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Riassunto libro Il romanzo italiano da Foscolo a Svevo, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto sintetico ma esaustivo di tutti i capitoli del libro per l'esame di letteratura italiana

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 17/04/2021

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Scarica Riassunto libro Il romanzo italiano da Foscolo a Svevo e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! MATTEO PALUMBO IL ROMANZO ITALIANO DA FOSCOLO A SVEVO Il libro intende descrivere, per tappe essenziali, le vicende del romanzo italiano tra l’Ottocento e il Novecento. I dieci saggi che seguono sono alcune tappe di un percorso possibile attraverso il romanzo italiano, nell’ambito della crisi della modernità: dalla scrittura epistolare delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, pensate da Foscolo sulla scia di Goethe, si passa al romanzo storico-morale di Manzoni, per approdare al ciclo dei vinti di Giovanni Verga. L’ultima parte di questo itinerario si confronta con i protagonisti del primo Novecento italiano: la disarticolazione umoristica di Pirandello, la potenza lirica di Tozzi, lo “scribacchiare” ironico di Svevo sono tutti effetti dell’esplorazione di quell’altra dimensione doppia, misteriosa, originale, che resta il contrassegno più esplicito dell’ingresso della modernità. Strumento privilegiato d’indagine è il TEMPO della narrazione, dallo sviluppo della fabula ai suoi esiti conclusivi in cui precipitano trame e destini. Il tempo è inteso come sequenza indiscutibile del prima e del dopo; questo è, per gli autori in discussione, una specie di grande totem, uno di quegli idola la cui onnipotenza è indispensabile combattere. Le singole analisi concorrono ad alimentare il disegno storico secondo una linea interpretativa che misura il disfarsi, nell’epoca novecentesca della crisi, dei solidi e compatti organismi narrativi dell’Ottocento. Questo sfaldamento è soprattutto verificabile nella sostituzione di una temporalità frammentata e discontinua a quella compatta e progressiva che nel romanzo ottocentesco ritmava il destino dell’eroe e nella trasformazione del personaggio, che dopo la rivoluzione copernicana smarrisce le sue certezze e la sua stessa unità, rivelandosi incapace di stabilire un rapporto pieno con la realtà, un soggetto debole, un’identità sospesa, svuotata di senso, segnata dall’inettitudine e dall’estraneità. MENSONGE ROMANTIQUE E VE’RITE’ ROMANESQUE: FOSCOLO E IL ROMANZO EPISTOLARE Foscolo si preoccupa di stabilire cosa distingue il suo romanzo da tutti gli altri prodotti italiani del tempo oppure cosa lo allontani dal resto dell’esperienza europea contemporanea. Foscolo scrive il Saggio di novelle di Luigi Sanvitale nel 1803, che è un anno capitale per la formazione delle sue idee. Secondo un’abitudine che lo accompagnerà costantemente lungo l’intera vicenda intellettuale, Foscolo collega all’attività creativa una sistemazione critica, un supplemento riflessivo che, anche se non si riferisce direttamente alle opere compiute, le riguarda e le comprende. Il Saggio ha come scopo la sistemazione del romanzo nella costellazione delle forme dei linguaggi letterari. Al romanzo è data una funzione di mimesi storica ossia di restituzione di un’epoca; il romanzo deve riguardare direttamente la contemporaneità. Con una decisa inversione, Foscolo rifiuta il romanzo storico ed afferma che il romanzo moderno è uno specchio della società che riflette. Anche la lingua porta con sé il segno della contemporaneità. Foscolo, con la stesura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis può vantare di aver scritto il primo libro che ha richiamato l’attenzione delle donne e del grande pubblico verso le tematiche politiche. Nelle considerazioni avanzate nella Notizia bibliografica, pone al centro della propria riflessione la parola passione, che con la connotazione dolorosa che reca nella sua radice, diventa l’oggetto della rappresentazione. È l’emblema dell’intero destino di Jacopo. Il romanzo si fonda sulle oscillazioni di un’anima esposta disarmonia della storia. La connessione tra Rousseau, Goethe e Foscolo diventa un dato inoppugnabile. Foscolo stesso ci parla delle differenze che intercorrono tra I dolori del giovane Werther di Goethe e La nouvelle Heloise di Rousseau. Con Goethe ha in comune la tematica del personaggio sradicato che non si trova in nessuna classe sociale; Lorenzo Alderani interviene spesso soprattutto nella seconda parte dell’opera, a differenza di Goethe che fa parlare solo il protagonista al quale il destinatario non risponde e non scrive mai; Goethe inoltre privilegia le passioni d’amore, nell’Ortis invece è inserito anche il tema patriottico che rende ancor più acuto il dolore. Rispetto all’opera di Rousseau è ripresa l’intensificazione del dolore. Ne La nouvelle Heloise si parla di una giovinetta che s’innamora del suo precettore che viene mandato via, lei si sposa e quando lui torna diventano amici e formano insieme una piccola società. Mentre Foscolo scrive una monodia epistolare con esito finale tragico, in Rousseau vi sono più lettere scritte da diversi corrispondenti e con un finale di passaggio, dal disordine all’ordine. Il romanzo di “affetti” per l’autore dell’Ortis è inseparabile dall’intreccio drammatico tra i desideri dell’anima e il tempo della storia: assoluti e vitali gli uni; cupo, misero, ingannatore l’altro. Il romanzo epistolare alla maniera di Goethe rappresenta l’involucro di cui Foscolo ha bisogno per conquistare nella sua opera, contro ogni mensonge romantique, la vérité romanesque di un’intera epoca (si richiama un celebre saggio di René Girard, del 1961, Mensonge romantique e verité romanesque, cioè menzogna romantica e verità romanzesca). I PROMESSI SPOSI O IL ROMANZO ETICO Il paragone obbligato che si crea con il Manzoni è con la quantità di opere prodotte dall’inglese Walter Scott, padre fondatore del romanzo storico. La differenza tra la ricchezza creativa di Scott e l’unicità dell’invenzione manzoniana trovava una spiegazione ineccepibile nell’evoluzione diseguale fra l’Italia e Regno Unito. Alle spalle di Scott c’era l’Inghilterra, piena di eventi, mentre dietro Manzoni la storia di una nazione ancora tutta da formare e il suo romanzo doveva appunto spingere a questa formazione. Alla visione disperata della realtà etico politica dell’Italia napoleonica che risuona nelle lettere di Jacopo Ortis risponde, nei Promessi sposi, un più radicale pessimismo di matrice cristiana nei confronti della Storia, teatro di una legge eterna di ingiustizia e sopraffazione. Sarà proprio la travagliata storia di una contemporaneità tragica, ovvero la storia di una umanità sconvolta, di una terra attonita come quella del Manzoni, al centro del romanzo. In questo senso Palumbo, attraverso una raffinata analisi del tema cruciale della conversione, arriva ad affermare che I promessi sposi, se sono romanzo storico, sono anche, e soprattutto, romanzo etico: o meglio ancora romanzo dell’etica. Manzoni descrive la perenne crisi di tutta la vita del popolo italiano in conseguenza della divisione dell’Italia e del carattere feudale reazionario che le continue piccole guerre e la soggezione a potenze straniere avevano impresso alle singole parti del paese. Evidentemente la È la solitudine di chi non appartiene più al suo mondo. La solitudine porta alla disperazione e questa alla morte che è simbolica, allegoria di una sconfitta. Un passaggio, quello delle due morti, che mostra, dopo che sull’asse della vicenda è avvenuta la dispersione del nucleo familiare, l’inevitabile approdo a una concezione drammaticamente nichilista. L’ANIMA ASSEDIATA: L’ESCLUSA DI LUIGI PIRANDELLO Il romanzo, scritto nel 1893, è emblema di un processo; accompagnato da una lettera a Capuana nella quale viene esplicitato il tema che Pirandello mette in scena: il contrasto tra la semplificazione dell’arte e la natura complessa delle cose. Dal personaggio romanzesco non si potrà più attendere una continuità consolidata di gesti e di sentimenti, ma egli sarà esposto alla spinta di forze che neppure conosce e controlla. Il titolo del romanzo è indicatore di un problema o di una condizione, non descrive una cosa, ma induce a una situazione, Pirandello vuole alludere a qualcosa di enigmatico. L’esclusa è l’annuncio di una condizione interiore e psicologica insieme, il segnale di un modo di essere nel mondo in cui non si trova solo la protagonista, Marta Ajala, protagonista principale del romanzo, ma anche coloro che le ruotano intorno. La trama del romanzo di articola in due parti: nella prima parte il romanzo ruota intorno alla colpa non commessa e agli effetti che ne derivano come segno dell’esclusione a cui Marta Ajala è condannata; nella seconda parte predomina il desiderio di rinascita e di sfida al giudizio di un’intera comunità. Ma la rivincita sarà solo apparente perché passerà attraverso le “forche dell’infamia” e sfocerà nel fallimento. Marta si sente “esclusa” dalla vita non solo dalla comunità. La storia di Marta è esemplare. Giancarlo Mazzacurati ha osservato che nel passaggio dalla prima alla seconda stesura, il personaggio è accompagnato da una traccia non solo descrittiva ma che assolve un significato simbolico e rinvia figuralmente al suo ruolo di marionetta. Su ogni personaggio pesa una legge imperiosa che pretende il rispetto delle sue norme inflessibili ed indiscusse. Essa costringe ciascuno a entrare in lotta con sé stesso, vincolandolo a indossare una maschera o giudicandolo estraneo. La forma dominante dell’intero romanzo è la condizione di disagio, di “esclusione” a cui è esposta gran parte dei personaggi si materializza nei lineamenti che essi posseggono, nei tratti somatici con cui sono marchiati, nelle relazioni reciproche che possono intrattenere con gli altri, oppure si rivela negli ambienti in cui essi vivono. Il disadattamento è reso visibile da un principio costante, che è la deformazione: vera norma estetica sotto cui Pirandello dispone la sua materia. La deformazione più ovvia investe la forma del corpo e la sua degenerazione. La prima risorsa di Pirandello è l’animalizzazione dei volti o dei comportamenti di coloro che si muovono ai bordi della storia del romanzo. Pirandello introduce anche particolari sgraziati, segnala tic che stravolgono i lineamenti o parti del corpo dissonanti e sproporzionate. La deformazione dei corpi si prolunga nella forma degli spazi, angusti, oppressivi oppure caotici e grandi. Sono sproporzionati, incongrui. Anche nel campo dei rapporti fra i personaggi si oscilla tra una solitudine estrema e una prossimità aggressiva. Ci sono due termini che ritornano: “ombra” e “bujo” sono gli indicatori del mondo in cui vivono i personaggi di Pirandello. È soprattutto Martan che convive con l’ossessione di questi elementi, sostanza della sua stessa vita. La sera è emblema dell’isolamento in cui è confinata: le ombre del giorno si prolungano nel bujo dell’anima. La semantica del bujo attraversa l’intero romanzo. Il buio diventa la traccia di un mondo abbandonato dagli Dei, è l’emblema della realtà post- copernicana. I DOPPI DI MATTIA PASCAL L’antropologia pirandelliana si basa geneticamente sull’idea del doppio. Tra la vita degli esseri pensanti e l’esistenza degli animali, attraverso la lanterninosofia, si apre una differenza incolmabile. La lanterninosofia afferma che nella vita degli uomini interferiscono due entità del tutto opposte: l’impulso biologico e l’attitudine speculativa. (vedi definizione di Anselmo Paleari) Si apre una differenza tra il mondo innocente della natura e la sfera dubbiosa dell’umano. “realtà fuori di noi” e “sentimento interno della vita” sono due parti diverse ma comuni. Uno dei topoi più frequenti nell’immaginario pirandelliano è il “guardarsi davanti allo specchio”; riflettendo la propria immagine il soggetto si divide in due e le due funzioni sono simultaneamente uguali e diverse, simili ma non del tutto sovrapponibili e coincidenti. Il doppio si trasforma in una questione imprescindibile per interpretare l’essenza delle tesi pirandelliane: un principio quasi obbligato, una pista che è in grado di guidare nel cuore di una cultura e delle sue antinomie. Tutti i personaggi di Pirandello sono prigionieri di un sortilegio: avvertono dentro di sé il peso e l’azione di un altro io. Può succedere che questo secondo io possa sostituire il suo antagonista e prendere il suo corpo. È quanto avviene con Mattia Pascal: una doppia vita e una seconda storia. Il doppio si può accompagnare ad una condizione di crisi la cui gravità, l’apparizione di questo secondo io, contribuisce a risolvere. Nel caso di Mattia Pascal, quando diventa Adriano Meis cambia pettinatura, modo di vestire, taglia la barba, ma gli resta l’occhio strabico. Questo doppio di Pascal, uguale e diverso, impegnato a fare di sé una creatura differente, sogna di poster affermare di esser stato due uomini separati. Cambia il rapporto con le cose e con il mondo, al punto che Mattia può ricordare la breve stagione di quell’inizio come un periodo di leggerezza. Il nuovo nome, Adriano Meis, costringe a disegnare una storia e a scegliere un destino nuovi. Ma Adriano Meis finisce per restare impigliato in una trappola. Resta puro desiderio, separato dalla vita, si ricongiunge a Mattia. Non c’è scampo, non trova una via di salvezza. Fondamentale è anche il rapporto con l’ombra che resta l’unica certezza di esistenza. L’ombra è la realtà residua dell’io: un io spezzato, impotente. Nei saggi riservati a Pirandello, su L’Esclusa e il Fu Mattia Pascal, il focus analitico è rivolto alla rappresentazione di anime assediate dalla legge imperiosa delle convenzioni sociali. I personaggi si trovano “fuori della vita”, tormentati dal sortilegio del doppio, dell’altro sé, della scissione dell’io che non può che risolversi in una dolorosamente umoristica inconsistenza del soggetto, nell’evanescenza di una identità ridotta ad ombra. FORZA LIRICA E MONDO ALLEGORICO: TRE CROCI DI FEDERIGO TOZZI È l’ultimo romanzo dello scrittore senese, nel quale Matteo Palumbo scorge la più crudele analisi di una condizione esistenziale, ovvero del tempo della modernità, che corrisponde all’esperienza più autentica del dolore e al patimento inconsolabile della miseria degli uomini e della loro irresolutezza e inquietudine. Tre croci è la storia, ambientata a Siena, della rovina economica di tre fratelli. Il fallimento è metafora profonda della condizione umana. Qui, come altrove, i personaggi di Tozzi, privati del sostegno di qualsiasi verità, non possono che essere risucchiati verso il fondo più barbaro della loro natura, fino a coincidere integralmente con i gesti del corpo ed annullarsi nei suoi linguaggi. GENEALOGIA DI SVEVO L’opera di Svevo diventa il punto di riferimento per un romanzo rinnovato, liberato dal peso della tradizione e di un grado di raccontare quell’universo ancora inesplorato che è la modernità. L’esperienza di Svevo doveva naturalmente presentarsi come una profonda trasgressione, come un atto evasivo che assegna uno statuto originale e inedito alla funzione del romanzo. Scrivere serve a dare forma a stati d’animo che sono per loro costituzione informi, ambigui e contraddittori. Sicuramente è importante per la produzione letteraria di Svevo, la sua nascita triestina. Svevo stesso sottolinea la natura eccentrica del luogo in cui egli si era formato; Trieste si presentava con una funzione di crogiolo assimilatore degli elementi eterogenei che il commercio e la dominazione straniera attirarono nella vecchia città latina. Elementi slavi, italiani e tedeschi non si mescolano in un’unità armonia, ma restavano separati sotto un governo tollerante. Confinati alla periferia di un impero si era per forza provinciali, ma proprio questo essere periferico consente di diventare contemporaneamente un arretrato ed un precursore. Palumbo precisa che Svevo adotta i presupposti teorici che gli sembrano schiudere orizzonti prima nascosti, li assorbe, li metabolizza, li adatta alle proprie necessità o li immette in un contesto totalmente suo. Darwin, Schopenhauer, Freud e Nietzsche costituiscono un serbatoio di temi e idee da cui Svevo attinge per i suoi romanzi. Dall’autore dell’Origine della specie (l’eroe del pensiero moderno) Svevo deriva due dei principi fondamentali dell’intera sua opera: la configurazione delle relazioni personali come lotta, scontro, antagonismo e la divisione dei personaggi in forti e deboli, sani e malati, attivi e inetti, vincitori e vinti. Questi termini di riferimento alla fine sono impiegati in maniera ironica: il debole, il malato è proprio Zeno, ultimo prodotto umano sulla scala dell’evoluzione della specie. Da Schopehnauer prende l’idea della volontà come irrequietezza: come la volontà è legge oscura della vita, così i protagonisti dei romanzi sono sollecitati da istinti incontrollati. Scarta la soluzione dell’ascesi: le vie della compassione e dell’ascesi sono miraggi. Per quanto concerne Freud vediamo che La coscienza di Zeno è piena di psicoanalisi e da lui è presa l’idea di complessità della coscienza, ma Svevo non crede alla psicoanalisi come terapia. Usa la psicanalisi perché permette di illuminare gli strati oscuri della soggettività, ma resta per lui, ovvero per Zeno, inutile come “cura”; la psicanalisi diventa, anzi, un nuovo fondamento di scetticismo. Da Nietzsche prende la visione dell’uomo che accetta tutto, anche il dolore. Svevo si collocherebbe in quella tendenza che Nietzsche chiama “nichilismo compiuto”. Esso capovolge i valori: disordine, malattia, sfiducia nella vita, corrispondono a vitalità, desiderio, intensità. La leggerezza disincantata di Zeno, nei suoi odi svagati e stravaganti, riesce a spingersi fino a questa estrema rigenerazione. Nell’aurora di un nuovo giorno nasce un soggetto rinnovato. Ciò che ne viene fuori è un Oltre-uomo che, rovesciato ogni altro valore, abbattuto ogni idolo, assume la vita stessa come valore.
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