedimenti in africa e in asia e nel pacifico: si trattava di colonie vere e proprie, di protettorati o di mandati. In Egitto nacque un regno autonomo, ma la Gran Bretagna controllava il Canale di Suez. Il punto critico era rappresentato dall’India, dove nel dopoguerra si sviluppò un movimento nazionalista guidato da Ghandi, che iniziò una lunga lotta pacifica per l’indipendenza indiana. LA POLITICA COLONIALE FRANCESE La politica attuata dai francesi verso le colonie mirava ad una politica centralistica che generò numerose opposizioni sia in medio oriente sia in africa settentrionale. Nel novembre del 1919 si tennero delle elezioni che rivoluzionarono il quadro politico italiano. Venne utilizzato per la prima volta il sistema proporzionale voluto dai socialisti e dai popolari, ora il confronto si spostava tra le diverse liste di partito. Ebbero la meglio quindi i due grandi partiti di massa. L’OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE Dopo gli scioperi e l’occupazione delle terre, nel 1920 la protesta fece un ulteriore salto di qualità passando all’occupazione delle fabbriche guidata dai sindacati rossi mentre i sindacati cattolici rimasero estranei alla protesta. Per molti lavoratori questo doveva essere l’inizio di un processo rivoluzionario, ma in realtà il movimento fu incapace di estendersi ed era privo di idee precise sulla strategia da attuare per rovesciare lo stato. Tra i gruppi rivoluzionari più attivi e preparati si distinse quello torinese tra cui i fondatori vi fu anche Antonio Gramsci. GRAMSCI, IL GRANDE TEORICO DEL COMUNISMO ITALIANO Nel 1915 Gramsci entrò nella redazione torinese dell’Avanti!. Nel 1919 diede vita al settimanale “l’Ordine nuovo” che si schierò per l’adesione del PSI all’Internazionale Comunista e in favore del movimento dei consigli di fabbrica. LA MEDIAZIONE DI GIOLITTI Nel giugno del 1920 fu chiamato Giolitti a sostituire il governo Nitti, indebolito dalle lotte sociali. Giolitti era convinto che l’occupazione non avrebbe avuto alcuno sbocco rivoluzionario e assunse un atteggiamento neutrale. Realizzò invece un’intelligente opera di mediazione e di riconciliazione tra CGL e industriali; gli operai ottennero aumenti salariali e in cambio sgomberarono le fabbriche. NASCE IL PARTITO COMUNISTA Il socialismo italiano era molto diviso al proprio interno. Per i massimalisti guidati da Serrati la rivoluzione russa del 1917 divenne il modello da seguire, mentre i riformisti che contavano su Turati e Treves, rifiutavano il metodo rivoluzionario. Ai riformisti di Turati e ai massimalisti di Serrati si erano aggiunti i comunisti guidati da Amadeo Bordiga. Nel Congresso di Livorno queste contrapposizioni esplosero: il 21 gennaio 1921 i comunisti abbandonarono la sala teatro dove si stava svolgendo il congresso, qui proclamarono la costituzione del Partito Comunista d’Italia, con Bordiga segretario e Gramsci nel comitato centrale. Ispirato al modello sovietico, convinti che si dovesse lottare per assestare il colpo mortale a una classe borghese ormai agonizzante. 3. Mussolin conquist i poter Mentre le durissime lotte sociali del biennio 1919-1920 avevano indebolito e deluso la maggior parte degli operai delle fabbriche, nelle campagne i contadini erano riusciti a ottenere risultati significativi. Le associazioni contrattavano direttamente con i proprietari il numero di giornate lavorative necessarie per ogni campo e poi distribuivano il lavoro tra i loro iscritti. Questo sistema era caratterizzato in realtà da profonde divisioni tra i salariati che miravano alla socializzazione della terra, e i mezzadri e i piccoli affittuari che speravano invece di riuscire a diventare proprietari terrieri. L’ECCIDIO DI BOLOGNA E LA NASCITA DEL FASCISMO AGRARIO Alla fine del 1920 Bologna era diventata il centro propulsore del movimento sindacale, i socialisti ottennero una schiacciante vittoria. Il 21 novembre 1920, giorno dell’insediamento del Consiglio comunale a Palazzo d’Accursio, partirono dalla folla dei colpi di pistola. I fatti di Palazzo d’Accursio segnarono la nascita del fascismo agrario. Tra la fine del 1920 e l’inizio del 1921 avvenne la svolta: fu accantonato il programma di San sepolcro e vennero costituite formazioni paramilitari (squadre d’azione) per intimidire il movimento socialista. Lo squadrismo ottenne militanti soprattutto: ★ tra gli ex combattenti che faticavano a reinserirsi nella vita civile; ★ tra i giovani che volevano impegnarsi contro i nuovi presunti nemici della patria; ★ nelle file della piccola borghesia. Le squadre partivano dalle città e si spostavano in camion verso le campagne, per andare a devastare e incendiare le sedi delle leghe e i municipi. Nel successo dello squadrismo ebbe un ruolo fondamentale la neutralità di una parte della classe dirigente. I FASCISTI IN PARLAMENTO La tolleranza mostrata da molti politici liberali verso il fascismo fu dovuta soprattutto alla speranza di potersene servire per arginare le pretese del movimento socialista. Giolitti puntava a un netto ridimensionamento dei socialisti e dei popolari ma i risultati elettori non gli diedero ragione: il Partito Socialista subì una lieve flessione, i popolari aumentarono i consensi. I blocchi nazionali ottennero 275 seggi, 35 dei quali andarono ai fascisti. Giolitti ne prese atto e rinunciò a guidare il governo che venne invece formato dall’ex socialista Ivanoe Bonomi. A questo punto al Congresso dei Fasci del novembre 1921 Mussolini decise di trasformare il movimento nel Partito Nazionale Fascista: cercava di proporsi sempre più come leader politico credibile e affidabile. Mussolini riuscì a limitarne la libertà d’azione ma si rese anche conto di non poter fare a meno della capacità di proselitismo dei militanti. LA MARCIA SU ROMA Luigi Facta sostituì Bonomi dopo solo sei mesi di governo, guidò il paese fino all’ottobre 1922, appoggiato da una coalizione di liberali e popolari. Mussolini nel frattempo rimodellò abilmente il Partito Fascista: ★ abbandonò le posizioni repubblicane e si dichiarò favorevole alla monarchia; ★ accantonò la critica del capitalismo; ★ abbandonò l’anticlericalismo e attaccò il Partito Popolare di Don Sturzo. Mussolini comprese che era venuto il suo momento e decise di forzare i tempi. Il 24 ottobre 1922 riunì a Napoli migliaia di camicie nere in vista della marcia su Roma per assumere il potere con forza. Facta chiese al re Vittorio Emanuele III di firmare la proclamazione dello stato d’assedio che avrebbe permesso l’intervento dell’esercito. Il re rifiutò e il 30 ottobre 1922 Mussolini, giunto da Milano ricevette dal sovrano l’incarico di formare il nuovo governo. MUSSOLINI AL GOVERNO Tra il 1922 e il 1924 Mussolini guidò un governo di coalizione costituito da fascisti, liberali e popolari. All’epoca poteva contare sugli apparati dello Stato, degli industriali e degli agrari. Forte di questi appoggi il 16 novembre 1922 Mussolini si presentò al Parlamento con un discorso arrogante che gli valse comunque molti voti. Per realizzare ciò che aveva promesso Mussolini abbandonò la politica economica di Giolitti che colpiva i profitti di guerra e penalizzò le cooperative rosse costringendole all’estinzione. Tutte le opposizioni e una parte degli alleati chiedevano a Mussolini la fine della violenza come arma di lotta politica e lo scioglimento delle squadre fasciste. Mussolini decise allora di creare la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, quindi trasformò lo squadrismo in forza armata del regime. MUSSOLINI “MODERATO” Negli anni 22-24 Mussolini alternò un atteggiamento moderato a richiami minacciosi. Riuscì così a legittimarsi sul piano internazionale come leader conservatore, occultando le tendenze totalitarie proprie del movimento fascista. Le violenze squadriste comunque continuarono impunite. Tra i provvedimenti assunti in questo periodo vanno ricordate: ★ la riforma della scuola, varata dal governo nel 1923 da Giovanni Gentile. Dopo i cinque anni obbligatori di scuola elementare, gli studenti erano costretti ad una scelta precoce per il futuro tra liceo scientifico o classico, o una scuola professionale; ★ la riforma del sistema elettorale realizzata con la legge Acerbo, approvata dal parlamento il 14 novembre 1923, che introdusse un meccanismo elettorale maggioritario. IL DELITTO DI MATTEOTTI Il 30 maggio del 1924 il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista, denunciò i brogli e le violenze compiute dalle squadre fasciste in molti seggi elettorali. Il 10 giugno Matteotti venne rapito a Roma da una gruppo di squadristi e ucciso in auto. Gli esecutori del delitto furono arrestati dopo pochi giorni. Molti scelsero di non partecipare ai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente: gli oppositori si dichiaravano disponibili a rientrare in Parlamento solo dopo il ripristino della legalità e l’abolizione della Milizia. Si formò così la secessione dell’Aventino (riferimento alla storia romana in cui la plebe si rifugiò sul colle romano dell’Aventino per protestare contro i patrizi). Dopo pochi mesi l’ondata antifascista cominciò a placarsi e Mussolini comprese che era giunto il momento di contrattaccare. Il 3 gennaio 1925 in un discorso alla Camera, il duce si assunse la responsabilità di quanto era avvenuto, gettando le basi per l’instaurazione della dittatura. L’assassinio di Giacomo Matteotti segnò dunque la morte della democrazia liberale e l’affermazione della dittatura fascista.
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