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RIASSUNTO LOPORCARO. PROFILO LINGUISTICO DEI DIALETTI ITALIANI, Sintesi del corso di Dialettologia

Riassunto completo del manuale.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 18/01/2020

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Scarica RIASSUNTO LOPORCARO. PROFILO LINGUISTICO DEI DIALETTI ITALIANI e più Sintesi del corso in PDF di Dialettologia solo su Docsity! “Profilo linguistico dei dialetti italiani” di Michele Loporcaro CAPITOLO 1 IL PROBLEMA DEL DIALETTO Dialetto e lingua Dialetto: termine utilizzato per designare una varietà linguistica non standardizzata, tendenzialmente ristretta all'uso orale entro una comunità locale ed esclusa dagli impieghi formali ed istituzionali. Il termine dialetto è stato utilizzato anche per designare le diverse varietà del greco nei loro diversi impieghi nei diversi generi letterari. Lingua: è l'italiano standard su base toscana, dal '500, con Pietro Bembo e con le sue “prose della volgar lingua” (1525), nessuno in Italia ha dubitato dello status di lingua del fiorentino. Lo statuto sociolinguisticamente subalterno ha caratterizzato e caratterizza ugualmente in Italia varietà linguistiche che stanno con l'italiano su base toscana in rapporti del tutto diversi dal punto di vista storico e genealogico. Si tratta di varietà dialettali di altre lingue giunte in Italia per colonizzazione/migrazione→ isole o colonie linguistiche alloglotte. Varietà: un qualsiasi sistema linguistico facendo astrazione da considerazioni di prestigio, uso, estensione geografica ecc e senza le ambiguità sedimentate nel termine dialetto. Il repertorio linguistico in Italia: fra dialetto e lingua I dialetti sono dunque varietà italo-romanze indipendenti. ➢ Dialetti romanzi primari: varietà che con l'italiano stanno in rapporto di subordinazione sociolinguistica e condividono con esso una medesima origine ➢ Dialetti secondari: dialetti insorti dalla differenziazione geografica di tale lingua anziché di una lingua madre comune (in Italia sono i dialetti regionali) Lo studio del tipo di stratificazione del repertorio è stato inaugurato da Pellegrini che distingue quattro livelli: 1. italiano standard 2. italiano regionale: si distingue per fonetica, morfologia e lessico 3. dialetto regionale 4. diletto locale Eteronomia e lingua tetto Varietà autonoma: quando i parlanti riconoscono in essa stessa la sua propria norma, si definisce anche lingua tetto. Varietà eteronoma: rispetto ad un'altra varietà A quella varietà B i cui parlanti riconoscono in A la norma cui B va riferita e/o si dovrebbe adeguare. Sul piano strutturale, un rapporto di eteronomia apre la strada al progressivo avvicinamento del dialetto alla lingua tetto, per standardizzazione, l'aspetto più vistoso di standardizzazione è quello lessicale. Isoglosse, confini dialettali, continuum Isoglossa: è una linea tracciata su una carta linguistica che divide due aree in cui il medesimo tratto abbia valori distinti. Eteroglossa: l'insieme di due linee, una marcante il limite estremo di un'area, l'altra quello di un'area adiacente che presenta un diverso valore del tratto in questione. Classificazione dialettale: si fonda su di un misto di criteri interni (la classificazione poggia sulle somiglianze e differenze fra dialetti accertate in base al metodo dell'individuazione di isoglosse) ed esterni (natura storico-culturale, storico-politica, storico-demografica o geografica). Continuum dialettale: territorio sul quale i dialetti evolutisi in loco a partire dal latino sono legati fra loro da una “catena di intercomprensibilità” (prosegue anche oltre i confini italiani). Il mutamento linguistico come fattore di dialettalizzazione La distinzione fra i valori di un tratto linguistico si deve spesso al fatto che in una delle due aree si è prodotto un mutamento linguistico. L'elaborazione di questo metodo è legata soprattutto alla scuola dei neogrammatici; l'ipotesi fondamentale è che il mutamento sia regolare, colpisca cioè in una data lingua in un dato momento tutte quante le parole presentanti le condizioni appropriate. Se si riscontrano eccezioni (almeno apparenti): ➔ il metodo di cercarne dapprima una spiegazione interna e solo successivamente una esterna (si dovrà verificarne se un altro mutamento fonetico abbia interferito) ➔ il passo successivo consiste nel verificare se essa possa avere cause di natura morfologica (es: per analogia sulle restanti forme di un paradigma) ➔ per la spiegazione di un'eccezione è il ricorso alla postulazione di un prestito, ovvero all'assunzione della parola in questione, che non mostra il mutamento altrimenti regolarmente applicatosi, da altra lingua. Classificazione dialettale e mutamento linguistico Schuchardt: un'altra corrente di studi di linguistica (storica) romanza ha insistito sull'esistenza di continua dialettali e sull'impossibilità di stabilire, al loro interno, confini dialettali netti. La dialettologia non ha però rinunciato alla classificazione e anche, in certa misura, all'indicazione di confini motivati linguisticamente. Il motivo delle non coincidenze evidenziate sulle carte ha una ragione semplice: il mutamento linguistico non procede solo nel tempo ma anche nello spazio. Oltre che nel tempo e nello spazio il mutamento procede in molti casi anche attraverso il lessico, conquistandone porzioni via via più ampie sino a generalizzarsi, ovvero restando incompleto. Il mutamento procede dunque nel tempo, nello spazio, attraverso il lessico, anche entro la comunità linguistica, attraverso gruppi di parlanti, variazione diastratica, e attraverso gli stili selezionati dai diversi contesti d'uso, variazione diafasica. Lo studio dei dialetti italiani: metodi e strumenti Dialettologia: sottodisciplina della linguistica che ha il dialetto come oggetto di studio. La dialettologia si consolida come disciplina scientifica moderna nel primo Ottocento, in Italia l'iniziatore è Graziadio Isaia Ascoli, che forniva il modello per lo studio della struttura linguistica dei dialetti in un clima culturale in cui la direttrice fondamentale di ricerca era la linguistica storica, considerava i fatti linguistici includendo di necessità nella descrizione la dimensione temporale. Prospettiva sincronica (Sassure): idea che sia legittimo studiare una lingua come sistema, a prescindere dal suo mutare nel tempo. Corollario: • Ascoli: si può distinguere, nello spazio, fra dialetti che presentano e dialetti che non presentano il mutamento x. • Schuchardt: nega che si possano individuare confini fra dialetti, poiché i mutamenti procedono non solo nel tempo ma anche nello spazio. Dialettometria: Prospettiva geolinguistica. La dialettometria misura distanze “strutturali” senza passare per una razionalizzazione della struttura linguistica. Ne emerge che l'area dialettale che, rispetto a Roma, mostra il più alto tasso di similarità è quella perimediana e toscana; mentre il franco- provenzale valdostano e il romancio si collocano al livello minimo di similarità. Gli atlanti costituiscono una raccolta di risposte che rappresentano atti di parole. Non vi è contenuta alcuna analisi del sistema delle singole varietà. “Grammatica storica” di Rohlfs: principio ordinatore che è fornito da tratti strutturali ma che, pur senza alcuna carta, procede nella descrizione raggruppando i fenomeni per aree geografiche. Gli atlanti linguistici a) Sprachatlas des deutschen Reichs (Wenker): primo progetto europeo di un atlante linguistico. Löfstedt equivale a dire che di varietà geografiche di latino, precedenti e preludenti alle corrispondenti varietà dialettali romanze, in realtà non c'è alcuna traccia. ➔ Herman:differenze sistematiche nel parlato delle diverse regioni esistevano, ed è possibile provarlo. Breve storia dell'uso e della documentazione dei dialetti La documentazione di una lingua è passata necessariamente per lo scritto. Scrivere in volgare, scrivere in dialetto Le prime indicazioni su fenomeni linguistici poi divenuti propri dei dialetti italiani si possono scorgere sotto la superficie della variazione nell'uso del latino nelle diverse province d'Italia in età imperiale. Le prime testimonianze volgari di qualche estensione appaiono gradualmente, in Francia nel IX sec, nelle altre aree romanze poco più tardi. In Italia la differenziazione dialettale ci apparve visibile sin dai primissimi documenti volgari che fino a tutto il X sec sono esclusivamente di provenienza non toscana. a) Indovinello veronese (fine VIII sec-inizi IX sec): primissimo testo di cui si discute se sia latino o volgare; b) Iscrizione nella catacomba romana di Comodilla (IX sec); c) Glossario di Monza (X sec): raccolta probabilmente lombarda di “parole o frasi di prima necessità a chi debba viaggiare in Oriente o intendersi con parole Orientali”; d) Placiti capuani (fra 960 e 963): quattro formule di testimonianza in volgare, mostranoforme tuttora rappresentate nel Centro-Meridione. Quanto si è detto sinora riguarda attestazioni scritte, e non registrazioni per iscritto dell'oralità dialettale. Testimonianze d'interesse dialettologico avant la lettre: a) “De vulgari eloquentia” Dante; b) Dodici versioni della novella I 9 del “Decameron” di Boccaccio ad opera di Lionardo Salviati pubblicata in appendice al suo “Degli avvertimenti della lingua sopra 'l Decamerone”. Documentazione scientifica: a) Raccolta primo-ottocentesca di versione dal Vangelo secondo Matteo promossa dal principe Luigi Luciano Bonaparte; b) Versioni della “Parabola del figliol prodigo” radunate nel 1830-35 dal torinese Giovenale Vegezzi-Ruscalla; c) “Testi dialettali italiani in trascrizione fonetica” di Battista. Descrizioni di dialetti: a) “Prissian da Milan de la parnozia milanesa” (1606) di Giovanni Ambrogio Biffi; b) “L'eccellenza della Lingua Napoletane con la maggioranza della Toscana” (1662) di Partenio Tosco; c) Grammatica “Del dialetto napoletano” dell'economista Ferdinando Galiani. Dal parlato senza scritto allo scritto senza parlato Già dai primissimi anni dopo il Mille escono i primi testi italo-romanzi e si inaugura un regime di convivenza nella penisola, tra diverse varietà volgari scarsamente in comunicazione tra loro. In questa fase si può parlare di volgari locali o. con Benedetto Croce, quanto all'uso letterario, di “letteratura dialettale spontanea”, che s'incrina quando il toscano inizia a emergere come varietà alta d'impiego sovraregionale. • Quattro-Cinquecento: “crisi linguistica”, quando le tradizioni municipali perdono rapidamente terreno e a suggello della quale sta la canonizzazione del modello fiorentino operata da Pietro Bembo nelle “prose della volgar lingua”. • Seicento: quella di scrivere in dialetto è ormai una scelta, inizia una lunga fase in cui il dialetto in letteratura è usato ad esempio nella commedia, per caratterizzare popolani di fronte ai ceti più alti, rappresentati come italofoni, oppure per opere novellistiche. • Sette-Ottocento: capolavori in dialetto che s'inscrivono a pieno titolo fra i massimi della letteratura italiano. • Novecento: fase nuova, progressiva ritirata dei dialetti dall'uso parlato e quindi col loro avviarsi alla scomparsa, si cristallizza una tradizione letteraria di lirica alta. In questa tradizione letteraria l'uso letterario del dialetto ha spesso il valore aggiunto di una ormai diffusa difficoltà di decodificare, eventualmente in connessione con un intenzionale ermetismo. Pensiero emblematico nella società→ “idea del dialetto come lingua morta, analoga a quel latino che è, con l'italiano, la sua terza lingua poetica” di Fernando Bandini. CAPITOLO 3 LA CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI D'ITALIA Cenni di storia della questione La moderna classificazione scientifica dei dialetti italiani inizia con l'articolo “L'Italia dei dialetti” di Ascoli. La novità di Ascoli è costituita dall'intervento che sta ne fissare un modello per cui la classificazione tiene conto non solo di geografia e storia ma anche di fenomeni linguistici. Con lui le isoglosse condivise entro un territorio e demarcanti una zona dall'altra diventano l'architrave della classificazione, ciò è il sintomo del consolidamento di un metodo scientifico per il trattamento dei fatti di lingua. È corollario che le isoglosse, i fatti linguistici considerati, fossero tutti diacronici, ossia relativi a sviluppi di questo o quel dialetto rispetto alla matrice latina. Ascoli definisce i raggruppamenti dialettali con un procedimento “centripeto”: a) dialetti che dipendono, in maggiore o minore misura, da sistemi neo-latini non peculiari all'Italia b) dialetti che su distinguono dal sistema italiano vero e proprio, ma pur non entrano a far parte di alcun sistema neo-latino estraneo all'Italia c) dialetti che possono entrare a formare col toscano uno spaciale sistema di dialetti neo-latini d) toscano Le classificazioni proposte successivamente mantengono tutte la centralità del toscano, divergendo però per quasi tutto il resto. Anche Dante nel “De vulgari eloquentia” aveva diviso la penisola in 12 aree dialettali, sei a destra e sei a sinistra degli Appennini. Si tratta tuttavia di una suddivisione puramente geografica. Lo spartiacque appenninico resta l'asse portante della classificazione dialettale di Fernow, che comincia a proporre alcuni tratti linguistici come caratterizzanti delle singole aree. Alla dimensione geografica si unisce quella storica con Biondelli, che suddivide i dialetti in sei famiglie ispirate ai popoli dell'Italia antica ma non sostanziate da riferimenti linguistici. Ai margini dell'Italo-Romània: le varietà alloglotte Le parlate alloglotte d'Italia si possono anzitutto classificare in dialetti romanzi e non. Varietà non neolatine: • Dialetti tedeschi parlati in Alto Adige • Dialetti sloveni in territorio italiano che si parlano lungo il confine delle province di Udine, Gorizia e Trieste • Dialetti croati che si parlano in Molise • Dialetti greci che persistono in due aree del Meridione • Varietà albanesi diffuse sull'intera area centro-meridionale dall'Abruzzo alla Sicilia Varietà romanze: • Varietà gallo-romanze, franco-provenzali e provenzali si parlano al confine nord-occidentale, in continuità territoriale con le aree corrispondenti in territorio francese e svizzero. • Area occitana • Dialetto catalano che si parla ad Alghero • Colonie gallo-italiche in Italia meridionale La questione ladina Il caso del ladino, statuto diverso nelle varie classificazioni. • Ascoli definì un'unità ladina articolata in tre aree geografiche discontinue:il friulano, il ladino dolomitico e il romancio. • Pellegrini è spinto a non riconoscere un'unità ladina, isolando il friulano come uno dei cinque sistemi dell'italo-romanzo da lui definiti e distinguendolo dal ladino centrale e dal romancio grigionese. • Merlo colloca il ladino fra le aree alloglotte al pari di occitano e franco-provenzale. • Da parte degli oppositori si fa valere il fatto che in nessun caso si tratta di innovazioni comuni che permettano di stabilire un'unità classificatoria distinta e indipendente dall'italo-romanzo. La “Carta dei dialetti d'Italia” di G.B. Pellegrini La classificazione dei dialetti italiani oggi di riferimento è quella proposta da Pellegrini con la “Carta dei dialetti d'Italia”: rispecchia una suddivisione dei dialetti italiani in 5 gruppi principali. La penisola può dunque essere suddivisa nelle seguenti aree dialettali: 1. dialetti settentrionali: gallo-italici, dialetti veneti 2. dialetti friulani 3. dialetti toscani 4. dialetti centro-meridionali: area mediana, alto-meridionali e meridionali estremi 5. dialetti sardi CAPITOLO 4 L'ITALIA DIALETTALE I vocalismi italo-romanzi Presentate in sintesi le singole aree dialettali italiane, la loro estensione e la loro definizione in termini di isoglosse distintive. I mutamenti qui prodottisi rispetto al latino sono infatti cruciali per definire le varietà romanze rispetto al latino e per classificarle differenziandole le une dalle altre. Vocali toniche Il latino si distingueva 10 fonemi vocalici. Dal punto di vista fonetico, si ha ragione di ritenere, che già in epoca classica alla lunghezza e alla brevità si accompagnasse una differenza fonetica nel grado di perifericità, secondo una fenomenologia che si osserva in molte lingue del mondo. I sistemi vocalici delle varietà romanze presentano sviluppi diversi a partire dal sistema latino, tutti però accomunati dalla perdita della distinzione fonologica di lunghezza vocalica. Lo sviluppo strutturalmente più semplice lo si riscontra nel sardo, con il collasso della quantità distintiva sono regredite le distinzioni fonetiche che si accompagnavano alla quantità. Fusioni timbriche: nel resto delle varietà romanze le differenze di timbro fra vocali originariamente lunghe e brevi hanno determinato la confluenza degli esiti Ĭ e Ē e di Ŭ e Ō rispettivamente in /e/ ed /o/ medio-alte. Il sistema vocalico cosiddetto pan-romanzo, con forme dell'italiano standard su base toscana che sta alla base di tutti i sistemi dei dialetti italiani e delle lingue romanza ha solo due eccezioni: il sardo e il rumeno. Alcune vocali hanno esito diverso in sillaba aperta e in sillaba chiusa, ma a ciò si aggiunge una serie di mutamenti che hanno labializzato le vocali alte e medio-basse anteriori e palatalizzato le posteriori. Fra i mutamenti che hanno colpito le vocali toniche, meritano qui menzione l'allungamento di sillaba aperta accentata e la metafonia, ovvero l'alterazione di una vocale tonia per l'effetto di una vocale seguente, perlopiù la finale. Entrambi insorgono dapprima come processi allofonici: l'allungamento ◦ torinese ◦ canavese ◦ biellese ◦ langarolo ◦ monferrino ◦ alto-piemontese 2. Il lembo occidentale della regione è occupato da varietà gallo-romanze. 3. I dialetti della fascia orientale dalla Alpi all'Appennino costituiscono varietà di transizione al lombardo o francamente lombarde. 4. La fascia sud della regione è in parte occupata dai dialetti liguri dell'Oltregiogo. Caratteristiche linguistiche del piemontese: 1. Consonantismo: a) passaggio da [j] di -G- (< -C-) intervocalica in contesto non palatale; b) per le dentali in posizione intervocalica la riduzione giunge spesso al dileguo; c) sempre nel consonantismo, il piemontese condivide con il ligure e il lombardo la palatalizzazione del nesso -CT; • Vocalismo: a) caratteristica in comune con tutti i dialetti del Nord-Ovest è la ricorrenza di [y ø], quest'ultima vocale in vari dialetti piemontesi non sorge per alterazione incondizionata di lat. -Ŏ- bensì solo in contesto metafonetico; b) i dialetti piemontesi hanno generalmente abolito la quantità vocalica distintiva che resta in alcuni dialetti conservativi; c) palatalizzazione di -À- in sillaba aperta; d) nel vocalismo atono si ha la tendenza alla sincope delle vocali protoniche; e) per quanto riguarda le vocali atone finali, il piemontese condivide la tendenza gallo-italica alla caduta. • Sintassi: a) è tipico del torinese e di buona parte del piemontese l'enclisi del clitico pronominale al participio nei tempi composti, il clitico originariamente anteposto, è passato alla posizione odierna attraverso una fase di reduplicazione; b) posizione postverbale della negazione (condivisa con il lombardo). Lombardia Dialetti lombardi: 1. Lombardo occidentale→ si estende nella provincia di Milano, Varese,Como, Sondrio e nella parte meridionale della Svizzera italiana. ◦ Rotacismo “ambrosiano” diffuso in antico e oggi resistente in aree conservative, nonché la caduta di [l r] finali dopo vocale tonica; ◦ conservazione di tre esiti distinti in corrispondenza di (-S)S-, (-)C-/(-)CI- e -TI-; ◦ nel vocalismo mantiene l'esito [y] dal lat. Ū, sia in sillaba chiusa originaria che in sillaba aperta e mantiene generalmente l'opposizione di quantità vocalica che si trova sino alle propaggini più occidentali; ◦ nella morfologia verbale la desinenza di I plurale -[um] atona; ◦ per la sintassi si noterà la posposizione della negazione al verbo. 2. Lombardo orientale→ province di Bergamo e Brescia e le parti settentrionali delle province di Cremona e di Mantova. ◦ Vocalismo: abbassamento di [i] e [y] ad [e] e [ø] in sillaba originariamente chiusa; ◦ consonantismo: tipica la cancellazione di [v] intervocalico, anche in fonosintassi e la caduta di [n] dopo vocale tonica; ◦ si conservano [l] e [r] finali dopo vocale tonica. 3. Lombardo alpino→ al margine settentrionale include in bacino della Toce in Piemonte e in Lombardia e la Valle Spluga e l'alta valle dell'Adda. ◦ Tendenza alla palatalizzazione di -À-, specie in vicinanza di consonante palatale, e la palatalizzazione delle consonanti velari davanti a -A-; ◦ conservazione dei nessi di consonante + L (tranne GL); ◦ tratti morfologici come il plurale femminile in -[àn] tonica ristretto ai nomi di persona e di parentela e quello in -[(a)n] atona; ◦ formazione della I plurale a partire da HOMO. La classificazione avviene per ragioni storiche, orientata su Milano: “di qua” e “di là” dell'Adda, sono, rispetto a Milano, i dialetti lombardi occidentali e orientali. Le caratteristiche di tutti i dialetti lombardi sono perlopiù pansettentrionali, comuni ai dialetti del Nord-Ovest. • Tratto caratteristico della maggior parte dei dialetti lombardi è l'esito sonoro -CL- (-TL-); • nella morfologia verbale è tipico del lombardo una desinenza anetimologica alla I persona singolare del presente indicativo: per lo più -[i]. Trentino Il Trentino presenta un quadro di transizione: vi si incrociano caratteristiche lombarde, ladine e venete, rispettivamente più marcate nelle parti occidentale, settentrionale e sud-orientale. • Tratti comuni al lombardo→ ricorrenza delle vocali [y ø] che raggiungono il Trentino centrale e, poco più a est di Trento (scompaiono in Valsugana ove il vocalismo è di tipo veneto). • Tratti comuni al gallo-italico→ la zona orientale oppone la conservazione di tipo veneto. In bassa Valsugana le vocali finali cadono dopo l, r, n, secondo il modello veneziano. • Caratteri ladini→ nel Nord la palatalizzazione delle velari davanti ad -A- e la conservazione di -S. • Carattere proprio del Trentino (centrale)→ opposizione tra due forme distinte per genere nel verbo finito per la sola III singolare di “essere”. Veneto Dialetti veneti: 1. veneziano 2. padovano-vicentino-polesano 3. veronese 4. trevigiano-feltrino-bellunese In territorio veneto si parlano anche i dialetti ladini. Le distinzioni fra i sottogruppi del veneto erano più marcate in fase medievale. È soprattutto il veneziano a garantire la posizione autonoma del veneto entro il raggruppamento italiano settentrionale. Isoglosse fondamentali condivise con i dialetti gallo-italici: ➔ degeminazione; ➔ lenizione; ➔ ambito morfologico e sintattico: ricorrenza dei clitici soggetto, la coniugazione interrogativa che a Venezia alla I singolare s'incontra solo con pochi verbi irregolari e il costrutto impersonale di tipo settentrionale. Caratteristiche proprie dei dialetti veneti: ➔ conservazione delle vocali atone finali, cadono soltanto /e/ dopo /n l r/ scempie ed /o/ dopo /n/ e in alcuni suffissi; ➔ le sonoranti geminate precedenti la vocale finale, successivamente degeminatesi, sono rimaste però sufficientemente a lungo da impedirne la caduta; ➔ le parlate venete centrali conservano anche oltre in veneziano apocopando solo dopo /n/; ➔ il trevigiano ha progressivamente restaurato il vocalismo finale per influsso di Venezia; ➔ vocalismo: ricorre in Veneto il dittongo da lat. Ĕ, mentre il dittongo da Ŏ resta in qualche modo forma ma è per lo più ridotto a [o]; ➔ consonantismo: l'esito non palatale del nesso -CT- disgiunge il veneto dai dialetti del Nord- Ovest avvicinandolo al toscano e all'emiliano-romagnolo. Diffuse nel veneto rurale sono le consonanti interdentali [θ ð] neutralizzatesi nei dialetti urbani con [s z]; ➔ nella morfologia nominale e verbale caratterizza il veneto il mantenimento di morfemi desinenziali come -e del plurale femminile od -o alla I singolare. Alla I plurale il veneto centrale e lagunare, nonché il veronese urbano, presentando l'uscita -[emo], mentre le varietà periferiche hanno forme con cancellazione della vocale finale e trevigiano -[èŋ], feltrino e bellunese [òn]. In tutti i dialetti veneti c'è l'uguagliamento della III persona plurale alla III singolare. Tipicamente veneto è anche il participio passato in -[esto]. Emilia Romagna Merlo propone una suddivisione per fasce orizzontali (sottosezioni): • settentrionale • centrale • meridionale o romagnola Pellegrini propone una suddivisione parzialmente diversa che procede in senso ovest-est: • emiliano occidentale • emiliano orientale • romagnolo Caratteristiche linguistiche dell'emiliano e del romagnolo: a) palatalizzazione di -A- tonica in sillaba aperta. La palatalizzazione si produce anche davanti a -L/R- + consonante, contesto in cui in generale i dialetti emiliani presentano allungamento delle vocali toniche. L'isoglossa della palatalizzazione di Ū > [y] entra in Emilia da nord sul corso del Po nel Reggiano. L'estremo confine sud-orientale della palatalizzazione gallo-italica di Ŏ in [ø], confine che in pianura corre più ad est di quello di [y] e dunque a Parma, accanto a [u], si ha [ø] in sillaba originariamente aperta, diversamente che a Reggio, Modena e Bologna; b) frequenti le dittongazioni delle vocali toniche che si concentrano particolarmente nella piana bolognese e in Romagna; c) fenomeno diffuso in tutta la regione è l'alterazione delle vocali toniche davanti a consonante nasale; d) nel vocalismo tonico la quantità vocalica distintiva, diffusa nel Settentrione, ad eccezione del Veneto, rimane in emiliano anche in parossitono; e) caratteristica dell'intera Emilia Romagna è la sincope delle vocali protoniche; f) la caduta delle vocali finali interessa la generalità dei dialetti emiliani; g) nel consonantismo l'Emilia Romagna condivide i tratti gallo-italici della lenizione e degeminazione (le varietà appenniniche risultano attardate, degeminando solo in protonia); h) importante isoglossa consonantica distingue i dialetti emiliani orientali e occidentali: quest'ultimi hanno infatti visto confluire gli esiti di (-)CI-/-TI- con quelli di (-S)S-; i) nel bolognese gli esiti delle originarie affricate sorte dai nessi con -I- si mantengono distinti dalle sibilanti originarie; j) nella morfologia è da notare che l'Emilia conserva la distinzione fra le desinenze di III singolare e plurale, mentre in romagnolo la III plurale si eguaglia alla III singolare. Dialetti friulani Il friulano è autonomo rispetto agli altri dialetti nella classificazione di Pellegrini data la sua costituzione autonoma. I dialetti friulani sono divisi in: come dittongazione, il dittongo metafonetico compare regolarmente in posizione prepausale mentre può tuttora regredire in parlato connesso se la parola ricorre in protonia sintattica. Nel Meridione estremo ricorre anche la metafonia per innalzamento; e) la distinzione nella vocale tonica insorta per metafonia viene a supplire alla perdita delle distinzioni nella morfologia flessiva, dovuta alla neutralizzazione delle vocali finali in [ɘ]; f) sia il genere che il numero sono marcati sulla desinenza, ma in aggiunta il genere viene marcato anche sul morfema lessicale, dato che il maschile e il femminile hanno una vocale tonica distinta; g) assenza di sonorizzazione/lenizione intervocalica; h) soppressa la distinzione tra B- e V- anche in posizione iniziale, con l'unico fonema risultatone realizzato da una variante debole ([β] o [v]) intervocalicamente, all'iniziale e dopo [r] e da una variante forte [b(b)] ricorrente dopo /s/ e come geminata, all'interno di parola e per raddoppiamento fonosintattico (betacismo→ preservato in alcuni dialetti ma in via di scomparsa quasi in tutta l'area); i) assimilazione dei nessi consonanti -ND-, -MB- > [nn mm] (→area conservativa); j) mantenimento di (-)I > [j], con cui confluisce l'esito di (-)G-, spesso in posizione forte [j] si rafforza in un'occlusiva [ɉɉ]; k) palatalizzazione di -MI- > [ɲɲ] abbraccia per intero Lazio e Umbria e arriva sull'Adriatico ad Ancona; l) esiti dei nessi con -I-, in particolare -RI- > [r]; m) -PI- > [čč], il fenomeno si arresta a sud di Roma; n) assenza del raddoppiamento fonosintattico condizionato dall'accento. Ovunque ricorre il raddoppiamento fonosintattico prodotto dall'assimilazione d'una consonante originariamente finale; o) assenza di forme deboli di articolo determinativo maschile singolare in posizione preconsonantica. L'articolo ha sempre l'unica forma forte, uscente in vocale; p) per quanto riguarda il pronome si conserva una forma dimostrativa; q) nella morfologia del nome è diffusa la presenza di plurali maschili in -A. Ricorre in molte zone anche il plurale in -ORA, scaturito dalla rianalisi TEMPORA > TEMP-ORA; r) in ambito sintattico c'è il marcamento preposizionale dell'oggetto diretto con i pronomi di I e II persona e a seguire con i pronomi di III, i nomi propri, i sintagmi nominali definiti designanti essere umani e i sintagmi nominali indefiniti. Tratti meridionali: Alcuni tratti ricorrono in tutti i dialetti del Meridione escludendo l'area mediana. • Nel consonantismo è questo il caso della convergenza degli esiti di (-)PL- e (-)CL- in [c(c)]; • Nel Lazio meridionale si è estende la riaccentazione delle sequenze di due enclitiche; • Nel paradigma verbale è in generale assente nel Meridione il futuro sintetico; • Generalmente è scomparso nel Meridione anche il congiuntivo presente, sostituito dal presente indicativo nelle dipendenti e dall'imperfetto congiuntivo nelle principali; • Mancata palatalizzazione di -SC- e la mancata applicazione della metafonia di [e] tonica mostrano che, prima di diventare [ə], la vocale desinenziale del congiuntivo era la stessa -A rimasta nei toscani; • Tratto sintattico: avanzamento dell'oggetto indiretto clitico e oggetto diretto; • Costruzione con a in dipendenza da nome di parentela usato predicativamente (oggi meridionale, non mediana); • Collocazione dei clitici pronominali sul verbo modale e non sull'infinito, inoltre resta in molte varietà la proclisi all'infinito in luogo dell'enclisi standard. Caratteri mediani e alto-meridionali: • Sistema vocali a sette fonemi tonici che il Meridione estremo a ridotto a pentavocalico; • metafonesi di Ĕ Ŏ toniche alla quale si aggiunge la metafonesi di /e o/ protoromanze (ignota nel Meridione estremo dove ogni /e o/ s'è innalzata incondizionatamente); • apocope della desinenza dell'infinito che è però da secoli stabilizzata in tutta l'area mediana e alto-meridionale; • Consonantismo: assimilazione di -LD- > [ll], strutturalmente parallela alle assimilazioni - ND-, -MB- > [nn mm]; • Morfologia: presenza di una distinzione maschile ≠ (neo)neutro, realizzata in modi diversi. Nel neutro il raddoppiamento è stato causato dall'assimilazione della -C finale di *ILLOC; • Sintassi: conservazione dell'accordo participiale al di là delle condizioni dell'italiano standard, in particolare con l'oggetto diretto non clitico nei costrutti transitivi. Altre caratteristiche diffuse: • posposizione del possessivo come ordine normale; • forme enclitiche del possessivo; • distinzioni interne nel caso dell'ordine fra il nome e il focalizzatore “pure” sempre posposto; • esito delle vocali atone finali. Area meridionale: • distinzione tra -U ed -O finali latine; • conservazione di -U (> [u]) soltanto dopo vocale tonica non media; • distinzione fonetica -[o] ≠ -[u]→ opposizione di genere maschile ≠ neutro, nonché la connessa distinzione, nelle forme participiali, fra accordo al maschile e mancato accordo; • morfologia: forma di III plurale non epitetizzata che l'opposizione -[u] ≠ -[o] consente di distinguere dalle I singolari; • pronome personale: distinzione fra tre forme di caso nel pronome di I e II persona; • esito -RI- > [j]; • ricorrenza dell'articolo determinativo maschile singolare di forma debole, con alternanza (come nel toscano); • vocalismo tonico: palatalizzazione di -À- > [ɛ] in sillaba aperta; • vocalismo atono: indebolimento e cauta delle vocali protoniche. ◦ Anche dopo l'accento le vocali interne s'indeboliscono; ◦ l'intera sillaba finale è soggetta a indebolimento e cancellazione in contesto di frase; • degeminazione: • sull'Adriatico raggiunge Ancona dove rimane soltanto [ss]; • in altri dialetti della zona e, più a ovest, in un'area che tocca l'Umbria settentrionale e arriva fino all'Aretino, si ha prima dell'accento→ generale scomparsa del raddoppiamento fonosintattico. Alto Meridione: Al confine dell'area mediana inizia il territorio dei dialetti alto-meridionali. I principali fasci di isoglosse non seguono i confini regionali/provinciali. • Fenomeni che nell'area mediana scendono attraverso Abruzzo e Molise fino al gargano: ◦ -SI- > [š]; ◦ -BI-/-VI- > [j]; ◦ palatalizzazione di [s] davanti a dentale; • Linea Eboli-Lucera→ marca il confine sud-orientale: ◦ -CI- > [tts]; ◦ -LL- > [dd]; ◦ mantenimento della forma di clitico pronominale di I plurale [nə] 'ci' < N(O)S, sostituito più a nord dal tipo [nǧə] < HINCE (etimologicamente identico al toscano ci); ◦ vocalismo tonico: metafonia. Dopo questo fenomeno sono intervenute in molti dialetti, soprattutto sul versante adriatico, numerose alterazioni della vocale tonica in sillaba aperta che hanno determinato una sistematica differenziazione egli esiti vocalici secondo il contesto sillabico; ◦ palatalizzazione di -À- in sillaba aperta; • Struttura sillabica→ sistematica scansione eterosillabica dei nessi consonante + /r/: ◦ -A- tonica se preceduta da [u] passa a [wo] in sillaba aperta e a [ɔ] in sillaba chiusa (altrove passa a [ea] in sillaba aperta e resta [a] in sillaba chiusa), davanti a consonante + /r/ si ha l'esito di sillaba chiusa • Vocalismo finale atono→ i dialetti alto-meridionali sono caratterizzati dalla neutralizzazione di tutti i timbri vocalici in [ə] (alcune aree dell'alto Meridione tuttavia mantengono un vocalismo finale→ -[ə] ≠ -[ɐ] (o -[a])). • Le vocali finali sono soggette a riduzione/centralizzazione in parlato connesso, laddove -[o] finale percepita come -/o/ fonologica dai parlanti, può realizzarsi -[ʊ/u/ə], /e/ può ridursi a - [ə] ed -/a/ a -[ɐ]. • Vocalismo protonico si presenta ridotto in generale ad un sistema trivocalico. • Sistema verbale: ◦ mantenimento dell'opposizione fra passato prossimo e passato remoto; ◦ abolizione della distinzione fra III persona plurale e singolare. • “Zona Lausberg”: ◦ esito delle vocali toniche di tipo sardo e rumeno; ◦ conservazione di -S e -T nella flessione verbale, comune al sardo; ◦ pur perdute le -T- finali la III persona provoca raddoppiamento fonosintattico. Meridione estremo: si articola in tre sezioni: ➔ salentina ➔ calabrese ➔ siciliana Caratteristiche linguistiche principali: • convergere di -U -O [u], la confluenza simmetrica di -I -E > [i] risparmia il cosentino e il Salento centrale e meridionale; • dove vige il vocalismo siciliano non s'incontra la metafonia di /e o/ medio-alte protoromanze, mentre la metafonia delle medio-basse dal lat. Ĕ, per lo più per dittongazione; • consonantismo: presenza di consonanti retroflesse come esito di -LL- e -(S)TR-. Si ha dunque retroflessa -LL- > [ɖɖ] occlusiva retroflessa sonora, ma più spessp > [ɖɖʐ] affricata; • non presentano l'apocope nella desinenza infinitivale; • sintassi: l'infinito è soggetto a forti restrizioni d'impiego nei dialetti salentini, calabresi centro- meridionali e siciliani nord-orientali, in quest'area l'infinito resiste ovunque in dipendenza dal verbo modale “potere”, è opzionalmente possibile in dipendenza dal verbo causativo e di percezione, ma già in questi contesi si può avere una dipendente esplicita che è obbligatoria in dipendenza da “volere” e “dovere” e ricorre dopo verbi di moto, predicati aspettuali; • impiego ristretto del passato prossimo, esclusivamente con valore durativo-interativo; • vocalismo: nel Salento, il brindisino, ha un vocalismo di tipo “marginale” ed è caratterizzato dall'innalzamento di -E finale, esso presenta però metafonia che ha però vocalismo siciliano e conservazione dell'opposizione -/e/ ≠ -/i/. si hanno poi come esito generalizzato di Ĕ e Ŏ, indipendente dalla vocale finale, delle [eɔ] di apertura intermedia • in tutti questi diletti si ha un influsso di -/i/ finale, in alcuni anche di -/u/, e inoltre in alcuni la vocale tonica sensibile a tale influsso è solo /ɛ/, in altri anche [ɔ]. l'influsso della sola -/i/ colpisce d'altra parte anche la vocale posteriore; • dialetti siciliani: ◦ ricorrenza di costrutti infinitivali con soggetto espresso; ◦ pronome personale soggetto→ fissazione di [iɖɖu] “lui” < ILLUM all'interno della congiunzione ipotetica [siɖɖu] “se”. Dialetti della Sardegna La Sardegna è suddivisa in quattro aree dialettali:
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