Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

RIASSUNTO LINGUE E LINGUAGGIO, Dispense di Linguistica Generale

Riassunto completo del libro "Lingue e Linguaggio" di Graffi e Scalise

Tipologia: Dispense

2016/2017
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 02/04/2017

itsfrancig
itsfrancig 🇮🇹

4.4

(48)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica RIASSUNTO LINGUE E LINGUAGGIO e più Dispense in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! LINGUE E LINGUAGGIO 1. CHE COS’E IL LINGUAGGIO? La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano. Essa è una disciplina descrittiva. Ogni essere umano possiede e usa un “linguaggio”, definito linguaggio naturale. Tutti i linguaggi sono sistemi di comunicazione, servono cioè a trasmettere informazioni da un individuo, che possiamo chiamare emittente, ad un altro, che possiamo chiamare ricevente (o destinatario). Tutti i linguaggi sono identici nella loro funzione, cioè permettono di comunicare, ma ognuno di essi è caratterizzato da una diversa struttura. Parlando di “studio scientifico”, esso è: • La formulazione di ipotesi generali che rendano ragione di una molteplicità di fatti particolari • La formulazione di tali ipotesi in modo chiaro e controllabile Formulare ipotesi generali sulla struttura del linguaggio è quindi il compito della linguistica come studio scientifico del linguaggio. La formulazione di queste ipotesi deve essere fatta usando una terminologia tecnica, definita in modo preciso. La linguistica è una disciplina descrittiva, ha infatti lo scopo di spiegare ciò che si sta dicendo, ricondurre a leggi generali ciò che si dice. Al contrario la grammatica è una disciplina normativa, che ha lo scopo di indicare ciò che si deve o non si deve dire. Ogni lingua ha diverse varietà d’uso, ognuna delle quali ha caratteristiche proprie che si devono imparare per poter utilizzare tale varietà nei contesti e nei modi appropriati. La linguistica, come disciplina scientifica, ha un fine conoscitivo: spiegare il comportamento linguistico degli esseri umani e investigare i meccanismi che stanno alla base di tale comportamento. Caratteristiche del linguaggio umano Il linguaggio umano è discreto, mentre gli altri tipi di linguaggi sono continui. I suoi elementi si distinguono gli uni dagli altri per l’esistenza di limiti ben definiti. Ex: [p] e [b] pur essendo simili nel suono hanno un effetto di netto contrasto. Non esistono nella mente del parlante e dell’ascoltatore entità “intermedie” tra i due suoni. Nei linguaggi continui invece, è possibile specializzare sempre più il segnale, ad esempio la danza delle api ha questa caratteristica. Le parole del linguaggio umano sono formate da entità più piccole, dette fonemi, nessuna delle quali ha significato, ma, se scambiata con un’altra, ha la possibilità di produrre un significato diverso. I fonemi sono in numero limitato, mentre le parole che si possono formare sono tantissime ed è sempre possibile formarne di nuove. Quindi una delle caratteristiche del linguaggio umano è la doppia articolazione, cioè la possibilità di formare un numero altissimo di segni, cioè di entità dotate di significante e significato, mediante un numero limitato di fonemi che da soli sono privi di significato. A differenza dei linguaggi degli animali, che sono caratterizzati da un numero finito di segni, le parole di ogni lingua umana, non costituiscono un insieme finito, perché si creano in continuo nuove parole. A questa possibilità contribuisce in modo decisivo il meccanismo della ricorsività, il quale permette di costruire frasi sempre nuove. La ricorsività è assente nei linguaggi degli animali. Il numero di frasi possibili di qualunque lingua è infinito. Nonostante ciò, vi è un contrasto tra la capacità potenziale di produrre frasi di lunghezza infinita e la realizzabilità effettiva di tali frasi. Il linguaggio umano è un sistema altamente specializzato, dotato di proprietà specifiche, nel senso doppio di “specifiche del sistema” e “specifiche della specie”. Oltre al linguaggio umano, esistono altri linguaggio dotati della ricorsività, discretezza e doppia articolazione, ma sono diversi dal linguaggio umano sotto altri punti divista; come ad esempio il linguaggio dell’informatica. Essi sono diversi nella “dipendenza dalla struttura”. Nel linguaggio umano infatti le parole sono determinate da altre parole anche se esse sono molto distanti tra loro. Ex: la donna che i ragazzi dicono che mi ha colpito è Maria. I linguaggi umani infatti sono dipendenti dalla struttura; al contrario quelli dell’informatica sono indipendenti, cioè in essi il valore di ogni elemento è normalmente determinato solo da quelli degli elementi adiacenti. Il linguaggio umano è una struttura altamente specifica, con caratteristiche proprie ed è una proprietà unica della specie umana. Il linguaggio e le lingue Esiste una grande differenza tra “linguaggio” e “lingua”. Con il primo termine si indica la capacità di sviluppare un sistema di comunicazione dotato di caratteristiche proprie che lo distinguono dagli altri. La lingua, o meglio le diverse lingue del mondo, sono le forme che il linguaggio assume nelle diverse comunità. Le lingue sono differenti, ma entro limiti ben definiti, ossia quelli del linguaggio come capacità umana specifica. Quindi le lingue non possono differire oltre certi limiti, ed hanno molti elementi in comune, dato che sono realizzazioni diverse del linguaggio. Gli elementi comuni a tutte le lingue, cioè gli universali linguistici, sono la ricorsività e la dipendenza dalla struttura. Una caratteristica che invece distingue le varie lingue è l’ordine delle parole. Lo studio delle proprietà che caratterizzano solo alcune lingue o gruppi di lingue, è chiamato tipologia linguistica. 2. CHE COS’É LA LINGUA? La lingua è un sistema articolato su più livelli e dunque un “sistema di sistemi”. I livelli linguistici sono quello dei suoni (fonologia), delle parole (morfologia), delle frasi (sintassi) e dei significati (semantica). Le unità di ogni livello sono interdipendenti, ad esempio ogni suono è collegato agli altri. Parlato e scritto La lingua è sia scritta che parlata. La linguistica privilegia la lingua come espressione orale perché: 1. Sono esistite ed esistono lingue solo parlate e non scritte, ma non il contrario. 2. Il bambino impara prima a parlare e poi a scrivere in modo del tutto naturale. 3. Le lingue cambiano nel tempo, ma ciò che cambia è la lingua parlata, e solo successivamente anche quella scritta. Inoltre quando la lingua scritta cambia, è necessario un atto formale. Spesso gli alfabeti sono in ritardo rispetto all’evoluzione delle lingue ed inoltre essi sono anche contradditori e incongruenti rispetto alle lingue parlate. Lo scritto “fissa” la lingua, il parlato offre novità. Astratto – concreto Se si ripete una stessa parola per un diverso numero di volte, essa avrà delle piccole differenze nel suono prodotto. Questa diversità però non produce differenza di significato. Possiamo dire che a livello concreto ci sono infiniti modi di pronunciare una parola, ma a livello astratto non si producono significati diversi. Langue – parole Ferdinand de Saussure fa una distinzione tra langue e parole. • La langue è la lingua della collettività, è sociale e astratta, preesiste e sopravvive al parlante. • La parole è un’esecuzione linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale. È concreta. Gli esseri umani comunicano attraverso atti di parole, ma il fondamento di questi atti è nella langue, perché è la langue il sistema di riferimento collettivo. Codice – messaggio Roman Jakobson fa una distinzione tra codice e messaggio, basandosi sulla distinzione tra livello astratto e livello concreto. • Il codice è un insieme di potenzialità, è astratto (alfabeto, regole). • Il messaggio si costruisce sulla base delle unità fornite dal codice (parole che si formano grazie al codice), è concreto. Ex: pane, penna -> messaggio Eanp, aepn -> non è un messaggio Competenza – esecuzione Noam Chomsky distingue la competenza dall’esecuzione. • La competenza è ciò che l’individuo ”sa” della propria lingua; è il livello astratto. • L’esecuzione è un atto di realizzazione, è ciò che il parlante fa con la lingua, è il livello concreto. Conoscenze linguistiche di un parlante La competenza è l’insieme delle conoscenze linguistiche che un parlante ha. Esse sono tantissime e la maggior parte sono inconsapevoli. Le principali sono: • Competenza fonologica Da un punto di vista linguistico, esistono tre modalità possibili per classificare le lingue del mondo. Esse sono: genealogica, tipologica e areale. • Due lingue fanno parte dello stesso sistema genealogico se derivano da una stessa lingua originaria o lingua madre. Ad esempio le lingue romanze o neolatine, come francese, italiano, spagnolo, portoghese, romeno ecc. Le lingue romanze fanno poi parte di un’unità genealogica più grande, quella delle lingue indoeuropee, le quali formano una famiglia linguistica. Essa è l’unità genealogica massima. Le unità genealogiche inferiori sono i gruppi (o classi). Una famiglia linguistica comprende diversi gruppi, che si articolano in sottogruppi (o rami). • Due lingue fanno parte dello stesso sistema tipologico se manifestano una o più caratteristiche comuni, come ad esempio l’inglese e il cinese. Questa classificazione è molto complessa. Inoltre l’affinità tipologica non esclude quelle genealogica, ma non è una cosa necessaria. • Il punto di vista areale coglie le affinità tra lingue genealogicamente irrelate, oppure lontane parenti, che hanno sviluppato alcune caratteristiche strutturali comuni in quanto sono parlate nella stessa area geografica. In questi casi si parla di leghe linguistiche (ex. Cinese e giapponese). CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA LE FAMIGLIE LINGUISTICHE Le famiglie linguistiche più studiate sono: 1. La famiglia indoeuropea 2. La famiglia afro-asiatica (o camito-semitica): comprende l’Africa settentrionale, il Medio Oriente, parte dell’Africa orientale. A questa famiglia appartengono l’egiziano , l’arabo e l’ebraico. 3. La famiglia uralica: comprende molte lingue dell’Europa orientale, dell’Asia centrale e settentrionale. Appartengono il finlandese, l’estone e l’ungherese. 4. La famiglia sino-tibetana: appartiene il cinese mandarino, il tibetano e il lolo-birmano. 5. La famiglia nigerkordofaniana: comprende la maggior parte delle lingue parlate nelle nazioni africane poste a sud del Sahara, come le lingue bantu. La più diffusa è il swahili. 6. La famiglia altaica: comprende lingue dell’Asia centrale, come il mongolo, e dell’Asia minore, il turco. 7. Altre famiglie linguistiche: quella dravidica, che comprende le lingue parlate nell’India meridionale, quella austronesiana, e quella austro-asiatica. Ci sono poi casi di lingue isolate, di cui non è possibile mostrare la parentela con altre. Un esempio di lingue isolate è il basco, il giapponese e il coreano. LA FAMIGLIA LINGUISTICA INDOEUROPEA Una grande scoperta avvenuta nei primi anni dell’Ottocento fu quella che il sanscrito e alcune lingue europee come latino e greco, sono genealogicamente apparentate. Nel 1830 per indicare la parentela nasce il termine “lingue indoeuropee”, successivamente nascono altri termini come arioeuropeo e indogermanico. Questa famiglia si divide in: 1. Gruppo indo-iranico: suddiviso in indiano e iranico. Al sottogruppo indiano appartengono varie lingue antiche e altre moderne, come quelle della cultura/ religione indù, il sanscrito, il vedico (antiche) e quelle derivate dai dialetti pracriti, come lo hindi e lo urdu. Il sottogruppo iranico è diviso in lingue occidentali e lingue orientali. Al primo appartengono il persiano antico, l’avestico, il persiano moderno e il curdo. Al secondo gruppo appartengono il pashto o afgano. 2. Gruppo tocario: rappresentato da due lingue estinte indicate come “tocario A” e “tocario B” 3. Gruppo anatolico: la lingua più documentata è l’ittita. 4. Gruppo armeno: rappresentato dalla lingua armena. È attualmente la lingua ufficiale dell’Armenia ed era parlato fino all’inizio del Novecento dalle popolazioni armene stanziate in Turchia e ora disperse nei paesi europei, asiatici e americani. 5. Gruppo albanese: rappresentato dalla lingua albanese, oggi parlata dagli abitanti del Kosovo e una minoranza della repubblica di Macedonia. Dialetti albanesi sono parlati anche in Italia meridionale. 6. Gruppo slavo: suddiviso in slavo orientale, che comprende russo, bielorusso e ucraino; slavo occidentale, comprendente polacco, ceco, slovacco; slavo meridionale, che comprende bulgaro, macedone, serbo-croato, sloveno. 7. Gruppo baltico: comprende il lituano e il lettone, e varie lingue estinte come il prussiano antico. 8. Gruppo ellenico: rappresentato dal greco, la cui forma moderna è il neogreco o greco moderno, attualmente lingua ufficiale della Grecia, di Cipro, e di minoranze in Bulgaria e Albania. 9. Gruppo italico: suddiviso in italico orientale e italico occidentale (o italico-falisco). Il primo comprende lingue dell’Italia antica, come osco, umbro, sannita. Il secondo comprende il latino, che ha dato origine alle lingue neolatine (o romanze). Tra le lingue romanze si ricordano il portoghese, lo spagnolo, il francese, l’italiano, il romeno. Altre lingue sono il gallego, il catalano, il ladino (o retroromanzo) e il provenzale. 10. Gruppo germanico: suddiviso in germanico orientale, germanico settentrionale (o nordico) e germanico occidentale. L’unica lingua del primo sottogruppo è il gotico, oggi estinto. Il secondo sottogruppo comprende le lingue nordiche, come svedese, danese, norvegese, islandese e feroico. Il terzo si divide in: anglo-frisone e neerlando-tedesco. Al primo appartengono il frisone e l’inglese. Al secondo comprendono l’olandese e il tedesco. Ad esse si aggiungono l’afrikaans e lo yiddish. 11. Gruppo celtico: si divide in gaelico e britannico. Al primo appartiene l’irlandese e il gaelico di Scozia. Al secondo appartengono il cimrico o gallese, il cornico e il bretone. Non tutte le lingue si collocano in una stessa entità geografica e inoltre, una stessa entità geografica non contiene soltanto lingue genealogicamente parenti. Le lingue indoeuropee sono parlate anche in Asia. LA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA Esistono due tipologie di lingua, una morfologica e una sintattica. 1. Tipologia morfologica: i tipi morfologici riconosciuti sono: isolante, agglutinante, flessivo (diviso in analitico e sintetico), polisintetico o incorporante. • Isolante: è caratterizzato da una mancanza quasi totale di morfologia, i nomi non si distinguono né per caso, né per genere, né per numero; i verbi non presentano differenza di persona, numero, tempo, modo, ma la forma verbale è sempre unica. Per indicare le relazioni tra parole, una lingua isolante fa uso dell’ordine delle parole stesse e di alcune particelle. Una lingua isolante è ad esempio il cinese. Per alcuni versi anche in inglese la maggior parte delle parole sono invariabili, presenta dunque molte caratteristiche delle lingue isolanti. • Agglutinante: ogni parola contiene tanti affissi, quante sono le relazioni grammaticali che devono essere indicate. Il turco è un esempio di lingua agglutinante. • Flessivo: c’è una flessione molto ricca (l’italiano ha molte forme nel verbo). La maggior parte delle lingue indoeuropee appartengono a questo gruppo. Le lingue flessive possono indicare le diverse funzioni grammaticali mediante la variazione della vocale radicale della parola (ex. Faccio rispetto a feci) fenomeno della flessione interna. Nelle lingue semitiche la flessione interna non si applica solo ad un numero limitato di verbi, ma è un procedimento regolare e produttivo. Per questi motivi si parla di tipo introflessivo. Il sottotipo analitico può realizzare relazioni grammaticali anche mediante più parole, quello sintetico concentra tale espressione in una sola parola. • Polisintetico o incorporante: una sola parola può esprimere tutte le relazioni che in italiano sono espresse da una frase. Alcune lingue che, sulla base di alcune caratteristiche, dovrebbero essere collocate in un tipo, per altre appartengono ad un altro. Questo perché le lingue non sono pure, ma presentano caratteristiche di più tipi, anche se vi è sempre una prevalenza di un tipo su un altro. Ad esempio l’italiano è prevalentemente flessivo, ma con fenomeni isolanti. 2. Tipologia morfologica: essa indica l’ordine delle parole. Le combinazioni sintattiche possibili sono: • la presenza di preposizioni (Pr), o di posposizioni (Po). • La posizione del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e all’oggetto (O) nella frase dichiarativa. Dati questi elementi sono possibili gli ordini SVO, SOV, VSO, VOS, OSV, OVS. I primi tre sono attestati da un numero considerevole di lingue, gli altri da circa l’1%. • L’ordine dell’aggettivo (A) rispetto al nome (N) che esso modifica in alcune lingue prevale AN, mentre in altre NA. • L’ordine del complemento di specificazione, o del genitivo (G), rispetto al nome (N) che esso modifica GN, in giapponese; NG, in italiano. a. VSO/Pr/NA/NA b. SVO/Pr/NG/NA UNIVERSALI IMPLICAZIONI c. SOV/Po/GN/NA d. SOV/Po/GN/NA I SISTEMI DI SCRITTURA DELLE LINGUE DEL MONDO I primi sistemi di scrittura elaborati dagli antichi egizi e dai sumeri sono di tipo ideografico, o logografico. Un tipo di scrittura ideografica è quella cinese. Altri tipi di scrittura sono il sillabico e l’alfabetico. • Tipo ideografico: ad ogni simbolo (ideogramma) corrisponde un concetto, concreto o astratto. 4. I SUONI DELLE LINGUE: FONETICA E FONOLOGIA Un suono è un fatto fisico, misurabile, e il nostro apparato fonatorio è in grado di produrre un’enorme quantità di suoni, di cui però solo una piccola parte sono i suoni che fanno parte di una lingua in senso stretto. Ogni lingua ha il suo inventario di suoni che funzionano linguisticamente (fonemi), cioè che formano le parole. Essi vengono combinati tra loro per formare le parole. FONETICA La disciplina che studia la produzione di suoni è detta fonetica articolatoria. Esiste poi la fonetica acustica, che studia la natura fisica del suono e la sua propagazione nell’aria e infine la fonetica uditiva, che studia l’aspetto della ricezione del suono da parte dell’ascoltatore. L’apparato fonatorio Un suono è prodotto dall’aria che viene emessa dai polmoni, sale lungo la trachea, attraversa la laringe. Dopo aver superato la faringe, l’aria arriva alla cavità orale e fuoriesce dalla bocca. • Suoni orali: se il velo palatino si sposta all’indietro dividendo la comunicazione tra faringe e cavità nasale • Suoni nasali: se il velo palatino resta inerte, l’aria fuoriesce anche dalla cavità nasale Classificazione dei suoni I suoni si classificano secondo tre parametri: modo di articolazione, punto di articolazione, sonorità. • Il modo di articolazione indica la posizione dei diversi organi fonatori. • Il punto di articolazione è il punto dell’apparato vocale dove può essere modificato il flusso d’aria necessario a produrre un suono. • La sonorità è data dalle vibrazioni delle corde vocali: se esse vibrano si avrà un suono sonoro, se non vibrano si avrà un suono sordo. Classi di suoni I suoni sono classificati in: consonanti, vocali e semiconsonanti. • Le vocali sono di solito sempre sonore, inoltre nella produzione di una vocale l’aria non incontra ostacoli. • Per produrre una consonante l’aria viene momentaneamente bloccata (b), o deve attraversare una fessura molto stretta (f). Le consonanti possono essere sia sorde che sonore. • Le semiconsonanti sono di norma sonore e condividono proprietà sia delle vocali che delle consonanti. Vocali, semiconsonanti, liquide e nasali formano la classe delle sonoranti. Tutti i suoni non sonoranti si chiamano ostruenti. I SUONI DELL’ITALIANO Occlusive: Esempi: p -> occlusiva, bilabiale, sorda pane, epico, tappo, stop b -> occlusiva, bilabiale, sonora bene, ebanista, abbastanza, kebab t -> occlusiva, dentale, sorda tana, eterno, otto, alt d -> occlusiva, dentale, sonora dente, adorare, addentrarsi, yod k -> occlusiva, velare, sorda caro, che, pacchi, accanto, tic tac g -> occlusiva, velare, sonora gara, ghiro, alghe, traggo, smog Nasali: Esempi: m -> nasale, bilabiale (sonora) mano, amare, lemma, uhm 0 2 7 1 -> nasale, labiodentale (sonora) anfora, inferno, invidia, inverno Il morfema è l’unità più piccola dotata di significato in una lingua e dunque parole come veloce-mente e bar-ista sono costituite da due morfemi, mentre in-civil-mente e in-abil-ità da tre morfemi. • Il confine di sillaba viene di solito rappresentato con un punto (.) [ve.lo.ce.men.te] • Il confine di morfema è rappresentato con il simbolo (+). La divisione in morfemi non coincide con quella in sillabe. • Il confine di parola, rappresentato con il simbolo (#), marca l’inizio e la fine della parola. FONETICA E FONOLOGIA La fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni. L’unità di studio della fonologia è il fono, l’unità di studio è il fonema. 1. Quali sono i fonemi di una lingua: se cioè a una differenza di suono corrisponde una differenza di significato. [karo] è diverso da [kalo] 2. 0 2 8 3Come i suoni si combinano insieme; in italiano ci sono suoni come [ ], [t] e [r], mentre alcune 0 2 8 3 0 2 8 3combinazioni di questi suoni sono ammesse, altre non lo sono: [tr], [rt] ma *[ r], [ t] 3. Come i suoni si modifichino in combinazione. Ad esempio il prefisso negativo s- diventa sonoro se seguito da un fonema sonoro: s+fortunato [s]fortunato; s-regolato [z]regolato Contesto Un suono ha una distribuzione. Alcuni tipi di contesti o di posizioni in cui può comparire. (RIGUARDARE PAG 88) Foni e fonemi Ogni lingua sceglie un certo numero di suoni che può produrre e che usa nel linguaggio articolato, essi sono detti foni. I foni hanno valore linguistico quando sono distintivi, quando cioè contribuiscono a differenziare dei significati. Così [t] e [p], oltre ad essere suoni, contribuiscono a formare delle coppie minime, cioè coppie di parole che si differenziano solo per un suono nella stessa posizione. Due foni che abbiano valore distintivo sono detti fonemi. Un fonema non “ha” significato in sé, ma contribuisce a differenziare dei significati. Un fonema è un segmento fonico che: • Ha una funzione distintiva • Non può essere scomposto in una successine di segmenti, di cui ciascuno abbia tale funzione • È definito solo dai caratteri che abbiano valore distintivo Il fonema è un’unità astratta che si realizza in foni. I fonemi vengono rappresentati tra barre oblique (ex: /t/), mentre i foni vengono rappresentati tra parentesi quadre (ex: [t]). Il fonema è un’unità che si colloca ad un livello astratto, e quindi a livello di langue (o di competenza), i foni si collocano ad un livello concreto, e quindi a livello di parole (o di esecuzione). Ci sono suoni che sono intercambiabili e suoni che non lo sono. I suoni intercambiabili sono quelli che possono apparire nel medesimo contesto (nelle stesse posizioni), i suoni non intercambiabili sono quelli che non possono apparire nello stesso contesto. Ex: /p/ e /b/ in italiano sono intercambiabili pare e bare Le regole di Trubeckoj Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo e siano quindi fonemi di una determinata lingua, Trubeckoj ha proposto una serie di regole, tra cui: 1. Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere scambiati fra loro senza con ciò mutare il significato delle parole o renderle irriconoscibili, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di due diversi fonemi. (varo-faro) 2. Quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle stesse posizioni e si possono scambiare fra loro senza causare variazioni di significato della parola, questi due suoni sono soltanto varianti 0 2 8 0fonetiche facoltative, o libere, di un unico fonema. (rema- ema) 3. Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi sono due varianti combinatorie dello stesso fonema. (nazo-aŋkora) La linguistica statunitense ha usato invece le nozioni di distribuzione contrastiva e distribuzione complementare. • Quando due foni possono comparire nello stesso contesto e si ottengono così due parole di senso diverso, allora i due foni sono in distribuzione contrastiva e sono realizzazioni di due fonemi diversi. • Quando due foni non possono comparire nello stesso contesto, ma il fono X ricorre in una cera serie di contesti ed il fono Y in un’altra serie di contesti, (distribuzione complementare), allora, se i due foni sono foneticamente simili, si parla di due allofoni dello stesso fonema. Allofoni Due foni in distribuzione complementare sono due allofoni dello stesso fonema. Un fonema infatti può realizzarsi in un modo in un contesto, e in un altro in un altro contesto. Ex: /s/ livello fonologico fonema [s] [z] livello fonetico varianti Gli allofoni sono prevedibili, in quanto sono legati ad un determinato contesto. Ad esempio [ph] e [p] non sono intercambiabili, infatti [ph] ricorre all’inizio di una parola prima di vocale, mentre [p] ricorre dopo una [s] e prima di vocale. Stesso vale per [th] e [t], o per [kh] e [k]. La comparsa di uno o dell’altro fono determina un cambiamento di significato. Varianti libere di uno stesso fonema Se due foni foneticamente simili si possono trovare nello stesso contesto, ci sono due possibilità: • O danno luogo a due parole con significato diverso si hanno due fonemi diversi • O il significato non cambia si parla di varianti libere Ad esempio [rema] e [ʀema] sono varianti libere di uno stesso fonema. Opposizioni fonologiche In un sistema ogni unità si definisce in relazione a tutte le altre unità. I fonemi di una lingua intrattengono tra loro rapporti di opposizioni: una /b/ funziona, in quanto si differenzia da una /p/, /k/ ecc. dando luogo a dei contrasti. Le opposizioni fonologiche sono state studiate da Trubekoj. Possono essere: • Opposizione bilaterale: la base di comparazione è propria solo dei membri dell’opposizione. Ci sono solo due tipi di suono di questo genere /b/ e /p/ • Opposizione multilaterale: quando i due tipi di suono presi in considerazione non sono gli unici di quel tipo. /p/ e /k/, dato che in italiano c’è almeno un’altra occlusiva sorda /t/ • Opposizioni privative/non privative: riguarda le coppie di fonemi in cui si potrebbe dire che un fonema ha le proprietà x e l’altro fonema ha tutte le proprietà x più un’altra proprietà. Ex: /p/ occlusiva, bilabiale, non sonora vs. /b/ occlusiva, bilabiale, sonora. Il termine dell’opposizione che ha proprietà in più viene detto marcato. • Opposizioni costanti: opposizioni che funzionano in tutti i contesti. • Opposizioni neutralizzabili: opposizioni che in certi contesti non funzionano, sono sospese. TRATTI DISTINTIVI Le opposizioni privative fungono da base per lo sviluppo di una teoria fonologica nota con il nome di binarismo, dovuta a Jakobson. Secondo questa teoria, ogni elemento linguistico si differenzia dagli altri per una serie di scelte binarie (ex: si, no). Ogni fonema può essere analizzato in un insieme di tratti distintivi che definiscono quel fonema in opposizione a tutti gli altri. Il segno “+” significa che il fonema in questione ha un determinato tratto, il segno “-“ significa che non ce l’ha. I tratti possono essere: • Sillabico: sono i fonemi che possono fungere da nucleo sillabico. Le consonanti non hanno questo tratto, le vocali sì. In italiano nasali e liquide non hanno il tratto sillabico, me in altre lingue sì. • Consonantico: sono i fonemi la cui realizzazione implica un’ostruzione dell’aria. • Sonorante: sono i fonemi per la produzione dei quali l’aria fuoriesce dall’apparato vocale piuttosto liberamente e sono le vocali, le semiconsonanti, le liquide e le nasali. Le consonanti invece sono dette ostruenti. • Sonoro: sono i suoni prodotti con vibrazione delle corde vocali. • Continuo: sono i suoni la cui articolazione può essere protratta nel tempo. • Nasale: sono i suoni prodotti con il velo palatino abbassato (il flusso dell’aria passa anche attraverso la cavità nasale). • Stridente: suoni la cui produzione comporta una frizione dovuta all’attrito del flusso d’aria. • Laterale: il flusso d’aria supera l’ostacolo (la lingua) dai due lati. • Anteriore: suoni prodotti con un’ostruzione situata nella regione alveolare o davanti ad essa, quindi bilabiali, dentali ecc. hanno questo tratto; postalveolari, palatali, velari no. • Rilascio ritardato: suoni che iniziano con un’articolazione occlusiva e terminano con un’articolazione fricativa (affricate). • Coronale: suoni prodotti con la parte anteriore della lingua (corona) sollevata al di sopra della sua posizione neutra. • Arrotondato: suoni prodotti con un arrotondamento delle labbra. • Alto: suoni prodotti con la lingua in posizione più alta rispetto alla posizione di riposo. • Basso: suoni prodotti con la lingua in posizione più bassa rispetto alla posizione di riposo. • Arretrato: suoni prodotti con il corpo della lingua arretrato rispetto alla posizione di riposo. REGOLE FONOLOGICHE Una regola fonologica collega una rappresentazione astratta (fonematica) ad una rappresentazione concreta (fonetica). Queste regole hanno la seguente forma: A B/ _____C che si legge “A diventa B nel contesto di C”. Ad esempio amico/amici (da [amiko] si passa ad [amiʧi] e cioè una consonante velare sorda [k] diventa una affricata palato-alveolare sorda [ʧ] prima della vocale [i]. k ʧ /___+i Parentesi In fonologia le parentesi sono importanti per potere unificare fatti che sono un po’ diversi tra loro, ma che in realtà sono manifestazioni di un unico fonema. Ex: piango piangi [pjaŋgo] [pjanʤi] g 0 2 A 4/ ___+i Leggo leggi [lƐg:o] [lƐd: 0 1 B 7 0 1 B 7i] g: d: /___+i Regole fonologiche espresse in tratti binari Una regola fonologica può essere formulata sia ricorrendo ai fonemi, sia utilizzando i tratti distintivi. Ad esempio: [s]torto [z]degno [z]nodare [s]posto [z]baglio [z]litta [s]carso [z]garbo [z]regolato [s]fortuna [z]vogliato [z]gelare La sibilante resta sorda davanti a consonante sorda, ma diventa sonora davanti a consonante sonora. S [z]/ ___d, g, b, v, n, l, r, ʤ S [+ sonoro]/ ____ [+ cons] [+ sonoro] FENOMENI FONOLOGICI E TIPI DI REGOLE Una regola fonologica è un meccanismo che connette una rappresentazione fonologica ad una rappresentazione fonetica ed opera una serie di cambiamenti. Tali cambiamenti non sono liveri, ma soggetti a restrizioni. Le regole sono in genere motivate ed operano una ristretta serie di cambiamenti, in particolare esse possono: 1. Cambiare dei tratti [+a] [-a]/___[+β] 2. Inserire segmenti Ø A/___B 3. Cambiare l’ordine dei segmenti AB BA 4. Cancellare segmenti A Ø/___B 1. Regole che cambiano i tratti: 2. Regole che inseriscono segmenti: in italiano vi è una sporadica inserzione di [i] dopo consonante e prima di una parola che inizia con [s] seguita da consonante. Ex: in storia inistoria 3. Regole che cambiano l’ordine dei segmenti: sono note con il nome di “metatesi”. In italiano non sono regole produttive e si ritrovano quasi esclusivamente nei lapsus (cimena per cinema) o nei linguaggi patologici. 4. Le cancellazioni: sono un fenomeno molto diffuso nelle lingue del mondo. Ex: vino + aio vinaio e non *vinoaio La regola di cancellazione della vocale non agisce però se la vocale è accentata: ex: virtù + oso virtuoso e non *virtoso L’altezza dei suoni non è uniforme: ci sono dei picchi e degli avvallamenti che producono un effetto percettivo di tipo melodico, che è quello che si chiama intonazione. Essa è chiamata melodia o “curva melodica” o “contorno intonativo”. L’intonazione ha una grande rilevanza sintattica. Le dichiarative hanno una curva melodica con andamento finale discendente. Le interrogative hanno una curva melodica con andamento finale ascendente. Tono Una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse, anche se le diverse intonazioni di una stessa parola non producono un cambiamento di significato. Vi sono lingue dove però a differenza di “altezza” di pronuncia corrispondono variazioni di significato. Queste lingue sono dette tonali, tra cui il cinese mandarino. Le lingue tonali sono numerose e si raggruppano in tre grandi aree linguistiche: lingue amerindie, la maggior parte delle lingue africane, e quasi tutte le lingue della famiglia sino-tibetana. IL SISTEMA FONOLOGICO DELL’INGLESE Vedi pagina 108-109 DIVERSITA’ FONOLOGICA TRA LE LINGUE Vedi pagina 109-110 5. LA STRUTTURA DELLE PAROLE: MORFOLOGIA La morfologia è lo studio delle varie forme che una parola può assumere. Le parole possono essere semplici o complesse. Le parole complesse possono essere derivate (che possono poi essere prefissate o suffissate) e composte. Sia le parole semplici che quelle complesse possono essere flesse. • Le parole semplici non hanno struttura interna [capo] • Le parole complesse hanno struttura interna [[capo] + etto] La morfologia è dunque lo studio della struttura interna delle parole, essa ha il compito di dire se una parola è ben formata o meno, se è possibile o non possibile, a quale categoria lessicale appartiene, come si può combinare con prefissi e suffissi ecc. NOZIONE DI PAROLA Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti. Una parola è ciò che è compreso tra due spazi bianchi, ma questa definizione funziona solo per le lingue dotate di scrittura. Vi sono poi lingue, come il cinese, dove esistono parole che possono essere usate da sole, cioè che possono formare un enunciato. Si possono distinguere varie accezioni di “parola”, a seconda del punto di vista a partire dal quale si considera questo “oggetto”. Così la nozione di parola fonologica è diversa dalla nozione di parola morfologica, che è diversa dalla nozione di parola sintattica. Un altro criterio abbastanza efficace è quello di considerare “parola” quelle unità che non possono essere interrotte, o meglio, al cui interno non si può inserire dell’altro “materiale” linguistico. Tema, radice e forma di citazione Consideriamo il verbo amare. La forma amare è la forma di citazione, quella che si trova sui dizionari e che può essere chiamata lemma. I lemmi non sono forme flesse, ma forme di citazione. • La forma di citazione del verbo è il verbo all’infinito • La forma di citazione del nome è il maschile/femminile singolare • La forma di citazione dell’aggettivo è sempre il maschile singolare o la forma unica di maschile/ femminile per gli aggettivi a due uscite (bello, felice) Nel testo compaiono le forme flesse, nel dizionario le forme di citazione. L’operazione che porta le forme flesse ai propri lemmi viene chiamata lemmatizzazione. Per quanto riguarda il verbo, è necessario distinguere tema e radice: prendendo il verbo amare, si toglie la desinenza -re e resta ama, cioè il tema del verbo. Il tema si analizza a sua volta come radice (am) e vocale tematica (a). Le vocali tematiche dell’infinito sono tre: a, e, i. CLASSI DI PAROLE Le parole sono raggruppate in classi o parti del discorso, dette anche categorie lessicali. Le parti del discorso sono il nome, il verbo, il pronome, l’aggettivo, l’articolo, le preposizioni, l’avverbio, la congiunzione, l’interiezione. Alcune di queste classi assumono desinenze diverse a seconda delle parole con cui sono accoppiate, esse sono perciò dette parti del discorso variabili. Le altre parti del discorso sono dette invariabili. Un’altra distinzione è quella tra classi di parole aperte e chiuse, alle prime si possono aggiungere nuovi membri, le seconde sono formate da un numero finito di membri. Esistono poi parti del discorso universali, cioè presenti in tutte le lingue del mondo, come nome e verbo. Le categorie lessicali cui le parole appartengono, limitano le combinazioni possibili delle parole. Le parti del discorso possono perciò essere riconosciute in base a criteri puramente distribuzionali. Categorie e sottocategorie Vedi pagina 119 MORFEMA Un morfema è la parte più piccola di una lingua dotata di significato. È un segno linguistico, ed è quindi costituito da un significante e un significato. Ex: boys [boy+s]; libri [libr+i] Morfemi lessicali: boy, libr non dipendono dal contesto. Morfemi grammaticali: -s, -i dipendono dal contesto. Un morfema può essere così piccolo da essere costituito da un solo fonema: per esempio il morfema -s plurale dell’inglese è costituito da un solo fonema. In italiano un morfema costituito da un solo fonema è la congiunzione e, o la preposizione a. generalmente però, un morfema è costituito da più fonemi. Morfemi liberi e legati • Morfemi liberi: quelli che possono ricorrere da soli in una frase e quindi bar, ieri, virtù. I morfemi liberi dell’italiano sono parole. • Morfemi legati: quelli che non possono ricorrere da soli in una frase e che per poterlo fare si debbono “aggiungere” a qualche altra unità e dunque -s dell’inglese (boy+s) o i dell’italiano (libri +i). i morfemi legati dell’italiano sono quelli flessivi, tutti i suffissi e tutti i prefissi. Parola e morfema Le parole sono composte da due morfemi, sono due parole bimorfemiche. In inglese generalmente le parole semplici sono mono-morfemiche, in italiano aggettivi e nomi semplici sono bimorfemici, mentre verbi regolari sono trimorfemici. Morfema e allomorfi Il termine morfema designa un’unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un allomorfo (o morfo). fonologia morfologia Livello astratto fonema morfema Livello concreto allofoni allomorfi Un morfema è rappresentato da un solo allomorfo. Vi sono però casi in cui un morfema può essere rappresentato da più allomorfi, come nella formazione del plurale in inglese. Infatti graficamente il plurale inglese è marcato con una -s, ma foneticamente si riscontrano tre realizzazioni diverse [s], [z] [Iz]. Queste tre realizzazioni sono condizionate dal contesto. In questi casi i tre allomorfi hanno distribuzione complementare. Un caso di allomorfia in italiano è quello dell’articolo maschile: i e gli sono due allomorfi, la cui distribuzione è determinata foneticamente –> gli compare prima di s+cons, [ʃ], e 0 2 7 2[ ], di vocale e semiconsonante; i compare prima di consonante. FLESSIONE, DERIVAZIONE E COMPOSIZIONE Le parole semplici possono subire diversi tipo di modificazione. I processi morfologici più comuni sono la derivazione, la composizione e la flessione. • La derivazione raggruppa tre processi e consta dell’aggiunta di una forma legata (affisso) ad una forma libera: se l’affisso si aggiunge a sinistra della parola, allora si avrà un prefisso; se l’affisso si aggiunge a destra della parola, si avrà un suffisso; se l’affisso si aggiunge in mezzo alla parola, allora si avrà un infisso. derivazione (affissi) prefissazione infissazione suffissazione (prefissi) (infissi) (suffissi) • La composizione forma parole nuove a partire da due parole già esistenti. Ex: capo, stazione capostazione • La flessione aggiunge alla parola di base informazioni relative a genere, numero, caso, tempo, modo, diatesi, persona. Ex: Genere: bello bella (maschile femminile) Numero: bello belli (singolare plurale) Caso: lat. rosa rosam (nominativo accusativo) Tempo: ama amava (presente imperfetto) Modo: ama amando (indicativo gerundio) Diatesi: lat. Amo amor (attivo passivo) Persona: amo/ami/ama (prima, seconda, terza persona) MORFOLOGIA COME “PROCESSO” Una categoria lessicale come il verbo, può nascere come tale (ex: rompere) oppure può “diventare” verbo attraverso vari processi, come ad esempio: a. V: rompere b. V V: giocare giocherellare c. N V: magnete magnetizzare d. A V: attivo attivare e. V N V: agire azione azionare f. N N V: palla palleggio palleggiare g. A N V: giusto giustizia giustiziare h. N A V: centro centrale centralizzare Questo è un aspetto dinamico della morfologia. Non tutte le combinazioni però sono sempre possibili, ad esempio: a. Capostazione, dolceamaro capo + stazione; dolce + amaro b. *capo-telefono; *dolce-vecchio combinazioni non possibili Si può affrontare la questione dell’ordine degli elementi costitutivi dei composti, detti costituenti. a. Nome + nome nome: [[capo] [stazione]] capostazione b. Aggettivo + aggettivo aggettivo: [[dolce] [amaro]] dolceamaro c. Verbo + verbo nome: [[Sali] [scendi]] saliscendi Composizione e derivazione si differenziano innanzi tutto perché la prima combina due forme libere mentre la seconda combina una forma libera e una forma legata. Prefissazione e suffissazione si differenziano in primo luogo perché la suffissazione aggiunge un morfema legato a destra della parola, mentre la prefissazione aggiunge un morfema legato a sinistra della parola. Prefissazione Suffissazione [in+[attivo]] [[attivo]+ità] [s+[fortunato]] [[inverno]+ale] In Seri, una lingua parlata nella regione costiera di Sonora, Messico, si trovano casi come: itíc iti-tóo-c “l’hai piantato?” “l’hanno piantato?” In questo processo, un morfema legato si aggiunge all’interno della base. L’infissazione è molto più spesso un fenomeno flessivo che derivazionale. ALTRI PROCESSI MORFOLOGICI • Conversione (o suffissazione zero): consiste nel cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla base un affisso manifesto. (ex: ing. Water (acqua) to water (innaffiare); it. Vecchio il vecchio) • Reduplicazione (o raddoppiamento): consiste nel raddoppiamento di un segmento e può essere parziale o totale. Essa può riguardare sia la flessione, sia la composizione, sia la derivazione. • Parasintesi: essa può essere sia verbale che aggettivale. Una forma è parasintetica quando è formata da una base più un prefisso ed un suffisso, in cui però la sequenza “prefisso + base” non è una parola dell’italiano e nemmeno la sequenza “base + suffisso” lo è ingiallire • Processi più rari come quello che porta a retroformazioni ALLOMORFIA E SUPPLETIVISMO • Suppletivismo: quando in una seria morfologicamente omogenea si trovano radicali diversi che intrattengono evidenti rapporti semantici senza evidenti rapporti formali. Un caso emblematico è la flessione del verno andare, dove, a seconda, delle forme del paradigma flessivo, si alternano le radici and- e va(d)-. Il suppletivismo si ritrova sia nella flessione, ma anche in tutto ciò che riguarda il dominio della formazione di parole. Per quanto riguarda la derivazione: N A Acqua idrico Fuoco pirico Cavallo equestre Maiale suino Idrico ha con acqua un evidente rapporto semantico ma nessuna somiglianza formale, così come accade per le altre coppie. Il suppletivismo può essere sia forte che debole: • Suppletivismo forte: quando vi è un’alternanza dell’intera radice (Chieti/teatino) • Suppletivismo debole: quando tra i membri della coppia c’è una base comune riconoscibile e la differenza è di singoli segmenti fonologici. (Arezzo/aretino) Un criterio al quale si fa spesso ricorso è quello della distanza fonologica, che si basa sul conto del numero di segmenti diversi tra una forma e l’altra. In ogni caso, il suppletivismo rappresenta il polo estremo dell’allomorfia: il primo è un’alternanza senza motivazioni fonologiche, la seconda si esprime attraverso un’alternanza motivata fonologicamente. TESTA IN DERIVAZIONE Quando si mettono insieme due costituenti per formare una costruzione linguistica complessa, un costituente è più importante dell’altro. Considerando queste parole: fama famoso (aggettivo) amministrare amministrazione (nome) veloce velocizzare (verbo) Le categorie d’arrivo sono date da suffissi. Dunque nelle parole derivate la testa è -oso, -zione, -izzare. In altre parole, è l’elemento di destra in derivazione. Il meccanismo che trasmette a tutta la costruzione le informazioni necessarie è detto percolazione e si rappresenta così: famoso (a) fama (n) oso (a) La testa inoltre attribuisce alla parola in uscita altre informazioni. Ad esempio il suffisso -ista attribuisce alla parola un tratto umano, il suffisso -ura determina un nome femminile, -amento un nome maschile, -izzare produce un verbo transitivo, -eggiare un verbo intransitivo. • Suffissi valutativi (-ino, -one, -accio, -astro ecc.): non cambiano mai la categoria della loro base, e nemmeno gli altri tratti, dunque non sono teste. Mentre la suffissazione cambia sempre la categoria della base e sempre i suoi tratti sintattico-semantici, la prefissazione non cambia la categoria di base: ex: moglie ex-moglie (nome resta nome) elegante inelegante (aggettivo resta aggettivo) scrivere riscrivere (verbo resta verbo) Dato che in una parola prefissata la testa è la base e non il prefisso e dato che in una parola prefissata la testa è il suffisso, si può confermare che in derivazione la testa si trova a testa. COMPOSIZIONE La composizione consiste nell’unione di due forme libere, di due parole nella maggior parte dei casi. Le due parole che vengono combinate esprimono una relazione grammaticale che è nascosta, non è fisicamente presente, ma è tuttavia recuperabile. Ex: capostazione capo (della) stazione Pescespada pesce (a forma di) spada Divanoletto divano (che è anche) letto Le regole della composizione possono combinare diverse categorie lessicali, ma l’uscita è di norma un nome. Ex: A + N N: gentildonna V + N N: porta bagagli P + N N: sottoscala Le uniche eccezioni riguardano il caso in cui sono coinvolti due aggettivi: ex: A +A A: agrodolce, grigioverde O il caso in cui l’aggettivo sia un aggettivo di colore: ex: A + N A: rosso mattone, grigio perla Composti dell’italiano Vedi pagina 140 Testa di composizione Consideriamo il nome camposanto [[campo]n + [santo]a]n. Il composto ha la stessa categoria lessicale (nome) di uno dei suoi costituenti. Il nome campo è la testa del composto e la categoria N del composto “deriva” con la modalità vista sopra della percolazione. È da campo che la categoria nome viene passata al composto una serie di proprietà. È dalla testa del composto che passano a tutto il composto le informazioni categoriali, i tratti semantico- sintattici, il genere. Un costituente è testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che ti tratti sintattico-semantici. In altre parole, una testa deve essere sia testa categoriale che una testa semantica. Flessione dei composti La flessione dei composti è un aspetto irregolare della morfologia e non sempre si riescono a identificare delle regolarità senza eccezioni. Teoricamente la flessione dei composti può rappresentarsi così: a.[P1 + P2] + fless flessione a fine composto (ferrovie) b.[P1 + Fless] + P2 (dove P1 è la testa del composto) flessione dopo la prima parola del composto (navi tragetto) c.[P1 + Fless] + [P2 + fless] flessione dopo entrambe le parole (cassepanche) d.P1 + P2 composto senza flessione (tritacarne) e.P1 + [P2 + fless] la flessione è solo della P2 (portalettere) f.[P1 + fless] + P2 (dove P1 non è la testa del composto) la flessione è solo della P1 (*scuole bus) Nei primi tre casi la flessione è flessione di tutto il composto. Altri tipi di composti Nelle diverse lingue del mondo esistono composti costruiti con forme legate (i cosiddetti composti neoclassici) e costruzioni “multiparole” per le quali non è sempre facile decidere se si tratta di composti o di sintagmi. Composti neoclassici: sono formati da due forme legate(a) di origine greca o latina (spesso detti confissi) o da una forma libera più una forma legata(b). Ex: (a) antropo+fago; capro+lalia; parri+cida (b) dieta+logo (dietologo); lacrima+geno (lacrimogeno); calore+fero (calorifero) Composti incorporanti: derivano da un sintagma costituito da un verbo seguito da un SN oggetto. L’incorporazione consiste nella formazione di un verbo composto, il cui primo costituente è il SN “oggetto”. Il nome incorporato è di norma l’oggetto. Ex: ni-c-qua in nacatl ni-naca-qua “io mangio la carne” “io carne mangio” Si forma così un verbo che potrebbe voler dire “carnemangiare”. Composti sintagmatici: è un composto tipico dell’inglese, e sembra più di origine sintattica che morfologica. Ex: a [pipe and slipper] husband “un marito pipa e pantofole” [floor of a birdcage] taste “sapore di pavimento di gabbia di uccelli] Composti reduplicati: si trovano questi composti in tamil e spagnolo. Sono composti costituiti dalla stessa parola ripetuta ed hanno in genere un significato intensivo o iterativo. Ex: tamil: Vantu-vantu “venire più volte” Spagnolo: picapica “punge-punge” Composti troncati: in russo esistono questi composti formati per troncamento o del primo costituente o di entrambi. Ex: zarabotnaja “guadagnato pagamento” zar-plata “salario” MORFOLOGIA E ALTRI COMPONENTI Morfologia e fonologia Quando le regole morfologiche combinano due forme libere o una forma libera e una forma legata, la sequenza che ne risulta può essere o perfettamente normale(a) o può necessitare di piccoli riaggiustamenti fonologici(b). Ex: (a) bar+ista barista (b) vino+aio vinaio si cancella la vocale finale della prima parola Altre regole di raggiustamento riguardano casi di allomorfia (amico amici) dove agisce la regola di palatizzazione della velare, o sporadici casi di inserimento come gas gassoso Morfologia e sintassi Non è sempre facile distinguere tra composti e sintagmi. Ad esempio ferro da stiro, produzione scarpe, sono composti o sintagmi? • Un composto è una parola, la parola è caratterizzata dal fatto che non è interrompibile, non si può quindi inserire del materiale lessicale all’interno di essa. Ex: libro *li-mano-bro; *libr-ieri-o Dunque ferro da stiro sembra essere un composto, perché *ferro pesante da stiro non può esistere. Per quanto riguarda produzione scarpe, è più difficile, perché si può dire produzione invernale scarpe. Morfologia e semantica La formazione delle parole consta di una parte formale e di una parte semantica. I processi di formazione delle parole hanno quindi un legame diretto con la semantica, perché gli affissi portano con sé la loro parte di significato che si unirà in una funzione con il significato della parola di base. Allo stesso modo la semantica entra in composizione, perché le singole semantiche dei due costituenti dei composti si formano per dare luogo al significato della forma di uscita. Si consideri il significato della parola vinaio, giornalaio, verduraio. Dizionari di frequenza (vedi p. 165-166) Concordanze Esse sono liste dei contesti in cui una determinata parola appare, sono utilissimi strumenti di analisi testuale e si possono ottenere con facilità grazie a software specializzati. 7. LE COMBINAZIONI DELLE PAROLE: SINTASSI La sintassi studia i principi in base ai quali le parole delle varie lingue possono combinarsi in certi modi e non in altri. Queste combinazioni possono essere frasi oppure gruppi di parole di tipo non frasale. INTRODUZIONE Non tutte le combinazioni di parole sono possibili, nel senso che non tutte suonano grammaticali, cioè ben formate, all’orecchio di un parlante nativo di una lingua. Ex: la ragazza di Pietro suona bene il pianoforte Ma *il Pietro pianoforte bene di ragazza suona la Bisogna quindi tenere presente che la grammaticalità di una frase è indipendente dal suo senso. • Verbi trivalenti: “di dire”, “di fare” il professore ha detto ai ragazzi di fare silenzio. • Elementi circostanziali: elementi facoltativi che si distinguono dagli argomenti, i quali sono invece obbligatori. Essi hanno inoltre una maggiore “mobilità posizionale”. a mezzanotte il poliziotto catturò il ladro = il poliziotto catturò il ladro a mezzanotte. In una frase italiana, sono presenti il verbo, il numero di argomenti che esso richiede in base alla sua valenza, e facoltativamente, uno o più circostanziali. GRUPPI DI PAROLE La stessa funzione, di argomento o di circostanziale, può essere svolta da una parola o da un gruppo di parole (sintagma). È abbastanza intuitivo capire quali parole fanno parte di un gruppo, ma esistono comunque dei criteri che ci aiutano a individuare questi gruppi di parole: 1. Movimento: le parole che fanno parte di uno stesso gruppo si “spostano insieme” all’interno della frase. 2. Enunciabilità in isolamento: dato da un contesto opportuno, le parole che formano un gruppo possono essere pronunciate da sole. 3. Coordinabilità: due gruppi di parole diversi non sono coordinabili, non si possono mettere nello stesso contesto. La testa del gruppo svolge la funzione principale, attorno a cui si possono costruire gruppi simili. I sintagmi possono essere: preposizionali (SP), nominali (SN), verbali (SV) e aggettivali (SA). I sintagmi possono essere rappresentati attraverso i diagrammi ad albero, ad esempio (vedi esempi pag. 174). I sintagmi sono costituenti della frase. Alcuni sintagmi possono essere costituiti da altri sintagmi, fino alle singole parole, che sono i costituenti ultimi della sintassi. Essi possono essere semplici, ma anche complessi, quelli semplici sono costituiti dalla sola testa: infatti la testa non è solo l’elemento interno al quale è costituito un gruppo di parole, ma anche l’unico elemento la cui presenza è necessaria. Gli indicatori sintagmatici e lo “schema X-barra” I diagrammi ad albero sono detti anche indicatori sintagmatici delle rispettive frasi, in quanto ne rappresentano la struttura in sintagmi. (vedi schemi pag. 176, 177, 178, 179, 180) LE FRASI Frasi e gruppi di parole Prima definizione: una frase è “un gruppo di parole che esprime un senso compiuto”. Resta però il problema di definire il “senso compiuto”. Esistono infatti espressioni di senso compiuto che non sono necessariamente gruppi di parole, ma possono essere anche singole parole. (ex: Gianni!; Ahi!; Vieni!). Possiamo dunque estrarre due conclusioni 1. non tutti i gruppi di parole che chiamiamo frasi esprimono un senso compiuto (ex: che aveva appena svaligiato); 2. Non tutte le espressioni di senso compiuto sono gruppi di parole. Seconda definizione: c’è una grande differenza tra gruppi di parole e frasi, e cioè, solo le frasi sono composte da soggetto e predicato. Il rapporto soggetto/predicato è un rapporto di dipendenza reciproca, ossia l’uno dei due elementi esiste solo perché esiste anche l’altro e viceversa. Terza definizione: ciò che distingue le frasi dai gruppi di parole è la presenza di un verbo finito. Questo però vale per l’italiano, ma non per tutte le altre lingue del mondo. Ciò che è sempre necessario invece, è la presenza di una struttura soggetto/predicato, che può realizzarsi in molte modalità diverse. In conclusione, i gruppi di parole di tipo frasale si distinguono dagli altri tipi di gruppi di parole perché contengono una struttura predicativa, ossia un soggetto e un predicato. Esistono quindi tre tipi di entità chiamate genericamente frasi: 1. Espressioni di senso compiuto che sono gruppi di parole con struttura predicativa (l’albero è verde) 2. Espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole e non hanno struttura predicativa (Gianni!) 3. Strutture predicative che non sono espressioni senso compiuto (che aveva appena svaligiato) Per proposizione si intende una frase con struttura predicativa, sia che essa sia di senso compiuto o no. Tipi di frasi 1. Frase semplice: non contiene altre frasi. Essa si può classificare in base a: 1. Dipendenza, 2. Modalità, 3. Polarità. 4. Diatesi, 5. Segmentazione. • Dipendenza: le frasi possono essere principali o dipendenti. • Modalità: le frasi possono essere dichiarative, interrogative (interrogative “sì-no” e interrogative “wh”), imperative, esclamative. • Polarità: distingue le frasi affermative da quelle negative. • Diatesi: distingue le frasi attive da quelle passive. • Segmentazione: oppone due tipi di frasi come: “non avevo mai letto questo libro” e “questo libro, non lo avevo mai letto”. 2. Frase complessa: contiene altre frasi, grazie a rapporti di coordinazione e subordinazione. 3. Frase principale: è una frase indipendente, cioè esprime un senso compiuto. Le frasi indipendenti sono sempre frasi principali, ma non sempre le frasi principali sono anche frasi indipendenti. (ex: Gianni crede [principale] che Paolo abbia mentito [dipendente] se diciamo solo “Gianni crede” la frase risulta malformata, incompiuta). Relazioni tra frasi di tipo diverso Esiste una corrispondenza semantica tra frasi di un tipo e frasi di un altro. Ad esempio alla dichiarativa corrisponde un’interrogativa “sì-no”. A questo tipo di corrispondenza si dà il nome di trasformazioni. (vedi esempi pag. 188) Tipi di frasi dipendenti 1. Frasi dipendenti argomentali: rappresentano degli argomenti del verbo della frase principale. 2. Frasi dipendenti circostanziali: sono facoltative a differenza delle argomentali. • Frasi oggettive o completive: ex il fatto che i soldati si siano comportati così non ha meravigliato nessuno. (completiva nominale) • Frasi soggettive: ex che la Terra giri intorno al Sole è noto da molto tempo. • Interrogative indirette: ex Gianni non sa chi partirà domani. 3. Frasi relative: ex gli studenti che non si sono iscritti all’appello non possono fare l’esame. Esse possono essere restrittive, se restringono il campo, o appositive, se aggiungono informazioni. Una frase relativa si distingue da una completiva nominale perché il sintagma che la precede svolge la funzione di argomento del verbo della frase relativa stessa. Possiamo poi classificare le frasi dipendenti in base alla loro forma, cioè distinguerle in implicite ed esplicite: le prime contengono un verbo di modo non finito, le seconde un verbo di modo finito. Rappresentazione formale della struttura della frase (vedi pag. 191, 192, 193, 194) SOGGETTO E PREDICATO Prima definizione di soggetto: il soggetto di una frase indica “la persona o la cosa che fa l’azione, o, nelle frasi passive, che la subisce”. Il predicato a sua volta esprimerebbe l’azione compiuta oppure subita dal soggetto. Questa definizione però si mostra valida solo per alcuni tipi di frasi e certi tipi di verbi, ma non per altri. livello semantico, in cui è meglio parlare di agente (soggetto) e azione (predicato) Seconda definizione di soggetto: “il soggetto indica la persona o la cosa di cui parla il predicato”. Essa appare soddisfacente, per frasi come “Quel ragazzo picchia quel signore”, ma insoddisfacente per frasi come “a Pietro piacciono i fiori”. livello comunicativo, in cui è meglio parlare di tema (soggetto) e rema (predicato). Terza e ultima definizione di soggetto: il soggetto è “l’argomento che ha obbligatoriamente la stessa persona e lo stesso numero del verbo”. L’argomento che deve quindi obbligatoriamente accordarsi con lo stesso numero del verbo è il soggetto. livello sintattico, in cui è meglio parlare di soggetto e predicato. CATEGORIE FLESSIONALI Le parti del discorso si dividono in variabili e invariabili. Le desinenze delle parti variabili esprimono le diverse categorie flessionali: genere, numero, caso, tempo, persona e modo. Esse si distinguono dalle categorie lessicali, cioè le parti del discorso. Ex: bello e bella appartengono alla stessa categoria lessicale ma diversa categoria flessionale, al contrario donna e bella sono identiche dal punto di vista flessionale, ma diverse da quello lessicale. • Se due parole hanno le stesse categorie flessionali si parla di accordo. • Se una parola ha una data categoria flessionale perché questa le è stata assegnata da un’altra parola con categorie flessionali diverse, si parla di reggenza (un nome ha un determinato caso perché è retto da un determinato verbo). Genere, numero, persona Genere: l’italiano ha due generi: maschile e femminile. Varie lingue hanno più di due generi, come il neutro del tedesco. In lingue come il tedesco non vi è un’esatta corrispondenza tra la categoria “naturale” del sesso e la categoria linguistica del genere. È però importante sapere che in lingue come l’italiano e le altre lingue romanze, il genere è indicato non solo nel nome testa di un sintagma nominale, ma anche negli altri elementi del sintagma, che devono accordarsi con esso. Questa relazione non si realizza in tutte le lingue, ad esempio in inglese l’aggettivo è invariabile. Numero: è una categoria linguistica che ha un rapporto soltanto indiretto con la corrispondente categoria della realtà. L’italiano ha due numeri: singolare e plurale. In lingue come il greco e il sanscrito esistono invece tre numeri grammaticali singolare, plurale, duale, usato per indicare tipiche coppie di oggetti. Altre lingue hanno un’espressione morfologica propria anche per il triale, cioè per indicare terne di oggetti. Anche per il numero si manifesta il fenomeno dell’accordo, se la testa di un sintagma nominale è singolare, devono essere al singolare anche tutti gli altri elementi del sintagma. L’accordo di numero in italiano si realizza anche tra soggetto e predicato. Persona: le persone grammaticali sono tre: prima, seconda e terza. Esistono poi dei verbi impersonali, che sono tutti alla terza persona singolare, non avendo un soggetto che indichi la persona. Anche la persona è una categoria flessionale che manifesta il fenomeno dell’accordo, infatti la persona del verbo si accorda con quella del soggetto, che può essere un pronome oppure un nome o un sintagma nominale. Caso Il caso indica la relazione che un dato elemento nominale ha con le altre parole della frase in cui si trova. Queste relazioni tra verbo e argomenti sono espresse in italiano mediante 1) l’ordine delle parole; 2) l’uso di un morfema grammaticale libero, la preposizione, che distingue il terzo dal secondo argomento. Il numero dei casi morfologici cambia da lingua a lingua: il latino ne ha sei (nominativo, accusativo, dativo, genitivo, vocativo e ablativo), il greco antico cinque (quelli del latino tranne l’ablativo), il finlandese ne ha sedici. Tempo e modo Bisogna distinguere tra tempo in senso cronologico e tempo in senso grammaticale. In senso cronologico, esso indica la differenza tra presente, passato e futuro. Questi sono anche tempi grammaticali, tuttavia esistono lingue (cinese, lingue isolanti) che non distinguono i tempi grammaticali e il verbo ha sempre una forma unica, le indicazioni temporali sono date da altre particelle. In italiano esistono otto tempi grammaticali, se ci limitiamo al modo indicativo. Prendendo una frase come “Gianni è partito” notiamo un’evidente espressione di tempo. Questa frase può essere enunciata in un determinato momento cronologico, che chiamiamo momento dell’enunciazione , il quale è sempre il presente (in senso cronologico). La frase però dice che un determinato evento (la partenza di Gianni) è avvenuto in un momento diverso da quello dell’enunciazione, cioè nel momento dell’avvento, • Principio di composizionalità: dato che le frasi sono composte da parole, il significato di una frase è il risultato della combinazione dei significati delle parole che compongono la frase. Questo principio funziona per alcune frasi, ma per altre appare restrittivo: 1. Sia perché le frasi del linguaggio naturale a volte sembrano contenere “qualcosa di più” rispetto al significato dei singoli elementi che la compongono. 2. Sia perché alcune combinazioni di parole hanno un significato che non è ricavabile da quello delle singole parole da cui sono costituite espressioni idiomatiche (ex: tagliare la corda) Tautologia, contraddizione, analiticità, presupposizione • Connettivi proposizionali (o frasali): parole come “e”, “o”, “se” “oppure” ecc., che combinano parole o frasi, producendo frasi complesse. Una frase complessa composta tramite il connettivo “e” è vera solo se le frasi semplici che la compongono sono vere (“oggi piove e non piove” è sbagliata) esempio di contraddizione. Una frase complessa composta dal connettivo “o” è vera solo se almeno una delle frasi semplici da cui è formata è vera esempio di tautologia. Altri tipi di frasi possono essere giudicati veri o falsi su base puramente linguistica. Ad esempio: 1. Gianni è scapolo e non è sposato. 2. Gianni è scapolo ed è sposato. linguisticamente falsa 3. Titti è un canarino ed è un uccello. 4. Titti è un canarino e non è un eccello. linguisticamente falsa In questo caso, il valore di verità non è determinato solo dal significato del connettivo “e”, ma anche da quello delle parole “scapolo”, “sposato”, “canarino”, “uccello”. Queste frasi, la cui verità o falsità è determinabile sulla base del significato dei connettivi frasali e dei lessemi in esse contenuti, rappresentano casi di analiticità. Esistono poi casi in cui determinate frasi non sono né vere né false. Ad esempio: 1. L’attuale re di Francia è calvo. 2. L’attuale re di Francia non è calvo. Essendo in contraddizione tra loro, non possono essere entrambe vere, si potrebbe però dire che sono entrambe false in quanto attualmente non c’è un re in Francia. Quest’anali è stata però preferita ad un’altra che dice che entrambe le frasi presuppongono verità. (ex: attualmente c’è un re in Francia). Si dice quindi che è la presupposizione, cioè è quella frase che deve essere vera perché le frasi che la presuppongono possano avere un valore di verità. Dato che la frase “attualmente c’è un re in Francia” è falsa, allora anche le altre due frasi non sono né vere né false, ma semplicemente inappropriate. Frasi con quantificatori e pronomi Quantificatori: li contengono le frasi la cui verità è determinabile in base al loro significato, cioè parole come “tutti”, “nessuno”, “qualche”, “ogni” ecc. • Se ogni studente ha superato l’esame, allora qualche studente ha superato l’esame. • Ne nessuno studente ha superato l’esame, allora qualche studente non ha superato l’esame. • Se ogni studente ha superato l’esame, allora qualche studente non ha superato l’esame. falsa (vedi tutti gli esempi a p. 220,221,222) GLI ATTI LINGUISTICI Tipi di atti linguistici L’uso del linguaggio umano consiste nell’esecuzione di determinati atti: 1. La pronuncia di determinate parole e sintagmi atti locutori o atti di enunciazione. 2. Il riferimento a determinate entità e la predicazione di determinate proprietà in merito ad esse atti proposizionali. 3. Una constatazione, un ordine, un consiglio, una promessa ecc. atti illocutori. 4. Il tentativo di produrre un determinato effetto sul nostro interlocutore, come ottenere un’informazione, fargli compiere un’azione ecc. atti perlocutori. Ogni atto linguistico si realizza in compresenza degli altri. L’unico che non si realizza sempre è quello proposizionale. Esistono diverse relazioni tra questi atti. Ad esempio: • Uno stesso atto proposizionale può comparire in diversi atti illocutori. • Uno stesso illocutorio può corrispondere ad atti proposizionali diversi. Atti linguistici indiretti: quando le frasi esprimono, in forma “soft” un ordine o una richiesta, pur non essendo, dal punto di vista sintattico, delle frasi imperative. I performativi Un particolare tipo di atti illocutori sono quelli contenenti i cosiddetti verbi performativi. Ad esempio: • Prometto di partire • Questa corte dichiara l’imputato innocente • Mi scuso di essermi comportato così Performativo: deriva dal verbo “to perform”, che significa “compiere”. Enunciando frasi con questi verbi non ci si limita a parlare, ma si compie un’azione. USO LETTERALE E USO NON LETTERALE DELLE ESPRESSIONI LINGUISTICHE Secondo Grice, la conversazione è dominata da massime, che egli raggruppa in 4 categorie: quantità, qualità, relazione, modalità, che suonano come raccomandazioni. • Quantità: “fornisci l’informazione necessaria, ossia né troppa né troppa poca”. • Qualità: sii veritiero, in base alle prove in tuo possesso”. • Relazione: sii pertinente”. • Modalità: evita oscurità e ambiguità, sii breve e ordinato”. I partecipanti alla conversazione si comportano usando inconsciamente queste massime, sia come parlanti che come ascoltatori. A volte però, i partecipanti ad una conversazione sembrano violare alcune di queste massime. In alcuni casi la violazione è reale e allora la comunicazione corre il rischio di fallire; altre volte invece la violazione è solo apparente, perché il parlante non ha usato le espressioni nel loro significato letterale, bensì ha voluto trasmettere un altro significato. In quest’ultimo caso si realizza una implicatura conversazionale, che deve essere distinto dal termine implicazione. (vedi esempi p. 225) 9. SOCIOLINGUISTICA E DIALETTOLOGIA INTRODUZIONE La lingua è stratificata sia verticalmente che orizzontalmente. • Stratificazione verticale (diastratica) riguarda le variabili legate alla stratificazione sociale. • Stratificazione orizzontale (diatopica) riguarda le differenze dialettali. A queste dimensioni se ne intrecciano altre due: 1. Livello di formalità: riguarda il grado di accuratezza e di controllo con cui si parla (variazione diafasica) 2. Variazioni che dipendono dal mezzo usato per comunicare: scritto, mail, orale, telefono ecc. (variazione diamesica). LINGUISTICA TEORICA E SOCIOLINGUISTICA • Linguistica teorica: si basa su “idealizzazioni” ed ha come oggetto di studio principale il linguaggio umano come “capacità”. Pone al centro della propria indagine il cosiddetto “parlante nativo idealizzato”, cioè un parlando con perfetta “competenza” della propria lingua, che non fa errori, sa distinguere le frasi grammaticali da quelle non grammaticali, non fa false partenze, lapsus ecc. La sua comunità linguistica è “idealizzata” e di questa si tendono a sottolineare più gli aspetti di omogeneità che di differenziazione. Si tende a ricercare ciò che c’è di comune, immutabile, uguale nel linguaggio umano. • Sociolinguistica: tende a tenere conto di dati più vicini alle varie situazioni comunicative e ha come oggetto di studio l’uso effettivo della lingua. I parlanti “reali” fanno errori, false partenze, conoscono non solo le regole per costruire frasi ben formate, ma anche per utilizzare correttamente nelle varie situazioni (competenza comunicativa). La comunità linguistica è stratificata linguisticamente così come lo è socialmente, dunque non è affatto omogenea. Ciò che è interessante nel linguaggio umano è la sua diversità: ciò che interessa maggiormente i sociolinguisti sono le differenze tra parlante e parlante o tra gruppo e gruppo di parlanti e la rilevanza sociale di queste differenze. Si tende a ricercare la diversità linguistica e le possibili correlazioni con la stratificazione sociale, le dinamiche dei gruppi sociali, i loro valori. La teoria del linguaggio cerca di descrivere le strutture del linguaggio umano, la sociolinguistica cerca di descrivere l’uso che gli esseri umani fanno di queste strutture nelle situazioni comunicative concrete. SOCIOLINGUISTICA La sociolinguistica contemporanea nasce da un’ipotesi molto semplice: la variazione libera non esiste. In italiano ad esempio [p] e [b] sono in distribuzione contrastiva, la presenza dell’uno o dell’altro dà luogo a parole con significati diversi. I suoni [r] e [ʀ] sono invece in variazione libera, perché l’uso di uno o dell’altro non determina variazione di significato, sono infatti varianti dello stesso fonema. La linguistica teorica si interessa principalmente alla distribuzione contrastiva perché essa permette di identificare i fonemi di una lingua. La sociolinguistica dagli anni ’60 in poi si è invece basata sul seguente assunto: la variazione libera non è veramente libera perché tutte le volte che esistono due modi diversi per dire una cosa, vuol dire che vi è una “scelta” e che tale scelta linguistica può essere correlata a fattori sociali. Centralizzazione a Martha’s Vineyard (W. Labov) Il campo di studio è l’isola di Martha Vineyard, che nel 1962 era abitata oltre che da pescatori anglofoni, da immigrati portoghesi e indiani. I continentali, con la loro presenza vacanziera, determinavano uno stravolgimento dell’economia dell’isola, spingendola forzosamente verso un’economia di tipo turistico. Il fenomeno osservato è stato chiamato centralizzazione. Questo fenomeno riguarda la pronuncia “centralizzata” di /a/, cioè invece di [haus] house, si cominciava a sentire sull’isola una pronuncia come [həus]. La pronuncia di questa parola può essere considerata un tipico esempio di variazione libera , se si sostituisce il suono [a] con [ə] non si ottengono due parole con due significati diversi, ma sono due modi per dire la stessa parola. Le lingue subiscono variazioni continue, gran parte delle quali finiscono nel nulla, ma alcune acquistano un “senso” e hanno quindi diffusione. In questo caso, queste variazioni diventano una variabile, cioè una variazione cui si può attribuire un significato (sociale). Le variabili devono essere frequenti , strutturali e stratificate. Registrata la variazione [haus] e [həus] bisognava stabilire se essa era una variazione occasionale o una variabile. Perciò venne fatto fare un questionario ad un numero di parlanti e furono effettuate registrazioni, allo scopo di ottenere campioni di linguaggio spontaneo. Il questionario fu sottoposto a gruppi sociali diversi e ai diversi gruppi etnici presenti sull’isola. Ogni parlante può realizzare la /a/ più o meno centralizzata: [a] è centralizzazione zero, [ə] è centralizzazione cinque. In conclusione, la centralizzazione a Martha’s Vineyard è l’espressione di una forte resistenza contro le invasioni estive degli americani continentali e contro le conseguenze economiche che ne derivavano all’isola. Centralizzazione significa “appartenere all’isola” e difenderne i valori. All’interno di questo quadro si è sviluppata la nozione di regola variabile, cioè regole che si applicano con maggior o minor probabilità col variare di date circostanze linguistiche o extralinguistiche. Comunità linguistica Comunità linguistica: l’insieme di tutte le persone che parlano una determinata lingua. Alcuni però preferiscono parlare di “varietà linguistica”, definendo quindi la comunità linguistica come l’insieme di tutte le persone che parlano una determinata lingua o varietà linguistica e ne condividono le norme d’uso. C’è poi chi ritiene che siano importanti anche gli “atteggiamenti” sociali nei confronti della lingua. Dal punto di vista sociolinguistico, la comunità linguistica non è omogenea, ma è considerata come stratificata. Repertorio linguistico Repertorio linguistico: è l’insieme dei codici e delle varietà che un parlante è in grado di padroneggiare all’interno del repertorio linguistico più ampio della comunità cui appartiene. Ogni classe sociale ha un repertorio linguistico diverso. I cittadini che hanno un repertorio linguistico più ampio hanno accesso ad un maggior numero di funzioni sociali. Esistono poi fattori che permettono al parlante di passare da una varietà all’altra della lingua, questi passaggi sono chiamati code switching. Competenza comunicativa 2. Diglossia senza bilinguismo: competenza dell’italiano limitata alle classi sociali “alte” e per il resto diffusione generalizzata del dialetto (situazione tipica dell’Italia post-unitaria) 3. Bilinguismo senza diglossia: competenza di italiano e dialetto senza che gli ambiti funzionali delle due varietà siano del tutto differenziati (aree metropolitane) 4. Né bilinguismo né diglossia: situazione che non sembra darsi se non in comunità minuscole ed isolate con differenziazioni sociali pressoché nulle. Bilinguismo e diglossia esistono dovunque vi sono comunità linguistiche in cui i parlanti svolgono una certa varietà di ruoli e dunque in tutte le società complesse. Il bilinguismo è specifico della versatilità individuale, mentre la diglossia ha a che fare con una distribuzione sociale delle diverse varietà usate. LINGUE PIDGIN E LINGUE CREOLE • Lingua Pidgin: lingua occasionale che nasce tra due gruppi che devono comunicare e che non hanno una lingua comune. Tali lingue, che hanno una finalità per lo più strumentale, derivano da una mescolanza di elementi indigeni e della lingua “sovraimposta”, modificati da forti fenomeni di semplificazione che caratterizzano le fasi iniziali di ogni acquisizione di lingue. Il lessico è ridotto, dalla sintassi vengono eliminate le frasi subordinate e si privilegia la paratassi con un ordine delle parole che tende ad essere fisso. La morfologia è ridotta, sono eliminate le flessioni e la variazione allomorfica, numero e genere. Si privilegiano parole monosillabiche. • Lingue creole: si calcola che siano parlate da circa 20 milioni di persone nel mondo. Il gruppo più ampio è quello delle lingue creole a base francese (Haiti, Antille, Oceano Indiano). Le lingue creole a base inglese sono parlate in Africa occidentale, e nelle Antille. 10. LA TRASFORMAZIONE DELLE LINGUE: LINGUISTICA STORICA INTRODUZIONE In antichità si credeva che le lingue derivassero tutte da una lingua unica, cioè l’ebraico, la lingua con cui Dio parlava ad Adamo. Più tardi, a partire dal Rinascimento, furono elaborate ipotesi diverse, come quelle anticipatrici di scoperte successive: Leibniz ad esempio, ipotizzò una famiglia di lingue “giapetiche” estese a Europa e Asia, prefigurando così quella che più tardi verrà chiamata famiglia linguistica indoeuropea. All’inizio dell’Ottocento lo studio della parentela genealogica delle lingue e del loro mutamento nel tempo assume un aspetto che lo caratterizza ancora oggi. A questo settore di studio viene dato il nome di linguistica storica (o storico-comparativa). I principi e i metodi della linguistica storica tengono ben distinti i due problemi delle lingue originarie e dell’origine del linguaggio. Inizialmente l’origine del linguaggio era attribuita a Dio, poi questa visione fu abbandonata, e si iniziò ad ipotizzare che il linguaggio derivasse da suoni primitivi, all’inizio senza alcun valore simbolico, e poi divenuti segni convenzionali. Spiegazioni come questa però, non bastavano e nell’Ottocento gli studiosi che fondarono la linguistica storica, non si chiesero più come e perché fossero nati i suoni, ma si interessarono unicamente a ricostruirli sulla base della comparazione delle lingue da esse derivate. Il problema dell’origine del linguaggio veniva considerato così irrisolvibile. Una delle assunzioni più accettate è che l’origine del linguaggio nella specie umana sia, almeno in parte, dovuta all’aumento proporzionale del peso del cervello umano rispetto all’intero peso corporeo durante l’evoluzione di Homo Sapiens, anche se questa ipotesi è stata spesso contestata. Un altro tratto che caratterizza la linguistica storica moderna dai suoi predecessori è la rinuncia a qualunque ipotesi “catastrofica” per spiegare il mutamento linguistico. Ogni generazione apprende la propria lingua dalle generazioni precedenti, ma questo apprendimento non è puramente passivo, perché ogni volta nei bambini si sviluppa una competenza propria e per ciò stesso diversa, da quella dei genitori. METODO COMPARATIVO E LA RICOSTRUZIONE DELLE LINGUE ORIGINARIE Caratteristiche del metodo comparativo Il termine “metodo comparativo” suggerisce che si fonda sul confronto tra le lingue, al fine di scoprire se due o più lingue sono genealogicamente apparentate o no, ossia se derivano da una stessa lingua originaria. Per confrontarle, bisogna innanzitutto evitare di cadere in errori semplici, come la somiglianza tra parole per mostrare che due lingue sono apparentate. Ad esempio prendendo una parola come “biglietto”, vediamo che in tedesco si traduce “Fahrkarte” e in turco “bilet”; perciò per somiglianza diremmo che italiano e turno sono imparentate tra loro, ma ciò non è vero, infatti sono italiano e tedesco a discendere da un antenato comune. La somiglianza tra italiano e turco deriva da fenomeni di prestito, il turco infatti ha preso in prestito molte parole dall’italiano e dalle lingue romanze. Per evitare di sbagliare a causa dei fenomeni di prestito, è opportuno limitare il nostro confronto a quelle parti del vocabolario di una lingua che sono meno suscettibili di essere state prese in prestito da altre lingue, cioè quelle “native”, come le parole indicanti i numerali e i nomi di parentela. Italiano Tedesco Turco Uno ein bir Due zwe iki Padre Vater baba Madre Mutter anne L’italiano infatti risulta più simile al tedesco che al turco. La corretta applicazione del “metodo comparativo” consiste nell’individuare una serie di corrispondenze sistematiche tra fenomeni e morfemi in determinate lingue, ossia che a determinati fonemi e morfemi in determinate lingue, corrispondono, in un numero significativo di casi, determinati fonemi e morfemi di un’altra lingua. Per dimostrare l’esistenza di queste corrispondenze sistematiche bisogna: • Mostrare che esse non si limitano ad una sola parola, ma si estendono ad altre parole di quello che abbiamo chiamato “vocabolario nativo”. • Ricostruire il cammino che ha portato dalla parola nella lingua originaria alla parola nelle due lingue apparentate. In generale, questo procedimento permette di stabilire qual è “l’antenato comune” più vicino a determinate lingue, nonché gli antenati più remoti, cioè quelli comuni a vari gruppi di lingue. Nel caso dell’italiano e delle altre lingue romanze, l’antenato comune è il latino, nel caso dell’inglese e delle altre lingue germaniche, un simile antenato comune non è stato attestato. Si può però ricostruire, sulla base della comparazione tra le lingue germaniche, la lingua originaria da cui esse sono derivate, che viene abitualmente chiamata proto-germanico o germanico comune. (vedi esempi p. 252-253) L’albero genealogico delle lingue indoeuropee Dal confronto di lingue imparentate tra loro, si ricostruisce una lingua originaria, come germanico comune, slavo comune ecc., le quali sono tutte frutto di una ricostruzione, con la sola eccezione del latino. La comparazione dei vari gruppi linguistici ci permette poi di ricostruire la lingua originaria dell’intera famiglia, cioè l’indoeuropeo. La rappresentazione dell’albero genealogico delle lingue indoeuropee (p. 255) fu proposta dal linguista tedesco August Schleicher, ed è ancora oggi oggetto di discussione. La struttura dell’albero genealogico esclude che ci siano interferenze tra lingue dopo la loro separazione dall’antenato comune: i rami dell’albero non si incrociano, né hanno punti di contatto. Tra i vari gruppi di lingue indoeuropee esistono sovrapposizioni parziali, ora in direzione di un gruppo, ora di un altro. Questo suggerì un modello alternativo a quello dell’albero genealogico, cioè la “teoria delle onde”: i vari fenomeni linguistici si distribuirebbero, all’interno delle lingue indoeuropee, come le onde in uno specchio d’acqua, in modo che alcuni fenomeni linguistici si estenderebbero fino a un certo punto, altri fino ad un altro, altri si incontrerebbero tra loro e così via. Alle linee che determinano l’estensione dei vari fenomeni viene dato il nome di isoglosse. L’albero genealogico e la teoria delle onde suggeriscono diverse immagini della lingua originaria indoeuropea: il primo la presenta come omogenea, senza variazioni dialettali; la seconda invece come una lingua distinta in gruppi dialettali diversi tra loro. Un esempio di ricostruzione Nella ricostruzione linguistica hanno particolare importanza le testimonianze fornite dalle fonti scritte più antiche, perciò nella ricostruzione della lingua originaria indoeuropea si ricorre di preferenza alle lingue di attestazione più antica, come in sanscrito, il greco, il latino, tra le lingue germaniche invece il gotico, tra le lingue slave l’antico slavo ecclesiastico e così via. (vedi esempi pag. 258, 259, 260) IL MUTAMENTO FONETICO E LE “LEGGI FONETICHE” Il sistema fonologico italiano contiene 7 fonemi vocalici, in sillaba accentata: /i, e, 0 1 9 0 0 2 5 9, a, , o, u/. Essi si distinguono per la posizione della lingua in senso verticale e in senso orizzontale. In latino invece, i fonemi vocalici si distinguevano anche per la lunghezza (nom. Rosă, abl. Rosā). Nel passaggio dal sistema vocalico latino a quelli italiano sono andate perse le distinzioni fonologiche di lunghezza, che sono state trasformate in distinzioni di posizione della lingua in senso verticale, secondo lo schema: latino Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō Ŭ Ū 0 1 9 0 0 2 5 4italiano i e a o u Uno dei mutamenti più importanti della storia della lingua inglese è il cosiddetto Great Vowel Shift (grande mutazione vocalica), che segna il passaggio dal cosiddetto “inglese medio” all’inglese moderno: • Le vocali lunghe alte dell’inglese medio sono diventate dittonghi (ex: [fi:v] [faiv] five); • Le vocali lunghe media dell’inglese medio sono diventate vocali alte (ex: [fe:t] [fi:t] feet); • Le vocali medio-basse dell’inglese medio sono diventate vocali medie (ex: [mae:t] [meit] mate). La grafia è rimasta circa la stessa dell’inglese medio. I mutamenti fonetici qui sopra illustrati sembrano operare con assoluta regolarità, perciò è stato coniato il termine “legge fonetica”, che mostra alcune eccezioni, divise in due gruppi. Nel primo gruppo si collocano le eccezioni dovute all’effetto di altri fattori, rispetto alla legge fonetica in questione, sull’aspetto fonetico assunto dalla parola che ha subito il mutamento. Leggi fonetiche concorrenti (vedi esempi p. 262,263) Analogia Essa è un meccanismo in base al quale si creano forme nuove sul modello di forme esistenti. È un fenomeno morfologico, ma i cui effetti sono tali da produrre apparenti eccezioni alle leggi fonetiche. In italiano, l’aggiunta di un suffisso -tore ad un tema verbale X, dà come risultato un nome con il significato “colui che fa l’azione descritta da X”, ad esempio: parlare parlatore; sviolinare sviolinatore. La parola sviolinatore non appare quasi mai nei vocabolari, ma nonostante ciò ogni parlante italiano è perfettamente in grado di capire il significato della parola. Parlare : parlatore = sviolinare : x quarto proporzionale Molte volte una forma costruita per analogia entra in concorrenza con un’altra forma derivata invece da un mutamento fonetico regolare, cioè conforme alle leggi. L’analogia è quindi in sé un mutamento fonetico “irregolare”, è una forma nuova, costruita in base allo schema del quarto proporzionale, che ha gradatamente soppiantato la forma derivata in base alle leggi fonetiche. Contaminazione (o mescolanza) Essa è un fenomeno simile all’analogia, ma si differenzia perché non è descrivibile secondo lo schema del quarto proporzionale. Si ha contaminazione quando gli elementi che si costituiscono una forma, si “mescolano” con quelli di un’altra forma. Ex: it. Greve: deriva dalla forma latina greve(m), sviluppatasi per contaminazione di grave(m) con leve(m). il risultato di questo processo è l’esistenza in italiano di due aggettivi grave e greve. Assimilazione, dissimilazione, metatesi, aplologia • Assimilazione: lat. factum, octo, lacte it. fatto, otto, latte • Dissimilazione: lat. arbore(m) it. albero • Metatesi: lat. crocodilus it. coccodrillo • Aplologia: lat. stipendium composto da stips (piccola moneta) e pendere (pagare) Contatto tra lingue Passiamo al secondo gruppo di fenomeni che sembrano rappresentare un controesempio alle leggi fonetiche. Essi sono costituiti dall’introduzione, in una lingua, di parole nuove per effetto del contatto con altre lingue. La vicinanza dei dialetti può favorire i prestiti dall’uno o dall’altro. Esistono 3 tipi di prestiti: 1. Prestiti tra lingue culturalmente e cronologicamente sullo stesso piano (tra francese e inglese ecc.); 2. Prestiti tra una lingua morta e una lingua parlata (tra latino e greco da un lato e lingue moderne dall’altro); 3. Prestiti tra un dialetto e una lingua standard. Un fenomeno interessante che riguarda i rapporti tra latino e italiano è quello dei cosiddetti allòtropi, ossia coppie di parole italiane derivate dalla stessa parola latina, ma entrate in italiano per due vie diverse, ossia
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved