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Riassunto libro La Gestione dell'Impresa S. Sciarelli, Sintesi del corso di Economia e Gestione Delle Imprese

La gestione dell'impresa - tra teoria e pratica aziendale. Decima Edizione. Cap. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 13, 15, 17, 18,

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 22/05/2020

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Scarica Riassunto libro La Gestione dell'Impresa S. Sciarelli e più Sintesi del corso in PDF di Economia e Gestione Delle Imprese solo su Docsity! CEDAM SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI Sergio Sciarelli LA GESTIONE DELL'IMPRESA LT AO] OVADA RANA) A ENTI SN] ns 9 Wolters Kluwer 1. L'impresa e il suo ruolo economico e sociale L’impresa quale sistema socio-tecnico. L'impresa è stata definita come una organizzazione di persone e di beni rivolta ad uno scopo produttivo, in quanto produce l'insieme di beni e di servizi indispensabili per il soddisfacimento di bisogni umani. Un'impresa è contraddistinta sempre da alcuni requisiti comuni. Il principale connotato è il contenuto economico dell’attività e degli obiettivi che si prefigge di raggiungere. L'impresa si caratterizza perché mediante l'Impiego di un complesso differenziato di risorse (uomini capitali impianti e materiali), svolge processi di produzione, cioè crea ricchezza. L’impresa ha infatti bisogno di conseguire un reddito, cioè un divario positivo tra i ricavi e i costi. Per realizzare reddito, deve accrescere, mediante operazioni di trasformazione, il valore delle risorse impiegate. Per far ciò è sta bisogno di un'organizzazione ossia di una struttura altamente specializzata e coordinata. L'impresa è quindi un’organizzazione economica che mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni o servizi da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito. Da questa definizione si ricavano 4 elementi distintivi: 1. La presenza di un'organizzazione 2. Lo svolgimento di processi di produzione 3. Le relazioni di scambio con l'esterno 4. La finalità imprenditoriale del reddito Viene definita l'impresa come un sistema, e quindi costituita da un complesso interrelato di parti, interrelato perché le singole parti sono interdipendenti rispetto ad un obiettivo comune da raggiungere. Grazie alla sua relazione con l'ambiente esterno presenta la caratteristica di dinamismo che muta nella dimensione e combinazione delle sue risorse, mediante un processo evolutivo. L'impresa è stata a volte paragonata anche ad un organismo vivente perché, come un organismo vivente è costituito da un complesso di parti ciascuna con un compito preciso e insostituibile, e deve essere alimentato mediante risorse attinte dall'esterno e trasformate in sostanze vitali. Ma l'impresa a differenza degli esseri viventi è destinata a perdurare, a perpetuarsi al di là della vita del suo fondatore. il ciclo biologico si conclude con l’estinzione dell'essere vivente, mentre il ciclo di sviluppo aziendale dovrebbe portare ad una crescita costante e ad un rafforzamento del sistema-impresa nell'ambiente in cui opera. Tenendo quindi presente che l’impresa è un sistema particolare all'interno del quale operano risorse umane e tecniche (mezzi di produzione), si può dunque pervenire ad una sua classificazione quale sistema aperto di tipo socio tecnico, In quanto occorre non solo un'organizzazione del lavoro relativa all’impiego del fattore umano, ma anche un’organizzazione tecnica costituita da impianti, attrezzature e tecnologie produttive. La visione sociale dell’impresa. Il concetto economico di impresa non può essere disgiunto da quello sociale. Le imprese infatti sono rette da uomini e la loro funzione non può limitarsi a produrre beni e servizi utili per una certa collettività di consumatori, ma deve necessariamente estendersi al miglioramento della qualità della vita nel contesto in cui operano. Questo si traduce nel concetto di responsabilità sociale aziendale (Corporate Social Responsibility), fondata sul contratto sociale che un'impresa stipula con il contesto esterno per definire obblighi e diritti connessi con il proprio funzionamento. L'impresa quindi non può essere vista come un'iniziativa esclusivamente imprenditoriale rivolta soltanto alle finalità economiche dell'investitore proprietario. Deve essere più propriamente Ogni impresa si collega con: ● Il mercato del lavoro, costituito dall'offerta di risorse umane; ● Il mercato della produzione, composto dei produttori di materie prime, semilavorati, impianti e macchinari, materiali di consumo etc., ● Il mercato finanziario, rappresentato dal mercato mobiliare (borse valori), dagli intermediari finanziari e da altri prestatori di capitale. ● Il mercato di vendita, costituito dai potenziali acquirenti dei beni o servizi prodotti. L'ambiente quale contesto generale di riferimento per l'impresa Dallo sviluppo dell'ambientalismo è derivata una maggiore sensibilità collettiva verso la tutela dei valori dell'ambiente fisico, che ha comportato delle conseguenze importanti sugli obiettivi e sulle modalità di gestione aziendale. Tuttavia, vogliamo limitarci a considerare il concetto di ambiente non in senso biologico o naturale, ma sotto il profilo economico-sociale. L'ambiente può essere inteso come il contesto socio-economico-politico all'interno del quale l'impresa è chiamata a svolgere le sue funzioni secondo una serie di vincoli-opportunità da rispettare. Questo ambiente può essere scomposto in quattro sub-sistemi generali, ai quali si collegano successivamente dei sotto-sistemi di grado via via inferiore. I sub-sistemi generali sono: ● Il sistema o ambiente politico-istituzionale: è rappresentato dalla forma di governo e dall'ordinamento legislativo prevalenti nel territorio considerato. Esso esercita delle influenze di primaria importanza sulla vita dell'impresa, il cui ruolo e le cui alternative di gestione possono essere più o meno fortemente vincolate dalle leggi, dagli Interventi e dai controlli dei poteri pubblici. La regolamentazione pubblica quindi determina, attraverso le leggi, l'imposizione fiscale, le norme a tutela del Lavoro, etc., la cornice entro cui potranno prendere corpo le strategie aziendali. ● Il sistema culturale-tecnologico: può essere inteso, sotto il profilo culturale, come il contesto entro cui si affermano le manifestazioni tradizionali della vita materiale, sociale e spirituale di una collettività organizzata. La cultura trova espressione nei vari modi di vivere e di pensare tipici dell’organizzazione, che concorrono a comporre il sistema di valori del singolo individuo e della società nel suo complesso. Essa riflette sia su coloro che operano all'interno dell'impresa sia sui gruppi esterni (consumatori, fornitori). Scienza e tecnologia rappresentano un prodotto della cultura anche se si particolarizzano per il tipo di valori cui si ispirano e per il campo di applicazione a cui si riferiscono. La tecnologia influenza prevalentemente ma non esclusivamente l'impiego delle risorse, mentre la cultura si riflette anche sul loro consumo sotto forma di beni e servizi prodotti. ● Il sistema demografico-sociale: è definito della struttura della popolazione residente e dalle relazioni fra gli individui e i gruppi che la compongono. La ripartizione per razza, religione, classi di età, livello socio-economico, costituiscono i principali aspetti socio-demografici dell'ambiente in cui opera l'impresa. ● Il sistema economico: coinvolge la sfera di rapporti che vede l'impresa Quale protagonista nei confronti dell'aggregato politico-sociale. Esso deve essere inteso come il sistema generale dell'economia, che regola la vita della collettività. Va pertanto distinto dal concetto di mercato, perché rappresenta il complesso delle macrovariabili (produzione agricola, Industriale, etc.; prezzi e moneta, credito investimenti, ecc.), che compongono l'ordinamento economico prevalente in un certo ambito territoriale. L'ambiente economico può differenziarsi sotto molteplici profili, tra i quali più importanti concernono il meccanismo di regolazione della vita economica e la proprietà dei mezzi di produzione. In relazione al primo, si ha la distinzione fra le forme dell'economia di mercato e di piano. Per economia di mercato si intende un sistema a decisioni decentrate, regolato cioè dalle leggi di mercato. Opera il principio della libera iniziativa e quello della proprietà privata dei mezzi di produzione, per cui si parla in questo caso di “economia liberista”. Per economia di piano ci si riferisce, invece, ad un sistema in cui le decisioni sono prese prevalentemente al centro mediante l'elaborazione di piani governativi nazionali. Tutto è regolato dal piano, anche l'uso di mezzi di produzione, che sono prevalentemente di proprietà della collettività, per questo si parla di “economia collettivista”. L’impresa funziona come un organo dello Stato, cioè una struttura con limitata autonomia decisionale per quanto attiene alle strategie da perseguire. La contrapposizione tra sistemi liberisti (o di mercato) e collettivisti (o di Piano in senso stretto) sembra ormai definitivamente superata dal corso della storia, che ha visto il rapido disgregarsi dell'economie di piano vigenti nei paesi dell'Est europeo. I rapporti tra l'impresa, il micro-ambiente e il macro-ambiente. L'impresa si presenta, in sostanza, al centro di micro-ambiente, da noi convenzionalmente suddiviso in ambiente transazionale e ambiente competitivo, che a sua volta è inserito in un macro-ambiente o ambiente generale. Sii genera, così, un sistema di interrelazioni che si compone, innanzitutto, i rapporti tra macro-variabili e micro-variabili e, successivamente, tra queste e le caratteristiche di struttura di gestione dell'impresa. Non è tuttavia infrequente che l'impresa, con le sue scelte, possa influenzare il microambiente e, in circostanze particolari, anche il macroambiente. L'impresa non può scegliersi il macroambiente, mentre può scegliersi l'ambiente transazionale e competitivo all'interno del quale operare. Per le imprese più grandi, dotate di potere economico tale da incidere sul potere politico, si può fermare che anche il macro-ambiente può rappresentare, per certi versi ed entro certe condizioni, una variabile e non un vincolo da rispettare. L'ambiente determina dunque il sistema di vincoli-opportunità entro cui si dipana la gestione aziendale. I vincoli sono connessi con ciascuno dei profili prima esaminati: possono dipendere da leggi e provvedimenti amministrativi, dalla cultura prevalente dalla composizione della mobilità e delle classi sociali etc. Nonostante questo prevalente rapporto di dipendenza dell'impresa nei confronti dell'ambiente, non poche né di secondario effetto, sono le influenze che le stesse imprese possono esercitare verso l'ambiente in cui vivono. Questo potere extra-mercato finisce, cioè, per pesare su tutte le variabili ambientali, secondo uno schema di interrelazione piuttosto che di mera dipendenza. Nell'interpretazione dei rapporti impresa-ambiente due sono comunque i principali fili conduttori: il progresso tecnologico e l'equilibrio economico e politico sul piano internazionale. Il progresso tecnologico influenza in modo considerevole la struttura di un settore industriale e la posizione competitiva delle imprese. Le innovazioni concorrono a modificare il sistema di barriere sia di entrata sia di uscita e possono creare difficoltà o nuove opportunità per coloro che sono presenti nel settore o che aspirerebbero ad entrarvi. Le successive scoperte di nuove fonti di energia, dei nuovi mezzi di trasporto e, soprattutto, di nuove tecnologie informatiche e di telecomunicazione rappresentano alcune delle tappe mediante le quali si sono affermati modelli di imprese e di mercati profondamente diversi da quelli caratteristici di un passato non molto lontano. A mano a mano che si diffonde il progresso tecnologico, si modificano dunque il tipo, il modo e l'organizzazione delle produzioni; mentre, a misura che procede lo sviluppo economico, migliora il livello di vita della società, aumenta il reddito pro-capite, cresce in misura proporzionalmente più elevata la quota di reddito discrezionale a disposizione del consumatore. e le scelte di quest’ultimo si rivolgono oltre che alla selezione di beni, a quella di ampliamento dei bisogni. Ma sulle condizioni soprattutto sull’evoluzione recente del mondo della produzione e del consumo pesa massicciamente l'equilibrio economico e politico a livello internazionale. Gli eventi di politica economica internazionale che hanno contrassegnato l'ultimo ventennio hanno radicalmente modificato le caratteristiche dell'ambiente socioeconomico. Per effetto dell'apertura dei mercati, dell'affermarsi di nuovi importanti competitori (india e Cina), dell’intrecciarsi di lotte sul controllo delle risorse energetiche mondiali, ecc. l'ambiente è divenuto più turbolento, meno prevedibile, più ostile alle imprese, che sono accusate del degrado fisico e della coartazione degli interlocutori più deboli, più eterogeneo e complesso e, infine, più insicuro per l'estendersi dei fatti terroristici. Turbolenza, ostilità, diversità, complessità e insicurezza appaiono dunque i connotati ambientali che, ormai da qualche tempo, L'impresa deve imparare a fronteggiare. Gli effetti dell'internazionalizzazione della globalizzazione. La diffusione di mezzi sempre più veloci di trasporto di persone, cose e informazioni ha attenuato o addirittura eliminato il fattore “distanza” e ha consentito di attuare il processo di comunicazione in tempo reale. Da ciò è derivato un processo di interrelazione all'interno del Mercato dei Capitali, delle materie prime, delle fonti di energia e dello stesso lavoro, con la ricerca di sempre più nuovi equilibri di tipo dinamico. Ed è proprio questo tipo di turbolenza ambientale che richiede un nuovo tipo di impresa, contraddistinta dalla felice combinazione di caratteristiche di flessibilità e di efficienza. Il fatto nuovo di maggior peso, fermato di nell'ultimo trentennio, è senz'altro l'internazionalizzazione. Lo sviluppo mondiale degli scambi, la diffusione sul piano internazionale di informazioni, l'interdipendenza delle economie o di blocchi di economie di più paesi hanno imposto a tutte le imprese un respiro internazionale. Basti pensare allo sviluppo del mercato dei capitali e alla diffusione di alleanze ed accordi interaziendali su scala plurinazionale. Anche il concetto di globalizzazione deve essere inteso in senso più ampio come il processo di convergenza, livello mondiale, degli aspetti culturali, politici ed economici e come il superamento del controllo sociale degli stati nazionali sull'economia. Sotto il profilo dell’economia di impresa, il concetto deve essere approfondito sotto due aspetti: quello dell'interrelazione su scala mondiale di certi mercati, che cambia la concorrenza a livello internazionale; e quello dell'omogeneità della domanda, che rende possibile la standardizzazione delle politiche aziendali nei vari paesi serviti. Sul secondo si riscontrano opinioni differenti, in altri termini, la globalizzazione è intesa quale ampliamento dei confini del mercato, da cui scaturiscono effetti rilevanti per tutte le scelte aziendali, ma non necessariamente quale fenomeno di omogeneizzazione dei consumi. La globalizzazione, può essere intesa come superamento delle barriere geografiche, per effetto del quale il mercato aziendale finisce per essere rappresentato da tutti i gruppi di consumatori caratterizzati da comportamenti d'acquisto simili a prescindere dei paesi in cui risiedono. In sostanza, la globalizzazione si riferisce ad un mercato senza confini geografici, piuttosto che ad un mercato mondiale omogeneo. L’individuazione degli stakeholder e la valutazione del grado di importanza e di influenza esercitabile sulla gestione dell'impresa può essere guidata da alcuni criteri: ● La forza ovvero il potere da essi detenuto in virtù del ruolo ricoperto; ● La legittimazione ossia il riconoscimento ufficiale della loro funzione di rappresentanza di particolari interessi o soggetti economici sociali e politici; ● L'attualità dell'interesse difeso ovvero l'urgenza della risposta da parte aziendale e la criticità che tale risposta assume nel particolare momento di vita dell'impresa La classificazione degli stakeholder è di fatto continuamente mutevole perché possono variare la qualità degli interessi, la forza dei singoli interlocutori e il loro grado di legittimazione. Gli interlocutori aziendali possono essere classificati in 4 gruppi: Stakeholder amichevoli (supportive): dai quali si può ottenere un sostegno decisivo per l’attività dell'impresa; Stakeholder avversari (non supportive): dai quali potrebbero invece generarsi difficoltà sostanziali per la gestione aziendale; Stakeholder non orientati (mixed blessing): da cui si potrà avere, a seconda delle circostanze, un sostegno o un atteggiamento negativo; Stakeholder marginali: il cui peso nei confronti dell'impresa nel particolare momento risulterà del tutto modesto. Questa suddivisione è piuttosto utile per definire la strategia che l'impresa dovrà adottare per amministrare efficacemente le relazioni con gli stakeholder. Infatti a seconda dell'atteggiamento di ciascun interlocutore, occorrerà determinare le modalità giuste per evitare ostacoli e ottenere collaborazione. Tenendo dunque conto del peso rivestito dagli stakeholder, si può decidere di perseguire strategie di coinvolgimento, di collaborazione, di difesa o di monitoraggio. Per un interlocutore amichevole la via del coinvolgimento appare senz'altro come la più opportuna, per un interlocutore non orientato è invece da tentare in ogni caso la ricerca di collaborazione, mentre con stakeholder avversari e marginali gli atteggiamenti preferibili risultano essere le misure di difesa e di monitoraggio. L'analisi precedente si riferisce agli stakeholder secondari in quanto posizioni di contrasto e marginali non dovrebbero essere attribuite agli interlocutori primari. Questi ultimi dovrebbero inquadrarsi sempre tra gli stakeholder supportive. Nella teoria degli stakeholder un punto problematico concerne il ruolo della proprietà, può accadere infatti che quest'ultima detenga nelle sue mani il governo dell'impresa oppure che si vengano a costituire due soggetti differenti: la proprietà investitrice, da un lato, e il management, dall'altro. Nel primo caso l'imprenditore, rappresentando l'impresa, è colui che deve curare il rapporto con gli stakeholder e pertanto non figura tra questi. Nel secondo caso invece l'imprenditore è rappresentato dal Management a cui è stata affidata l'amministrazione dell'impresa, ma la proprietà risulta giustamente ricompresa tra gli stakeholder perché costituisce uno degli interlocutori primari del Management stesso. Il rapporto tra le impresa e l'investitore si risolve nel conferimento di capitali e nella corrispettiva attribuzione di dividendi. Accade però che per rispetto all'impresa vi sono stakeholder la cui remunerazione è fissata da un contratto, e stakeholder la cui ricompensa è di tipo residuale, vale a dire che sarà riconosciuta solo dopo aver corrisposto tutte le remunerazioni contrattuali e dovesse rimanere un residuo di ricchezza. La gestione degli “stakeholder” e le economie di relazione. Il sistema degli scambi, tipico dell'economia aziendale, può essere avvantaggiato o svantaggiato dalle relazioni tenute con fornitori e i clienti, che la produttività del lavoro può essere influenzata dal rapporto con i dipendenti e con chi li rappresenta, che la reputazione aziendale può essere condizionata dall'atteggiamento di gruppi di opinione. Godere di un clima favorevole nei confronti sia dell'ambiente interno sia di quello esterno rappresenta un vantaggio spesso decisivo per i risultati della gestione, da ciò assumono particolare rilevanza le “economie relazionali” ovvero delle economie legate alla gestione dei rapporti con gli stakeholder che spingono a favorire forme di collaborazione e farne anche un vantaggio competitivo. 4: Le finalità imprenditoriali: la teoria del “successo sociale”. Premessa sulle motivazioni dei partecipanti all'impresa. Il governo aziendale deve essere indirizzato a valorizzare gli elementi cooperativi e a contenere quelli antagonisti. Per far ciò, deve saper promuovere un processo di integrazione o di vera e propria fusione tra gli obiettivi aziendali e quelli soggettivi. Le finalità dei comportamenti imprenditoriali. Un'azienda è, l'espressione di una volontà imprenditoriale, tesa all'ottenimento di determinate finalità. A volte, in dottrina si parla dei fini dell'impresa per intendere gli obiettivi perseguiti dall'imprenditore, questa impostazione appare però poco corretta perché l'impresa, in quanto tale, non può avere dei fini, essendo questi ultimi il frutto di una scelta di coloro che la governano. Quindi l'impresa ha delle funzioni da svolgere piuttosto che delle finalità da raggiungere. Quando parliamo di fini imprenditoriali a chi ci riferiamo: all'imprenditore di tipo classico o all'imprenditore delegato (manager), che ha nelle sue mani il potere di gestione senza detenere la proprietà dell'impresa? Sulle finalità del soggetto gestorio, si può condividere, in sostanza, una diversità di interpretazioni, collegata alla natura del soggetto economico stesso e all'eventuale delega del governo dell'impresa da parte la proprietà a quadri direzionali dipendenti. Per una corretta analisi dei comportamenti imprenditoriali giova tener conto delle diverse situazioni di composizione del gruppo di governo. Le distinzione di maggior rilievo sono due: imprenditoria privata o pubblica e imprenditoria diretta o delegata. La teoria della massimizzazione del profitto. Il profitto, secondo la teoria economica classica, è il compenso che spetta all'imprenditore per l'organizzazione dei fattori produttivi. Esso però non è interpretato allo stesso modo dalle varie correnti o scuole di pensiero che inseriscono ulteriori elementi, tesi a dimostrare che il profitto è il corrispettivo per il fronteggiamento dell'incertezza naturalmente connessa con le intraprese economiche o ch’esso dipende dalle imperfezioni del mercato oppure che si pone come il premio per l'innovazione promossa nella combinazione aziendale. Dalle varie impostazioni dottrinali complementari si arriva alla conclusione che il profitto può essere considerato come: Un'entità composita, in cui rientrano il compenso per il lavoro imprenditoriale, il premio per il rischio, la contropartita dell'Innovazione e la rendita connessa con la posizione monopolistica. Il profitto in sé per sé non è suscettibile di essere messo in dubbio, ne perde la sua ragione di esistenza in rapporto alla natura giuridica della proprietà o al tipo di economia. Quello che si può porre in discussione è la misura secondo cui dovrebbe essere lucrato e soprattutto la sua destinazione. Secondo la costruzione teorica classica, i comportamenti del gruppo imprenditoriale sarebbero orientati al conseguimento del maggiore divario positivo tra i ricavi e i costi di gestione. la logica delle scelte, assunte dagli organi di governo, sarebbe quella di massimizzare il risultato reddituale ottenibile dall'attività aziendale, cioè di adottare in ogni caso, tra le alternative possibili, quella suscettibile di produrre il maggior reddito. Questa teoria però se si passa sul piano pratico, incontra una serie di limiti, che ne condizionano l'utilità interpretativa dei comportamenti imprenditoriali. Innanzitutto dobbiamo chiederci quale profitto l'imprenditore vuole rendere massimo quello di un esercizio? di due esercizi? di una specifica operazione? di un complesso di operazioni? e poi intende egli puntare al massimo profitto, sostenendo altresì rischio più elevato circa il risultato dell'attività di impresa? Per conferire un valore operativo alla teoria, è necessario introdurre il fattore tempo e il fattore rischiosità. Fattore tempo: L’imprenditore tende a massimizzare il risultato nel lungo termine, può decidere di realizzare nel proprio periodo una politica di vendita a prezzi di costo o inferiore al costo per conquistare un’ampia porzione di mercato e recuperare poi le quote di reddito sacrificate. Fattore rischiosità: L'imprenditore tende a condizionare le sue aspirazioni reddituali ad un determinato grado di rischiosità globale della gestione, l’espansione in altri settori produttivi o in mercati esterni potrebbe rispondere non tanto fini di massimizzare il profitto quanto piuttosto a quello di diversificare e compensare i rischi di gestione La teoria dello sviluppo e della sopravvivenza aziendale. Secondo la teoria della sopravvivenza, il fine del gruppo di governo è soprattutto quello di assicurare la continuità dell'organismo aziendale. Ciò si traduce, da un lato, nel puntare al profitto come mezzo per irrobustire la struttura patrimoniale dell'impresa e, dell'altro, nel rifiutare attività gestionali con coefficienti di rischio che possano porre in pericolo la vita dell'organizzazione. Questa teoria ha trovato uno dei principali sostenitori nel Drucker, il quale ha proposto di misurare il raggiungimento della finalità suindicata sulla base degli obiettivi legati a 5 aspetti fondamentali: 1. Posizione occupata nel mercato; 2. Innovazioni; 3. Risorse umane; 4. Risorse finanziarie; 5. Redditività dell'impresa La teoria della “creazione” e “diffusione” del valore. Con la formulazione della teoria del valore si compie un salto sostanziale nella teoria dell'impresa perché la finalità della creazione del valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti all'impresa e non soltanto a quelli dell'imprenditore proprietario o del Manager. Questa teoria sostiene che la finalità di assegnare alla gestione è quella di far crescere il valore economico dell'impresa. La visione dei risultati aziendali è orientata al futuro, perché ciò che conta non è il differenziale positivo tra ricavi e costi (profitti), ma le potenzialità di produrre risultati sempre migliori. Il concetto di creazione del valore si sposa con quello di diffusione del valore stesso al mercato: -Massimizzare Il valore del capitale azionario (Pratica Nordamericana) -Massimizzare il valore del mercato (Stima del capitale economico) La teoria manageriale dello sviluppo dimensionale. Un'altra impostazione teorica privilegia invece la finalità dello sviluppo dimensionale. secondo tale teoria, i manager sono più interessati all'espansione dell'impresa perché quest'ultima si traduce quasi sempre in un irrobustimento dell’organizzazione (garanzia di sopravvivenza), nell'assunzione di una maggiore forza nei confronti della concorrenza ( garanzia di redditività aziendale), E nell’incremento delle retribuzioni ai livelli più elevati di direzione Tutto ciò contribuirebbe a favorire La teoria del “successo sociale” ed i rapporti con l'etica d'impresa. Le finalità che spingono un individuo, da solo o insieme con altri soggetti, a promuovere la costituzione di un'impresa e a sviluppare nel tempo l'attività possono essere comprese, con qualche necessario adattamento, richiamando la famosa scala dei bisogni teorizzata dal Maslow. Le finalità dell'imprenditore appaiono, in ordine crescente di importanza, quelle di assicurare la sopravvivenza dell'impresa, di affermarsi nell'ambito della classe sociale di appartenenza e di assumere posizioni di preminenza nella comunità. L'obiettivo fondamentale dell'imprenditore diverrebbe quindi quello di avere un'impresa forte, in grado di svilupparsi e di assicurargli il rispetto e ammirazione nella cerchia competitiva più ristretta in cui opera e in quella più ampia della collettività nella quale e per la quale l'impresa attua la sua specifica operatività. Si potrebbero allora individuare e ordinare le finalità imprenditoriali in funzione di una combinazione o “mix” costituito dal conseguimento del profitto, del potere e del prestigio. La combinazione delle Tre P rappresenta così il successo sociale ottenuto dall'imprenditore, dove il prestigio rappresenta il traguardo di più elevato valore, ed accanto ad esso in posizione strumentale si potrebbero il potere di mercato e il profitto. Il riconoscimento del consenso nel mercato nella società non può non fare crescere il peso di valori etici nella proiezione di lungo termine dell'attività di impresa. Il mix tra valori economici ed etici tende appunto a modificarsi in rapporto all'orizzonte delle scelte aziendali e quindi all’elevarsi di grado nelle finalità da raggiungere. Questa scala dei fini imprenditoriali si riferisce soprattutto all'imprenditore proprietario dell'impresa per il quale il legame tra successo dell'impresa e successo personale è molto più stretto e visibile all'esterno rispetto ai casi in cui vi è un manager delegato. 5. La gestione strategica dell'impresa I profili della gestione aziendale Gestire l'impresa corrisponde a governarla. Il termine gestione, però, si presta ad essere inteso anche in un altro senso ovvero quale complesso di decisioni e di attività svolte dall'impresa per raggiungere le finalità dei soggetti coinvolti appunto nella sua operatività. La vita dell'impresa si sviluppa secondo un complesso di decisioni, da quello che l'imprenditore assume in fase di costituzione a quelle che devono essere prese periodicamente per conferire l'impulso necessario all’attività di gestione. Al vertice del sistema vi sono le scelte di tempo lungo che si collegano direttamente al raggiungimento degli obiettivi imprenditoriali. Queste scelte possono essere definite strategiche, per distinguerle da quelle tattiche, concernenti le modalità di impiego delle risorse, e da quelle operative, che servono per procedere materialmente alla loro attuazione. La gestione strategica e operativa. La strategia risponde all’obiettivo più specifico di scegliere l'ambiente competitivo e transazionale di riferimento dell'azienda, ossia di definire i mercati di collocamento di quanto prodotto e il confine tra l'organizzazione e i mercati di approvvigionamento con cui l'impresa stessa entrerà in contatto durante la sua attività di gestione. L’ambiente transazionale e competitivo possono essere definiti come il contesto dei rapporti di scambio che lega l'azienda ai gruppi con i quali crea il suo sistema di contratti e che è formato da transazioni di tipo acquisitivo e realizzativo. Non sempre però le decisioni assunte a livello imprenditoriale danno corpo ad una strategia, intesa quale comportamento innovativo rivolto al raggiungimento di obiettivi di tempo lungo. le decisioni imprenditoriali o di alto livello direzionale potrebbero confermare il tipo di obiettivi e le politiche attuate in passato, rispondendo quindi ad una logica di ripetizione e di tempo breve. la mancanza di una strategia complessiva non esclude l'assunzione di decisioni strategiche e funzionali riguardanti aspetti particolari della gestione, processi specifici d'investimento, modifiche parziali dell'organizzazione. La gestione strategica è, dunque, la gestione tipicamente imprenditoriale, di tempo lungo, impostata su scelte di fondo riguardanti gli obiettivi e l'impiego delle risorse aziendali. La strategia e le politiche di gestione. Durante la vita dell’impresa non sempre viene definito un quadro di sviluppo a lungo termine, non di rado, infatti, la gestione è orientata su periodi brevi di tempo e si impernia più sulla ripetizione di comportamenti abituali che sull'innovazione. Un orientamento in tal senso dei comportamenti imprenditoriali presenta un elevato grado di rischio perché l'impresa, proprio per il modificarsi del quadro esterno ambientale, può trovarsi improvvisamente fuori o, meglio, senza mercato. Il mutare delle condizioni dell'ambiente genera per l'impresa non solo delle opportunità ma anche dei problemi che, se non avvertiti in modo tempestivo, potranno tradursi in vere e proprie minacce per la prosecuzione della gestione. Nei confronti dell'evoluzione dell'ambiente esterno, l'imprenditore o ill gruppo imprenditoriale può adottare 3 diversi atteggiamenti: 1. Un atteggiamento di attesa, e consiste nell'aspettare il verificarsi di fenomeni evolutivi nel mercato o nel più vasto contesto, per promuovere, soltanto dopo ch’essi sono chiaramente affermati, gli opportuni adattamenti della gestione (ripetitivo). 2. Un atteggiamento anticipatorio, che si traduce nell'attuazione di uno sforzo costante di previsione dei mutamenti ambientali, allo scopo di poter realizzare, in modo preventivo e tempestivo, le necessarie modifiche nei comportamenti di gestione (difensivo). 3. Un atteggiamento proattivo, che si concreta nella promozione di azioni tendenti ad influenzare l'ambiente nella direzione più favorevole alle prospettive di sviluppo aziendale (innovativo.) La strategia quindi è un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al raggiungimento di obiettivi primari della gestione. I comportamenti di tipo strategico si qualificano non solo per l'orientamento a lungo termine, ma anche per lo scopo di modificare il preesistente equilibrio aziendale mediante la ricombinazione delle risorse, in modo da portare l'impresa su livelli più soddisfacenti di efficienza organizzativa e di efficacia competitiva. Le strategie aziendali si ordinano in sostanza secondo una scala gerarchica, che vede al vertice le strategie complessive, del tipo Corporate; al centro quelle competitive; e alla base quelle funzionali. Gli organi di governo devono scegliere i campi o le aree da fare in cui operare secondo una strategia complessiva. Le strategie competitive definiscono gli obiettivi e le politiche da adottare per fronteggiare la concorrenza e acquisire la clientela, puntando sui vantaggi competitivi conseguibili. Mentre, a livello sottostante si pongono poi le strategie funzionali che devono essere strumentali rispetto alle strategie competitive prescelte. Per esse si potrebbe parlare di strategie operative, visto che riguardano le modalità di attuazione delle funzioni di gestione. Quando parliamo di strategia quindi parliamo di scelte che devono contribuire a facilitare il conseguimento dei traguardi stabiliti nel tempo lungo. Queste scelte si presentano difficilmente modificabili una volta poste in attuazione. 6. Le strategie competitive e i modelli di analisi di mercato. Il rapporto tra strategia complessiva e strategia competitiva. Pur essendoci un rapporto gerarchico tra le strategie complessive e quelle competitive saranno sempre queste ultime che influenzeranno le prime.In altre parole, la decisione di essere presenti in più mercati o aree d'affari non potrà che essere fondata sulle probabilità di competere efficacemente in quei mercati o in quelle aree d'affari. la strategia complessiva verrà così a configurarsi quale risultato ultimo delle strategie competitive applicabili con successo in più settori merceologici, in più zone geografiche, in più segmenti o porzioni di mercato. I paradigmi teorici per la definizione della strategia competitiva. La decisione di ingresso in un mercato è, dunque, legata allo studio delle sue caratteristiche e alla possibilità non solo di entrarvi, ma di rimanervi e, con le risorse disponibili, poter competere efficacemente. È chiaro che i rapporti tra l’impresa e l'ambiente assumono un ruolo fondamentale e che uno dei problemi principali nella gestione dell'impresa concerne i vincoli esterni che essa deve rispettare. Sono rapporti tra l’impresa e il mercato di riferimento che assumono una posizione centrale nella determinazione delle strategie aziendali. Secondo gli studiosi cosiddetti “strutturalisti”, è la struttura del mercato che incide sul comportamento delle imprese ed è quest'ultimo che, a sua volta, determina il risultato della gestione aziendale. Questo paradigma classico “struttura-condotta-performance” viene però criticato da coloro che ritengono che sia invece il comportamento delle imprese ad influire sulla struttura del mercato e sostengono che al vecchio paradigma dovrebbe sostituirsi il nuovo “condotta-struttura- performance”. Secondo tale inquadramento, le condotte aziendali sono orientate a creare, quindi, rapporti di dominanza nei confronti dell'ambiente esterno, facendo così prevalere il concetto dei cambiamenti di mercato e ambientali prodotti dalle innovazioni aziendali. Nella versione “comportamentistica” il ruolo dell'impresa si trasforma, tuttavia, da passivo in attivo perché non subisce più il condizionamento della struttura ma, con le proprie condotte, reagisce alla situazione in essere e si propone di modificarla proprio vantaggio. Va peraltro osservato che l'ampiezza e l'intensità del ruolo giocato dall’impresa si legano non solo alle sue caratteristiche ma anche all'effettiva possibilità di incidere sul settore spazio di mercato in cui è o vorrebbe collocarsi. Al paradigma SCP, tende a sostituirsi un altro paradigma fondato sulle capacità (risorse) dell'impresa di influenzare i risultati gestionali. Il nuovo paradigma RCP (risorse-condotta- performance), ponendo in relazione la performance con la condotta e quest'ultima con le risorse proprie dell'impresa, riduce quindi l'influenza del settore e accresce il peso dei fattori endogeni nella formulazione delle scelte strategiche. È comunque intuibile che tra i due paradigmi (SCP e RCP) non esiste incompatibilità, ma vi sono condizioni di integrazione e di complementarità. La teoria dello sviluppo dell'impresa ha inoltre contribuito a delineare anche un altro modello. Quest'ultimo è il paradigma fondato sulla conoscenza Knowledge-Capabilities-Performance (KCP), secondo il quale le conoscenze che si accumulano nell'impresa producono le capacità innovative e queste determinano i risultati. Si può quindi sostenere che sulle scelte dell'impresa pesano sia su fattori esogeni (legati al mercato) sia su fattori endogeni (legati alle risorse) e che, in realtà, il rapporto è in ogni caso di interdipendenza. Le fonti del vantaggio competitivo: la catena del valore La formulazione della strategia competitiva può fondarsi sulla catena del valore (Porter). L’impresa con la sua attività crea un valore per il cliente, valore che è misurato dal prezzo che questi paga o sarebbe disposto a pagare per il prodotto. Il valore creato si distingue in due parti: ● I costi sopportati per la prestazione delle attività necessarie a progettare, produrre, vendere, distribuire e fornire assistenza; ● Il margine che rimane l'azienda. Il maggior valore è la più ampia differenza tra prezzo e costi, deriva soprattutto dalla maggiore efficienza nella prestazione delle attività. Il concetto di catena del valore aiuta a comprendere quali sono le fonti del vantaggio competitivo, pervenendo alla distinzione tra attività primarie e attività di supporto. L'attività primarie sono suddivise nella logistica interna, nell’attività di trasformazione, nella logistica dei rapporti con l'esterno, nel marketing e vendite e nei servizi. In altri termini le attività primarie riguardano il ciclo produzione-vendita con terminali a monte nella logistiche interne e a valle nei servizi alla clientela. Le attività di supporto, così chiamate perché intese a fornire le basi per la completa realizzazione delle attività primarie, sono invece costituite dall'approvvigionamento, dallo sviluppo delle tecnologie, dalla gestione delle risorse umane e delle attività infrastrutturali dell'impresa. La formulazione della strategia competitiva. L’impresa può costituire il suo vantaggio competitivo o perché è in grado di realizzare con maggiore efficienza le attività inserite nella catena del valore o perché riesce a differenziarsi dalla concorrenza. Nel primo caso il suo vantaggio poggia su un livello più elevato di organizzazione e innovazione, nel secondo sull'abilità ad isolarsi dalla concorrenza mediante azioni di differenziazione. Il concetto di differenziazione dei prodotti ha assunto un ruolo centrale in quanto con la sua affermazione è caduto uno dei presupposti essenziali della concorrenza perfetta. Questa è legata alla condizione dell’omogeneità dei prodotti offerti sul mercato, cioè all'impossibilità di differenziarli e individuarli a seconda del produttore, della zona, dell'epoca di produzione e di altri caratteri distintivi della qualità e divisibilità dell'offerta. Solo quando tutti i prodotti appaiono uguali agli occhi dei compratori, l'elemento determinante di scelta è il prezzo, che, se si verifica una situazione di perfetta trasparenza di mercato, si colloca nel punto d'incontro delle curve di domanda e offerta. L'esistenza di prodotti differenziati comporta il frazionamento del mercato in tanti sub-mercati, ciascuno dei quali è in certi limiti separato dagli altri e, quindi, relativamente indipendente nelle sue regole di funzionamento. Il concetto di sub-mercato è caratterizzato dall'esistenza di una domanda che, essendo attratta da certi elementi distintivi del prodotto, si rivolgerà preferibilmente all'offerta di alcune imprese le quali godranno di un vantaggio rispetto alle altre nella misura in cui riusciranno a creare e a rafforzare tali preferenze. L'obiettivo sarà quello di disporre di un proprio spazio di mercato nella quale potersi muovere in posizione quasi monopolistica. È chiaro che tale posizione sarà relativa per due ragioni: ● Perché i vantaggi connessi con la differenziazione del prodotto potranno essere controbilanciati da altri strumenti concorrenziali (prezzo) ● Perché i migliori requisiti di qualità o di prestazioni del prodotto potrà potranno essere annullati mediante la loro imitazione da parte dei concorrenti. L'obiettivo è di scegliere una strategia vincente tra leadership di costo, la differenziazione dell'offerta e la focalizzazione o specializzazione di mercato, che rappresentano le possibili strategie competitive. La leadership di costo è una strategia competitiva attraverso la quale le imprese tentano di ottenere un vantaggio competitivo attraverso la riduzione dei costi rispetto ai concorrenti. Ovviamente deve raggiungere la parità o la prossimità nella base di differenziazione rispetto ai suoi concorrenti. Quando parliamo di differenziazione dell’offerta parliamo di ricercare il vantaggio competitivo incrementando il valore percepito dei prodotti o dei servizi offrendo qualcosa di unico, di diverso da quanto offerto dai rivali. Nelle strategie di focalizzazione le imprese si posizionano in nicchie di mercato, meno attrattive per altri concorrenti, in cui riescono ad ottenere vantaggi competitivi. (rolex) Si ha una Leadership di servizio quando l’offerta è ricca di servizi al cliente e la sua concorrenza si basa sulla completezza dell’offerta. In base al patrimonio di risorse posseduto, ogni impresa può dunque tentare di conquistare un vantaggio competitivo durevole e assumere una posizione vincente nel mercato o nei mercati che ha deciso di servire. Ovviamente, la sua forza sarà tanto maggiore quanto più potrà mettere in campo delle “competenze distintive”, ovvero attributi e condizioni non in possesso dalle altre imprese concorrenti. Su questo aspetto appare molto utile il modello VRIO, che individua le caratteristiche che possono conferire significatività e importanza alle risorse possedute dall’impresa. Le risorse possono essere classificate in base: ● Al loro valore ovvero al contributo vincente che sono in grado di conferire all'azione competitiva; ● Alla loro unicità o rarità ossia alla situazione di scarsa diffusione presso le altre imprese concorrenti; ● Alla loro insostituibilità da parte dei concorrenti; ● Alla loro durevolezza ovvero al persistere del loro valore nell'ambito dell'organizzazione; Queste caratteristiche combinandosi variamente, generano, quindi, sotto l'aspetto competitivo situazioni di svantaggio, parità, vantaggio temporaneo e vantaggio durevole nei confronti della concorrenza. Sviluppando questo tipo di analisi, l’impresa sarà in grado di pervenire efficacemente alla formulazione della propria strategia competitiva, che potrà distinguersi da quella dei concorrenti per gli obiettivi specifici, per le linee generali in cui si inquadra e per le politiche assunte a base dei comportamenti di mercato. in realtà, le condizioni di persistente vantaggio competitivo poggiano fondamentalmente sull'innovazione, sinonimo di arricchimento del capitale umano, che assume un ruolo determinante nel contesto competitivo. Innovazione parte sempre dalla mente umana, ma opera in senso più proficuo quando poi la struttura consente l'accumulo e la formalizzazione della conoscenza. È importante curare la formazione del personale, assicurare la disponibilità delle risorse finanziarie, di preservare l'efficienza dell'organizzazione, di gestire le relazioni con gli interlocutori aziendali e salvaguardare il consenso sociale. Proprio per tenere conto e valutare il peso di questi fattori competitivi, analisi fondamentale è ricorrentemente basata sul cosiddetto modello SWOT (strenght, weakness, opportunity, threat). Che suggerisce di prendere in considerazione i punti di forza e di debolezza dell'impresa in rapporto alla possibile evoluzione del mercato e dell'ambiente, da cui potranno derivare opportunità favorevoli o minacce. in conclusione possiamo dire che la scelta della strategia competitiva è sempre funzione della combinazione delle caratteristiche strutturali del mercato (modello delle 5 forze) e delle caratteristiche delle risorse possedute dalle imprese (modello VRIO e catena del valore) infine sull'analisi SWAT per prevedere l'evoluzione del mercato. Le strategie competitive e l'equilibrio fra la domanda e l'offerta: il “mercato del venditore” e “il mercato del compratore”. È indispensabile valutare congiuntamente la situazione della domanda e dell'offerta allo scopo di desumere la posizione relativa di forza dei produttori e dei consumatori. Il potere di ciascuno dei contraenti è legato in certa misura al controllo esercitato su quote consistenti della domanda o dell'offerta. È lecito Infatti supporre che un grosso acquirente o un grosso produttore è in grado di stabilire determinate condizioni di mercato, mentre compratori o produttori di minore importanza debbano adeguarsi alle condizioni fissate dai primi. Ma oltre a questi rapporti interessano quelli che si instaurano fra gli acquirenti da un lato e venditori dall’altro. Il grado di controllo è quindi legato anche dalla situazione di equilibrio o di squilibrio che può crearsi fra domanda e offerta in un certo ambito territoriale o in una data epoca. È difficile ipotizzare situazioni in cui domanda e offerta siano in perfetto equilibrio. Se la domanda tenderà a superare la capacità di produzione esistente nel mercato, i produttori assumeranno una chiara posizione di vantaggio in quanto non solo non sopporteranno rischi di vendita, ma potranno avvantaggiarsi di una situazione di concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno combattere l'uno contro l'altro per entrare in possesso della limitata quantità di beni disponibili. Ci si troverà quindi in quello che è definito comunemente il “mercato del venditore”. Il venditore non avrà dunque problemi di mercato e potrà concentrare i suoi sforzi sulla gestione tecnica e finanziaria senza preoccuparsi eccessivamente della vendibilità dei prodotti. Del tutto opposta si avrà nel caso di una eccedenza dell'offerta, in quanto i produttori dovranno competere tra di loro per acquisire la domanda disponibile. In un'ipotesi del genere arbitri del mercato diventeranno i compratori le cui opzioni di acquisto decreteranno il successo o l'insuccesso delle singole aziende produttrici. Si parla in questo caso di “mercato del compratore”. Il produttore in questo caso dovrà competere efficacemente soprattutto sotto il profilo delle politiche di vendita. I modelli di struttura sono: Struttura semplice, Modello funzionale, Modello divisionale, Modello per progetto, Modello per matrice. L’organigramma rappresenta graficamente le relazioni che esistono tra le varie funzioni direttive, nonché le linee di forza attraverso cui si articolano le varie responsabilità di comando e di azione. La struttura semplice viene adottata dalle imprese di piccole dimensioni. Questa struttura è caratterizzata dall’accentramento del governo aziendale in un’unica persona o poche persone, dalla divisione di responsabilità prevalentemente operativa per aree funzionali fondamentali (es: produzione, vendita) e da una ridotta formalizzazione sia organizzativa che operativa ed informativa (STRUTTURA TIPICA DI AZIENDE FAMILIARI PICCOLE). Al crescere delle dimensioni dell'organico e al complicarsi dei problemi di coordinamento del lavoro, sarà necessario l'adozione di una struttura formale. Le modalità tradizionali adottate In pratica prevedono la ripartizione per funzioni o per divisione. Il modello funzionale si caratterizza per la suddivisione delle aree di responsabilità per gruppi di compiti, cioè per la ripartizione delle competenze di elevato livello direzionale in termini di funzioni primarie della gestione. Per funzione deve intendersi un insieme di compiti e mansioni complementari e interdipendenti rispetto ad un fine (es: funzione vendita). Le funzioni si collegano secondo un sistema articolato su più livelli. Le prime sono le funzioni organiche cioè quelle che assicurano l'operatività del sistema e si caratterizzano in base a quattro criteri: universalità (la loro presenza in tutti i sistemi dello stesso tipo), essenzialità, la possibilità di suddivisione o articolazione per linee gerarchiche e l'impossibilità di aggregazione con altre funzioni. Le funzioni organiche tendono ad accrescersi con lo sviluppo dell'azienda in quanto ne deriva la necessità di differenziare. Il punto di debolezza di questo modello è però il minore coordinamento tra aree funzionali e quindi una minore spinta all'innovazione. Nell'ipotesi invece di aziende diversificate e più dinamiche nei comportamenti imprenditoriali appare più congeniale il modello di struttura divisionale. Il modello di struttura divisionale si concreta nella ripartizione delle responsabilità di direzione per gruppi o famiglie diverse di prodotti (divisione). Ogni divisione è affidata ad un direttore divisionale responsabile dei risultati economici ed operativi della divisione diretta. Meno frequentemente il criterio divisionale è applicato in senso territoriale, cioè scindendo l'area su cui l'azienda opera per sub aree geografiche (tipico delle multinazionali presenti in più regioni). Il modello divisionale comporta quindi il frazionamento dell'organizzazione aziendale in più parti, ciascuna delle quali potrebbe rappresentare un’impresa a se stante e costituire un centro di profitto. Una struttura divisionale si presta meglio il controllo organizzativo in quanto le divisioni vengono considerate dei centri di profitto e quindi assoggettabili a precise valutazioni di rendimento. Il criterio generale è quello di decentrare le funzioni che possono ritrarre i maggiori benefici dalla specializzazione e di accentrare quelle che richiedono più elevato coordinamento sul piano aziendale (come la finanza) o che consentono maggiori economie di scala o di interrelazione (come gli approvvigionamenti e la ricerca e sviluppo). Il modello multidivisionale può anche evolvere verso un modello di organizzazione di gruppo. (un gruppo è composto da una società madre e da società figlie). Per frazionare l'attività di gestione anche sotto il profilo giuridico e per conferire maggiore indipendenza ai vari centri di profitto si può infatti orientare a creare, in luogo delle divisioni organizzative, tante aziende distinte. La scelta della struttura ad Holding vuole rispondere a due esigenze: ridurre la dimensione delle unità aziendali e conferire una più ampia autonomia alle diverse gestioni produttive. Le strutture organizzative flessibili e innovative: l’organizzazione per processi, a rete, per progetto, e per matrice. I mutamenti assunti dalla gestione industriale, per incontrare la complessità ambientale e per rendere possibili forme di concorrenza fondate sulla velocità di risposta alle variazioni di mercato, hanno imposto nuove esigenze organizzative. I caratteri di maggiore creatività, che ha assunto il lavoro nell'impresa, stanno spingendo ad adottare soprattutto “l'organizzazione per processi”. La logica della gestione per processi consente di superare le tradizionali barriere funzionali e di operare in rapporto agli obiettivi globali, il cui raggiungimento è facilitato dall’anticipata finalizzazione e coordinamento di tutte le attività sequenzialmente correlate. Un'altro assetto organizzativo, che si è andato affermando soprattutto in questi ultimi anni, è l'organizzazione a rete, fondata sull'instaurazione di relazioni molto strette tra più parti dell'impresa e tra quest'ultima, i fornitori e i clienti. La rete, che si articola su rapporti più che su strutture, ovvero su modalità di funzionamento regolate da procedure anziché sulla creazione di particolari unità organizzative, risponde all'esigenza di conferire velocità, flessibilità ed efficienza all'operatività aziendale. Tra le strutture tipicamente flessibili, le forme più diffuse sono rappresentate dall'organizzazione per progetto e per matrice. L’organizzazione per progetto rappresenta un ulteriore articolazione della struttura funzionale, in quanto è all'interno di questa che vengono costituiti dei gruppi di lavoro incaricati di elaborare e porre in attuazione determinati progetti. In sostanza, per compiti importanti (come la programmazione di un nuovo prodotto), si procede alla nomina di un capo progetto, affiancato da un team di specialisti, estratti dalle varie linee funzionali (produzione, vendita) e che lavorano alle dipendenze del responsabile del progetto fino al completamento del progetto stesso. Dopodiché il gruppo si scioglierà. L’organizzazione per matrice rappresenta, in un certo senso, l'istituzionalizzazione di quella per progetto,In quanto la struttura aziendale assume un carattere reticolare con un intreccio di competenze funzionali e per progetto. Si rileva un interconnessione tra campi di responsabilità orizzontali (i vari prodotti) e campi di specializzazione verticale (funzioni produzione, commerciale etc.), con la creazione di un duplice rapporto di autorità. Si hanno tre tipi di ruoli: 1. La direzione generale, responsabile dell’intera struttura organizzativa; 2. Le direzioni divisionali e funzionali responsabili delle funzioni sottostanti al livello precedente; 3. Le responsabilità congiunte divisionali/funzionali dei gruppi operativi inseriti nella struttura. articolato in segmenti annuali. Questi ultimi peraltro saranno sviluppati con un grado di dettaglio minore all’allontanarsi nel tempo: riferendoci all'esempio precedente il piano dell'anno 2017 sarà sicuramente più articolato rispetto quello del 2019. In sostanza le caratteristiche essenziali della programmazione sono: ● Formalizzazione (documenti scritti); ● Integrazione (riferimento alla gestione nella sua interezza); ● Quantificazione (indicazione di obiettivi e risorse misurabili); ● Pluriennalità (proiezione strategica di obiettivi e politiche). Il processo di costruzione dei piani aziendali. Un piano si sostanzia nella indicazione delle sequenze di decisioni e di operazioni da porre in essere per raggiungere gli obiettivi stabiliti. Esso risulta costituito da 4 elementi strettamente interconnessi: ● Gli obiettivi, che rappresentano i traguardi a cui dovrà tendere l'organizzazione; ● Le politiche che costituiscono le linee generali di azione; ● Le attività che configurano i flussi di operazioni da attuare durante la gestione; ● Le risorse disponibili che si pongono come vincoli-opportunità da rispettare nello svolgimento di queste operazioni. L’impresa tenderà a massimizzare i risultati di gestione entro i limiti posti dall’ambiente esterno e dalla struttura interna (risorse) e stabilirà un insieme di politiche che tenuto conto dei vincoli le consentiranno di ottenere gli obiettivi prefissati. Per quanto concerne poi la valutazione degli effetti economici delle azioni pianificate, acquista una segnata importanza un altro documento che scaturisce dal processo di programmazione: il budget economico o bilancio preventivo. Il budget economico è un documento contabile che traduce in termini di costi e ricavi le scelte e le operazioni stabilite nel piano. Consente di quantificare economicamente le decisioni programmate ed a valutare l’opportunità di poterle attuare. Al budget economico si collega necessariamente un budget finanziario, che individua in relazione ai programmi operativi e agli investimenti programmati il fabbisogno finanziario di periodo e le fonti e forme possibili di finanziamento. Nell'impresa si elabora poi anche un budget di cassa per governare poi il flusso monetario di entrate e uscite. Le premesse previsionali e la flessibilità dei piani. I programmi sono definiti in rapporto ad un insieme di premesse, legate alla previsione dell'andamento dei fenomeni interessanti la vita dell'impresa; premesse, quindi, che possono o no trovare verificazione nel corso della gestione. Le premesse rappresentano degli assunti circa il futuro svolgimento dell'attività aziendale. Esse sono distinguibili in tre tipi: ● Premesse non controllabili, che l'azienda non può influenzare in nessun modo (inflazione, tassi di interesse, imposizione fiscale); ● Premesse semicontrollabili, che non può tenere sotto controllo, ma su cui può influire in misura più o meno rilevante (turnover del personale, Incentivi e produttività del lavoro); ● Premesse controllabili, di cui detiene invece il controllo perché dipendono pressoché esclusivamente dal suo comportamento (ingresso in nuovi mercati, adozione di un programma impegnativo di Ricerca e Sviluppo, ampliamento della gamma di vendita). L'azienda, quindi, per le premesse non controllabili o semicontrollabili deve formulare delle previsioni e, successivamente, controllare se esse si stiano in realtà verificando. La programmazione strategica ed operativa. L’impresa opera in un sistema di vincoli, interni ed esterni, che necessariamente condizionano la programmazione aziendale. I vincoli interni richiamano i limiti posti dalla potenzialità produttiva, organizzativa, finanziaria ed economico strutturale. I vincoli esterni invece richiamano i limiti connessi con il mercato (domanda e offerta), la pressione della concorrenza, il progresso tecnologico e la regolamentazione pubblica. La programmazione di lungo termine ha carattere innovativo e può modificare il sistema di vincoli entro cui l’impresa opera mentre la programmazione di breve termine ha lo scopo prevalente di adattare l'attività corrente ai vincoli interni ed esterni alla gestione aziendale, viene infatti definita programmazione di adattamento perché la modificazione di determinati vincoli comporta tempi non brevi e far sì che il patrimonio di risorse dell'impresa appaia quale vincolo di partenza per la realizzazione delle operazioni di gestione. In sintesi la programmazione di breve periodo parte dall'analisi e valutazione delle risorse disponibili, mentre quella di più lunga scadenza è impostata sulla base degli obiettivi da raggiungere. Il “Business plan”. Business plan, è documento che rappresenta, in un'ottica prospettica, i contenuti e le caratteristiche di un progetto imprenditoriale allo scopo di valutare la fattibilità. L’avvio di un progetto richiede un'accurata e completa programmazione di tutti gli aspetti e problemi gestionali. Si tratta di un documento complesso di programmazione che deve tratteggiare anticipatamente il nuovo disegno di gestione, valutandone la reale fattibilità in termini organizzativi, economici e finanziari. Il business plan può avere una rilevanza prevalentemente interna, essere cioè di conforto per l'imprenditore investitore, oppure essere destinato ad un utilizzo esterno, inteso a ricercare eventuali finanziatori del progetto imprenditoriale. I contenuti del business plan. Una business idea è composta da tre elementi: ● Il sistema di prodotto, che identifica l'offerta rivolta al mercato; ● Il segmento di mercato, ossia la tipologia di clienti cui l'impresa si rivolge; ● Le risorse interne attraverso le quali si confida di poter realizzare l'idea imprenditoriale; Solo quando questi tre elementi sono intrinsecamente coerenti, consonanti, armonici si può formare un sistema per la dominanza competitiva; in mancanza di tale coerenza, deficienza del sistema di dominanza si deteriora, determinando l'insuccesso del progetto. La prima metà del business plan ruota attorno alla definizione di una chiara mission e di una solida strategia aziendale, che va illustrata e dettagliata, con il supporto di informazioni e dati relativi al mercato, al settore, alla specifica area strategica di affari, al territorio in cui l'impresa opera, ai potenziali clienti, ai concorrenti, alle opportunità e minacce provenienti dall'ambiente esterno. La seconda metà del business plan, incentrata sull'analisi delle modalità attraverso le quali le scelte strategiche delineate possono essere concretizzate, definisce una serie di piani operativi: piano di marketing e delle vendite, piano di produzione, piano degli approvvigionamenti, piano degli investimenti, piano economico-finanziario che devono essere coerenti tra di loro Il rispetto alle scelte strategiche effettuate. La stesura di questi piani viene realizzata su base previsionale. Non tutte le ipotesi e le relative stime avranno lo stesso grado di importanza per la validità delle indicazioni complessivamente contenute nel business plan perché uno dei passaggi più critici, che può condizionare la validità dell'intero piano, è quello relativo alla previsione delle vendite, frazionata a seconda del prodotto, del territorio e del mercato di riferimento. Le finalizzazioni del business plan. Il business plan svolge almeno tre funzioni principali: ● È uno strumento di pianificazione e controllo; ● Rappresenta un'occasione di riflessione per l'imprenditore; ● È uno strumento di comunicazione esterna. Il piano di impresa deve necessariamente contemperare una prospettiva analitica e una sintetica: analitica, perché dovrebbe garantire un’approfondita visione di tutti i principali aspetti della gestione, sintetica, perché i contenuti specifici vanno ricondotti in unità, fino a comporre un insieme coerente ed armonico. 10. Il sistema di controllo direzionale. La funzione di controllo direzionale. La funzione di controllo, conclude la sequenza delle fasi di direzione e crea le premesse per l’avvio di un nuovo ciclo di attività. Questa funzione assicura che le scelte assunte a livello direzionale e amministrativo siano correttamente attuate da parte degli organi esecutivi. Ma serve anche a valutare la bontà delle decisioni assunte. Si diffonde a qualsiasi posizione organizzativa. Il controllo ha subito una marcata evoluzione, che gli ha fatto perdere alcuni dei connotati meno accettabili in una moderna visione della governance aziendale: ● Visione tradizionale: strumento di costrizione necessario a vincolare l’azione degli uomini ● Visione avanzata: strumento di indirizzo, mezzo di guida del lavoro e delle funzioni svolte. La funzione di controllo direzionale può svolgersi in quattro momenti successivi e complementari: ● In via antecedente rispetto all'azione; ● In via concomitante allo svolgimento dell'azione; ● In via susseguente per mezzo della determinazione di valori e indici di efficienza aziendale; ● In via prospettica mediante il controllo strategico. Indici generali di efficienza aziendale: ● Efficienza organizzativa; Riguarda le struttura, le procedure e le risorse umane. La valutazione viene effettuata in base ad indici quantitativi e qualitativi. Produttività: si determina rapportando il risultato conseguito con lo sforzo sostenuto ● Efficienza economica Esprime il rapporto tra costi e ricavi aziendali e consente di valutare in modo sintetico la situazione di equilibrio o squilibrio presente nel conto economico dell’impresa. Indice di redditività: (reddito/capitale investito) ● Efficienza esterna (o di mercato) Raffronto tra vendite aziendali e le vendite complessive del mercato. Altri indici: (sviluppo del fatturato, penetrazione distributiva, ampliamento della clientela). Il controllo strategico o prospettico. Il controllo direzionale, così com’è stato prospettato in precedenza, non è sufficiente per fornire al management aziendale tutti gli elementi di guida dell'organizzazione perché soffre di due limiti rilevanti. Il primo è connesso con il rapporto di interdipendenza nei confronti del sistema di programmazione adottato nell'impresa; Il secondo è rappresentato dalla difficoltà di ampliare le analisi a livello dell'intera struttura organizzativa aziendale. Il controllo strategico deve porsi come obiettivo il controllo globale della gestione aziendale e rivolgersi alla verifica della: ● Congruenza esterna del comportamento strategico dell'azienda; ● Congruenza organizzativa tra strategia e struttura dell'azienda; ● Efficienza del sistema e qualità dei responsabili di direzione. Il controllo strategico, essendo proiettato nel futuro, deve cioè permettere di valutare se le scelte di tempo lungo conservano la loro validità, tenendo appunto presente che nell’ambiente e nei mercati si possono presentare fenomeni imprevisti. Anziché insistere su strategie superate da nuovi clienti, il controllo consente di affrontare in modo tempestivo la loro revisione. Questo vale sia per le scelte strategiche (verifica di congruenza esterna) sia per l'idoneità della struttura organizzativa (verifica di congruenza interna). In più il controllo strategico tende a valutare l'efficienza del sistema di direzione, ossia il meccanismo procedurale mediante il quale strategia e struttura si legano durante la vita dell'impresa. Se dai controlli di congruenza esterna ed interna della strategia, si passa ad indagini relative alla qualità dei sistemi e delle risorse manageriali, il controllo strategico si amplia e diviene un tipo di controllo eccezionale ed esterno. In questo senso si traduce in un vero e proprio check-up aziendale, intendendo un controllo approfondito e sistematico delle condizioni di struttura e di funzionamento dell'organismo aziendale. il check-up si caratterizza non soltanto per il maggior grado di approfondimento e per l'estensione all'intero sistema dell' indagine diagnostica, ma anche per il suo carattere di verifica, che prescinde dal emergere di particolari fatti patologici. L'organizzazione della funzione direzionale di controllo. Ai fini dell'organizzazione, assumono particolare rilievo alcuni problemi che devono essere attentamente valutati dall'alta direzione. Un primo delicato problema manageriale sorge dal dilemma fra un controllo inteso a standardizzare certe decisioni ed operazioni e una guida del fattore in cui si sta lasciando spazio sufficiente alla creatività e allo spirito di iniziativa individuale. Uno degli obiettivi fondamentali della funzione direzionale deve essere, infatti, quello di assicurare un giusto equilibrio tra creatività e conformità. Ciò può essere ottenuto, prescegliendo appropriatamente gli strumenti di controllo da impiegare nelle varie aree della gestione e in secondo luogo stabilendo dei margini di autonomia nell'adozione delle azioni correttive. Altro problema da tenere nel dovuto conto è quello di evitare una eccessiva proliferazione dei controlli, che finisca per tradursi in un pericoloso rallentamento dell'attività operativa e in un notevole aggravio di costi. I controlli devono essere soprattutto funzionali, cioè rivolti a sorvegliare gli aspetti di maggiore importanza della gestione e finalizzati ad una tempestiva individuazione delle inefficienze interne e di mercato. Un terzo problema è quello dell’impiego di tecniche e strumenti adeguati alle esigenze aziendali. Per evitare un insostenibile e inutile spreco di risorse è difatti opportuno che le procedure i mezzi adoperati per l’attuazione del “piano di controlli” rispondano alle caratteristiche di gestione delle imprese. Non sempre le tecniche più raffinate di valutazione dei risultati si rivelano come le più adatte agli scopi da raggiungere. 11. La funzione di conduzione del personale: motivazione, stile di direzione e “leadership”. La conduzione delle risorse umane ed i problemi della motivazione. La conduzione del personale rappresenta uno dei nuclei centrali del processo di direzione. Accanto alle fasi di accentuato sviluppo industriale, che hanno visto prevalere complessi problemi della tecnologia e della commercializzazione dei beni prodotti, nella gestione aziendale si sono ormai da lungo tempo imposti problemi di amministrazione del fattore umano. Si tratta di dotare l'organismo aziendale delle professionalità necessarie e di assicurarsi, poi, che gli individui inseriti nell’organizzazione siano motivati al raggiungimento degli obiettivi gestionali. È probabile che nel rapporto di scambio tra il lavoratore e l'impresa, si creino interessi diversi e per certi versi in potenziale conflitto: sotto il profilo esclusivamente economico, l'impresa (o meglio l'imprenditore) è interessato al massimo rendimento rispetto ai costi (salari e stipendi) che sostiene, e il lavoratore desidera il massimo risultato (reddito da lavoro) rispetto alla quantità ed alle condizioni delle prestazioni che deve rendere. questi conflitti si possono presentare in due momenti: quello contrattuale, nel quale le parti debbono disciplinare il rapporto sul piano normativo; e quello successivo di carattere operativo, in cui il rapporto deve essere gestito. la funzione di conduzione ha per obiettivo l'ottenimento del miglior rendimento dell'organizzazione e riguarda, in effetti, i problemi di impiego e di guida delle risorse umane presenti in azienda. Dirigere, nel suo significato più tradizionale, significa “far sì che altri realizzano certe attività” e l'abilità direttiva si misura, sotto tale profilo, non solo in funzione dei risultati operativi conseguiti, ma anche rapporto al clima delle relazioni di lavoro creato dall'azienda. Fondamentale ai fini del processo di conduzione del personale è il concetto di uomo assunto a base della costruzione dell'organizzazione. Sappiamo dalla storia delle teorie organizzative, che le tre fasi classiche di sviluppo della disciplina hanno rappresentato, in effetti, successive evoluzioni di tale concetto: ● L'organizzazione scientifica del lavoro è partita da una visione meccanicistica del ruolo dell'uomo, che è stato visto più come strumento o meccanismo da far funzionare all'intero della macchina aziendale, che come individuo da motivare o far partecipare alle scelte. ● La scuola delle relazioni umane invece ha visto l'uomo come individuo da motivare. ● La visione sistemica sosteneva la concezione del lavoratore quale individuo a cui dare il diritto di partecipare alle scelte aziendali. Si passa, infatti, da una direzione tradizionale di tipo autocratico, fondata sul principio dell'autorità, ad una direzione partecipativa, basata sul consenso: la prima attuata prevalentemente mediante la gerarchia del comando, la seconda mediante la creazione della motivazione. Nella realtà, peraltro, bisogna osservare che non appare applicato integralmente né l’uno né l’altro tipo di direzione perché il funzionamento di qualsiasi organizzazione richiede,comunque, l’esistenza di una gerarchica intorno a cui costruire, mediante la motivazione, dei rapporti di consenso e di collaborazione. Come possiamo definire la motivazione? È la spinta all’azione (moto ad agire) finalizzata alla realizzazione di un determinato scopo. Il processo motivazionale si realizza quando alcuni degli obiettivi dell’organizzazione divengono anche obiettivi del lavoratore che si sente integrato nell’organizzazione. Si distingue tra motivazione a produrre ed a partecipare: ● motivazione a partecipare: induce l’individuo ad accettare l’inserimento nell’organizzazione; ● motivazione a produrre: influenza le decisioni inerenti lo sforzo e l’impegno da erogare nell’organizzazione. Sembra utile accennare ad una teoria psicologica che assume un ruolo centrale nella comprensione delle tecniche motivazionali: la teoria la gerarchia dei bisogni umani, elaborata da Abraham Maslow. Secondo questa teoria, l'individuo punterebbe alla soddisfazione di una serie di bisogni ordinati lungo una scala crescente di importanza. I tipi di bisogni individuati e posizionati sui vari gradini della Scala Maslowiana sono: 1. I bisogni primari o bisogni di sussistenza, rappresentati dalle necessità fondamentali da soddisfare per sopravvivere (nutrizione, abbigliamento, abitazione); 2. I bisogni di sicurezza, costituiti dalle esigenze di protezione della persona, del patrimonio, della posizione lavorativa. 3. I bisogni di socialità (affetto, appartenenza), rappresentati dalla necessità di sentirsi parte di un gruppo, legati cioè ad altri individui da interessi, sentimenti, credenze comuni; 4. I bisogni di stima (reputazione o prestigio), costituiti dall'aspirazione a riscuotere il consenso di altri e a collocarsi in posizioni di preminenza nella classe sociale di appartenenza; 5. I bisogni di autorealizzazione, rappresentati dalla convinzione di aver realizzato appieno le proprie capacità professionali e morali, ossia di aver raggiunto il miglior risultato possibile sulla base dei requisiti personali posseduti. I bisogni vengono soddisfatti rispettando una gerarchia. La soddisfazione dei bisogni superiori può avvenire solo quando quelli inferiori sono stati soddisfatti. Resta ora da sottolineare il ruolo rivestito dal sistema premiante praticato nell’impresa, vale a dire la possibilità offerta in termini di sviluppo di carriera a chi dimostra di avere più capacità professionale e maggiore volontà di impegnarsi. La tendenza a “collettivizzare” responsabilità e compiti trova le sue ragioni di fondo nell’esigenza di assicurare la maggiore partecipazione a livello di gruppo nella fase decisionale di attuazione dei comportamenti organizzativi. L'adozione con successo di uno stile di direzione partecipativo è legata al riconoscimento della leadership del capo, a prescindere a volte dal grado rivestito nell'organizzazione. la leadership consente, infatti, di indurre modificazioni nel comportamento di altri individui, senza fare necessariamente ricorso a meccanismi di autorità formale, ma sfruttando l'autorevolezza per ottenere dagli altri l'adesione a progetti e programmi organizzativi. Solo un'adeguata motivazione ed un costruttivo esercizio della leadership possono contribuire a tenere elevate le performance dei singoli e dell'organizzazione nel suo complesso. La motivazione del personale mediante l'analisi e l'arricchimento delle mansioni. Il ruolo di chi dirige non deve essere solo quello di creare la massima armonia e il più elevato spirito di corpo nei gruppi di lavoro, ma anche di valorizzare al meglio le risorse umane a disposizione. La soluzione dei problemi di motivazione del personale può essere significativamente facilitata mediante l'Impiego di tecniche di analisi e valutazione delle mansioni. Esse possono essere adoperate per diversi scopi, come ad esempio l'individuazione dei requisiti necessari per coprire le posizioni istituite nell'organizzazione, la determinazione del piano retributivo, la misurazione dell'efficienza del personale etc. Appare di maggiore importanza l'analisi delle mansioni (job analysis) cioè lo studio approfondito e sistematico delle singole posizioni organizzative, diretto a: ● Valutare le caratteristiche delle operazioni e dei compiti ad esse connesse; ● Le conoscenze e le capacità richieste all’esecutore; ● Le responsabilità nei confronti delle altre unità organizzative. La job analysis è un procedimento di validità universale per orientare la gestione delle risorse umane. La descrizione della mansione e la specificazione dei requisiti richiesti per ricoprirla consentono di avere una guida preziosa nella selezione del personale, nell’attribuzione dei compiti, nella valutazione della prestazione e nella pianificazione delle carriere. La motivazione del personale può essere migliorata operando sulle mansioni (job analysis): 1. Ampliamento della mansione (job enlargement). Ossia nell'affidamento di cicli integrati di operazioni, in modo da attribuire all'esecutore la responsabilità di un'attività completa ed enucleabile rispetto ad altre attività svolte nell'organizzazione. 2. Arricchimento della mansione (job enrichment). Ai fini motivazionali più che un estensione orizzontale della funzione sembra valido soprattutto un ampliamento verticale della stessa mediante il coinvolgimento del responsabile nella fase decisionale oltre che operativa. (dare maggiore potere e autonomia decisionale). 3. Rotazione delle mansioni (job rotation). La possibilità di far ruotare l'individuo in mansioni diverse, anche se comprese nello stesso ciclo di lavoro, potrebbe concorrere a rendere meno monotono la prestazione lavorativa e portare ad un accrescimento delle conoscenze e della preparazione professionale del lavoratore. 13. La gestione commerciale e il marketing. Il rapporto tra la strategia competitiva e le strategie funzionali. Nelle imprese ben amministrate viene definito un quadro strategico che si compone di una strategia complessiva, o “corporate”, di una o più strategia competitive nella o nelle aree d’affari in cui opera o vuole operare l'impresa ed un insieme di strategie funzionali che attengono le funzioni secondo cui si articola la gestione aziendale. Il disegno strategico orientato al tempo lungo viene completato sotto il profilo operativo ovvero dalle varie attività esecutive di gestione. Ogni impresa producendo un bene o un servizio, dovrà curare la distribuzione e la vendita, avrà bisogno di approvvigionarsi di materiali, dovrà governare la Finanza, attuare la ricerca e via elencando. Le caratteristiche della gestione operativa. La gestione operativa è il complesso di attività, mediante le quali ciascuna impresa produce e vende i beni e servizi da destinare al mercato, si caratterizza in funzione dell'oggetto sociale (imprese manifatturiere, commerciali, bancarie, etc). La gestione tenderà difatti a differenziarsi soprattutto in rapporto alla natura dell'attività e alle dimensioni della struttura organizzativa. (preferiamo qui fare riferimento prevalentemente all'organizzazione produttrice di beni). Le funzioni operative di gestione sono inquadrabili in tre distinti gruppi: ● Le funzioni primarie od organiche, quelle non solo comuni a tutti i tipi di azienda, ma anche normalmente specializzate all'interno dell'organizzazione. (Vendita, Produzione, Finanza, Logistica) ● Le funzioni operative complementari o di supporto, caratterizzate in prevalenza da un grado relativamente minore di importanza e, in certi casi, affidabili anche a centri esterni di servizio. (Personale, Ricerca e Sviluppo, Contabilità e bilancio) ● Le funzioni ausiliarie, che sono molto spesso delegate all'esterno per ragioni di economicità o per mancanza di competenze idonee nell'organizzazione. (distribuzione commerciale, pubblicità, trasporti, manutenzione) Ovviamente questa è una classificazione che non può essere considerata universale perché l'estrema differenziazione dei processi produttivi può portare ad una classificazione diversa da Impresa a Impresa. L'orientamento dell'impresa nei confronti del mercato. In passato si tendeva a distinguere due tipi di comportamento dell'impresa nei confronti del mercato: 1. Il primo è rappresentato dal orientamento al prodotto, cioè dalla cura soprattutto dei problemi attinenti al ciclo di produzione dei beni, per i quali la successiva vendita finiva per costruire un'attività complementare e pressoché automatica. 2. Il secondo era rappresentato dal orientamento al mercato, ossia dal preventivo accertamento della vendibilità dei prodotti da realizzare. In effetti, l'orientamento al prodotto configurava solitamente la situazione di mercato facile (mercato del venditore), nella quale bastava produrre a prezzi competitivi per poter vendere e conseguire dei propri profitti, mentre quello al mercato presupponeva la necessità di analizzare la domanda globale, di valutare la quota massima ottenibile dall'azienda e di indirizzare le politiche di produzione in funzione degli obiettivi di vendita. Parlare di questi due orientamenti oramai può apparire fuori tempo, in quanto l'impresa ora si orienta al business. L'orientamento al Business si concreta nella ricerca di nuove occasioni di affari da aggiungere eventualmente a quelle già sfruttate nell'ambito di mix di settori in cui si opera. Lo sguardo di chi governa l'azienda è proiettato verso l'individuazione di bisogni e desideri dei consumatori che, tenendo conto delle risorse aziendali disponibili, possono rappresentare delle nuove opportunità di business. La differenza tra orientamento al mercato e al business è data dall'ampiezza dell'area di osservazione da parte dell'impresa: nell'orientamento al Mercato le opportunità vanno ricercate nei mercati in cui si è già presenti mentre nell'orientamento al Business la ricerca si estende a tutti i mercati in cui le risorse aziendali potrebbero essere impiegate con successo. Questo orientamento al Business è fondato sul concetto di marketing, posto al centro della gestione aziendale. Il termine marketing indica il processo mediante cui l'azienda studia il mercato o i mercati che ritiene interessanti, analizza le tendenze della domanda e la situazione della concorrenza, individua l’esistenza di opportunità di business, orienta la posizione in funzione dei potenziali acquirenti da conquistare, crea la domanda per i nuovi prodotti e provvede a collocare quest'ultimi presso gli sbocchi prescelti. Il contenuto dell’azione di marketing si articola nell'analisi del mercato, nella programmazione dei prodotti, nella promozione della domanda e nell'esecuzione della vendita. Le responsabilità di marketing sono diverse dalle responsabilità di vendita. Ai fini dell'orientamento dell'azione competitiva, interessa soprattutto conoscere le cause che originano differenti comportamenti di acquisto, cioè risalire al perché di certe scelte da parte del consumatore. Quest'ultimo infatti, si muove secondo motivazioni tra le più diverse, che si intrecciano le une con le altre e che pesano naturalmente in modo differente non solo a seconda della natura dei beni da acquistare ma anche delle sue condizioni economiche di età, di residenza, etc. Secondo un classico schema teorico le motivazioni di acquisto si dividono in tre gruppi: ● Motivazioni razionali, incentrate sul calcolo economico e orientate, sostanzialmente, dalla valutazione del rapporto qualità-prezzo dei beni da acquistare. ● Motivazioni emotive, collegate alla sfera dei sentimenti e derivanti da fattori di gusto, di estetica, di personalità del consumatore. ● Motivazioni di patrocinio, correlate alla fiducia nel produttore o nel distributore, e alla creazione di un rapporto di integrazione tra il consumatore e la marca (o il negozio), tale che il primo diventi non solo un acquirente stabile e fedele dei prodotti di quella azienda o di quel negozio, ma anche un patrocinatore della marca o del punto di vendita nei confronti di altri consumatori. La combinazione di motivazioni tende a variare soprattutto in funzione del sacrificio sopportato dal consumatore per procedere all'acquisizione del bene. È il rapporto tra prezzo del bene e reddito disponibile che influenza le modalità e le motivazioni dell’acquisto. Le motivazioni, dunque, risentono, a seconda della natura dei prodotti, oltre che del reddito, anche di altre condizioni del consumatore. Proprio a questo riguardo, occorre richiamare il concetto di segmentazione. La segmentazione di mercato consiste nel suddividere il mercato in gruppi distinti di acquirenti che esprimono bisogni simili (segmenti). Un segmento di mercato può essere identificato suddividendo i consumatori in base a variabili discriminanti opportunamente scelte. Il compito più difficile nell'attuazione del processo di segmentazione consiste nell'individuare le caratteristiche o fattori principali che distinguono strati differenti di mercato e nello scegliere, tra questi, quello o quelli che meglio si prestano a definire le classi di acquirenti,cui in particolare l'impresa ha interesse a rivolgersi. I parametri utilizzati più frequentemente per effettuare la segmentazione sono raggruppabili in sei classi: ● Parametri demografici (età, sesso, ampiezza della famiglia, etc). ● Parametri socio-economici (reddito, professione esercitata, livello d’istruzione, etc). ● Parametri culturali (razza, etnia, credo religioso). ● Parametri ubicazionali (popolazione urbana, suburbana e rurale). ● Parametri psicografici (personalità, autonomia decisionale, preferenza per l'innovazione, etc). ● Parametri comportamentali (disposizione all'acquisto, grado di fedeltà, caratteristiche di innovatività, benefici desiderati, etc). Essa risulta tanto più efficace quanto più contribuisce a differenziare l'elasticità della domanda dei vari segmenti rispetto alle politiche di marketing adottabili dall'impresa produttrice. I modelli di strategie di marketing. Di fronte dunque ad un mercato segmentabile, l'impresa può adottare tre differenti atteggiamenti: ● Mercato indifferenziato: ossia rivolgersi al mercato come se fosse omogeneo, prescindendo cioè dalla sua segmentabilità; ● Mercato differenziato: ossia indirizzarsi ad un gran numero di segmenti mediante la formulazione di diversi programmi di marketing; ● Mercato concentrato: ossia mirare ad uno solo o, al massimo, pochi segmenti di mercato con la predisposizione di un unico programma di marketing. Nel primo caso l'impresa si rivolge ad un ampio numero di potenziali acquirenti sulla base di un programma standard di marketing, che prevede l’unicità di modelli, prezzi, e condizioni di vendita. Nel secondo, invece, i programmi di marketing si differenziano per i diversi segmenti. Nel terzo, infine, il programma è sempre uno, ma la sua formulazione è mirata ad uno specifico segmento o strato di mercato. La politica di prodotto e della marca. Che cosa è un elevator pitch? Elevator significa ascensore. L'Elevator pitch è infatti il discorso che un imprenditore farebbe ad un investitore se si trovasse per caso con lui in ascensore. Quando le porte si chiudono ti chiede cosa fai, e dovresti essere in grado di dirlo in maniera chiara ed accattivante prima che la corsa termini e le porte si aprono, cosicché ci sia l’interesse e la richiesta di saperne di più. Le parti essenziali di un pitch: 1. Problema che si vuole risolvere 2. Breve descrizione del prodotto/servizio 3. Breve descrizione del mercato 4. Breve descrizione dei concorrenti 5. Che cosa vi differenzia dagli altri 6. Come guadagnerete (business model) 7. Milestones 8. Team. Il successo di un’impresa dipende dal favore che riscuote la sua offerta sul mercato. La politica di prodotto è caratterizzata dalle seguenti decisioni strategiche: ● Ampiezza dell’offerta, ovvero la minore o maggiore estensione della gamma di vendita. ● Differenziazione degli assortimenti, ovvero la distinzione interna alla gamma ed esterna rispetto alla concorrenza. ● Innovatività delle produzioni, ossia il tasso di rinnovamento e di ricambio dei prodotti posti in vendita. ● Riconoscibilità dei prodotti, ossia la scelta della marca e della confezione. Ampiezza della gamma di vendita. La gamma di vendita si può caratterizzare per: ampiezza, numero di differenti prodotti posti in vendita (impresa costruttrice di mezzi di trasporto: auto-moto-autoarticolati); profondità (assortimento) numero di varianti di ogni prodotto della linea (impresa costruttrice di auto: benzina- diesel, cilindrata, ecc.) e coerenza (affinità dei prodotti). E oggi sempre più raro trovare delle imprese che realizzano e vendono un solo tipo o formato di prodotto. Questo sia per ragioni strettamente produttive sia di mercato. All'interno della gamma si può avere la distinzione tra prodotti da reddito, destinati a generare i maggiori flussi di cassa per l'impresa, e prodotti strategici, la cui presenza è essenziale per consentire il collocamento dei primi. Ipotesi più frequente a livello distributivo, è quello dell'inserimento nella gamma di prodotti cosiddetti da richiamo, ovvero beni che - a motivo della particolare convenienza di acquisto - possano richiamare l'attenzione dell'acquirente sull'intera gamma e contribuire, così, anche alla vendita dei prodotti da reddito. La profondità degli assortimenti. Rispetto al concetto dell’assorbimento (più modelli, versioni o formati del prodotto), si deve sottolineare che, quasi sempre, ogni tipo di prodotto viene portato al mercato in una varietà di modelli per una o più delle seguenti ragioni: ● Le caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto (abiti confezionati, calzature, da adattare a taglie e gusti diversi del consumatore). ● La segmentazione della domanda e posizionamento dell'offerta, da differenziare in funzione dei gruppi di consumatori da servire. ● L'invecchiamento dei modelli e la differente capacità di contribuzione nel reddito d'impresa. Rispetto alla matrice del portafoglio prodotti del BCG, più completa però appare quella messa appunto dalla General Electric e dalla Mc kinsey, fondata sulla attratività del mercato e sulla posizione competitiva. Queste due variabili ampliano gli elementi della matrice del BCG e ipotizzano 9 possibili situazioni per ciascuna impresa. L'attrattività di un settore è, Infatti, funzione del tasso di sviluppo della domanda, ma è anche da rapportare ai margini di profitto conseguibili, alla dimensione totale del mercato e ad altri fattori che possono essere importanti a seconda dei casi. Così, la posizione competitiva, oltre ad essere correlata alla quota di mercato, può rapportarsi alla velocità della sua crescita, al grado di innovatività di prodotti, etc. La politica della marca e le altre scelte che rientrano nella politica di prodotto. Un prodotto non può essere visto soltanto come un mezzo per appagare un bisogno chiaramente delimitato, Ma va considerato come un “fascio di utilità”, un insieme di attributi tangibili e intangibili, che risponde ad esigenze di vario ordine. Nella politica del prodotto si inserisce una specifica componente promozionale che si estrinseca nella costruzione dell'immagine della marca. La politica della marca, insieme con quelle di confezionamento per prodotto e dell'assistenza post- vendita, finisce per rappresentare un ulteriore ed importante aspetto della politica di prodotto, che appare quanto mai poliedrica e complessa. Concetto di marca: “Un nome, termine, simbolo, disegno o una combinazione di questi elementi, finalizzata ad identificare i beni/servizi di un’impresa/gruppo di imprese, e a differenziarli da quelli dei concorrenti” (AMA, 1960). La marca rappresenta un importante elemento di differenziazione del prodotto. L'impresa può scegliere fra l'adozione di una marca industriale o commerciale e fra quella di una marca unica per l'intera famiglia di prodotti (Family Brand o Firm Brand) o di marche distinte per ciascun prodotto venduto (Product Brand). È tuttavia frequente l'assenza di una politica di marca nelle piccole unità industriali che preferiscono cedere in bianco il prodotto al distributore (solitamente compreso fra le imprese del grande dettaglio o fra industrie maggiore operanti nello stesso mercato). La cessione in bianco è attuata a volte anche delle aziende più grandi, cui sono richiesti particolari formati e confezioni sulla quale il distributore preferisce apporre la sua marca. La marca ha assunto un ruolo di primo piano nel mix di marketing perché è sinonimo di garanzia di qualità del prodotto. Il packaging (imballaggio). Il packaging per certi tipi di beni, ha assunto un'importanza considerevole sotto il profilo promozionale oltre che sotto quello della migliore conservazione del prodotto. Il tipo di confezione è spesso sfruttato per acquisire un vantaggio differenziale, inducendo il consumatore a preferire quel tipo di marca rispetto alle altre poste sul mercato dalla concorrenza. La politica di prezzo. Il problema si concreta nella formulazione del sistema di prezzi da applicare ai prodotti compresi nella gamma e nell'amministrazione dei listini praticati alla clientela. Il primo aspetto riguarda, sostanzialmente, la determinazione dei prezzi di vendita, mentre il secondo concerne la discriminazione e il controllo dei prezzi stessi. Per certe produzioni, è lo stato a fissare i prezzi massimi di offerta è che, in certe circostanze, può essere lo stesso committente a stabilire il prezzo di aggiudicazione del bene o servizio. La fissazione del prezzo assume un rilievo diverso a seconda del mercato servito e del grado di concorrenza tra i produttori. Essa è certamente più importante se l'impresa vende direttamente al consumatore o all'utilizzatore perché, in questo caso, determina e impone il prezzo finale di vendita del bene o servizio. La formulazione del prezzo finisce per essere più o meno strettamente regolamentata all'interno dei mercati oligopolistici. Soprattutto quando pochi produttori detengono il controllo del mercato il prezzo è spesso frutto di intese fra questi ultimi. La determinazione dei prezzi di vendita. Le premesse generali per la determinazione del prezzo di vendita sono: ● Funzione del prezzo in relazione alla segmentazione del mercato e al posizionamento della marca; ● Equilibrio volumi-margini da conseguire; ● Ruolo del particolare prodotto (modello) all’interno della gamma di vendita; ● Peso della politica del prezzo nel marketing mix. La fissazione dei prezzi di vendita avviene, in genere, in due fasi: prima a livello di specifico articolo e, poi, in funzione dell'intera gamma trattata. L'area di manovra risulta definita soprattutto da tre elementi: ● Il costo del prodotto; ● L'elasticità della domanda; ● La pressione della concorrenza (Imitazione o differenziazione). Il metodo più comunemente adottato è quello di basare il prezzo sul costo, cioè aggiungere al costo un certo margine di profitto: è indubbiamente più semplice ma anche più discutibile perché non tiene conto delle condizioni del mercato. Difatti è necessario tener conto sia del grado di elasticità della domanda sia dei prezzi praticati dalla concorrenza. Osserviamo dunque che sulla base di elementi interni (costi) ed esterni (domanda e concorrenza) si dovrebbero determinare i limiti di manovra del prezzo anche se in certi casi questi limiti potrebbero non essere rispettati. La possibile escursione del prezzo dipende da molti fattori fra i quali assumono maggior peso: ● Concorrenza reale (o diretta); ● Concorrenza potenziale: possibile entrata di altri produttori una volta superate certe soglie di prezzo; ● Concorrenza indiretta (prodotti sostitutivi); ● Grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza (premium-price); ● Qualità del servizio fornito insieme al prodotto. Gli orientamenti della politica di prezzo possono essere verso la penetrazione o la scrematura del mercato. Per quanto riguarda la penetrazione del mercato, l’impresa mira a raggiungere il numero più ampio di acquirenti mediante la fissazione di un prezzo minimo È consigliabile quando: ● È possibile ottenere economie di scala ● La differenziazione del prodotto è annullabile in tempi brevi Invece per quanto riguarda la scrematura del mercato, l’impresa si prefigge la conquista successiva di segmenti di mercato sempre meno ricchi, o per meglio dire, di classi di consumatori disposte a spendere sempre meno per acquistare il particolare prodotto. questo obiettivo di scrematura si collega, dunque, ad una politica di prezzi inizialmente elevati e decrescenti nel tempo, il cui fine è la massimizzazione del profitto unitario come via per massimizzare il profitto globale. Si fa preferire quando: ● Il prodotto gode di una protezione diffusa nel tempo; ● Non si presta ad essere accolto immediatamente da larghe fasce di clientela. Per valutare l'interrelazione fra i prezzi dei prodotti venduti, si può calcolare l'indice di elasticità incrociata, cioè - nell'ipotesi di due beni A e B - il rapporto fra la variazione percentuale della domanda del bene A rispetto a quella del prezzo del bene B. Dove: ● E a,b= Indice di elasticità incrociata; ● Va= Domanda del bene A; ● Pb= Prezzo del bene B. E a,b > 1 -> beni intersostituibili (Ad un aumento del prezzo di B corrisponde un aumento delle vendite di A); E a,b < 1 -> beni complementari; E a,b = 0 -> beni non correlati. L'amministrazione dei prezzi di vendita. L'amministrazione dei prezzi di vendita va vista differentemente a seconda che l'offerta sia rivolta al consumatore, al distributore (grande dettaglio) e al dettagliante. Nel primo caso il produttore può decidere autonomamente il prezzo da praticare al cliente in funzione della sua importanza, della quantità acquistata, delle condizioni di pagamento, decidendo il prezzo in base alla scontistica da applicare rispetto ad un listino base. Nell'ipotesi di vendita alla grande distribuzione è frequente l'attribuzione di un'ampia libertà di scelta visto che è sempre più diffusa la pratica delle offerte periodiche con prezzi fortemente scontati. Nel caso, infine, di vendita al piccolo dettaglio il produttore può cedere il proprio prodotto ad un prezzo imposto (fisso), consigliato (da variare entro certi margini prefissati) o del tutto libero. La politica di comunicazione. La promozione può essere definita in generale come il complesso di azioni poste in essere dall’impresa per indurre, preservare o modificare i modelli di comportamento degli operatori di La qualità del marketing: il marketing relazionale e il “Customer Relationship Management” (CRM). Deve consentire di mantenere un adeguato grado di fedeltà dei clienti, in modo da conferire stabilità al portafoglio detenuto. L’incremento della cosiddetta “customer retention” genera difetti significativi effetti sulla profittabilità dell'impresa perché: ● Acquisire nuovi clienti genera costi; ● La fedeltà dei clienti all'azienda aumenta il flusso di ricavi nel tempo; ● Si attiva un processo di passaparola (word of mouth) da parte dei clienti fidelizzati; ● Diminuisce la sensibilità verso le offerte alternative perché aumentano i costi di cambiamento e transizione (switching cost). CRM: sono attività finalizzate a stabilire, mantenere e potenziare una relazione con il consumatore che vada oltre il singolo atto di scambio. L’obiettivo è quello di coinvolgere il consumatore in una relazione individuale (one-to-one), di lungo termine, accrescendone il grado di fedeltà (customer retention). Il Customer Lifetime Value definisce il valore che nel lungo termine un cliente può generare per una determinata impresa Es. Confezione di palline da tennis 10 euro x 10 volte l’anno x 30 anni = 3000 euro 15. La gestione della finanza: investimenti e finanziamenti. La gestione finanziaria. Nella funzione finanziaria si comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a reperire e ad impiegare i fondi aziendali. Essa occupa una posizione centrale nella programmazione di lungo periodo poiché la definizione del piano degli investimenti si pone quale aspetto prioritario della strategia d'impresa. La gestione finanziaria deve essere inquadrata non solo sotto il profilo strategico, ma anche stato quello tattico ed operativo. Mentre nel primo si considerano le decisioni finanziarie di lungo periodo, intese ad ottimizzare l'impiego e la raccolta dei fondi, nel secondo si concludono i compiti di attuazione e di controllo delle decisioni prese. La gestione del piano finanziario richiede, infatti, la creazione e il mantenimento dell'equilibrio tra fonti ed impieghi nel lungo, nel breve e nel brevissimo termine. Deve rispettare i tre tipi di equilibri fondamentali, diversi ma interdipendenti tra loro: ● Deve puntare all'equilibrio economico tra ricavi e costi, da tradursi in divario positivo per la formazione del profitto; ● Deve mirare all'equilibrio finanziario, vale a dire al bilanciamento tra impieghi di capitale e fonti di provvista dello stesso; ● Mantenere l'equilibrio monetario tra entrate ed uscite di cassa, ossia preservare la liquidità nel tempo breve. Le opzioni strategiche e i progetti di investimento. La risorsa finanziaria può rappresentare un vincolo assoluto o relativo: ● Il vincolo assoluto si determina quando è impossibile reperire ulteriori mezzi necessari per dare attuazione all'investimento. ● Il vincolo relativo si configura allorché sussiste un divario sfavorevole tra redditività dell’investimento e costosità del capitale. Dal punto di vista dell'analisi degli investimenti può essere utile distinguere gli investimenti di natura strategica, per i quali l'impresa è chiamata a decidere sul se intraprendere determinati progetti che modificano la sua posizione competitiva, rispetto agli investimenti di tipo operativo, per i quali l'impresa valuta soluzioni alternative per decisioni che non modificano le proprie scelte strategiche. Nel primo caso si tratta di valutazioni complesse che devono tener conto di numerose variabili mentre nel secondo caso si tratta di decisioni di minore rilevanza. L'intensità con cui si presenta il problema degli investimenti varia in relazione alle diverse epoche di vita dell'impresa e all'impatto del progresso tecnologico sulle vicende aziendali. La scelta degli investimenti, a prescindere da valutazioni di tipo etico, è guidata da parametri fondamentali di qualsiasi comportamento imprenditoriale, vale a dire profitto e rischio. A parità di altre condizioni saranno infatti preferiti i progetti che prevedono i margini più elevati di profitto entro un prestabilito coefficiente di rischio oppure che ipotizzano un determinato profitto con il più basso grado di rischiosità. La previsione del fabbisogno finanziario. L'impresa ha bisogno di capitali per finanziare sia i processi di investimento sia la gestione corrente. Il fabbisogno finanziario aziendale è infatti uguale alla somma del capitale fisso, necessario per acquisire le immobilizzazioni materiali e immateriali, e del capitale circolante, occorrente per alimentare il ciclo acquisti- produzione-vendita. L'ammontare del fabbisogno varia, nella sua entità e nella sua genesi, a seconda se ci si trova in fase di costituzione o di funzionamento dell'impresa: nel primo caso si tratta di determinare il fondo di capitale indispensabile per creare la struttura iniziale e per poter coprire le esigenze di finanziamento della fase di avviamento(Startup); nel secondo il problema si concreta nel individuazione del fabbisogno differenziale necessario per alimentare il processo di investimento nelle immobilizzazioni aziendali e per soddisfare le ulteriori esigenze poste dall'esercizio. Il capitale circolante netto è pari alla differenza tra attività e passività correnti. All'interno del capitale occupa una posizione di rilievo il capitale circolante commerciale, rappresentato dalla somma algebrica del valore delle scorte di magazzino, dei crediti commerciali e dei debiti verso fornitori. Nell'impresa bisogna stimare, dunque, il fabbisogno finanziario netto, in modo da prevedere tempestivamente l'esigenza di reperire nuove fonti di copertura (nell'ipotesi di un disavanzo finanziario) oppure individuare le migliori opportunità di impiego di fondi esuberanti. La previsione di questo fabbisogno deve discendere dall’analisi della dinamica finanziaria. Gli strumenti per prevedere tale dinamica sono l’analisi dei flussi di capitale circolante e l'analisi dei flussi monetari. La struttura finanziaria: minimizzazione degli oneri e del rischio finanziario. La struttura finanziaria è determinata dal complesso delle fonti di copertura del fabbisogno aziendale. Le variabili che influiscono sul fabbisogno finanziario sono: ● Le operazioni di investimento e di alienazione dei beni impiegati nella gestione corrente e patrimoniale. ● Il livello delle scorte di magazzino. ● Le condizioni di pagamento applicate ai clienti. ● Le condizioni di pagamento ottenute dai fornitori. ● Il livello di liquidità. La prima incide sul fabbisogno di capitale fisso, mentre le altre sono correlate al fabbisogno di capitale circolante in senso stretto. Il fabbisogno finanziario globale può essere coperto: ● Da mezzi propri; ● Dal risultato economico della gestione; ● Dal finanziamento interno dei soci; ● Dal finanziamento esterno attinto presso i risparmiatori, le banche e i dipendenti. Un'altra forma piuttosto sofisticata di finanziamento a breve è il forfaiting. Il forfaiting riguarda la vendita pro-soluto di effetti cambiari che vengono ceduti in base al loro valore facciale decurtato di un tasso di sconto a forfait. 17. Il processo di innovazione nella gestione aziendale. L'innovazione nella gestione industriale. L’innovazione rappresenta lo strumento fondamentale per costruire il vantaggio competitivo. La causa di fondo è che in mercati sempre più caratterizzati da un eccesso di offerta e l'ampliamento dei confini geografici della concorrenza diventa premiante la strategia di differenziazione ovvero la ricombinazione delle risorse aziendali. Quando si parla di innovazione il riferimento prevalente è alla tecnologia, ma l'inquadramento appare restrittivo se l'innovazione tecnologica è intesa esclusivamente quale innovazione produttiva. Il concetto ampio di tecnologia va al di là della progettazione del prodotto e della realizzazione del ciclo di produzione per comprendere l'insieme dei processi di marketing, investimenti e sistemi direzionali: l'innovazione va cioè intesa quale comportamento sistemico che riguarda tutti gli aspetti della gestione e non solo quelli della tecnologia produttiva. Cosa significa innovazione? Innovazione = Invenzione. ● Invenzione: è una nuova idea, un nuovo sviluppo scientifico oppure una novità tecnologica che non è stata realizzata tecnicamente e materialmente ● Innovazione: è la realizzazione di un invenzione in un nuovo prodotto o processo produttivo ed il suo sfruttamento commerciale. L’innovazione interessa ogni impresa, imprese grandi, medie, piccole; high-tech e low-tech; imprese di prodotto e di servizio; imprese internazionali e imprese locali. L’innovazione si caratterizza per essere multidimensionale e interfunzionale, poiché coinvolge diverse funzioni gestionali e si articola attraverso processi complessi e multipli Rappresenta il superamento tra il percorso Innovativo del tipo technology-push da quello demand-pull. Non è un singolo atto, ma piuttosto può essere interpretata come un processo, non guidato da una rigida sequenza di fasi predefinite, ma da interazioni multiple tra ricerca, tecnologia, produzione, domanda di mercato e istituzioni; Il processo innovativo comprende lo sviluppo di un’invenzione combinata con la sua introduzione sul mercato, la sua adozione e diffusione. Le fasi del processo innovativo. Non tutte le innovazioni superano brillantemente la prova del mercato, anzi, solo una piccola parte riesce a tradursi in un successo commerciale. Ciò perché ogni nuova idea o invenzione deve sottoporsi a 4 tipi di verifiche prima di potersi tradurre in innovazione. Il processo parte dal concepimento di un nuovo prodotto, che potrebbe configurarsi come modifica di un prodotto già esistente (innovazione incrementale) o come messa a punto di un prodotto del tutto nuovo (innovazione radicale). Considerando la seconda ipotesi l'impresa deve valutare la probabilità di successo e verificare le condizioni di effettiva realizzabilità dell'innovazione, attuando questi quattro passaggi: 1. Commerciale: nella misurazione della vendibilità del nuovo prodotto; 2. Produttiva: nella verifica della capacità tecnica di realizzare il nuovo prodotto; 3. Finanziaria: nella verifica della capacità di sostenere gli investimenti per produrre e lanciare il nuovo prodotto; 4. Economica: nella verifica della convenienza economica complessiva dell'operazione (profittabilità e rischiosità dell’innovazione da promuovere). Il rapporto tra innovazione e tecnologia. L’innovazione può presentarsi nell'impresa secondo un'ampia gamma di modalità: ● Cambiamento di una procedura o routine organizzativa; ● Messa a punto di nuove macchine o impianti; ● Nuovo processo produttivo (know how); ● Modifiche nel processo direttivo; ● Modifica dei prodotti esistenti; ● Ideazione di un nuovo prodotto per lo stesso mercato; ● Realizzazione di prodotti per nuovi mercati. Al succedersi delle precedenti ipotesi innovative si potrebbero verificare due fenomeni: ● L'investimento in risorse finanziarie e umane tende ad accrescersi; ● La probabilità di insuccesso e, quindi, il rischio tende a divenire più elevato. Appare utile tornare sulla distinzione tra tecnologia in senso stretto e tecnologia in senso lato. Nel primo caso potremmo parlare di un processo o un insieme di processi che consentono di applicare un complesso di tecniche, di competenze ingegneristiche e conoscenze scientifiche alla produzione industriale. Nel secondo in caso invece parliamo dell'applicazione di conoscenze tecniche e strumenti alla risoluzione di problemi. Quindi non varrebbe la sola tecnologia di produzione, ma anche la tecnologia applicata ad altre aree funzionali ed attività dell'organizzazione di impresa. La produzione di innovazione, da fatto discontinuo e collegato a particolari centri organizzativi, deve diventare fatto continuo e diffuso a tutti i livelli e per tutte le posizioni gerarchiche. La classificazione delle innovazioni. Per potere però meglio comprendere le modalità di organizzazione del processo innovativo, è utile operare una classificazione delle innovazioni sotto una pluralità di aspetti. Sotto il profilo strategico le innovazioni possono essere distinte in: ● Offensive, dirette ad acquisire un nuovo vantaggio competitivo e ad erodere le posizioni di mercato della concorrenza diretta; ● Neutrali, rivolte ad annullare ritardi sotto il profilo dell'efficienza funzionale, in modo da porre l'offerta sullo stesso piano degli altri competitori; ● Difensive, orientate a ridurre il GAP tecnologico (ma non ad eliminarlo) in limiti che non lascino svantaggi competitivi del tutto insostenibili. Un secondo aspetto è rappresentato dalla portata o dall'effetto dell'innovazione che può tradursi in: ● Una novità assoluta (innovazione radicale), ● Nella modifica di innovazioni già sperimentate (innovazione incrementale), ● Oppure in cambiamenti non essenziali di innovazioni già in essere (innovazione marginale). Un altro aspetto molto importante è quello del grado di protezione e salvaguardia dell’innovazione prodotta. Sotto questo profilo le innovazioni si possono classificare in: ● Protette, allorchè sussistono strumenti giuridici di difesa (brevetti); ● Proteggibili, quando la protezione si lega al sostenimento di investimenti promozionali e/o tecnici in grado di scoraggiare il processo imitativo; ● Non protette, nei casi in cui l’imitazione appare semplice e facilmente attuabile da parte dei competitori. Un altro aspetto sotto il profilo economico, riguarda la velocità di recupero dell'investimento nel tempo e vi sono quelle: ● A redditività immediata, che appaiono in grado di presentare una difesa più consistente rispetto alle conseguenze del fenomeno imitativo; ● A redditività diffusa e a redditività futura, che invece devono poter beneficiare, per tempi più o meno lunghi, di meccanismi di protezione. Per quanto riguarda le innovazioni di produzione la classificazione più comune è quella tra: ● Le innovazioni di prodotto, rivolte ad apportare variazioni alla gamma di vendita; ● Le innovazione di processo, intese a migliorare l'efficienza dei cicli di lavorazione; ● Le innovazioni d’impianto, consistenti nella messa a punto di mezzi tecnici con più elevati coefficienti di rendimento. Sotto il grado di impatto dell'organizzazione vi sono: ● Le innovazioni autonome, che possono essere attuate indipendentemente da altre innovazioni; ● Le innovazioni sistemiche, che debbono inserirsi in un sistema di innovazioni e che possono produrre vantaggi solo se accompagnate da altre innovazioni complementari ed accessorie. I modelli organizzativi per la produzione delle innovazioni. È possibile individuare le modalità organizzative secondo la seguente scala crescente di impegno: ● La costituzione di un osservatorio per seguire le innovazioni di mercato e di processo prodotte all'esterno; ● La creazione occasionale di un team interno di ricerca; ● L'istituzione di un gruppo permanente di ricerca; ● L’organizzazione di laboratori e più team di ricerca, sempre interni; ● La costruzione di una rete di ricerca interaziendale. I tipi di impiego del personale e la flessibilità del mercato del lavoro. Attualmente, le forme di impiego atipico più ricorrenti sono il part-time, il lavoro interinale, il lavoro a tempo determinato, il job sharing, il lavoro intermittente (cosiddetto a chiamata) e lo staff leasing. Il part-time configura un’occupazione regolare e volontaria con orario giornaliero o settimanale sensibilmente ridotto rispetto a quello considerato normale. Il lavoro interinale (o in affitto) è una forma di lavoro temporaneo svolto mediante l'intermediazione di un'impresa specializzata, che risulta l'unica titolare del contratto di lavoro in virtù del quale lavoratore si obbliga - nei confronti di quest'ultima - a svolgere la propria attività lavorativa sotto la direzione della cosiddetta impresa utilizzatrice. Si genera, quindi, una relazione che intercorre tra tre soggetti: 1. L'agenzia di lavoro che ricerca, assume e colloca personale presso altre imprese. 2. Il lavoratore subordinato da questa assunto. 3. L'impresa cliente dell'agenzia che utilizza le prestazioni del lavoratore. Lo staff leasing è relativo ad un gruppo di lavoro che è “affittato” a tempo determinato o indeterminato, da un’impresa utilizzatrice. È destinato a soddisfare l'esigenza di gestire delle attività esterne lasciando agli addetti interni le attività principali. Una forma di lavoro temporaneo è quella che può coinvolgere anche i dirigenti ed è identificata come temporary management. Il ricorso al Temporary management può rappresentare una valida risposta ad alcune esigenze. Infatti, un cambiamento organizzativo, l'introduzione di un sistema di qualità, la penetrazione di un segmento di mercato nuovo o in una nuova area geografica, lo sviluppo di nuovi prodotti e/o di ulteriori iniziative imprenditoriali, la successione generazionale e soprattutto le operazioni di risanamento aziendale, richiedono elevata professionalità, quindi esperienza e capacità strategica e operativa. Le forme di retribuzione del personale. L’aspetto retributivo è ovviamente molto importante nella costruzione e nella gestione del rapporto di lavoro. la motivazione economica influenza la produttività del personale e deve essere concepita in modo da attrarre il lavoratore e da farlo permanere in azienda. I fatti di maggiore peso che incidono sulla retribuzione sono rappresentati dalla tipologia del rapporto di lavoro e dall’inquadramento contrattuale. La retribuzione è uno tra gli elementi strategici governati dall’impresa per attrarre, trattenere e motivare la forza lavoro; altri fattori quali il prestigio dell’impresa e del ruolo da attribuire al lavoratore, l'ambiente di lavoro, le opportunità di carriera, e il clima organizzativo, per quanto vadano assumendo una rilevanza crescente, sono comunque complementari. La retribuzione, che sostanzialmente può essere fissa o variabile, di norma si traduce in una regolamentazione più complessa in cui, oltre ad elementi fissi (retribuzione base) e variabili (incentivazione), giocano i cosiddetti fringe benefit, vale a dire servizi concessi ai dipendenti in aggiunta al salario o allo stipendio (auto aziendale, ticket pasto, abitazione, etc). Le imprese che ricorrono alla retribuzioni in forma mista (una quota fissa un’aggiunta variabile) mirano ad ottimizzare l'impiego delle risorse umane e tecniche, migliorando la produttività interna e la prestazione individuale. Gli altri aspetti di amministrazione del personale. Le problematiche relative in particolare alla qualità dell'organizzazione, si sono da tempo' accresciute sotto il profilo normativo con l'introduzione della direttiva comunitaria sulle prescrizioni relative all'ambiente di lavoro e alla tutela della salute dei lavoratori. La messa a norma degli edifici, le procedure di emergenza per l'evacuazione, la prevenzione degli incendi, la cura nel maneggio di sostanze pericolose, etc., costituiscono capitoli essenziali per la sicurezza aziendale. La sicurezza e la salubrità dei posti di lavoro rientrano, peraltro, tra cui fattori soddisfattivi in grado di incidere positivamente sulla motivazione del lavoratore a partecipare e a produrre. Per queste ragioni nell'impresa deve esservi un responsabile della sicurezza e un piano di valutazione dei rischi in grado di garantirne la prevenzione. .
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