Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Fotografia: Immobilità e Morte secondo Barthes, Sintesi del corso di fotografia

La ricerca di roland barthes sulla natura della fotografia, in particolare l'immobilità della foto e la sua relazione con la morte. Barthes cerca di trovare la caratteristica universale senza cui la fotografia non esisterebbe e riflette sul significato della fotografia come testimone della vita e della morte. Una profonda analisi della fotografia come arte e come mezzo di comunicazione.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 25/03/2024

Elenacecchet
Elenacecchet 🇮🇹

2 documenti

1 / 10

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La Fotografia: Immobilità e Morte secondo Barthes e più Sintesi del corso in PDF di fotografia solo su Docsity! LA CAMERA CHIARA Roland Barthes 1 PARTE La fotografia non è classificabile; l’accadimento non trascende mai verso un’altra cosa ma riproduce meccanicamente ciò che stiamo vedendo. La foto non si separa/distingue mai dal suo referente (= da ciò che essa rappresenta / il corpo principale). Questa indivisibile dualità trascina la fotografia nell’immenso disordine degli oggetti; perché fotografare un oggetto, una situazione.., piuttosto che un’altro/a? La fotografia è quindi inclassificabile perché non c’è nessuna ragione per differenziare una o l’altra ragione per cui è stato deciso di scattare proprio quella cosa. È difficile mettere a fuoco la fotografia. È possibile spiegarla da un punto di vista tecnico, storico o sociologico (interpretazioni) —> impossibilità di Barthes di apprezzare la foto solo in quanto visione del referente senza che qualche interpretazione si intromettesse. Barthes si trovava in uno stato di disagio, sballottolato fra due linguaggi; quello espressivo (soggettivo / singolarità ) e quello critico (le interpretazioni / universalità / scienza). Lui aveva una resistenza verso ogni sistema riduttivo (ogni interpretazione). Ricerca di Barthes —> trovare una nuova singolarità per ogni oggetto (foto). Non definire/ racchiudere l’oggetto in un universale interpretazione ma dare ad ogni immagine la sua scienza singolare. Trovare la caratteristica universale senza cui la fotografia non esisterebbe. Barthes per fare questa ricerca si fa quindi misura del sapere fotografico. Che cosa sa il mio corpo sulla fotografia? La foto può essere l’oggetto di tre pratiche: fare, subire guardare. Colui che fa= il fotografo, l’Operator. Colui che subisce= colui o ciò che è fotografato, il bersaglio, il referente. —> lo Spectrum della Fotografia; in ogni fotografia si presenta la spaventosa caratteristica della morte. Colui che guarda= lo Spectator. La prima pratica era a lui preclusa, dato che non era un fotografo. Suppone che l’emozione del fotografo (quindi l’essenza della fotografia secondo il fotografo) sia legata con il piccolo foro attraverso egli guarda ciò che vuole cogliere. Ma di questa emozione, non avendone fatto esperienza, non poteva prenderla prenderla in considerazione. La visione che cerca di darci è, quindi, non dal punto di vista del fotografo ma da quello dello spettatore o del soggetto fotografato. Punto di vista da soggetto fotografato: non appena io mi sento guardato dall’obiettivo tutto cambia; mi metto in “posa” (cambio di atteggiamento), mi costruisco istantaneamente un’altro corpo, mi trasformo anticipatamente in immagine. Questa trasformazione è attiva: io sento che la fotografia modifica a suo piacimento il mio corpo. Io mi sento quindi angosciato dall’incertezza di come sarà l’immagine di me che sta per nascere. Io, consapevole, mi presto al volere della fotografia, poso, ma non voglio perdere la preziosa essenza della mia persona; vorrei che la mia immagine, alterata, sballottolata, coincidesse sempre con il mio ‘io’, che è profondo. Questo invece non succede; la fotografia trasforma il soggetto in oggetto (come un oggetto da museo). Ogni volta che mi lascio fotografare in me sfiora una sensazione di autenticità. Io, soggetto, mi sento diventare oggetto—> in questa trasformazione/passaggio io vivo una micro- esperienza della morte. Io divento veramente spettro. Il soggetto fotografato è passivo, come un morto. Il fotografo questo lo sa, ed egli stesso ha paura e deve lavorare tanto affinché la fotografia non sia morte. Io non so che cosa la società fa della mia foto, che cosa vi legge; la mia essenza quindi si perde, io divento un prodotto, un Tutto-Immagine, vale a dire la Morte in persona. Gli altri mi espropriamo di me stesso, fanno di me, con ferocia, un oggetto, mi hanno in loro mano, a loro disposizione. La Morte diventa l’essenza di quella foto. Punto di vista dello spettatore: Tra tutta la vastità delle fotografie che ci si vedono in giro, io costatavo che alcune provocavano in me una gioia sottile mentre altre mi erano talmente indifferenti che quasi mi irritavano. La fotografia, attraverso il suo disordine e la sua casualità, è, quindi, un’arte poco sicura, di una soggettività facile (mi piace / non mi piace). Barthes decise di assumere come guida di questa analisi l’attrattiva che provava per certe fotografie; la parola giusta per identificare questa attrattiva prende provvisoriamente il nome di avventura. Il principio di avventura mi permette di far esistere la fotografia; in un deprimente deserto di fotografie che mi provocano indifferenza tutt’a un tratto una foto mi colpisce; essa mi anima e io animo lei. Ecco dunque come deve essere definita questa attrattiva; un’animazione (avventura->animazione) In sé la foto non è affatto animata però essa mi anima; e questo è appunto ciò che fa ogni avventura. In questa ricerca della fotografia io non riuscivo, e neanche provavo ad uscire da un paradosso; da una parte la voglia di poter finalmente definire un’essenza della fotografia e dall’altra la radicata impressione che essenzialmente la fotografia è solo contingenza, singolarità, avventura. Questa singolarità, questo rifiuto verso ogni interpretazione, viene compromesso da una forza; l’affetto. Quando cercavo di individuare l’essenza della fotografia invece di seguire la direzione di un interpretazione formale (di logica) io mi indirizzavo verso quello che provavo, verso il sentimento. Come Spettatore io mi interessavo alla fotografia solo per sentimento; volevo quindi approfondirla a partire da questo aspetto. Co-presenza di due elementi discontinui: Sfogliando delle fotografie Barthes si accorse che alcune di loro attiravano la sua attenzione. Questa attenzione era richiamata dalla presenza, in quelle fotografie, di due elementi (dualità) discontinui, in quanto non appartenevano allo stesso mondo. es. fotografia riguardante una rivolta in Nicaragua: due soldati pattugliano una strada in rovina; in secondo piano due suore stanno camminando. “Capii subito che l’avventura di quella foto era dovuta alla co-presenza di due elementi..” Il campo cieco nel punctum: Il cinema ha, a prima vista, un potere che la fotografia non ha: lo schermo non è una cornice, il personaggio che rappresentato continua a vivere; è presente un campo cieco. Questo campo cieco in quasi tutte le fotografie non viene avvertito; tutto ciò che accade all’interno della cornice muore incondizionatamente appena al di là di questa. L’immagine è immobile, i personaggi anestetizzati. Tuttavia, non appena vi è un punctum, subito si crea un campo cieco: esso fa fantasticamente uscire il personaggio dalla fotografia, la dota di questo campo cieco. Io animo la foto ed essa anima me. Il punctum è, così, una specie di sottile fuori-campo, come se l’immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere. conclusione prima parte Con queste analisi avevo capito come procedeva il mio desiderio, ma non avevo scoperto la natura della Fotografia. Il mio piacere non è un mediatore perfetto e questa soggettività da me usata non poteva riconoscere l’universale. Dovevo penetrare maggiormente dentro di me per trovare l’evidenza della Fotografia, quella cosa che è vista da chiunque guardi una foto, e che la distingue dai suoi occhi da ogni altra immagine. 2 PARTE Giardino d’Inverno: Barthes riuscì a a risalire verso l’essenza, verso la verità, della fotografia grazie ad una foto di sua madre da bambina, trovata nell’appartamento nel quale era morta da poco. Era una fotografia molto vecchia; mostrava solo due bambini in piedi all’estremità di un ponticello di legno in un Giardino d’Inverno. La madre aveva allora cinque anni e suo fratello sette: fratello e sorella uniti fra loro dalla disunione dei genitori, i quali avrebbero divorziato da lì a poco. Osservai la bambina e finalmente ritrovai mia madre; l’immagine d’una innocenza assoluta che lei aveva tenuto per tutta la vita; l’affermazione di una dolcezza. Su quell’immagine da bambina io vedevo la bontà che aveva formato il suo essere. Per una volta, la fotografia colmava di una sensazione sicura quanto il ricordo. Le altre foto di lei erano solo analogiche, suscitavano solamente la sua identità, non la sua verità. Avevo scoperto quella foto ripercorrendo il Tempo—> ripercorrendo la vita della madre. Partendo dalla sua ultima immagine, scattata l’estate prima della sua morte e ripercorrendo l’arco della sua vita attraverso le fotografie, arriva all’immagine di lei da bambina. Immagine della Madre-Bambina = in quel momento la perdeva due volte: nella sua stanchezza finale e nella sua prima foto, che per lui era l’ultima. Proprio in questo capovolgimento finalmente la ritrovava come in se stessa (nella sua verità); alla fine della sua vita era debole, Barthes viveva nella sua debolezza, era diventata una bambina, sua figlia. Torna ad essere la bambina essenziale che essa era nella sua prima foto. In quella foto particolare aleggiava qualcosa come un’essenza della fotografia. Barthes decise quindi di cercare tutta la natura della fotografia attraverso la sola foto che esistesse per lui, e di usarla come guida della sua ricerca. Capí che doveva interrogare l’evidenza della fotografia non dal punto di vista del piacere ma dal punto di vista dell’amore e della morte. [io non posso mostrare la foto del Giardino d’Inverno perché esiste solo per me. Per voi non sarebbe altro che una foto indifferente, una delle mille manifestazioni del qualunque. Può al massimo interessare il vostro studium (epoca, vestiti..) ma in voi non vi sarebbe nessuna ferita. Non può quindi fondare un’oggettività] Il referente fotografico: = la cosa necessariamente reale che è posta davanti all’obiettivo./ciò che la foto rappresenta. La sua reale presenza è necessaria, non può non esserci. La pittura può simulare la realtà senza averla vista, può imitare. La fotografia no; io non posso mai negare che la cosa è stata là. Questa costrizione non esiste che per essa, la si deve considerare, per riduzione, come l’essenza stessa, come il noema (=concetto/nozione), della fotografia. La Referenza è, quindi, l’ordine fondatore della Fotografia. Il nome del noema della fotografia sarà quindi; è stato. Ciò che io vedo si è trovato là. Questa referenza può anche prendere il nome di posa —> non importa la durata fisica di tale posa, essa c’è stata, si è trovata immobile davanti all’occhio fotografico. L’immobilità della foto è come il risultato di una confusione tra due concetti: il Reale e il Vivente; attestando che l’oggetto è stato reale, la foto induce a crede che la cosa rappresentata sia viva, a causa di quell’illusione che ci fa attribuite al Reale un valore di eternità; ma spostando questo reale verso il passato (è stato), essa suggerisce che è già morto. Perciò è meglio dire che il noema della fotografia è che qualcuno ha visto il suo referente, vivo, di persona (anche se oggetto). La fotografia non mi fa ricordare il passato, non mi restituisce ciò che non c’è più, ma mi fa attestare che ciò che vedo è effettivamente stato. Il reale e il passato si mescolano; il passato si fa reale, attesta la sua esistenza; la Fotografia ha quindi qualcosa a che vedere con la risurrezione. La fotografia non dice (per forza) ciò che non c’é più, ma soltanto e sicuramente ciò che è stato. La foto non prende quindi necessariamente la via nostalgica del ricordo ma prende sicuramente la via della certezza. Nessuno scritto può darmi questo tipo di certezza come la fotografia. Essa è l’autenticazione in persona. È un certificato di presenza; un reale che non si può toccare. —> questo è ciò che la fotografia introduce nella famiglia delle immagini. Forse noi opponiamo una certa resistenza a credere al passato, alla Storia; per la prima volta, la Fotografia fa cessare questa resistenza; il passato è ormai sicuro quanto il presente. È l’avvento della Fotografia che divide la storia del mondo. Metafisica nella fotografia: La data fa parte della foto: non perché denota uno stile ma perché induce a far mente locale, a considerare la vita, la morte, l’inesorabile estinguersi delle generazioni. es. Ernest, Kertész, Parigi 1931 È possibile che Ernest viva ancora oggi? Dove? Come? Io sono il punto di riferimento di ogni fotografia, ed è per questo che essa mi induce a stupirmi, ponendomi l’interrogativo fondamentale: perché mai io vivo qui e ora? La Fotografia, più delle altre arti, ti pone davanti al metafisico; interrogativi che rientrano nella sfera di una metafisica semplice (ad essere complicate sono le risposte): probabilmente la vera metafisica. Totalità d’Immagine della Foto: L’immagine fotografica è piena, stipata; in essa non c’è posto, non vi si può aggiungere niente. Nel cinema, dove il materiale è fotografico, la foto non ha però questa completezza perché essa, presa in un flusso, è sospinta, trascinata verso altre visioni. Come il mondo reale, anche il mondo filmico è sorretto dalla presunzione che ‘l’esperienza continuerà costantemente a fluire nello stesso stile costitutivo’; la Fotografia spezza, invece, lo ‘stile costitutivo’. Essa è senza avvenire, non è minimamente protesa (prolungata nello spazio/nel tempo/allungata), a differenza del cinema. È immobile, senza continuità. Nella foto del Giardino d’Inverno io sono solo davanti a lei, con lei. Il cerchio è chiuso, non vi è soluzione di continuità. Io soffro, immobile; non posso trasformare il mio dolore. Questa sofferenza che io vivo per intero mi viene direttamente dalla finitezza dell’immagine. Il Tempo è immobile, ostruito, fermo; in un modo eccessivo, mostruoso.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved