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Riassunto libro Paura liquida, Dispense di Sociologia Dei Media

riassunto del libro Paura liquida di Bauman

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 30/08/2019

rebecca_campigli
rebecca_campigli 🇮🇹

4.4

(11)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto libro Paura liquida e più Dispense in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! Zygmunt BAUMAN PAURA LIQUIDA INTRODUZIONE ORIGINE, USO E DINAMICA DELLA PAURA Quando, dopo un periodo di riflessione, arriva il momento di affrontare un pericolo reale, che riusciamo a vedere e a toccare, sentiamo uno strano sollievo. È meno strano di quanti si pensi, dato che veniamo finalmente a contatto con ciò che era la motivazione di quello spavento, che avvelenava i giorni: se sappiamo da dove arriverà il colpo, potremo tentare di fare qualcosa per prevenirlo e capire che genere di perdita o danno ci aspettano. La paura liquida privi di indirizzi o di indizi, è quella più temuta: è la minaccia che dovremmo ma che ancora non vediamo chiaramente. La paura è il nome che diamo all’incertezza : alla nostra ignoranza della minaccia o di ciò che ancora non sappiamo di poter fare per poterla prevenire. FEBVRE, riferendosi all’Europa del ‘500 dice “peur toujours, peur partout” (paura sempre, paura per tutti)la paura non legata alla minaccia bensì all’incertezza. La modernità avrebbe dovuto portare ad un enorme balzo in avanti: la scienza avrebbe tolto le calamità e le catastrofi. Quella che doveva essere una via di fuga si è rivelata una lunga deviazione: cinque secoli dopo, la nostra è ancora un'epoca di paure. La paura è un'emozione conosciuta a tutti. Ma c'è anche una paura di "secondo grado" che colpisce l'uomo: socialmente e culturalmente "riciclata”, che può essere vista come il sedimento di un'esperienza passata in cui si è dovuto affrontare una minaccia a bruciapelo. Un sedimento che sopravvive all'esperienza e diventa un fattore importante nel regolare le nostre vite, anche quando la minaccia non c'è più. La paura "derivata" è come una "sensibilità al pericolo": senso d'insicurezza –perché il mondo è pieno di pericoli che possono colpire in qualunque momento –e di vulnerabilità –nel caso il pericolo colpisca, ci sarà poco da fare per difendersi. Chiaramente la tesi del "mondo pericoloso" è molto più diffusa tra chi esce di rado la sera, dato che vede i pericoli come insuperabili nel caso si presentassero; quindi non c'è modo di sapere se le paure sono effettivamente confermate o sono solo sensazioni. I pericoli che si temono possono essere di tre tipi: 1. quelli che minacciano il corpo e gli averi; 2. quelli di natura più generale, minacciano la stabilità dell'ordine sociale da cui dipendono la sicurezza del proprio sostentamento (reddito, lavoro, etc.) o la propria sopravvivenza in caso di vecchiaia o invalidità; 3. quelli riguardanti la propria collocazione nel mondo, ovvero la posizione nella gerarchia sociale, l'identità (di classe, religione, sesso, etc.). Numerosi studi dimostrano però che la paura “derivata”, nella coscienza di chi vi è sottoposto, è sganciata da effettivi pericoli: chi è afflitto da questo senso d'insicurezza può interpretare una paura associandola ad uno di questi tre tipi di pericoli, a prescindere da prove che possano effettivamente confermarla. Lo Stato, ad esempio, ha fondato la propria esistenza e la sua pretesa di obbedienza da parte dei cittadini, in base alla promessa di proteggerli dalle minacce della loro esistenza, ma non è più in grado di mantenere tale promessa (soprattutto in base al 2° e 3° tipo di pericolo); è dunque costretto a spostare la “protezione dalla paura” dai pericoli sociali a quelli a livello personale. La cosa incredibile della paura è la sua ubiquità: può sputare in qualunque posto e momento. Come dice Craig BROWN, riesaminando il Novecento, ogni giorno vengono fuori nuove paure: virus killer, onde killer, iceberg killer, etc. Dapprima questi “avvertimenti globali” mettevano paura, ora –per la loro quantità –la gente si è quasi affezionata a quest'ultime. Diciamo che sapere che questo è un mondo spaventoso non significa vivere nella paura, almeno non costantemente; in fondo, vivere in un mondo “liquido”, senza alcuna certezza, significa ogni giorno fare una prova di reincarnazione continua. La nostra società “liquido- moderna” è un congegno che cerca di reprimere il terrore e l'incertezza del pericolo, attraverso quella che MATHIESEN ha chiamato tacita tacitazione, ovvero un processo che è silenzioso anziché rumoroso, che occulta anziché essere palese, è dinamico e si diffonde nella nostra vita quotidiana. La morte, innanzitutto –in questo tipo di società liquido-moderna –diventa temporanea e va lida fino a nuovo avviso; inoltre, i colpi annunciati sono molto più numerosi di quelli che effettivamente avvengono e quindi si può sperare nella salvezza (es. quanti computer sono stati effettivamente colpiti dal "millennium bug"?); la vita scorre, trascinandosi da una sfida all'altra, e anche le aspettative di vita di queste paure tende a diminuire, poiché con l'arrivo delle paure, ci sono anche i loro rimedi. Questa nostra vita si è rivelata ben diversa da quella pensata dai saggi dell'Illuminismo: nella vita nuova, si sperava di domare le paure e d'imbrigliare i pericoli che potevano avvicinarsi a noi; nel contesto liquido- moderno, invece, la lotta contro le paure è un compito a vita ed i pericoli hanno finito per apparire come costanti ed inseparabili dalle nostre vite, anche quando si pensa che nessuno di essi sia insormontabile. Tutta la vita è diventata una lotta, lunga e forse impossibile da vincere, contro le paure ed i possibili pericoli ad esse collegati; essa può essere vista come la sperimentazione di rimedi contro questi pericoli presunti, ma gli stratagemmi hanno tutti una regola comune: ingannare il tempo, dilazionare la frustrazione e non più la gratificazione. Il futuro è nebuloso? Una buona ragione per non ossessionarsi. I pericoli sono indecifrabili? Un'altra buona ragione per dimenticarsene. Tutto va bene sinora, ma meglio seguire l'antico saggio: carpe diem. Viviamo a credito, c'indebitiamo con il futuro (es. bilanci di stato: una volta puntavano a degli utili, ora si accontentano del pareggio di bilancio fra utili e spese) e l'unico vantaggio di questo modo di vivere è darsi piacere; e se il futuro sarà brutto come pensiamo, perché non consumare il meglio ora? Un esempio è la carta di credito (Il contrario del "libretto di risparmio", che ci dà una sensazione buona e di continuità per il futuro, al di là del presente) poiché i debiti che contriamo con essa non ci spaventano, proprio perché pensiamo che il futuro sarà ben diverso dal presente in cui la stiamo usando. Va ricordato che non tutti i pericoli appaiono abbastanza remoti da poterli liquidare come bizzarre creazioni della nostra immaginazione; abbiamo un modo per aggirare quegli ostacoli che si sono avvicinati troppo a noi e catalogarli come “rischi”. Riconosciamo allora che il passo successivo da compiere sarà “rischioso” (potrebbe esporci a rischi nuovi o veramente reali) e che potremmo fallire il nostro obiettivo o subire dei danni; riconosciamo anche che i rischi possono essere degli “imprevisti”, cose che non avevano calcolato. In mancanza di un'opzione, in sintesi, procediamo come se potessimo prevedere il futuro ed i nostri passi in questo spazio; i rischi sono ciò che possiamo - in teoria - prevedere, sono cose la cui probabilità è nei nostri calcoli, con approssimazione possibile alla certezza (irraggiungibile, purtroppo). Dobbiamo tuttavia pensare che “calcolabilità” non significa “prevedibilità”: si calcola la probabilità che le cose vadano male ma questo calcolo è inutile, poiché –anche se effettuato in modo rigoroso –non darà mai un quadro di certezza. Ma il fatto di aver tentato il calcolo dei rischi ci può infondere fiducia nel futuro, proprio perché abbiamo cercato di calcolare tutti i rischi che possiamo correre. Di solito, tuttavia, il tentativo di spostare l'attenzione dai pericoli ai rischi è un altro stratagemma, non efficace, è un palliativo più che un effettivo rimedio. Come diceva KUNDERA “gli uomini sono circondati dalla nebbia, non dal buio totale. Nella nebbia, l'uomo trova la libertà, ma è la libertà di chi si trova nella nebbia: possiamo vedere a 1O mt di distanza, non tutto”. Perciò, in questa vita “nebbiosa”, l'uomo basa tutto su ciò che può vedere a breve distanza, mentre i pericoli più spaventosi sono proprio quelli che non vediamo, quelli imprevedibili. Occuparci di rischi visibili, non si nasconde il problema che di fronte a certi pericoli siamo impotenti: facciamo questo calcolo per renderci più percettivamente sicuri, anche se la sicurezza totale non esiste. Ogni tanto pensiamo che questi calcoli aiutino: ma non è così. L'11 Settembre, l'uragano Katrina ed il conseguente aumento del prezzo del petrolio ci hanno aiutato a ricordare che i pericoli sono sempre lì e che ogni tanto tornano a farsi sentire. Jacques ATTALLI dava una poco per evitare la sofferenza. Le favole di ieri raccontavano la paura, ma portavano con sé anche l'antidoto; quelle di oggi servono unicamente senza redenzione alcuna. La morte può essere definita come punto di non ritorno, la fine di tutto, etc. Essa incute paura per una qualità diversa da ogni altra: la qualità di rendere ogni altra qualità non più superabile. Ogni evento, eccetto la morte, ha un passato e un futuro, ha una continuità; mentre la morte, come diceva Dante, reca l'iscrizione: “Lasciate ogni speranza”. Soltanto la morte dà la fine degli eventi, di ogni cosa che potremmo toccare, udire, sentire. Ed è per questa ragione che la morte non ha riva li quando si tratta di immaginare un limite invalicabile per l'umanità; l'unica cosa che non possiamo immaginare è un mondo nei quale noi non siamo raffigurati al suo interno. Nessuna esperienza umana, per quanto ricca, offre una vaga idea di come ci si sentirà quando non vivremo più nulla; ma ciò che la vita ci insegna è l'incontrario, ovvero che la morte elimina tutto ciò che sappiamo ed essa ci coglierà sempre impreparati. Essa è insanabile. La paura originaria, quella della morte, è qualcosa di innato, che condividiamo con gli animali per l'istinto di sopravvivenza; ma soltanto noi uomini sappiamo che la morte è inevitabile e dobbiamo lottare tutta la vita con questa consapevolezza. Viviamo con la nozione che prima o poi la morte dovrà porre fine alla mia esistenza: la soluzione a questo dovrebbe esser attuata dagli uomini, ma ciò avviene sempre con minor successo, purtroppo. Le culture umane sono ingegnosi congegni che dovrebbero rendere la vita vivibile, in presenza della consapevolezza della morte; la creatività di queste culture è sorprendente, ma non illimitata .. 1° rimedio : Tra le invenzione la più diffusa, efficace e, perciò, allettante consiste nel negare che la morte sia qualcosa di definitivo, ma soltanto un passaggio da un mondo ad un altro, magari esistendo sotto altre forme. L'attuale esistenza corporea non può essere altro che il preludio alla vita eterna, che avrà inizio quando la nostra anima –nel momento della morte umana –si separerà dal nostro corpo attuale, trasmutando altrove (visione cristiana della vita dopo la morte). Una volta carpito questo messaggio, è inutile negare che la morte sia inevitabile, ma la si deve guardare in faccia, vivendo una vita sulla retta via per sperare che la prossima sia altrettanto buona. Questa visione conferisce alla vita terrena un valore enorme, perché solo lavorando bene fintanto che la nostra anima è nel nostro corpo si possono evitare tormenti perpetui. Al momento della morte, la scelta tra paradiso ed inferno sarà già stata compiuta attraverso ciò che noi abbiamo fatto durante la nostra vita terrena; in un lasso di tempo così breve - la vita terrena –si decide un periodo così lungo – l'eternità dell'anima. Quest'invenzione del peccato originario ha fatto sì che la vita terrena fosse più goduta: ma tenersi alla larga dei misfatti non basterà, bisognerà mostrare spirito di sacrificio ed imporsi punizioni espiatorie, tutto per togliersi il peccato originale. Ridisegnare così la più brutta delle cadute con la più beata delle ascensioni è stata una sorta di colpo di genio: si è conferito alla vita un senso e si è portata l'eternità in un ambito transitorio. 2° rimedio, VERSIONI SURROGATE: le versioni surrogate presentano la vita "per procura", ovvero la possibilità di scegliere o non scegliere la beatitudine eterna; queste versioni non riuscivano ad offrire una versione convincente del fatto che qualcuno avrebbe dovuto rinunciare a gioie immediate per un futuro di beatitudine del quale probabilmente non ci si sarebbe nemmeno ricordati. A differenza della versione del peccato originale, le versioni surrogate hanno moltiplicato le scelte ai mortali, al di là del semplice dilemma paradiso-inferno, lasciando decidere al mortale se vuole lasciare –in una qualche maniera –le sue tracce su questo mondo in maniera duratura. Due categorie principali: quelle che offrono immortalità personale e quello che promettono il mantenimento di un'entità impersonale, al costo di sminuire quella individua le. 3° rimedio, INDIVIDUALITA’: l'individualità tende ad essere privilegio di pochi, molto curato e custodito. Essere un individuo significa distinguersi dalla folla, magari grazie ad un volto riconoscibile in una tela che ricorda un importante momento storico; l'individualità non è però un dono, bensì qualcosa che ci si conquista e, proprio per questa, è irraggiungibile per alcuni. Se non esistessero le "masse", l'individualità sarebbe un valore per molti e perderebbe d'importanza. Il principale mezzo per realizzare questa via è la "fama", ovvero l'essere ricordato dai posteri, ed è stata conquistata coi tempo da varie categorie: se prima era riservata a re e rivoluzionari, è diventata possibile poi anche per statisti, scopritori, scienziati, etc. Tuttavia il diritto alla fama individuale dalla collettività o da una categoria è un'arma a doppio taglio: Il diritto alla fama non garantisce la giusta sintesi della fama (la gloria), ma potrebbe anche riservare un'eterna infamia. Alle masse informi e senza volto a cui è stata negata l'individualità immortale, c'è un altro tipo di immortalità: quella per procura o per "rinuncia all'individualità", ciascuna delle quali fa leva sulla paura del Grande Ignoto l'immortalità impersonale compensa l'impotenza personale: ad una vita anonima viene fatta susseguire una possibilità di eternità, sempre anonima; in vita non sono stati nessuno, ma verranno ricordati per la loro morte e per il fatto che hanno dato la vita per una causa che spera sia duratura (es. soldato morto per la nazione in guerra viene ricordato finché la nazione esiste –e non oltre). Tutti questi mezzi di immortalità fanno capire quant'è importante la possibilità della vita eterna tra i mortali. Contemporaneamente, un altro stratagemma agisce: siccome questi rimedi cominciano a non funzionare più, quest'altro stratagemma, che gradualmente ha acquistato forza nell'era moderna, sembra aver conquistato il posto d'onore nella società liquido-moderna d'oggi: esso consiste nel rendere marginali tutte le preoccupazione per ciò che è irrevocabile, per ciò che durerà oltre la nostra esistenza individuale (strategia della marginalizzazione). Ciò consiste nello sforzo sistematico di eliminare dalla coscienza umana la preoccupazione dell'eternità e privarla dello sforzo di ottimizzare il corso della vita individuale. In questa strategia diventa importante valutare come di prim'ordine le preoccupazioni riguardi il transitorio, il presente o il futuro prossimo, la vita individuale (es. pagare le bollette) piuttosto per ciò che esula dai nostri tempi (es. buco nell'ozono); per fare questo esistono due modi: ♦ Decostruzione della morte FREUD spiega “insistiamo in genere sulla causa accidentale della morte: età, incidente, malattia, infezione; rivelando la necessità di catalogare la morte da fatto necessario a fatto casuale ”. Un abbassamento del genere è in linea con lo spirito della modernità (l'affermazione di Freud è nel tempo del massimo sviluppo dello spirito moderno); inoltre, c'era la presunzione di pensare che la lista dei problemi da affrontare prima o poi sarebbe finita, dato che qualcosa era già stato scoperto. Si pensava che un macro-compito –non assolvibile dalle forze umane –si potesse scomporre in tanto micro-compitini, in modo da permettere all'umanità di assolverli. Non è difficile dimostrare l'inutilità di questa campagna: si può aver vinto mille battaglie, ma la crudità della guerra non è ancora del tutto chiara. La stessa definizione di “morte per cause naturali” è campata per aria, poiché il medico cercherà sempre di stabilire il perché c'è stato un certo evento fisico nel corpo umano; se non la individuasse, sarebbe tacciato di incapacità professionale, e scoperta la causa sarebbe evitabile nel tempo, ma non per molto. Tale tecnica ha lo scopo di privare la morte del terrore che ha sempre causato in noi; ♦ Banalizzazione della morte: strettamente collegata al processo precedente, la banalizzazione della morte è presente come 2° modo. Se la decostruzione pone –al posto di una sfida impossibile –micro- compitini risolvibili per le forze umane, la banalizzazione rende il confronto con l'orrore della morte qualcosa di ovvio, un evento della quotidianità, sperando così di rendere il “vivere con la morte” qualcosa di meno insopportabile, trasformando così la vita in una continua prova generale di morte; si cerca così di mitigare l'orrore che proviene dall'alterità assoluta della morte, dalla sua piena e totale inconoscibilità. DERRIDA notò che “ogni morte è la perdita di un mondo, una perdita per sempre, irreversibile ed irreparabile”; è attraverso lo choc della morte che il significato del definitivo si rivela a noi. Ma non ogni morte – diceva Jankèlèvitch –rivela lo stesso senso di rivelazione ed illuminazione. La fine delle “terze persone” (persone a noi estranee) non ci colpirà pesantemente come la perdita dei nostri cari, perciò questa perdita, per quanto grande, per noi non è irreparabile. E' quindi solo la morte in “seconda persona” (e non in “terza”), quindi la morte del “tu”, ad aprire la via ad un'esperienza così profonda come la realizzazione della definitività ed irrevocabilità della morte. La scomparsa degli “altri” fa capire come, quando muore una persona, un mondo se ne va e spesso non verrà sostituito; allo stesso tempo, capiamo come potrebbe essere il mondo senza il "nostro" mondo a contribuirvi, cosa che non potremmo capire se morissimo veramente. Man mano che gli altri se ne vanno, il nostro mondo perde pezzi, perde contenuti, quei contenuti che gli altri fornivano al "nostro" mondo. Quando quindi perdiamo un nostro caro e finisce un certo rapporto "tu-io", assistiamo ad un'esperienza forte, la "morte di secondo grado"; chiaramente, questo non è causato solo dalla morte fisica di un compagno, ma anche la rottura di una relazione amorosa ha l'impronta della "definitività" - anche se, a differenza della morte, è un'impronta che può essere cancellata - quindi anche questa potrebbe esser definita come "morte di terzo grado". La stessa morte può esser banalizzata se questa morte di 3° grado si ripete più volte; accade quando i legami sono fragili e disorientati, cosa che è molto diffusa in questa società liquido-moderna e che, quindi, pone l'individuo ad una continua esperienza di "vita dopo la morte", di reincarnazione. Proprio la fragilità dei legami è un requisito importante della vita liquido-moderna: la facilità con cui si rompono è un promemoria della mortalità umana. E poco importa che la morte dì 3° grado non è paragonabile a quella di 1° o 2°: comunque, non c'è la forza o la fiducia di ribaltare questo verdetto e la morte è come un protagonista che riappare ad ogni scena, sotto forme diverse. Inoltre, in tempi "normali", "pacifici", la morte è attesa –a parte un certo numero di eccezioni straordinarie –come risultato dell'esaurimento del proprio corpo, della sua capacità ormai ridotta di mantenersi in vita; nel caso dì una "morte di terzo grado", l'esito della rottura non rispecchia quasi mai veramente la volontà di tutti gli attori in gioco. Quindi potremmo anche dire che la "morte di terzo grado" rappresenta anche la paura di essere esclusi, poiché la vita liquido-moderna è piena di imprevisti e non si sa mai i colpi da chi o da dove arriveranno; anche nel caso di questa morte metaforica, non esistono modi per evitarla, né ci si può appellare a leggi, dato che rientra tutto nell'ambito della moralità. Anzi, in un'epoca in cui l'individuo è stimolato ad agire autonomamente ed egoisticamente –come nota GIDDENS –la rottura dei legami nella società liquido-moderna appare scontata. Inoltre, il dibattito tra due individui non è più all'insegna del confronto, bensì ridotto ad uno scontro di forza ed ostinazione, in cui vince chi è più cocciuto e meno disposto all'ascolto dell'opinione altrui. Lo spirito moderno –infine –è per la liberazione dai disagi, tra i suoi scopi. In una società liquido moderna come questa, tutte le vittorie ottenuta in una qualche battaglia sono temporanee: la sicurezza che offrono non sopravvivrà all'equilibrio appena stabilito, che durerà ovviamente poco. E uno spettro si aggira sul campo di battaglia, quello della "morte metaforica", ovvero dell'esclusione sociale. Tutte le strategie di cui abbiamo parlato per esorcizzare la morte, se usate –singolarmente o contemporanea mente –non sono che palliativi, che cercano di liberarci dal veleno che il pungiglione della morte contiene e dalla consapevolezza di ciò che è doloroso; in più, va tenuto conto che siamo l'unica specie animale a convivere con la consapevolezza che tutti moriremo, senza alcuna distinzione. CAPITOLO 2 LA PAURA E IL MALE Il male e la paura sono gemelli siamesi, inseparabili, uno è ciò che si vede e l'altro ciò che si sente; dire cosa è effettivamente il male è impossibile, poiché non è un qualcosa che possiamo definire chiaramente. Possiamo dire cosa sia il "crimine", perché c'è un codice di leggi al quale ci possiamo rivolgere; possiamo dire cosa è un "peccato", data la serie di comandamenti ; ma dire cosa rappresenta il "male" è impossibile, se non sappiamo precisamente quale regola sia stata violata o elusa. Questo è il motivo per cui molti filosofi hanno deciso di abbandonare il progetto di male nei noumeni kantiani e dicendo che "il male è". Insomma, spiegare il male diventa veramente complicato, non è un possibile oggetto di studio per un filosofo. La ragione è un attributo universale per gli uomini, ma ciò che può o non può capire dipende solamente dalla cassetta degli attrezzi di cui siamo forniti e dalle procedure che si usano, sia una che l'altra possono modificarsi nel tempo; ma tanto più tali strumenti risultano forti, tanto più diventa impossibile spostar e il "male" nel mondo del comprensibile e dell'intellegibile. Ma quest'idea non è sempre stata duratura: per i nostri antenati, il male era ciò che si manifestava –sotto forma di castigo –sui peccatori, perciò il male poteva essere ricondotto alla condotta di vita degli esseri umani e, senza azioni impure, il male non avrebbe avuto modo di esistere. Il "male" era un problema morale e se il peccato ed il castigo erano nella cassetta degli attrezzi, l'espiazione ed il pentimento erano le procedure per estinguere il male dal mondo. Come gli psicoanalisti –rifacendosi a Freud, dicevano che tutti i problemi psichici nascono da esperienze vissute di rendere il pianeta inabitabile per l'uomo e, chissà, anche per qualunque altra specie; la cosa che rende tutto ancora più beffardo è che tutto questo viene fatto nel tentativo di rendere il pianeta più vitale e sicuro per l'umanità. Non stupisce neanche la disuguaglianza che regna sul pianeta: metà del commercio e degli investimenti globali sono nelle mani di 22 paesi (14% della popolazione mondiale), mentre 49 paesi (11% della popolazione mondiale) –i più poveri del mondo –tutti insieme producono lo 0,5% del prodotto mondiale. E non s'intravede nessuna soluzione che possa migliorare questa polarizzazione dei redditi. La crescita con diseguaglianza non è casuale o un fatto collaterale, né un malfunzionamento risolvibile di un sistema sano: è la chiave della felicità, ma solo per alcuni. Non esistono per ora le condizioni per esportare il sistema di crescita degli USA, per es., in Cina, India o Brasile; nell'adottare una tecnologia ed uno sviluppo sempre più grandi, la loro "universalizzazione" non è mai stato un criterio guida. Addirittura possiamo azzardare che, se non fosse stata rimossa tale questione, questi sviluppi non avrebbero potuto avere luogo; inoltre, non verrà mai ribadito a sufficienza che la "catastrofe" di cui parliamo - l'autodistruzione assoluta - è possibile solo grazie alla modernità, anzi le stesse cose che permettono di lodare la modernità - superare i propri limiti, sfidarli, il rifiuto dell'osservanza di qualsiasi regola - sono le stesse ragioni per cui tale catastrofe è potenzialmente possibile. La modernità è pensata solo in un modo, come continua modernizzazione, in cui le "deviazioni" - le scorciatoie, praticamente - sono possibili sempre e comunque, travalicando qualsiasi limite immaginabile, aggirando tutto con la tecnologia e con la scienza; e mentre si va avanti nello sviluppo, non si vede il buio dall'altra parte del tunnel, non pensando a problemi che potrebbero cogliere l'umanità di sorpresa e rendere qualunque rimedio inutile, quando è ormai troppo tardi: ormai ogni evoluzione del progresso è colta nel rimediare agli errori passati, ma così facendo se ne creano di nuovi, costruendo un "debito" difficile da riparare quando sarà passato del tempo l'unico rimedio per le deviazioni sono ulteriori deviazioni. Nel resoconto di DUPUY manca comunque qualcosa, quel qualcosa uscito con Katrina: tutti sapevano che stava arrivando con largo anticipo, eppure comunque qualcuno è morto. Questo perché qualcuno non aveva soldi per un biglietto aereo per scappare. Era facile scappa re per i ricchi, dato che Katrina era un pericolo per le loro vite, ma non per le loro ricchezze; diverso era il discorso per chi di averi ne avevi pochi. Quindi Katrina ha colpito tutti, ma la catastrofe naturale ha colpito un po' di più chi aveva un po' di meno. Espada dice: "tutti sanno che la catastrofi naturali sono pericolose, ma sono ancor più pericolose per chi è povero: 2/3 della popolazione di New Orleans era nera e 14 era povera ..". Gli stessi fondi tagliati per la difesa della città, chissà, forse sono stati tagliati per i motivi sbagliati; e quando c'è stato l'invio di militari per raccogliere ciò che era rimasto della città, sembrava che lo si facesse per tenere la legge in piedi, non per un vero aiuto volontario: i più colpiti da Katrina sono stati già coloro che erano ai margini della modernizzazione e che erano ben lontani dal principio universale della felicità costruito dalla modernità in questi anni. E' un pensiero terrificante: Katrina non ha forse aiutato l'industria dello "smaltimento degli esseri umani", in un pianeta così affollato nell'epoca moderna? Un'idea fantasiosa ed incredibile, che vorremmo smaltire dal nostro cervello, se solo la sequenza degli eventi non la rendesse così credibile.. La protezione da parte della modernità nei confronti dei disastri naturali(che ora si comportano come quelli morali, essendo più selettivi) era promessa integrante della modernità: ma invece che rendere tutti immuni dai disastri, si è passati solo a renderli più selettivi, prendendo di mira chi è meno meritevole di esser protetto –alias i più poveri, coloro che "non se lo possono permettere" –riuscendo nell'impresa di rendere selettivo persino il male naturale meno schizzinoso e più genuinamente universale: la limitazione biologica della vita umana la guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro disastri naturali o morali, sembra aver avuto come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione qualitativa. La NEIMAN arriva a sostenere anche che la rigida separazione tra disastro naturale e morale –nata dopo i disastri di Lisbona e fusi nella volontà di Dio –segna l'inizio vero della modernità: ci si chiede quale tipo dei due mali abbia percorso la distanza maggiore, permettendo la riunificazione fra i due. Il "male naturale" ha dovuto ridefinire la sua naturalezza: la sua caratteristica principale - il fatto che l'uomo non potesse fare nulla per prevenirlo - è stata ridefinita dalla cultura, che però non ha fatto altro che mettere dei paletti, senza cancellare il vero problema (Voltaire: "le arti hanno ridefinito i confini della natura", trasformandola da un'area inconoscibile ad un'area negativa della cultura); d'altra parte, il "male morale", per venire incontro a quello naturale, doveva cercare di assumere alcune delle caratteristiche di quest'ultimo la tendenza a colpire alla cieca, a prendersela con l'innocente, ad essere imprevedibile. Inoltre, fintanto che sì era posta verso gli uomini come divinità onnipotente ma benevola, la natura era stato un mistero che aveva sfidato la comprensione umana: non era comprensibile la benevolenza-e-onnipotenza di Dio coniugata con il male che imperversava nel mondo; la soluzione data allora –i disastri naturali sono castighi per i peccatori –non era in grado di spiega re, come diceva Voltaire - perché "il castigo colpissero in egual maniera innocente e colpevole". Tale contraddizione non si poteva spiegare e perciò venne cancellata, come diceva Weber, con il "disincanto" della natura, proprio quest'atto segnò la nascita dello spirito moderno, affermando che "può arrivare ovunque e ci arriverà", punendo così oltremodo chi aveva creduto nella redenzione del praticare la virtù e rendendo inutile un negoziato con la natura disincantata e poco interessata all'essere umano. Poi questa natura disincantata provocò un altro effetto collaterale, ovvero l'emancipazione dalla paura più grande - l'invincibilità del male - e rendendo la natura ugualmente spaventosa, ma senza più quell'aura divina che prima la circondava. Così fallì la premessa della filosofia della modernità –ricondurre la natura a cosa intellegibile –rendendo anzi anche il male morale imprevedibile e cieco e, soprattutto, il male compiuto diventa sempre più ingestibile e rimediabile. Infine, la burocrazia –caso Eichmann –richiedeva conformità alle regole, non giudizio morale; anzi, la moralità era ridefinita in base alla capacità del funzionario di assolvere ai suoi compiti, qualunque fosse il suo compito ed i destinatari della sua azione e rendendo la burocrazia una sorta di "dequalificazione etica''. La burocrazia serviva anche a liberare gli esecutori dalle responsabilità e dalle conseguenze delle proprie azioni, sostituendo la "responsabilità di" con la "responsabilità verso": la responsabilità dell'effetto di un'azione sul suo soggetto a quella verso colui che impartisce gli ordini, il superiore. Tutti hanno un superiore, tranne uno, e ciò produce due effetti prevedibili, secondo la ARENDT: • ciò fa fluttuare la responsabilità, divenendo difficile capire a chi attribuirla; b) • conferisce al "dovere di attenersi agli ordini" una forza quasi divina. A causa del tentativo (riuscito) di togliere la morale da certe decisioni, si è affievolito di molto il giudizio morale ed il suo rilievo; quindi, il paradosso di questa grandissima "deviazione" che si è intrapresa, è quello che ci troviamo –dopo 3 secoli –allo stesso punto: incerti sul da farsi, confusi, ed incerti sul cosa o da chi debba esser fatto. L'unica grande differenza è che, dopo questa grande deviazione, abbiamo perso le illusioni di battere la natura, ma non le paure ad essa connesse la più orribile delle paure è quella di non poter evita re la paura, né sfuggire ad essa. Inoltre, temiamo ciò che non sappiamo gestire: la comprensione nasce dalla capacità di gestire, ciò che non siamo in grado di gestire diventa "ignoto" e l'ignoto fa paura; la paura non è che un altro nome che possiamo dare al nostro essere senza difese. Quest'ignoto, legato alle situazioni contingenti descritte precedentemente, si è fatto particolarmente vivo negli ultimi anni con la sfera di avvenimenti economico-sociali chiamata "globalizzazione". CAPITOLO 4 TERRORE DEL GLOBALE Finora la nostra è una globalizzazione totale ed incontrollata, del tutto negativa, specializzata nel mandare in frantumi i confini troppo fragili per reggere la pressione. Il carattere "aperto" della nostra società ha acquisito un significato nuovo secondo Karl Popper, dandole un lustro nuovo che neanche lui stesso sperava: un destino ormai creato dall'irresistibile pressione di forze esterne, effetto secondario della "globalizzazione negativa". Se in origine l'Idea della "società aperta" esprimeva l'autodeterminazione di ogni società, libera ed orgogliosa del suo essere aperta, essa ormai per la maggior parte delle persone è associata alla tremenda esperienza di popolazioni vulnerabili, sopraffatte da forze che non controllano, né comprendono davvero. Su un pianeta "globalizzato" e popolato da società forzatamente aperte, la conquista della sicurezza diventa una chimera e non può essere garantita in maniera affidabile; così come non può essere garantita la giustizia, condizione di una pace duratura. Come scrive ROY, sono stati gli USA ed i suoi satelliti (Banca mondiale, FMI, Organizzazione del commercio mondiale) a causare gli effetti secondari come il nazionalismo, il fanatismo religioso, il fascismo ed il terrorismo, che avanzano passo con la globalizzazione l'illegalità globale e la violenza armata si alimentano reciprocamente. Con queste società aperte, non c'è posto sicuro dove nascondersi ed i pericoli, in questa società liquido-moderna, sono liquidi anch'essi, quindi non esistono muri per fermarli; lo spettro della vulnerabilità aleggia sul mondo negativamente globalizzato, rendendoci conto che siamo tutti in pericolo, con 3 ruoli da recitare –carnefici, vittime e "vittime collaterali" –ma se per il primo i pretendenti non scarseggiano, le fila del 2° e 3° ruolo si moltiplicano inarrestabilmente. Ci si chiede anche se il concetto di rischio renda l'idea della globalizzazione negativa: l'idea del rischio ribadisce la regolarità di un assunto nel mondo, secondo cui è possibile calcolare il rischio e soltanto calcolandolo, è possibile minimizzarlo. L'intoppo, tuttavia, è che la probabilità di insuccesso o fallimento può essere calcolata solo nella misura in cui si applica alla legge dei grandi numeri (es. più aumenta la frequenza, più il calcolo delle probabilità diventa preciso); in pratica, il calcolo della probabilità ha senso solo in un mondo routinario; peccato che il mondo globalizzato non sia affatto così. Il nostro mondo è pericoloso soprattutto in base a quei pericoli di cui non calcoliamo la prevedibilità. Tale incertezza planetaria è destinata a rimanere tale fintanto che la globalizzazione negativa non verrà sostituita da una positiva, rendendo il calcolo delle probabilità un procedimento utile. Secondo JONAS ed il suo "Principio Responsabilità", l'immaginazione etica non è riuscita a stare al passo con l'ambito delle nostre responsabilità etiche: la fitta rete di interdipendenze ci rende tutti oggettivamente responsabili delle sofferenze altrui, che ci piaccia o meno, che ne abbiamo l'intenzione o meno; ma la nostra immaginazione è stata costruita per addossarci delle responsabilità solo verso coloro che sono nella nostra vita o nei nostri contatti. Anziché diminuire, il distacco tra la responsabilità oggettiva e quella che accettiamo sta aumentando es. la differenza tra un assassinio intenzionale ed un assassinio attraverso la mancanza di politiche a favore dei poveri sta diventando sempre meno sostenibile, soprattutto quando si parla di responsabilità che attanagliano la buona qualità della vita sulla Terra. C'è un'unica differenza sostanziale tra i rischi e l'incertezza che domina il pianeta: i rischi più importanti sono tanto maggiori quanto più vicini agli attori ed alle loro azioni, mentre le incertezze –all'opposto –si espandono quanto più l'attenzione si separa dall'attore e dalle sue azioni. JONAS arriva a sottolineare che le nostre azioni potrebbero già segnare la vita di coloro che devono ancora nascere. I rischi - per coloro che li calcolano - più importanti sono sempre i più probabili di tramutarsi in realtà nel minor tempo possibile e solo questi richiedono una vera disamina; ma se si vuole restituir e all'etica una certa importanza, bisogna andare oltre il proprio naso, calcolando bene tutti i rischi che si decidono di prendere.. Di qui, l'ennesimo paradosso: più i nostri strumenti sono affinati, più temiamo che non possano bastare. Es. Iraq Rumsfeld affermò che i soldati americani sarebbero tornati quando gli americani si sarebbero sentiti più sicuri. Dall'inizio della guerra in Iraq, il terrorismo è addirittura cresciuto, affermando ancor più la regola secondo cui l'azione militare non può fare nulla per estirpare il terrorismo. La stessa Al-Qaeda è stata ridefinita da "organizzazione terroristica" a "gruppo slegato di persone connesse tra loro", insomma non una vera e propria organizzazione; oltretutto queste organizza zioni sono rapide nello spostarsi e quindi diventa difficile colpirli, anche con attacchi pesanti dal punto di vista armato. Altro paradosso? La guerra al terrorismo, affidata al paese con l'esercito più forte del mondo, appare impossibile da vincere; l'effetto più grande delle "campagne antiterroristiche" in Iraq e Afghanistan è stato quello di creare, per i terroristi globali, due nuove calamite o campi d'addestramento globali. In seguito agli sforzi profusi ed ai pochi risultati ottenuti, la campagna in Iraq è al punto più basso della sua storia; difatti, nonostante la superiorità tecnologica, i rivali imparano in fretta e sono veloci nel sostituire i propri caduti. Il problema è che appunto i terroristi danno ogni giorno prova di avere un'immaginazione ed un'inventiva illimitate e, oltretutto, i gruppi sono formati non in maniera gerarchica - ognuno deve seguire gli ordini ricevuti dall'alto - ma sono ognuno indipendente l'uno dall'altro. Oltretutto, approfittano dei nuovi media e non perdono occasione di fare stragi che possano mandare un messaggio al mondo, magari attraverso la trasmissione in TV o nel web; nuovi media che rientrano nella strategia terroristica, tanto che l'arma più grande per pubblicizzare e ricordare 1'11 Settembre 2001 fu proprio la televisione. Tra l'altro –data la natura sfuggente del terrorismo e la nozione di hanno cercato di eliminare tale zona d'ombra, scomoda per chi vi viene collocato, ma anche chi vi colloca qualcuno. Tutto ciò che rimuovere tale ambiguità –almeno dal punto di vista legale –ovvero passaporti, permessi, rilasci, sono la più grande innovazione della modernità; tuttavia, la "globalizzazione negativa" e tutto ciò che ne è derivato hanno reso inutili questi strumenti. Le autorità sembra no far rotta verso un'ambivalenza dello stato legale e non verso una non ambiguità dei diritti di residenza e civili a "tempo indeterminato". Un rimedio di tipo immediato per quest'ambivalenza non è a portata di mano; in tutto questo, potere e politica vanno sempre più in direzioni opposte. La sfida più grande che questo secolo dovrà affrontare è quella di rimettere insieme queste due realtà; su un pianeta globalizzato negativamente, con problemi globali che incombono su di esso, non si possono ammettere soluzioni locali. Gli europei non potranno vantarsi a lungo delle loro libertà, se altri non vivranno nelle medesime condizioni –la democrazia e la libertà non possono essere più un diritto solo per alcuni paesi, ma devono essere ad appannaggio globale. La paura è il demonio più grande in questo pianeta globalizzato negativamente e finché non verranno trovati gli strumenti per liberarsene, il pianeta rimarrà bloccato in questo stato. CAPITOLO 5 FAR AFFIORARE LE PAURE CASTEL ed il suo paradosso afferma che le paure saturano la società liquido-moderna ,nonostante - almeno nelle società avanzate - viviamo nelle società più sicure possibili. Noi che viviamo nelle società più avanzate siamo obiettiva mente gli esseri umani più sicuri dell'intera storia umana: i pericoli che minacciano di accorciare o finire le nostre vite sono drasticamente ridotti, abbiamo mezzi per prevenire o cercare quantomeno di combattere quei pericoli che ci minacciano. Eppure, proprio in queste società avanzate, lo sviluppo della paura è stato enorme negli anni recenti: sono proprio coloro che vivono nell'agio più avanzato ad avere più paura e la promessa moderna di allontanare le minacce per la sicurezza umana è stata più o meno mantenuta; meno si è fatto su quella di eliminarle. Castel avanza l'ipotesi che l'essere umano si senta insicuro non perché effettivamente non protetto, bensì perché non sa quant'è grande la sfera d'incertezze che lo circonda. Ogni minima paura rientra in questa sfera. E la promessa secondo la quale, con le giuste capacità e competenze, si possano eliminare le paure viene cancellata dal fatto che le ansie persistono. Si pensa che "non ce l'abbiamo fatta", ma allo stesso tempo si pensa che era possibile eliminare completamente le paure la frustrazione delle speranze aggiunge la beffa dell'impotenza al danno dell'insicurezza e canalizza l'ansia in un percorso che ci porta a sfogarla su dei target che riteniamo responsabili dei nostri fallimenti. In 2 delle 3 aree in cui gli uomini avevano molte insicurezze premoderne – aree riguardanti la natura e la fragilità del corpo umano –si sono verificati sviluppi spettacolari; la tecnologia ha provveduto a mettere uno scudo tra noi ed il nostro habitat/area –mai era stato possibile come ora curare tante malattie e, nonostante il numero di malattie cresca, cresce anche la popolazione mondiale. Quanto alla 3° area – inimicizia tra gli uomini –la promessa non solo non si è realizzata, ma anzi è diventata più remota; poiché ogni attacco di panico sopraggiunge dopo che una qualche istituzione apparentemente infallibile (ospedali, depuratori delle acque, etc.) si mostra debole, le paure portano a pensare che ci DEBBA essere un cattivo (possibilmente umano, su cui sfogare le frustrazioni). I mali moderni sono contrassegnati soprattutto dalla paura verso le malvagità ed i malvagi di tipo umano: tali sospetti derivano soprattutto da pregiudizi e dalla non volontà di riporre fiducia nella compagnia umana. Castel attribuisce all'individualismo moderno lo stato attuale delle cose; esortati a porre l'interesse solo per noi sé stessi (se ci interessiamo degli altri, è solo perché c'è anche il nostro interesse collegato ad essi), gli individui sono convinti che tutti gli altri simili siano guidati dalle stesse intenzioni egoistiche. Ma questa è un'illusione, poiché la paura non proseguirebbe se non avesse a che fare con dei tremori esistenziali che ci pervadono: sono tremori che ci sono sempre stati nella storia dell'uomo, poiché l'uomo non è stato mai al sicuro dai colpi del "destino"; l'idea del "destino" esprime l'incapacità umana di prevedere tali colpi e tantomeno di evitarli il "destino" perciò ha sempre indicato le debolezze umane e ha la propria potenza proprio nel fatto che riesce a spaventare così tanto il genere umano. Insomma, nessun sforzo eliminerà l'ansia originaria. Il circolo vizioso si è spostato dall'area della sicurezza (vale a dire dalla fiducia in sé o della sua assenza) a quello dell'incolumità (vale a dire a quella della protezione della propria persona dalle minacce che ci circondano); la prima area, privata delle istituzioni sostenute dallo Stato, è stata abbandonata a sé stessa, aperta ai liberi mercati e quindi si riduce alla forza che hanno le vittime di opporsi alle paure; le politiche di assicurazione garantite dalla comunità contro disgrazie individuali –detto "welfare o stato sociale" –sono progressivamente tagliate dai governi. Per LAWSON, lo Stato non è più l'onnipotente padrone del proprio territorio e –riprendendo la tesi di Frank sul "populismo del mercato" –afferma che "la richiesta collettiva è ormai sostituita da scelte individualizzate e competitive". Lo Stato però non può limitarsi a dimettersi da questo compito, bensì dovrebbe essere il garante del rispetto verso la legge e dell'ordine sul suo territorio; paradossalmente, la sua arrendevolezza verso altri poteri –che agiscono all'interno e all'esterno del territorio –permette di espandere la sua funzione di polizia e del rispetto dell'ordine. Via via che la rete protettiva dei diritti sociali s'indebolisce, rinasce la piaga della paura, che lo Stato voleva eliminare per sempre; ma il mercato agisce per ragioni diverse da quelle statali e, anzi, fiorisce in condizioni d'insicurezza. Poiché sia lo Stato sia istituti come i sindacati sono stati ormai smontati, tocca all'individuo trovare soluzioni individuali ai disagi sociali, con strumenti e mezzi individuali, chiaramente inadeguati a risolvere il problema; dallo Stato politico non arrivano tra l'altro messaggi su un futuro meno incerto. Trovarsi abbandona ti in un "paese straniero", sapendo che nessuno ci darà una mano ad evitare delle cantonate è un'esperienza che incute timore; la libertà senza sicurezza non appare migliore della sicurezza senza libertà, entrambe sono situazioni cariche di paura. La differenza tra prima ed adesso è che ormai tutte e due le soluzioni sono state provate, rivelandosi insufficienti: entrambe le situazioni generano paura, anzi adesso appare più profonda, perché non si vede una terza via che possa rappresentare un'uscita; in mancanza di un "agio esistenziale", gli esseri umani si accontentano dell'incolumità personale. Il termine "incolumità" – che evoca soprattutto aspetti personali e materiali della sicurezza –suggerisce che le persone si accontentano della protezione del proprio corpo e delle sue estensioni; ma poiché è l'insicurezza esistenziale a muovere le nostre paure, quest'accontentarsi non basta. Si tenta perciò di eliminare il destino e si lasciano alcune aree sguarnite, poiché combattere individualmente certe battaglie è impossibile; la verità è che le azioni che compiamo sono giuste per aree già coperte, mentre le azioni sono inefficaci sulle aree di paura che dovremmo veramente combattere. Il "progresso", un tempo manifestazione estrema dell'ottimismo e promessa di una felicità duratura ed universale, si sta trasformando nel contrario, ovvero una minaccia di cambiamento inesorabile ed inevitabile, un cambiamento che aumenta la nostra ansia (il futuro sembra quasi la versione reale dell'Anello Debole, programma tv - se non stai attento, potresti rimanere fregato) e ci fa temere che verremo esclusi da questa felicità perché "troppo indietro rispetto alla velocità del progresso". Ma le ragioni per aver paura non sono finite: siccome nessuna istituzione è talmente forte da reclamare universalità per le norme che preferisce, le regole per l'interazione degli uomini sono state immediatamente rigettate dopo esser state proposte. Per quanto riguarda i compromessi, sono temporanei ed instabili e richiedono un controllo su ognuno di coloro che l'hanno sottoscritto, temendo che verrà meno all'accordo. Esiste quindi qualche bene durevole in questa società liquido-moderna? Le classi medie sono certamente poste a metà strada tra due enormi poli magnetici e perciò i loro beni, le loro aspettative sono quelli più a rischio, perché devono continuamente riconferma re la propria posizione (al contrario delle altre classi: i poveri non possono fare molto per migliorare la propria condizione, i ricchi non devono fare molto per mantenerla); in passato potevano fare appello a regole stabili, ora non più. Finché le paure si sottraggono ad essere analizzate, siamo condannati a brancolare nel buio. Inoltre, coscienti del fatto che possiamo poco contro quei pericoli troppo grandi per i nostri strumenti, ci focalizziamo su ciò che possiamo influenzare (es. non inaliamo il fumo di una sigaretta, ci proteggiamo dal sole, etc.),rinchiudendoci quasi nell'autismo. Il problema - secondo ALTHEIDE - è che queste attività producono un senso di disordine che le nostre azioni accentuano es. ogni cambio di dieta a seguito di un nuovo attacco di "panico da cibo" fanno apparire il mondo più spaventoso ed incitano a ulteriori; la paura e la pubblicità sono fortemente collegate (es. l'incremento di attacchi terroristici porta ad un aumento dell'acquisto dei Suv, poiché viene presentato come un veicolo inattaccabile nell'imprevedibilità della vita fuori). E se l'incolumità personale è diventato il più importante tema pubblicitario, altrettanto si può dire nella politica es. Alemanno vinse le elezioni per il sindaco di Roma nel 2008 proprio con una campagna incentrata sulla sicurezza. Wacquant è arrivato ad affermare che "i caroselli pro-sicurezza sono per la criminalità ciò che la pornografia è per i rapporti amorosi, in quanto ignora totalmente le cause ed il significato del suo oggetto apparente, riducendolo all'assumere posizioni scelte unicamente in virtù della loro spettacolarità". Tornano in mente le parole di Beck sui rischi contemporanei: poiché la maggior parte dei pericoli sono inaccessibili ad una ricerca personale accurata, è facile argomentare le convinzioni pubbliche. In altre parole, nella battaglia di opinioni, chi ha più forza di comunicazione ha più possibilità di vincere. Il nuovo individualismo , l'affievolirsi dei legami umani e lo spegnersi della solidarietà sono tutti incisi sullo stato lato di una medaglia che sul rovescio reca l'impronta della globalizzazione; nella sua forma attuale - puramente negativa –la globalizzazione è un processo parassitario che si alimenta della forza succhiata dai corpi degli Stati-nazione e degli altri meccanismi di tutela di cui un tempo beneficiavano i loro membri. La società non è quindi più protetta adeguatamente dallo Stato ed è sottoposta alle forze rapaci che lo Stato non può, né si ripromette di, contrastare; è soprattutto per questo che i governi, intenti a sopravvivere con i loro programmi politici in equilibri fragili, incespicano da una crisi all'altra, senza altri sogni che quello di rimanere sulla poltrona e senza programmi lungimiranti lo Stato ridotto non riesce ad essere nient'altro che uno Stato di incolumità personale. Numerosi segnali del passaggio a questo tipo di Stato quale criterio di legittimazione del potere statale era presenti ben prima dell'11 Settembre 2001: ma ci sono voluti mesi e mesi di ritrasmissione di quelle immagini perché la politica potesse far uso della paura che ne scaturiva, ricavandone una nuova formula politica; gli eccessi, inoltre, non sono parte solo delle maxi-operazioni anti terroristiche, bensì anche degli avvertimenti dei paesi della coalizione anti-terroristica alle proprie popolazioni es. molti vengono intercettati, ma non viene accertato il motivo per cui debbano esserlo. Viste le misure insufficienti che spesso gli Stati prendono per combattere il terrorismo, secondo la ORR c'è la possibilità che, dietro questa diffusione della paura per il terrorismo, ci siano seri interessi commerciali in ballo; per esempio, grazie alla guerra al terrorismo, è aumentato l'incasso per il commercio di armi. Inoltre, vista la necessaria guerra al terrorismo, ci sono state innumerevoli limitazioni delle libertà personali, come non se ne vedevano dai tempi della Magna Charta, sotto la voce di "leggi antiterrorismo"; la cosa più grave è che la magistratura britannica –in questo caso –si è trovata spesso d'accordo con la linea del governo, concordando che "non c'è alternativa alla repressione" es. Guantanamo o Abu Ghraib, basi americane dove i prigionieri erano privati dei loro diritti, ma quegli atti non erano incidenti di lavoro, bensì atti premeditati con i quali torturare ulteriormente i prigionieri. Il risultato della campagna antiterroristica fu proprio l'aumento della paura all'interno della società: i terroristi avevano così raggiunto il loro obiettivo (minare le fondamenta della società che abbiamo oggi), più di quanto avrebbero mai potuto fare altrimenti. Lo Stato dell'incolumità personale, sostituto dello Stato sociale in cattive condizioni di salute non si distingue per essere amico della democrazia; lo Stato sociale ha fatto della fiducia in sé stessi e nell'effettiva possibilità di un futuro migliore il bene comune di tutti i cittadini. Lo Stato dell'incolumità personale, invece, fa leva sull'insicurezza e sulla paura –due nemici giurati della fiducia - e come ogni altra istituzione sviluppa
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