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Riassunto "Lo spazio delle donne" di Brogi, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Contemporanea

Riassunto dettagliato capitolo per capitolo del libro.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 20/04/2023

Gaiamilly
Gaiamilly 🇮🇹

4.2

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Scarica Riassunto "Lo spazio delle donne" di Brogi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! Lo spazio delle donne – Brogi Capitolo 1 - Fare spazio Spazi vitali: La nostra vita è fatta di spazi. Lo spazio è campo di espressione e verifica delle identità. Si susseguono passi da libri di varie autrici, Aleramo, Woolf, Deledda, Munro in cui si richiede spazio come dispositivo fisico e simbolico di un riconoscimento sociale. L’esigenza di uno spazio proprio è importante per sentire di poter contare come soggetti. Si tratta di uno spazio, anche simbolico, definito in relazione agli altri. Si parla degli spazi possibili delle donne: recinto, abisso, interstizio, mappa e fuori campo attivo. 1. Recinto di minorità in cui le donne sono state tenute per millenni 2. Mondo inabissato, cioè la presenza reale che molte donne hanno avuto nella storia della cultura. Si tratta di piani di realtà resi invisibili, oscurati dall’inquadratura della memoria ufficiale. In modo umoristico Jacky Fleming ha chiamato questo spazio “pattumiera della storia” da cui per millenni le donne hanno cercato di recuperarsi l’un l’altra. La prima a farlo è stata Christine de Pizan con La città delle dame, nato dalla scelta di rispondere a tutte le opere maldicenti scritte da uomini che è come se parlassero tutte con la stessa bocca (testo: parla dei giudizi degli uomini contro la natura e il comportamento femminile, parla del fatto che per lei è inconcepibile che uomini così famosi e intelligenti possano dire menzogne tanto grandi sulle donne. Dice che però, visti tutti questi giudizi, forse pensava che avessero ragione gli uomini, che lei come donna non sapesse guardarsi e capirsi). 3. Interstizio, cioè uno spazio rotto, una possibilità che nel campo immaginativo riguardante la finzione d’autrice possano ritrovarsi anche specifiche forme espressive e stili d’identità destabilizzata e del trauma o della sofferenza di guerra (es. quella combattuta e narrata dalle donne come Dacia Maraini) o scritture di fantasia e introversione. 4. Mappa, cioè lo spazio delle donne previsto che si ha il potere di allestire o delimitare tutte le volte che vorremmo “comporre una lista”. Far caso a queste liste mentre si compongono, è una presa di posizione culturale ed etica perché fa spazio a distinzioni e ritratti di un’idea di società che favoriranno o sfavoriranno il modo in cui si può percepire il proprio posto nella gerarchia sociale e le opportunità che si hanno a seconda del corpo, del genere e dell’appartenenza a un gruppo. Le persone non vanno tenute di conto o premiate solo per il loro genere come invece è successo agli uomini per millenni, premiati non tanto per le loro azioni, ma praticamente solo già per il fatto di non essere donne. Es. foto scattata durante la maratona di Boston (1967) dove si vede una donna strattonata da alcuni giudici di gara che tentano di impedirle di correre.  era riuscita ad iscriversi inserendo solo la prima lettera di nome e cognome  era inclusa nella gara solo perché si pensava fosse un maschio. Fino a prova contraria lo spazio è naturalmente degli uomini, a meno che non si escogiti uno stratagemma. Escludere le donne significa cancellarle totalmente. 5. Fuori campo attivo, cioè la situazione in cui mentre vediamo qualcosa ci chiediamo: che cosa sta succedendo? È lo spazio liberato dalle abitudini sessiste riprodotte con la naturalezza. La controparte di questo spazio è la cultura patriarcale e monologica, ma non riguarda tutti gli uomini genericamente intesi, ma il conformismo che viene riprodotto. Non esiste più il mondo di privilegi rimpianto da chi si oppone a un linguaggio rispettoso delle differenze. Cosa fare: Come costruire spazi più vitali dei luoghi comuni occupati dal discorso pubblico in materia di rappresentanza sia culturale che politica delle donne? Bisogna spostare sguardi, toni, piani per iniziare a riqualificare e legittimare il discorso riguardante lo spazio delle donne, che va sottratto al campo impressionistico dei pareri a caldo. Le battaglie culturali per l’emancipazione delle donne sono state combattute dalle suffragette, da movimenti di liberazione delle donne, da artiste, contadine ecc e sono nate illustrate da opere nate in camere chiuse a chiave ma che parlavano al futuro. Non si può parlare per opinioni o vaghi ricordi nei confronti del tema dello spazio delle donne. C’è bisogno di elaborare delle mappe centrifughe, cioè capaci di spingere l’attenzione anche verso i bordi, verso il margine. L’autrice critica anche il fatto che oggi si studi un autore, Manzoni, che effettivamente è stato un padre-padrone che ha messo la figlia in convento senza la sua volontà e che l’ha lasciata morire lì senza mai rispondere alle sue lettere e anzi questa cosa, anziché schifare e lasciare senza parole, viene esaltata in particolare per il passo di Gertrude, ragazza alla quale succede praticamente la stessa cosa di Matilde, la figlia di Manzoni. Spazi estirpati e biografie improbabili: Racconto del mito del toro di Falaride costruito da Perillo di Atene.  racconto in cui compaiono solo uomini. Lo spazio delle donne è anche tutto quello che non ricordiamo perché è lo spazio che non hanno mai avuto nelle storie scritte dagli uomini. La messa ai margini delle donne appartiene a una storia più complessa delle loro biografie individuali, perché non si è compiuta solo applicando in maniera monologica la condizione mai discussa di un canone essenzialmente maschile. Non si tratta solo di colpire esistenze e opere individuali ma di fare tabula rasa delle genealogie. È estirpando la storia sociale e culturale dei gruppi non dominanti che si indebolisce e si manda in malora la possibilità di una tradizione, di un racconto e di un dialogo tra le generazioni. Così, lo spazio delle donne continuerà a essere estirpato tutte le volte che si nega importanza alla storia sociale delle donne come presenze importanti della vita politica, culturale e materiale di un Paese. Il ‘900 è stato il secolo del lavoro delle donne, lo storico Hobsbawn sostiene che la rivoluzione femminile è stata l’unica rivoluzione riuscita del ‘900. Il ‘900 è però anche il secolo della paura delle donne, paura man mano che le donne diventavano sempre di più soggetti della storia (emancipazione, mondo del lavoro, inventando il cinema ecc). Lo spazio delle donne è quindi anche lo spazio della storia. Quasi sempre le donne che ce l’hanno fatta a non essere sottomesse dall’oblio sono state consegnate all’immortalità a condizione di un’eccezionale stranezza di vita e temperamento che di fatto le collocava fuori dalla storia. Come se l’unica condizione per meritare una visibilità fosse la singolarità da outsider. Per un verso ci dice il prezzo sociale pagato dalle donne che hanno scelto di mettersi in uno spazio non previsto; per l’altro verso, questa modalità sui generis della celebrità femminile racconta anche il modo in cui le biografie delle donne possono essere reinventate e conformate a un sistema patriarcale. Es. Cleopatra: donna intelligentissima, indipendente e studiosa ma passata alla storia come una grande a patto che le si desse il carattere di “mangiatrice di uomini”. Come si guardano e si studiano l’opera e la vita di un’autrice? Pensare la biografia di una donna significa comporre il significato cruciale e la rilevanza pubblica della sua vita come del suo lavoro. Così non solo le donne e le loro opere sono state dimenticate, ma è stato svuotato di significato e serietà il modo in cui avevano scelto di appartenere al mondo: il loro impegno, le loro esperienze e relazioni intellettuali. Es. Sibilla Aleramo è nominata nei manuali solo per la relazione con Dino Campana oppure solo per la lista delle sue torbide relazioni, quando in realtà è un’ottima scrittrice e di successo. È un modo per collocare le donne nella storia per flash e singolarità annullando il senso del loro lavoro culturale. Dare spazio agli aspetti invece importanti di queste donne significa restituire esperienza storica delle donne ed offrire anche dei modelli di società e rimettere in asse il passato. Capitolo 2: Spazi del genio e della creatività. Lo spazio del coraggio: Ruth Bader Ginsburg ha dedicato tutta la vita ai diritti delle donne e all’uguaglianza di genere. Alla sua morte sono circolate foto di classe di quando studiava giurisprudenza alla Harvard ed era l’unica femmina. Questo ci parla sia delle centinaia di ragazze rimaste fuori da questa opportunità sia anche della bravura di questa ragazza. Le donne non hanno avuto uno spazio in quanto vittime di una società patriarcale e al contempo lo hanno avuto ma poi è stato reso invisibile, dimenticabile e talvolta anche caricaturale. In questo secondo caso si tratta di storie di coraggio, di lotta individuale e collettiva a cui le donne hanno partecipato ora da protagoniste ora da personaggi subalterni e messi ai margini. Per ricreare lo spazio in cui le donne ridiventino presenze e corpi sociali si dovrà smettere di avere paura della retorica e dell’ignoranza intorno al femminismo. La prima cosa di cui non aver paura è la parola stessa. Il femminismo per come viene raccontato e considerato assomiglia spesso a una malattia. Lo dimostra anche l’abuso della parola come se fosse il contrario di “maschilismo”. Ma non è così perché nasce come risposta alle logiche del potere patriarcale che hanno negato diritti e libertà e poi non è nemmeno l’orientamento di chi tifa per le femmine. Il femminismo è il movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne. I femminismi sono esperienze storiche internazionali che vanno capite e studiate dentro il mondo di eventi di cui fanno parte. Per esempio è difficile trovare qualcuno che a scuola si sia imbattuto in Carla Lonzi, autrice di riferimento del pensiero femminista mondiale che attaccò sui muri di Roma il manifesto di Rivolta femminile; stessa cosa non si può certo dire per esempio di Marinetti con il manifesto futurista. Molto spesso, per esempio, la donna senza qualità, in letteratura, non è un’eroica figura maledetta di trasgressione e anticonformismo, ma resta una folle, un’isterica. Le due autrici italiane più importanti del Novecento, Elsa Morante e Natalia Ginzburg, scrivono che entrambe volevano essere chiamate “scrittori” e non “scrittrici”. Quelli di Morante, Ginzburg e anche Fallaci erano tempi in cui per essere presa sul serio e sentirsi libera una donna doveva assomigliare più che poteva a un uomo. “Desideravo terribilmente scrivere come un uomo, avevo orrore che si capisse che ero una donna dalle cose che scrivevo” dichiara Ginzburg nelle Piccole virtù. Un mondo che in nessuna maniera prendeva sul serio le donne in quanto soggetti capaci di autodeterminarsi. Gli spazi della morale: Mettere in prospettiva la storia e il passato facendo agire anche il vuoto, vale a dire lo spazio oscurato da assetti critici patriarcali, significa tenere assieme le contraddizioni, studiare, per esempio, la letteratura degli anni ’70 tenendo presente anche le esperienze di dominio e di scontro, di classe come di genere, da cui arrivano certe opere. Vuol dire, per le donne che studiano, occuparsi di autori che appartengono alla storia di tutte e di tutti e a maggior ragione vanno conosciuti, ma senza rimuovere gli elementi di misoginia, e considerando anche che il maschilismo non è, spesso, un problema delle donne, e su cui debbono scrivere solo le donne, ma degli uomini. Delitto del Circeo  nodo traumatico della memoria e dell’identità italiana del secondo Novecento, perché intreccia fascismo, sessismo e classicismo. Alla vicenda furono dedicati articoli importanti, tutti da uomini come Calvino e Pasolini. Per calvino i tre ragazzi colpevoli sono i mostruosi epigoni “di una borghesia italiana che vive e prospera senza il minimo senso di ciò che appartenere a una società significa, come relazione reciproca tra gli interessi personali o di gruppo e quelli della collettività”. Pasolini accusa Calvino di una posizione sobria e manichea, parla di una violenza massificata, e legge l’”orrendo massacro” consumato dai tre “pariolini neofascisti” nella chiave del “genocidio culturale” consumatosi in Italia tra il 1961 e il 1975, che ha portato all’estinzione dell’umanità popolare sottoproletaria e marginalizzata raccontata dal suo film Accattone (’61). Tutto si tiene, in un mondo in cui la violenza sessuale è considerata dalla legge un reato contro la morale pubblica e non contro la persona. A questa altezza, la morale offesa dallo stupro è prima di tutto quella dell’etica pubblica, dove la violenza su due ragazze diventa metafora impersonale per considerazioni sociologiche ampie. Ciò che sconcerta è l’assoluta naturalezza con cui ogni discorso pubblico dedicato al massacro di Circeo ha negato uno spazio che non fosse morboso alle persone che invece andavano messe al centro della storia, ai soggetti da guardare, cui dar voce e coscienza, vale a dire due donne: Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Nessuno dice che fu una violenza di genere. Pur attaccandolo, nessuno mise veramente in crisi uno sguardo del dominio per cui il corpo femminile resta pur sempre preda e campo di battaglia, non spazio di autodeterminazione offesa. Il risultato di questa inerzia di sguardi prodotta dai tempi fu che il senso comune rimase garante dell’irrilevanza politica di quella violenza maschilista, spostata sulla preoccupata rappresentazione della natura mostruosa dei bravi ragazzi rovinati dall’ambiente circostante o dalla mutazione antropologica. La questione di fondo è rimasta come redimere la società dagli stupratori, non di come difendere e liberare le donne, le ragazze, dalla cultura dello stupro. Violenza sessuale  “Perché non hai detto di no?”  finché dominano assetti di sguardo patriarcali per cui l’imputata nei processi sembra vittima e non chi ha compiuto la violenza, chi tace non acconsente. Chi tace, ha paura e basta. Capitolo 4: Spazi e stile. Sistemi di valori: La domanda di uno spazio che favorisca l’ispirazione funziona in senso sia letterale sia metaforico. Lo spazio cercato dalle donne che scrivono è sia esterno che interno, perché corrisponde alla conquista di uno spazio fisico e, contemporaneamente, di uno spazio mentale di concentrazione. Lo spazio intorno alle donne è anche stato uno spazio diversamente vuoto, o pieno; perché è uno spazio in cui i loro corpi e le loro menti si sono presi cura anche della manutenzione della vita come immanenza, dandole spazio regolare nella propria mente, e svolgendo lavori e mansioni quotidiane di cui gli uomini non si sono “normalmente” dati pensiero e occupati storicamente. E così lo spazio di scrittura e creatività delle donne è di solito una situazione artificiale, perché “normalmente” non c’era, e perché in quella dimensione si compie e rinasce un tempo strappato ad altro. Anche per questo le donne possono fare più fatica degli uomini a scrivere. È come se ogni volta avesse bisogno di allestire un set, esprimendo un sentimento che spesso racconta un’incertezza sociale e culturale pienamente regolata dalle logiche patriarcali di divisione del lavoro. Per una donna studiare, scrivere, dipingere, indirizzare il proprio talento creativo e le proprie ambizioni al di fuori degli spazi domestici spesso non ha significato elevare e perfezionare il proprio destino, ma smentirlo e tradirlo. Scrivere significa collocarsi in uno spazio di autorevolezza e credibilità dove non era affatto scontato o naturale trovarsi. Se all’origine della storia del romanzo moderno incontriamo così tante autrici e lettrici è abbastanza probabile che questa maggiore libertà di frequentare la letteratura, come ha scritto George Eliot, sia dipesa proprio dall’assenza di “rigidi requisiti”, ossia della possibilità del romanzo di “assumere qualsiasi forma”. Karen Horney, fondatrice della female psychology, fu una delle voci più critiche delle teorie freudiane, e parlò, per esempio, anche di invidia maschile per l’utero, per decostruire le teorie che spiegano l’insicurezza e la dipendenza femminile del maschile in termini di masochismo essenzialista, anziché come esito dei modelli di socializzazione e istruzione. Horney sosteneva che le donne invidiavano agli uomini il potere e i privilegi, non il pene. È venuto il tempo che anche gli uomini si occupino delle opere delle donne: le leggano, le guardino, le studino, ne scrivano. Lavorare in uno scenario abitato anche dallo spazio delle donne significa allora riconsiderare gli assetti e le idee tradizionali di stile e di canone, che, in quanto “abitudini” letterarie, vale a dire convenzioni codificate da precisi contratti sociali, vanno via via ripensati e guardati dentro il tempo che li ha formulati. Altrimenti stile e canone rischiano di rimanere laboratori permanenti di disuguaglianza e di sessismo. Anche sul piano degli studi di genere, lo spazio delle donne, proprio in quanto zona di libertà e in quanto senso del fuori campo, non può essere una terra dove ritrovare con certezza, disseppellendoli a ogni angolo, tesori nascosti che avevamo la sicurezza di scovare a priori. Perché bisogna avere il coraggio di dire anche questo: il lavoro di silenziamento, oscuramento, inabissamento ecc delle donne praticato per secoli dalla cultura patriarcale in tanti casi, purtroppo, ha funzionato bene e irreversibilmente. L’extraletterarietà come feticcio: Davanti a quella sorta di fortezza sorvegliata che può diventare lo spazio della letterarietà, la questione è interrogarsi sul senso delle gerarchie, delle categorie e degli spazi, tanto testuali quanto simbolici. Cosa si intende per “extraletterario”? Sia ciò che resta fuori dai valori artistici per difetto di linguaggio e di espressione; sia ciò che non è conforme, che rimane contenuto e basta. Brano: Il crimine, del libro di Ada Negri, Le solitarie: parla di un aborto, cioè di un soggetto quasi sempre censurato (cancel culture). La protagonista del Crimine si chiama Cristina, è sposata, ma vive lontano dal marito, emigrato in Argentina; Cristina, innamoratasi di un cavapietre è rimasta incinta, senza che l’uomo voglia più scappare con lei come aveva promesso; adesso dovrà trovare qualcuno che la aiuti ad abortire clandestinamente (testo). Il Crimine è uno dei rarissimi testi della letteratura italiana che parlino direttamente di aborto, senza trattarlo da spunto o pretesto metaforico, ma rappresentandolo come fatto fisico e concreto che avviene. Al centro del brano c’è una solitudine, che è resa anche più espressiva e straniante attraverso un andamento monotonale. La solitudine rappresentata non è un sentimento indistinto di noia e malinconia, ma è la solitudine di molte donne che hanno vissuto quell’evento, quando sono andate di nascosto da una vecchia a farsi dare qualcosa che, se non le faceva morire, almeno riusciva a farle abortire. E così la solitudine è al tempo stesso tema e forma, perché è lacerazione dagli oggetti, senso colpevolizzato e terrorizzato del tempo e dell’ambiente. Se non facciamo spazio a questo tipo di lettura e sguardo, il risultato è il senso di una noncuranza formale che spiega perché il Crimine e la raccolta di cui fa parte, siano testi che sono spariti per decenni, malgrado la presenza di una qualità letteraria della scrittura. Temi  e così parlare di spazi domestici, di memorie familiari, del mondo della madre, dell’autobiografia, di storie d’amore o del corpo è stata a lungo una scrittura creduta inferiore, se praticata da autrici o, viceversa, un argomento di interesse se a raccontarci quel medesimo modo intimo e privato cominciava invece un uomo. Le donne nei romanzi: Cosa può fare una donna nei romanzi scritti dagli autori italiani contemporanei? In molti casi la morta, la nonna, la madre, l’amica perfida, la moglie stronza, la figlia edipica, l’amante, la ragazza ninfomane, la sconosciuta stupida e in ogni caso sempre una donna eterosessuale. È interessante notare come questo inventario, che perimetra un modo stereotipato di intendere la funzione del femminile, trattandolo giusto come specchio di un io maschile sotto assedio, questo inventario ci racconta che la difficoltà di rappresentare le donne in molti casi non è un problema delle donne, ma degli uomini. Capitolo 5: Spazi aperti. Il patriarcato “non è” la preistoria: La scommessa per uno spazio delle donne era e rimane questa: capire come ripensare e ricostruire l’esperienza e la storia delle donne, a partire dalla loro letteratura rimettendo in prospettiva un passato così pieno di talenti azzerati e di opere occultate. Soltanto dopo la morte di Emily Dickinson, nel 1886, fu scoperto nella sua camera il corpus delle sue poesie: più di 1700 testi scritti su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo. Non possiamo sapere quanti altri canzonieri siano rimasti nascosti o quante tele di autrici siano andate bruciate. E così, per mettere in campo anche il senso di questa parte così corposa, annerita, della storia, si tratta di ragionare in termini di qualità e collocazioni diverse dello sguardo, di sistemi di valori, di “effetti di composizione”. I discorsi, le opere, il lavoro culturale e materiale, i fatti che riguardano le donne non abitano un continente a parte, da confinare in stanze separate. Un’ulteriore zona da dissodare è il terreno del paternalismo benevolo, a cominciare dalle sue posture stilistiche. Finché l’implicito dei discorsi rivolti alle donne, quando si aprono confronti e conflitti, sarà: “non avete ancora imparato a comportarvi o a fare bene come agli uomini”, l’ordine simbolico sottinteso rimarrà una gabbia coloniale perché prevede una società in cui le donne sono più suddite che cittadine. Nel linguaggio cinematografico il fuori campo è ciò che non viene mostrato ma che tuttavia esiste, perché vive nello spazio di cui l’inquadratura è solo una minima parte. Lo spazio delle donne costruito insieme può funzionare come fuori campo attivo, cioè come tipo di messa a fuoco dinamica che genera dubbi e domande intorno a ciò che si vede, creando una dialettica tra ciò che è visibile e riconoscibile e ciò che invece è invisibile, ma tuttavia è implicato. Lo spazio delle donne infatti non è mai quello dentro il quale arriva a conquistare il centro una donna che si erge a portavoce appassionata di tutti i valori patriarcali rilanciando e confermando tutta la violenza storicamente esercitata contro le donne. Lo spazio delle donne non è e non può essere mai uno spazio contiguo ai valori a suo tempo affermati dal fascismo. Lo spazio delle donne come spazio di multiculturalismo: La difesa dell’uguaglianza e della dignità delle donne contro la persistenza o restaurazione di assetti patriarcali, fissa anche il punto forte di incontro e alleanza tra i femminismi e il multiculturalismo in nome di battaglie comuni e parallele. Lo spazio delle donne è un progetto di società dove le identità altre abbiano riconoscimento e spazio. Il fatto è che le difficoltà, il senso di esclusione e il razzismo di cui le persone immigrate sono oggetto sfavoriscono anche l’emancipazione da modelli culturali sessisti. In tal senso, femminismo e multiculturalismo possono anche diventare termini in tensione. Lo spazio delle donne, insomma, è anche uno spazio dove si può e si deve avere il coraggio di dire che il patriarcato non è stato e non è solo un fenomeno riguardante i paesi occidentali e del capitalismo avanzato, ma è una condizione che riguarda anche le culture di immigrazione. In un contesto patriarcale, il fatto che a scuola fino a poco fa abbiano lavorato soprattutto le donne, perché l’insegnamento in un certo senso era la professione ritenuta più conciliabile con il lavoro di manutenzione della famiglia e della casa, ha sfavorito anche la scuola, in senso economico, culturale, politico, oltre che le donne. La scuola, come la questione del femminismo, è una questione politica sostanziale che riguarda tutte e tutti. Proprio di questa reciprocità fa parte anche la cultura del politicamente corretto. Tutti i sistemi sociali e culturali dove la libertà non è un paravento retorico, ma un progetto politico e umano reale, costruito attraverso il confronto con le diversità e le minoranze, sono per il politicamente corretto. Mediazioni creative: Raccolta di Alice Munro, 1968, Danza delle ombre felici: si narra di come ogni anno da un tempo immemorabile un gruppo di ex allieve indaffarate arriva nella piccola casa di un’anziana maestra di pianoforte, Miss Maesalles, per assistere al saggio finale delle sue scolare più giovani. Sono riunioni sempre più sgangherate, fa un caldo soffocante, le mosche ronzano indisturbate e intanto la narratrice sbuffa perché è l’allieva più grande. Proprio quando tocca a lei suonare, ecco l’inatteso: una decina di bambini si unisce al ritrovo. Chi sono? Bisbigliano le altre ospiti. Sono i piccoli della Greenhill School, delle “creature d’oro” ma non del tutto a posto, una banda di “piccoli idioti”, speriamo che la festa finisca in fretta.
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