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Riassunto libro "Le reti del valore" di S. Chignola e Devi Sacchetto, Appunti di Sociologia Del Lavoro

Riassunto libro "Le reti del valore, produzione e governo della crisi" di S. Chignola e Devi Sacchetto

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 19/02/2023

Gyulliet
Gyulliet 🇮🇹

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Scarica Riassunto libro "Le reti del valore" di S. Chignola e Devi Sacchetto e più Appunti in PDF di Sociologia Del Lavoro solo su Docsity! LE RETI DEL VALORE. MIGRAZIONI, PRODUZIONE E GOVERNO DELLA CRISI di S. Chignola e Devi Sacchetto Introduzione  Dagli anni ’80 all’inizio della recessione nel 2008, il sistema produttivo si è progressivamente esteso in varie direzioni organizzandosi in catene globali e destrutturando le cornici istituzionali-giuridiche nazionali all’interno delle quali si era prodotta la mediazione con la forza lavoro. In questo libro, si analizzano le ripercussioni che si determinano sulla composizione di classe e sui rapporti di lavoro perché questi sono in grado di scardinare e ri- direzionare dal basso la stessa struttura macroeconomica.  I cambiamenti nella composizione di classe in Europa sono connessi al profondo processo di riorganizzazione produttiva degli ultimi 25 anni. I regimi della messa al lavoro oggi sono caratterizzati da evidenti forme di segmentazione e di differenziazione che si sviluppano in modo peculiare all’interno di ogni singolo contesto socio- politico, ma che paiono costituirsi come elemento relativamente omogeneo a livello internazionale.  Nella nuova composizione di classe i migranti costituiscono un elemento centrale (essi sono irriducibili alla figura del lavoratore salariato classico). A questo livello vengono tracciati potenti processi di soggettivazione e la libertà di movimento in Europa, proprio per questo, è anche espressione di un potere dei lavoratori (anche se si muovono da un lavoro precario all’altro).  Se l’ideologia della mobilità individuale (flessibilità, imprenditorialità, attitudine al rischio) contribuisce a creare una rappresentazione del mondo ordinata, nel quadro del neoliberismo delle istituzioni, essa disprezza questa mobilità quando diventa collettiva, come nel caso dei migranti, o quando essa mira alla sottrazione dai lavori più nocivi e dai bassi salari.  In Europa il turnover lavorativo continua a crescere. Esso non costituisce solo un indicatore della generale temporalizzazione dei contratti di lavoro, ma anche un rifiuto sempre più esplicito a permanere nelle mansioni a ritmi costretti e nocivi. I tassi di turnover indicano inoltre che una parte importante della forza lavoro europea, anche precaria, sta modificando l’approccio al lavoro e cerca una sua forma di difesa di fronte all’evidente vortice della produzione.  I flussi produttivi strutturati attraverso catene internazionali del valore riarticolano i processi di gerarchizzazione, razzializzazione e filtraggio della mobilità, definendo continuamente nuove divisioni internazionali del lavoro che operano attraverso il continuo smontaggio e montaggio di ordinamento, giurisdizioni e istituzioni.  L’importanza della logistica risponde proprio all’estensione delle catene produttive finendo per ricostruire su basi apparentemente nuove i rapporti tra gli Stati, la loro sovranità e le società che a essi corrispondono.  L’Europa è attraversata da processi simultanei di migrazione e ridislocazione di processi produttivi e distributivi. I suoi confini non coincidono linearmente con la sua auto-perimentazione istituzionale, prolungandosi al di fuori di quest’ultima e al suo interno (es. esternalizzazione di confini europei con hotspots in altri territori). Capitolo uno - Il lavoratore multinazionale in Europa. Costrizioni e mobilitazioni di R. Andrjiasevic e D. Sacchetto  L’allargamento dell’UE da EU-15 a EU-18 ha generato un dibattito circa l’impatto delle migrazioni provenienti dall’Europa orientale sui processi economici, sull’occupazione e sulle relazioni industriali dell’Europa occidentale. Due diverse posizioni:  Prospettiva del dumping sociale: vede nella migrazione della manodopera un elemento destabilizzante per la struttura occupazionale dell’Europa occidentale. Identificano le cause del dumping sociale nella delocalizzazione produttiva dall’Europa occidentale a quella orientale e nella mobilità della forza lavoro che si muove in senso opposto. Secondo questa prospettiva, la differenza negli standard sociali e salariali tra i paesi dell’Europa occidentale e orientale si tradurrebbe in una pressione verso l’abbassamento degli standard sociali e di vita nei paesi EU-15. Secondo questa prospettiva ci sono tre conseguenze alla libera circolazione del lavoro e del capitale: abbassamento dei salari e degli standard di occupazione nell’EU occidentale, l’indebolimento dei sindacati e il rafforzamento del potere dei datori di lavoro.  Prospettiva integrazionista: ritiene la migrazione un fattore potenzialmente benefico per le prospettive di crescita economica. L’UE-15 avrebbe infatti bisogno di manodopera sia per compensare l’invecchiamento della popolazione sia per quelle mansioni lavorative più nocive e a bassi salari del mercato del lavoro secondario. La circolazione del lavoro e del capitale è presentata come una situazione win-win: - Benefici per Stati d’origine: riduzione della disoccupazione tra i lavoratori non qualificati e aumento dei salari e delle rimesse convogliate nello sviluppo di imprese già esistenti. - Benefici per Stati membri: beneficiano di un allenamento delle tensioni sul mercato del lavoro poiché i lavoratori migranti colmano le lacune che si creano nel settore secondario. - Benefici per migranti: presenza di canali di migrazione e di impiego legali, salari più alti rispetto al paese d’origine e sviluppo di nuove competenze. 1 Entrambe le prospettive offrono importanti elementi in merito ai mercati del lavoro nell’UE. Tuttavia, esse permettono di comprendere solo parzialmente la mobilità della manodopera all’interno dell’UE e i suoi effetti sulla struttura del mercato del lavoro.  Gli studi sul lavoro e sulle relazioni industriali incontrano una certa difficoltà nel comprendere i cambiamenti in corso generati dalla mobilità del lavoro intra-UE per due ragioni: 1. Gli studiosi sviluppano le loro riflessioni a partire da un modello classico dei flussi migratori che interpreta la migrazione come un movimento lineare da un luogo (di partenza) a un altro (di destinazione) o come flusso circolare. Il problema sta proprio nel descrivere la migrazione come un movimento lineare – singolo o ripetuto – tra due paesi. 2. Gli studiosi considerano la migrazione della manodopera dal punto di vista dello stato, delle imprese e/o delle organizzazioni sindacali, mentre la prospettiva dei lavoratori è spesso trascurata.  Tali approcci restringono dunque il campo di analisi. Per comprendere i modelli migratori emergenti e i fenomeni di controllo e tensione che si sviluppano nei luoghi di lavoro, è necessario sviluppare una “contaminazione incrociata” tra gli studi del lavoro (studia l’inserimento della manodopera migrante nel mercato del lavoro) e la sociologia delle migrazioni (analizza il punto di vista dei migranti).  Ricerca negli stabilimenti della Foxconn nella Repubblica Ceca, si sostiene che la mobilità della forza lavoro sia sostenuta dalle prospettive offerte dal mercato del lavoro dell’UE allargata e dal desiderio soggettivo dei migranti di migliorare le proprie opportunità sociali e lavorative. Nell’analisi si include la soggettività dei migranti, al fine di comprendere come all’interno dell’UE stia emergendo un modello di mobilità geografica e lavorativa dei lavoratori che si rivela ben lunghi da uno sviluppo lineare o unidirezionale. Nella prospettiva adottata, la mobilità del lavoro rappresenta un campo analitico e politico chiave per studiare sia le tensioni generate dal lavoro migrante sia lo sviluppo di quello che si definisce “lavoratore multinazionale”.  L’analisi si basa sulla prospettiva dell’autonomia delle migrazioni che concepisce la migrazione come una forma collettiva di uscita da ambienti in cui il movimento dei lavoratori è controllato dal capitale o dallo stato. I lavoratori migranti utilizzano lo spazio europeo a loro vantaggio comparando condizioni, salari e costi di riproduzione, e optando per le opportunità che si adattano meglio alle loro esigenze.  L’articolo adotta metodi etnografici e osservazione partecipante. Principali risultati: - L’Unione Europea è un mercato aperto ma stratificato. La libertà di movimento sta producendo una forza lavoro più consapevole della dimensione europea del mercato del lavoro, delle strategie di movimento da un paese all’altro e delle modalità attraverso le quali è possibile ottenere un lavoro nei diversi stati europei (comparano salari, condizioni lavorative in contesti diversi, ecc.) - Per accedere al mercato del lavoro dell’UE allargata, i lavoratori ricorrono sia ai percorsi istituzionali (agenzie del lavoro temporaneo) sia alle reti sociali informali (familiari e amici). - I migranti per lavoro dell’UE allargata sono cittadini UE, pertanto a loro sono garantiti diritti e doveri. Per quanto riguarda l’accesso al lavoro e alle agevolazioni sociali e fiscali, essi devono godere delle stesse opportunità degli autoctoni. L’attuale migrazione intra-europea è tuttavia complessa e frammentata in quando fondata su un regime di mobilità differenziale. Infatti, le limitazioni temporanee (che permettono agli stati di limitare il movimento dei lavoratori provenienti dai nuovi stati membri per 2, 5 o 7 anni a partire dalla data d’ingresso) differenziano il mercato del lavoro in modo più che sensibile. Pertanto, la mobilità del lavoro intra-europea sta avvenendo all’interno di un mercato del lavoro “aperto” ma profondamente stratificato. La mobilità del lavoro non è quindi guidata solo dalle comparazioni che i migranti mettono in campo tra condizioni di lavoro, salari e costi della riproduzione nei diversi paesi, ma anche da specifici processi sociali e da meccanismi di regolamentazione statali ed europei dei flussi. - I lavoratori migranti europei percepiscono la loro occupazione alla Foxconn come temporanea, sia a causa della stratificazione del mercato del lavoro, sia in conseguenza delle loro stesse strategie migratorie. La stratificazione del mercato del lavoro è visibile negli stabilimenti: la forza lavoro è composta da lavoratori assunti direttamente e indirettamente. I primi sono in maggioranza cechi e un n ridotto di ucraini, vietnamiti e mongoli, mentre il secondo è composto da sloveni, polacchi, rumeni e bulgari, e sono stati assunti con contratti di breve durata attraverso agenzie del lavoro temporaneo (sono il 40% della manodopera totale, raggiungono il 60% nei periodi di picchi produttivi). La Foxconn occupa i lavoratori delle agenzie per abbassare i costi del lavoro e ottenere una forza lavoro flessibile nel lungo periodo, così da rispondere sia alla domanda stagionale di produzione just in time sia alla pressione per il taglio dei costi imposta all’azienda dai clienti. - I lavoratori delle agenzie accettano lunghi turni di lavoro e salari bassi, inoltre anche quando i lavoratori hanno accumulato una grande esperienza, hanno scarse opportunità di migliorare la loro posizione o di avanzare di ruolo. - I lavoratori interinali alloggiano solitamente in dormitori situati accanto allo stabilimento e in città che ospitano tra i 200 e 1000 lavoratori. Se da un lato l’alloggio presso i dormitori produce una segregazione sociale e spaziale rispetto al contesto e ai lavoratori locali, dall’altro esso garantisce agli operai un certo livello di socialità tra connazionali e un continuo scambio di informazioni rispetto al lavoro alla Foxcoon, ad altre opportunità di lavoro e agli eventi sociali. 2  Hanno coinvolto i media nazionali (che hanno mantenuto l’attenzione pubblica e la pressione sulle diverse imprese coinvolte) e hanno utilizzato i social media come FB, Twitter e YouTube, con il risultato di mobilitare non solo la comunità del campus universitario, ma anche comuni cittadini.  Dopo due giorni di sciopero, nel 2014 l’Università hanno accettato le condizioni della campagna.  Le questioni della “rappresentanza legittima” e il riconoscimento sindacale conteso tra i due sindacati (Unison e IWGB) hanno attraversato la campagna: IWGB riteneva di essere la sezione sindacale più numerosa tra gli esternalizzati e considerava illegittimi gli accordi sottoscritti da Unison a nome dei lavoratori. Nonostante le richieste esplicite dei lavoratori, l’Università e l’impresa d’appalto hanno rifiutato di negoziare con i rappresentanti di 3 Cosas.  Per i lavoratori esternalizzati il riconoscimento sindacale ha una funzione ambivalente: apprezzando da un lato i benefici di un riconoscimento formale, i lavoratori migranti erano consapevoli dei costi potenziali della formalizzazione (dà l’opportunità ai “padroni” di controllarsi, di evitare scioperi selvaggi e azioni a sorpresa).  In conclusione, l’espressione sindacale e la rappresentanza nel posto di lavoro si muovono lungo strategie più o meno informali in contrasto coi modelli tradizioni che considerano i canali istituzionalizzati come il mezzo più efficiente di per rappresentare le istanze dei lavoratori “senza voce”. Il sindacalismo ibrido supera la netta distinzione tra organizzazione sindacale tradizionale bassata sulla contrattazione collettiva o sull’azione diretta da un lato, e sciopero e rappresentanza legale di istanze individuali dall’altro. Capitolo quattro – In equilibrio su un piano inclinato. Lavoratrici e lavoratori migranti tra flessibilità, disoccupazione e lavoro nero di Francesca Alice Vianello  I lavoratori migranti sono impiegati nei settori occupazionali maggiormente interessati dai processi di informalizzazione (consente una maggiore flessibilità organizzativa e produttiva alle imprese, mediante l’esternalizzazione del rischio).  La casualizzazione – ossia la diffusione di occupazioni precarie, contratti a termine privi delle tutele fondamentali e il crescente ricorso al reclutamento di manodopera tramite agenzie o reti sociali di tipo comunitario e familiare – è una delle componenti chiave dell’informalizzazione.  Il presente saggio intende analizzare le traiettorie lavorative di uomini e donne migranti marocchini e rumeni, residenti regolarmente in Veneto negli anni della crisi economica. Inoltre, si indaga come il processo di casualizzazione e informalizzazione assuma forme differenti in base al genere degli individui e a sua volte produca effetti diversi sulle relazioni di genere.  I migranti negli anni ’90 si sono inseriti in un contesto caratterizzato da un ampio e radicato settore informale, rivelandosi presto una manodopera conveniente perché lo status irregolare impediva loro di accedere al mercato del lavoro formale. Settori principali: agricoltura, costruzioni, servizi alla persona e la piccola industria manifatturiera. La disponibilità di lavoratori vulnerabili ed economicamente convenienti ha favorito la riproduzione e l’espansione dell’economia sommersa in Italia.  Le sanatorie di massa degli anni ’90 e 2000 e l’acquisizione della cittadinanza europea consentono e, al contempo, spingono una quota importante di donne e uomini migranti a lavorare nel mercato del lavoro formale. Tuttavia, essi rimangono intrappolati nei settori occupazionali interessati da marcati processi di informalizzazione e casualizzazione del lavoro, esponendo i migranti a un elevato rischio di povertà.  La crisi economica ha incrementato i tassi disoccupazione tra i migranti e convogliato tali lavoratori verso occupazioni ancora più precarie e caratterizzate da bassi salari.  Dalla ricerca emergono due tendenze: il ritorno delle migranti al lavoro domestico e la precarizzazione lavorativa ed esistenziale degli uomini migranti.  Il settore del lavoro domestico e di cura sta assorbendo una significativa porzione dell’offerta di lavoro femminile, sia migrante sia nativa. Alcune delle donne intervistate hanno perso la propria occupazione nell’industria e hanno ripiegato in questo settore, alcune lavorando regolarmente e altre irregolarmente. I servizi di cura e domestici sono il settore maggiormente interessato dal lavoro irregolare o grigio, fenomeno che probabilmente si è intensificato durante la crisi economica perché le famiglie italiane hanno cercato di ridurre le spese. Inoltre, l’ingresso nel settore di una quota significativa di manodopera precedentemente occupata in altri comparti, ha aumentato la competizione abbassato le condizioni di lavoro.  Oltre a forme di lavoro completamente irregolari, alcune forme di lavoro grigio sono: 1. Assumere le lavoratrici con un contratto part time e pagarla in nero il resto del tempo 2. Assumere la lavoratrice con un contratto a tempo pieno ma chiederle di lavorare anche durante le ore di riposo 3. Impiegare un’assistente familiare a tempo pieno ma chiederle di svolgere anche altre mansioni (stirare, fare da baby sitter o fare le pulizie)  La crisi economica e i processi di informalizzazione e casualizzazione spingono le migranti verso la sfera domestica: alcune lavorano in nero o contratti semi-irregolari, altre sono costrette a rinunciare al lavoro retribuito per prendersi cura dei figli. In entrambi i casi il ritorno al lavoro domestico si traduce in un forte isolamento che erode la capacità di autodeterminazione delle donne. 5  Gli uomini continuano a lavorare nel settore manifatturiero o trovano impiego nelle cooperative della logistica, ma sono interessati da un’intensificazione della precarietà, derivante da contratti di lavoro sempre più brevi, frequenti periodi di disoccupazione e peggioramento generale delle condizioni di lavoro. Anche nel caso degli uomini, sono numerosi gli intervistati che integrano il reddito lavorando in nero o in grigio, ma in una gamma più ampia di settori rispetto alle migranti (attività occasionali di trasporto, manutenzione o giardinaggio, vendita ambulante).  L’analisi delle carriere lavorative dei migranti mette in luce il processo di intensa precarizzazione a cui essi sono sottoposti e le strategie adottate per rimanere in equilibrio a fronte dell’instabilità lavorativa. Tuttavia, l’insicurezza lavorativa rende più precaria anche l’identità di genere degli intervistati, in particolare per gli uomini che a causa delle ristrettezze economiche non sono in grado a rispettare le norme sociali che definiscono e costruiscono l’identità dell’uomo adulto > mentre i celibi non riescono a sposarsi, i migranti che hanno lasciato nel paese di origine mogli e figli non dispongono dei requisiti economici necessari per ottenere il ricongiungimento familiare. Chi vive in Italia con la sua famiglia realizza che il modello del male breadwinner non è concretizzabile, mentre è sempre più indispensabile il doppio salario per essere in grado di sostenere economicamente i frequenti periodi di disoccupazione che interessano tanto le donne quanto gli uomini.  Per gli uomini i processi di informalizzazione e casualizzazione inducono un ripensamento dei ruoli di genere, poiché non solo sono obbligati a riconoscere le proprie debolezze e l’indispensabilità del salario femminile ma, alcuni di essi, trascorrendo più tempo a casa, iniziano a contribuire alle mansioni riproduttive. Tuttavia, questo avviene solo in parte, perché altri rimangono aggrappati a una rigida divisione sessuata del lavoro, probabilmente per proteggere e confermare la propria mascolinità. Capitolo cinque – Lo sfruttamento umanitario del lavoro. Ipotesi di riflessione e ricerca a partire dal caso delle campagne del Mezzogiorno di Enrica Rigo e Nick Dines  Accostare il termine “sfruttamento” a quello “umanitario” significa riflettere su come l’apparato umanitario produca una sua peculiare economia politica di gestione e sfruttamento della forza lavoro migrante.  Negli ultimi anni diversi studiosi hanno evidenziato come il dispositivo umanitario abbia assunto un ruolo sempre più centrale nella politica a tutti i livelli (es. amministrazione quotidiana della povertà). Eppure, l’umanitarismo (inteso come insieme di pratiche di governo che mirano a salvare vite, ridurre sofferenze, ecc.) porta con sé aspetti paradossali: dalla riproduzione delle relazioni di potere diseguali all’utilizzo della forza armata. Il presente contributo mira ad aprire una riflessione su come l’apparato umanitario riconfiguri il lavoro e le relazioni produttive: non limitandosi a guardare a come la figura del lavoratore migrante venga continuamente rappresentata in quanto vittima di soprusi, ma a come la ragione umanitaria penetri la gestione della forza lavoro mettendola a valore. Es. il governo umanitario del lavoro sembra riconoscere solo due attori – le vittime e i carnefici (caporali) – rendendo irriconoscibili altre forme di ingiustizia, potenziali risposte o soggettività alternative.  Il caso dei lavoratori agricoli nelle campagne del Mezzogiorno offre una buona lente per mettere a fuoco alcune questioni.  Le trasformazioni nella composizione della forza lavoro, avvenute in anni recenti, rivelano una crescente quota di quelle che un tempo erano indicate come migrazioni forzate utilizzate come forza lavoro a basso costo. Dagli anni ’80, l’affacciarsi sulla scena della manodopera migrante ha coinciso con la ristrutturazione industriale dell’agricoltura meridionale e la trasformazione della filiera produttiva. Le catene della grande distribuzione hanno assunto un potere quasi assoluto nel dettare i prezzi, mentre la manodopera rappresenta l’unico costo dove i produttori hanno qualche margine di controllo. La sostituzione del bracciantato autoctono con quello migrante ha coinciso con la riforma del collocamento, che si è innestata in un settore caratterizzato dalla prevalenza della contrattazione decentrata, contribuendo alla frammentazione della sua regolamentazione. La composizione del bracciantato agricolo è ciclicamente investita dalle più ampie trasformazioni politiche a livello internazionale. Nell’entroterra della Basilicata nei primi anni ’90 sono arrivati lavoratori albanesi seguiti da Nord Africani, a cui si sono sostituiti, negli anni, i cittadini dei paesi dell’Europa orientale. Le insurrezioni del 2011 hanno riportato negli stessi luoghi, per un breve periodo, i lavoratori tunisini, mentre le più recenti crisi internazionali fanno segnare la crescente presenza di lavoratori provenienti dall’Africa sub-sahariana. Le condizioni lavorative sono spesso critiche. La responsabilità di tali condizioni di lavoro viene attribuita dal discorso pubblico e mediatico al sistema del caporalato. Tuttavia, è bene ricordare che i caporali sono sì talvolta violenti, disonesti e approfittatori, altre volte però sono essi stessi migranti, ex braccianti, che instaurano un rapporto di reciproca fiducia con i connazionali. Condizioni del lavoro pessime si riscontrano anche in aree dove il caporalato è del tutto assente o dove il ruolo di intermediazione è legalmente svolto da società che offrono servizi in “conto terzi”. Mentre in passato era considerato un’occupazione temporanea, sovente svolta per ottenere i “documenti” necessari per poi spostarsi alla ricerca di un inserimento occupazionale nel tessuto industriale, oggi è sempre più spesso un’occupazione duratura, anche se stagionale e ciclica. I migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana si spostano da una zona all’altra seguendo i cicli della produzione agricola. I lavoratori dell’EU centro-orientale (maggiore mobilità 6 transfrontaliera) si divino tra lavoratori assegnati a mansioni che perdurano tutto l’anno e lavoratori “stagionali” che possono sopportare pessime condizioni di lavoro ed essere esposti ad abusi e sfruttamento. Guardando il n di ingressi che l’Italia in passato ha assorbito, la “crisi dei rifugiati” ne risulta in parte ridimensionata. Sono venuti a meno i percorsi atti a stabilizzare la posizione dei migranti come portatori di diritti che, per quanto discutibili e di difficile praticabilità, avevano almeno formalmente giustificato le politiche migratorie degli ultimi decenni. Dunque alle profonde trasformazioni della composizione del lavoro e della produzione agricola non sono corrisposte analoghe misure sul piano delle politiche sociali e del lavoro. La sostituzione della manodopera migrante a quella autoctona ha comportato che la materia sia stata relegata a questioni di ordine pubblico, da gestire, non con gli strumenti delle politiche sociali e del diritto del lavoro, bensì con quelli dei decreti flussi e delle politiche di controllo dei confini.  Ai picchi stagionali della produzione agricola si accompagnano ciclicamente le “emergenze abitative” per i lavoratori che si radunano nei diversi “ghetti” sparsi per le campagne del sud Italia, le quali vengono affrontate quasi sempre con strumenti pensati per la gestione dei profughi (es. campi allestiti dalla Protezione Civile o Croce Rossa), anziché attraverso politiche sociali e abitative (che non vengono nemmeno prese in considerazione). Le strutture di accoglienza per richiedenti asilo sono quasi sempre collocate lontano dai centri abitati e dunque sembrano assolvere un ruolo di contenimento e disciplinamento più che la tappa di un percorso volto all’integrazione nel tessuto sociale. Es. operazione “Capo free Ghetto off” della Regione Puglia che tentò di spostare i lavoratori in tendopoli allestite dalla Protezione civile. Ci si chiede per quale ragione a una componente ciclicamente strutturale della manodopera agricola debba essere riservato un trattamento che riduce i lavoratori alla guisa di profughi. Ci sono conseguente sul piano giuridico e pratico, ad es. non avere una casa o un indirizzo ufficiale si traduce in un impedimento ad accedere ai servizi sociali o a rinnovare il permesso di soggiorno.  La denuncia pubblica e mediatica delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori – nonché le misure volte a contrastarlo – si concentrano più sugli abusi personali che sulle relazioni lavorative e le modalità della produzione. Il risultato è quello che definito come una “riduzione a profughi” dei lavoratori, privati di soggettività e rappresentanti come vittime da tutelare. Lo sfruttamento viene incorporato dal diritto come una sorta di patologia nel rapporto tra le parti. La violenza, la minaccia o l’abuso della posizione di vulnerabilità della vittima, producono una corruttela della relazione altrimenti egualitaria tra le parti, ovvero del contratto di livero scambio. La traduzione giuridica dello sfruttamento riduce il ruolo degli attori in campo alle sole vittime e ai loro carnefici.  Lo sfruttamento umanitario si dimostra un ossimoro produttivo nella misura in cui rimette al centro del discorso la valorizzazione delle relazioni in campo, ovvero, l’estrazione di valore propria della nozione di sfruttamento, al di là della dimensione dell’abuso, della coercizione, della violenza privata. Non si tratta di negare la possibilità di riconoscere – e reprimere – forme di sfruttamento lavorativo, bensì di puntare nuovamente i riflettori sulla produzione, nonché sulla catena del valore. Capitolo sei – Appunti per una teoria politica delle migrazioni. Potere sociale e politicizzazione della differenza di Maurizio Ricciardi  Una teoria politica delle migrazioni dovrebbe considerarle in maniera non moralistica, stabilendo i margini di un discorso in grado di dare ragione del modo in cui i movimenti dei migranti modificano materialmente le strutture istituzionali, i rapporti di potere e i concetti fondamentali della politica moderna.  L’articolo indaga come, sebbene i migranti non possano essere considerati un soggetto unitario, le migrazioni siano un processo politico in grado di ridefinire in maniera significativa il fondamento di legittimità dello Stato > i migranti mettono costantemente in tensione una figura politica fondamentale come la rappresentanza, finendo per favorire la de-costituzionalizzazione dello Stato moderno.  Le migrazioni sono sempre esistite: prima della globalizzazione, ci sono stati gli esiti del processo di decolonizzazione, che hanno messo in crisi il sistema ordinato degli Stati (sono nati nuovi Stati).  È importante sottolineare l’effetto congiunto che le migrazioni e il neoliberismo hanno prodotto e continuano a produrre sulla forma contemporanea dello Stato. Le migrazioni diventano un problema politico quando obbligano in continuazione la ridefinizione delle funzioni statali.  Secondo A. Sayed, nello status politico l’immigrato è un “non nazionale” che, in quanto tale, non può che essere escluso dal politico.  Il globale produce un cambiamento di scenario perché il movimento di uomini e donne attraverso i confini e le nuove tecnologie di comunicazione e trasporto hanno riconfigurato – se non eroso – la sovranità. Le migrazioni e l’uso politico che di quelle tecnologie ha fatto il neoliberismo hanno stabilito una cesura nella lunga storia dello Stato moderno. I migranti si confrontano non solo con lo Stato, ma anche con logiche e coazioni solo parzialmente governate dall’istituzione statale.  Nel governo transnazionale delle migrazioni il rapporto dei migranti con il politico trova un’articolazione differente rispetto all’orizzonte dello Stato nazionale (definito da Giddens “un contenitore di potere con dei confini”). 7 anche per completare l’intero ciclo produttivo a prezzi più contenuti. Sono state delocalizzate attività anche ad alta intensità di capitale (es. stampa dei tessuti) > sono iniziative gestite dai terzisti con una lunga esperienza all’estero, ma talvolta anche dalle aziende committenti > alcuni grandi gruppi industriali hanno edificato o acquistato in loco stabilimenti produttivi ridiscutendo su questa base i prezzi delle commesse e mettendo alla prova la “disponibilità” dei subfornitori a spostarsi altrove (es. Geox e Paciotti inizialmente si affidavano ai terzisti, ora i committenti sono andati in Romania e pretendono di pagare meno che prima).  L’asimmetria che connota il rapporto tra committenti e terzisti sui quali vengono scaricati le flessioni del ciclo economico e gli eventuali insuccessi si riflette anche sui processi di autenticazione sociale delle merci (le aziende italiane preferiscono avere contatti con le aziende italiane in Italia. Lo si fa per il marchio e l’immagine. Una ditta italiana non chiuderà l’azienda in Italia per spostare tutto in Romania). La maggior parte delle merci prodotte nell’Est Europa è destinata al mercato occidentale e commercializzata anche attraverso noti brand la cui immagine non vuole essere “intaccata” dal fatto che intere linee produttive vengono realizzate all’estero.  Il “made in Italy” può essere utilizzato sia nel caso che vi sia stata effettuata un’ultima trasformazione o una lavorazione sostanziale. Si comprende quindi la tendenza delle aziende a voler garantire una cerca visibilità alle sedi operative in Italia mantenendo basso il profilo di quelle situate nei Paesi a basso costo in cui producono dove è difficile attestarne la presenza anche attraverso il forte controllo sulla diffusione di tali informazioni esercitato sui terzisti.  Al progressivo occultamento del lavoro, disperso nello spazio geografico e rarefatto nel dibattito politico è corrisposta l’enfasi sulle componenti immateriali dei prodotti e l’importanza attribuita alle strategie di comunicazione con i consumatori. Queste attività hanno concorso a spostare l’attenzione dai processi produttivi al cliente circolazione.  L’enfasi sulla componente immateriale, particolarmente evidente nelle scelte strategiche e nei modelli organizzativi dei grandi gruppi internazionali detentori del brand, fa leva sull’oscuramento della dimensione del lavoro nel meccanismo della subfornitura nei Paesi a basso salario.  Un altro nodo significativo nell’analisi dei meccanismi attraverso i quali si procede all’attribuzione del valore nell’ambito delle produzioni delocalizzate in Paesi a bassi salari sono le pratiche di consumo “consapevole” da parte di soggetti che in alcuni casi hanno materialmente realizzato quelle merci che non possono acquistare (merci che magari vengono rubate e vendute al mercato nero, merci di seconda mano, ecc.). Es. ex operaia in Romania migrata in Italia che racconta come è riuscita ad “usare” a proprio vantaggio quelle stesse merci (compra e rivende in Germania). Capitolo nove – Genere, lavoro e deindustrializzazione nello spazio post-jugoslavo. Eredità socialista e competizione globale nell’industria tessile di Chiara Bonfiglioli  Il saggio si concentra sui processi di globalizzazione, deindustrializzazione e intensificazione del lavoro che hanno trasformato lo spazio post-jugoslavo negli ultimi 20 anni. In particolare, si propone di fare luce sulla soggettività delle lavoratrici del tessile nello spazio post-jugoslavo, e in particolare sul processo di soggettivazione creato dall’industrializzazione socialista e dall’autogestione, che è poi risultato profondamente trasformato nel corso della deindustrializzazione post-socialista.  L’autrice riprende il termine structure of feeling – “struttura del sentimento” o “struttura affettiva” – utilizzato per indicare la specifica visione del mondo creata dall’industrializzazione in un tempo e luogo specifico. Tale struttura affettiva consiste in un insieme di valori etici e morali e in una visione del mondo che viene messa in discussione con la chiusura delle fabbriche e con la scomparsa dello spazio industriale in cui gli operai facevano parte.  Il caso studio è la fabbrica di maglieria Arena di Pola, fondata nel 1948 e chiusa nel 2014, dopo svariati anni in perdita, dopo che le 62 lavoratrici rimane non ricevevano lo stipendio da otto mesi.  Le narrazioni delle lavoratrici testimoniano di come durante il sistema dell’autogestione fosse possibile attivare dei meccanismi di partecipazione e riconoscimento che sono divenuti inimmaginabili nel periodo post-socialista attuale. La percezione di contribuire al progresso della fabbrica e al benessere collettivo, portavano molte lavoratrici a sentirsi soggetti attivi nel processo di produzione o, quantomeno, a cercare un tipo di protezione sociale da parte della fabbrica e dello stato che oggi è assente.  La disgregazione della Federazione jugoslava ha comportato anche la percezione di una perdita della sovranità nazionale, o meglio federale, che permetteva al paese di mantenere una posizione di parità – o almeno non subalternità – sul mercato globale. Il processo di modernizzazione industriale permetteva ai cittadini jugoslavi di sentirsi parte dell’Europa in senso lato. Al contrario, i paesi dell’ex Jugoslavia si trovano oggi alla periferia dell’UE.  Per le donne nella Jugoslavia socialista è necessario ricordare che il lavoro veniva presentato come un fattore fondamentale di emancipazione femminile. Nel dopoguerra i congedi di maternità, le mense, gli asili in fabbrica e la possibilità di ridurre l’orario di lavoro facevano parte del contratto di genere modellato sulla figura della “madre- lavoratrice”, che era tipico dei paesi socialisti. Di fatto, tali servizi non riuscirono mai a risolvere le diseguaglianze di genere nella sfera pubblica e privata, lasciando la maggioranza delle donne alle prese con la “doppia fatica” del lavoro produttivo e riproduttivo. Il lavoro come necessario orizzonte di vita è un elemento ricorrente nelle narrazioni delle lavoratrici del tessile nello spazio ex jugoslavo. 10  Le donne erano concentrate in mansioni meno redditizie e in settori ad alta intensità di manodopera come il tessile. Malgrado i suoi limiti, il processo di emancipazione socialista permise alle donne un ampio accesso al mondo dell’industrializzazione e del lavoro da cui erano precedentemente escluse.  Le fabbriche tessili, ad alta manodopera femminile, rappresentavano una seconda casa che offriva alle donne lavoratrici uno spazio di socialità, sicurezza e mobilità sociale. Le donne spesso cominciavano a lavorare a 16 anni. Le fabbriche tessili erano centri comunitari e ridistributivi. Soprattutto nelle cittadine di piccole e medie dimensioni esse erano al centro della vita della comunità e contribuivano allo sviluppo dell’economia locale. I lavoratori godevano di una serie di diritti e tutele sociali (ferie pagate, alberghi convenzionati, assicurazioni, mensa in fabbrica, clinica medica ecc.)  Le ex lavoratrici di Arena ricordano la solidarietà tra colleghe, le feste, le escursioni organizzate dal sindacato, i premi distribuiti per i 20-25-30 anni di servizio. Non mancano i riferimenti alla qualità dei prodotti e al fatto che venivano esportati in tutti i continenti. Nonostante i benefici, ricordano le paghe molto basse il lavoro a cottimo molto pesante (era di norma e il salario era calcolato in base al raggiungimento di tale obiettivo).  La struttura affettiva creatasi all’interno di Arena viene a dissolversi con la chiusura della fabbrica e con il processo di deindustrializzazione Come la Jugoslavia, la fabbrica era vista come un’entità permanente, la cui dissoluzione non poteva essere concepita né immaginata.  Le ex lavoratrici richiamano il sacrificio delle generazioni di donne precedenti, che avevano accettato condizioni di lavoro molto difficili e si erano sacrificate per il progresso collettivo. Il lavoro rappresentato come sacrificio per la patria era un topos del discorso ufficiale socialista e questa concezione del lavoro è entrata a far parte a pieno titolo della struttura affettiva interiorizzata dalle lavoratrici. Il lavoro viene visto come un universo di produzione di senso, e come qualcosa di necessario, la cui mancanza mina la stabilità collettiva.  Lo sciopero tenutosi prima della chiusura della fabbrica (hanno scioperato per essere pagate) viene percepito come un capovolgimento dei valori interiorizzati nel periodo socialista, e quindi come un processo di svalutazione estrema del proprio lavoro. Tali sentimenti di svalutazione e di declassamento sono tipici del periodo post-socialista, anche là dove le lavoratrici continuano a lavorare in imprese private.  Come cercato di dimostrare nel saggio, la percezione soggettiva di aver perso sicurezza e diritti sul piano del lavoro non è solo un fatto di nostalgia per il socialismo, ma è l’effetto di precisi processi materiali di spoliazione e profitto innescati dalla dissoluzione della Jugoslavia e dall’avvento di oligarchie nazionaliste che hanno accumulato gran parte delle risorse industriali ed economiche definite come proprietà sociale delle classi lavoratrici nel periodo socialista.  Tali fenomeni locali si sono intersecati con la competizione economica globale e con la ri-periferalizzazione dei paesi dell’Europa post-socialista nel corso del processo di allargamento dell’UE.  Con il processo di deindustrializzazione molte donne hanno perso il lavoro e sono state spinte nella sfera del lavoro informale, il che ha accresciuto la dipendenza dalla famiglia allargata. Il processo di ritradizionalizzazione delle relazioni di genere non è avvenuto solo per via delle ideologie nazionaliste che hanno rappresentato le donne come confini e simboli della nazione, ma anche a causa di processi materiali di impoverimento e precarizzazione.  È importante sottolineare come questi processi hanno incontrato varie forme di resistenza da parte delle classi lavoratrici e della società civile nello spazio post-jugoslavo.  Oggi molti lavoratori, lavoratrici e giovani esercitano il loro diritto di fuga con la migrazione verso l’EU occidentale. Capitolo dieci – Multinazionali, lavoratori e sindacato in Brasile. La tutela delle condizioni di lavoro tra intervento normativo e conflitto giudiziario di Davide Bubbico  La legge sul lavoro (CLT) interviene ancora oggi su un’ampia platea di diritti individuali, ma limita quelli di natura collettiva restringendo enormemente lo spazio della contrattazione.  Il recente avvento di una coalizione di destra al governo del paese, dopo la destituzione attraverso un golpe istituzionale di Rousseff dalla carica di Presidente della Repubblica, abbia inserito nel proprio programma proprio la possibilità che la contrattazione collettiva possa derogare alle CLT.  Questo limite emerge quando si osserva la quasi totale concentrazione della negoziazione sulla parte salariale. Da questo punto di vista, pur non esistendo formalmente un limite all’azione sindacale sugli altri aspetti se non per la pervasività della legge, la difficoltà a negoziare sugli altri temi delle condizioni di lavoro dipende oltre che dai rapporti di forza da una debolezza tradizionale sulla contrattazione su questo tema, che deriva proprio dalla forte ingerenza della legge su tale materia.  La garanzia di avere comunque una posizione di monopolio nella rappresentanza, insieme a significativi introiti economici garantiti dalla contribuzione obbligatoria, sono fattori che in molti casi riducono una presenza attiva del sindacato, spesso di quello non affiliato ad alcuna centrale sindacale e con un profilo debole sul piano ideologico.  Per tali ragioni, il sindacato brasiliano conserva ancora oggi la forma organizzativa degli anni Trenta.  La dipendenza del sindacato dallo Stato ha come contropartita la sua indipendenza dai lavoratori. I 3 elementi di questa dipendenza risiedono nel riconoscimento giuridico del sindacato, nel principio del sindacato unico che assicura una posizione di monopolio nel campo della rappresentanza e nella contribuzione obbligatoria. 11  In un paese dove sono assenti contratti collettivi nazionali di lavoro (tranne che per banchieri e per il settore petrolifero) la possibilità di stipulare accordi sindacali differenziati a seconda della presenza o meno di un sindacato forte costituisce per le multinazionali uno scenario di sicuro vantaggio (come testimonia l’assenza di qualsiasi forma di coordinamento tra i sindacati presenti all’interno delle imprese multinazionali che hanno nel paese diversi stabilimenti).  Anche per questa ragione i conflitti sindacali, quando non hanno problematiche di interesse generale, finiscono per essere sempre circoscritte al singolo stabilimento, mentre l’estrema normazione degli scioperi e l’assenza della pluralità sindacale depotenziano le forme potenziali di conflitto, soprattutto là dove il sindacato è l’espressione diretta dell’impresa o di gruppi interessati esclusivamente alla contribuzione obbligatoria e non alla rappresentanza affettiva dei lavoratori (leggi es. Foxconn pag. 185). Capitolo undici – Nuova logistica europea e “mobilità logistiche” di Giorgio Grappi  L’Unione Europea trova nella razionalità logistica le basi di legittimazione per un’organizzazione sovranazionale la cui relazione con gli elementi che definiscono storicamente la sovranità (territorio, confini, rapporto tra appartenenza e diritti) è sempre parziale e flessibile.  La “rivoluzione” nei trasporti iniziata negli anni ’50 è stata accompagnata dalla disseminazione dell’attività produttiva lungo catene del valore e supply chain che hanno assunto una dimensione prima transnazionale e poi globale. La moltiplicazione di particolari assetti amministrativi – come le zone per l’esportazione e le zone economiche speciali – ha caratterizzato una fase di ristrutturazione logistica che si è svolta nell’arco di almeno 3 decenni, decostruendo materialmente ogni pretesa di omogeneità amministrativa e territoriale degli Stati di fronte alle operazioni della produzione e a nuove geografie del potere. La logistica non può essere considerata semplicemente “al servizio” dell’attività produttiva, ma è diventata un principio di organizzazione dotato di una propria coerenza interna che produce spazi, organizza territori, sincronizza operazioni diverse e distanti.  Dal punto di vista della supply chain e dell’ordine logistico, l’allargamento del mercato unico europeo – congiuntamente alla graduale e selettiva estensione della mobilità interna – ha significato nuove possibilità di connettere contesti differenti dal punto di vista dell’organizzazione politica territoriale e delle condizioni lavorative.  Con “politica dei corridoi” dell’UE intendiamo le decisioni strategiche e le scelte compiute dalle aziende, dalle municipalità e dai governi per attirare flussi crescenti di merci verso particolari regioni, generate da una maggiore integrazione economica. La “politica dei corridoi” dell’UE deve perciò fare i conti con la presenza di altri vettori di potere che attraversano lo spazio europeo seguendo proprie “geografia dei corridoi”: reti di distribuzione di colossi dell’e-commerce come Amazon e le catene di fornitura di un gigante dell’elettronica come Foxconn dell’EU orientale.  La forma corridoio, in altre parole, costituisce un campo di tensione esemplare del fatto che gli altri attori istituzionale non godono di una sovranità piena, ma devono costantemente negoziare il loro ruolo con una gamma di agenzie e fare i conti con ordini giuridici, protocolli logistici, algoritmi finanziari e sistemi monetari eterogenei.  Nel processo di allargamento dell’UE un diverso tipo di “confine” ha assunto una crescente rilevanza nella stratificazione del mercato del lavoro: il “confine di impresa”. Anziché portare alla progressiva irrilevanza della distinzione tra i migranti interni e i cittadini nativi, i confini, che vengono meno per la mobilità delle attività economiche e dei servizi, sono rimasti per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e della contrattazione, permettendo alle imprese di “usarli strategicamente” e costruirli laddove essi servono, trasferendo lavoratori o parti della produzione.  L’organizzazione di catene di fornitura e corridoi produttivi interni allo spazio europeo ha prodotto una situazione di “confinamento tramite la mobilità”, in conseguenza del quale i lavoratori trasferiti possono essere “isolati” dal contesto delle relazioni industriali nel quale operano e, al tempo stesso, i lavoratori nativi possono essere “isolati” rispetto all’organizzazione delle imprese, poiché non dispongono di strumenti adeguati per negoziare con i datori di lavoro sullo stesso piano transnazionale. In questo modo, anche delle misure pensate come strumenti di tutela dei lavoratori (es. salario minimo) possono tramutarsi in strumenti a favore della “comparazione coercitiva” delle aziende.  A questa dimensione “intensiva” di pratiche di segmentazione e gerarchizzazione del mercato del lavoro interno, corrisponde una tendenza che vede crescere l’utilizzo di strumenti e linguaggi propri della razionalità logistica nella gestione dei confini esterni all’UE. Es. “approccio hotspost”, inteso come il tentativo di trasformare la migrazione in un oggetto di intensa regolamentazione, mercificazione e intervento, senza tuttavia con questo favorire la possibilità da parte dei migranti di prendere decisioni indipendenti.  Si possono leggere le diverse dinamiche di stratificazione logistica dello spazio europeo individuando tre tipi di mobilità: 1. Trasferimento: si fa riferimento ai processi di movimentazione di attività produttive e manodopera tra paesi e regioni. Un’impresa può esternalizzare verso altri paesi parti della produzione o della propria forza lavoro, attraverso società controllate, acquistando servizi da terzi o agendo come fornitrice di manodopera. All’interno di questa categoria di trasferimento rientrano diverse tipologie di lavoratori: lavoratori in distacco alle comunità di 12  Social movement unionis o community unionism: rimanda alla costruzione di alleanze tra i sindacati e altri movimenti sociali, spesso organizzati come ONG, per costruire un cambiamento sociale condiviso. Il sindacalismo sociale e movimentista incarna cioè una strategia che vede i lavoratori lottare insieme ad altri soggetti per affermare le cause che li accomunano, superando le dicotomie che oppongono artificialmente luogo di lavoro e comunità, lavoratori formali e informali, i conflitti politici e quelli economici e utilizzando forme di lotta diverse da quelle tradizionali del conflitto industriale. Il sindacato cerca anche di coinvolgere i rappresentanti delle comunità di migranti o dei workers’ centres per coordinare i segmenti non organizzati della forza lavoro o per la costruzione congiunta di campagne dirette contro particolari aziende. Capitolo tredici – Accumulazione finanziaria, lavoro, disuguglianza di Angelo Salento  Da quando è apparso chiaro che la diseguaglianza è la principale fonte di instabilità del capitalismo contemporaneo, essa è tornata al centro dell’attenzione delle scienze sociali. Le istituzioni internazionali hanno dedicato alla questione rapporti di grande importanza. Uno degli aspetti più interessanti di questa produzione è l’attenzione dedicata alle élites: economisti e sociologi sono tornati a occuparsi dei ricchi e, soprattutto, delle modalità attraverso le quali si arricchiscono.  Le condizioni sembrano mature affinché gli studi sulla distribuzione della ricchezza si saldino all’analisi della trasformazione dei processi di accumulazione, e quindi anche all’analisi delle trasformazioni del lavoro. Gallino mette in luce che bisogna intervenire sulla distribuzione del reddito non dopo che esso è stato prodotto, bensì nel momento e nei luoghi in cui viene prodotto. Si parla di “democrazia economica”.  Per spiegare le trasformazioni del lavoro e della distribuzione della ricchezza registrate nel trentennio neoliberale è necessario comprendere non soltanto come siano cambiati i modi di produzione, ma come si siano trasformate, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, le modalità di accumulazione seguite dal capitale organizzato, transitato da una concezione del controllo d’impresa fondata su produzione e vendite, a una concezione finanziaria del controllo, sino alla consacrazione della massimizzazione del valore per l’azionista come obiettivo primario delle imprese.  Si è assistito quindi a un mutamento della concezione stessa dell’attività economica e dell’idea di valore sulla quale si articola: un mutamento della concezione dell’impresa. Se si vogliono comprendere i connotati reali delle trasformazioni del lavoro occorre una svolta teorica: bisogna spostare il fuoco dell’analisi dal modo in cui beni e servizi vengono prodotti al modo in cui si persegue l’accumulazione del capitale, assumendo che le modalità di accumulazione abbiano un’influenza decisiva sul modo in cui si sceglie di produrre beni e servizi. Così si può spiegare perché persino imprese che dovrebbero esercitare uno sguardo e una strategia di lungo corso, inclinano invece alla redditività di breve termine, al controllo rigido dei costi, al contenimento degli investimenti tecnici, all’accentramento del coordinamento e del controllo, a una logica di mero adattamento delle persone a un lavoro di cui sono sempre meno titolari. Secondo quest’ipotesi le trasformazioni sono connesse non solo e non tanto con le vicende dei mercati di beni e servizi, ma anche e soprattutto con le vicende dei mercati finanziari, allorché a essi si affida il compito di rendere remunerativo un capitale che non trova nella produzione e nella commercializzazione di beni e servizi la remunerazione pretesa dai suoi detentori.  La trasformazione delle modalità di accumulazione perseguite dalle imprese è un aspetto di un generale processo di finanziarizzazione dell’economia. È un fenomeno complesso, legato a trasformazioni normative, istituzionali, culturali che nell’insieme costruiscono una continuità fra la sfera della produzione di beni e servizi e i mercati finanziari: una trasformazione regolativa che, per promuovere la redditività del capitale, ne favorisce gli impieghi finanziari.  In questo quadro, innanzitutto è aumentato il peso dei settori finanziari nella composizione del valore aggiunto dell’economia mondiale. Ancora più rilevante è che anche le imprese non finanziare abbiano intrapreso strategie di accumulazione di ordine eminentemente finanziario. Sono strategie di profiting without producing, che, contando su una redditività del capitale più alta nei circuiti finanziari che negli usi prettamente produttivi, spingono gli imprenditori a vestire i panni degli investitori finanziari.  Caso italiano: è diffusa l’opinione che la perdurante presenza di coalizioni proprietarie che conservano l’apparenza di “famiglie industriali” e una presenza ancora contenuta di investitori istituzionali, abbiano drasticamente limitato la propensione all’accumulazione finanziaria rispetto ai contesti anglosassoni, più densamente popolati di investitori istituzionali che operano in un’ottica intrinsecamente breve periodistica.  In Italia, l’apertura ai mercati finanziari internazionali è stata rappresentata e praticata come un passo indispensabile per superare i tradizionali connotati di chiusura del capitalismo nazionale. L’intento di portare il sistema produttivo italiano sotto il coordinamento dei mercati finanziari è stato praticato anche attraverso un processo di privatizzazione delle imprese controllate dallo Stato. Dall’inizio degli anni ’90, poi, la liberalizzazione delle transazioni finanziarie è stata imponente. In questo quadro, anche un capitalismo come quello italiano (oligarchico e per certi versi ancora “familiare”) ha rafforzato il proprio orientamento all’accumulazione finanziaria e ha intrapreso una ristrutturazione delle imprese conforme allo scopo.  L’inclinazione delle imprese all’accumulazione finanziaria può essere osservata sotto due profili significativi: 15 1. L’uso di flussi di cassa generati dalle attività di produzione e vendita per finalità di investimento specificamente finanziario: accesso al mercato dei derivati, ma anche riacquisto di azioni proprie e finanziamento di fusioni e acquisizioni. Conseguenza > sistematico incremento dei proventi e dei patrimoni finanziari delle imprese non finanziarie, a detrimento degli investimenti fissi = drenaggio di risorse, sottratte alla dimensione produttiva, verso attività finanziarie, più remunerative. 2. Progressiva focalizzazione delle imprese verso l’obiettivo della massimizzazione del valore per l’azionista (shareholder value). In Europa questa tendenza è particolarmente evidente a partire dagli anni ’90: è da allora che le direzioni delle grandi imprese hanno dichiarato esplicitamente di perseguire, come obiettivo primario dell’impresa, l’incremento del valore del capitale investito, quindi l’apprezzamento dei titoli azionari nel mercato finanziario. Questo produce una focalizzazione delle imprese verso gli obiettivi di breve termine.  In che modo questo orientamento complessivo delle strategie delle imprese partecipa alle trasformazioni del lavoro e della condizione dei lavoratori? A. I processi di finanziarizzazione delle imprese si accompagnano a una riduzione della forza-lavoro. La diffusione di strategie di accumulazione finanziaria genera una tendenza al disinvestimento sul piano della produzione, a una riduzione dei volumi delle attività produttive e quindi una desertificazione dei settori dell’economia ad alta intensità di lavoro. La riduzione dei volumi di manodopera è uno dei più agevoli strumenti di riduzione dei costi fissi, con effetti immediati sul rendimento del capitale investito. B. I processi di finanziarizzazione delle imprese si accompagnano a un complessivo indebolimento del contropotere sindacale e a una riduzione delle retribuzioni del lavoro. Contestualmente al progredire dei processi di finanziarizzazione delle imprese, si riducono radicalmente le tutele del lavoro e della sua retribuzione, e anche le organizzazioni sindacali si indeboliscono. Fenomeno legato alla pressione delle direzioni di impresa, ma anche alle trasformazioni normative, che rendono la forza lavoro un oggetto sempre più fungibile e gestibile in maniera conforme alle esigenze di breve periodo. C. I processi di finanziarizzazione delle imprese generano un trasferimento di ricchezza dall’impresa in quanto tale agli azionisti/investitori. Si riafferma una gerarchia che vede l’assoluta preminenza degli interessi degli azionisti/investitori rispetto a ogni altro. Questa gerarchia si riflette chiaramente nella distribuzione della ricchezza prodotta. D. I processi di finanziarizzazione delle imprese si accompagnano a un aumento delle retribuzioni del management di vertice. L’aumento della compensation del management di alto rango è una tecnica per garantire il controllo degli azionisti sull’operato dei manager: per invertire la tendenza novecentesca all’emersione di un potere dei tecnici, i manager di nuova generazione sono indotti ad agire nella prospettiva della sua massimizzazione.  È nell’ambito di queste trasformazioni che occorre cercare le radici della nuova struttura della disuguaglianza. È del tutto ragionevole ipotizzare che l’uso del capitale dentro circuiti prettamente monetari piuttosto che attraverso dinamiche di produzione, e il ritorno di una concezione dell’impresa come patrimonio del proprietario/azionista/investitore, siano uno dei motori più importanti del processo di patrimonializzazione dell’economia. Le modalità attraverso cui si alimentano le rendite e i patrimoni delle persone ultra ricche minano le basi del benessere collettivo: esse definiscono i contorni di un’azione economica che estrae valore dal contesto sociale, piuttosto che produrne. Capitolo quattordici – Città del lavoro e città della conoscenza. Metamorfosi di un’intersezione di Vando Borghi  La figura della città come configurazione del sociale è stata utilizzata in diversi contesti e può aiutarci a riflettere sul modo in cui è venuto trasformandosi il rapporto tra lavoro, conoscenza e società. Ad es., in ambito sociologico, le “città” circoscrivono dei regimi di giustificazione politico-morale in base ai quali possiamo dar conto sia dei comportamenti degli attori sociali, sia dei criteri di valutazione che incorporano, sia dei conflitti che possono generarsi.  È il modo in cui è andata trasformandosi la “città del lavoro” che invita a riflettere su una “città della conoscenza”. In particolare, l’aspetto importante è che, nei processi lavorativi, la conoscenza è andata assumendo una centralità straordinaria, soprattutto nei formati più funzionali alla tecnica, senza che tuttavia questo abbia comportato affatto un processo di emancipazione nella città del lavoro, né una riorganizzazione a un più avanzato livello di qualità e di integrazione tra sapere e lavoro. Al contrario, il rapporto tra conoscenza e lavoro, anche laddove vengono mobilitate dimensioni strettamente legate alla conoscenza, continua a essere distorto da obbiettivi di controllo e sottomissione del management.  La città si configura come parte di un più generale campo di tensione, all’interno del quale sono all’opera soggetti, forze e processi diversamente orientati. È importante cercare di mettere a fuoco le ambivalenze e le differenze che segnano questo campo di tensione. Il campo che ci interessa (il rapporto tra città del lavoro e città della conoscenza) è al centro di un vero e proprio conflitto > tra un’idea del lavoro come variabile dipendente e meramente funzionale 16 alle dinamiche di mercato e una concezione del lavoro come componente costitutiva della vita sociale e della democrazia.  La conoscenza al centro della città che ci interessa è un prodotto storico. A partire dall’emergere del capitalismo moderno e del processo di razionalizzazione che lo rende possibile, la produzione del sapere ha un segno e una direzione precisa. È la possibilità di padroneggiare il mondo, in primo luogo quello naturale, e quindi di esercitare il dominio su di esso, piegandolo ai propri obiettivi, ad alimentare la produzione di conoscenze. Lo sviluppo della conoscenza coincide dunque con una crescente estensione del dominio. Il contesto storico del quale stiamo parlando è quello del rapporto tra capitalismo e modernità: questo è il campo di tensione in cui anche i rapporti tra città del lavoro e città della conoscenza vanno inscritti.  È in questo campo di tensione tra modernità e capitalismo che si generano anche le trasformazioni del rapporto tra conoscenza e lavoro. Il capitalismo è infatti soprattutto e costantemente un processo di accumulazione originaria: “Denaro e merce non sono capitale fin da principio come non lo sono i mezzi di produzione e sussistenza. Occorre che siano trasformati in capitale” (Marx). L’accumulazione originaria è appunto il processo in base al quale avviene tale trasformazione, in cui le forme di vita vengono tradotte in fattori conformi alla logica di sviluppo del capitalismo stesso. In questo senso, l’accumulazione originaria è alle origini del capitalismo moderno, ma allo stesso tempo ne costituisce il movimento costante indispensabile e necessario alla sua continua riproduzione.  Attualmente assistiamo a un’ulteriore fase di tale processo, che si concretizza attraverso il fatto che “economie capitalistiche più tradizionali vengono distrutte per espandere lo spazio operativo del capitalismo avanzato”.  Il modello reticolare è venuto imponendosi come la matrice dominante delle logiche sociali appropriate al regime di giustificazione di cui il capitalismo contemporaneo si avvale.  In tutto questo, lo sviluppo della conoscenza, svolge un ruolo primario, dentro e fuori del lavoro, anche considerando che in epoca di frequente fusione dei ruoli di produttore e consumatore, tale confine diventa sempre più poroso. Le tecnologie digitali sembrano concretizzare tale paradigma reticolare della connessione tra lavoro e conoscenza.  Questo nuovo ambiente economico viene presentato come intrinsecamente non gerarchico, caratterizzato cioè da una democratizzazione degli strumenti di produzione, delle catene di distribuzione e dei consumi. Conoscenza, lavoro e modello sociale reticolare, grazie soprattutto alla tecnica, sembrerebbero così pienamente compenetrarsi.  Le tecnologie non sono mai neutre e incorporano visione e concezioni del mondo sociale che hanno origine in quel campo di tensioni e conflitti sopra richiamato e da esso traggono legittimazione. In particolare, incorporano visioni e concezioni nelle quali il peso e il ruolo del lavoro vivo è stato fortemente impoverito e marginalizzato.  Una delle poste in gioco nel modo in cui il capitalismo contemporaneo va traducendo le tensioni e le ambivalenze con cui la modernità è venuta configurando il rapporto tra conoscenza, lavoro e società è il concetto stesso di individuo. È uno degli elementi chiave sia della città del lavoro, sia della città della conoscenza. Il processo di individualizzazione è venuto affermandosi nella modernità come un progetto di emancipazione, in cui la conoscenza e il lavoro svolgono un ruolo. Attraverso il lavoro consente di perseguire concretamente quel progetto di emancipazione, per quanto con molti limiti e molte contraddizioni.  Il progetto dell’individuo moderno è oggi sottoposto a una torsione “paradossale: si tratta del passaggio nel quale un progetto concernente la qualità della propria auto-determinazione si capovolge, assumendo le forme di un prerequisito sistemico che innerva in profondità il “nuovo spirito del capitalismo” e il coinvolgimento degli individui nelle sue pratiche. Il processo di individualizzazione rimane al centro del modello sociale contemporaneo; ma attualmente tale autorealizzazione si trasforma in un prerequisito sistemico concernente la performance individuale, che preme sugli individui costringendoli a trovare soluzioni biografiche a problemi strutturali e produce livelli crescenti di sofferenza.  Il punto in questione è il rapporto tra conoscenza e potere. Il progetto neoliberista assume una forte valenza costruttivista: la razionalità economica che esso va imponendo in ogni sfera della vita sociale è un progetto che va perseguito, istituzionalizzato e reso naturale. La città della conoscenza nel capitalismo contemporaneo si caratterizza come uno spazio in cui la conoscenza è trasformata in “basi informative” .  Marginalizzazione dei soggetti che fanno esperienza dei problemi, astrazione dall’esperienza che gli individui elaborano delle questioni di cui sono parte sul lavoro e nella vita sociale, depotenziamento della loro capacità di voice e degli spazi in cui esercitarla, tecnicizzazione di quelle stesse questioni e di quegli stessi problemi, si saldano e contribuiscono ad alzare il livello di produzione sociale dell’indifferenza.  In questo quadro della città della conoscenza emerge con evidenza un tratto costitutivo del sapere = il rapporto strutturale che esso intrattiene con il potere. Conoscenza e potere vanno tenuti al centro dell’attenzione nell’esplorazione della città della conoscenza. Assumono quindi particolare rilevanza due considerazioni a proposito di questo rapporto: 1. Il potere non si esercita e non sussiste soltanto nelle forme del dominio. Esso può assumere, e ha effettivamente assunto, anche le forme e le logiche proprie dell’empowerment. In questo caso, potere e conoscenza si combinano in funzione di processi di capacitazione degli individui, cioè di costruzione sociale delle condizioni attraverso cui gli individui possono realizzare la vita alla quale hanno motivo di attribuire valore. 17
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