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Riassunto libro UN VOLGO DISPERSO. Contadini d'Italia nell'Ottocento, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto rielaborato del libro, completo di ogni capitolo compreso introduzione ed epilogo.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 14/06/2024

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Scarica Riassunto libro UN VOLGO DISPERSO. Contadini d'Italia nell'Ottocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Adriano Prosperi UN VOLGO DISPERSO Contadini d’Italia nell’Ottocento INTRODUZIONE - Contadini, una classe oggetto Il fulcro del libro sembra essere la riabilitazione della memoria e della storia dei contadini italiani nel corso del XIX secolo, un periodo caratterizzato dalla formazione dell'unità nazionale e dalle trasformazioni sociali ed economiche causate dall'industrializzazione e dalla modernizzazione. L'autore vuole esplorare le condizioni di vita dei contadini italiani durante questo periodo, sottolineando come spesso siano stati trascurati dalla storiografia tradizionale, che li ha considerati una "classe oggetto" (Pierre Bourdieu) destinata a essere rappresentata e descritta da altri, anziché protagonisti attivi della storia. La definizione coniata da P.B era relativa ai contadini del suo paese, la Francia. Eppure, nella cultura francese l’attenzione alla storia e al patrimonio culturale delle masse contadine e del mondo delle campagne è stata tradizionalmente assai piu viva che in Italia: quelle masse hanno avuto un ruolo chiave nella storia della Francia. Si critica anche il modo in cui la cultura dominante ha trascurato il mondo contadino, considerandolo una realtà marginale e subalterna, e come questo abbia portato a una perdita di memoria collettiva riguardo alle tradizioni, alle idee e ai sentimenti dei contadini. Eppure l’arrivo in massa dei contadini in soccorso di Milano durante la rivolta contro gli austriaci sono citati come esempi di come i contadini potessero influenzare gli eventi storici in modi imprevedibili e spaventosi per le élite dominanti. Queste azioni dei contadini mettono in discussione i disegni dei potenti e possono essere percepite come minacce alla stabilità politica e sociale esistente. Inoltre, l'autore discute il rapporto complesso tra città e campagna nell'Italia del XIX secolo, evidenziando come le masse contadine abbiano avuto un ruolo significativo nella storia del paese, nonostante siano state spesso ignorate o sfruttate dalle classi dominanti. Da un lato, i contadini svilupparono sentimenti ostili nei confronti delle città a causa dello sfruttamento subito da parte delle classi dominanti urbane. Dall'altro lato, nella cultura dominante delle città, si sviluppò un senso di superiorità nei confronti del mondo contadino, considerato inferiore e subalterno. Questo atteggiamento conduceva spesso a una sottovalutazione delle esigenze e delle sofferenze dei contadini da parte delle élite urbane. Il clero, in questo contesto, svolgeva un ruolo importante nel sublimare le frustrazioni e le sofferenze dei contadini attraverso le promesse della religione. Infine, l'autore esplora le sfide nell'approcciarsi allo studio della storia dei contadini italiani, evidenziando la scarsità di fonti dirette e la necessità di rivolgersi a fonti diverse per comprendere meglio chi fossero e come vivevano i contadini del passato. Di conseguenza, quello che sappiamo della loro condizione sociale e delle loro esperienze è principalmente derivato da fonti esterne, come i resoconti delle aziende agricole, i libretti colonici, nonché dai documenti raccolti dai poteri pubblici, dalla Chiesa e dallo Stato. Tuttavia, queste fonti spesso forniscono solo una visione parziale e limitata della vita dei contadini, concentrandosi principalmente sugli aspetti economici e amministrativi. La loro cultura, le loro credenze, le tradizioni e le esperienze quotidiane sono spesso trascurate o poco documentate in queste fonti. L'autore suggerisce che senza l'intervento di "antropologi inconsapevoli" come i giudici dell'Inquisizione ecclesiastica, che registravano dettagli della vita quotidiana durante i processi, avremmo avuto ancora meno informazioni sulla cultura dei contadini. Questo sottolinea l'importanza di esplorare fonti non convenzionali e di utilizzare un approccio multidisciplinare per comprendere appieno la complessità della vita e della cultura contadina nel corso della storia. Si evidenziano il ruolo delle inchieste, delle statistiche e delle topografie sanitarie nel XIX secolo nel portare alla luce la realtà vissuta dai contadini e nel generare un dibattito pubblico e un conflitto interno tra gli schieramenti politici. Queste indagini e rilevazioni offrivano una rappresentazione più accurata e dettagliata delle condizioni di vita dei contadini, mettendo in luce le sfide e le difficoltà che affrontavano quotidianamente. Queste informazioni venivano quindi rese disponibili all'opinione pubblica, contribuendo a sensibilizzare l'opinione sulle condizioni dei contadini e sulla necessità di affrontare i problemi che essi incontravano. Tuttavia, le rappresentazioni della realtà contadina fornite da queste indagini e statistiche potevano essere interpretate in modi diversi e portare a divergenze di opinioni tra i vari schieramenti politici. Alcuni potrebbero aver proposto soluzioni e riforme per migliorare le condizioni dei contadini, mentre altri potrebbero aver resistito a tali cambiamenti, difendendo gli interessi delle classi dominanti o sostenendo politiche conservatrici. Questo conflitto interno tra gli schieramenti politici rifletteva le tensioni e le divisioni presenti nella società del XIX secolo riguardo alle questioni agricole e sociali. Le informazioni fornite dalle inchieste e dalle statistiche, pur essendo fondamentali per stimolare il dibattito e l'azione politica, potevano quindi anche alimentare conflitti e disaccordi all'interno della società. - Per molto tempo ancora le fonti storiche continueranno a parlare genericamente di contadini incoraggiando così una rappresentazione unitaria del mondo delle campagne. Lo si guardava come un tutto unico quasi un'altra specie umana come si era fatta secoli prima nell'incontro con le popolazioni indigene della terra d'America. contadino – magari quello stesso zappatore di cui il poeta registrò il fischio serale nel Sabato del villaggio. Perché la domenica, il dì di festa, per il contadino doveva essere giorno di riposo, imposta dalla religione. Ramazzini, invece, si preoccupava delle condizioni di vita e di lavoro dei contadini, temendo che i medici non comprendessero appieno le loro esigenze. Ha introdotto un nuovo modo di concepire la medicina del lavoro, che teneva conto delle specificità del contesto in cui operavano i lavoratori e della loro condizione sociale. Era ai parroci, padroni, che si chiedeva di avere quegli avvertimenti “sempre innanzi agl’occhi”. Ecco il punto in cui la strada della promozione culturale del popolo delle campagne rivelava una strozzatura invincibile e costringeva ad affidarsi alla mediazione del prete e del padrone. Quanto a Ramazzini, risolse il problema indirizzando consigli specifici agli altri medici. Es: non indebolire con forti e ripetuti salassi i corpi spossati dalle fatiche. 3. STEREOTOPI Nell'arte e nella letteratura, i contadini sono spesso raffigurati in una varietà di paesaggi che mostrano l'intervento umano nella natura circostante. Queste opere non solo ritraggono un'immagine della natura addomesticata dall'uomo, ma rappresentano anche una testimonianza delle loro vite quotidiane. Attraverso queste rappresentazioni, emerge la complessità della vita contadina, con uomini, donne e bambini che svolgono una serie di attività legate alla terra, agli animali e alla comunità circostante. Come e dove vivevano? Come sono vestiti? Cosa mangiano? Cosa li differenzia tra loro e li oppone tutti al popolo delle città? Quando e come l’igiene è diventata un progetto collettivo perseguito da poteri statali? La città = centri di vita politica e culturale dell’epoca che restava lontana dall’esperienza del contadino. Tuttavia, nonostante la ricchezza di queste rappresentazioni artistiche, la storia italiana ha spesso trascurato il ruolo fondamentale dei contadini, concentrando l'attenzione su altri strati sociali. Questo nonostante il fatto che i contadini costituissero la maggioranza della popolazione e fossero essenziali per l'economia e la società dell'epoca. Le fonti storiche, tuttavia, offrono un tesoro di informazioni sulle loro vite, dai loro modi di vivere e mangiare alla loro salute fisica e mentale, fornendo così una visione più completa e dettagliata della loro realtà quotidiana. Tanti sono i dati conservati nei registri dell’anagrafe civile e nei libri parrocchiali dei battesimi (quanti erano, quanti ne nascevano o ne morivano, come si chiamavano, se e quando si sposavano, quanti figli avevano e quanti ne sopravvivevano, a che età morivano e dove venivano sepolti) e gli archivi di ospedali e manicomi (informazioni sulla loro salute fisica e mentale). SULL’ASPETTO FISICO del contadino si sono accumulati tanti stereotipi. PERSONAGGIO DI BERTOLDO (Seicento), prototipo del contadino scarpe grosse e cervello fino: ridicolo, mostruoso sono attribuiti per esorcizzare la paura. Le rappresentazioni stereotipate dei contadini come individui brutti ma saggi riflettono le paure della società nei confronti delle rivolte contadine e dei cambiamenti sociali: la società venuta fuori dagli sconvolgimenti sociali e culturali dell’età della riforma protestante e delle guerre tra Francia e Spagna chiedeva rassicurazioni. Tuttavia, queste immagini non raccontano l'intera storia dei contadini italiani, che erano individui con una vasta gamma di esperienze e sfaccettature. La Chiesa cattolica, ad esempio, cercò di correggere questa visione promuovendo la devozione a santi contadini come SAN ISIDRO, cercando al contempo di mitigare il risentimento dei contadini verso i ricchi e i potenti. Capitava che i popolani stentassero a credere alla Divina Provvidenza davanti alle disuguaglianze sociali e proprio per questo toccava al clero contrastare il sentimento di invidia diffuso tra i contadini nei confronti di ‘quelli della città’. L'interesse per il mondo contadino aumentò notevolmente con la ripresa demografica e la rivoluzione agraria dei secoli XVIII e XIX. Nuovi metodi agricoli e l'investimento di capitali portarono a un cambiamento nella struttura del lavoro agricolo, con una maggiore attenzione ai miglioramenti tecnici e all'organizzazione del settore. Trovò applicazione una scoperta della cultura agronomica italiana del Cinquecento: la possibilità di conciliare produzione di cereali e pascoli per l’allevamento sostituendo il maggese con erbe foraggere come l’erba medica e il trifoglio. Le associazioni agricole e le accademie (l’Accademia dei Georgofili) nacquero nel Settecento per promuovere lo studio e l'applicazione di questi miglioramenti, segnando un cambiamento significativo nell'atteggiamento nei confronti del lavoro contadino e del suo ruolo nell'economia nazionale. Nel fervido dibattito sulla mezzadria che ha animato la cultura toscana dal Settecento in poi, è emersa la tesi di un rapporto speciale e naturale che caratterizzava questo sistema. Secondo questa visione, la mezzadria implicava un patto basato sulla collaborazione e sull'assistenza reciproca per soddisfare i bisogni sia del proprietario terriero che del mezzadro. Questa prospettiva è stata sostenuta con veemenza da voci autorevoli del clero, che hanno rivendicato un ruolo fondamentale nella tutela dei diritti e dei doveri dei contadini. Sulla questione intervennero in modo particolare voci autorevoli del clero. Secondo il vescovo di Cortona GIUSEPPE IPPOLITI il contadino ha diritto alla sussistenza dopo aver lavorato la terra. Tuttavia, questa affermazione ha generato polemiche, poiché molti hanno interpretato questa visione come una giustificazione per un sistema che manteneva i contadini in una condizione di dipendenza economica. Pertanto, Ippoliti ha aggiunto che era necessaria un'istruzione morale ed economica per educare i contadini sui loro doveri e responsabilità, un compito che riteneva spettasse principalmente al clero, l'unico gruppo in grado di comunicare quotidianamente con una popolazione generalmente analfabeta. Allo stesso tempo, figure di spicco come CAMILLO BENSO, Conte di Cavour, e CARLO CATTANEO hanno dedicato grande attenzione alla gestione delle terre coltivabili. Cavour ha tratto ispirazione dalla sua esperienza diretta nella gestione della tenuta di Leri, mentre Cattaneo ha contribuito con saggi sull'economia agricola. Tuttavia, la mancanza di comunicazione tra la nuova cultura e la popolazione rurale ha minato gli sforzi di modernizzazione e integrazione sociale. La presenza diffusa dell'analfabetismo ha reso più facile la manipolazione delle masse da parte di leader improvvisati, che hanno spesso incitato a violente rivolte contro le élite urbane e i cambiamenti sociali. Lo si era visto nei moti sanfedisti alla fine del Settecento, guidati da predicatori e capi religiosi: esempio lampante di come la parola predicata potesse scatenare violente rivolte contadine. Anche se questi eventi sono stati soffocati nel corso del tempo, hanno lasciato un segno indelebile nella memoria popolare. L'epoca napoleonica ha portato ulteriori cambiamenti e tensioni, con saccheggi, arruolamenti forzati e rivolte sociali che hanno lasciato il segno nella storia italiana. La paura di un contagio rivoluzionario proveniente dalla Francia ha alimentato il mito di un mondo contadino intriso di antiche virtù e pronti a difendere l'ordine sociale esistente. In questo contesto, i giovani contadini dell'area padana sono diventati simboli della resistenza contro i cambiamenti imposti dall'esterno, mettendo in mostra la loro forza e la loro resilienza contro le sfide del tempo. Nel contesto della nascita del romanticismo in Italia, emerse un'idea frammentata dell'identità italiana, divisa tra due poli: da un lato c'era l'"italiano romantico-liberale", rappresentante della nuova classe dirigente urbana, mentre dall'altro lato rimaneva la massa della popolazione rurale, confinata in una condizione di lavoratori subalterni, esclusi dalla piena cittadinanza riservata ai nobili e agli intellettuali. Questa visione distorta dell'Italia rurale si rifletteva anche NELL'ARTE FIGURATIVA dell'epoca, che idealizzava la vita campestre e nascondeva le reali condizioni di vita dei contadini dietro immagini di robusti lavoratori e giovani donne in costumi regionali. Questa rappresentazione falsata del mondo rurale ha contribuito a occultare le forme primitive di rivolta che occasionalmente emergevano, spesso represse dalle autorità politiche. Le autorità ecclesiastiche e i proprietari terrieri trovavano spesso un terreno comune nel rapporto con il mondo rurale, almeno fino alla svolta reazionaria di Pio IX e alla questione di Roma capitale. Il clero, in particolare, esercitava un'influenza significativa sulla popolazione rurale e rappresentava un alleato prezioso per i proprietari terrieri, fornendo supporto morale e dirigendo ammonimenti per mantenere la pace sociale. Nel contesto di questa collaborazione, figure come il parroco IACOPO RICCI (tra i membri dell’Accademia dei Georgofili) dette alle stampe un Catechismo agrario, uno dei tanti casi in cui il modello dell’indottrinamento religioso elementare venne applicato all’insegnamento di pratiche agricole, e l'economista IGNAZIO MALENOTTI con Il padrone contadino con cui si rivolse però ai proprietari terrieri per far fruttare di piu le loro terre. A suo avviso si trattava non solo di ammodernare le tecniche di coltivazione ma anche di creare condizioni migliori di via per chi le coltiva. Nel suo libro, Malenotti si impegnò a mettere sotto gli occhi della classe dei proprietari tutto quello che c’era da cambiare se si voleva ottenere un miglior rendimento agricolo (la terra era pur sempre la principale e spesso l’unica fonte di ricchezza). E così descrisse le abitazioni dei coltivatori per quello che erano: costruzioni malandate, precarie, pericolose. Difatti un sacerdote aveva molte occasioni per entrarvi, sia per amministrare i sacramenti a malati e morenti, sia per le benedizioni pasquali: il suo compito era di occuparsi delle anime, non degli edifico degli arredi. Se le case erano miserabili, se le famiglie contadine conducevano un’esistenza dura senza nessuna delle protezioni garantite ai loro padroni o alle famiglie in città, il compito del clero parrocchiale consisteva nel confortare quelle persone con la promessa di un risarcimento divino nell’aldilà. Opere come il Catechismo agrario di Ricci e Il padrone contadino di Malenotti riflettono la complessità delle relazioni tra il clero, i proprietari terrieri e la popolazione rurale. Questi documenti offrono uno sguardo sulla realtà sociale del Granducato di Toscana, evidenziando le sfide e le opportunità legate alla diffusione del contratto di mezzadria e ai tentativi di migliorare le condizioni di vita dei contadini. 1. Le statistiche di Melchiorre Gioia La storia del progetto delle statistiche dipartimentali, avviato fin dalla costituzione della Repubblica Italiana nel 1802 e portato avanti durante il regno napoleonico d'Italia dopo il 1805, attraversò diverse fasi cruciali. Melchiorre Gioia, inizialmente responsabile per l'agricoltura e la topografia, ma successivamente investito dell'intero progetto, giocò un ruolo fondamentale. Tuttavia, il progetto non fu privo di ostacoli. Quando Gioia presentò il suo piano dettagliato per raccogliere dati su una vasta gamma di materie, suscitò timori e riserve da parte del governo. Alcuni temevano che l'amministrazione statale potesse diventare un agente economico attivo nella distribuzione dei beni. Giovanni Tamassia, attivo nell'inchiesta dell'Académie Celtique, fu uno dei principali oppositori di Gioia. Nonostante le difficoltà iniziali, il progetto alla fine ricevette l'approvazione del viceré e poté avviarsi alla realizzazione. Gioia consegnò al ministro dell'Interno le statistiche dei RIPARTIMENTI DEL MINCIO, DELL'ADIGE, DELL'ADDA, DELL'AGOGNA E DEL MELLA, fornendo una descrizione dettagliata delle condizioni economiche e sociali di queste regioni. Le statistiche di Gioia offrivano uno sguardo penetrante sulla vita delle campagne e delle città, evidenziando i problemi che limitavano la produzione di beni. Nel dipartimento del Mincio, ad esempio, Gioia descrisse le condizioni precarie dei contadini, che vivevano in abitazioni umide e mal costruite, spesso afflitte dalla carestia. Descrive il loro nutrimento: poco pane di frumento, molta polenta, vino, talvolta carne, ministra di legumi, cipolla e formaggio. Consumo del frumento maggiore tre mesi dopo il raccolto. Nei paesi di risaie abbondano le ministre di riso e qualche famiglia ha maiali da servirsene come pietanza. Normalmente bastava un anno di carestia, e l’uso esclusivo della polenta sommato alla mancanza del vino diventava causa di malattie come SCORBUTO. Non la pellagra notava Gioia. La questione della pellagra, già allora individuata come importante, doveva rivelarsi tragica quando in tempi successivi le cose cambiarono. Invece, la povertà del cibo doveva mantenersi invariata nel corso del secolo. Gioia distingue tra diverse figure all'interno del contesto agricolo, come il proprietario che lavora i suoi terreni, il mezzadro e il proprietario assente che affitta le terre ad altri. Inoltre, individua categorie speciali come braccianti, boari e castaldi, che non partecipano direttamente ai guadagni o alle perdite del proprietario e possono essere inclini al comportamento delittuoso. La sua approfondita comprensione della realtà economica e sociale si evidenzia nel rigetto delle classificazioni generiche, come quella di "contadini", e nella sua volontà di cogliere i fattori che promuovono il cambiamento. Il suo sguardo si concentra sulle forze economiche in grado di scuotere l'immobilismo sociale. Gioia si dimostra attento anche ai difetti fisici e alle malattie dei lavoratori. Nella statistica del dipartimento dell'Agogna, evidenzia le conseguenze dell'aria malsana sulla salute della popolazione locale. Tuttavia, è nella redazione della statistica del dipartimento dell'Adda che emergono appieno le sue capacità analitiche: qui, Gioia mette in evidenza i segni di estrema miseria che ostacolano i miglioramenti agricoli, concludendo che la povertà estrema porta all'emigrazione e alla vittoria della morte sulla vita, con nascite incapaci di compensare le perdite. Ma Melchiorre non si limitava a registrare indizi, CERCA ANCHE DI RISALIRE ALLE CAUSE. Ecco come spiegava la scarsa coltivazione dei bachi da seta, tradizionale risorsa economica delle famiglie in campagna: case troppo piccole e sporche. Ma perché erano così anguste quelle abitazioni? Precarie, mal costruite e umide, i canoni di affitto obbligano gli inquilini alla metà della spesa di costruzione quando le case si rovinavano. La logica di uno sfruttamento esoso oltre ogni limite si ritorceva nel soffocare sul nascere l’iniziativa e l’operosità del contadino. 2. La statistica murattiana La complessa opera di statistica generale del Regno di Napoli, ideata e completata durante il periodo napoleonico, ha suscitato varie interpretazioni a causa della vastità dei dati raccolti e dei limiti temporali imposti. Alcuni storici hanno sollevato dubbi sulla sua affidabilità, considerando la stretta tempistica che ha potuto influenzare la precisione delle informazioni, lasciando spazio a intendenti affrettati che potrebbero aver inventato dati per mancanza di tempo o volontà di indagare accuratamente la realtà. L'obiettivo principale dell'opera, guidata da Luca Cagnazzi, era comprendere gli stati precisi della popolazione, delle risorse territoriali e delle produzioni agricole e manifatturiere, al fine di confrontarli con il passato e suggerire miglioramenti per il presente. In particolare, la sezione relativa alla condizione umana degli abitanti ha sollecitato una risposta ampia in termini di suggerimenti per il miglioramento. L'esperienza diretta dei contesti ambientali ha guidato i relatori, che non hanno sempre avuto bisogno di dati specifici per descrivere la realtà. La storia della statistica nel Regno di Napoli ha radici più antiche, con visite provinciali commissionate dal sovrano stesso tra il 1786 e il 1890 per identificare le esigenze della popolazione e suggerire rimedi. Con l'ascesa al potere di Giuseppe Bonaparte, venne istituita UN'OFFICINA DI STATISTICA, mentre Gioacchino Murat diede impulso alla costruzione di una vera e propria statistica interna al Regno, completata nel 1811. Oggetto specifico dell’indagine era lo stato fisico – naturale (suolo, acque, temperature, prodotti spontanei) e nell’economia (agricoltura, pesca, pastorizia, manifatture). Vi era fatto posto anche per la questione della salute pubblica. Questo sforzo di ricerca ha portato a una raccolta importante di informazioni sulle città e sulle campagne del Regno di Napoli, fornendo una fotografia delle condizioni di vita della popolazione filtrata attraverso la sensibilità dei funzionari di governo. quegli uomini erano inorriditi da ciò che avevano dovuto vedere e descrivere. Le statistiche murattiane evidenziano in particolare l'importanza cruciale dell'ARIA e dell'ACQUA per la salute degli abitanti, con un focus sugli aspetti negativi come la contaminazione delle fonti d'acqua e la scarsità di cibo, che spesso consisteva in erbe raccolte nei campi e focacce di frumento di bassa qualità: nell’estate si ricorreva all’acqua piovana, perché le fontane e i pozzi erano esposti a ogni sporcizia ma le acque che arrivano abbondanti dal cielo diventavano rapidamente malsane. Fontane, serbatoi e pozzi erano esposti senza protezione alla sporcizia e alle deiezioni di animali e persone. Quando al cibo, consiste spesso di erbe raccolte nei campi. Al posto del pane troviamo quella focaccia “cinericia” descritta dal Galanti: “una focaccia di frumento detta ‘pizza’, cotta sotto la cenere, dura, insipida, mai fermentata, spesso senza sale. Solo acqua e la sera la polenta o una ministra. Le abitazioni erano descritte come strette, sudicie e sovraffollate, mentre le strade erano irregolari e piene di acqua stagnante. Le malattie abbondavano, e pochi erano protetti dal vaccino antivaioloso. La popolazione, soprattutto nelle campagne, era incline a credere ai rimedi superstiziosi anziché affidarsi ai medici, segnalando un problema diffuso nel contesto rurale italiano dell'Ottocento. 3. Académie celtique Le inchieste sulle condizioni di vita della popolazione dell'Italia centrale svelano una realtà contrastante rispetto a quanto osservato in altre regioni preunitarie. Le differenze tra le varie parti del paese delineano una complessa mappa di divisioni che sfidano gli sforzi di unificazione nel corso della storia italiana. Un punto chiave da considerare è la diversità di prospettive e di questionari utilizzati dai conduttori delle inchieste. Nel Regno di Napoli, ad esempio, gli intendenti furono responsabili della raccolta dei dati, mentre nell'inchiesta condotta dall'Académie si rivolsero a maestri di scuola, professori di lettere e membri del clero. Fu tra aprile e maggio del 1811 che il direttore generale della Pubblica istruzione inviò tre circolari con le quali chiedeva che gli venissero mandate entro un anno le risposte a tre diversi questionari. Si trattava di un’inchiesta di tipo demologico: le domande mirava a raccogliere conoscenze dettagliate su opinioni, pregiudizi e costumi delle popolazioni. In questo caso era il mondo delle campagne italiane che doveva essere messo al centro dell’attenzione. I popoli delle campagne erano sconosciuti e si trattava di accostarsi a essi per conoscerne costumi, credenze, pratiche sociali. Nel questionario del 1811, le risposte furono affidate ai professori dei licei, che a loro volta coinvolsero principalmente membri del clero locale. Questa realtà, in cui il clero svolgeva anche funzioni di insegnamento nelle comunità rurali, fu una costante in diverse parti dell'Italia. Tuttavia, le descrizioni fornite spesso riflettevano più i sentimenti e le preoccupazioni dei redattori che la realtà effettiva delle popolazioni rurali. Impegnati tra l'obbedienza alla Chiesa e quella al potere politico, i relatori tendevano a dipingere un'immagine idealizzata del contadino, semplice e virtuoso. Sebbene fossero presenti alcune credenze superstiziose, spesso trattate come questioni secondarie, come la paura delle streghe o i rituali per allontanare i temporali, la povertà era una costante, tanto da non permettere festeggiamenti per eventi come la nascita dei figli. Preti e maestri condividevano un'educazione culturale superiore rispetto alla media della popolazione, ma talvolta guardavano con sospetto al mondo rurale, considerandolo estraneo ai valori spirituali. Le descrizioni spesso si concentravano su riti e celebrazioni sacre, creando un'immagine bucolica del mondo rurale che talvolta sembrava distante dalla concretezza della vita quotidiana dei contadini. L'immagine del contadino che emerge dall'inchiesta è meglio rappresentata dai 112 acquerelli disegnati dal professore del liceo di Urbino, che mostrano i costumi del dipartimento del Metauro. Quest'opera costituisce il fondo più completo e ben conservato della sezione iconografica dell'inchiesta. Complessivamente, si ricorreva agli schemi della compostezza neoclassica per non sfigurare agli occhi dei francesi, ma l'abbellimento degli abiti non cancellava il disprezzo per la rusticità del popolo. È sorprendente che queste relazioni RARAMENTE menzionino malattie, povertà o morte. Solo un arciprete mise in evidenza un piccolo indizio della povertà contadina, raccontando che i figli prendevano persino dei denari in prestito per celebrare messe in suffragio dei defunti genitori. Dopo aver letto le statistiche dei primi due luoghi, sembra di trovarsi in un mondo diverso e remoto quando ci si addentra tra le case contadine dell'Italia centro-settentrionale. Si osserva un mondo di borgate e campagne agricole tranquille, ancorate alle proprie tradizioni e protette dai problemi sanitari e dal bisogno imminente. Questo quadro roseo della vita contadina può essere attribuito in parte al clero locale, che godeva di un certo privilegio sociale. Anche se bisogna considerare la possibile distorsione della realtà dovuta alla cultura e agli atteggiamenti degli informatori, i resoconti ci mostrano una parte d'Italia dove la condizione dei contadini appare notevolmente diversa rispetto a quella delle regioni montane e dei latifondi meridionali. Il crollo dell'impero napoleonico mise a rischio l'intera costruzione e minacciò di portare con sé anche la perdita della documentazione raccolta. Nonostante il crollo dell'impero napoleonico e le conseguenti turbolenze politiche e sociali dell'epoca, l'attenzione verso i problemi delle aree rurali e dei lavoratori agricoli non diminuì. 5. ECONOMIA AGRARIA E INCHIESTE SANITARIE Nell'Ottocento italiano, gran parte della cultura si concentrava sull'agricoltura come attività produttiva e sul proprietario terriero come imprenditore aperto all'innovazione. Tuttavia, l'attenzione era principalmente rivolta alle forme dei contratti agrari, trascurando la figura del lavoratore contadino e le condizioni della sua famiglia. Nell'Italia centrale, la mezzadria dominava, mentre nella pianura padana si assisteva a grandi aziende agricole e forme di lavoro collettivo che sostituivano la presenza stabile delle famiglie contadine. La MEZZADRIA rappresenta un rapporto antico e diffuso nelle campagne italiane, soprattutto nell'Italia centro-settentrionale a partire dal XV secolo, coincidendo con una riorganizzazione dell'intero spazio agricolo. Questo modello porta alla costruzione di case, stalle e fienili che caratterizzano il paesaggio rurale. I campi di grano e i filari di alberi accanto alla vite si dispongono regolarmente attorno a questi edifici. Gradualmente, le piccole e irregolari proprietà medievali si uniscono intorno alla casa colonica, formando il PODERE, che diventa l'unità fondamentale dell'agricoltura mezzadrile. In Toscana, l'assetto produttivo aveva attirato da tempo particolare attenzione, diventando una delle forme di rapporto tra lavoro e capitali più studiate. Le sedute dell'Accademia dei Georgofili dimostravano la sensibilità della classe dominante verso i problemi agronomici e le condizioni dei contadini. Nel 1838, durante una seduta dei Georgofili, il marchese Ridolfi mise in discussione l'ideologia del "buon padrone" (contribuì la venatura religiosa in senso cattolico di figure autorevole del mondo fiorentino), sottolineando la svalutazione del lavoro e del tempo dei contadini a vantaggio dei proprietari: il lavoro dei contadini, considerato un capitale essenziale per la produzione agricola, veniva gradualmente deprezzato o sottovalutato. Questo significava che il valore del lavoro svolto dai contadini non veniva adeguatamente riconosciuto o ricompensato, nonostante fosse un elemento fondamentale per il successo delle attività agricole. Inoltre il tempo dedicato dai contadini al lavoro veniva anch'esso sottovalutato o considerato di minor importanza rispetto al suo reale valore. Questo poteva tradursi in una mancanza di remunerazione equa per il tempo impiegato nel lavoro agricolo o in condizioni lavorative che non rispettavano adeguatamente il tempo e lo sforzo investiti dai contadini. Nonostante l'immagine di paterna protezione del proprietario, la distanza sociale e economica tra padrone e contadino rimaneva ampia, mantenuta anche attraverso la subordinazione economica e finanziaria. Le entrate del proprietario terriero aumentavano del 45%, mentre i contadini dovevano svolgere attività aggiuntive perché i proventi della mezzadria non bastavano a sostenerli. La mezzadria, con le sue variazioni regionali, continuava a essere predominante, sopravvivendo anche all'Unità d'Italia. La classe padronale, in alleanza col clero, assicurava l'adesione dei contadini al voto plebiscitario. Esemplare il modo in cui il marchese Ricasoli organizzò il voto al plebiscito del 1860 per l’adesione alla monarchia sabauda: dietro precise istruzioni, i fattori delle sue proprietà si posero alla testa dei mezzadri all’uscita della messa domenicale e li guidarono al voto insieme ai parrochi che nell’omelia si erano fatti un dovere di benedire quella scelta. In Toscana, il modello della mezzadria sembrava garantire la pace sociale e un efficace sfruttamento dei terreni. Mentre altrove si diffondevano società agrarie e iniziative per combattere l'analfabetismo Le differenze geografiche e storiche dell'Italia rurale mettono in luce le diverse condizioni di vita e le relazioni tra padroni e contadini. Nonostante queste differenze, la monotona ripetitività del menu contadino, spesso basato sulla polenta di granoturco, emerge come un elemento comune che unisce le comunità rurali di tutta Italia. Molti visitatori illustri, tra cui Goethe, si recarono a Roma attratti dalla sua storia e dai suoi monumenti. Le loro descrizioni delle regioni spopolate dell'Agro romano riflettevano il confronto tra la realtà presente e le grandiose immagini concepite nella mente, ispirate dalla grandezza antica e dalla poesia virgiliana. Le descrizioni evidenziavano la presenza dei latifondi e dei grandi spazi poco abitati, con particolare attenzione alla zona delle paludi pontine e ai devastanti effetti della malaria sui contadini migranti. Nonostante i tentativi di bonifica, il problema principale rimaneva la minaccia dell'aria malsana, che spingeva i lavoratori a vivere in condizioni disperate durante i mesi estivi, dormendo all'aperto e bevendo acqua contaminata. L'ispettore del Genio civile RAFFAELE PARETO, autore di una relazione sulla campagna di Roma del 1872, si rifiutò di idealizzare il passato romano e si concentrò sugli aspetti economici della vita rurale. La sua relazione, orientata verso l'aspetto economico e dominante nell'Italia liberale, trascurava le condizioni dei contadini, concentrandosi invece sui prodotti agricoli e sulle questioni di igiene. Le inchieste e gli studi rivelano le differenze locali nei vari universi contadini italiani, ma anche la comune realtà di fondo caratterizzata da miseria, dipendenza dal padronato e incertezza riguardo a cibo e abitazione. Le rivoluzioni agricola e industriale europee, insieme all'unificazione politica italiana, influenzarono profondamente queste realtà, portando alla luce la diversità come il problema fondamentale del paese. Si pone quindi la domanda se coloro che governavano fossero all'altezza della situazione, considerando le complesse sfide economiche e politiche che dovevano affrontare nel mondo contadino riunito in un'unica entità ostile.  Il focus principale è sull'organizzazione e sulle dinamiche dei rapporti tra proprietari terrieri e contadini nell'Italia del XIX secolo, con particolare attenzione alla mezzadria come modello predominante nelle campagne italiane. Si evidenziano le disuguaglianze sociali tra proprietari e contadini, con un'analisi approfondita delle condizioni lavorative e delle relazioni economiche e sociali che caratterizzavano l'epoca. Si sottolinea come il rapporto tra padrone e contadino fosse spesso improntato a un'aura di paternalismo, con i proprietari che agivano in modo benefico nei confronti dei contadini, ma spesso a un costo elevato per i lavoratori, che si trovavano indebitati e dipendenti. Nonostante l'immagine di protezione paterna del proprietario, la distanza sociale ed economica tra le due classi rimaneva ampia. Inoltre, si discute del ruolo della mezzadria come mezzo per garantire la stabilità sociale, con la proprietà terriera che fornisce un accesso garantito alla terra per i contadini senza la necessità di acquistarla. Tuttavia, si riconosce che questo sistema non era adatto a tutte le regioni italiane, come la Pianura Padana, a causa delle complesse sfide legate alla gestione delle acque. Infine, si esplorano le condizioni materiali e morali dei contadini, evidenziando le difficoltà che affrontavano nella loro vita quotidiana, incluse la povertà, l'analfabetismo e le condizioni di lavoro estenuanti. Si riflette anche sulle differenze regionali all'interno dell'Italia rurale e sulle sfide che i governanti dovevano affrontare nel gestire queste realtà complesse e variegate. 6. MEDICI, PARROCI E CONTADINI PRIMA E DOPO IL QUARANTOTTO 1. I medici Il XIX secolo in Italia ha visto una trasformazione significativa del ruolo dei medici nella società, sia come osservatori che come attori attivi. Questo secolo è stato definito anche l'epoca della medicina, con enormi progressi compiuti nella lotta contro malattie come colera, malaria e tisi, e importanti scoperte scientifiche come quella della causa della febbre puerperale da parte di Koch e Pasteur. Un cambiamento fondamentale è avvenuto nel concetto di igiene, passando da un'attenzione principalmente individuale a una pubblica, indirizzata alla collettività e realizzata attraverso regolamenti e legislazioni di sanità. Questo cambiamento è stato spinto dalla consapevolezza a vedere nell’ambiente lo sporco come fonte di minaccia, iniziata nel periodo illuminista del Settecento. Nel corso del XVIII e XIX secolo, i medici hanno assunto sempre più il ruolo di testimoni delle condizioni dei contadini, emergendo come protagonisti nel contesto delle classi popolari rurali, accanto ai proprietari terrieri e al clero. In particolare, i MEDICI CONDOTTI, stipendiati dai poteri centrali o locali, hanno giocato un ruolo chiave nella lotta contro le epidemie e nella promozione della salute pubblica, continuando una tradizione iniziata già durante le epidemie di peste del XIV secolo: fin dalla “peste nera” del 1348 i poteri pubblici dei piccoli Stati della penisola – specialmente nell’Italia centro-settentrionale – si erano impegnati nel combattere il flagello. Era stato messo in atto un sistema di misure preventive, orientato sostanzialmente a tutela delle città. Col tempo anche i centri minori erano stati dotati di medici “condotti”, cioè stipendiati dai poteri centrali o da quelli locali. E toccò proprio a loro prendere l’iniziativa nella mutata realtà dell’Ottocento. In quel periodo si assistette a un crescente interesse per la cultura sanitaria, focalizzato sull'importanza dell'igiene pubblica, con particolare attenzione all'acqua e all'aria come veicoli di malattie. Questo cambiamento non fu limitato all'Italia, ma rappresentò una svolta generale nella cultura sanitaria e politica europea. I medici e le autorità pubbliche assunsero una responsabilità diretta nei confronti delle comunità, superando l'approccio centrato sulla cura individuale. I medici furono i primi a evidenziare il LEGAME TRA MALATTIA E POVERTÀ, sottolineando come la mancanza di mezzi per vivere - come cibo, riposo, igiene personale e ambientale, aria e acqua pulita - contribuisse alla diffusione delle malattie. Le principali preoccupazioni riguardavano i pericoli legati all'aria e all'acqua stagnante, considerati i principali nemici della salute all'inizio del XIX secolo. Contemporaneamente, si combatteva la battaglia contro il vaiolo, prima con l'inoculazione preventiva e successivamente con la vaccinazione. Tuttavia, la diffusione delle nuove scoperte scientifiche era rallentata dalla resistenza delle pratiche tradizionali nel campo della salute. Nonostante ciò, si consolidò un approccio preventivo e incentrato sull'igiene. Questo contesto si svolse sullo sfondo delle innovazioni della Rivoluzione industriale e agraria, che stavano trasformando le società europee. Sebbene le trasformazioni politiche introdotte dalla Rivoluzione francese e dall'impero napoleonico subissero una battuta d'arresto con la Restaurazione, i cambiamenti economici e sociali continuarono senza sosta. In Italia, come altrove, la povertà assunse nuove forme e portò con sé nuove malattie, anche se le epidemie di peste si allontanavano. BERNARDINO RAMAZZINI fu il precursore di un'attenzione della medicina verso il rapporto tra salute e lavoro umano. Questo interesse non si limitò ai centri ospedalieri delle città, ma coinvolse anche i medici operanti nei piccoli centri e nelle campagne, dove iniziò a emergere la formazione di organi di controllo e supervisione. In un contesto di stati moderni in evoluzione, la prevenzione delle epidemie divenne una priorità, segnando una tendenza generale nell'evoluzione della politica come scienza del governo della società. J.O. FRANCK : Un esempio significativo di questo approccio si ebbe nel Settecento nell'Impero, con la diffusione della figura del medico provinciale, in linea con la proposta di Franck. Quest'ultimo promosse la creazione di un sistema di regole e istituzioni sanitarie per migliorare lo stato di salute della popolazione, definendo il medico come un magistrato responsabile dell'applicazione di norme sociali volte a combattere le malattie. Franck evidenziò il legame tra MISERIA e MALATTIA, sottolineando l'importanza di un adeguato nutrimento per il mantenimento della salute: il corpo umano è una macchina, scrisse Frank, come tale è destinato a rompersi se le sostanze consumate dalla fatica non sono restaurate da sufficiente quantità e qualità di nutrimento. Così lo attenderà un ospedale dove sarà in agguato il contagio, insieme alla crudele trascuratezza destinata ai poveri. Era da ciò che derivava l’alta percentuale di morti, superiore alla media generale, che si registrava negli ospedali. Questa nuova cultura medica si concentrò sulle condizioni di lavoro e sui bisogni materiali delle persone nelle campagne, entrando in conflitto con il ruolo tradizionale del clero e delle parrocchie nel fornire assistenza sociale. Così, il medico cominciò a occuparsi attivamente della salute dei lavoratori e delle condizioni di vita nelle campagne, riconoscendo le minacce alla salute causate dalla fatica e dalla miseria. Questo cambiamento segnò una svolta nella medicina, che abbracciò finalmente il mondo del lavoro e si pose come difensore della salute e del benessere delle persone. Nel contesto storico italiano, il ruolo dominante della Chiesa cattolica nelle campagne inizialmente garantiva guida morale e disciplina al popolo. Tuttavia, con le riforme settecentesche e l'era rivoluzionaria e napoleonica, questo rapporto iniziò a mutare. dottor G. BARZELLOTTI: Un esempio di questo cambiamento, il quale fornì istruzioni mediche ai parroci di campagna per aiutarli a curare i loro fedeli, concentrandosi sugli studi sulle epidemie e sull'igiene come mezzo per prevenire i contagi. Barzellotti propose una collaborazione tra la scienza medica e il clero per il progresso morale e sociale del popolo, ribaltando il tradizionale ruolo della Chiesa come guida principale nella cura del corpo e dell'anima: la norma era espressione di un’epoca in cui la salvezza dell’anima veniva prima di quella del corpo e il pericolo della peste reale era meno importante dell’eresia, la peste della fede, aveva lungamente legato le mani ai medici. Allora il dottore poteva accostarsi al letto del malato in ospedale solo se, e dopo che, il ricoverato si fosse confessato davanti al sacerdote. Ora, invece, le parti si erano rovesciate: era il medico che si rivolgeva al parroco per offrirgli le sue conoscenze e per proporgli un’alleanza nella lotta contro la malattia e la morte. CESARE CORRENTI (1815-1888) Nel contesto culturale lombardo, troviamo le opere di CARLO CATTANEO: il piu attento osservatore di quanto maturava fuori d’Italia. Ed influenzò pensatori come Cesare Correnti il quale, attraverso indagini statistiche, espose le gravi condizioni dei bambini nelle fabbriche. Gravissima la realtà messa in luce dal rapporto: “fanciulli di dieci, di otto, cinque anni chiusi per tredici e talora per quindici ore in mefitiche officine, legati a un lavoro incessante, e quando piu la natura non poteva, colle percosse obbligati a muoversi ed a vegliare”. E tanto piu grave quanto piu appariva inesorabile conseguenza dell’avanzata internazionale della grande industriale: le macchine abolivano la fatica, da qui la sostituzione degli operai adulti con manodopera minorile che costava meno. Così anche nelle fabbriche dei distretti della Lombardia, nel bergamasco, in Sardegna. I fanciulli erano reclutati nelle campagne e immessi in ambienti che ne deformavano il corpo con la ripetitiva dei movimenti e ne mettevano a rischio l’integrità morale e fisica. Correnti guardava alla realtà inglese e da lì attingeva l’espressione di “tratta dei piccoli bianchi”. Ma intanto con loro e piu di loro si muovevano in difesa dei bambini le altre due categorie: parroci e medici. Correnti proponeva interventi umanitari limitati per affrontare questa situazione (fissare limiti d’orario all’impiego minorile e alternare il lavoro con la formazione) e riconosceva che le radici del problema erano profonde e legate all'evoluzione dell'industria agricola e alla trasformazione delle famiglie contadine. L'industrializzazione graduale e la crescita del lavoro minorile nelle fabbriche in Lombardia sottolineavano la connessione intrinseca tra l'evoluzione dell'agricoltura e il declino delle famiglie contadine, suggerendo una nuova dinamica economica e sociale che richiedeva attenzione e intervento da parte dei pensatori e dei riformatori dell'epoca. Le pagine di Cesare Correnti ci introducono nel contesto di un'economia avanzata come quella lombarda, osservata da una prospettiva che lo avrebbe reso un protagonista nella lotta per la liberazione dall'Austria e nella storia politica italiana del secondo Ottocento. Pur non seguendo né le posizioni di Cattaneo né quelle di Mazzini, Correnti era un sostenitore della "forma razionalistica della dottrina del progresso", come notò Benedetto Croce. Durante il Quarantotto lombardo, Correnti fu uno dei protagonisti, inizialmente ostile alle posizioni filo-Savoia dei moderati ma sempre convinto della necessità di una guerra di popolo. STEFANO JACINI (1826-1891): Un'altra voce autorevole proveniente dalla Lombardia e dalle grandi proprietà terriere. Dopo un'educazione rigorosa e un attento studio delle condizioni e dei problemi della produzione agricola, Jacini pubblicò opere ricche di analisi e proposte innovative per migliorare la redditività delle aziende agricole. Sottolineò l'importanza della gestione attenta della terra e respinse le teorie di Malthus, sostenendo che una terra ben coltivata e una classe di proprietari diligenti avrebbero potuto ottenere grandi risultati. Jacini analizzò anche le condizioni dei contadini, comprese le loro malattie, le condizioni abitative e la salute delle madri e dei minori, giungendo a una valutazione complessivamente positiva dello stato delle cose. ERCOLE FERRARIO (1816-1897): una descrizione più cupa dello stato materiale e morale dei contadini lombardi venne fornita intorno alla metà dell'Ottocento dal medico condotto Ferrario, il quale svolse un'indagine per chiarire le cause di alcune morti improvvise tra i contadini (le vittime erano contadini in età ancora giovane e di costituzione robusta), che si sospettava fossero legate al duro lavoro estivo nei campi nel Piemonte. C’era il sospetto che quelle morti derivassero dall’enorme quantità di polveri respirate nel corso del duro lavoro: già Ramazzini aveva richiamato l’attenzione sulle polveri come fattore patogeno. Ma l’autopsia dei due morti rivelarono che si trattava di pleuriti doppie fulminanti, causate dai violenti sbalzi di temperatura subiti dai contadini surriscaldati dal lavoro e poi esposti al fresco notturno. Ferrario attribuì queste morti a condizioni estenuanti e a fattori ambientali avversi, evidenziando la durezza della vita dei contadini lombardi. L'uso dei nomi propri per descrivere le vittime, come Giuseppe e Vincenzo, fu insolito e contribuì a personalizzare queste tragedie umane. Questa narrazione più dettagliata e personale contrastava con l'approccio impersonale della statistica e contribuiva a far emergere la sofferenza individuale di fronte alle dure condizioni di vita dei contadini. Ferrario, inoltre, descrisse le condizioni di vita dei contadini nelle campagne lombarde, evidenziando la loro povertà e la durezza della loro esistenza, offrendo uno sguardo intimo sulla loro realtà quotidiana. (p.90) Durante i tumultuosi giorni milanesi del 1848, Ercole Ferrario dedicò le sue energie all'assistenza ai feriti presso l'ospedale militare di Sant'Ambrogio, su invito di AGOSTINO BERTANI. Tra i due uomini scattò un profondo legame di amicizia e solidarietà, testimoniato dai resoconti di Ferrario che si rivelano un documento prezioso del fervore patriottico che pervase quella guerra di popolo. Nei racconti di Ferrario si dipinge un quadro vivido di giovani contadini giunti dalle campagne, spesso privi di vesti e calzature adeguate, pronti a combattere e a dormire all'addiaccio nelle nevi dell'alta montagna. Il Quarantotto milanese fu caratterizzato da un sentimento democratico e popolare, con le masse che bramavano libertà e giustizia, una lotta poco gradita ai moderati che preferivano attendere l'intervento dell'esercito di Carlo Alberto. Dopo l'Unità d'Italia, Ferrario continuò ad affrontare il tema dei contadini in varie occasioni, dimostrando una profonda consapevolezza dei problemi italiani e legando la sua lotta contro il regime austriaco all'impegno personale e intellettuale a favore delle classi lavoratrici più svantaggiate. Questo impegno non sfuggì all'osservazione di IPPOLITO NIEVO (p-92), che ne ricavò l'appello a migliorare immediatamente le condizioni del popolo contadino. Nievo riteneva che la questione religiosa e quella sociale fossero nodi cruciali da risolvere per raggiungere l'unità nazionale, e che questo cammino dovesse passare attraverso il popolo delle campagne. La coscienza delle necessità di avvicinarsi ai lavoratori delle campagne assumeva toni meno drammatici nelle iniziative di altri membri del mondo della cultura intese piuttosto a portare lumi di conoscenze tecniche e agronomiche nuove. “Amico del contadino” l’almanacco agrario di GAETANO CANTONI (rileggi il libro perché prima si parla di Giovanni e poi di Gaetano). Anche in Veneto, GHERARDO FRESCHI promosse un giornale con scopi simili a quelli dell'Almanacco di Cantoni, con l'obiettivo di diffondere informazioni utili per i coltivatori della terra e affrontare problemi come la PEBRINA, una malattia che minacciava gli allevamenti di bachi da seta. Entrambi Cantoni e Freschi condividevano l'interesse per progetti rivoluzionari a beneficio delle loro comunità: siamo davanti a membri della piu avanzata classe intellettuale lombarda che concepivano il rapporto con i lavorato delle campagne e i loro problemi come un punto chiave nella prospettiva di un progetto politico e sociale mirante all’unificazione italiana. L’agricoltura fu vista da Gaetano come una pratica economica fondamentale, che a suo avviso bisognava far progredire coi lumi della scienza. Siamo davanti a membri della piu avanzata classe intellettuale lombarda che concepivano il rapporto con i lavorato delle campagne e i loro problemi come un punto chiave nella prospettiva di un progetto politico e sociale mirante all’unificazione italiana. L’agricoltura fu vista da Gaetano come un pratica economica fondamentale, che a suo avviso bisognava far progredire coi lumi della scienza. ANTONIO CACCIANIGA, giornalista e scrittore veneto, si distinse per la sua preoccupazione nel migliorare le tecniche agricole e nell'elevare la preparazione dei contadini attraverso l'istruzione e la divulgazione scientifica. Il suo auspicio di vedere i proprietari terrieri guidare i loro coloni verso la civiltà rifletteva una visione che considerava il libro come uno strumento per raggiungere questo obiettivo. Anche per l’almanacco di Cantoni il sottotitolo chiariva chi fossero i destinati della pubblicazione: si rivolgeva ai padroni, l’unica classe in grado di leggere. Difatti, l'accesso alla conoscenza tecnica e scientifica rimaneva limitato per la maggior parte dei contadini, che costituivano una minoranza selezionata tra coloro che potevano comprendere e applicare le informazioni fornite negli almanacchi e nei giornali agricoli. Cantoni, ad esempio, offriva un'enorme quantità di conoscenze scientifiche, ma il suo pubblico principale erano i piccoli proprietari e i fattori, le categorie più istruite e interessate al progresso agricolo. L’ambiguità del termine “agricoltore” doveva permanere a lungo, a distinguere una classe potente e rispettata da una plebe contadina priva di titoli di studio e di diritti. Il problema non si limitò all’Ottocento, ma allora piu di sempre i proprietari terrieri furono un blocco sociale diviso da molte differenze interne ma dotato di grande solidità e autorevolezza: una vera classe dirigente nell’Italia appena nata, quasi allo stesso titolo di quella nobilità terriera degli Junker che dominò nella Germania unita. Nonostante gli sforzi di divulgazione scientifica, l'ambizione di Cantoni e degli altri intellettuali era quella di elevare il livello culturale e agronomico delle campagne, piuttosto che perseguire la gloria personale come scienziati. La scoperta di Cantoni sulla sconfitta della pebrina del baco da seta, ad esempio, rimase relativamente poco nota, ma il suo obiettivo principale era diffondere la conoscenza per il bene delle comunità rurali. Durante il Quarantotto milanese del 1848, GIOVANNI CANTONI si distinse come un osservatore attento, tanto da pubblicare due articoli sul fallimento di quest'esperienza mentre era in esilio in Svizzera. Nei suoi scritti, Cantoni analizzò la risposta corale dei contadini lombardi all'invito a unirsi alla lotta contro gli austriaci, un episodio spesso trascurato nella retorica storica del Risorgimento(p.95). Carlo Cattaneo, uno spettatore diretto di quegli eventi, era stato entusiasta di Martini, estraneo alle tendenze razionaliste e rivoluzionarie del gruppo dei congiurati, ha tentato di riconciliare la sua fede con il suo ruolo di educatore, sottolineando l'importanza dell'obbedienza ai superiori e la fedeltà al sovrano nei suoi scritti. Attraverso il "Confortatorio di Mantova", Martini ha cercato di far risplendere la luce del martirio cristiano sui congiurati mantovani, lasciando in ombra le loro scelte politiche e sociali. Allo stesso tempo, nel suo libro "Il buon contadino", ha tentato di rassicurare il mondo dei moderati sulle tensioni sociali presenti nelle campagne, mostrando un atteggiamento di apertura e fiducia nel dialogo e nell'istruzione. Nel periodo trattato, il mondo delle campagne attraversava un periodo di grandi speranze e delusioni, con un sentimento di ribellione e ostilità nei confronti dei ricchi proprietari terrieri. La prima parte de "Il buon contadino" consisteva in una serie di lezioni rivolte ai lavoratori rurali, in cui Monsignore Martini invitava a seguire l'esempio del suo defunto padre. Questo dialogo immaginario con il padre defunto trasmetteva un mix di inviti a frequentare la scuola, temperati da esortazioni a non aspirare oltre la propria condizione sociale. Martini raccomandava che le scuole cittadine rimanessero accessibili solo ai figli dei proprietari, mentre i figli dei contadini dovevano accontentarsi della scuola domenicale di dottrina cristiana o di scuole rurali più elementari, limitando gli studi a undici anni (pena la rovina morale loro e delle loro famiglie). Il consiglio di Martini, rivolto a tutte le categorie sociali rurali, sottolineava l'importanza di essere devoti alla religione, obbedienti ai padroni e rispettosi della legge, con un'accettazione rigida delle norme sociali e delle divisioni dei prodotti con i proprietari terrieri. Nel secondo volume, rivolgendosi ai proprietari, Martini enfatizzava la responsabilità dei padroni nell'imporsi come guida morale, dato che i lavoratori rurali spesso non sapevano leggere. Il "buon contadino" era colui che restava al proprio posto sociale, rispettava il padrone, evitava lussi, frequentava la Chiesa e non aspirava a migliorare la propria condizione sociale. Martini esprimeva anche la sua concezione rigida del RUOLO DELLE DONNE e dei comportamenti sessuali, sottolineando l'importanza di rimanere lontani dalla città, considerata luogo di corruzione. Questo atteggiamento paternalistico autoritario cattolico era in netto contrasto con l'evoluzione dei costumi nelle campagne padane. Tuttavia, Martini riconosceva l'importanza della scuola e della stampa nel diffondere la conoscenza utile nelle campagne, un'idea che si rifaceva ai principi dei riformatori e agronomi del Settecento. Martini era preoccupato di frenare piuttosto che promuovere l'accesso al sapere dei contadini, limitando ciò che riteneva fosse necessario che essi sapessero (p. 103). Egli considerava la classe contadina con una lente critica, vedendola come sinonimo di mancanza di igiene e altre carenze sociali, come l'abitudine alla bestemmia e i vizi come il tabacco, l’assenza ai riti religiosi. Nel mondo delle campagne, si stavano verificando cambiamenti significativi, specialmente riguardo al ruolo e alla condizione delle donne, che svolgevano ruoli cruciali all'interno delle famiglie contadine e iniziavano ad entrare nell'economia monetaria attraverso lavori come la filatura, l'allevamento del pollame, tessitura, ricamo. Martini raccoglieva molte di queste esperienze, compresi riti tradizionali come la celebrazione dell'ultimo giorno di febbraio e la dura vita quotidiana nelle risaie e durante le epidemie di colera. Martini non vedeva di buon occhio l'emergere di una nuova figura, quella del medico, e riteneva che fossero incapaci di comunicare efficacemente con i contadini. In contrasto, il parroco era una figura radicata nella società italiana da secoli, inserito nella rete delle parrocchie rurali e coinvolto nelle vicende quotidiane della gente comune, compresi i loro problemi materiali, sentimenti e pensieri. Il parroco era anche responsabile di tenere traccia della vita dei contadini attraverso la compilazione dello "stato delle anime" durante le visite diocesane, registrando nascite, morti, battesimi e confessioni. Tuttavia, il registro ufficiale rifletteva principalmente la pratica sacramentale dei contadini e i loro vizi, mentre ignorava molte altre realtà della vita rurale, come gli scioperi e le rivolte dei braccianti degli anni Ottanta del secolo. romanzi di Charles Dickens. Engels aveva chiaro in mente quanto la violenta mortifera delle epidemie pesasse come un incubo sulla società: colera, tifo, vaiolo. L’igiene poteva tutt’alto piu limitarla la miseria ma non era capace di eliminarla. Intanto da quelle denunzie si levava un rombo inquietante per le classi dominanti: c’era una collera, un vento di ribellioni, che secondo Engels poteva avere un solo esito: l’inevitabile prossima rivolta degli sfruttati. Il rosso spettro della rivoluzione sociale turbava i sonni di poteri politici e classi dominanti. E l’esperienza degli interventi di risanamento igienico parlava chiaro: i governanti del Regno d’Italia in quello scorcio di secolo ebbero davanti agli occhi l’esito della grande operazione di fognatura della città di Londra che aveva eliminato una causa fondamentale delle epidemie. Operazione gigantesca e risolutiva. Né la ricchezza dei governi inglesi, né l’efficace controllo politico di quelle operazioni di risanamento trovarono riscontri nel neonato Regno d’Italia. Nel contesto europeo, dominato dalla Rivoluzione industriale, l'igiene diventò cruciale per contrastare le epidemie e migliorare le condizioni di vita. Tuttavia, anche in Italia, le malattie epidemiche continuavano a minacciare, come il colera e la malaria, soprattutto a causa della povertà endemica e delle condizioni malsane. Queste sfide si traducevano in due questioni fondamentali: la GIUSTIZIA SOCIALE e l'IGIENE, entrambe legate al problema dell'accesso all'acqua potabile, a un'alimentazione adeguata e a case salubri. L'impegno del governo italiano per l'igiene si manifestò sin dall'inizio, con la legge sanitaria del 1865 che affidava la sanità pubblica al ministero dell'Interno, seguendo il modello della legge Rattazzi del 1859. Tuttavia, l'inefficienza del sistema si evidenziò quando le epidemie dilagarono e l'attenzione si concentrò sull'ossessivo controllo, penalizzando medici e farmacisti. Nel sistema centralistico del nuovo Stato, i Comuni, controllati dai prefetti, dovevano rispondere in materia di sanità. Ma solo pochi di essi erano all'altezza del problema. C’era una vasta gamma di realtà da censire: DATI DI NATURA (clima e stagione, età individuale) e c’erano quelli di CARATTERE SOCIALE E STORICO (luoghi e case di abitazione, mezzi di sussistenza). Nel contesto culturale diffuso, l’opera divulgativa svolta da singoli autorevoli personaggi come Paolo Mantegazza doveva fare i conti con gli scarsi mezzi e con le resistenze religiose davanti all’incipiente moda del naturalismo. Il punto d’incontro tra le iniziative delle autorità di governo e la mentalità prevalente nella corporazione sanitaria si può definire con due parole: IGIENE SOCIALE: C’era da un lato la società umana: un corpo gigante vivente, per la maggior parte in condizioni di povertà e di totale subalternità alle classi dominanti, insidiato dall’aggressione di agenti patogeni e dal pesante fardello di carenze igieniche e di malattie ereditarie. E c’era dall’altro una classe dirigente impaurita dalla minaccia di un’umanità pericolosa, sfruttata e spinta alla resistenza e alla rivolta anche perchè quell’élite sociale e politica aveva sprecato l’unica grande occasione per saziare una fame che era anche piu forte di quella del pane: la fame di terra. La grande occasione – fu notato- fu quella della vendita di beni nazionali: l’esproprio dei beni fondiari delle congregazioni religiose e la loro redistribuzione avrebbero potuto calare nella realtà italiana il tipo ideale del contadino proprietario, invece nella realtà le terre migliori impinguarono la grande proprietà fondiaria. Fu così che i contadini diventarono italiani ma solo di nome. (p.120) L'IGIENE DIVENNE L'OSSESSIONE POLITICA E CULTURALE DELL'EPOCA, assumendo caratteristiche di utopia di purezza e sanità locale. La batteriologia prometteva importanti obiettivi nella lotta contro malattie come la malaria, il colera e la tubercolosi, soprattutto tra le classi popolari. Intanto la corporazione dei medici condotti non perdeva occasione per segnalare le condizioni miserabili di vita degli abitanti delle campagne soprattutto per quanto riguardava l’alimentazione e la salute. Bisognava agire contro quelle pratiche che tante relazioni dichiaravano ancora così diffuse nel mondo contadino: l’assenza di separazioni tra gli ambienti delle persone e quelli degli animali, l’abbandono di rifiuti e di escrementi vicino all’abitazione, la mancanza di acqua potabile e l’esposizione a un’aria malsana. Eppure, le campagne rimanevano in secondo piano rispetto alle priorità urbane, nonostante il problema della malaria avanzasse. Le prime organizzazioni di solidarietà e resistenza delle classi popolari diedero vita ad azioni di protesta, incontrando la repressione dello Stato, espressione delle classi dominanti (p.122). 8. LA RETE ITALIANA DEI MEDICI CONDOTTI Nel XIX secolo, accanto alla figura del PARROCO, emerse un'altra categoria di intellettuali di rilevanza sociale: i MEDICI, impegnati nella lotta contro le malattie e la morte. Sebbene la loro opera fosse distinta da quella del sacerdote, entrambi condividevano il ruolo di confidenti e protettori delle comunità. Distinzioni: tra le molte funzioni del parroco una gli era stata semplicemente vietata: quella di medicare le malattie e le ferite (interdizione canonica). A questi antichi precedenti l’epoca della Controriforma aveva aggiunto un altro motivo: il divieto a ogni contatto coi corpi e con le persone da curare nei loro letti, che poteva mettere a rischio la condotta morale di un clero obbligato al celibato. Questo divieto, insieme alla crescita della professione medica nel contesto dell'Italia del XIX secolo, portò alla definizione del medico come un nuovo tipo di sacerdote, impegnato a proteggere la salute del corpo, lasciando al sacerdote il compito di portare i sacramenti agli infermi e preparare il morente alla sua sorte. Da qui la definizione di “sacerdozio” per l’ufficio del medico. Anche perché il fatto stesso dell’ingresso nelle case portava a renderlo il confidente dei segreti piu intimi. Naturalmente anche il solo potere di lenire i dolori conferiva al medico una posizione di assoluto rispetto nella gerarchia morale delle classi popolari. I medici condotti, incaricati di prestare assistenza nelle aree rurali, ebbero un ruolo cruciale nella raccolta di informazioni sulle condizioni sanitarie delle popolazioni locali. Questo compito li mise in contatto diretto con la realtà quotidiana delle comunità, consentendo loro di diventare confidenti dei segreti più intimi e di guadagnarsi il rispetto delle classi popolari. C’era poi un terzo protagonista, il PROPRIETARIO TERRIERO: il quale poteva condividere col medico la fiducia nella scienza positiva, ma aveva bisogno della Chiesa per garantirsi la soggezione del popolo. Il padrone non dimenticava mai che era la religione la arma piu sicura contro la rivolta sociale nelle campagne. Lo si vede quando nel tardo Ottocento la nascita di leghe contadine e la protesta contro la tassa sul macinato resero inquieti i sonni della borghesia liberale anche i proprietari terrieri liberali che della religione tradizionale avevano scarso rispetto non rinunziarono a servirsi dell’aiuto del clero per tenere a freno il popolo delle campagne. La figura del medico condotto si trovò a interagire con altri attori della società rurale, come i proprietari terrieri e i parroci, trovandosi spesso a collaborare con parroci e proprietari terrieri per affrontare le sfide sanitarie e sociali delle campagne italiane. Il che accadde sempre piu a partire dal momento storico in cui prese forma l’assetto del governo dell’Italia unita e vi si dovette regolare la forma del controllo sanitario della società. L'avvio del nuovo Stato italiano portò a un maggiore interesse per la STATISTICA e per la RACCOLTA DI DATI SOCIALI. La creazione di divisioni statistiche e l'istituzione di sindaci comunali pose l'attenzione sull'organizzazione sanitaria e sull'igiene a livello locale. La Divisione di statistica, istituita nel 1861, pose attenzione alle differenze regionali e ai problemi sociali. La suddivisione in Italia in 18 compartimenti statistici – poi sostituiti dalle Province – mise in evidenza una volontà di rispecchiare le differenze tra quelle che solo faticosamente vennero prendendo forma di Regioni. A capo della cellula elementare della costruzione, il Comune, fu insediato un sindaco, non elettivo ma di nomina regia. Le EPIDEMIE, come quella del colera nel triennio 1835-1837, preoccupano le autorità per le loro conseguenze sia sanitarie che sociali. La credenza diffusa nella "congiura del colera veleno" (convinzione che ci fosse una congiura tesa ad avvelenare il popolo) scatena disordini e rivolte, alimentando la nostalgia per l'ordine antico e la disaffezione verso il nuovo regime politico. Il Mezzogiorno era allora agitato dalle insorgenze dei “briganti” e dalle congiure borbonico-papaline, contrastate con una vera e propria guerra guerreggiata da una dirigenza sabauda sorda e cieca nel suo fanatico culto del centralismo. Questa situazione crea tensioni non solo tra le classi dominanti e le autorità centrali, ma anche tra le varie correnti politiche, compreso il radicalismo mazziniano e socialista. Oltre alle epidemie, le TRASFORMAZIONI NELL'AGRICOLTURA, come l'aumento del prezzo del grano e la rivoluzione agraria, portano a cambiamenti significativi nei rapporti di produzione nelle campagne italiane. Questi cambiamenti, specialmente nella ricca Valle Padana, trasformano il rapporto tradizionale tra contadini e proprietari in un rapporto più capitalistico, caratterizzato dalla precarietà del lavoro e della residenza per i contadini. Le classi dominanti delle altre regioni spesso trascurano queste sfide, mantenendo il latifondo nel Meridione e frustrando le speranze di riforma agraria. 9. L’EPIDEMIA DELLA PELLAGRA L'epidemia della pellagra emerge come uno dei tragici fenomeni che hanno afflitto le campagne italiane prima e durante l'era dell'unificazione nazionale. In particolare, le cinque ondate successive delle epidemie di colera che hanno devastato l'Italia dall'inizio del 1835 e oltre hanno provocato la perdita di circa mezzo milione di vite. Questi eventi hanno offuscato l'immagine idilliaca dipinta da alcuni resoconti delle campagne italiane, come quello presentato da monsignor Martini, mostrando invece una realtà drammatica e angosciante. WILHEM MENIS (1796-1850) = Un'opera significativa che evidenzia le condizioni sanitarie e sociali preesistenti e l'insorgenza della pellagra nella regione bresciana è stata redatta dal medico provinciale di Brescia, Menis, durante la prima metà del XIX secolo. Il suo saggio del 1837, basato su un precedente rapporto sull'epidemia di colera nel Bresciano, fornisce una dettagliata descrizione delle condizioni di vita dei contadini bresciani, evidenziando le cause della loro miseria e delle malattie che li affliggevano. Era stata un’esperienza tragica che aveva rinnovato il terrore e i disastri già sperimentati al tempo della grande carestia mondiale del 1816-1817. Ancora una volta, fra il 1835 e il 1836, la carestia era stata la premessa dell’epidemia. Il lavoro di Menis fornisce una panoramica completa delle condizioni sociali, economiche e sanitarie della popolazione bresciana, con particolare attenzione alle loro abitazioni, alla loro alimentazione e alle malattie diffuse. Ecco le cause prevalenti di malattia e di morte: la miseria, la poverissima e malsana alimentazione costituita da quel mais che era anche il principale prodotto delle campagne, le abitazioni miserabili, la fatica di un lavoro logorante a cui non sfuggivano nemmeno i figli di età infantile. Anche per il dottor Menis il lavoro minorile era la causa della mala crescita e della precoce mortalità di tanti fanciulli. Era nella pianura che si concentrava la maggior parte dei fattori di cattiva salute. E un posto speciale spettava qui alle forme dell’abitare. Le case erano per lui tra le cause principali delle patologie. Le rendevano tali la scarsa ventilazione, il difetto di luce, l’umidità tramandata dal suolo per mancanza di pavimenti, le esalazioni provenienti dai letamai e dalle immondizie che si ammucchiano nei cortili, l’accesso di aria e pioggia da tetti e finestre. Nella parte montana del territorio andava anche peggio: qui si trattava di vere capanne dove le abitazioni dell’uomo sono spesso comuni alle bestie. Principale alimento del bresciano è la polenta, cotta poco e male. Per economia si beve l’acqua, generalmente malsana. Le malattie prevalenti che si affacciano dai dati statistici raccolti dal dottor Menis sono la TISI, LA SCROFOLA, LA PELLAGRA (quest’ultima preoccuperà ben presto le autorità sanitarie). La pellagra, definita dal dottor Menis come una "malattia della miseria", era stata osservata in Lombardia circa mezzo secolo prima e colpiva principalmente i contadini delle campagne. Questa malattia, insieme ad altre patologie, evidenziava le profonde disuguaglianze sociali e la discriminazione economica che affliggevano le classi rurali. Durante l'epoca dell'unificazione politica dell'Italia, il problema della diffusione della pellagra nelle campagne italiane, compresa la Pianura Padana, divenne sempre più grave, richiamando l'attenzione degli intellettuali e dei medici (p.146). La malattia, che nel suo diffondersi a livello mondiale avrebbe assunto un nome italiano, fu studiata da vari medici italiani, tra cui Francesco Frapolli, Cesare Lombroso e Lodovico Balardini. Tuttavia, già dalla fine del XVIII secolo, diversi medici si erano occupati della pellagra, mettendo in evidenza il legame tra la malattia e le disuguaglianze sociali. Un esempio significativo è il dottor CARLO NARDI, che nel 1836 pubblicò una ricerca sui sintomi della pellagra, sottolineando il ruolo cruciale della povertà e del cattivo nutrimento come cause della malattia. Secondo lui non era contagiosa (p.147). Nardi elaborò un progetto sociale complesso per combattere la pellagra, che prevedeva la costruzione di case contadine con bagni e limiti orari di lavoro rigidi. Tuttavia, la sua proposta non suscitò interesse tra i parroci e i proprietari terrieri, né ricevette particolare attenzione da parte dei colleghi medici. La questione delle cause della pellagra rimase oggetto di dibattito. Alcuni ritenevano che vi fosse un legame tra la malattia e l'alimentazione a base di mais, come evidenziato già nel 1776 da un proclama dei provveditori di Sanità della Repubblica di Venezia. Durante il secondo periodo delle ricerche sulla pellagra, che va dal 1840 al 1870, si registrò un notevole aumento degli studi sulla malattia, parallelo a un grave peggioramento delle condizioni di vita e alimentazione della popolazione rurale. Il dottor LODOVICO BALARDINI (1796-1891), successore di Menis come medico provinciale di Brescia, fu uno dei principali protagonisti di questo periodo. Presentò una memoria sul tema al sesto Congresso degli scienziati italiani a Milano nel 1844 e continuò a trattare la questione fino al suo ultimo saggio nel 1871. Balardini si distinse per la sua convinzione di aver individuato la causa della pellagra, che attribuì alla povertà anziché al cibo, come si era ipotizzato in passato. Il medico si rivolse alle "superiori autorità" per attirare l'attenzione sul problema, essendo consapevole che i contadini non avrebbero ascoltato direttamente i consigli dei medici. Il suo approccio differiva da quello di Ramazzini, poiché si rivolgeva alla "classe dei lavoratori" anziché ai contadini direttamente. Balardini sottolineò che la pellagra non era contagiosa e colpiva solo i lavoratori nei campi, principalmente nelle pianure lombarde, venete e piemontesi. Il medico descrisse dettagliatamente i sintomi della malattia, che si manifestava in modo stagionale e provocava una serie di disturbi fisici e mentali, tra cui depressione, vertigini e deliri. Identificò la povertà come causa principale, insieme al consumo di mais contaminato da una muffa chiamata "verderame" (p.153). Propose che i contadini affetti da pellagra una cura apparentemente semplice: nutrirsi di pane di frumento, carne e latte, e ricevere cure speciali nei ricoveri, compresi i bagni. Il contributo del dottor Balardini alla comprensione della pellagra confermò alcune osservazioni fatte dal suo predecessore, il dottor Menis, principalmente riguardanti la povertà dei contadini come causa generale della malattia. Tuttavia, Balardini focalizzò l'attenzione sul mais guasto come fattore scatenante, in contrasto con le obiezioni sollevate da Carlo Nardi. Sebbene Cesare Lombroso condivisa anche dal dottor Stefani, che la espresse chiaramente nella sua relazione introducendola in tre punti: 1. La pellagra si manifesta solo nelle campagne, dove il mais costituisce il cibo quasi esclusivo del contadino, almeno per la maggior parte dell'anno, e non nelle città. 2. Colpisce soprattutto i contadini più poveri, in particolare coloro che hanno una dieta costituita principalmente da polenta scarsa o sola. 3. La pellagra può essere curata migliorando l'alimentazione. Era una malattia tipicamente contadina, legata alla fame e alle condizioni di lavoro e di vita. Non c'era trasmissione contagiosa, ma piuttosto la possibilità che la malattia si ripresentasse ogni volta che si creavano le stesse condizioni. In un episodio significativo, la pellagra si manifestò negli Stati Uniti nel Novecento, interessando la parte meridionale del paese, dove si consumava principalmente mais. L'epidemia, sebbene tragica, ricevette poca attenzione, principalmente a causa della marginalità delle vittime. Solo con la Prima guerra mondiale, la riconversione della produzione agricola portò a una diminuzione dell'incidenza della malattia. Tuttavia, rimase una realtà poco conosciuta, e l'immigrazione italiana fu vista con sospetto e colpita da divieti d'ingresso per i migranti affetti da pellagra. 10. IGIENE: VANGELO BORGHESE DELLA SALUTE O DIFFERENZA DI RAZZA. MANTEGAZZA E LOMBROSO Nell'Italia dell'Ottocento, il concetto di "igiene" divenne fondamentale, portando alla ribalta un medico fuori dagli schemi convenzionali: PAOLO MANTEGAZZA (1831-1910), un individuo che sfruttò brillantemente le opportunità del suo tempo. Mantegazza si distinse per la sua capacità di anticipare le tendenze culturali e scientifiche, come dimostrato dalla sua precoce comprensione dell'importanza dell'opera di Charles Darwin, con cui intrattenne un rapporto personale. La sua fama fu costruita principalmente sulla divulgazione di temi legati all'igiene e alla sessualità. In qualità di presidente della Società Italiana di Antropologia ed Etnologia, nel 1872, inviò un questionario ai sindaci italiani riguardante caratteristiche antropometriche degli uomini e delle donne(altezza, al colore degli occhi e dei capelli), allo scopo di confrontare l'etnia italiana con altre popolazioni europee, seguendo un approccio simile alla "carta igienica" di Lombroso. Tuttavia, i risultati furono deludenti, poiché il numero di risposte ricevute fu molto inferiore alle attese. Nonostante ciò, Mantegazza si distinse per la sua abilità nel promuovere il "Vangelo della salute", contribuendo al rinnovamento della letteratura di viaggio per il pubblico colto dell'Italia unita. Tra le sue opere, si distingue un racconto immaginativo che proietta il futuro nel 3000, descrivendo una società ideale caratterizzata dalla pace perpetua e dal progresso tecnologico, dove il controllo della salute ambientale e individuale è prioritario. Questa utopia comprende anche la legalizzazione dell'eliminazione dei neonati con difetti fisici e la gestione avanzata del ciclo della vita e della morte. Mantegazza promosse ideali di igiene, salute, e piacere attraverso una serie di iniziative e pubblicazioni, sfruttando il suo aspetto gradevole, la sua abilità oratoria e la sua reputazione di vero scienziato. Il suo messaggio, ambiguo e trasgressivo, attrasse diverse fasce della società italiana, compresa la borghesia, i professionisti, e gli intellettuali, che trovavano nella sua visione una via di fuga dalle convenzioni morali e sociali dell'epoca. Nell'Italia dell'Ottocento, Mantegazza emerse come un pioniere nel campo della divulgazione scientifica, sapientemente capitalizzando l'interesse del pubblico per argomenti di moda legati alla conoscenza e al piacere. La sua produzione letteraria dominante fu quella delle pubblicazioni divulgative sull'igiene pubblica, che si rivolgevano apparentemente a tutti, ma che in realtà svelavano uno sguardo privilegiato sulle pratiche e le preoccupazioni della borghesia. Affrontando questioni quotidiane come la dieta degli operai e dei contadini, Mantegazza aprì una finestra sulle abitudini alimentari della classe borghese, confrontandole con quelle delle classi meno agiate. Utilizzò argomentazioni persuasive, destinate a diventare parte del senso comune e a tranquillizzare le coscienze dei benestanti. Attraverso la catalogazione dei DIAMETRI CRANICI di oltre duemila individui affetti da disturbi mentali, Lombroso cercò di stabilire correlazioni tra le dimensioni del cranio e le capacità intellettuali, ritenendo che i valori all'interno di ciascuna provincia italiana fossero relativamente uniformi, ma che vi fossero significative differenze tra le diverse province. Da queste diversità Lombroso ricava diagnosi sulla maggiore o minore capacità intellettuale. È interessante notare che l'epoca descritta da Lombroso non era priva di analogie con altre situazioni internazionali, come ad esempio il popolo delle campagne italiane che ricordava i "yeomen" inglesi, sradicati dalle rivoluzioni agraria e industriale e diventati operai delle manifatture, a cui Engels dedicò pagine. Tuttavia, mentre Engels si concentrava sulle prime forme di lotta di classe e sugli scontri tra proletariato e capitale, Lombroso si focalizzava sullo studio degli individui considerati alienati, interpretando i loro comportamenti violenti come segni di follia o addirittura come caratteristiche di una razza primitiva e pericolosa, rimasta indietro nel processo di evoluzione umana. È lecito interrogarsi sul ruolo della classe dirigente italiana e delle istituzioni dell'Italia liberale nel favorire un approccio scientificista e una visione distorta della salute pubblica, promossa da un'importante élite sociale come quella dei medici. Anche se Lombroso accennò alla possibilità di migliorare le condizioni di vita dei contadini per risolvere i loro problemi di salute, egli riteneva che fosse un'impresa impossibile e si concentrò su altre soluzioni. Questo solleva la questione di quali fossero le politiche adottate dai governi italiani in quegli anni e come queste influenzassero le visioni e le proposte della classe medica. La sordità delle istituzioni politiche e la mancanza di interventi efficaci per affrontare le sfide sanitarie potrebbero aver contribuito a rafforzare l'orientamento scientificista e la tendenza a considerare la malattia come un problema individuale anziché sociale. 11. INIZIATIVE STATALI. DALL’OSSERVATORIO DI UN PICCOLO COMUNE Nella seconda metà dell'Ottocento, le autorità italiane si trovarono a fronteggiare una serie di epidemie e malattie che affliggevano la popolazione, tra cui il COLERA, IL TIFO, IL VAIOLO, LA MALARIA E LA PELLAGRA. Queste sfide sanitarie mettevano in allarme le autorità del giovane Stato italiano, soprattutto considerando il contesto di disagio e conflitto diffuso nelle classi subalterne, caratterizzato da miseria e malattia. L'azione dello Stato si concentrava anche sul piano fiscale, con imposte che gravavano soprattutto sui piccoli proprietari, contribuendo alla concentrazione della proprietà fondiaria e generando una crescente evasione fiscale tra i contribuenti più ricchi (p.185) Le classi più povere erano costrette a sacrificare beni di prima necessità come il sale e i cereali per far fronte alle tasse. Nel frattempo, dal mondo contadino e operaio giungevano segnali di inquietudine. Passati gli anni in cui l’unità del paese era apparsa in grave pericolo per le insorgenze del Meridione, domate da quella vera e propria guerra civile che l‘esercito del Nord combatté contro i “briganti”, si affacciavano davanti i poteri statali i problemi delle minacce della malaria, del colera e la diffusione al nord della pellagra, col formarsi di un proletariato industriale, trovavano sempre piu ascolto idee e messaggi sociali che preoccupavano i governi liberali. Per far fronte a queste sfide, lo Stato liberale italiano implementò misure di polizia e ricorse alla raccolta sistematica di dati attraverso la statistica, che divenne uno strumento fondamentale di governo. La statistica, sia a livello civile che militare, permetteva di ottenere una conoscenza dettagliata della situazione del paese e guidare le politiche pubbliche. Le commissioni per la leva militare, ad esempio, rappresentavano un banco di prova per il senso di appartenenza dei cittadini al nuovo Stato. La formazione del Regno d'Italia fu un processo lungo e complesso, che richiese tempo e superamento di resistenze profonde all'interno della popolazione. Sebbene l'evento fosse stato registrato nelle cancellerie statali internazionali ed europee, la sua assimilazione nelle coscienze e nelle abitudini della popolazione richiese un lungo periodo di adattamento e cambiamenti. Il servizio militare obbligatorio rappresentò un momento cruciale per la popolazione italiana nel prendere coscienza del cambiamento politico avvenuto con l'unità nazionale. Questa esperienza, spesso gravosa e imprevista, coinvolse tutte le famiglie, che si videro privare del contributo dei giovani figli maschi, mandati in luoghi lontani e non sempre tornavano vivi (come descritto da Verga nei suoi "Malavoglia"). La verifica statale sui giovani in età di leva rivelò l'ampia diffusione delle deficienze fisiche e sanitarie della popolazione. Fu così che i Comuni furono incaricati di raccogliere dati in modo sistematico, un compito che metteva a dura prova le loro limitate risorse. Durante la seconda metà dell'Ottocento, i Comuni ricevettero una moltitudine di richieste di informazioni, non limitate solo alla leva militare, ma estese anche alla consistenza della popolazione, alle attività economiche e alle condizioni ambientali: potabilità delle acque, presenza di personale sanitario, condizioni di cimiteri. Per comprendere appieno il contesto, possiamo esaminare gli archivi di uno dei circa ottomila Comuni italiani di quegli anni, come il comune toscano di Cerreto Guidi. I suoi archivi storici forniscono una preziosa fonte di informazioni sulle condizioni locali. Ad esempio, possiamo esaminare una circolare ministeriale del 12 maggio 1870, diretta al comune, che richiedeva dettagliate informazioni sulle condizioni economiche e sociali. Questo avveniva durante il periodo in cui Firenze fungeva da capitale provvisoria del Regno d'Italia. La risposta del comune, datata 17 maggio, forniva una serie di punti dettagliati, qui di seguito esaminati: 1. Si affermava che la condizione economica della popolazione di Cerreto Guidi, in particolare della classe operaia, era poco favorevole. Tuttavia, va notato che il concetto di "classe operaia" potrebbe non essere del tutto appropriato per questo contesto. Il comune era prevalentemente agricolo, e quando si parlava di classe operaia si intendeva probabilmente i prestatori d'opera nelle aziende agricole, diversi dai mezzadri, oltre alle attività manifatturiere correlate ai lavori agricoli. 2. Si evidenziava che lo stato attuale delle varie industrie locali era precario. Anche se il termine "industria" potrebbe suggerire una modernità che forse non esisteva ancora, si faceva riferimento principalmente alla trasformazione dei prodotti agricoli destinati alla vendita, come il vino. In effetti, l'industria in questo contesto si riferiva più alle attività manifatturiere connesse all'agricoltura che a una produzione moderna. 3. Si osservava che le condizioni economiche della popolazione rurale non differivano significativamente da quelle dei centri abitati. Questo fatto suggeriva che, nonostante le differenze di contesto, entrambe le aree condividevano sfide economiche simili. 4. La proporzione tra coloro impiegati nell'agricoltura e nelle industrie manifatturiere rispetto al resto della popolazione indicava chiaramente la dipendenza del "centro" dalla periferia rurale. La popolazione del comune era composta principalmente da un nucleo di artigiani che lavoravano per le famiglie della popolazione agricola dispersa. Tra di loro c'erano anche coloro senza possedimenti, disposti a lavorare per un salario minimo nelle attività agricole stagionali o per sopperire alle necessità dei proprietari e dei mezzadri quando serviva manodopera aggiuntiva. Esisteva anche una categoria di persone senza alcun reddito o con guadagni così scarsi da non poter provvedere al sostentamento della propria famiglia. Questi individui erano comunemente definiti "miserabili" e ricevevano aiuti periodici o assistenza dalle associazioni di beneficenza, sostituendo così le provvidenze delle antiche "opere pie" che erano state abolite dallo Stato liberale dopo l'Unità. La soppressione delle "opere pie" aveva portato alla dispersione dei loro beni e alla costituzione di un nuovo ceto di maggiorenti, scatenando proteste da parte del clero e degli aristocratici legati all'antico ordine. Insieme alla scomparsa delle opere pie, venivano aboliti anche i tradizionali beni comuni, il che aggravava ulteriormente le condizioni dei contadini. Tracce di queste disposizioni si ritrovavano nelle "partecipanze agrarie" nella pianura padana e nell'uso del termine "il comune" per indicare un'area in cui si praticava il pascolo libero e la raccolta di legname. Ad esempio, nell'Agro Romano, l'abolizione dei diritti tradizionali sul Tuttavia, il medico condotto era un eroe misconosciuto, condannato a una vita di stenti e privo di prestigio sociale. Era visto dalla gente più come un mercenario che come un consigliere benefico. La circolare ministeriale cercava di correggere questa percezione, lodando il medico condotto come un eroe del sacrificio silenzioso (p.194) Questa iniziativa ministeriale mostrava tuttavia la sua inadeguatezza nel risolvere i problemi più profondi di povertà e sfruttamento. L'idea che il medico condotto potesse risolvere tali questioni era segno di impotenza o distacco politico. I poveri sapevano bene di cosa avessero bisogno, ma l'unica risorsa offerta era l'autorità del medico. Il ministero consigliava alle classi meno fortunate di difendersi quanto possibile, sottolineando i benefici economici derivanti dall'assistenza medica domiciliare. In conclusione, spettava alle classi più svantaggiate seguire i consigli del medico per migliorare le loro condizioni, sostituendo le capanne fatiscenti con case dignitose e adottando diete più nutrienti. Tuttavia, l'ignoranza dell'avvocato Cavallini riguardo alle reali difficoltà dei poveri e la violenza delle classi privilegiate era evidente. L'antico stereotipo del contadino ignorante e superstizioso che non ascoltava il medico cominciava a perdere credibilità. Il ministero contava principalmente sul medico condotto, presupponendo che la sua presenza fosse garantita in ogni Comune, anche se spesso un medico doveva servire più comuni. Tuttavia, la mancanza di farmacie adeguate rappresentava un ulteriore ostacolo. Il ministero promise una radicale riforma dell'organizzazione delle condotte mediche per migliorare le condizioni di vita e il prestigio sociale dei medici condotti (p.196). Tuttavia, le prefetture e i sindaci si trovavano ad affrontare un'enorme mole di obblighi e compiti. Le responsabilità affidate ai medici condotti includevano una vasta gamma di compiti, dalla gestione dei comportamenti individuali fino a questioni cruciali come il lavoro minorile e femminile. Questo rappresentava un'enorme accelerazione per l'amministrazione statale periferica, basata su un apparato sanitario già precario e scarsamente distribuito sul territorio. incuriosisce soprattutto l’ultima richiesta, pensando a quale impulso dovesse dare all’attività scrittoria dei medici. Dopo tanti riconoscimenti e promesse, veniva la richiesta ultimativa, di autorità. Quel vizio originario del centralismo si vede aggiornare nel disegno della circolare Cavallini e nella catena di comando a cui era demandato il progetto. La circolare Cavallini evidenziava il vizio del centralismo, trasformando le considerazioni generali in norme di legge dettagliate. Tuttavia, molti articoli non avevano forza di legge e venivano lasciati alla discrezione delle amministrazioni provinciali e comunali. L'esercizio della medicina era vincolato al possesso di un attestato rilasciato da un'università o una scuola statale, con concorsi riservati solo a coloro che avevano questo diploma. I curatori empirici, definiti anche "ciarlatani", erano proibiti dal praticare su piazze pubbliche procedure mediche come il salasso o l'estrazione dei denti, o vendere "segreti" e sostanze medicamentose. Nonostante questa condanna, la pratica dei "ciarlatani" persisteva, ma la medicina scientifica e lo Stato liberale favorivano la legittimità del medico e del veterinario, dotati di titoli di studio e del supporto di farmacisti legalmente riconosciuti. I farmacisti avevano il monopolio sulla vendita di sostanze medicinali e sulla preparazione di medicamenti, prescritti dal medico e considerati documenti legali. La circolare ministeriale rifletteva la nozione medica prevalente dell'epoca, secondo cui l'aria aperta era salutare mentre l'aria confinata generava malattie. In base a questo principio, la circolare stabiliva criteri per la disposizione delle abitazioni, riconoscendo che le condizioni abitative influenzavano direttamente la salute delle persone. Era diffuso il fatto che la maggioranza degli italiani viveva in case umide, buie e mal ventilate, soprattutto tra i contadini. Tuttavia, le disposizioni ministeriali ordinavano che le nuove costruzioni dovessero garantire almeno latrine, pozzi neri e coperture, evitando esalazioni o infiltrazioni nel terreno vicino a pozzi e acque potabili. Norme specifiche riguardavano le fabbriche, con l'obbligo per i proprietari di fornire latrine per gli operai. Le case destinate all'affitto dovevano essere dotate di latrine, acquai e sistemi di smaltimento delle acque chiare e nere. Le disposizioni riguardavano anche il focolare, il centro della vita familiare, con l'obbligo di dotare le case di camini con cappucci e tubi conduttori per evitare il fumo all'interno dell'abitazione. C’erano norme dettagliate su come doveva essere fatto il focolare: luogo dove si concentrava la vita della famiglia. Ci si raccoglieva intorno per scaldarsi d’inverno o per cuocere il cibo quotidiano, ma anche per riconoscersi come comunità di memoria e di affetti e per raccontarsi storie. Ma per il ministero la preoccupazione igienica era quella di regolare le cose in modo da evitare i danni del fumo: perciò le case dovevano avere in dotazione cappe e tubi conduttori dei camini in modo che il fumo non restasse nell’interno dell’abitazione. La circolare trattava anche la questione degli animali, stabilendo che tori, maiali, mucche, capre e pecore potessero essere tenuti solo in case coloniche situate in aperta campagna, evidenziando la necessità di separare persone e animali per motivi igienici. Era prescritto il cambio quotidiano del letame nelle stalle e la sua collocazione a distanza adeguata dalle abitazioni, al fine di garantire la salubrità dell'aria. Un altro aspetto fondamentale dell'igiene riguardava l'acqua, con divieti riguardanti l'uso improprio delle risorse idriche destinate al consumo umano: proibito bagnare in cisterne o depositi di acque destinati a usi potabili, proibito costruirvi vicino latrine e pozzi neri, proibito gettare animali in acque pubbliche o private. La circolare stabiliva regole igieniche per scuole, chiese, teatri, alberghi, carceri e ospedali. Le disposizioni affrontavano anche il lavoro minorile e femminile, stabilendo limiti di orario e d'età per l'impiego di donne e bambini. Tuttavia, la difficoltà nel controllare e sanzionare tali pratiche era evidente, come dimostrava l'articolo che lasciava ai sindaci la discrezionalità nel valutare se il lavoro pesante danneggiava la salute dei minori, lasciando ai datori di lavoro un certo grado di arbitrio. Infine, era più semplice per le autorità arginare la povertà escludendo dalla vita sociale i malati e i vagabondi, piuttosto che affrontare direttamente le cause strutturali della miseria. La circolare Cavallini trattava in dettaglio l'IGIENE PUBBLICA, con particolare attenzione alla pulizia delle strade dove si gettavano acque "impure" e spazzature. Si imponeva che la macerazione del lino e della canapa avvenisse solo in aperta campagna, lontano dalle risorse idriche destinate al consumo umano, poiché queste attività erano ritenute fonti di malattia. Anche le risaie e le marcite venivano considerate cause di cattiva salute, e una legge del 1866 sulla risicoltura, pur essendo stata approvata, aveva lasciato ogni potere nelle mani delle amministrazioni locali, favorendo gli interessi economici a discapito della salute pubblica. Il regolamento Cavallini stabiliva norme igieniche per gli alimenti, in particolare il pane, vietando l'uso di segale cornuta e melica, così come il frumento malsano. Era vietata la vendita di pane muffito, soprattutto se fatto di segale. Questo metteva in luce ciò che i consumatori poveri potevano ottenere a buon prezzo nelle botteghe dei fornai e venditori di pasta, che potevano vendere non solo pane di frumento, ma anche pane misto di varie farine. Analogamente, venivano imposte norme igieniche anche nella produzione e vendita di bevande, considerando salubre solo l'acqua limpida e leggera, ma confrontandosi con la realtà italiana in cui l'acqua disponibile non sempre rispettava tali caratteristiche. Si faceva riferimento a sorgenti e fonti contaminati da scoli di strada o letami, e l'unica soluzione sembrava essere la costruzione di acquedotti igienicamente isolati per garantire l'accesso ad acqua pulita. Tuttavia, il ministero non imponeva un obbligo diretto di utilizzare solo acqua potabile, sottolineando la libertà di scelta dei cittadini, anche se questa decisione poteva essere influenzata dall'interesse economico piuttosto che dalla salute. Le uniche eccezioni riguardavano le fontane o i depositi comunali di acqua potabile, per i quali il Comune era obbligato a garantire la potabilità dell'acqua. Il regolamento ministeriale sulla pubblica igiene evidenziava le CONTRADDIZIONI TRA IL "PAESE LEGALE" E IL "PAESE REALE", rivelando una frattura consapevole tra le leggi e le necessità quotidiane della popolazione. Tuttavia, una norma del regolamento imponeva il divieto assoluto di ammissione ad asili, scuole o fabbriche per coloro che non fossero stati vaccinati, mostrando almeno un limite alla libertà individuale. Questa disposizione indicava che, almeno nella lotta contro il vaiolo, la scienza medica aveva scoperto un mezzo efficace per proteggere la popolazione. Il regolamento, tuttavia, era caratterizzato da un carattere formale piuttosto che sostanziale, rappresentando una finzione ipocrita dell'autorità politica che nascondeva le vere difficoltà sotto buone intenzioni. Si sottolineava il potere impotente del governo centrale, che si affidava alle autorità locali, come i sindaci e le loro commissioni di sanità, per l'attuazione delle disposizioni. Tuttavia, un aspetto della circolare di Cavallini sembrava offrire una possibile risposta alle sfide dell'igiene pubblica: l'ordine dato ai medici condotti di redigere topografie sanitarie dei Comuni in cui operavano. Nel decennio in questione, emerse uno sviluppo parallelo di due approcci per indagare sulle condizioni di vita degli italiani, in particolare sul mondo contadino: 1) da un lato, vi era un'indagine centralizzata organizzata dalla Direzione di Statistica. 2) all'altro, si sviluppava localmente grazie agli sforzi dei medici condotti e alle loro topografie sanitarie. L'iniziativa di promuovere l'esplorazione delle realtà locali dal centro fu evidente in una lettera aperta indirizzata nel 1875 a Luigi Bodio dal medico napoletano Fazio. Quest'ultimo sostenne l'importanza di seguire il modello di statistica sanitaria proposto al Reichstag di Berlino, che prevedeva uno schema rigido per evitare confusione e garantire la comprensibilità dei dati raccolti. Fazio riteneva che solo seguendo tale procedura si potessero ottenere informazioni utili per una panoramica completa sulla diffusione delle malattie e sulle carenze di assistenza. Fazio richiamò anche un articolo preciso della legge sulla sanità pubblica del 1865, che incaricava i Consigli provinciali e circondariali di sanità di raccogliere dati in collaborazione con la Giunta centrale di Statistica. Tuttavia, secondo Fazio, mancava un riconoscimento politico dell'importanza di questa questione fino a quel momento. Un fatto nuovo fu l'istituzione di una commissione da parte del ministro dell'Agricoltura Gaspare Finali per condurre un'inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola. Questo sembrava indicare un'imminente iniziativa politica per sostenere quanto proposto dai medici. Si riteneva necessario abbandonare il "cieco empirismo" e affrontare scientificamente la diffusione delle malattie nelle comunità, studiando vari fattori come clima, suolo, abitudini sociali e professioni. Sebbene fossero disponibili statistiche sulla mortalità e le cause, era essenziale creare un collegamento più stretto tra la statistica medica e le regole di igiene pubblica, registrando l'igiene della popolazione con criteri rigorosi. Non è chiaro se la commissione nominata dal ministro Finali, presieduta da Bodio, abbia tenuto conto di questo suggerimento. Tuttavia, in un contesto di darwinismo sociale diffuso, si aveva la speranza di un miglioramento continuo dell'umanità grazie alla lotta per l'esistenza e ai progressi della medicina. Secondo Picchiotti, i medici avevano un ruolo cruciale nell'organismo sociale e dovevano svolgere una nobile funzione, soprattutto nell'assetto contemporaneo della scienza. Emerge chiaramente dalle testimonianze dell'epoca che i medici condotti, costretti a confrontarsi quotidianamente con le malattie e le precarie condizioni di vita delle classi popolari, agivano come testimoni desiderosi di essere ascoltati. Dopo la proposta della "carta igienica d'Italia" di Lombroso, numerosi altri colleghi di spicco nel campo scientifico intervennero nei congressi e sulle riviste per sollecitare un'inchiesta sanitaria estesa a livello nazionale. Questa materia era di grande interesse anche in altri paesi europei, pertanto fu naturale guardare agli esempi inglesi e tedeschi. La questione dell'igiene e dei contadini suscitò l'attenzione di molte voci autorevoli nell'ambiente medico dell'epoca. Basti citare due prolusioni pronunciate durante l'inaugurazione dell'anno accademico, tra cui quella del professor Giuseppe Sormani, rettore dell'Università di Pavia, che rivestiva un'autorità particolare (p.215) Egli intravedeva la possibilità di un grande cambiamento sociale: il riscatto del popolo dalla miseria, afflitto dai microbi e da un ambiente insalubre. L'igiene era vista come una scienza illuminante che prometteva di superare l'antitesi tra falsa e vera igiene, come indicato dal dottor Gemma. (p.216)Questo progetto si presentava come grandioso e ambizioso, con i medici pronti ad assumersi un ruolo centrale. La classe medica si impegnò su questo fronte, producendo numerosi opuscoli e saggi dedicati alla realtà delle comunità dove operavano. Questa letteratura, sebbene non oggetto di un'indagine sistematica fino ad oggi, testimonia l'impegno della classe medica nel fornire una panoramica accurata della situazione igienica e sanitaria del Paese. Particolarmente attivo in questo campo fu il medico condotto GISBERTO FERRETTI, che rispose prontamente alla chiamata ministeriale del 1870 e successivamente pubblicò la sua relazione. Ferretti condusse accurate indagini igienico-statistiche in vari luoghi, contribuendo al grande sforzo nazionale per comprendere la situazione sanitaria del Paese. I suoi scritti costituiscono una testimonianza della fase più matura dell'ideale ottocentesco dell'igiene come strumento per comprendere la condizione contadina. Egli si espresse a favore della redazione di statistiche e topografie mediche, ritenendo che solo attraverso una raccolta sistematica e scientifica dei dati fosse possibile individuare le diverse cause che influenzavano la salute delle persone. I suoi densi libretti costituiscono una testimonianza della fase piu matura dell’ideale ottocentesco dell’igiene come filtro per guardare alla condizione contadina. Nelle premesse allo scritto del 1872 il dottor Ferretti si dichiarò favorevole senza riserve alla redazione di statistiche e topografie mediche. Solo raccogliendo e registrando con scienza positiva i tanti fattori della realtà fisica e naturale, ma anche di tipo culturale, si potevano individuare le diverse cause che incidevano sulla salute delle persone. P. 219 Basandosi sul modello proposto da Giuseppe Ferrario nella sua "Statistica medica di Milano", il medico condotto di CASTROCARO compilò accuratamente le sue tabelle di dati su popolazione, nascite, morti e matrimoni. Il suo lavoro si apriva con un'analisi dettagliata del territorio, inclusi fattori come composizione del suolo, altitudine e meteorologia, ritenuti determinanti per la salute degli abitanti. Successivamente, si esaminavano gli "agenti estrinseci naturali e artificiali" e le "varietà antropologiche degli abitatori", concentrandosi sulle abitudini sociali e sui fattori che influenzavano la salute, come l'alimentazione, l'educazione e l'assistenza religiosa. Le tabelle fornivano informazioni precise sull'andamento demografico e sulle condizioni di vita della popolazione locale, evidenziando un'alta incidenza di mortalità infantile e una carenza di assistenza sanitaria adeguata. Il medico lamentava la mancanza di distinzione tra nati morti a termine e aborti, sospettando un tentativo di nascondere la realtà delle gravidanze interrotte. Molte persone erano dichiarate inabili al servizio militare a causa di problemi di statura e gracilità. La cultura del dottor Ferretti, pur radicata nel positivismo scientifico, era anche improntata a una sensibilità umanistica, con attenzione alla storia e alla politica contemporanea. Egli si preoccupava dell'igiene pubblica e delle condizioni di vita precarie della popolazione locale, evidenziando problemi come l'uso di acqua inquinata, la cattiva alimentazione e le condizioni igieniche precarie. Si parte, come abbiamo visto, dall’analisi del suolo, si descrivono le colture dominanti – cereali, ortaggi e frutta in pianura, vigneti in collina, gelsi per bachi da seta. Dopo la terra, le acque: torrenti di origine appenninica, sorgenti di acque semplici, salate e minerali. La “costituzione atmosferica” predominante è quella umida. Da qui, per il dottore, le malattie piu diffuse: rachitide, scrofola, febbri intermittenti. Quanto alle attività, l’unificazione italiana aveva cancellato di colpo la principale e piu lucrosa che per secoli aveva impegnato gli abitanti: il CONTRABBANDO. P. 220 Adesso, dopi la svolta per la rovinosa unificazione, agli abitanti del luogo non erano rimasti che il lavoro dei campi e l’allevamento dei bachi da seta. Di fatto la società locale, accanto a pochi proprietari e a un artigianato di borgo dai cento poverissimi mestieri, contava quasi solo mezzadri e braccianti. Lo sguardo del medico si preoccupava per l’igiene pubblica: si beveva acqua salata, si mangiava la piada(la versione romagnola della pizza) per colmare i morsi della fame, si lavava la biancheria alla fontana pubblica inquinata da scarichi di liquami, si cucinava in pentole di rame velenose perché stagnate male. Le donne, prigioniere della tradizione che le voleva remissive e chiuse in casa, non conoscevano l’esercizio del camminare respirando aria libera; i neonati erano destinati all’incuria e ai rimedi di balie. Il suo sguardo critico si estendeva anche alla presenza del clero nello Stato liberale, notando con amarezza la persistenza delle tradizioni religiose che ostacolavano il progresso sociale e sanitario. Le sue pagine erano ricche di proteste e proposte per migliorare le condizioni di vita e l'igiene pubblica, in contrasto con le pratiche obsolete e le leggi dello Stato che spesso ignoravano la realtà del territorio. Il libro del dottor Ferretti offre un'opportunità per esaminare la cultura dei medici condotti, che emerge come moralmente rispettosa della religione cattolica ma allo stesso tempo fortemente critica del ruolo svolto dalla Chiesa e dai preti nella società. Ferretti non faceva distinzione tra le superstizioni popolari e le pratiche religiose, entrambe considerate rischiose per la salute. Egli attribuiva gran parte dell'arretratezza della popolazione all'influenza della Chiesa, lamentando l'alta percentuale di analfabetismo e l'inefficacia delle scuole locali nel promuovere l'istruzione. Il dottor Ferretti auspicava un cambiamento sociale che consentisse alle famiglie di mandare i loro figli all'università, ma riconosceva anche il ruolo importante del clero parrocchiale nella comunità (p.222). Tuttavia, non condivideva la visione della Chiesa che vedeva l'igiene come una minaccia alla religione, ma piuttosto come un progresso scientifico. Ferretti criticava il finanziamento delle feste religiose a discapito delle opere di beneficenza, evidenziando la mancanza di sinergia tra la religione ufficiale e i bisogni reali della comunità. I suoi scritti mostrano l'ambizione della classe medica di comunicare con un pubblico più ampio, oltre ai pazienti che incontravano nella loro pratica quotidiana. Ferretti contava sull'appoggio della corporazione medica e sulla considerazione da parte del potere politico. I dati primari includevano la composizione geologica, l'altitudine, il clima e la meteorologia, con L'ARIA, LUCE e ACQUA che determinavano le condizioni di salute. Tuttavia, l'aria nelle case povere, specialmente dei contadini, era spesso inquinata da immondizia. Molti non bevevano acqua sufficiente, e le sorgenti di montagna, sebbene potabili, erano difficili da raggiungere (p.229). La mancanza di pulizia portava a malattie cutanee (la rogna). Anche i costumi dei bambini richiedevano un'educazione all'igiene, ma Ferretti notava la mancanza di tali insegnamenti nelle scuole. Ferretti aveva poca stima delle donne, criticandole per la loro vanità e per la loro scarsa attenzione all'igiene personale. quando vede le contadine coprire lo sporco con abetelli da pochi soldi, però colorati e alla moda, non risparmia le sue reprimende, perché “non curano il piu volte che le sottane, la camicia e le calze siano lacere, e sudice”. Le donne pagano così piu di altre categorie le spese della riprovazione della sporcizia da parte del medico. Tuttavia, provava anche compassione per le donne costrette a lavori pesanti anche durante la gravidanza, osservando con tristezza i rischi che correvano, come gli aborti causati dallo sforzo eccessivo. In realtà, nella comunità contadina di Borgo San Lorenzo, le famiglie spesso allevavano altri bambini oltre ai propri, quelli affidati dall'Ospedale. Le donne, attratte dal compenso, sospendevano l'allattamento dei loro figli per fornire il latte agli "innocentini" fino all'anno di età, mentre l'Ospedale prendeva in affidamento bambini per aiutare nelle faccende domestiche, spesso per la custodia del bestiame. Questo risultava in una sorta di servitù domestica, con l'approvazione superficiale del parroco, interessato solo a mantenere il flusso di denaro per l'Ospedale. La miseria, sia morale che materiale, era evidente nella comunità (p. 231). L'alimentazione a base di mais immaturo e muffito alimentava il sospetto che causasse la pellagra. Le abitazioni erano prive di caminetti, costringendo le donne a utilizzare braci per scaldarsi. Nonostante le scuole istituite dal governo, l'analfabetismo era diffuso. Ferretti era indignato per la povertà morale, evidenziando le superstizioni e il ricorso a guaritori e stregoni anziché al medico condotto. Questi praticavano rituali assurdi, come l'accusa di stregoneria seguita dalla lavandaia con acqua santa. Ferretti trovava sconcertante che queste famiglie, nonostante la povertà, spendessero denaro per festeggiare il santo patrono. Le confraternite delle parrocchie c’erano e qualche volte funzionavano anche per interventi di aiuto reciproco, come quando uno dei confratelli sia ammalava o quando si dovevano farei traslochi di mezzadri cacciati dal padrone. Ma al di là di queste elementari forme di aiuto dato per garantirsi un capitale di gratitudine da riscuotere all’occorrenza, c’era la barbarie di un mondo rimasto al di fuori della storia. Di fatto le molte pagine in cui il dottor Ferretti descrisse con grande precisione le pratiche di cura per determinate affezione vere o immaginarie, insieme a credenze, rituali, feste dei contadini, riportano alla memoria del lettore gli elenchi di superstizioni, devozioni e forme di vita popolazione dei secoli della prima età moderna. Tutto ciò suggeriva un mondo arcaico, immerso nell'ignoranza e nei pregiudizi (p.233). Queste osservazioni minavano le speranze dei medici condotti nel riscatto della classe contadina o nel suo avanzamento verso la classe operaia. La barriera dell'igiene, unita all'ignoranza e alla superstizione, sembrava insormontabile. 2.OPERAI E CONTADINI A PISA Le relazioni dei medici fornivano una sorta di termometro delle trasformazioni nelle periferie e tra le classi popolari. Un esempio è la topografia sanitaria di Pisa e del suo circondario, redatta dal DOTTOR ANTONIO FEROCI, che il collega Ferretti ebbe modo di leggere. Questa indagine, pubblicata nel 1873, rispondeva alle richieste di circolari ministeriali riguardanti le condizioni delle industrie e la salute degli operai. Antonio Feroci, uomo di vasta cultura, seguiva la tradizione inaugurata da Bernardino Ramazzini. Si interessava all'organizzazione del servizio sanitario e alle condizioni dei medici condotti, sia in città che nelle zone rurali. La sua topografia sanitaria di Pisa e del circondario affrontava la situazione dei lavoratori in un contesto dove la vita dei campi e quella delle fabbriche rappresentavano realtà diverse. Per delinearne le condizioni igieniche mosse intanto da una diligente esposizione di tutti i dati consueti e necessari: assetto del suolo, andamento climatico, precipitazioni, temperatura e così via. Ma si concentrò soprattutto sulla situazione dei lavoratori. Nella città di Pisa, caratterizzata dalla presenza di studenti e lavoratori, le fabbriche e i laboratori industriali alimentavano un mondo operaio politicamente attivo, con tendenze anarchiche e socialisti. Feroci si concentrava principalmente sulla vita operaia, considerandola più grave di quella dei contadini. Per lui, la condizione degli operai, costretti a trascorrere lunghe ore in ambienti chiusi, era particolarmente grave. La vita in campagna, invece, permetteva pur sempre di respirare l’aria dei campi (p.236). Gravissima gli appariva la condizione dell’operaio costretto a passare ore in sale chiuse. Al confronto, la vita dei campi portava con sé “la calma dello spirito”. A descrivere la condizione di vita vediamo ritornare quella serie di questioni igieniche incontrato di continuo e s configurava il vecchio stereotipo del “sudicio”. Nelle case si affolla un numero sproporzionato di inquilini rispetto alle dimensioni degli ambienti e l’abitudine di tenere concimi ammassati presso la casa di abitazione, da lì emanavano miasmi nocivi alla salute. Quanto al cibo, quella che si avanza è ancora la dieta contadina a base di pane e acqua. Il problema ancora piu serio era proprio l’acqua: su 197 località del circondario solo 84 disponevo di acqua di buona qualità. Nelle città, Feroci osservava fermenti politici e indicazioni di ricercatezza nel vestire, ma vedeva anche la minaccia del lusso. Dunque, anche per il dottor Feroci si presentava qui il problema di come educare il popolo e dargli una norma morali o almeno delle istruzioni per l’igiene. Proponeva l'istruzione obbligatoria come soluzione per educare la popolazione e fornire istruzioni sull'igiene, immaginando un popolo di lettori, un concetto finora non realizzato secondo la prospettiva dei medici condotti. 3.IL MEDICO CONDOTTO E LA VIOLENZA DELLO STATO: SANLURI Il dottor Salvatorangelo Ledda, medico condotto di Sanluri, in Sardegna, arricchì il dialogo tra medici con la sua statistica dettagliata del paese nel decennio dal 1871 in poi. Questo studio fornì un quadro completo delle condizioni demografiche, sociali e sanitarie della comunità, evidenziando un forte orgoglio isolano e municipale. Ledda non esitò a denunciare gli abusi e le ingiustizie, come dimostra il suo racconto della rivolta popolare del 7 agosto 1881 contro una fiscalità oppressiva. Sanluri aveva vissuto una traffica giornata destinata a lasciare il segno nella storia d’Italia: 7 agosto 1881. In quella giornata storica, la popolazione di Sanluri si ribellò contro un aumento delle tasse, che aggravava la già difficile situazione di povertà e fame. La reazione popolare fu violentemente repressa dalle autorità, con spari da parte dei carabinieri e arresti indiscriminati. Il suo racconta mostra come ben prima della giornata di Milano del 1898 fosse diventato abituale disperdere le manifestazioni popolari col piombo. Ledda documentò questi eventi con una chiara simpatia per i contadini pacifici e laboriosi, indignandosi per la violenza perpetrata dallo Stato contro la sua stessa gente (p.238-239). La scelta della data della pubblicazione, il 1° maggio 1884, potrebbe non essere casuale, poiché quella data aveva già un significato speciale legato alle tradizioni folkloristiche e religiose locali, legata al lavoro dei campi e ai culti della fertilità. La violenza dello Stato contro i lavoratori di Sanluri appare come un atto di sopraffazione freddamente pianificato contro una popolazione che cercava solo di difendere i propri diritti e le proprie tradizioni. Nonostante le difficoltà sociali e politiche, Ledda non riscontrò gravi problemi igienici o sanitari nel suo racconto di Sanluri. Le case, anche se modeste, erano generalmente pulite e ben tenute. Tuttavia, c'erano problemi legati alla fornitura d'acqua, con pozzi vicini ai letami. Nonostante le condizioni di vita difficili, i contadini mantenevano comunque una routine di igiene personale, cambiando biancheria e lavandosi regolarmente. Pastori e coltivatori possono contare su di una alimentazione ricca e variata. Sulle loro mense non manca né la carne né il pesce. Quanto all’igiene personale “puliti, si lavano mani e faccia ogni giorno”. Nella domenica mutano la biancheria delle persone ed ogni quindici giorni quella del letto. Ci sono dei poveri, non molti: però tra i braccianti nelle annate cattive la miseria è grave. Inoltre il dottore, con orgoglio, registra una vittoria sull’analfabetismo. 15.LE CONDIZIONI MATERIALE DI VITA DEI CONTADINI NELL’INCHIESTA DI LUIGI BODIO Il progetto per un miglioramento completo delle condizioni sanitarie della popolazione italiana, soprattutto delle campagne, non andò oltre i buoni propositi e alcune realizzazioni limitate. Tuttavia, un impulso significativo venne dato con la chiamata di Luigi Bodio alla giunta centrale della Statistica nazionale nel 1872. Bodio pubblicò su una rivista una grande quantità di dati sui contratti agrari e sulle condizioni materiali di vita dei contadini, basandosi sulle monografie agricole pubblicate su “Italia agricola”, una rivista milanese impegnata nell’aggiornamento scientifico e tecnico degli agricoltori e dei lavoratori della terra. PER LA PRIMA VOLTA, grazie a questi dati, si otteneva un QUADRO DETTAGLIATO delle consuetudini e delle norme contrattuali che regolavano i rapporti tra proprietari e dipendenti delle aziende agricole, nonché delle condizioni di vita, abitazione, lavoro e alimentazione di coloro che coltivavano le campagne italiane. Tuttavia, anche in questo caso, la mappa dell’Italia censita risultava incompleta, mancando gran parte della Toscana mezzadrile e del Mezzogiorno. Il viaggio nell’Italia agricola proposto dai dati di Bodio inizia dal PIEMONTE e dal circondario di Torino, proseguendo verso sud fino a concludersi nelle isole, SICILIA e SARDEGNA. I nomi degli informatori, principalmente agricoltori esperti, agronomi e proprietari terrieri, sono indicati, mentre i parroci sono assenti. I testi descrivono i contratti agrari vigenti nelle diverse aree, le colture e i prodotti, e le condizioni materiali di vita dei coltivatori. CONTRATTI AGRARI NEL CIRCONDARIO DI TORINO I contratti agrari sono distinti in tre modelli principali: 1. MEZZADRIA: Divisione a metà del prodotto del suolo, con il mezzadro responsabile dell'acquisto del bestiame, degli attrezzi e dell'affitto dei pascoli. 2. TERZARIA: Due terzi delle spese per bestiame e attrezzi a carico del proprietario, che riceve due terzi del prodotto. 3. AFFITTANZA: Per più anni, con il fittavolo che è padrone di tutto il prodotto. Inoltre, ci sono contratti per manodopera salariata, come la boaria o schiavenderia, figure che si collocano appena sopra il semplice bracciante. BRACCIANTE AGRICOLO= diffuso nelle campagne con un’economia capitalistica emergente, è particolarmente interessante. Nella Valle Padana, il lavoro salariato ha rapidamente sostituito la mezzadria e il piccolo affitto. Il bracciante, tra i 24 e i 55 anni, guadagna tra 10 e 11 lire a settimana nei periodi di lavoro intenso, meno nei mesi di settembre e ottobre, e ancora meno da novembre a marzo, per un totale annuo di 408 lire, ridotte a 384 lire considerando i giorni di pioggia o malattia. (p.251) Una nota finale evidenzia lo sviluppo dell'emigrazione esterna e l'aumento del costo della manodopera, che ha portato a una diminuzione della produttività agricola. I relatori si soffermano su punti speciali, come L'ALIMENTAZIONE e le ABITAZIONI dei contadini. Nel circondario di Pinerolo (p.252), emerge la figura della piccola proprietà di poderi a conduzione diretta, che rappresenta una costante accanto alle grandi aziende e alla mezzadria. Nelle Langhe, il vitto del contadino è misero: pane e carne solo nelle solennità e il vino è diluito con abbondante acqua. Nel circondario di Vercelli, invece, i contadini stanno mediamente bene grazie al riso e possono consumare vino e carne di maiale. In Lombardia, emergono nuovi modelli di CONTRATTI AGRARI, indicando che l’Italia non è unita nemmeno in questo ambito. Il cibo e le bevande sono generalmente scarsi e i bilanci familiari precari, con debiti diffusi che spesso portano al licenziamento. Nel milanese, i contadini residenti nelle grandi cascine godono di alloggio, legna, riso e granturco forniti dal padrone. In provincia di Pavia, la mezzadria è scomparsa, prevalendo l’affitto, con una dieta a base di riso, frumento e segale. Un informatore, l’ingegner Trabucco, descrive le differenze tra "GIORNALIERI" e "SALARIATI" nel comune di Ronchetto: i primi pagati a giornata e i secondi con contratto annuale, entrambi ricevendo alloggio, legna, riso e granturco dal padrone. Nel circondario di Bergamo, una tradizione richiede un preavviso di un anno per la disdetta, promuovendo stabilità e legame affettivo del coltivatore con la terra. NUOVE TENDENZE AGRICOLE NEL LODIGIANO= nell’avvicendarsi di scenari agricoli simili, emerge una novità significativa nella relazione sul Lodigiano, dove l’azienda rurale ha assunto un CARATTERE INDUSTRIALE. Qui, infatti, è stata introdotta la specializzazione delle mansioni e la divisione del lavoro. Il “garzone cavalcante” si occupa del bestiame utilizzato nei lavori agricoli, il “garzone bergamina” gestisce la mandria lattifera, mentre il “paesano” lavora i campi utilizzando badile e falce fienaia. Questa organizzazione conferisce al lavoro agricolo un andamento e caratteri tipici di una vera industria, con il vantaggio aggiuntivo di interessare direttamente gli operai in alcune coltivazioni speciali. LA SITUAZIONE NEL DISTRETTO DI MANTOVA = la relazione sul distretto di Mantova, firmata dal professor Enrico Paglia, descrive una realtà sociale in cui la mezzadria è sostanzialmente assente. Questo è dovuto al fatto che l’estensione delle proprietà richiederebbe famiglie di mezzadri con molte braccia, ma in realtà è in atto un processo di disgregazione familiare che divide figli da genitori, impoverendo il nucleo familiare. Il bilancio annuale delle famiglie contadine è spesso negativo, con molti che si trovano costantemente indebitati. L’alimentazione si basa quasi esclusivamente sulla polenta di mais, una situazione che si rispecchia anche nel Veneto, dove in provincia di Verona domina l’affitto e i contadini si nutrono principalmente di mais. LE DIFFICOLTÀ NEL DISTRETTO DI THIENE E ADRIA = nel distretto di Thiene, le cattive stagioni, le malattie delle viti e dei bachi da seta, e il peso delle tasse hanno ridotto la popolazione a un livello di miseria superiore rispetto al passato. Qui si vive di sola polenta, mentre l’arrivo della “civiltà” ha creato aspettative e desideri di un miglioramento delle condizioni di vita. Nel distretto di Adria, la situazione economica dei contadini è pessima. I boattieri, che si occupano di mandrie di 12-14 animali, percepiscono un salario in contanti, hanno una casa in dotazione gratuita e un appezzamento di terra da coltivare. I braccianti obbligati, che lavorano dall’alba al tramonto, vivono in condizioni economiche molto difficili, spesso a causa della loro presunta pigrizia e scarsa produttività. Tuttavia, vengono riconosciuti come tra le popolazioni più tranquille d’Italia. LA SITUAZIONE A VENEZIA= In contrasto con queste relazioni frettolose, la dettagliata relazione per l’area di Venezia, firmata da Pier Luigi Stivanello, descrive i contratti di affitto in generi e denaro come i più diffusi e favorevoli per i contadini. I contadini abitano in case di mattoni, mentre i braccianti, che vivono in condizioni peggiori, sono spesso indebitati, analfabeti e spendono il salario prima di guadagnarlo (P.256). Stivanello nota anche le pessime condizioni delle ABITAZIONI CONTADINE, vecchie e malridotte, spesso senza camini. Le residenze degli ANIMALI non differiscono molto da quelle umane. Tuttavia, Stivanello registra segni di miglioramento grazie all’impegno di proprietari più coscienziosi e alla diffusione di società di mutuo soccorso promosse dal movimento cattolico del Veneto. LA VARIETÀ DEI CONTRATTI AGRARI IN FRIULI E IN EMILIA= passando al Friuli, troviamo una descrizione dettagliata dei vari e complessi contratti agrari legati alle tradizioni locali. Questi includono l’affitto, con specifici obblighi per il colono come procurarsi animali e attrezzi rurali, pagare le decime ecclesiastiche e trasportare materiali per la manutenzione della casa, oltre alla mezzadria e alla colonia parziaria. La struttura familiare vede il figlio maggiore come capofamiglia, con un rispetto particolare per il figlio più abile. Le donne affrontano molti lavori faticosi. Le case sono comode e aerate, ma l’alimentazione rimane quella conosciuta, con una predominanza di polenta e minestre. Anche in Emilia vi è una varietà di contratti agrari, tra cui mezzadria, terziareccio e “famigli di spesa”. Tuttavia, l’alimentazione è sempre basata su polenta e minestre, con carne rara. Durante l’inverno, si assiste a un’emigrazione dal Reggiano verso la Maremma. NOTE POSITIVE DALLA TOSCANA E OLTRE= nella Toscana, il contratto d’uso generale resta la mezzadria. Nel pisano e sulle colline livornesi, i contadini consumano pane di semola e carne. Tuttavia, sull’isola d’Elba le condizioni economiche dei contadini, siano essi mezzadri, affittuari o giornalieri, sono infelici. Nel Senese, si lamenta l'assenza di una regolamentazione legale delle consuetudini vigenti nella mezzadria. Questa mancanza rende difficile sfrattare rapidamente un mezzadro, consentendo loro di sfruttare malamente le colture durante il tempo di preavviso. Le ABITAZIONI agricole sono in pessime condizioni e vi è una scarsa IGIENE, un aspetto raramente evidenziato in questa statistica. 16.IL TEMPO DELLE DENUNZIE: PASQUALI VILLARI E LE ORIGINI DELLA QUESTIONE MERIDIONALE Nel settembre 1870, il Regno d’Italia emanò le "disposizioni di pubblica igiene" con l’obiettivo di affrontare vari problemi collettivi, tra cui malattie diffuse, povertà e il crescente malcontento delle classi popolari. Le norme riguardavano principalmente la pulizia privata e pubblica, come la pulizia delle strade e delle stalle, riflettendo un approccio limitato rispetto alla complessità delle condizioni delle classi popolari. Con il passare del tempo, la QUESTIONE DELL’IGIENE cominciò a lasciare spazio alla PROTESTA contro le intollerabili condizioni delle classi popolari, contadine e urbane. Si intensificarono le sollecitazioni al governo affinché riconoscesse e affrontasse la miseria delle popolazioni rurali e dei quartieri degradati delle città. Si propose un'inchiesta agraria per esaminare le condizioni del mondo contadino e ridurre le disuguaglianze tra le diverse regioni italiane. C’era la realtà meridionale e delle isole, c’erano da risanare le zone piu miserabili delle grandi città, e si avanzava la proposta di una inchiesta agraria che affrontasse le condizioni intollerabili del mondo contadino. PASQUALE VILLARI(1826-1917) con le sue "Lettere meridionali", divenne una voce autorevole nel denunciare la miseria e le ingiustizie sociali. Da qui l’avvio della presa di coscienza del problema capitale del paese, quello che doveva prendere il nome di “QUESTIONE MERIDIONALE”. da rendere urgente una inchiesta agraria in Parlamento. Villari raccolse e condivise le accuse dell’avvocato Luigi Carlo Stivanello contro i proprietari terrieri veneti, descritti come assenteisti e rapaci, imponendo contratti agricoli da fame. Villari evidenziò le terribili condizioni di vita dei braccianti della provincia di Venezia, costretti a vivere in miseri casolari di fango e canne, e dei mezzadri abruzzesi, soggetti a contratti vessatori e strozzinaggio da parte dei proprietari. Villari visitò frequentemente NAPOLI, esplorando i quartieri più degradati e descrivendo le condizioni di estrema povertà e degrado che incontrava. Egli suggerì che queste condizioni potessero provocare una "mutazione dei caratteri fisiologici della razza", un’idea influenzata dalle teorie darwiniane dell’epoca che contribuivano a perpetuare l'idea di un'inferiorità biologica del Mezzogiorno e delle plebi italiane. Questa percezione era diffusa nel Nord Italia, dove si considerava il Sud incapace di svilupparsi nonostante la liberazione dal regime borbonico. Intanto, la strada battuta dalla politica generale del paese era quella della retorica nazionalista e della volontà di potenza. Però il bisogno di aprire gli occhi su un’Italia sconosciuta tutta da descrivere coi colori della verità si faceva strada sempre piu tra la minoranza colta del paese. Se ne ha prova già nelle testimonianze di corrispondenti pervenute a Villari e da lui pubblicate. Uno di quei corrispondenti fu Leopoldo Franchetti. LEOPOLDO FRANCHETTI, un corrispondente di Villari, condusse un'esplorazione delle campagne abruzzesi e calabresi, riportando le terribili condizioni di vita dei contadini. Franchetti osservò che i contadini dipendevano completamente dai proprietari terrieri per il loro sostentamento annuale, alimentando un odio profondo verso i signori e il governo, una situazione che preannunciava pericoli per l'ordine futuro. (p.266,267). RENATO FUCINI, nel suo racconto della grande città del Mezzogiorno, ovvero Napoli, tratteggia i contadini e i poveri come figure di sfondo, viste attraverso l'ottica di un osservatore colto e distaccato. Villari, con un tono ironico, lo descrive come "un poeta", sottolineando come la Napoli di Fucini appaia come una città esotica, un luogo di paesaggi e distrazioni più che di reale sofferenza umana. Leopoldo Franchetti, invece, esamina con empatia le difficili condizioni dei contadini calabresi e abruzzesi, puntando il dito contro le responsabilità politiche della loro miseria. Egli denuncia lo Stato italiano che, pur vantandosi di aver portato la libertà, ha condannato i lavoratori della terra a una condizione di estremo servaggio, costretti a sottostare all’autorità assoluta di sindaci scelti tra i maggiorenti e protetti da leggi ingiuste. L'articolo 110 della legge comunale e provinciale richiedeva infatti l’autorizzazione del re per mettere sotto accusa i sindaci, rendendoli quasi invulnerabili. Un contadino sintetizzò questa realtà con le parole: "il sindaco è il re del paese", un'espressione che Franchetti ritenne perfetta per descrivere la situazione. SIDNEY SONNINO, dal canto suo, proponeva una soluzione ai conflitti sociali basata sulla collaborazione e sulla partecipazione ai profitti dell’impresa agricola. Egli descriveva la Toscana come una regione felice grazie al contratto di MEZZADRIA, che a suo avviso garantiva la pace sociale tra padroni e contadini. Tuttavia, gli studiosi e i mezzadri stessi contestarono questa visione idilliaca, evidenziando che la mezzadria era in realtà un rapporto paternalistico che manteneva i contadini in uno stato di subordinazione e servitù, priva della libertà cittadina. I contratti di mezzadria, nonostante le loro variabilità, imponevano sempre un vincolo di completa subordinazione dei mezzadri ai padroni, che potevano aggravare le loro prestazioni e sfrattarli a piacimento. Sonnino basava le sue teorie sulla mezzadria osservando la famiglia mezzadrile che lavorava per lui, senza fare ricerche approfondite. Questo quadro, pur limitato, documenta quanto fosse POCO UNITARIA L'ITALIA "UNITA" DAL PUNTO DI VISTA DEL MONDO CONTADINO. L'area centrale della mezzadria fungeva da divisorio tra un Sud arretrato e un Nord in trasformazione capitalistica. LA DRAMMATICA REALTÀ DEL MEZZOGIORNO La situazione nel Mezzogiorno e in Sicilia era particolarmente drammatica, con fenomeni criminali come la camorra e la mafia. Franchetti, insieme a Sonnino, intraprese un viaggio di esplorazione in Sicilia mentre si avviava una commissione parlamentare d'inchiesta. L’obiettivo era approfondire la conoscenza del problema per trovare soluzioni efficaci. Nel 1870, si era già cercato di affrontare queste problematiche attraverso topografie e statistiche sanitarie redatte dai medici condotti. Tuttavia, il tempo richiedeva ormai interventi più incisivi. Infine, Benedetto Croce osserva un cambiamento nella percezione dell’Italia: si passava dalla visione ottimistica di un “giardino della natura” alla deprimente idea di una povertà naturale. Questo mutamento di prospettiva rifletteva una crescente consapevolezza delle disuguaglianze e delle condizioni misere delle classi popolari italiane, necessitando di una maggiore attenzione e intervento da parte delle autorità. 17. AGOSTINO BERTANI E LE INCHIESTE AGRARIE Negli ultimi decenni del XIX secolo, la crisi agricola si aggravò notevolmente e i contadini iniziarono a uscire dall'isolamento e dal silenzio, segnando un cambiamento significativo nella storia delle inchieste sul mondo delle campagne. La nascita di società di mutuo soccorso e la diffusione di idee politiche di estrema sinistra, specialmente nell'area padana, rappresentarono una scossa tellurica per le classi dominanti, già preoccupate dagli eventi della Comune di Parigi. In questo contesto, le proposte di inchieste agrarie si moltiplicarono. AGOSTINO BERTANI (1812-1886), figura di spicco nelle lotte per la libertà e la giustizia in Italia, giocò un ruolo cruciale nell'indirizzare l'attenzione della classe dirigente verso i lavoratori delle campagne. Bertani, che si era distinto accanto a Garibaldi, Mazzini e Pisacane, riuscì a mobilitare la rete dei medici condotti per realizzare una "carta igienica" delle campagne italiane, uno sforzo pionieristico per comprendere e migliorare le condizioni sanitarie e sociali dei contadini. Nonostante i conflitti con figure come Garibaldi e Cavour, Bertani continuò a promuovere la causa dei contadini. Eletto in Parlamento, presentò un progetto di legge per un'inchiesta agraria nel giugno 1872, focalizzandosi sulle condizioni sociali della "classe agricola". Questa proposta rispecchiava le richieste di un'opinione pubblica sempre più consapevole delle difficili condizioni del mondo contadino, ma incontrò resistenze in un governo impegnato a tutelare gli interessi dei proprietari terrieri. Le relazioni ministeriali del periodo 1870-74 e l'inchiesta del 1887 offrirono un quadro dettagliato delle condizioni dell'agricoltura, evidenziando le difficoltà economiche attraverso dati statistici ed economici. Tuttavia, Bertani continuò a insistere sulla necessità di affrontare le condizioni delle classi popolari. Nel discorso con cui aveva presentato in Parlamento la sua proposta di inchiesta agraria da cui era nata la grande Inchiesta Jacini, ricordò le esperienze personali vissute durante la fallita impresa garibaldina del 1867, per sottolineare l'urgenza di un'inchiesta agraria. Bertani cercò di convincere i moderati del Parlamento dell'importanza di affrontare il problema sociale delle condizioni dei contadini, utilizzando anche la paura di possibili disordini e rivolte. Questa strategia si basava sulla consapevolezza che i governi dell'epoca, sia della destra che della sinistra storica, erano molto preoccupati dalle minacce rappresentate dal socialismo e da organizzazioni segrete come la mafia. Le indagini della Giunta per l’inchiesta sulle condizioni della Sicilia, avviate in risposta alle preoccupazioni sulla violenza mafiosa, si concentrarono sui grandi proprietari terrieri e sulle condizioni delle miniere. Tuttavia, la condizione dei contadini venne solo brevemente menzionata, e con un tono quasi elogiativo e distratto. Fu solo con l'avvento della SINISTRA AL POTERE e grazie al sostegno personale di Agostino Depretis, amico di Bertani, che la proposta di un'inchiesta agraria ricevette l'attenzione necessaria. Nel frattempo, il ministero dell'Agricoltura continuava a raccogliere informazioni sullo stato della produzione agricola per migliorare la redditività delle diverse parti d'Italia, cercando di rispondere anche alle preoccupazioni economiche della classe dominante. Per Bertani, LA TRASFORMAZIONE CAPITALISTICA DELLE CAMPAGNE AVREBBE PORTATO INEVITABILMENTE ALL'EMIGRAZIONE DEI CONTADINI. Per l'inchiesta sull'igiene rurale, Bertani aveva redatto un dettagliato questionario di oltre cento punti e lo aveva distribuito a tutti i medici condotti italiani, cercando la loro collaborazione. Ricevette oltre quattromila risposte, sembrando così vicino al realizzare il sogno di una "carta igienica d'Italia". Tuttavia, L'OBIETTIVO DELL'INCHIESTA RIMASE IRRAGGIUNTO a causa dei limiti umani e della sproporzione tra ambizioni e capacità. I MATERIALI DI COSTRUZIONE PER LA RELAZIONE FINALE SPARIRONO, E I QUESTIONARI COMPILATI DAGLI INFORMATORI DI BERTANI SVANIRONO NEL NULLA. Fortunatamente, l'amico e compagno di lotte di Bertani, il medico deputato mantovano MARIO PANIZZA, riuscì a evitare il completo naufragio dell'impresa. Fu lui a leggere tutto il materiale e a ricavarne una relazione finale, preservando almeno in parte il lavoro svolto. Tuttavia, nel passaggio dalle relazioni originali dei medici condotti alla relazione finale, si perse la specificità dei singoli contesti locali, sostituita da una moltitudine di numeri e dati statistici. Questo risultò in un'immagine sbiadita della vita e della realtà dei singoli comuni, sacrificata sull'altare della sintesi generale. Mario Panizza si trovò a sintetizzare una vasta gamma di materiali relativi alle condizioni di vita dei lavoratori agricoli, spesso dispersi nelle campagne e il cui stato di salute non emergeva chiaramente dai censimenti generali. Il suo obiettivo era rendere noti al paese i risultati più significativi dell'inchiesta, al fine di illuminare le popolazioni sui loro veri bisogni. Era convinto che i provvedimenti presi dal governo Crispi in materia di emigrazione, cooperative di braccianti e altro avessero già avviato la soluzione dei problemi emersi nell’inchiesta. C’era stata anche la legge del dicembre 1888 per la Tutela della igiene e della sanità pubblicata, elaborata da Pagliani sulla base dello studio svolto da Bertani per incarico di Depretis. Per dare un ordine al materiali in modo da esporre in sintesi i risultati dell’inchiesta, Mario Panizza organizzò il suo libro in tre parti: 1. TENORE IGIENICO NORMALE DEI LAVORATORI DELLA TERRA: Panizza esplorò le condizioni ambientali di lavoro, concentrandosi sull'altitudine del suolo, l'aria e l'acqua. Scoprì che le vere vittime della malaria non erano gli abitanti delle zone infette, ma i lavoratori temporanei che vi emigravano, esposti durante operazioni agricole come la raccolta dei raccolti o la bonifica. 2. STATO EFFETTIVO DI SALUTE DEI LAVORATORI E CAUSE DEI MALANNI: esaminò lo stato di salute dei lavoratori, evidenziando i rischi associati a diverse attività agricole come la mietitura, l'allevamento del bestiame e la lavorazione della canapa e del lino. La griglia del lavoro si articola in colture miste, allevamento del bestiame, boschi, riso, canapa e lino, e infine miniere. E comincia l’esame dei rischi speciale che in ciascuno di questi settori gravano sul lavoratore: l’uso di attrezzi come vanga, zappa, la fatica del sollevare, comportano precise minacce alla salute. Per esempio, la mietitura è causa di congiuntivi, otiti con le polveri che trasporta. Ma ci sono minacce come l’insolazione e il tetano. Dall’inchiesta si affaccia un’Italia non coltivata, di boschi e di prati, ma si avanza anche l’Italia delle risaie. È qui che nell’autunno, quando si fa la sarchiatura dei terreni emersi, un misto di fattori ambientali e di ause sociali porta al pericolo della malaria. Lo stesso accade per la macerazione ella canape e del lino. Ne sono infestate le campagne di Piemonte, Lombardia e Veneto. Ma le considerazione finali di questo capitolo suonano positive: Panizza osservò che il lavoro nei campi era generalmente più sano rispetto a quello nelle fabbriche, sebbene ci fossero circostanze speciali come il lavoro minorile e femminile. 3. PROPOSTE PER PORRE RIMEDIO ALLE CAUSE DELLE CATTIVE CONDIZIONI: Panizza espose le proposte avanzate dai medici condotti per affrontare le cause economiche, igieniche e morali delle cattive condizioni di vita della classe contadina. In sintesi, l'inchiesta di Panizza svelò un'Italia rurale caratterizzata da rischi per la salute legati al lavoro agricolo, ma anche da un'atmosfera di resilienza e ottimismo, evidenziando la necessità di interventi mirati per migliorare le condizioni dei lavoratori della terra. • REGIME ALIMENTARE: Panizza evidenzia il predominio del GRANTURCO nella dieta dei lavoratori agricoli italiani, con la polenta che spesso sostituiva il pane. Il consumo di carne bovina era limitato, mentre era diffuso il consumo di CARNE SUINA SALATA. Il latte, il formaggio e le uova erano spesso consumati. Tuttavia, il vino, prodotto in tutta Italia, era di qualità inferiore o assente per i contadini produttori. Un consuntivo finale pone la domanda se questo cibo, pur nella sua povertà, sia almeno sufficiente. E qui si ricorre ai dati sulla tassa del macinato per avere una indicazione, che comunque è negativa. • ABBIGLIAMENTO E ALLOGGIO: la maggior parte dei contadini indossava abiti fatti in casa, usava scarpe poco e frequentemente zoccoli o addirittura camminava a piedi nudi. • ABITAZIONI erano spesso in pessime condizioni, contribuendo a un ambiente malsano. Spazi abitativi ristretti, mancanza di fognature, e vicinanza ai cimiteri aggravavano la situazione igienica. Mentre in alcune province emergono segni di miglioramento, il quadro generale è caratterizzato da inadeguatezza e problematicità ambientale. • CONDIZIONI IGIENICHE: le condizioni igieniche precarie espongono la popolazione rurale al rischio di malattie contagiose ed epidemie. Le malattie prevalenti tra i lavoratori della terra includono tubercolosi, morbillo, scarlattina, vaiolo e malaria. La dispersione del popolo contadino può averlo protetto dagli attacchi di germi infettivi che hanno colpito i centri abitati. Panizza sottolinea il rischio di epidemie dovuto alle condizioni igieniche malsane e la necessità di miglioramenti urgenti. Sebbene alcuni segni di miglioramento siano presenti, come la separazione tra stalle e case, il problema generale richiede un'attenzione immediata. La distanza inadeguata tra cimiteri e abitazioni aggiunge ulteriori preoccupazioni, contribuendo alla diffusione delle malattie. Segue in dettaglio l’elenco delle malattie prevalenti tra i lavoratori della terra: tubercolosi, il morbillo, la scarlattina, il vaiolo, la malaria. Sulle cause della diffusione della malaria il compilatore non si azzarda a entrare nella discussione scientifica né in quella dei progetti di riforma discussi in Parlamento. Si limita però a far notare che “dove si può avere acqua potabile salubre”, non si notano piu gli effetti della grave intossicazione”. • CAUSE DEL DECADIMENTO DEGLI ORGANI: alimentazione e miseria: Panizza identifica nell'alimentazione e nella miseria le cause principali del decadimento degli organi. I BAMBINI in tenera età vengono spesso nutriti con cibi poveri, come pane inzuppato nel latte o bollito nell'acqua, o addirittura pane nel vino, a causa della povertà del latte materno. Questa pratica contribuiva alla predisposizione alla RACHITIDE. Inoltre, l'uso di grano di qualità inferiore e danneggiato veniva associato alla PELLAGRA, una malattia diffusa tra i contadini dell'area padana, soprattutto tra i più poveri, a causa della loro dieta a base di mais immaturo. Ne risultava che le vittime erano quasi esclusivamente contadini dell’area padana, per lo piu gli avventizi e in genere “di preferenza i piu poveri”, nutritiva a base di mais immaturo. Dunque, non era il lavoro la causa ma la nutrizione. Il lavoro diventava causa di danni gravi all’organismo quando si svolgeva in ambienti e in condizioni non adeguati. Tale era la fatica eccessiva degli uomini malnutriti, ma anche quella delle donne nello stato di gravidanza che andavano incontro a parti immaturi. • LAVORO DEI BAMBINI: Il paesaggio rurale dipinto da Panizza rivela un mondo in cui i bambini, fino all'età di dieci anni, sono spesso scalzi e costretti a lavorare precocemente, badando al bestiame o svolgendo altre attività lavorative pesanti. Anche se per legge l'orario di lavoro per i bambini dovrebbe essere ridotto, spesso essi sono sottoposti a fatiche eccessive che mettono a rischio la loro salute e il loro sviluppo. In sintesi, Panizza evidenzia come l'alimentazione carente, la miseria economica e il lavoro precoce e pesante dei bambini contribuiscano al deperimento degli organi e alla diffusione di malattie tra la popolazione contadina. • EDUCAZIONE E ALFABETIZZAZIONE NELLE CAMPAGNE: Panizza fornisce una dettagliata analisi delle condizioni educative e di alfabetizzazione nelle campagne italiane, evidenziando una serie di criticità e sfide: ASILI INFANTILI E SCUOLE: Viene presentata un'analisi dettagliata del numero di asili infantili e scuole presenti nelle diverse province italiane. Si nota che, nonostante alcuni casi eccezionali di disponibilità di asili infantili come nel Mantovano, molti comuni rurali non hanno accesso a istituzioni educative. La presenza di scuole è spesso limitata dalla mancanza di infrastrutture come strade e ponti, oltre al problema della mancanza di bambini presenti nelle lezioni a causa del lavoro agricolo. Panizza riconosceva che saper leggere e scrivere non era la cultura che serviva all’agricoltore. E il difetto di cultura era rivelato dalla diffusione di superstizioni e pratiche religiose dannose per la salute delle persone: tale era il portare il bambino appena nato alla chiesa per il battesimo anche se la stagione fredda lo sconsigliava. • PROVVEDIMENTI PER IL MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEI COLTIVATORI Panizza propone una serie di provvedimenti per affrontare le sfide socioeconomiche e sanitarie affrontate dai coltivatori italiani: • Si sottolinea l'importanza DELL'INTERVENTO DEI POTERI PUBBLICI, inclusi comuni e Stato, insieme ai proprietari terrieri, per migliorare le condizioni di vita dei coltivatori. • Si evidenzia l'importanza delle misure già adottate dai comuni e la nuova legge sanitaria dello Stato, che prevede azioni urgenti come garantire acqua potabile nelle aree colpite dalla malaria. Nel Mezzogiorno, l'epidemia di colera del 1835 aveva scatenato rivolte sociali, alimentate dalla convinzione che le autorità settentrionali avessero diffuso deliberatamente l'epidemia per liberarsi delle classi disagiate del Sud. Questa sindrome del complotto, diffusa nel Sud, rifletteva la profonda divisione tra Nord e Sud dell'Italia. La successiva epidemia di colera del 1884-1885 aumentò ulteriormente le preoccupazioni riguardo alla salute pubblica. Le istituzioni di governo, consapevoli del rischio di nuove rivolte popolari, cercarono di affrontare la situazione attraverso interventi mirati nella sanità pubblica. La RIFORMA SANITARIA del 1888 rappresentò un importante passo avanti in questo senso, mirando non solo a contenere la diffusione di malattie come la malaria e il colera, ma anche a prevenire il rischio di future rivolte. Altri sforzi in materia di igiene pubblica furono promossi da inchieste precedenti, come quella condotta dal Consiglio Superiore di Sanità sui comuni del Regno. Questa inchiesta, avviata in seguito all'ultima epidemia di colera, coinvolse tutti i comuni italiani, i quali dovevano rispondere a un questionario standardizzato riguardante vari aspetti legati all'igiene e alla salute pubblica, come la qualità dell'aria e dell'acqua, la pulizia delle strade e l'alimentazione. L'inchiesta condotta sulle condizioni igieniche e sanitarie dei comuni italiani ha portato a diverse conclusioni significative riguardanti la popolazione agricola e l'alimentazione: 1. POPOLAZIONE AGRICOLA: Si stima che circa quindici milioni di persone fossero impiegate nel settore agricolo, includendo uomini, donne e bambini. Questo dato è significativo se confrontato con i sette milioni di individui impiegati nell'industria. Tra gli agricoltori, erano distinti i possidenti, i fittavoli (più comuni in Lombardia, Veneto e Campania) e i mezzadri (prevalenti in Toscana), oltre ai braccianti che vivevano senza un lavoro fisso, soprattutto nel Lazio, in Calabria e in Sicilia. 2. ALIMENTAZIONE NEL MERIDIONE: Nel Sud Italia, l'uso della carne come alimento era in declino, mentre si registrava un aumento del consumo di frutta fresca. Questa tendenza indicava un cambiamento nelle abitudini alimentari, con una maggiore preferenza per alimenti freschi e leggeri rispetto alle carni. 3. CONDIZIONI ABITATIVE: Per quanto riguarda le abitazioni, si supponeva che in generale vi fossero stati miglioramenti, soprattutto nelle regioni della valle del Po e in Toscana. Tuttavia, le informazioni disponibili si basavano su censimenti precedenti, e si sperava che le condizioni fossero migliorate o almeno rimaste stabili, ma non peggiorate. Per informazioni più recenti, si rimandava agli studi condotti nell'ambito dell'Inchiesta Jacini. L'EMIGRAZIONE E LA NASCITA DEL MOVIMENTO CONTADINO Durante la fase più critica della crisi agraria, che ebbe inizio nel 1870, si verificarono importanti cambiamenti che segnarono una svolta rispetto al passato. 1. EMIGRAZIONE: L'emigrazione, inizialmente stagionale e fisiologica, si trasformò in una vera e propria emorragia di persone in fuga dalle campagne. Questo fenomeno fu dovuto all'aggravarsi delle condizioni delle classi popolari, soprattutto agricole, a causa dell'aumento della pressione fiscale statale e della concorrenza del grano statunitense. 2. EMERGENZA DEL SOGGETTO POLITICO CONTADINO: Una delle novità che agitò profondamente la classe dominante fu la trasformazione dei contadini in un soggetto politico. Un movimento di protesta nelle campagne si manifestò con forza, segnando una serie di rivolte che colpirono diverse regioni dell'Italia. Queste rivolte furono associate alla crescita delle prime organizzazioni di classe tra gli operai e alla nascita del Partito Socialista come organizzazione di massa. 3. MOVIMENTO "LA BOJE!" NEL MANTOVANO: Un evento significativo fu l'agitazione dei contadini nel Mantovano, dove il grido di lotta "La Boje!" divenne un simbolo. Questo movimento rappresentò una svolta storica, con i contadini che uscirono dalla loro condizione di supina obbedienza ai padroni e al clero. La presenza di Francesco Siliprandi, promotore di questo movimento, fu centrale. La paura delle classi dominanti di fronte a queste nuove idee e al movimento contadino fu evidente, e lo Stato intervenne con la forza per stroncare il movimento nel 1885. Questi eventi segnarono un cambiamento significativo nella società italiana, con i contadini che acquisirono una maggiore consapevolezza politica e sociale e iniziarono a rivendicare i propri diritti. FASCI SICILIANI La formazione dei Fasci Siciliani rappresentò un momento cruciale nella storia sociale e politica dell'Italia: i Fasci Siciliani emersero come risposta alla difficile situazione economica e sociale dei contadini, braccianti senza terra e mezzadri proletarizzati. Nacquero intorno agli anni Novanta come movimento di protesta contro le ingiustizie e le difficoltà che affliggevano le classi lavoratrici dell'isola. Tra il 1892 e il 1893, a partire da Palermo, i Fasci dei Lavoratori si diffusero rapidamente in Sicilia. Il 1° maggio 1893, si assistette alla formazione improvvisa e diffusa di fasci contadini, segnando un momento significativo nella storia del movimento. La crisi economica che colpì la produzione di grano, vino e zolfo in Sicilia, aggravata dalla depressione economica internazionale, portò al crollo dell'equilibrio sociale dell'Italia. Questa crisi culminò con la reazione violenta del Capo di governo Francesco Crispi, che interpretò gli eventi come parte di un presunto complotto internazionale. Mentre, in un contesto di agitazioni crescenti, il Partito socialista si poneva l’obiettivo di conquistare il popolo delle campagne e guardava alla prospettiva di una rivoluzione sociale, il decreto di stato d’assedio del 3 gennaio 1894 dava alla crisi uno sbocco violento, tale da minacciare la stessa recente costruzione unitaria. Nei Fasci Siciliani si ascoltò finalmente la voce autentica dei contadini, che portarono un contributo nuovo e originale al movimento. Emerse anche un sentimento di cristianesimo millenaristico, con alcuni contadini che associavano le loro richieste alle parole di Gesù, definendolo un "vero socialista". Di fatto, fu una svolta epocale quella che si verificò allora nella storia dei contadini italiani: con la nascita delle organizzazioni collettive di solidarietà e di mutua assistenza e con la partecipazione diretta alla lotta sociale, il popolo dei lavoratori delle campagne cessò di essere una classe oggetto. Interessante è il contrasto tra le posizioni dei contadini e quelle del clero. Alcuni contadini accusavano i preti di essere contrari ai loro interessi, mentre vedevano in Gesù un alleato delle loro rivendicazioni. In questo contesto di agitazione e conflitto sociale, il movimento dei Fasci Siciliani rappresentò una significativa lotta per i diritti e il miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici, mentre il governo reagì con durezza per reprimere il movimento. Chiudendo questo viaggio attraverso le testimonianze, le statistiche e le proposte di aiuto per i malanni dei lavoratori rurali, emerge chiaramente la percezione di un mondo separato e distinto, non solo a causa delle gravi difficoltà nutrizionali, della mancanza di riposo e delle malattie legate alla povertà, ma anche per una barriera culturale che lo isolava dal resto della società. Questa barriera culturale non era solo dovuta alla mancanza di conoscenza sull'igiene, ma anche alla difficoltà di comunicare con un mondo che sembrava estraneo e inaccessibile. A volte, questa sensazione di estraneità sfociava addirittura nel rifiuto, considerando i contadini come una sorta di "specie animale" a parte. EPILOGO p. 321 Nell'epilogo, ci imbattiamo nelle RIFLESSIONI DI HUIZINGA sulla barriera tra pulito e sporco, tra accettazione rassegnata del proprio stato e volontà di cambiamento. Pulizia personale da un lato, putrefazione e cattivi odori dall'altro: il tempo passato appare nella memoria di Huizinga tanto vicino quanto remoto e irraggiungibile nell'esperienza. La barriera era fatta di tanti dettagli della vita quotidiana, e tra di essi spiccava un termine: igiene. La netta separazione tra la vita sociale della sua Olanda degli anni Venti e quella degli avi ottocenteschi era costituita da aspetti apparentemente impercettibili - odori, pratiche, abitudini nella cura della persona e nell'ambiente. Sebbene questa osservazione possa sembrare una semplice presa di coscienza del tempo passato, Huizinga collega l'igiene al processo di "adattamento sanitario dell'ambiente". Questi elementi evidenziano il brusco allontanamento dal passato che si è verificato in pochi decenni nella società europea. La sensibilità di storico autentico di Huizinga si manifesta nella sua capacità di individuare, dietro alla polvere della vita quotidiana, i segni di un cambiamento più ampio e generale intervenuto nella società europea. La parola "IGIENE" segna una soglia tra passato e presente, evidenziando un concetto fondamentale nell'assetto dell'esistenza e nel punto d'incontro tra le regole private di vita e le norme della società. Essa si impone come una nuova fede nella cultura europea nel suo complesso. Le ragioni concrete che hanno spinto in questa direzione derivano dalla persistente memoria delle grandi epidemie che hanno devastato le società umane nel passato, e in alcuni casi queste non erano solo ricordi, ma ritorni di fiamma di malattie come il colera e altre affezioni contagiose. Fu in questo contesto che emerse la nuova parola d'ordine per gli Stati europei. Quest'idea, espressa in termini astratti e generali, dava forma a un'esigenza diffusa e confusa di separarsi da tutto ciò che portava con sé la minaccia del male e della morte. Nel secolo precedente, si era assistito al progressivo declino delle convinzioni religiose e magiche riguardanti l'esistenza di poteri diabolici soprannaturali e dei loro strumenti umani, come streghe e untori. In questo contesto, si diffuse una nuova visione dei fatti sociali e dei comportamenti, in cui le operazioni di separazione simbolica tra sporco e pulito, tra puro e impuro, divennero principi di funzionamento della società, regolati dalla scienza medica e dal potere statale. L'ORGANIZZAZIONE DELLA CASA, L'ABBIGLIAMENTO, L'ALIMENTAZIONE, LA NASCITA E LA CURA DEI BAMBINI, LA SEPOLTURA DEI MORTI e altro ancora smisero di essere forme tradizionali di comportamento dettate da convinzioni religiose e abitudini locali, per ricadere sotto il controllo della scienza e delle regole collettive imposte dallo Stato. L’ 'affermarsi dello Stato nazione come struttura fondamentale delle culture europee coincise con la Rivoluzione Industriale e con il trionfo del sistema capitalistico, durante il quale si assistette all'avanzata dell'igiene come regola di governo della vita individuale e dei comportamenti sociali. Lo sporco venne considerato una categoria residuale, rigettata dal nostro schema abituale di classificazioni. Furono i regolamenti sanitari collettivi a perseguire con determinazione la separazione tra il pulito e lo sporco. Tuttavia, nell'ossessivo fervore nel creare barriere contro portatori di inquinamento e impurità, si intravedeva qualcosa di più delle esigenze di lotta contro epidemie e pestilenze. Si apriva la porta a meccanismi sociali di esclusione contro i rappresentanti sociali dell'arcaismo, delle classi legate alla terra, alle superstizioni e all'oralità. Nel rigetto di queste categorie, i pericoli dell'impurità e del pericolo assunsero il volto di gruppi sociali ben definiti, di vere e proprie "razze". Nel contesto italiano, la lotta per l'igiene innalzò la barriera tra città e campagna. Contribuì a questo la profonda divisione tra le diverse Italie che, grazie allo sviluppo capitalistico del Nord, si allontanarono e si opposero invece di procedere verso l'unità. Prendendo congedo dall'Italia contadina dell'Ottocento, possiamo idealmente posare lo sguardo SULL'IMMAGINE UMANIZZATA proposta da un viaggiatore tedesco. Quest'ultimo era consapevole del particolarismo dei regimi politici, incapaci di contrastare l'insabbiamento delle spiagge marittime e del sistema del latifondo che aveva desertificato ampie distese di terreni agricoli. La malaria, che disegnava il profilo dell'Italia, era uno dei pochi tratti comuni di un paese attraversato da profonde differenze destinate a durare a lungo. Queste differenze emergevano anche attraverso le inchieste sanitarie, che distinguevano un meridione poverissimo e arretrato, una fascia centrale attardata in un sistema mezzadrile finalizzato alla pace sociale e al miglioramento del reddito dei terreni, e un mondo padano dove grandi fittavoli guidavano la trasformazione capitalistica dell'agricoltura. Queste tre Italie, o almeno i tratti profondi che le caratterizzavano, persistono nella vita reale di un paese profondamente cambiato, come una storia che non passa, un rimorso che non si riesce a cancellare.
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