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Riassunto libro L'italiano e le sue varietà, Sintesi del corso di Linguistica

INTRODUZIONE, VARIETA’ DIACRONICHE,NUOVI ITALIANI, NUOVO ITALIANO, VARIETA’ DIATOPICHE, VARIETA’ DIASTRATICHE,

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 01/05/2023

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Nuna100101 🇮🇹

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Scarica Riassunto libro L'italiano e le sue varietà e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! L’ITALIANO E LE SUE VARIETA’ I. INTRODUZIONE Una varietà di lingua si può definire come un insieme di elementi di un sistema linguistica che tendono a presentarsi in concomitanza con determinati caratteri extralinguistici, sociali, un’entità che presuppone una correlazione tra fatti linguistici e non, e deve essere caratterizzata sulla base di entrambi. Il modello di classificazione delle varietà linguistiche si deve a Eugenio Coseriu, il quale schematizza le dimensioni di varietà linguistica in base allo spazio o area geografica (variazione DIATOPICA), la classe o strato sociale (variazione DIASTRATICA), la situazione comunicativa in cui si usa la lingua (variazione DIAFASICA). Si deve a Mioni una successiva aggiunta riguardo il mezzo o canale attraverso cui la lingua è usata (variazione DIAMESICA). Berruto (1987) ha rappresentato l’architettura dell’italiano variazionale attraverso un modello fondato su tre premesse: 1. La separazione e l’intersezione delle dimensioni che orientano la variazione; 2. L’esclusione della dimensione diatopica; 3. L’inclusione della variazione diastratica, diafasica e diamesica. Tale architettura è suscettibile del fattore tempo, che non solo determina i cambiamenti più o meno significativi nei tratti linguistici distintivi delle diverse varietà, ma ridisegna i loro reciproci rapporti. A questo schema Antonelli aveva proposto l’aggiunta di una varietà che ha chiamato prima italiano digitato e poi e- taliano. Sempre nello schema di Antonelli notiamo altre sostituzioni: italiano standard diventa italiano scolastico, l’italiano neostandard diventa italiano giornalistico, e l’italiano burocratico diventa italiano aziendale. Il modello di Berruto viene poi rivisto dallo stesso Berruto che sostituisce la diamesia con la diatopia. È importante dire che la variazione diamesica è riconosciuta dallo studioso come trasversale agli altri assi, e di fatto finisce per sovrapporsi a quello diafasico. L’architettura dell’italiano viene riproposta in Berruto come compariva nell’edizione del 1987, per cui la dimensione diamesica viene nuovamente reinserita, seppur diversamente articolata. Nella realtà degli usi linguistici le dimensioni spesso si intrinsecano o si sovrappongono parzialmente, e una varietà può essere determinata secondo due o più assi di variazione o può sfumare impercettibilmente in un’altra senza che sia possibile tracciare un confine preciso. VARIETA’ DIACRONICHE Gli usi linguistici cambiano più o meno lentamente a seconda delle vicende storiche, socioeconomiche e culturali che li influenzano. Il cambiamento avviene solitamente prima nel parlato e successivamente nello scritto, ma più lentamente. Nel breve tempo il cambiamento è difficilmente visibile che nel periodo più lungo, in cui presenta segni macroscopici. Se per esempio mettiamo a confronto l’italiano della Divina Commedia con quello di oggi, noteremo subito che forme, parole, strutture morfosintattiche, sono diverse. Lo stesso con i testi scientifici di Galileo con uno contemporaneo. I fattori che determinano un cambiamento linguistico possono essere:  Esterni, come l’influsso di altre lingue;  Interni al sistema della lingua, per cui abbiamo fenomeni di lessicalizzazione e grammaticalizzazione. TRATTI MORFOSINTATTICI DA TESTI ANTICHI: 1- LEONE GUARDA MOLTO ALL’UOMO: oggi una frase del genere richiede l’articolo, che nell’italiano antico non era necessario. 2- VUOLSI COSI’ COLA’ CIO’ CHE SI VUOLE: il pronome atono riflessivo è posto dopo il verbo (enclitico), oggi si avrebbe SI VUOLE. Questo perché nell’italiano antico non si poteva iniziare con un pronome atono, quindi andava posposto. Ci sono diversi fattori che influenzano l’uso e il cambiamento linguistico, come la tradizione grammaticale. Un esempio è l’uso del pronome LUI in funzione di soggetto, che non era possibile al tempo di Dante, ma già nel 400 era considerato grammaticale da Leon Battista Alberti. Poco dopo, nelle Prose di Bembo, venne definitivamente censurato e lo sarà fino al 900. Per tale tradizione la grammatica scolastica fino a pochi decenni fa lo indicava come errore. NUOVI ITALIANI, NUOVO ITALIANO I “nuovi italiani” hanno mutato non solo lo scenario demografico, ma anche quello linguistico, dando vita a un “nuovo italiano”, appreso spontaneamente come seconda lingua, che spesso evolve verso l’italiano. Diverso è il caso per i figli degli immigrati, nati in Italia o che sono arrivati in Italia a pochi anni di vita (italiani di seconda generazione): imparano l’italiano nelle scuole come parlanti bilingui (la lingua d’origine convive con l’italiano), anche se è un bilinguismo sottrattivo poiché tende a ridurre pian piano l’uso della lingua originaria a vantaggio dell’italiano. Le caratteristiche del NUOVO ITALIANO:  Sovraestensione delle regole: utilizzo di una regola anche in contesti in cui non è richiesta (ES: HO ARRIVATO per SONO ARRIVATO); Tra italiano e dialetto si devono riconoscere due differenze: 1. Riguarda l’estensione dell’italiano su tutto il territorio nazionale: nato sulla base del dialetto fiorentino, quest’ultimo, a differenza di altri dialetti, ha avuto maggiore importanza, diventando lingua non per ragione linguistiche, interne al sistema, ma esterne, storico-culturali. La differenza tra dialetto e lingua è dunque di uso: con le “lingue” si fanno cose che con i “dialetti” non si fanno, e viceversa. 2. Si attiene al numero dei parlanti: secondo alcuni dati sarebbero aumentati coloro che usano solo o prevalentemente l’italiano, mentre sono in diminuzione coloro che usano solo il dialetto. Ciò rivela quanto significativa sia stata la conquista dell’italiano se confrontata con gli italofoni e analfabeti all’indomani dell’unificazione politica nazionale del 1861. Si farebbe un grave torto alla realtà ridurre il panorama sociolinguistico italiano odierno a una situazione di diglossia, ossia di compresenze di lingue, italiano e dialetto, usate relativamente in funzioni alte e basse. Per questa ragione Berruto ha introdotto la categoria di DILALIA in sostituzione di quella di diglossia. La dilalia si differenzia dalla diglossia perché l’italiano è usato anche nel parlato conversazionale usuale, e perché ci sono impieghi in cui vengono usati di fatto sia italiano che dialetto, ed è normale usare entrambi alternativamente o congiuntamente. I quattro ambiti principali in cui si utilizza il dialetto sono: 1. La canzone; nella produzione musicale il ruolo del dialetto è quello di trasmettere contenuti ideologici, identitari e di denuncia sociale nel modo più espressivo possibile. Il dialetto è presente anche nelle canzoni del passato, in cui si può notare una cospicua frequenza di nomi femminili, in particolare del nome Maria e dei suoi derivati, anche nelle varianti dialettali. Sulla questione del dialetto nella musica possiamo ricordare l’edizione del 2010 di Sanremo, in cui venne modificato il regolamento della competizione, ammettendo canzoni in dialetto: “le canzoni dovranno essere in lingua italiana; si considerano appartenenti alla lingua italiana canzoni in lingua dialettale italiana. A quell’edizione Nino D’Angelo prese parte insieme a Maria Nazionale con la canzone Jammo jà, interamente in napoletano. 2. Il cinema; un esempio è il film Terraferma di Rossi, in cui il dialetto ha valore di strumento identitario e limite. Il protagonista del film, Filippo, parla dialetto sia per marcare la propria appartenenza, ereditata dal nonno, alla comunità di pescatori dell’isola di Lampedusa, dalla quale non intende staccarsi (il locale come limite geografico), sia per esprimere la propria ostilità nei confronti dei migranti africani sbarcati sull’isola (limite sociale). La madre di Filippo, Giulietta, per stimolare il figlio a superare questi limiti, e nella prospettiva di un cambiamento di vita, gli dice di dover iniziare a fare, a vedere altre cose, nuove, diverse. Vuole sentirlo parlare con gente diversa e aggiunge “manco l’italiano sai parlare!”. Filippo risponde nel suo dialetto puntualmente. Le scelte linguistiche di tale film rappresentano il rapporto non sono tra generazioni, ma anche tra prospettiva globale e locale, alla quale Filippo è molto più vicino. La madre, invece, si trova in mezzo con funzione di mediatrice. 3. Ambito digitale; prendendo alcuni esempi di post pubblicati su Facebook, comprendenti diversi proverbi, notiamo l’utilizzo della scrittura in italiano o in dialetto oppure in un codice misto. Ad esempio, i posti comprendenti la critica vengono trascritti in dialetto rispetto al proverbio che è in italiano: “Se il buongiorno si vede dal mattino oggi siamo veramente inguaiati”; oppure i post con proverbi interamente in dialetto sono ascrivibili alla categoria di post con chiave seria, in cui si utilizza la scrittura tutta il maiuscolo insieme all’uso di punti esclamativi: “Anche le pulci hanno la tosse”. Ovviamente il dialetto compare anche nei commenti a questi post. 4. Le attività commerciali; ci sono diverse pagine che sfruttano l’uso del dialetto con funzione ludica; è il caso di “#hashtagciociaro dillo con un hashtag”. Sulla pagina troviamo delle immagini con su impresso un hashtag, tipico della comunicazione via Twitter, con una comune espressione in dialetto ciociaro con effetti di ironia. Oppure in Sicilia per le vie si possono trovare insegne commerciali in dialetto, che trasformano le città in un testo che racconta, per poter affermare la precisa identità geo-culturale. Merita un discorso a parte la scuola, dalla quale, a partire dagli anni dell’unificazione politica dell’Italia, la “malerba dialettale” era stata esclusa. Solo negli anni 50 del secolo scorso si è dimostrato ai manzoniani di avere torto. Negli ultimi anni un intenso dibattito è stato alimentato da voci favorevoli o contrarie all’introduzione del dialetto a scuola. Qualcuno pensava fosse giusto conoscere il dialetto della propria città, la lingua dei propri nonni, per poter essere consapevoli delle proprie radici e non dimenticare le proprie origini. Fu proposto lo stanziamento di fondi per l’insegnamento del dialetto deciso dalla Giunta regionale ligure ma lo scrittore genovese Bruno Morchio replicò che sarebbe stato più utile e saggio investire su altre discipline e provare ad insegnare seriamente una lingua straniera. Aggiunse, infine, che il dialetto apparteneva ad una cultura morta e che questa si salvaguardasse attraverso musei e aree archeologiche, senza illudersi di restituirla alla vita quotidiana. Da quando l’italiano ha raggiunto piena diffusione nel nostro paese, i testi letterari in dialetto hanno trovato spazio nelle antologie di italiano ad uso scolastico. Alcune pagine riportano il racconto di Camilleri de La prova generale in Gli arancini di Montalbano consentendoci di muovere verso l’immaginaria cittadina siciliana di Vigata, dove il racconto è ambientato. L’aspetto più vistoso della prova di Camilleri è l’impasto linguistico tra dialetto e italiano, profondamente originale e che non riguarda solo i personaggi “siculi” ma diventa la lingua del narratore stesso. L’uso del dialetto in Camilleri ha due funzioni principali: 1. Identificare concretamente i luoghi delle azioni, perché lo scrittore parla di eventi che sono calati in luoghi e tempi ben precisi; 2. Far sentire al lettore certe circostanze comiche, ironiche, umoristiche. Concludiamo dicendo che il dialetto non mostra segnali di estinzione bensì si mantiene stabilmente, resistendo all’influsso dell’italiano; il dialetto specie se alternato o frammisto all’italiano, compare anche in ambiti d’uso per i quali fino a qualche tempo fa ne era difficilmente prevedibile l’impiego. Proprio l’uso alternato con l’italiano nello stesso evento comunicativo rappresenta una delle principali tendenze della situazione sociolinguistica contemporanea e pare configurarsi la principale forma di vita futura del dialetto. III. VARIETA’ DIASTRATICHE La varietà diastratica riguarda la classe sociale dei parlanti e degli scriventi, il livello di istruzione, la provenienza (campagna, città), la classe generazionale (giovani, anziani), il sesso (si parla di varietà linguistica peculiare delle donne). Importante varietà dipendente dall’istruzione è l’italiano popolare, varietà individuata negli anni ’70, tipica di strati sociali bassi e caratterizzata da forti interferenze con il dialetto. Francesco Bruni propose di sostituire l’italiano popolare con la denominazione di italiano dei semicolti. I semicolti hanno un livello di espressione che dipende dalla loro personale istruzione, e nello sforzo di scrivere in una varietà il più possibile vicina all’italiano standard, essi cercano di evitare gli elementi che sono sentiti come popolari.
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