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Riassunto libro Vivaldi di Michael Talbot, Sintesi del corso di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Riassunto libro sulla vita e sulla musica di Antonio Vivaldi

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 07/05/2019

Irebo96
Irebo96 🇮🇹

4.4

(24)

2 documenti

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Scarica Riassunto libro Vivaldi di Michael Talbot e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! 1 Vivaldi (Michael Talbot) • Itinerario di una riscoperta Sono passati quasi due secoli e mezzo dalla sua morte, fino a cinquant’anni fa il modo della musica era totalmente all’oscuro dell’esistenza della grande maggioranza delle composizioni (quasi 760), ora non passa quasi anno senza che venga annunciata una nuova scoperta. Ciò che ancora non è avvenuto nel caso di Vivaldi è un’attestazione della vastità della sua produzione e dell’insolita ampiezza di circolazione della sua musica nel corso della sua esistenza. Dopo la morte di Vivaldi (1741), il suo nome continuò a essere citato da bibliografi, lessicografi e memorialisti, ma la sua musica cadde quasi immediatamente nell’oblio. Notorietà come violinista stravagante e come ecclesiastico eccentrico mise in ombra la sua fama di compositore. Fu celebre per le sue suonate specialmente quelle intitolate le “quattro stagioni”. Goldoni liquidò il musicista come “eccellente violinista e mediocre compositore”. Nello scritto di Gerber Vivaldi è menzionato come compositore solo di passaggio, nello scritto di Orloff (francese) è occupato in gran parte dalla narrazione romanzata di come una volta Vivaldi, mentre celebrava la messa, si ritrasse temporaneamente in sacrestia per buttare giù il tema di una fuga che lo stava ossessionando. Il vuoto assoluto cui era ridotta la nostra conoscenza della musica di Vivaldi rischiava di rimanere tale fino a questo secolo, non fosse stato per la quasi fortuita riesumazione di una piccola parte di essa nel corso del revival bachiano. Bach deve molto a Vivaldi, Vivaldi era l’artigiano e Bach l’artista. Il musicologo francese Marc Pincherle si dedicò per la sua intera vita alla musica di Vivaldi, questa fase della sua riscoperta si conclude con la pubblicazione (1922), di un catalogo tematico curato da Wilhelm Altmann, contenente tutta la musica uscita a stampa durante la vita del compositore. L’Italia si è mossa con estrema lentezza nell’abbracciare la causa di Vivaldi. Nel 1926 una raccolta di musica venne messa in vendita, Alberto Gentili, scoprì che fra 97 volumi che la componevano, 14 contenevano musica di Vivaldi e comprendevano i manoscritti (autografi), 140 composizioni strumentali, 29 cantate, 12 opere. La raccolta viene dedicata al figlio defunto del banchiere Roberto Foà, ma era incompiuta, divisa probabilmente per ragioni d’eredità. Giuseppe Maria Durazzo (nipote del marchese che aveva destinato la sua parte di raccolta ai religiosi Salesiani) poteva possedere ancora qualche volume mancante, così fu, vendette la sua parte di collezione alla Biblioteca Nazionale di Torino grazie ai mezzi finanziari di Filippo Giordano e dedicò anche lui la sua parte di collezione a suo figlio perso prematuramente a cui venne dedicata. Tutto risale a Giacomo Durazzo, a il suo vivo interesse per la musica, ma non si capisce ancora come è entrato in possesso dei manoscritti di Vivaldi, forse acquistati direttamente o indirettamente, dall’Ospedale della Pietà, l’orfanatrofio di Venezia con cui Vivaldi ebbe rapporti per buona parte della sua vita, probabilmente appartenevano proprio allo stesso compositore e costituissero la sua scorta operativa per questi fattori: 1. La grande varietà dei generi e l’ampio arco di tempo. Le opere vanno dal 1713 al 1738. Nessuna istituzione religiosa o laica avrebbe potuto avere un repertorio tale da comprendere una simile varietà; 2. I manoscritti sono costituiti nella grandissima maggioranza da partiture, le istituzioni musicali avrebbero avuto bisogno di musica divisa in parti; 3. I manoscritti sono autografi e molti degli altri lo sono parzialmente o contengono annotazioni autografe, i compositori tenevano per sè il materiale autografo; 2 4. Molte delle partiture sono allo stato di brogliacci buttati giù alla meno peggio, abbozzi e appunti presi a memoria. Le opere sono precedute da frontespizi uniformi non autografi, chiaramente inseriti al momento della rilegatura. Solo un esame accurato delle rilegature della raccolta Durazzo nel suo complesso potrà consentire di stabilire se i volumi vivaldiani sono stati rilegati a Venezia, a Vienna o altrove. Nel 1928 Arcangelo Salvatori pubblicò un saggio che stabiliva alcuni fatti essenziali circa il corso di studi seguito da Vivaldi per diventare sacerdote e circa il posto occupato in seguito alla Pietà. Rodolfo Gallo scoprì la data e il luogo di morte di Vivaldi e identificò alcuni membri della famiglia. 1947 l’editoria Ricordi cominciò a pubblicare per incarico dell’Istituto italiano “Antonio Vivaldi” da poco costituito, l’edizione completa delle musiche strumentali. In epoca più recente la Ricordi e la Universal Edition hanno iniziato a pubblicare sistematicamente la musica sacra vocale e resta solo da sperare che gli editori rivolgano la loro attenzione alle opere e alle cantate, ancora assai scarsamente rappresentate fra il materiale edito. Negli anni ’40 sono apparsi due studi di vaste proporzioni sulla vita e sulla musica di Vivaldi: 1. Antonio Vivaldi di Matio Rnaldi (1943); 2. Antonio Vivaldi et la musique instrumentale di Marc Pincherle (1948). Poi sono apparse numerose introduzioni generali alla musica di Vivaldi Un avvenimeto di grande importanza è costituito dalla recente pubblicazione di un catalogo tematico di tutte le composizioni di Vivaldi, curato dallo studioso Peter Ryom. In questi ultimi tempi la numerazione di Ryom sta rapidamente entrando in circolazione ovunque. Sul piano della biografia di Vivaldi restano comunque enormi lacune. La cronologia della musica dell’artista è appena agli inizi sarà necessario uno studio attento dei tipi di carta e della grafica dei copisti. • Venezia La pittura e la musica veneziane dipendono dal mecenatismo forestiero, è noto come il grand tour avvantaggiava il tesoro della Repubblica e fu per lungo tempo uno stimolo per la creatività. Così i compositori andarono sempre più dedicandosi a generi musicali facilmente esportabili (es opera e concerto) a svantaggio dei generi che soddisfacevano le esigenze locali. È importante considerare la musica veneziana dell’epoca di Vivaldi non solamente nella prospettiva di una lunga e nobile tradizione locale ma anche in quella della sua funzione di far moda in tutta Europa. La basilica di San Marco non fu cattedrale di Venezia se non a partire dal XIX secolo, ma era già da tempo il luogo deputato della musica cerimoniale sacra. La Basilica sarebbe stata in grado di assicurarsi la collaborazione dei migliori musicisti italiani ma i procuratori erano persone prudenti e preferivano scegliere musicisti che conoscevano. Per conseguenza, nel secolo che seguì la morte di Monteverdi tutti i “primi maestri” furono persone che avevano in precedenza operato nella Cappella. Esistevano quattro “ospedali” (davano lavoro a compositori e musicisti) che erano istituzioni di beneficenza per ragazze orfane, trovatelle, illegittime o povere. Quello della Pietà merita particolare attenzione anche perché Vivaldi ebbe con la Pietà rapporti strettissimi per la maggior parte della vita. Fondato nel 1346, l’Ospedale occupava all’epoca di Vivaldi un edificio che sorgeva dov’è attualmente l’Istituto provinciale degli 5 • Il Prete rosso Il cognome Vivaldi è noto sin dal XII secolo. A partire dal XV secolo membri della famiglia Vivaldi furono personaggi di rilievo a Genova. All’inizio del XVI secolo Bernardo Vivaldi, esiliato da Genova, si rifugiò a Savona, dando origine a un ramo della famiglia che pare si sia moltiplicato rapidamente e si sia sparso in tutta Italia. Oggi il nome Vivaldi non è concentrato in località particolari anche se, sembra assente da Venezia. Agostino Vivaldi, nonno del compositore, lavora come panettiere a Brescia, città che era famosa per i violini, la moglie Margarita, venne ad abitare a Venezia col giovane figlio Giovanni Battista o Giambattista, fu barbiere. La moglie Camilla Calicchio era figlia di un sarto. 1678 nascita di Antonio, e nell’atto di battesimo la professione di Giovanni Battista è indicata come “sonador” (strumentista). Il 23 aprile del 1685 venne assunto nell’orchestra di San Marco come violinista. Un fatto molto significativo fu che egli fu assunto inizialmente sotto il nome di “Gio:Baptista Rossi”. Abbiamo notizia del colore poco comune che avevano i capelli del compositore da numerosi fonti e fra l’altro da Goldoni, il quale scrive che l’abate Vivaldi era chiamato “Il Prete rosso”, evidentemente si tratta di un carattere ereditario. È lecito chiedersi se il Gianbattista Rossi che compose la musica per “La fedeltà sfortunata”, opera rappresentata nel 1688 non si identifichi con Vivaldi padre. Fu tra i soci fondatori della Società Santa Cecilia (1685), un’associazione autonoma di musicisti. Nel 1729 presentò una domanda per ottenere un anno di congedo dalle sue funzioni nella Cappella ducale, per accompagnare un suo figlio in Germania (sicuramente Antonio). Da quel momento Giambattista scomparve dai documenti della Cappella, bisogna presumere che sia morto durante questo viaggio, il figlio è tornato a Venezia verso il 1732. Dal matrimonio di Giovanni Battista e Camilla Vivaldi nacquero sei figli di cui abbiamo notizia sicura, solo Antonio si è dedicato professionalmente alla musica. Eric Paul, è grazie a lui che nel 1962 si ritrova il registro battesimale contenente la data di nascita di Antonio (6 Maggio 1678), da qui si scopre che fin da bambino non godeva di un ottima salute, probabilmente è sempre stato afflitto da quello che oggi definiamo asma (“mal di petto”) quindi speso stava in casa ed evitava di camminare troppo. Oppure c’è un’altra causa dell’ansietà dei genitori, cioè un terremoto che si ebbe a Venezia nel giorno della nascita di Antonio. Il giovane Antonio apprese il violino dal padre, suonava occasionalmente nell’orchestra di San Marco come violinista aggiunto o come sostituto di Giovanni Battista. Può darsi che Antonio abbia ricevuto anche lezioni di clavicembalo. Il fatto che lui fosse indirizzato al sacerdozio, una carriera che offriva qualche speranza di promozione sociale, era conforme alle sue umili origini. Si hanno documenti da cui risulta che non frequentò un seminario bensì ricevette l’insegnamento religioso dai sacerdoti di due chiese locali, probabilmente il 23 marzo 1703 divenne sacerdote. Probabilmente il 1712 fu l’anno in cui celebrò la messa per l’ultima volta a causa sempre della sua salute cagionevole. Vivaldi fu subito assunto, risulta in un registro dei pagamenti della Pietà (17 marzo 1704). Fra i suoi compiti secondari c’era quello di acquistare strumenti per la cappella. La sua prima pubblicazione, una serie di sonate a tre, appare nella casa editrice Sala circa nel 1705 (quella che conoscevamo noi fino a poco tempo fa era l’edizione pirata di Roger del 1715). La sonata a tre era ancora il genere strumentale più diffuso in Italia. Non stupisce che i compositori in ascesa della generazione di Vivaldi (Gentili, Albinoni e Caldara) facessero quasi sempre il loro debutto nelle pubblicazioni a stampa con una serie di sonate a tre. 6 Ci sono due curiose peculiarità nella superstite edizione di Sala che fanno pensare si tratti della ristampa di un lavoro comparso già in precedenza, a metà del 1703 circa. Il frontespizio reca l’emblema tipografico dello stampatore, usuale nelle ristampe di Sala. Inoltre, sebbene la condizione di ecclesiastico di Vivaldi sia indicata dal “Don” che la precede, egli viene qualificato semplicemente come “Musico di violino professore veneto”, Vivaldi difficilmente avrebbe omesso questo particolare in un frontespizio stampato nel 1705. I concerti probabilmente non sono mai stati pubblicati prima del 1711 perché Vivaldi non era in grado di affrontare la spesa. È un fatto strano che le copie manoscritte di concerti di Vivaldi di più antica datazione pervenute fino a noi non contengano composizioni per violino principale, archi e continuo ma concerti con una parte di violoncello obbligato. Fra gli otto concerti per violoncello attribuiti a Vivaldi, ce ne sono tre di mano di Franz Horneck, giovane musicista al servizio di Johann Philipp Franz von Schönborn che soggiormnò a Venezia dal novembre 1708 fino al marzo 1709. Il contratto di Vivaldi con la pietà venne rinnovato nel 1706 e nei due anni successivi, fu meno fortunato nel 1709, quando ci furono sette voti a sfavore della sua riconferma e sei contro, in una nuova votazione uno dei suoi sostenitori cambiò schieramento così fu licenziato. Si è spesso formulata l’ipotesi che fosse la sua personalità indipendente insieme ai suoi interessi all’esterno a influire negativamente sui rapporti con i governatori della Pietà. La nuova nomina come insegnate di violino ebbe luogo il 27 settembre del 1711. La partenza di Gasparini (Maestro di coro) lasciò un vuoto che la pietà ebbe difficoltà a colmare per molti anni 8segna un fatto importante per la carriera di Vivaldi). Una parte importante dei compiti del “maestro” era di attendere regolarmente alla composizione di nuove musiche. Per qualche ragione chi succedette Gasparini non era in grado di assolvere questa parte di incombenze così l’opportunità passò a Vivaldi. Indubbiamente Vivaldi continuò a produrre composizioni vocali per la Cappella della Pietà fino alla nomina di Grua nel 1719 e anche dopo tale anno. Nel 1710, quando il padre Giambattista collega il suo nome al teatro S. Angelo (come debitore), Antonio cominciò ad avere uno stretto rapporto con il mondo operistico. Il teatro S. Angelo doveva appoggiarsi ad uno stile popolare e orecchiabile per poter sopravvivere, raramente ingaggiava cantanti di primissimo piano. Se i libretti del S. Angelo erano tendenzialmente vecchi o antiquati, per contro i suoi compositori erano giovani talenti in ascesa. Con voto unanime i governatori della Pietà avevano concesso a Vivaldi, il 30 aprile 1713, il permesso di assentarsi un mese da Venezia per dedicarsi “all’impegno delle sue virtuose applicazioni”. Il luogo era Vicenza, lo scopo, la rappresentazione della sua prima opera, “Ottone in Villa” con librettista Sebastiano Biancardi. Sebbene il S. Angelo fosse destinato a rimanere il teatro veneziano con cui Vivaldi ha avuto più rapporti, non meno di diciotto partiture, da “Orlando finto pazzo” (1714) a “Feraspe” (1739) ebbero qui la loro prima rappresentazione, per non parlare delle numerose riprese, il suo impegno nella gestione sembra sia iniziato nel 1713-14, il suo “Orlando finto pazzo” aprì la stagione d’autunno del 1714. Seguì in febbraio “Nerone fatto Cesare”, Vivaldi arrangiò il lavoro con il sistema del “pasticcio”, componendo egli stesso dodici arie ma pescando il resto da altre fonti. La spiegazione di tali miscugli è la fretta con cui spesso le opere si dovevano scrivere. “Arsilda, regina di Ponto” di Vivaldi, rappresentata al S. Angelo nell’autunno del 1716. L’Europa intera in questi anni si entusiasmava ascoltando la prima serie di concerti pubblicati da Vivaldi, “L’estro armonico” op. 3, forse la raccolta di composizioni strumentali che ebbe maggiore influsso tra quelle apparse durante il primo Settecento. Ma non era la passione e il vigore, che pure indubbiamente animavano quei concerti, a sorprendere i contemporanei, quanto piuttosto la novità del loro disegno. La raccolta era dedicata a 7 Ferdinando di Toscana. Non è escluso che Vivaldi abbia incontrato il principe in occasione in una delle sue frequenti visite a Venezia per ascoltare l’opera. Il principe era conosciuto come Ferdinando III, la dedica delle rispettive op. 3 da parte di Albinoni, Gentili e Vivaldi è probabilmente un’abile allusione a questo fatto. Le idee di Vivaldi vennero assorbite con lento processo di diffusione fra i compositori della stessa sua generazione, restii ad abbandonare da un giorno all’altro una consolidata prassi compositiva. Bisogna arrivare fino alla generazione del Locatelli (1695-1764) e Tartini (1692-1770) perché nel loro complesso gli italiani che si dedicano al concerto facciano proprio il metodo Vivaldi. Nell’Europa settentrionale, dove i concerti non avevano ancora ottenuto larga diffusione, quelli di Vivaldi, si imposero rapidamente come modello. Nel 1716 i meriti di Vivaldi come compositore operistico dovevano ormai essere largamente riconosciuti. Alla Pietà la sua posizione di maestri di violino stava diventando precaria (vista di cattivo occhio la sua attività extra moenia). Durante il secondo decennio del Settecento vari giovani compositori tedeschi, fortunati abbastanza da ottenere da parte di chi li aveva al proprio servizio un periodo di congedo per studiare a Venezia, fecero la conoscenza di Vivaldi. Pisendel, durante il suo soggiorno a Venezia nel 1717, divenne amico e allievo di Vivaldi. C’è un ricordo dei rapporti fra loro intercorsi in due aneddoti, che vengono raccontati da Hiller: 1. Nel primo si racconta come Vivaldi interrompesse improvvisamente la conversazione e facesse premura al suo interlocutore perché tonasse immediatamente a casa con lui, perché Vivaldi si era accordo che c’erano degli agenti che sembrava pedinassero Pisendel ma si scoprì che cercavano una persona gli assomigliava; 2. Il secondo riguarda un concerto che Pisendel fu richiesto di eseguire (RV 571) in un intervallo durante la rappresentazione di un’opera, i suoi accompagnatori cercarono di metterlo in imbarazzo affrettando il tempo, ma lui non si scompose e li costrinse a rallentare segnando energicamente il tempo con il piede. Pisendel approfittò del suo soggiorno a Venezia per accumulare una grande quantità di manoscritti musicali che contenevano i più recenti lavori dei principali compositori della città; soprattutto, è ovvio, di Vivaldi, molti li ebbe in regalo dagli stessi compositori, ma la maggior parte era stata copiata dallo stesso Pisendel. Abbiamo le partiture di ventidue concerti e di sette sonate per violino di Vivaldi, nonché le parti complete di altri quindici concerti. Pisendel aveva l’abitudine di sottoporre i manoscritti originali a una consistente revisione, annotando i manoscritti che venivano in suo possesso o correggendo la musica all’atto di farne copia per sé. Gli scopi di queste alterazioni erano molteplici: esercitare il suo talento di compositore; offrire maggiori chances al suo virtuosismo violinistico; adattare la scrittura alla prassi dell’orchestra di corte di Dresda, nella quale gli strumenti a fiato avevano la prevalenza sia nelle parti solistiche sia nel ripieno; emendare esiti poco soddisfacenti nell’equilibrio della frase o nella scrittura delle parti. Non ci sono nomi di musicisti nella lista delle nomine di membri dell’organico della Pietà del 9 maggio 1717, né Vivaldi era fra i musicisti che chiedevano la conferma il 24 aprile 1718. Ma questa seconda assenza è facile da spiegare: da poco Vivaldi aveva lasciato Venezia per Mantova. • Gli anni di viaggio L’andirivieni di musicisti fra Venezia e Mantova era da lungo tempo un traffico nelle due direzioni. Un periodo di servizio in una corte piccola come quella di Mantova offriva a un musicista proveniente dalla repubblica di Venezia un tipo d’esperienza e un genere di 10 Vivaldi risulta poi un cattivo imitatore, incapace di sopprimere la propria personalità. Nella melodia di Vivaldi notiamo prima di tutto l’ampiezza del disegno e una notevole propensione per gli intervalli insolitamente estesi. Laddove Vivaldi fa uso di ampi intervalli, frequentemente la scrittura a due parti è simulata con una linea sola o, dove ci si aspetterebbe un intervallo semplice, questo è stato spostato in alto o in basso di una o due ottave, come all’inizio del “Concerto funebre” RV 579. A volte un inconsueto abbassamento cromatico fa pensare all’influsso della musica popolare, italiana o slava. L’Ospedale della Pietà era sulla Riva degli Schiavoni (slavi), Vivaldi non poteva non ascoltare ogni giorno i canti dei marinai dalmati. Vivaldi dimostra anche un gusto spiccato per lo schema “sincopato”. Vivaldi porte all’estremo limite il caratteristico gusto italiano. Quando Vivaldi ricapitola il proprio materiale, gli piace sfrondarlo drasticamente, eliminando la ripetizione di frasi o semplicemente eliminando interi gruppi di battute. Vivaldi ama articolare le frasi interpolando pause in tutte le parti. Le interruzioni avvengono non solo dopo cadenze imperfette ma anche dopo le cadenze perfette. Gli accade di anticipare l’antitesi maschile-femminile prediletta dal periodo classico. Vivaldi spesso si mostra poco propenso a sfruttare le parti più rilevanti del suo ritornello e preferisce ripetere il materiale più convenzionale. Anche la sua armonia è anticipatrice. Nessun compositore prima di lui aveva adoperato con più libertà la settima in un accordo. Normalmente egli introduce la settima in uno dei tre modi correnti alla sua epoca, la settima viene introdotta con un salto da un altro accordo. Gli accordi di nona sono meno comuni, ma quando si presentano sono trattati con altrettanta libertà. Altra peculiarità della sua armonia è l’inesatta sincronizzazione di una progressione armonica nelle diverse parti: una parte muove verso il nuovo accordo prima del tempo di battuta; le altre arrivano sul tempo di battuta. Es. “Sonata per violino” RV 755. Le irregolarità del ritmo armonico non derivano da fattori extra-musicali ma fanno parte della concezione musicale che gli è connaturata. Fino alla scoperta dei manoscritti di Torino non sembrava irragionevole identificare in Vivaldi uno dei primi, se non addirittura il primo, fra i promotori di quel distacco dal contrappunto che doveva portare dapprima all’attenuarsi dello stile barocco e poi 11 all’apparizione dello stile classico. I critici del suo tempo trovavano sconcertante l’assenza dei procedimenti contrappuntistici tradizionali. Vivaldi mostra anche una passione per l’ostinato. Vivaldi e quelli della sua generazione tentano raramente di mascherare la regolarità del basso ostinato evitando una cadenza perfetta nel punto in cui il basso si ripete o articolando le parti melodiche a cavallo del punto di giunzione. Anche i motivi ostinati sono impiegati assai frequentemente. Spesso Vivaldi concede a un motivo ostinato la licenza armonica che si usa concedere a un pedale. Nei suoi movimenti troviamo regolarmente l’imitazione fra due o più parti. In un caso e nell’altro, spesso ciascuna parte esegue un motivo e un contrappunto al motivo trestè udito nell’altra parte producendo l’effetto d’una incisiva ripetizione di un paio di motivi in un continuo scambio di voci. Come contrappuntista Vivaldi giunge senza ostentazione a risultati eccellenti allorché combina insieme due o tre di contrastante carattere melodico e ritmico. Egli ha il dono di delineare con freschezza le diverse parti, sicché anche una parte per viola può riuscire brillante. Sa lasciar cadere le sue sensibili quando in tal modo gli riesce di ottenere una linea melodica interessante o un’efficace spaziatura tra le parti. La sua preferenza per il movimento parallelo in più parti, compreso il basso, spesso lo avvicina pericolosamente alle quinte o alle ottave successive. L’approccio di Vivaldi alla modulazione è caratteristicamente personale. È propenso ad accorciare il normale procedimento di modulazione, passando ad una nuova tonalità attraverso l’accordo di mediante, sottodominante, sottomediante o sensibile piuttosto che per la via convenzionale della dominante. L’ascoltatore arriva alla nuova tonalità bruscamente. Uno dei disegni tonali vivaldiani più spericolati e convincenti compare nell’”Et in terra pax” del “Gloria” RV 589, le tonalità che sono tra parentesi si presentano solo di passaggio, senza la cadenza. 12 Il passaggio dalla tonalità di do minore a quella di si minore è effettuato con un ingegnoso esempio di risoluzione enarmonica. Vivaldi ha sfruttato con un sicuro senso drammatico il contrasto fra il modo maggiore e il modo minore. Un aspetto del modo in cui Vivaldi tratta la tonalità è la propensione a scegliere come regione tonale prossima per importanza alla tonica una chiave diversa dalla dominante o dalla relativa maggiore. Convenzionalmente la dominante è di solito la prima nuova regione tonale ad essere posta in rilievo; è la tonalità del primo ritornello fuori della tonalità di tonica in un movimento di concerto, o quella della cadenza che precede la prima doppia stanghetta in un movimento binario. L’atteggiamento di Vivaldi verso ciò che i commentatori odierni chiamano “sviluppo tematico” o “unità musicale” non può che essere definito casuale e imprevedibile. Qualsiasi interpretazione della musica di Vivaldi come intrinsecamente “organica” è destinata a crollare se si considera il problema dei prestiti da se stesso. I confini del genere e della forma non sono un ostacolo per le incursioni di Vivaldi nella propria musica: i movimenti di sonata sono trasferiti nei concerti; i movimenti di concerto nelle opere. L’estensione della parte presa a prestito è varia, a volte il prestito riguarda materiale principale e non quello secondario come certi concerti per fagotto arrangiati per oboe, in cui Vivaldi si preoccupò di mettere per iscritto solo i passaggi solistici ricomposti. Accade pure, che venga conservato il materiale secondario, mentre viene ricomposto quello principale. Può poi accadere che quel materiale che in precedenza era principale riappaia come secondario, o viceversa. Si scopre che le battute cadenziali del ritornello in un concerto possono ritornare come battute d’apertura di un altro concerto. È chiaro che Vivaldi era orgoglioso di questo suo bricolage e lo considerava parte utile e legittima della propria arte. La tendenza a semplificare comporta la riduzione del numero delle parti reali mediante il raddoppio all’unisono, all’ottava e anche alla quindicesima. Vivaldi si ritrova palesemente poco a suo agio quando il numero delle parti aumenta. Nelle parti superiori la forma più comune assunta da questa tendenza è la riduzione a un solo strumento, il che introduce una modificazione del timbro. La tendenza ad alleggerire l’intreccio comporta la soppressione del registro basso e il trasferimento della parte di basso al registro intermedio. Oltre ai “sordini” normali, Vivaldi adopera anche, per accentuare lo stesso effetto negli archi, i “piombi”. In una scena infernale dell’”Orlando finto pazzo”, a tutti i violinisti è indicato di suonare viole anziché violini, per meglio evocare l’atmosfera lugubre dell’Ade. Si trovano nella sua musica espressioni come “Allegro (ma) non molto” o anche “allegro più ch’è possibile”. In alternativa anche una descrizione del carattere generale del movimento “Largo (e) cantabile”. Vivaldi fece uso sia d’una dinamica a terrazze (cambiamento istantaneo di livello dinamico corrispondenti all’inserimento o disinserimento di file di canne nell’organo) e d’una dinamica graduale (crescendo e decrescendo). Sono state identificate tredici gradazioni di indicazione dinamica nella musica di Vivaldi, alla quale si può aggiungere un effetto di forte-piano che si riscontra nell’aria di Catone “Catone in utica”, nel secondo movimento della “Primavera” il cane (viola) abbaia “molto forte e strappato”, mentre le foglie (violini) bisbigliano “pianissimo”. In certi casi Vivaldi, dopo aver chiaramente indicate le sue intenzioni all’inizio del movimento, lascia che l’esecutore vada avanti nello stesso modo; in altri casi, il cambiamento sembra deliberato. Le didascalie che si riferiscono all’articolazione sono frequenti. Nei movimenti che recano l’indicazione “alla francese”, Vivaldi usa con larghezza ritmi puntati, intendendo indubbiamente che la lunghezza del punto e la brevità della nota che 15 Gli esempi di impiego dell’organo come strumento obbligato sono pochi nella musica sacra vocale di Vivaldi, ma si possono citare le arie “noli o cara te adorantis” nella “Juditha triumphans” e “Jucundus homo” nel “Beatus vir” RV 597. La parte dell’organo in questa sonata è notevole per la presenza di lunghe cadenze sui pedali armonici nei due primi movimenti. 2. I concerti. I concerti esistenti di Vivaldi possono essere raggruppati in sei classi a seconda della loro strumentazione. Come termine musicale, “concerto” aveva durante il XVII e il XVIII secolo vari significati. La prima accezione ebbe a predominare durante il XVII secolo, la seconda durante il XVIII. I concerti sono riunioni musicali e collegia musica, ma in senso stretto la parola è spesso usata per significare musica da camera per voci e strumenti e pezzi per archi. Fra vari 16 violini, uno, denominato “Violino concertino”, spicca in ragione del fatto che è suonato con particolare rapidità. I concerti nel senso “più specifico” vennero alla luce negli ultimi anni del XVII secolo, è possibile discernere tre caratteristiche distintive del concerto fino a circa il 1710: 1. La sua tolleranza per il raddoppio orchestrale; 2. La sua predilezione per una scrittura che faccia spiccare il violino o il violoncello; 3. Il suo intreccio generalmente omofonico e la sua ricettività nei confronti dell’influsso della sinfonia operistica. La presenza di parti solistiche; la preferenza per il ciclo di tre movimenti; l’uso della forma- ritornello nei movimenti esterni. L’aggiunta di una o due parti per viola contribuiva a dar spessore alla musica. Le figurazioni caratteristiche della scrittura per la tromba lasciarono un’impronta sul modo di scrivere per il violino che sarebbe durata per oltre un secolo. I primi concerti, ivi compresi quelli dell’op. 6 di Torelli (1698) e ell’op. 2 di Albinoni (1700), fanno propria e sviluppano questa tecnica del motto. Un movimento veloce consisterà in più di tre periodi, ciascuno dei quali sarà introdotto dal motto. I motti di Torelli conservano spesso una sfumatura di contrappunto imitativo, quelli di Albinoni spiccatamente simili a quelli delle sue sinfonie operistiche. Al confronto, il tipo del concerto corelliano, in cui l’alternanza del “concertino” e del “ripieno” produceva effetti di luce e ombra ma poco contrasto di materiale. Il motto si espande fino a diventare un periodo costituito da un certo numero di elementi che possono essere riproposti in tutto o in parte. Vivaldi seguiva questo schema molto meno rigidamente dei suoi imitatori. Alcuni dei modi in cui veniva modificato: 1. Il primo ritornello è preceduto da un episodio nella tonalità d’impianto. Questa impostazione ha un grande potenziale drammatico; 2. Il secondo ritornello, come il primo, è nella tonalità d’impianto. 3. Il penultimo ritornello è nella tonalità d’impianto. L’episodio che segue è incentrato sulla tonica; Vivaldi gli dà spesso il carattere di una cadenza. 4. Alcuni dei ritornelli modulano. Vivaldi è così in grado di fare completamente a meno degli episodi. Il risultato può sembrare un ritorno ai metodi di Torelli e Albinoni; la 17 differenza sta nel fatto che Vivaldi richiama e sviluppa tutti gli elementi del ritornello, non soltanto il motto iniziale. In Vivaldi i movimenti nella forma-ritornello vanno oltre le necessità della forma nell’unificare le diverse parti. Gli episodi sono spesso punteggiati da brevi frammenti del ritornello. L’organizzazione interna di alcuni ritornelli manifesta il desiderio di dar vita ad una compiuta entità musicale. Le frasi d’apertura di Vivaldi presentano così spesso il profilo armonico di una cadenza perfetta. La forma-ritornello è scelta quasi automatica per il primo movimento veloce in un concerto di Vivaldi. Quattro le forme, alternative al ritornello, che vengono impiegate: 1. la fuga. Le fughe ricorrono come movimento veloci nei concerti senza solista. Quando c’è un solista, molti degli episodi consistono in passaggi convenzionali; 2. la forma unitaria. I movimenti unitari lenti sono principalmente di due tipi: accordi modulanti o un arioso per il solista. Il primo tipo, ereditato da Torelli e Albinoni, serve da ponte fra i due movimenti veloci. Gli accordi possono essere modellati in diversi modi: in un contrappunto fluente, quasi vocale, zeppo di ritardi; in brevi frasi, articolate da pause; con crome delicatamente picchiettante, come se fosse un accompagnamento al quale è stata tolta la melodia. Il secondo tipo si avvicina in genere a un movimento binario senza segni di ripetizione; 3. forma binaria. I movimenti binari variano dal breve e simmetrico fino ad arrivare all’ampio e marcatamente asimmetrico; 4. forma della variazione. La grande maggioranza dei concerti mantiene la struttura in tre movimenti resa popolare da Torelli e Albinoni, ma un gruppo di quasi trenta concerti, presenta un movimento addizionale, lento, d’apertura, o un’introduzione lenta al primo movimento veloce. Laddove la maggior parte dei suoi contemporanei preferisce la relativa tonalità maggiore o minore, Vivaldi ricorre ad essa piuttosto di rado; spessissimo invece opta decisamente per la tonalità dell’intera composizione, talvolta per la tonalità minore parallela. Forse Vivaldi manteneva un solo centro tonale per dare alla composizione un carattere più uniforme. Vivaldi è quasi un conservatore. Uno su cinque dei concerti a noi noti di Vivaldi fu pubblicato durante la sua esistenza. Ottantaquattro sono apparsi a intervalli tra il 1711 e il 1729, di questi, sessanta erano per un solo violino solista. Le facoltà di Vivaldi non declinarono col passare degli anni, come dimostrano persuasivamente i quattro lavori composti per la visita del principe sassone nel 1740, ma non si può negare che tendesse a ripetersi con crescente facilità. Solo l’op 8 (che contiene le “Quattro stagioni”) raccolse nuovamente il successo dell’”Estro armonico”. L’op. 3 è un esempio di raccolta composta in cui composizioni destinate ad organici differenti sono raggruppate simmetricamente. Senza contare il violoncello solista, si rileva che i dodici concerti formano quattro gruppi, ciascuno dei quali comprende volta a volta una composizione per quattro violini solisti, una per due violini solisti e una per un solo violino. Nei concerti per quattro violini non esistono parti distinte di “ripieno”. Il terzo e il quarto violino in quelli con due parti soliste costituiscono il “ripieno”. Ogni parte “ridondante” non fa altro che raddoppiare la più appropriata delle altre. “La stravaganza” op. 4, è nominalmente una raccolta di concerti per violino solista, sebbene cinque composizioni riecheggiano l’op. 3. Ciò che distingue queste due opere da quelle seguenti è il loro spirito di sperimentazione, non nascondono le reminiscenze di Corelli, Torelli e Albinoni. Il carattere più corelliano è il trattamento dei due Violini solisti. L’influsso di Torelli è visibile nei rapidi passaggi di semicrome per due violini sopra note di pedale. C’è un richiamo ad Albinoni nei ritmi fortemente incisi, nel gusto per i violini all’unisono e nell’uso di un motivo affidato al “tutti” nei movimenti iniziali. 20 L’espressione generica di “concerti di gruppo” è un modo appropriato per indicare i numerosi concerti di Vivaldi per orchestra singola con più di due strumenti solisti. Vivaldi non pretende di mettere su un piano d’uguaglianza i suoi solisti, e spesso un violino o due violini hanno la parte del leone nella spartizione del materiale solistico. Gli strumenti solisti appaiono solo in certi movimenti, come il liuto nel movimento lento della versione originale dell’RV 556/P.84 e le due trombe nel finale dell’RV 555/P.87. Lo chalumeau era già noto in Italia ma le cinque composizioni di Vivaldi in cui compare sono le sole che finora si siano scoperte a sud delle Alpi. Cugino più anziano del clarinetto, lo chalumeau fece le sue prime apparizioni verso il 1700 in Francia o in Germania, un tipo più potente di flauto diritto in cui l’imboccatura usuale era sostituita da un’altra che conteneva, in punta, un’ancia. Raggiunse una certa diffusione come strumento “pastorale”. Il “Riccardo primo” di Händel (1727) contiene un’aria com parti per due chalumeaux soprani. Vivaldi chiama lo strumento “salomè” o “salmò”. Uno chalumeau tenore viene adoperato nel “Concerto funebre”. Vivaldi scrive le parti per lo chalumeau tenore un’ottava sotto, in chiave di basso. Il compositore impiega clarinetti in do in tre concerti (RV 556/P.84, RV 559/P.74 e RV 560/P.73) flauti diritti, due violini e un fagotto. Vivaldi mostra un’intuizione anticipatrice dell’attitudine propria del registro basso di chalumeau per produrre effetti misteriosi o lugubri. Buona parte di quanto egli scrive per il clarinetto nel suo registro più acuto è stilisticamente indistinguibile da quanto scrive per la tromba nel registro di “clarino”. Questa identità di stile ha introdotto alcuni studiosi a ritenere che quegli strumenti fossero in realtà delle trombe. Usare il termine “clarino” per fare riferimento tanto a uno strumento quanto a uno specifico registro. La comparsa dei clarinetti nella “Juditha” (1716) è il primo esempio finora noto di uso orchestrale dello strumento. L’identità dei due “tromboni da caccia” nell’RV 574/P.319 rimane incerta. Ci sono pervenuti cinque concerti che richiedono una doppia orchestra. Alla prima orchestra un violino solista, mentre gli altri due si sviluppano simmetricamente con un gruppo uguale di solisti per ciascun “coro”. I concerti da camera, scritti per più strumenti e continuo, cono ventidue. Diversi prevedono solo strumenti a fiato; il solo caso in cui non è compreso almeno uno strumento a fiato è il concerto per liuto RV 93/P.209. il fagotto è presente in sedici concerti, il flauto traverso e l’oboe in dodici concerti ciascuno, il flauto diritto in nove. Non vi sono altri esempi del genere in Italia. In un concerto da camera, tutte le parti sono obbligate e suonano all’unisono solo per produrre un effetto speciale. Soltanto i criteri tonali e tematici determinano le strutture formali. Altrove l’intreccio si alleggerisce negli episodi, allorchè uno o più strumenti tacciono, lasciando proseguire un “solista”. In molti casi lo stesso strumento solista appare durante un movimento oppure durante tutta una composizione. Le qualità che maggiormente possiamo ammirare nei concerti da camera di Vivaldi sono le raffinatezze timbriche e l’intuizione del linguaggio naturale di ciascuno strumento. I quarantaquattro concerti di Vivaldi per quattro parti di archi e continuo senza solista ce lo mostrano nella sua luce migliore come compositore puro. La distinzione fra questi “concerti a quattro” e le sinfonie per opere o nello stile operistico è costituita dalla tendenza stilistica e formale piuttosto che da elementi ben determinati. Tipico delle sinfonie è di essere scritte in uno stile omofonico, dominato dalla voce acuta per cui i violini sono spesso all’unisono. Il movimento lento è abitualmente in stile cantabile. La tonalità di maggiore è di gran lunga la preferita. I concerti invece mostrano un’ispirazione più severa, spesso contrappuntistica. Le tonalità minori compaiono con frequenza normale. 21 È strano che solo uno di questi concerti “sinfonici” (RV 124) sia stato pubblicato veramente da Vivaldi. Quasi ovunque i “concerti a quattro” avevano minor fortuna dei concerti solistici. È difficile distinguere fra il persistente influsso personale di Vivaldi (sulla scena concertistica dell’epoca) e quello trasmesso e spesso mediato attraverso una specie di rifrazione dai suoi discepoli. Così Vivaldi è al tempo stesso beneficiario e mentore. La materia in cui Vivaldi continuò più a lungo a esercitare un influsso decisivo sui suoi contemporanei fu forse, la tecnica strumentale. Mentre nella ricerca di novità egli andava introducendo una quantità di innovazioni accessorie. Nell’insieme il livello raggiunto da Vivaldi nel concerto è altrettanto rilevante quanto quello di Monteverdi nell’opera o di Haydn nella sinfonia. • La musica vocale La musica vocale e quella strumentale, essendo di carattere tanto diverso, non possono essere padroneggiate in uguale misura da una sola persona. Questo giudizio, è smentito non solo dai fatti della carriera di Vivaldi ma dai giudizi di altri contemporanei. Anche soltanto dal punto di visata quantitativo, la produzione vivaldiana di musica vocale, farebbe onore a qualsiasi compositore che pur non avesse scritto una sola nota di musica strumentale: oltre quarantacinque opere, otto lavori più bravi per il teatro; trentanove cantate; sessanta composizioni sacre. La conoscenza del latino e del rituale cattolico. Le stesure originali di Vivaldi ci consentono di vedere quanto frequentemente la lettura affrettata o superficiale di un testo da musicare lo inducesse in errore. Nella partitura dell’”Orlando” Vivaldi tradisce la sua scarsa familiarità col francese nel punto in cui il paladino delirante comincia a parlare in quella lingua. Per quanto poco letterato potesse essere, Vivaldi non mancava di una certa disinvoltura. Le partiture operistiche abbondano di piccoli cambiamenti del testo, scritti di sua mano. Queste revisioni sono spesso piuttosto contraddittorie. Egli era in grado di scrivere versi funzionali anche se banali. Infatti il recitativo centrale nella cantata solistica per soprano “Nel partir da te, mio caro” giunse ad una forma definitiva solo al quarto tentativo. Questi testi sono scritti in versi sciolti, forma poetica in cui settenari ed endecasillabi sono frammisti liberamente e la rima solitamente compare soltanto nel distico finale. La lunghezza del verso corrispondeva in modo ottimale alla lunghezza della frase che il cantante era in grado di emettere prendendo fiato tra un verso e l’altro. Il verso iniziale di dodici sillabe del testo originale procede molto a singhiozzo. Vivaldi spesso preferiva ignorare le elisioni, essenziali al ritmo poetico ma prive d’importanza e perfino sgraziate in un testo messo in musica. Quanto all’accento e alla quantità il suo modo di mettere le parole in musica è generalmente impeccabile. L’esempio che segue, tratto dall’aria di Emilia “Come invano il mare irato”, illustra l’esuberanza del suo modo di scrivere i pezzi di bravura nelle opere più tarde. 22 Vivaldi adattò il movimento come quintetto per “La verità in cimento”, dove il primo verso è modificato e diventa “Anima mia, mio ben”. La cadenza femminile suona innaturale, speciale perché la sillaba è tronca. La maestria di Vivaldi come pittore della parola non ha rivali nella sua epoca. Notevole è il rilievo pittorico che può conferire all’intero edificio sonoro l’evidenziazione di semplici disegni melodici di accompagnamento. Nell’aria di Oloferne “Agitata infido flatu” nella “Juditha triumphans” descrive il volo di una rondine che va verso il nido, sferzata da versi procellosi. Tre motivi importanti che si possono udire: una melodia discendente di intervalli cromatici a valori di semibrevi o minime che esprime il soffio del vento; un disegno di semicrome che rappresenta il battito delle ali della rondine; una scabra figurazione dal ritmo puntato che evoca il pianto. • Le cantate La cantata era il più importante nuovo genere vocale prodotto dal primo barocco italiano. È concepita generalmente come monologo. La cantata italiana mette in musica soprattutto versi profani in volgare. Lo scenario è costituito invariabilmente dall’Arcadia, popolata da pastori in preda ai tormenti dell’amore e da ninfe incostanti. Invariabile è altresì la forma del testo in cui si alternano strofe di versi sciolti e versi rimati per le arie. Delle cantate con accompagnamento strumentale cinque sono per soprano, quattro per contralto. L’originalità di Vivaldi tocca nelle cantate il suo punto più basso. Mentre la maggior parte dei contemporanei privilegiano un ciclo di quattro movimenti che risaliva per dimensioni e per schema alla tradizionale sonata da chiesa, Vivaldi mostra una certa preferenza per un ciclo di tre movimenti. Lo schema più antico presenta il vantaggio che la prima delle arie, essendo all’interno della composizione, può essere in una nuova tonalità, ma Vivaldi si cautela intelligentemente contro il rischio di rendere la seconda aria troppo simile alla prima, variando l’assetto ritmico e lo schema di modulazione. La struttura dell’aria con il “da capo” può essere così riassunta: 1. Ritornello introduttivo. 2. Primo periodo vocale, che modula alla dominante o a una tonalità alternativa. 3. Ritornello nella nuova tonalità. 4. Secondo periodo vocale, con cui si torna alla tonalità d’impianto (talvolta completato da una coda). 5. Ripresa del ritornello introduttivo, spesso abbreviato. 6. Uno o due periodi vocali che conducono a nuove tonalità. 7. 11. Ricapitolazione di 1-5, con ornamentazione ad libitum. 25 carattere bucolico. Talvolta gli oboi sono affiancati da un fagotto. Questo strumento è usato solo una volta come strumento obbligato. Fra gli strumenti introdotti come novità occasionali, vi sono il violino e il violoncello solisti. Le opere di Vivaldi non possono vantare l’importanza storica dei concerti. Pure il vigore, la complessità e la varietà della loro scrittura strumentale, specialmente nei lavori del primo decennio del Settecento, furono all’origine di una maniera che influì sui contemporanei più anziani. Se avesse cominciato prima a comporre opere, il suo stile operistico basato sulla prevalenza dell’orchestra avrebbe potuto imporsi più stabilmente. Dopo il periodo critico (1725) continuò a introdurre innovazioni, queste non si consolideranno mai in uno stile da “ultimo periodo”. • La musica vocale sacra Un salmo dei Vespri può essere musicato come un solo movimento esteso o suddiviso in vari momenti; la sua componente vocale può essere costituita da una voce solista o da un coro singolo o doppio con solisti; la composizione può essere a cappella. La distinzione più importante, è quella fra la realizzazione musicale di testi liturgici e di testi non liturgici. La categoria non liturgica comprende l’oratorio “Juditha triumphans”, dodici mottetti solistici, otto “introduzioni” e tre movimenti a sé stanti. È opportuno iniziare con le composizioni su testi non liturgici, in quanto presentano la più stretta analogia con le cantate e le opere. Definizione di Quantz del mottetto italiano: “In Italia oggigiorno questo termine si applica a una cantata sacra solistica con testo latino, costituita da due arie, due recitativi e un Alleluia conclusivo. Vivaldi omette il recitativo d’introduzione, la seconda delle due arie sono in semplice forma “da capo”. Le “introduzioni” sono molto simili ai mottetti. Tanto i mottetti quanto le introduzioni sono composti per soprano o contralto con archi e continuo. Questi concerti per voce sono notevolmente attraenti sul piano melodico. Alla Pietà, la prima esecuzione di un oratorio di cui si abbia notizia ebbe luogo nel 1684. Da allora fino al 1820 oltre cinquanta oratori i cui libretti sono stati conservati, vennero fatti eseguire dai successivi maestri di coro. Il “sacrum militare oratorium” “Juditha triumphans” di Vivaldi, il cui piglio guerresco ben si adattava. Nella “Juditha” Vivaldi mette in mostra tutto l’arsenale di strumenti della Pietà. La strumentazione delle arie, che cambia costantemente, serve in modo piuttosto rudimentale ai fini della caratterizzazione drammatica, sebbene lo scopo primario resti pur sempre quello di dipingere una situazione così com’è vissuta dal personaggio anziché il personaggio com’è rivelato dalla situazione. “Juditha” soffre di una prolissità drammatica che supera persino quella selle opere. La scelta dello stile dipende dai mezzi impiegati: l’arioso o il recitativo accompagnato è appropriato in una composizione con voce solista. Nei movimenti con voce solista la forma-ritornello può essere ricavata, senza alcun cambiamento, dal concerto. Gli inni seguono la struttura del testo, adottando un semplice schema strofico. Fa eccezione lo “Stabat Mater” (RV 621), in quello di Vivaldi si fa uso solo delle stanze da 1 a 10, com’è prescritto quando lo “Stabat Mater” è cantato come inno dei Vespri nelle due festività dei Sette Dolori della Beata Vergine Maria. La forma rappresenta un compromesso fra la composizione strofica e quella nello stile della cantata. I movimenti 1- 3 sono ripetuti come movimenti 4-6. Le restanti due stanze e l’Amen sono invece musicati singolarmente. Il “Beatus vir” (RV 598) per due soprani, contralto e coro a quattro voci, fuso in un solo movimento a forma di ritornello di quattrocentoventi battute, fa sfoggio di una gamma di modulazioni e di un’affinità tematica fra ritornello ed episodio mai raggiunta nei modelli strumentali. 26 Nei lavori composti di più movimenti c’è il pericolo che, l’insieme si dissolva in una serie di frammenti. Nel “Beatus vir” RV 597 una melodia ripetuta di cinque battute, tratta dal movimento iniziale, torna come una cosiddetta “antifona” prima di cinque degli otto movimenti restanti. Questo accorgimento piuttosto artificioso diventa presto stancante anche perché il ritornello non è di per sé molto attraente. Nel “Gloria” RV 589 Vivaldi è indotto a preparare la ripresa introducendo il motivo di cinque note che segue le ottave iniziali nell’aria precedente. I manoscritti autografi dell’”Introduzione e Gloria” RV 639/588, del “Credo” RV 591, del “Laudate pueri Dominum” RV 602 e del “Laetatus sum” RV 607, due parti di messa e due salmi del vespro con riferimenti mariani, sono i soli lavori compresi nei manoscritti di Torino scritti su un certo tipo di carta. Sulle numerose composizioni “in due cori” in mancanza di documenti, alcuni studiosi hanno supposto, che fossero state scritte per San Marco, dimenticando che, se l’uso dei “cori spezzati” può aver avuto origine in quella sede nel XVI secolo, peraltro esso si diffuse rapidamente, generalizzandosi come mezzo per ottenere un effetto musicale di eccezionale grandiosità. Il “Lauda Jerusalem”, era stato scritto per la Pietà, perché a due ragazze dell’Ospedale viene assegnata con l’indicazione dei loro nomi, la parte di soprano solista del primo coro e a due altre quella del secondo coro. Tutte e quattro cantarono ne “Il coro delle muse” (1740). Nel Settecento lo stile concertato, che era la base stessa della composizione policorale, era andato in disuso. Può poi accadere che la policoralità sopravviva soltanto nella partitura poiché il compositore si limita a scrivere in tante parti quante ne risultano complessivamente dai due cori, senza tener conto dell’aspetto spaziale. Tutte queste tendenze sono caratteristiche della produzione vivaldiana. L’abilità di Vivaldi nel saldare movimenti costruiti assai diversamente in un insieme perfetto. Il movimento “a cappella” a cori uniti segue ha la forma di un’introduzione e fuga, ben connessa dalla corsa di un basso di crome. Nondimeno egli aveva minor familiarità con lo “stile osservato” che non, Lotti o Marcello. La fretta, o forse la scarsa famigliarità con questo stile, possono spiegare l’opportunismo di Vivaldi. In uno degli arrangiamenti, probabilmente il più antico, Vivaldi introduce il movimento di Ruggeri con una breve perorazione su un accordo di re maggiore. Le sue modifiche tendono a rendere compatto il movimento e a ridurre l’importanza degli strumenti. Il problema in questo caso sta nel conciliare l’indipendenza e l’identità linguistica nella scrittura delle parti del coro e dell’orchestra con la necessità di evitare la confusione e il turgore che possono facilmente scaturire. Attribuire a Vivaldi gran parte del merito dell’introduzione di uno stile “sinfonico” nella musica sacra può sembrare temerario, ma le prove che abbiamo lo giustificano. Il “Prete rosso” fu indotto a comporre musica vocale sacra da circostanze casuali, rivelando tuttavia per essa un talento eccezionale: fervore, esaltazione, misticismo sono le qualità emergenti di queste partiture. Né è meno singolare che l’elemento drammatico risulti attenuato. Sembra quasi che Vivaldi avesse cercato nella musica sacra una dignità e una serenità per le quali la sua esistenza di virtuoso e di impresario, di invalido e di giramondo, gli aveva lasciato troppo poco tempo.
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