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Riassunto Luoghi Etruschi, Dispense di Storia dell'arte antica

introduzione ed analisi generale della civiltà etrusca, con particolare focus sull'arte

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 11/06/2021

gaia-biciocchi
gaia-biciocchi 🇮🇹

4.6

(5)

12 documenti

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Scarica Riassunto Luoghi Etruschi e più Dispense in PDF di Storia dell'arte antica solo su Docsity! INTRODUZIONE Per “Etruria” si intende il vasto territorio dell’Italia centrale compreso tra il Tevere a sud, l’Arno a nord e l’Appenino ad est. La civiltà etrusca si sviluppò in un territorio caratterizzato da una natura selvaggia. La storia dell’Etruria è divisa in varie fasi cronologiche:  Fase finale dell’età del bronzo, che si conclude nel X secolo a.C  Periodo protostorico-villanoviano, ossia età del ferro, che va dal X al VIII secolo a.C, in cui l’Etruria è caratterizzata da un periodo geometrico.  Fase Orientalizzante, che va dall’VIII al VI secolo a.C  Fase Arcaica, che va dal 580 al 450 a.C, con una notevole espansione dell’Etruria.  Fase Classica, che va dal V al IV secolo a.C.  Periodo ellenistico, che va dal IV al I secolo a.C. Fin dalle prime manifestazioni, la cultura etrusca appare ben distinta da quella greca contemporanea, dalla quale subì molti influssi, e da quella romana, che invece dagli etruschi assorbì tradizioni e costumi. Totalmente diversa è infatti la LINGUA, nonostante l’uso dell’alfabeto greco, e peculiari sono la marcata religiosità, l’attenzione al mondo dei defunti e la tendenza conservatrice in senso aristocratico. Secondo lo storico Erodoto (V secolo a.C) gli etruschi erano immigrati dalla Lidia, nel Mediterraneo orientale, ed avevano colonizzato la fertile regione che si affaccia sul mar Tirreno. La migrazione sarebbe stata causata da una grave carestia abbattutasi sul loro paese di origine e sarebbe stata comandata da Tyrsenos, figlio del re. Per Dionigi d’Alicarnasso (I secolo a.C), invece, si trattava di un’antica popolazione autoctona, diversamente dai romani che avrebbero avuto apporti da popolazioni differenti, della quale sottolineava l’assoluta originalità dei costumi e della lingua. Oggi, si ritiene che tale civiltà sia un’eccezionale mescolanza di influssi culturali esterni e di un’etnia locale, vivificata dall’afflusso di piccole e diverse minoranze. Nel IX secolo, fanno la loro comparsa i primi gruppi di capanne che occupano altopiani fortificati naturalmente, delimitati e difesi da scoscese pareti a strapiombo. Le sepolture ad incinerazione di questo periodo, costituite da pozzetti scavati nel terreno, presentano ossuari di forma biconica coperti con ciotole e modesti corredi funerari che però già tendono a caratterizzare il sesso del defunto. Con l’VIII secolo, le sepolture denotano segni evidenti di una struttura sociale che va caratterizzandosi in senso gentilizio, ovvero per grandi gruppi super-familiari uniti dalla discendenza da un antenato comune. L’organizzazione sociale, spiega la fioritura dell’economia agricola praticata su terreni posti nelle immediate vicinanze degli insediamenti, con particolare attenzione alle coltivazioni dei cereali e dei legumi. Le comunità della tarda età del Ferro vivevano in agglomerati assai vasti, che nei decenni successivi si trasformarono nelle grandi città costiere di Cerveteri, Tarquinia, Veio, Vulci e Vetulonia caratterizzate da una spettacolare fioritura nel corso del VII secolo, mentre nell’Etruria settentrionale il fenomeno di aggregazione appare assai più lento ed era più conservatrice anche per la sua prevalente vocazione agricola. La vita domestica delle famiglie aristocratiche, si articolava in ambienti diversi, alcuni destinati alla lavorazione della lana e della produzione di alimenti. Non meno caratteristica degli usi, era la LINGUA ETRUSCA, che suscitò aspri dibattiti e polemiche, ad iniziare dall’alfabeto e dall’uso di scrivere da destra a sinistra. Le oltre diecimila iscrizioni conosciute, contengono in massima parte indicazioni di carattere onomastico e funerario, mentre alcuni dei testi più lunghi riportano calendari rituali con indicazioni di formule sacre e cerimonie da praticarsi in determinate date e in onore di specifiche divinità. Sempre in questo periodo, le città etrusche meridionali realizzano sulla costa, strutture portuali. Da qui, infatti, prendono il largo imbarcazioni che si rivolgono verso nuove rotte commerciali, tanto che il mare su cui affaccia la regione prende il nome di Tirreno, da “Tyrrhenoi”, nome greco degli etruschi. I marinai etruschi appaiono assai temuti e vengono ricordati per gesta leggendarie come il trafugamento della statua di Era nell’isola di Samo. I greci li definivano “pirati”, per le audaci imprese compiute nel Mediterraneo. La crescita economica dei vari centri urbani si tradusse anche in una ridistribuzione della ricchezza su più nuclei familiari; di ciò restano testimonianze inequivocabili come l’aumento di tombe monumentali. Durante la fase culturale del IV secolo, l’organizzazione politica in Etruria si basava su 12 città-stato, politicamente autonome, talvolta in contrasto fra loro, che esercitavano la propria supremazia su determinati territori. Esse si riunivano in cerimonie annuali, caratterizzate dalla venerazione di alcune divinità onorate con solenni sacrifici e competizioni sportive. Queste dovevano identificarsi con: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Volsinii, Chiusi, Perugia, Arezzo, Cortona e Volterra, a cui poi si aggiunse, dopo la distruzione di Veio da parte dei romani (396 a.C), Populonia. Vi erano officine particolarmente attive, circa la produzione di terrecotte architettoniche, soprattutto a Veio e Cerveteri. A questo momento storico deve riferirsi la testimonianza storica di Tito Livio, secondo cui la potenza degli etruschi era ampiamente estesa su terra e mare, superando i limiti regionali per spingersi fino alla Pianura Padana e alle fertili terre campane, dove il territorio presentava un’organizzazione in 12 città come l’Etruria. A Roma vengono accolte le tradizioni decorative etrusche, e proprio dall’ultimo dei Tarquini, Lucio Tarquinio il Superbo, viene eretto il grande santuario di Giove Capitolino, fastosamente ornato da Vulca. La fine della dinastia etrusca si colloca nel 509 a.C, allorché Tarquinio il Superbo venne cacciato e si rifugerà da Aristodemo, tiranno di Cuma, mentre a Roma sarà istituita la repubblica. Nel 474 a.C, le città costiere meridionali patirono una grave sconfitta navale presso Cuma da parte di Icrone di Siracusa, intervenuto a sostegno dei cumani con una flotta di triremi che annientò le navi etrusche. Della vittoria rimane una chiara attestazione nell’offerta di alcuni elmi in bronzo ritrovati nel santuario di Zeus ad Olimpia con iscrizione dedicatoria del trionfo dei siracusani. Ebbe così inizio un progressivo declino della presenza etrusca sul Tirreno, che continuerà nel corso del secolo con altri colpi inferti dalle truppe di Siracusa. Diodoro Siculo narra che nel 453 a.C Siracusa entrò nuovamente in conflitto con le città dell’Etruria. I centri dell’Etruria interna conservavano una notevole floridezza; ma la seconda metà del secolo fu anche teatro delle ostilità tra Roma e Veio, iniziate qualche decennio prima e poi riaccese per il possesso di Fidene, che fu assediata e distrutta dai romani nel 426 a.C. Veio fu definitivamente distrutta nel 396 a.C, e, con l’annessione del suo territorio, Roma aveva varcato per sempre la riva destra del Tevere, ormai non più fiume di confine. Da questo momento ha inizio la conquista dell’intera Etruria. Il primo ventennio del IV secolo si chiude con una regione indebolita che ha perduto il controllo dei territori campani e di quelli a nord dell’Appennino, con un’attività mercantile marittima molto ridimensionata e con alcune delle città costiere che hanno ripiegato verso un’economia di tipo agricolo, con la conseguente rioccupazione insediativa delle campagne. In questo quadro, una delle città più vitali nell’azione di contrasto, è Tarquinia, il cui territorio si trova in prima linea rispetto all’offensiva romana. A capo della città vi era Aule Spurinna, personaggio di elevato rango sociale e di notevole statura politica, le cui gesta si rivolsero sia all’Etruria meridionale che ai territori settentrionali, con l’invio dell’esercito per sedare una rivolta servile ad Arezzo. Non ebbe invece esito positivo l’offensiva da lui condotta contro i romani tra il 358 e il 351 a.C, la quale si concluse con una tregua di 40 anni, all’indomani di un episodio molto sanguinoso, ovvero l’uccisione di trecento prigionieri romani nel foro di Tarquinia. La storia etrusca sul volgere del secolo è contrassegnata dallo scadere della tregua quarantennale con i romani (311-310 a.C). Gli assalti etruschi si concentrarono su Sutri, fortezza di confine ormai gravitante nell’orbita romana e passaggio obbligato fra il Lago di Vico e quello di Bracciano. Per l’occasione alcune città dell’Etruria settentrionale, ad eccezione di Arezzo, inviarono contingenti militari. Il contributo più importante fu fornito da Perugia e Orvieto che in quel momento rivestivano un ruolo egemone. Il secolo si chiude con un’insurrezione popolare ad Arezzo che contrappose le famiglie dell’oligarchia locale alle classi subalterne, e che fu sedata soltanto grazie all’intervento delle truppe romane di Marco Valerio Massimo, circostanza che verosimilmente adombra un atteggiamento filoromano di alcune famiglie aristocratiche locali. Il potere dell’organizzazione militare romana non era ormai più arginabile: la sanguinosa disfatta di Sentino (295 a.C), nel quadro delle guerre sannitiche, segnò l’inizio della fine per diverse città etrusche. L’anno seguente Roma invase il territorio orvietano devastandolo, poi rivolse la propria furia su Roselle, saccheggiandola. Tra il 282 e il 273 a.C molti centri furono piegati, Vulci e Orvieto dovettero cedere la propria indipendenza. Populonia e Volterra furono conquistate, mentre gran parte del territorio di Cerveteri fu confiscato. Nella zona costiera verranno fondate diverse colonie: Alsium, Fregene, Pyrgi, Castrum Novum nell’agro di Cerveteri. Il controllo romano era ormai totale; la zona meridionale è interessata da ampie confische del territorio costiero di Vulci, Cerveteri e Tarquinia: all’opposto l’Etruria meridionale interna, in particolare l’area delle necropoli rupestri, conosce tra gli ultimi decenni del IV e il III secolo a.C un incremento demografico piuttosto significativo, imputabile ad uno sfruttamento agricolo più intensivo. La presenza di un ceto medio-alto è ravvisabile anche nelle necropoli tarquiniesi di quest’epoca, caratterizzate da tombe con più deposizioni ed una precisa organizzazione planimetrica come a Cerveteri. Per gli inumati vengono realizzati sarcofagi con la rappresentazione sul coperchio del defunto semidisteso e banchetto, in seminudità eroica negli esemplari più antichi, oppure coperto da mantello e tunica, in quelli del II secolo a.C. La consistente disponibilità economica delle famiglie aristocratiche è rispecchiata dalla presenza nelle tombe di decorazioni dipinte, solitamente con soggetti legati al mondo infero. In piena età ellenistica, periodo caratterizzato dalla diffusione nel Mediterraneo di una particolare combinazione della cultura greca e di quella dell’Oriente, a seguito della nascita dell’impero di Alessandro Magno; si tratta di una fase corrispondente agli anni tra la morte di Alessandro (323 a.C) ed il 31 a.C con la Battaglia di Azio e la conquista dell’Egitto da parte di Roma. In quest’epoca, l’Etruria settentrionale interna mostra un quadro economico positivo: un incremento delle attività artigianali e delle produzioni agricole, con una conseguente crescita demografica e un sacerdoti e le vestali fuggiti da Roma occupata dai Galli. Nella stessa occasione, un esercito di ceretani affrontò in territorio sabino i galli che avevano occupato Roma. Non sarebbe quindi da escludere che Roma, in seguito a queste vicende, avesse concesso il diritto di civitas sine suffragio ai ceretani. Però, nella guerra tarquiniese del 358-51 a.C, Caere interviene a favore di Tarquinia contro Roma, ma solo per l’anno del 353 a.C. Intorno alla metà del IV secolo, si afferma un nuovo tipo tombale: una grande camera ipogea, con loculi e banchine lungo le pareti e alcuni pilastri al centro, a volte comunicante per mezzo di una scala con un secondo ambiente ubicato a un piano inferiore (Tombe dei Rilievi, delle Iscrizioni, dell’Alcova, dei Pilastri…). L’uso è durato a lungo, a volte fino al I secolo a.C, stando alla presenza, nella medesima tomba di iscrizioni sia in etrusco che in latino. Nel corso del III e II secolo a.C, la gravitazione di Caere nell’orbita romana si fa sempre più intensa: nel suo territorio sono dedotte le colonie di Castrum Novum, Alsio, Fregene e Pyrgi. Nel 205 a.C essa contribuì all’allestimento della spedizione di Publio Cornelio Scipione contro Annibale con frumento e viveri di vario genere. Da ciò si deduce l’economia ceretana ormai essenzialmente agricola. VEIO Veio (in latino Veii), è una città di 190 ettari, di cui gli scrittori classici lodano l’antichità e la ricchezza. Occupa un pianoro sito nella bassa valle del Tevere, sulla riva destra, vicino all’attuale villaggio di Isola Farnese, distante in linea d’aria da Roma circa 15 km e delimitato da due corsi d’acqua che si congiungono a sud, il Valchetta e il fosso Piordo. Ai primi decenni del XIX, le ricognizioni topografiche di William Gell e Antonio Nibby, che segnalano tombe etrusche a tumulo e a camera. Le più antiche testimonianze, benché scarse, risalgono all’età del bronzo finale (seconda metà del X secolo a.C): i materiali fittili e bronzei della tomba a pozzetto 638 di Casale del Fosso, sono analoghi a quelli delle tombe di Tolfa Allumiere e del Lazio Antico. Vi erano dei fossati naturali che difendevano la città di Veio. Le case erano strutture molto semplici che si riflettevano nell’architettura funeraria. Con il villanoviano la situazione abitativa cambiò le capanne e varie necropoli piuttosto estese, che probabilmente si riferivano a nuclei insediativi distinti. Il tipo tombale è a pozzetto semplice o con custodia di tufo e, nella fase più recente, anche a fossa. I riti funebri potevano essere: - L’incinerazione; il cinerario è di norma biconico, eccezionalmente a capanna - L’inumazione Talvolta, sia il pozzetto sia la fossa hanno un nicchiotto laterale per il corredo funebre. Gli stessi aspetti si ritrovano in alcune necropoli. Nel periodo orientalizzante, ad esempio, gli impasti e i buccheri con decorazione incisa, si distinguono per la presenza di un pigmento all’interno delle incisioni. Accanto ai manufatti fittili e metallici di produzione locale, nei corredi villanoviani si riscontrano anche oggetti che si inquadrano in un giro di rapporti a largo raggio. E’ nota una produzione di situle considerata di fabbrica veiente, i cui esemplari evidenziano stretti rapporti con il repertorio decorativo dei bronzi hallstattiani; inoltre a Veio si conoscono repliche fittili di elmi crestati di un tipo a calotta rotonda e cresta bassa, i cui prototipi bronzei si trovano solo nell’Europa continentale. Nei corredi villanoviani di fase recente, sono state rinvenute oltre venti coppe di argilla figulina con decorazione geometrica, quasi tutte di fabbrica euboica. La loro destinazione come vasi potori di vino inducono a pensare che con esse siano arrivati anche il vino e la cerimonia del simposio in cui il vino era consumato, quale connotazione di status del ceto emergente. Uno degli elementi principali della contropartita veiente era il sale, che veniva prodotto nelle saline, sulla riva destra del Tevere. Nel quadro dei rapporti tra Veio e l’ambiente euboico dell’Italia meridionale non va trascurato che dalla tomba a fossa 870 della necropoli veiente di Casale del Fosso, databile negli anni a cavallo tra l’VIII e il VII secolo a.C., provengono alcuni rocchetti di impasto su cui è graffita la lettera “A” (alfabeto euboico). E’ uno dei primi esempi di scrittura in Etruria. Le fonti fanno risalire ai tempi di Romolo i primi scontri armati tra Roma e la città etrusca. Le inimicizie, motivate sempre dal controllo delle saline, sarebbero state riprese ai tempi di Tullo Ostilio. Vi furono delle lotte tra città organizzate con i rispettivi eserciti: forse gli scontri interessarono singole famiglie, ossia quelle che avevano il monopolio della produzione. Un’altra risorsa dell’economia del centro etrusco è la produzione di lana. Intorno al VII-VI secolo a.C, le zone sepolcrali si espandono: le tombe a tumulo e a camera scavata nella roccia o “ad area scoperta”. Alcuni corredi principeschi come quello della tomba a camera 5 di Monte Michele, che comprende oreficerie, bronzi, ferri, ceramica dipinta, buccheri e impasti, è databile entro il VII a.C. Nella prima metà del VII secolo a.C, sono attive botteghe di ceramica subgeometrica. Allo stesso periodo si datano la Tomba delle Anatre (le anatre furono molto discusse circa il simbolismo: secondo alcuni rappresenterebbero il viaggio verso l’aldilà, attraverso l’oceano; inoltre, il collo e i piedi hanno una struttura geometrica), la Tomba Campana (scoperta intorno al 1840, con disegni ad acquarello, e raffigurazioni greco-orientali e fenice, con il tema del viaggio verso l’aldilà. Vi è la rappresentazione di animali fantastici come la sfinge), e la Tomba dei Leoni Ruggenti (che riporta su parete il fregio di “aironi”, comune nella ceramica dell’orientalizzante), e sono le tombe più antiche dell’Etruria. Comunque, i contatti con l’ambiente laziale restarono intensi. Ai primi decenni del VI secolo a.C, si attribuisce il tempio ad oikos, sulla collina di piazza d’Armi da alcuni ritenuta l’acropoli. L’edificio era di primaria importanza, in quanto il fregio rappresentava guerrieri a piedi, sul carro o a cavallo, alludevano a qualche impresa militare che coinvolse storicamente la comunità veiente. Secondo le norme della dottrina religiosa etrusca, si ammette l’affermazione di un’ideologia urbana, che comporta una distribuzione razionale degli spazi. Sulla collina di Piazza d’Armi sono stati rinvenuti ruderi di abitazioni, disposti lungo le strade, che si intersecano perpendicolarmente. Inoltre, su questa collina sorgeva il santuario dedicato a Giunone Regina. Il più noto tra i santuari era però quello extra-urbano del portonaccio, a strapiombo sul Fosso della Mola, dedicato a Minerva e già esistente nel VII secolo a.C. L’edificio conobbe diverse fasi edilizie e ornamentali, e fu ornato con stupende statue di divinità (tra cui Eracle, Mercurio e Apollo) realizzate dall’artigiano Vulca. Il tempio aveva una vasca con lo scopo di discutere di affari e un “botòros” sotto l’altare, dove finivano i sacrifici. Era diviso in 3 celle, che indicavano la Triade Capitolina Secondo le fonti, visse un grande coroplasta di nome Vulca, intorno al VI secolo a.C. al quale erano attribuite la statua di Giove Capitolino, commissionatagli da Lucio Tarquinio Prisco, e una di Eracle, che conferisce credibilità al pensiero di Varrone e comunque porta ad ammettere che esistesse una scuola di coroplastica veiente. L’artigianato veiente era caratterizzato soprattutto dalle botteghe di coroplastica. In pittura, Veio era famosa soprattutto per quella parietale e funeraria. I culti praticati erano diversi: a Menerva con funzione militare e oracolare, a Venai, a Turan, ad Aritimi, ad Apulu ed Heracle. Sono opere che rivelano da una parte la grande assimilazione delle esperienze figurative greco-orientali ed attiche dell’arcaismo (cranio bombato, profilo diritto, fronte curvilinea, occhi amigdaloidi, bocca sorridente, superfici sfumate...) e, dall’altra, una straordinaria capacità espressiva del maestro. Un’altra area sacra è quella di Campetti, dove troviamo resti di ville romane e santuari, ubicata verso il limite nord-occidentale del pianoro della città. Vi sono stati riconosciuti due edifici, di cui uno dedicato ad una divinità infera che prende il nome della città (“Vei”) ossia l’equivalente Cerere, ed è stata recuperata una grande quantità di votivi, come vasi, terrecotte, bronzi, monete e iscrizioni. In seguito, intorno alla città, sono stati individuati numerosi cunicoli, che servivano per il drenaggio e la raccolta delle acque di superficie. Alcuni naturali, altri artificiali. Uno molto noto è il cosiddetto Ponte Sodo. Inoltre, al V secolo a.C, deve datarsi la cinta muraria dell’abitato, che serviva a difendere la comunità locale dai nemici esterni, in primis il nemico romano. L’alleanza Veio-Fidene è motivo di un nuovo conflitto con Roma, che scoppiò nel 438 a.C. e si concluse con la caduta di Veio. Veio era alleata inoltre di Falerii e Capena, ma venne abbandonata dalla LEGA ETRUSCA essendo un regime monarchico. Un ruolo importante lo rivestì il re Lars Tolumnio, ucciso in battaglia dal tribuno Aulo Cornelio Cosso, che depose le sue spoglie al tempio di Giove. In aiuto dei veienti intervennero soltanto i falischi, probabilmente perché l’agro falisco era dipendente da Veio, anche se non si hanno fonti certe. La svolta conclusiva del conflitto si ebbe con la guerra decennale (405-396 a.C) che, si concluse con l’espugnazione della città etrusca per mezzo di uno stratagemma: i romani scavarono un cunicolo che gli consentì di entrare nell’abitato. La distruzione di Veio comportò anche il passaggio delle saline della riva destra del Tevere a Roma. La statua di Giunone Regina da Veio fu portata a Roma sull’Aventino. Tale episodio fu significativo, e fu raccontato da Livio. In età augustea si ebbe una breve rifioritura con la costruzione dei teatri. PYRGI L'insediamento portuale si trova sulla costaTirrenica ed era collegato a Cerveteri con una via colonnata. L'insediamento Etrusco si trova sotto la colonia romana ed era il porto pù importante di Cerveteri. A Pyrgi è stato trovato un complesso del santuario di LEUCOTEA composto da due templi (frequentati nel 6 sec a.C.), un muro di cinta, un'area intermedia (dove sosno state ritrovate delle lamine d'oro iscritte) e una serie di cellette addossate al muro perimetrale. Uno dei templi, peritter con cella in antis, ha una pianta di tipo greco e risale al secolo di frequentazione mentre l'altro con pronao colonnato e parte posteriore a tre celle, ha una pianta tuscanica e risale al secolo successivo. Il culto praticato nei santuari sarebbe riconducibile a vari dei come TINIA, UNI, THESAN, FARTHAN o ASTRATE. TARQUINIA Alcune testimonianze accertano la vitalità di Tarquinia già in epoca villanoviana, in questa epoca, varie e significative sono le relazioni che la coinvolgono con altri centri. Del corredo di una tomba a fossa del IX secolo fa parte uno specchio proveniente dall'ambiente egeo. Le botteghe locali cominciano a fabbricare bronzi come le spade con impugnatura ad antenne e gli elmi crestati, ma grazie al talento di maestri arrivati dall'area centro-europea. Alla fase evoluta del villanoviano appartengono alcuni prodotti tipici dell'artigianato locale come fiaschette, scudi, cinturoni, tutti in lamina bronzea e decorati con motivi geometrici distribuiti in fasce concentriche in modo da coprire l'intera superficie. Allo stesso orizzonte culturale risalgono manufatti arrivati dalla Sardegna e dalla Fenicia. In tale periodo è molto importante l'attività metallifera. Negli anni a cavallo tra la fine del VIII ed i primi del VII secolo a.C. arriva a Tarquinia ceramica corinzia e cumana di stile geometrico. Sorgeva a una lieve distanza dal mare ed era formata da villaggi di capanne, che non avevano tutte le forme uguali, infatti alcune erano più grandi e forse appartenevano a capi tribù. Furono comunque abbandonate nel VIII secolo a.C. quando si costruirà il primo nucleo della città etrusca presso il pianoro protetto su tre lati da ripide pareti, vicino al corso del fiume Marta. Le necropoli documentano il livello raggiunto dall'aristocrazia attraverso corredi pertinenti a personaggi di rango elevato come quello della Tomba a fossa del Guerriero. Il corredo comprendeva un'armatura completa accompagnata da bronzi e ceramiche. Più tarda è la tomba a camera con deposizione femminile, chiamata Tomba di Bocchoris contenente una ricca suppellettile, così chiamata dal nome del faraone scritto in caratteri geroglifici entro un cartiglio su un vaso di maiolica, arrivato dall'Egitto, che faceva parte del corredo. Dello stesso corredo ne facevano parte anche ori e ceramiche dipinte. Nei primi decenni del VI secolo comincia ad affacciarsi il fenomeno della pittura funeraria, mediante decorazioni sulle pareti di alcune tombe. Diventerà una stabile tradizione pittorica locale con la seconda metà del secolo, quando le classi più elevate evidenzieranno lo status sociale mediante l'ornamentazione delle proprie camere sepolcrali. Una delle più antiche tombe dipinte a soggetto figurato, è la Tomba delle Pantere, così chiamata per le due pantere opposte che sono rappresentate sulle pareti di fondo e d'ingresso. Tra gli esemplari più antichi vi è la Tomba dei Tori del 530 a.C., costituita da tre camere in una delle quali vi è la scena con l'agguato di Achille al giovane Troilo, unica scena di mito nota nelle pitture tombali arcaiche, avrà avuto un contenuto simbolico in senso funerario non molto diverso da quello della porta chiusa o del simposio che ricorrono spesso sulle pareti di fondo di altre tombe. A camera unica è la Tomba degli Auguri del 520 a.C. connotata sulla parete da due figure maschili in atteggiamento rituale, disposti sui lati di una porta. Diversa è invece la Tomba della Caccia e della Pesca del 510 a.C., dove n giovane tuffatore in atto di lanciarsi da uno cogli, è collocato in un vivace paesaggio con uccelli in volo e pesci guizzanti. La scena sembra comunque legata a complesse simbologie del momento di passaggio all'Aldilà. Ricordiamo inoltre la Tomba delle leonesse del 520 con figure di banchettanti distesi su tappeti erbosi che assistono a danze di uomini e donne. Solenne la decorazione della Tomba del barone del 510 decorata con motivi vegetali alternati rigidamente a personaggi stanti e a cavallo. Tra le più conosciute vi è anche la Tomba dei Leopardi, che prende il nome dalle figure dei felini riprodotte sul frontone della parete di fondo, sono presenti inoltre coppie di banchettanti distesi sulle kinai e allietati da musicisti che suonano il doppio flauto e la lira. collegavano con porto Ercole, la sottostante via Aurelia e il porto della città. La città era organizzata su uno schema di assi viari romani ortogonali orientata secondo punti cardinali. Il forum ospitava gli edifici pubblici della città. L’acropoli, difesa da una propria cinta muraria,aveva due porte. Il Capitolium dedicato a Giove Giunone Minerva, sorgeva tu su un presistente luogo di culto, recava una fastosa decorazione di lastre architettoniche in terracotta. La città era collegata con il suo porto, portus cosanus da una cosiddetta “tagliata”, un canale artificiale lungo quasi 100 m in parte a cielo aperto ed in parte in galleria che permetteva la comunicazione fra il mare aperto e la laguna. Sulla laguna è visibile la villa con impianto per pescicultura L'AGRO FALISCO E CAPENATE Falerii e Capena formano un complesso unico, secondo la mitologia le due città sarebbero state fondate da due re veienti (culturalmente le lega a Veio): Capena sarebbe stata fondata col rito della primavera sacra da giovani di veio guidati da Propezio mentre Falerii da Haleso, discendente dell'altro re (Haleso figlio di Agamennone parte per Argo appena il padre torna dalla guerra di troia e questo sottolinea i rapporti della città di Falerii con Argo). I rapporti tra le città e Veio sono documentati dal fatto che le città sorgono nel territorio etrusco e che queste fanno causa con gli Etruschi in varie occasioni e vengono chiamati alle assemblee nel FANUM VOLTUMNAE. L'ethnos dei Falerii è ricostruibile attraverso fonti epigrafiche che riportano un alfabeto derivato da quello Euboico che introduce la lingua Faleria nel ceppo indoeuropeo. L'abitato delle città dell'agro falisco sorge solitamente su un pianoro tufaceo circondato da corsi d'acqua e con pareti ripide, collegato alla regione con una lingua sottile di terra. Faleri, in età villanoviana sorge sul colle di Vignale, come testimoniano le tombe a pozzetto della necropoli di Montorano. Il pozzetto può avere un loculo laterale per il corredo e il cinerario ha forma biconica coperta da scodelle o elmo fittile. Nella seconfa metà dell'8 sec a.C. Arriva l'inumazione con la tomba a fossa (che può avere un loculo laterale per il corredo, molto ricco in quest'epoca) la quale strittura rispechhia la nuova organizzazione gentilizia della società. Con l'orientalizzante arrivano, alle città dell'agro falisco, prodotti transmarini e transalpini come vasi e oggetti in bronzo e ceramica. E' ricca la produzione di impasi decorati con figure nere e rosse, imitati anvhe nell'area fuori dalla zona falisca. Nel 6 sec a,C, viene urbanizzato il pianoro del futuro insediamento senza che il vecchio sul colle smettese di essere frequentato, ifatti viene usato fino a quamdo r romani non distruggono le sìcittaà nel 241. Allo stesso secolo risagono L'alfabetizzazione del Falisci e Larricchimento del territirio grazie alle attività agricole e soprattutto all'allevamento di bestiame: l?area falisca era famosa per l'allevamento di ovini e caprini per latte, carne e lana che poi veniva esportata (il repertorio fihìgurativo dell'epoca riprende utensili e atti di queste attività). La città di Falerii era la più importante nel territorio poiche si trovava tra l'Etruria e Roma quindi un nodo stradale importante sulla valle del Tevere. Alla fine del secolo si fiffonde nella zona la tomba a camera con pianta trapezoidale o quadrata con pilaatri al centro,corredata con letti funebri scavati nella roccia o da sarcofagi volorati con motivi orientaizzanti. Dal 6 al 4 sec a.C. La tomba a camera sarà fornita di loculi ricavati dalle pareti per i defumtu poi chiusi cn tegole e sulla parete di fondo si trovano le tre porte che immettono in una cella ( richiamando lo stile arcaico ceretano). Nei secoli dal 6 al 5 Falerii continua a godere di floridlla economica e colturale anche grazie al calo nelle citta di Capena e Narce. A questo tempo risalgono i primi edifici sacri: syl colle Vignale il maggiore( APILLO)e uno minore, quori dal perimetro urbano ai Sassi Caduti (MERCURIO), uno a Celle (GIUNONE CURITE) e no a Narce. Durante i primi scontri tra veio e roma Falerii e capena si triva in una politica filoveiente e viene scofitta dai romani. Falerii giova di questo perche caduta Veio rimane l'unica citta a controllare la valle del Tevere ed in questo periodo risale il primo tempio dello Scasato, nel Fondo Belloni da dove provengono delle opere di cloroplastica che si riferiscono all'arte greca calssica come ai modella di Fidia. Nella città in quefgli anni sono attive bottege con maestri attici che producono ceramica faigure rosse. Nel repertotio figurativo Falisco entra il tema di dioniso che atesta il culto del dio in quella zona. Dopo aver fiancheggiato i Tarquiniesi nella guerra contro roma e aver ottenuto la tregua, i falisci a Falerii nel 4 sec a.C. Costruiscono il secondo tempio allo Scasato da dove provengono terrecotte architettoniche che attestano che le esperienze lisippee e prassiteriche sono state assimilate. La ceramica viene prodotta poi in serie e non di alta qualità. Nella prima metà del 3 sec a.C. Roma seda delle rivolte e ditrugge la città di faleri creandone una nuova a poa distanza chiamandola FALERII NOVI sulla via Amerina. SUTRI E NEPI Sutri, su uno sperone tufaceo isolato dai torrenti Promonte e rotoli, era già abitato nell'eta del ferro con tetimonianze di tombe a camera e mura tufacee in blocchi, Il pianoro urbano era perfetto come punto di controllo sul corridoio dei monti Cimini e Sabatini. Dopo la caduta di veio sutri entra nell'influenza romana come centro di controllo strategico a danno dei Falisci e di Tarquinia, che nel 331 a.C. Viene distrutta dai romani e sutri diventa roamna. Lo spopolamemto del territrio fu diminuito grazie alla deduzune a colonia di campani e all'annessione dei teritori ottenuti grazie al disposcaento della selva Cimina e Sabatina. L' apertura della via cassia, fece di Sutri un dei centri più fiorenta, come dimostrano i reperti di cui dell'epoca preromana restano solo le tombe ruoestri etrusche. Nepi invece,con la sua necropoliche viene suata fino al 7 sec A.C. È interessata già in epoca arcaica da vasti commerci, come testimoniano i corredi funebri con vasellame attico e venne poi collegata a veio e sutri tramite la via Amerina. Dopo la sconfitta di Veio, Nepi, divenne colonia romana e attraversa un periodo buio che la portera a non pagari il tributo a roma per le guerre Annibaliche per cui verrà punita ma con la costruzione della Cassia ritrovera il suo benessere. BISENZIO Città situata attorno al Lago di Bolsena. Le più rilevanti testimonianze di Bisenzio vengono dalle sue necropoli poste intorno al monte. Gli aspetti culturali locali quali emergono dai corredi funebri della fase villanoviana, sono caratterizzati dalla rarità di vasi cinerari biconici in favore delle urne a capanna, e dalla richhezza di decorazioni plastiche. Se sono noti alcuni alcuni pezzi di particolare rilievo già per l'epoca preetrusca, come l'urna a capanna dall'Olmo Bello, è comunque tra il VIII ed il VII secolo a.C. che si manifesta l'improvviso arricchimento del centro visentino, specie in relazione ai manufatti in bronzo. Tipica è la presenza di figurette ornamentali realizzate in fusione piena ed applicate su cinerari, carrelli ed anfore dal corpo in lamina abbellita da sbalzi. Se questo mretodo di decoraxione ha come prototipo le produzioni orientali, del tutto autonoma e locale appare invece la scelta delle tematiche raffigurate e la predilezione per affollate scene d'insieme dove alla raffinatezza dei dettagli vengono preferiti l'effetto scenografico e l'intento narrativo. Tra gli esemplari più importanti va ricordato il carrello bruciainciensi trovato nella Tomba II dell'Olmo Bello e datato alla seconda metà del VIII secolo. Sulle traverse che collegano le ruote al supporto del recipiente si affollano figure riproducenti guerrieri e donne con le anfore in testa. Altrettanto importante è l'anfora in lamina di bronzo dalla Tomba XXII dell'Olmo Bello, dove l spalla ed il coperchio del vaso costituiscono il teatro di due scene circolari, da intendersi come momenti di una cerimonia religiosa connessa alla caccia o alla guerra. La ricchezza del centro di Bisenzio è testimoniata dalle oreficerie e dagli ornamenti in ambra, ad esempio le bullae e le fibule della stessa Tomba II dell'Olmo Bello, come anche dall'assimilazione dei modelli figurativi di tipo tardogeometrico, che per la loro tipicità mostrano di essere stati introdotti qui attraverso Vulci e Tarquinia. L'influenza di questi due centri i manifesta però anche dal punto di vista politico sebbene nel corso del VII secolo vada scemando. Al VI secolo risalgono alcune tombe a camera, collocate sopratutto sui terreni a nord dell'abitato, e tombe a cassone di tufo. Se la documentazione arriva al tardo V secolo, è evidente la profonda crisi dell'area che risulta occupata di nuovo dal II secolo a.C. con la costituzione di un Municipium romano e con l'introduzione del culto latino di Minerva Nortina. L’AGRO VOLSINESE La punta del Gran Carro era in origine solo un segmento del territorio occupato da un villaggio costiero nella prima età del Ferro. Tra i vari ritrovamenti di epoca villanoviana, quella del Gran Carro è il più significativo, la cui struttura risale forse già all’età del Bronzo, per la presenza di frammenti ceramici, e vi è la possibilità che abbia avuto una funzione difensiva. Le capanne di abitazione erano rettangolari, forse collocate su fasce parallele di circa 3 m; una strada carrabile, di cui emergono tracce dalle acque, collegava il villaggio ad altri nuclei costieri. Sono stati rinvenuti anche vasi biconici per acqua. VOLSINII (Orvieto) Volsinii, l’odierna Orvieto, era collegata a nord est del lago e posta sopra una ripida rupe di tufo. Alla fase villanoviana risalgono alcuni materiali dall’abitato, dai luoghi poi occupati dalle necropoli di Cannicella e di Crocifisso del Tufo, e da alcune tombe a fossa. Ben evidente appare la crescita, durante il corso del VII secolo, della posizione dell’insediamento nato presso la confluenza del Paglia col Tevere; entrambi navigabili, essi consentivano a Volsinii agevoli contatti con l’agro chiusino e con i territori vulcente e falisco. Alla fase orientalizzante di Orvieto risale la necropoli della Cannicella, posta sul versante sud, dove le sepolture a camera con soffitto a spioventi sono collocate su terrazzamenti. Questa necropoli ha la particolarità di aver ospitato dal VI secolo un santuario, destinato al culto funerario e alla fertilità, delimitato da un robusto muro di terrazzamento e composto da varie strutture. Particolare era il sistema stradale ortogonale presente nella necropoli, simile al sistema presente nella Necropoli della Banditaccia. Qui son presenti tombe a dado, principalmente formate da una sola camera, all'ingresso di tali tombe troviamo cippi funerari che indicavano la tomba. I corredi riflettono l'esistenza di un ceto medio abbastanza importante e lo comprendiamo dalle ricche ceramiche. Tra la bronzistica abbiamo una statua chiamata Marte di Todi, attribuita a una bottega orvietana attiva durante l'età classica. Rappresenta forse un dio guerriero, è piuttosto intatto, gli mancano alcune parti tipo l'elmo. Abbiamo anche dei sarcofagi, uno di essi ha in alto la testa di Achelo e sotto di essa una cena dell'Odissea, in cui due personaggi hanno la testa di maiali, si riferisce quindi al mito di Circe. Circa le arti minori, Orvieto non concorre con i grandi centri costieri, ma abbiamo piccole tavolette in avorio di carattere ionizzante anche se, non è detto che tali tavolette siano state lavorate proprio ad Orvieto. Per quanto riguarda la ceramica, Orvieto fu importante. I vasi a noi oggi pervenuti provengono dalle 2 necropoli principali e sono sia etruschi che greci. Ricordiamo il gruppo dei vasi “tirrenici”, un cratere a figure nere con una scena di banchetto. Orvieto, assieme a Chiusi, fu uno dei centri principali del buchero pesante, di gusto quasi barocco. Ad Orvieto troviamo anche i bucheri a cilindretto, cioè creati con l'aiuto di un cilindretto. Ricordiamo la produzione locale di vasi a figure rosse, tra cui il celebre gruppo “Van”. Sul collo del vaso sono presenti degli ippocampi e sotto una quadriga infernale, dietro la Van nuda (colei che ha dato il nome a tale gruppo di vasi).Vi è la diffusa presenza di serpenti. Tra i materiali restituiti, la nota statua di marmo greco conosciuta come la Venere della Cannicella, che rappresenta una figura nuda, realizzata forse a Naxos intorno al 530 a.C, restaurata in antico al polpaccio e al seno. Fu impiegata per venerare la dea della fertilità, Vei. La necropoli di Crocifisso del Tufo, fu impostata e realizzata nel corso del IV secolo secondo una progettazione organica di tipo urbanistico. Si tratta di un insieme di tombe modulari, collocate su una pianta ortogonale con isolati separati da vie che si intersecano perpendicolarmente. Ogni singola tomba a camera è costruita con bozze di pietra tufacea. L’assegnazione delle tombe alle famiglie con l’apposizione del nome del defunto sopra il portale, era evidentemente realizzata da organismi pubblici. Lo studio delle epigrafi e delle caratteristiche onomastiche ha rivelato che le tombe erano anche intestate a donne, e che l’antica Volsinii era abitata non solo da etruschi, bensì anche da italici e celti. L’area urbana antica coincide con quella moderna, ma non sono tornati alla luce centri abitativi, bensì numerosi edifici di culto in diverse zone, tra i quali il più noto è il Tempio del Belvedere, individuato nell’800. Sorgeva su un podio in parte tagliato nella viva roccia ed in parte costruito, con una rampa di accesso. La pianta ricalca esattamente le proporzioni indicate dall’architetto Vitruvio nel De Architectura. Il loro elevato livello qualitativo, che riprende lo stile di Fidia, ha fatto ipotizzare la presenza a Volsinii di artisti greci. Nell’area urbana sono tornati in luce vari nuclei di terrecotte architettoniche riferibili ad edifici di culto, oppure botteghe di scultori. Ancora più noto, era il santuario chiamato Fanum Voltumnae dedicato appunto a Voltumna, arcaica divinità etrusca in cui si personificava il principio della trasformazione e del mutamento proprio della natura. Il santuario extraurbano era teatro di feste e spettacoli, in cui convenivano anche i rappresentanti dei 12 populi etruschi. Al periodo dei primi conflitti con Roma, Orvieto appare interessata da uno spostamento delle sue attività economiche, caratterizzate dalla produzione di vasellame dipinto e ceramiche argentate. Tra le varie tombe, abbiamo:  La Tomba degli Hescanas, tra IV e III secolo, con pitture policrome di tema ultraterreno.  Le 2 Tombe Golini: la prima, preceduta da un corridoio che conduceva alla camera quadrangolare, realizzata nel IV secolo, e decorata da pitture di grande qualità. La seconda, anch’essa ad unica camera e decorata da pitture a tema ultraterreno.  Tomba del Guerriero, IV secolo, con la presenza di un articolato servito da banchetto e accompagnato da un’armatura completa in bronzo. Volsinii ebbe diversi scontri con Roma a causa della sua collocazione che gli permetteva di avere il dominio sulle comunicazioni: Nel 392, nel 308, nel 294, nel 285 e nel 280. Questo stato di conflitto produsse una difficile situazione politica interna, e il governo cittadino si vide costretto a concedere ai gruppi servili la libertà ed anche la possibilità di accedere alle cariche pubbliche. Ma, questo rappresentò una minaccia per l’aristocrazia, che fu portata a stringere alleanze segrete con i romani, ai quali venne richiesto un intervento diretto che sfociò nella spedizione di Fulvio Flacco, in cui nel 264 a.C, la città venne espugnata e distrutta. La popolazione fu allontanata dall’antica sede verso un luogo meno protetto, in prossimità del lago, ovvero Bolsena, denominata appunto Volsinii Novi. In età romana, Tuscania venne ascritta alla Tribù Stellatina, ma grazie alla sua posizione strategica, mantenne un’economia florida. ACQUAROSSA L’insediamento antico di Acquarossa occupava un altopiano tufaceo delimitato da valli profonde. Cronologicamente databile tra Orientalizzante avanzato e Arcaico (VII-VI secolo). Le pareti normalmente non erano costruite in bocchi di pietra. Vi è oggi un parco archeologico e questi edifici sono coperti oggi da tettoie moderne. La ricostruzione con le colonne in legno, basi in pietra e i fregi decorati a rilievo con scene di banchetto e di corse di cavalli. Vi era la tecnica, piuttosto primitiva, che prevaleva nel periodo arcaico dell’opus gratitium, con alternanza di legno e pietra per costruire le pareti delle capanne e degli edifici. Dell’abitato sviluppatosi in questo sito fra il VII e il VI secolo, sono stati indagati numerosi edifici che hanno fornito dati preziosi sulla ancora poco conosciuta architettura etrusca. Le abitazioni di forma quadrangolare con 2-3 ambienti, occupavano gran parte del pianoro alternandosi ad aree per la coltivazione e il pascolo. Talvolta erano munite di un portico sorretto da colonne lignee. Per la sopravvivenza di strutture di questo genere era fondamentale la regimazione delle acque che venivano convogliate e raccolte attraverso canalette. Nell’area archeologica è stata messa in luce anche una grande struttura identificata per la residenza principesca degli aristocratici di Acquarossa. Essa era ornata con una sontuosa decorazione architettonica che ha restituito lastre con la raffigurazione delle imprese di Eracle contro il leone Nemeo e il toro cretese, oppure scene di banchetto. Al centro dell’edificio vi era la corte circondata da un porticato a colonne lignee. La distruzione dell’abitato di Acquarossa, che basava la sua economia sullo sfruttamento agricolo della sua zona e sull’allevamento, avvenne sul finire del VI secolo a.C, per motivi poco chiari. Da quel momento la zona non fu più occupata. LE VALLI DEL FIORA E DELL'ALBEGNA Area caratterizzata da paesaggi molto belli e dal corso di due fiumi, quali il Fiore e l'Albegna. Il primo raccordava le aree settentrionali con quelle meridionali, il secondo era quasi del tutto navigabile e quindi consentiva il trasporto e la diffusione dei manufatti prodotti nelle attive “officine” vulcenti o nel bacino del Mediterraneo. SOVANA Sorgeva su un ampio pianoro tufaceo, sulla sponda sinistra del Fiora e fu frequentato già nell'epoca del Bronzo. Il suo sviluppo è dovuto alla posizione strategica sugli importanti tracciati stradali che collegavano Vulci con Orvieto e con l'Etruria centrale interna, dei quali si conservano lunghi tratti chiamati “cavoni” e caratterizzati da alte pareti intagliate nella roccia che raggiungono anche i 25 m di altezza. E' il centro etruso più a nord fra quelli con tombe rupestri a facciata monumentale. Resti della città antica sono stati messi in luce nell'area occupata dal Duomo, mentre al secolo successivo è da riferire la grande cinta muraria in opera quadrata. In uno scavo sono state messe in luce capanne dell'età del bronzo finale. Una nuova grande fioritura di Sovana, riconducibile ad un intenso sfruttamento agricolo del territorio, si manifestò alla fine del IV secolo, quando il centro urbano si estese in alcune zone del pianoro in precedenza non occupate. La vita di Sovana subisce un arresto intorno alla metà del V secolo a.C. e a tale periodo e da datarsi una tomba dipinta, le cui rappresentazioni erano ombre irriconoscibili già al momento della scoperta, ma tale tomba ha restituito due statue cinerarie sedute in trono di tipo chiusino e di pietra locale. Dopo la metà del IV secolo, a Spvana, come nelle altre località del Fiora, si registra una fioritura nell'arcaismo: ad una prima fase di tombe a camera scavate nella roccia, ne segue una che comincia tra la fine del IV e gli inizi del III con le grandiose tombe rupestri. Potevano essere a dado, a semi dado, a falso dado, a tempio a edicola, a portico con un timpano, a nicchia e a luculo; le camere sepolcrali erano scavate sotto la facciata. Le tombe rupestri ammettono un rapporto con quelle analoghe dell'entroterra tarquiniese e ceretano, ma il motivo della porta finta che occupa l'intera fronte o la modanatura della parte superiore nelle tombe a dado, ammette un richiamo ai cippi a casetta diffusi a Vulci e nel territorio viterbese. Il rilancio si Sovana documentato, oltre che dal'architettra funeraria, dalla ristrutturazione di un tempio in area urbana e da un altare con una ricca stipe ( come ad esempio figureine umane ed animali, monete...) nella necropoli, coincide con un periodo di involuzione di Vulci dopo che questa era stata sconfitta dalle truppe di Roma. Si sviluppò un artigianato locale caratteristico, come testimoniano numerosi esempi in terracotta rinvenuti in un'area sacra scoperta presso la via del Cavone. Specchio della prosperità in età ellenistica, sono le monumentali necropoli rupestri. Al termine della via del Cavone è visibile la Tomba del Tifone, che è una tomba ad edicola, così chiamata per un'interpretazione errata della figura femminile che orna la parte centrale del timpano scolpito, scambiata per la testa del mostro marino. Presso Poggio Felceto, sorge la Tomba Ildebranda, così chiamata dal più celebre cittadino della Sovana medievale, Ildebrando, eletto papa con il nome di Gregorio VII. Il grandioso monumento databile alla prima metà del III secolo, è costruito ad imitazione di un tempio su un alto podio, ornato da 6 colonne sulla fronte e 3 sui lati corti sorreggere un soffitto a lacunari ed una ricca decorazione scultorea con animali fantastici ad ornamento del timpano. Tra le sepolture scolpite nel tufo, troviamo la Tomba Pola, ornata da un grandioso portico colonnato oggi conservato solo parzialmente. Altra sepoltura sorge a Sopraripa, si tratta della Tomba della Sirena, una tomba ad edicola con frontone ornato da una Scilla, mitologica figura metà donna e metà pesce. Nella sottostante nicchia è scolpita la figura del defunto disteso. POGGIO BUCO In posizione strategica sorgeva tale località, un importante insediamento etrusco con funzione di controllo di un itinerario stradale che collegava il territorio vulcente con Orvieto e Chiusi. Nell'area dell'abitato sono stati raccolti diversi frammenti ceramici dell'età del bronzo finale. Le testimonianzie più cospicue, vengono però dalle necropoli, cominciano dalla fase recnte del villanoviano: un cinerario biconico di impasto e i corredi di diverse tombe a fossa semplice o a fossa con uno o due loculi. Questi due tipi tombali durano fino ai primi decenni del VII secolo a.C., quando comincia a trovarsi la tomba a cassone di tipo vulcente. I materiali sono fatti di bronzo o di ferro e vasi a volte decorati con lamelle metalliche applicate e di ceramica dipinta etrusco-geometrica. Del centro antico, è nota un'area sacra che ha restituito lastre architettoniche ornate con figura di animali, scene di partenza sul carro e figure di guerrieri: inoltre sono state messe in luce alcune abitazioni e una strada lastricata. Ad età tarda è riferibile una raccolta di materiali a prevalente destinazione sacra. Le necropoli di Poggio Buco si distendono a corona attorno all'abitato etrusco ed hanno restituito tombe a fossa e, per il periodo orientalizzante, grandi tombe a camera con deposizioni multiple contenenti ricchi corredi di ceramica etrusco-corinzia e di bucchero di produzione vulcente. CASTRO Il sito della città etrusca sorge nel comune di Ischia di Castro sulla riva del fosso Opeta e affluente sinistro del Fiora a ed emissario del piccolo lago di Mezzano. Identificato come l’antica sta tonia, del centro antico si conoscono solo le necropoli del crocifisso de i poggi. Nelle adiacenze di Castro sorgono insediamenti e necropoli dell’età del bronzo finale, fra cui ponte San Pietro e Costoletto di Lamone, che costituiscono l’antefatto della castro di età etrusca,Di cui esistono dati non oltre il periodo orientalizzante. Le tombe, scavate nella roccia, a camera, con accesso attraverso una stretta apertura rettangolare radicata nel soffitto, e a cassone, hanno restituito manufatti scalati tra la prima metà del VII secolo e tutto il VI secolo: impasti, Buccheri, ceramica etrusco-corinzia e a figure nere. Tra i pezzi più antichi va segnalata un’anfora con dipinta, con stile popolaresco, una danza corale, anfora che è fornita di anse a doppia maniglia con un bacio centrale, tipiche di vasi bronzei e fittili vulcenti del VII secolo. Anche i Buccheri più caratteristici ammettono un richiamo alla produzione vulcente. Sulla parete di fondo della camera centrale di una tomba cassone è ottenuta rilievo una porta finta, scolpita sulla pareti delle tombe arcaiche di Tuscania o dipinti su quella di tombe come degli esempi a Tarquinia. Ai decenni centrali del VI secolo risale la riorganizzazione della necropoli. Le tombe sono distribuite lungo percorsi che si tagliano ad angolo retto. In una sorta di piazzale erano collocate grandi sculture di pietra raffiguranti animali e mostri e che fanno pensare all’allestimento di un piazzale o ingresso monumentale nella necropoli più che ad una tomba, la struttura monumentale era stata prima interpretata come altare, ora come una tomba dado, di cui facevano parte lastroni terminali ornati con teste animalesche e sculture in pietra raffiguranti animali riferibili ai decenni finali del VI secolo. Le grandi sculture sono realizzate in nella pietra locale, il Nenfro, la stessa usata nelle botteghe vulcenti. I corredi tombali in gran parte composti da materiali analoghi a quelli rinvenuti nelle tombe di Vulci, tra i più importanti troviamo quello della tomba Sterbini o dei bronzi, dei primi del VI secolo, composto da un ricco vasellame bronzeo, quello della tomba della biga, della seconda metà del VI secolo, di cui fanno parte dei kantharos in argento e un carro di legno e ferro, rivestito di lamina bronzea di curata con una bella figura di giovani nello schema del kuros greco, sbalzata su entrambe le fiancate, il carro che era di posto nel vestibolo, mentre i cavalli ancora aggiogati erano stati seppelliti nel corridoio di accesso. SATURNIA Saturnia in etrusco Urnia ha avuto una continua vita dall’antichità fino ai giorni nostri, malgrado un depauperamento demografico dovuto alla malaria, ad un’agricoltura poco redditizia e di varie vicende militari. L’abitato sorgeva su una rupe di travertino alla sinistra del’Albenga, nel punto in cui questo fiume riceve le acque dell’affluente Stellata. La superficie occupata dall’abitato antico è di gran lunga superiore a quello occupato dall’abitato moderno. Le necropoli erano sia sulla sinistra (Sede di Carlo, Poggio di Pancotta, Sterpeti) del fiume sia sulla destra (Pian di Palma e Puntone). Secondo la tradizione conservata da Dionigi di Alicarnasso, Saturnia è stata fondata dai Pelasgi e acquisitò una grande notorietà negli ultimi secoli della repubblica e nei tempi della colonia romana. I dati a nostra disposizione appartengono all’abitato dell’età del bronzo finale nell’area dell’attuale abitato. C’è una lacuna di documentazione relativa al villanoviano antico, si passa poi a testimonianze del villanoviano recente e al primo orientalizzante. Le tombe sulla riva sinistra dell’Albenga, sono a pozzetto, con corpo cilindrico in bocca quadrangolare, e a fossa, a volte è rivestita da lastroni. I corredi sono composti da bronzi e da vasellame di impasto. I cinerari biconici con coperchio a ciotola, sormontata da una formazione a palla, analoghi a quelli vulcenti, di impasto e di argilla databili tra la fine dell’VIII secolo e il primo quarto del VII secolo. I cinerari sono i precursori dei canopi chiusini. Nei corredi di tombe a fossa si trovano alcune coppie di argilla con decorazione geometrica di tipo euboico con anse pizzicate, arrivate da Vulci. Al secondo quarto del VII secolo risalgono le prime tombe a camera con tumulo, semi interrati o interamente costruiti. Gli ambienti sono uno o due in disposizione assiale, le pareti laterali e la copertura sono tenute con lastroni di travertino, il soffitto è sorretto da un altro lastrone di travertino collocato verticalmente al centro della camera. Le deposizioni si aggirano intorno alla ventina e arrivano addirittura fino alla prima metà del V secolo. I corredi sono principalmente utensili o armi in bronzo in ferro e vasi di impasto compresi tra i prodotti tipici di Vulci. Dalla prima metà del VI secolo le tombe sono scavate nella marna ghiaiosa con accesso attraverso un corridoio con gradini. Essi sono simili fra di loro e allineati secondo un piano preordinato: evidentemente titolari appartengono al medesimo ceto, quello medio. I corredi composti essenzialmente di ceramiche etrusco-Corinzie buccheri, di provenienza o di tipo vulcente. La presenza di anfore vinarie etrusche e di asce di ferro ha fatto pensare all’agricoltura come fonte di ricchezza. Intorno alla metà del V secolo cessano i dati forniti dalle tombe inizia uno scavo praticato in area urbana, dove vengono ritrovati conci di tufo di una platea circondato da colonne lignee, spiegata come l’ingresso monumentale della città o di un palazzo databile intorno al V secolo. Nella seconda metà del IV secolo riprende la documentazione: i corredi tombali restituiscono ceramica etrusca figure rosse sopra dipinte al gruppo sokra, a vernice nera e acroma. Ma lo strato che suggella la platea di conci di tufo testé ricordata, contiene materiali anche dei primi del III secolo indica una distruzione, che può aver interessato l’area urbana in quel periodo. A Saturnia vengo istituite, forse nel corso del III secolo la prefettura e dopo nel 183 a.C., la colonia di diritto romano che è legata alla capitale dalla via Clodia. Saturnia viene re impostata con un nuovo impianto urbanistico regolari, orientato diversamente rispetto a quello di epoca etrusca, la cinta muraria, la centuriazione e la nascita diversi fattori e dintorni, che ne completano la romanizzazione. La città, ascritta la tribù Sabatina, subisce non ho la distruzione da parte delle truppe di Silla verso l’82 a.C. GHIACCIO FORTE L’abitato è posto su un’altura a nord dell’Albegna, ed è stato messo in luce nel 1972. L’insediamento, sorto nel IV secolo, in un luogo già frequentato in epoca arcaica, si estende su una superficie di 4 ettari, e conserva resti di una cerchia muraria costruita con schegge di pietra e mattoni crudi. L’accesso era garantito da tre porte di aspetto monumentale con vestibolo, realizzate con blocchi di travertino, nenfro e ciottoli, in corrispondenza delle quali sono stati rinvenuti i resti dell’acciottolato stradale e dei canali di drenaggio. Sul versante occidentale della collina doveva essere ubicata un’area sacra. L’insediamento comprendeva anche una struttura abitativa assai ampia, identificata successivamente come residenza della famiglia Statie, che aveva un ruolo primario nella difesa di questo territorio contro l’avanzata romana. A Ghiaccio Forte è stata riscontrata anche la presenza di guerrieri celti. La distruzione dell’abitato, avvenuta nei decenni iniziali del III secolo a.C, è da riferire alle imprese belliche romane, connesse alla conquista di Vulci. MAGLIANO Il territorio collinare delimitato dal corso dell’Albegna e dell’Osa, che in età romana era pertinente alla colonia di Heba, ha restituito numerose sepolture afferenti a capanne isolate, come quella messa in luce a Poggio delle Sorche, o a piccoli villaggi a carattere agricolo, evidentemente controllati da Vulci. Sono da riferire le due tombe a tramezzo con pitture parietali, scoperte in località Le Ficaie e in località Cancellone. In straordinario stato di conservazione, vi sono raffigurazioni di animali fantastici di gusto orientalizzante della fine del VII secolo a.C. Ad un’area cimiteriale più tarda presso S. Maria in Borraccia sembra riconducibile un disco di piombo del V secolo con iscrizioni a carattere spiraliforme incise su entrambe le facce con formule dedicatorie a divinità infere e celesti. MARSILIANA D'ALBEGNA Nel IV secolo arrivano anche i vasi, a figure rosse io a figure rosse sopra dipinte o a vernice nera di botteghe di Chiusi, di Volterra, di centri etrusco-meridionali, laziali, campani. Espansione edilizia e industriale nel quartiere della Porcareccia ha portato a cercare alla fine del IV secolo nuove aree da destinare a necropoli o addirittura a ricavare tombe a fossa delle scorie che si venivano accumulando. In due tombe delle Grotte si conservano pitture, che riproducono mobili. Per tutto il III secolo la zecca di Populonia emette monete bronzee che riportano, secondo la consuetudine greca, sul dritto la testa di una divinità e sul rovescio il relativi simboli. Populonia comincia gravitare nell’orbita romana: nel 205 a.C. fornisce ferro a Publio Cornelio Scipione contro Annibale. Nel II secolo la situazione economica deve essere stata particolarmente favorevole, in quanto sull’acropoli viene costruito un grande tempio. Populonia dopo la guerra sociale diventa municipio e viene ascritta alla tribù Galeria Durante la guerra tra Mario e Silla parteggia Per il primo e perciò subisce un assegno da parte dell’esercito silano in quest’occasione saranno distrutti diversi edifici, forse anche il tempio sull’acropoli ora citato. La principale risorsa della città è rappresentata dalle miniere metallifere del Campigliese e della vicina Elba. A queste attività sono legati sia l’industria metallo tecnica locale sia il movimento commerciale, con tutta una serie di risvolti nella vita politica, economica e sociale della città. Il territorio controllato da Populonia non è molto esteso e comprende, oltre all’Isola d’Elba, l’entroterra del promontorio di Piombino, in cui si praticava attività estrattiva e metallurgica. I limiti possono essere così ricostruiti: assunto la valle dell Pecora,A est l’alta valle del cornea, a nord una fascia che va grosso modo da Doriatico verso il bacino del Cecina,Ad ovest il Mar Tirreno. Qui sono stati individuati diversi insediamenti: da quello arcaico di Follonica a quegli ellenistici di Venturina, Monte Pitti, Madonna di Val Fucinaia. VETULONIA Vetulonia (Vetluna in etrusco) fu identificata con il piccolo abitato di Colonna di Buriano a partire dal 1880. Secondo un’antica tradizione avrebbe trasmesso a Roma le insegne del potere regio: i fasci littori, la sella curule, la toga listata di rosso e la tromba da guerra. La città compare sulla scultura denominata Trono di Claudio, volta ad evidenziare una peculiare vocazione mercantile attraverso uno o più scali che dovevano sfruttare, al pari della vicina Roselle, il bacino lagunare costituito dal Prile. Questo antico lago, profondo e navigabile, si prosciugò nei secoli. Appare scarsamente la fase villanoviana di occupazione del territorio, ma invece appare documentata l’età del Ferro (IX-VIII) specialmente dai materiali rinvenuti nella necropoli di Poggio alla Guardia. Le tombe a pozzetto sono in rari casi plurime, e hanno restituito ossuari biconici e tante urne a capanna, che evidenziavano già una diversificazione sociale. L’affinamento delle tecniche di estrazione e lavorazione dei metalli in età orientalizzante comportò un forte sviluppo demografico ed economico. E’ il periodo, inoltre, in cui si affermano le tombe a circolo- con una o più fosse, cioè, all’interno di un circolo di pietre- caratterizzate da corredi funerari sontuosi con oggetti d’importazione dalla Siria, da Cipro e dall’Egitto. Questo fervore economico-culturale dà vita ad un raffinato artigianato locale, specializzato nella lavorazione del bronzo e dell’oro. Nella seconda metà del VII secolo, il ceto principesco vetuloniese utilizza monumentali tombe a tholos coperte da tumuli di terra sovrastati da cippi conici, con lunghi dromos di accesso e un pilastro centrale, volto a sorreggere una copertura a falsa volta. A questa tipologia appartiene la Tomba della Pietrera (630-600 a.C) realizzata entro un tumulo, con ampio dromos e due piccole celle laterali. Anche la coeva Tomba del Diavolino II. Caratteristiche costruttive simili, ma dimensioni più modeste presentava invece la Tomba della Fibula d’oro. Il territorio di Vetulonia doveva comprendere la fascia costiera tra Castiglione della Pescaia e Pian d’Alma e il ricco bacino minerario di Massa Marittima. I resti più antichi della Vetulonia etrusca sono individuabili in alcuni tratti della cinta muraria in opera poligonale, le Mura dell’Arce, di fine VI-V secolo a.C. Vi sono, inoltre, resti di un deposito sacro databile fra VI-V secolo. Un quartiere abitativo risalente al III-I secolo, è attraversato da una via basolata, il decumano, su cui si affacciano alcune abitazioni ad atrium: una di esse ha restituito una ricca decorazione fittile con scene tratte dal mito di Medea. Al pari di molti altri centri etruschi, nel corso del III secolo Vetulonia entrò nell’orbita romana, forse pacificamente, pur avendo sempre un ruolo marginale. Nell’89 a.C fu ascritta alla tribù Scaptia e i pochi abitanti che ancora la abitavano divennero cittadini romani. ACCESA Zona etrusca che detiene testimonianze che oscillano tra il villanoviano e l’arcaismo. In prossimità del piccolo lago dell’Accesa, sono stati individuati i resti di un abitato etrusco databile tra VII-VI secolo. Lo sviluppo dell’insediamento è stato messo in relazione con lo sfruttamento dei giacimenti metalliferi di materie prime preziose e molto ricercate in epoca antica. Le abitazioni finora scoperte sono riunite in quartieri connotati da un edificio di dimensioni maggiori, circondato da altri più piccoli, intenti ad evidenziare un assetto sociale che già tende ad esaltare il ruolo di una classe dominante. All’interno delle abitazioni è stato possibile trovare strumenti per le attività domestiche femminili. A poca distanza dai quartieri, sono stati trovati piccoli nuclei di sepolture con tomba a fossa, a cassone e a camera. Il ritrovamento di tombe a pozzetto evidenzia un’occupazione della zona già nell’VIII secolo. Fin dai reperti più antichi, si manifesta una forte dipendenza culturale da Vetulonia, distante solo 15 km. ROSELLE La città si estendeva su due colline, unite da una valle; le tombe si trovavano fuori dall'abitato, per lo più lungo strade che uscivano dalle porte urbiche. La zona risulta frequentata già in epoca protostoica e sicure testimonianze di epoca villanoviana sono note presso Nomadelfia, dove è stata messa in luce una piccola necropoli della prima età del Ferro. Attorno alla metà del VII secolo, la città era provvista di una cinta difensiva in mattoni crudi, con andamento a grandi curve, e allo stesso periodo sono riferibili resti di strutture abitative realizzate con argilla essiccata al sole e pavimenti in terra battuta. Le più antiche di queste costruzioni sono la “casa del recinto” e la “casa a due vani”, che forse avevano una rilevante funzione pubblica per la comunità di Roselle. Nell'abitato sono stati messi in luce alcuni edifici, costruiti sempre in mattoni crudi e con tetto forse stramineo. Uno di questi, a pianta circolare all'interno e quadrangolare all'esterno, è incluso in un ampio recinto a pianta rettangolare: la persistenza di un modello antico ( capanna o tholos) ed il ritrovamento al suo interno o nell'adiacente recinto, oltre che di ceramica domestica, dei resti di un focolare, di un'olla con iscrizione di dono, di pesi da telaio, hanno fatto pensare che l'edificio dovesse essere pubblico, forse di carattere religioso. Costruzioni residenziali a pianta circolare, in mattoni crudi sono state segnalate nel centro di Pisa. La fioritura di Roselle, doveva basarsi su un sapiente sfruttamento agricolo della sottostante e fertilissima pianura, e sul controllo di importanti vie di comunicazione come quella che sfruttava la vicina valle dell'Ombrone. Nel corso del VI secolo, la città fu dotata di una nuova e possente cinta muraria, conservata quasi per intero, costruita con blocchi di grandissime dimensioni, estratti dal versante settentrionale della collina di Roselle, come testimoniano resti di terrazzamenti delle antiche cave. Sono state individuate alcune porte di accesso alla città in corrispondenza dei tracciati stradali che la mettevano in comunicazione con il nord. Lungo queste direttrici sorgevano alcune necropoli con tombe a tumulo e camere coperte a falsa volta, inoltre alcune tombe sono state scavate nella necropoli di Case di Mota. Alla stessa epoca di edificazione delle mura, è databile la “casa dell'implurium” , edificio a pianta quadrata che si sviluppava attorno a una corte coperta comunicante con altri 8 ambienti, tra cui quello con vasca per la raccolta di acqua piovana, ci consente di riferire ai primi del VI secolo, l'impianto per l'approvvigionamento idrico, di cui gli esempi analoghi più antichi, sono a Marzabotto e risalono agli anni tra la fine del VI e i primi del V secolo a.C. Rilevante è il numero di frammenti di terrecotte architettoniche che vanno dalla prima metà del VI all'età ellenistica e romana. Alcuni motivi decorativi che ritornano sulle lastre di età arcaica, come i banchetto o il guerriero sul carro, appartengono al più consueto repertorio di quella età e alludono a manifestazioni cui saranno stati interessati i committenti locali: probabilmente l'esecuzione è da attribuire a maestri fatti arivare dall'Etruria meridionale. Secondo la narrazione di Livio, nel 232 a.C., Roselle fu assediata e definitivamente conquistata da Roma. I resti di età etrusca, furono occultati dal fervore edilizio di epoca romana che mise in opera le possenti strutture ancora oggi visibili, sotto alle quali scavi mirati hanno consentito di portare in luce le testimonianze più antiche. LA VALDICHIANA SENESE E LA VALLE DELL'OMBRONE Terra di confine tra Toscana ed Umbria, percorsa da un fiume affluente del Tevere, chiamato “Clanis”, che in passato consentiva facili collegamenti con l'Etruria meridionale e con Roma. CHIUSI Sorgeva su una collina che appare frequentata già nell'età del Bronzo, grazie alla sua posizione strategica; poichè la vita su tale colle non ha avuto alcuna interruzione fino ai giorni nostri, i resti del periodo etrusco son pochi. Numerose sono invece le necropoli intorno alla città. Nella città di origine, ci sarebbe stato un sepolcro particolare: era un edificio molto ampio e molto alto, il cui interno era strutturato come un labirinto e l'esterno si presentava con diverse torri a forma di piramidi sovrapposte, cui sarebbero stati legati dei campanelli che, agitati dal vento, suonavano in continuazione. Con la successiva età del Ferro, il territorio divenne sede di piccoli insediamenti connotati da un'economia di pura sussistenza, uno dei quali è stato scoperto presso Montevenere. Per questo periodo abbiamo notizia solo di modeste sepolture a pozzetto, mentre le più tarde necropoli orientalizzanti messe in luce sui versanti collinari, documentano un forte incremento demografico e, presentano sepolture entro ziro (grande recipiente in terracotta) in genere con deposizioni singole. In quest'epoca le famiglie principesche chiusine ostentano ricchi corredi funerari deposti in monumentali tombe a camera scavate nell'arenaria (che è una pietra quasi sabbiosa), oppure costruite in blocchi di pietra, in genere coperte da tumuli. Tombe di questo tipo sono state trovate presso Poggio Gaiella (località in cui esiste un grande tumulo distrutto dai tombaroli) ed hanno restituito ricchissime suppellettili vascolari importate da Corinto o dalla Grecia orientale, e resti di di sculture in pietra fetida raffiguranti animali fantastici con parti di decorazioni che dovevano ornare un altare. Cospicuo anche il corredo della Tomba della Pania impreziosito da una pisside in avorio (materiale importato) con scene tratte dall'Odissea. I resti più antichi relativi all'abitato sono stati individuati a Petriolo, area non più urbanizzata, dove una recente campagna di scavo ha individuato una sorta di quartiere artigianale destinato alle officine ceramiche. Il fervore economico- culturale, nel corso del VI secolo favorì un vivace artigianato locale che si manifestò sopratutto nella creazione di vasellame in bucchero pesante riccamente decorato e in oggetti d'avorio come la pisside da Poggio alla Sala o le cosiddette “lamine Palagi”, ma al contempo favorì l'importazione di oggetti di lusso dalla Grecia (asti pensare al Cratere Francois) o dall'Etruria meridionale, dei quali la città divenne un “centro di smistamento” per le aree dell'Etruria interna. Sul finire del VI secolo a.C., la storia di Chiusi si identifica con il re Porsenna, l'importante aristocratico che dovette dominare la lega dei dodici popoli etruschi, e nel tentativo di riportare al potere Tarquinio il Superbo, conquistò Roma per breve tempo. Ne danno testimonianza alcune tombe con pitture parietali, databili alla prima metà del V secolo, delle quali si conservano soltanto quelle nella Tomba della Scimmia e nella Tomba del Colle. La prima con pianta a crociera e quattro camere, reca alle pareti la figura della defunta protetta da un parasole e attorniata da suonatori e atleti che si esibiscono in suo onore. Una piccola scimmia (interpretabile come un elemento esotico) è legata ad un albero, effigiata nella camera centrale, ha dato il nome al sepolcro. La seconda presenta all'entrata una porta in pietra a due battenti ancora funzionante e alle pareti scene di banchettanti, corse di bighe e giochi sportivi. In questo periodo il vivace artigianato chiusino si specializza nella produzione di numerosi cippi in pietra fetida (pietra locale) con scene scolpite del tutto simili a quelle dipinte nelle tombe. Nella fase del villanoviano e per tutto l'orientalizzante si seppellisce nelle stesse necropoli, il rito funebre è sempre l'incinerazione, ma il pozzetto si amplia perchè il cinerario e parte del corredo sono tenuti all'interno di un orcio di terracotta, detto ziro. I cinerari possono essere di bronzo o possono essere arrichhiti di protomi animalesche. Spesso le tombe sono raggruppate a piccoli nuclei, con probabile riferimento all'organizzazione gentilizia che si veniva affermando a quel tempo in Etruria. In questo periodo diventa comune e peculiare della cultura di Chiusi il cinerario antropomorfizzato, detto “canopo” per la somiglianza con gli omonimi vasi egizi che conservano le viscere dei cadaveri mummificati: il coperchio è a testa umana, i manici sono talvolta le braccia, la deposizione può essere su un trono; in qualche esemplare femminile sono indicati i capezzoli o sono aggiunti gli orecchini, in qualche esemlare maschile è indicata la barba ed è accennato lo scudo. La produzione dura oltre un secolo e se ne può seguire l'evoluzione: si assa da coperchi a palla, su cui i lineamenti sono appena accennati o sono resi a mò di maschera applicata, a vere e proprie teste umane che fanno da coperchio. All'inizio del IV secolo la città viene assediata dai Galli, attratti dai ricchi prodotti (sopratutto grano) delle campagne. Ancora per il III secolo è attestata l'opulenza del ceto aristocratico chiusino, documentata nella Tomba della Pellegrina, che accolse i membri di una delle famiglie aristocratiche più importanti per più generazioni. Le urne e i sarcofagi rimandano a una produzione tipica locale, poi ampliata nei decenni iniziali del II secolo a materiali quali il travertino (pietra calcarea) e la terracotta. Nel II secolo il territorio chiusino conosce un forte incremento demografico ed il paesaggio agrario appare disseminato di numerosi abitati a carattere agricolo, forse spiegabili con l'affrancamento e la conseguente integrazione di masse servili che avevano partecipato alla vita sociale. La città appare governata da poche famiglie di antica nobiltà mentre assai più numerosa risulta la compagine sociale di ceto medio-alto che mostra un elevato grado di alfabetizzazione, non a caso, quali 1/3 delle iscrizioni etrusche che abbiamo provengono da Chiusi. A questo periodo sono riferibili le Tombe di Vigna Grande e del Granduca, costruite con blocchi di travertino e una piccola tomba dipinta, scoperta in località Tassinaia (si tratta dell'unica tomba chiusina dipinta, tardo arcaica). E' noto anche un quartiere dedito alla produzione di ceramica scoperto presso Marcianella. Tra la seconda metà del II e gli inizi del I secolo a.C., si affermano le urne a campana, di terracotta, le quali sono decorate da un motivo a festone dipinto, lo stesso che è dipinto sulle pareti della tomba della Tassinaia o che è scolpito su qualche urnetta di alabastro. Normalmente riportano un'iscrizione con il nome del defunto in lingua etrusca ma talvolta anche in latino: la produzione è perciò da riferire al momento di passaggio dalla cultura etrusca a quella romana. La partecipazione alla guerra civile comporterà la distruzione e la confisca di ampi territori in favore dei veterani di Silla. CHIANCIANO La città ebbe una notevole fioritura in epoca orientalizzante, evidenziata dalla grande necropoli di Tolle , in cui finora sono state scavate diverse centinaia di tombe del VII secolo. Frequenti sono i risalente alla fine del V secolo. L'edificio sacro fu poi ancora utilizzato nel II secolo, epoca alla quale appartengono alcune lastre a rilievo con motivi floreali e frammenti ceramici. In età ellenistica il piccolo abitato venne dotato di possenti mura difensive. AREZZO Centro antico era nello stesso sito in cui è la città moderna, su un altura che domina sugli sbocchi della valle del Chiana, a nord il medio Valdarno e il Casentino (le valli segnati dai tratti paralleli del corso dell’Arno), a ovest le colline che portano verso il Chianti e verso la valle dell’Ombrone, a est le colline e le valli che portano verso il Tevere. La vita di Arezzo era legata al regime del Chiana che, con le sue frequenti piene e alluvioni, assicurava nella vallata da una parte è un terreno fertile e dall’altra un impaludamento e, inoltre, provocava dissesti nel regime del Tevere, fiume nel quale si immetteva dopo la confluenza nel Paglia all’altezza di Orvieto. Negli anni 60 e 70 del secolo 19º vengono messi in luce: le necropoli di Poggio del Sole, con tombe a fossa che vanno dal periodo arcaico a quello ellenistico, e le stipi, ricche di bronzi tardo-arcaici, di San Bartolomeo e di Fonte Veneziana. Le testimonianze sulla cultura locale vanno dall’arcaicismo e L’ ellenismo. Scarsa e la documentazione della facies villanoviana: una fibula bronzea ad arco ribassato e staffa simmetrica a Castelsecco, un cinturone bronzeo nei pressi di Porta Colcitrone, Un “sepolcreto di VIII secolo” alle Caselle lungo via Fiorentina. Al primo orientalizzante si datano alcuni bronzetti filiformi di stile geometrico: figurine maschili e femminili schematiche, dal corpo piatto e dalla testa sferoidale, su cui sono accennati i tratti fisionomici. La produzione di bronzetti prosegue nel tardo orientalizzante al tardo arcaismo. Esemplari analoghi vengono anche da Volterra ciò indica che le maestranze potevano spostarsi da un centro all’altro. Certo è che una produzione bronzistica quantitativamente rilevante presuppone una disponibilità della materia prima in loco. In effetti nei dintorni sia di Volterra sia di Arezzo si conoscono coltivazioni di materiali cupiferi e ferriferi. Ad Arezzo si sa di miniere metalliferi sfruttato in antico. In questo quadro può essere rivalutata la tradizione, riportata da Dionigi, che vedrebbe Arezzo coinvolta in diverse battaglie e scontri militari: questo si deve al fatto che le tradizioni antiche nascano nel periodo di massima floridezza di un determinato territorio che tende ad inventare tradizioni che esaltino il territorio stesso. Nel VI secolo è da mettere un’organizzazione urbana: il poggio del sole, a nord ovest dell’abitato, è un’area adibita solo a necropoli. Dall’area abitata provengono antefisse a figura umana intera e sime rampanti decorati a rilievo con scene di combattimento, dei primi del V secolo, che dovevano ornare un edificio sacro o pubblico; i santuari sorgono fuori dall’area urbana. Fra i reperti arcaici della necropoli si segnalano vasi attici e Etruschi a figure nere, orecchini d’oro a bauletto, buccheri pesanti di tipo chiusino, un cippo a palla di pietra fredda e perciò forse proveniente da chiusi, ciò ammetterebbe i legami tra Arezzo e chiusi. Dal IV secolo comincia la produzione di ceramica a vernice nera, che dura fino alla metà del I secolo a.C., quando viene sostituita da quella corallina. Tra la fine del IV secolo e del III secolo Arezzo a ruolo primario in diversi eventi storici: nel 331 a.C. gli aretini sono gli unici fra i popoli dell’etruria a non approfittare del fatto che i romani erano impegnati nelle guerre sannitiche per intraprendere un’azione militare contro di essi, nel 302 a.C. un conflitto intestino fra le fazioni aristocratica capeggiata dai Cini e servile viene sedato con l’intervento dei romani. Di una guerra servile ad Arezzo, fronteggiata dal Tarquiniese Aulo Spurinna, C’è esplicitamente Sioni in un elogio di questo personaggio: il legame con la situazione che porto ai fatti del 302 a.C. sembra verisimile, tanto che dalla documentazione epigrafica etrusca e latina risulta la presenza nell’aretino di membri della Gens Spurinna. Nelle guerre tra romani e galli del 295 a.C., prima della battaglia di sentina ho, e del 285 a.C., alcuni scontri hanno luogo sotto Arezzo e gli aretini parteggiano sempre per i romani. Nel 205 a.C. Publio Cornelio Scipione prepara la spedizione africana, gli aretini si distinguono, fra gli altri popoli dell’Etruria per il loro contributo di frumento, armi e attrezzi agricoli in misura veramente consistente. La natura e la quantità del contributo forniscono precise indicazioni sull’economia della città. Il ferro e lo sfruttamento delle miniere metallifere della zona favoriscono l’industria locale della fabbricazione di armi e di attrezzi destinati all’agricoltura e segno che questa attività era largamente praticata e dava una produzione in surplus. Ciò dimostra che l’agro fra Arezzo e Fiesole era uno dei più fertili d’Italia. Il II è il I secolo sono di particolare floridezza, grazie anche a una concordia interna raggiunta fra le parti sociali. Alla prima metà del II secolo risalgono le terracotte architettoniche della Catona, che si inseriscono nel filone microasiatico; esse appartengono ad almeno due fregi, in cui si tende a riconoscere il giudizio di Paride e della celtomachia, che decoravano un edificio pubblico distrutto forse da Silla dopo l’82 a.C.: in particolare il tema della celtomachia, attestato in altri monumenti coevi dell’Italia antica, rientra in un programma figurativo che intende esaltare il ruolo di Roma vincitrice sui galli, un programma che non poteva non essere accolto ad Arezzo per gli eventi storici che l’avevano coinvolta nel secolo precedente, in cui si era distinta per costante atteggiamento filoromano. Sempre al II secolo risale un deposito votivo del santuario urbano della Via della Società Operaia, che comprende busti e teste fitti lì, appartenenti anche alla corrente microasiatica, ma con i primi segni della corrente classicista di derivazione neo-attica. Il complesso più importante della zona è il santuario extraurbano di Castelsecco, a poco più di 3 km a sud-ovest dell’abitato: su un pianoro retto da mura poderose si trovano Il podio di un tempio e di un teatro ricavato dalla roccia, forse il primo e comunque l’unico esempio etrusco sicuro in pietra. I doni votivi attestare il culto di una divinità protettrice delle nascite, mentre due frustoli epigrafici a te stanno quelli di Zeus e forse di Apollo. L’importanza di Arezzo nel II secolo ribadita dal fatto che viene raggiunta da grandi strade consolari: nel 187 a.C. da una che parte da Bologna, la via Flaminia militare e che segue un percorso di montagna, nel 171 a.C. dalla Cassia. Dopo la guerra sociale la città e ascritta alla tribù Pontina. Come altre città nella guerra civile tra Mario e Silla parteggia per il primo, per cui dopo l’82 è devastata dall’esercito sillano e subisce una colonia militare, alla quale si aggiungerà successivamente una colonia cesariana. Subito dopo la metà del I secolo Inizia la produzione di ceramica “arretina”, la tipica ceramica corallina liscia o di curata stampo, che durerà fino a circa la metà del I secolo. Ai primi tempi dell’impero risalgono diversi edifici pubblici romani. La città per dirà di importanza nel II secolo con l’affermazione di Florentia. PIEVE A SOCANA Resti di un santuario etrusco sono stati ritrovati presso la chiesa medievale di S.Antonio a Pieve a Socana, ciò indica la continuità di frequentazione di questo luogo sacro. Del santuario antico, che avevano orientamento contrario a quella della Chiesa odierna, sono stati individuati un grande altare sacrificale ed una scalinata di accesso. L’edificio era ornato con terrecotte databili al V secolo, e alla stessa epoca sono riferiti anche alcuni piccoli altari e grandi dischi di pietra con dedica al sole. Fu poi nuovamente di curato nel II secolo con antefisse in terracotta, e doveva assolvere alle esigenze religiose della popolazione rurale e dei viandanti che percorrevano l’importante è tracciato a destra dell’Arno verso Monte Falterona. La perdita di importanza di quella strada caso al declino del santuario che all’inizio del I secolo venne abbandonato. PERUGIA L’origine di Perugia viene ascritta alla tribù umbra dei sarsinati, agli achei reduci dalla Guerra contro Troia, oppure ad Auleste, padre o fratello di Ocno, il mitico fondatore di Mantova e Bologna; ipotesi, quest’ultima, che sembrerebbe alludere al ruolo rivestito dai centri dell’Etruria settentrionale nella colonizzazione etrusca della Pianura Padana. L’antichità dello stanziamento perugino è documentata da ritrovamenti dell’età del Ferro nella necropoli del Palazzone. La posizione strategica all’incontro delle vie di comunicazione tra l’alta valle del Tevere e la valle Umbra contribuì allo sviluppo della città, che poté estendere la propria influenza su un vasto territorio sfruttato a fini agricoli, in particolare per le produzioni cerealicole. Secondo gli scritti di Tito Livio, nel IV secolo Perugia godeva di un ruolo particolarmente prestigioso all’interno della lega etrusca. Nel IV secolo doveva già essere costruita la cinta muraria, perché nel 309 a.C il console romano Quinto Fabio Rulliano affrontò e sconfisse presso Perugia un esercito di città dell’Etruria settentrionale: di conseguenza, la stessa Perugia, Cortona e Arezzo si arresero e ottennero dai romani una tregua di 30 anni. Perugia non rispettò la tregua, per cui venne occupata dallo stesso console, che vi impose un presidio militare. La sconfitta nella battaglia di Sentino del 295 a.C costò un tributo molto elevato a Perugia. Nel 294 a.C le città dell’Etruria settentrionale vennero debellate definitivamente dai romani e ottennero una tregua di 40 anni, anche se dovettero fornire all’esercito romano vestiario e frumento. Dopo il 90 a.C Perugia divenne un municipio romano e fu ascritta alla tribù Tromentina; mezzo secolo più tardi, per aver accolto il fratello di Marco Antonio, Lucio, venne assediata da Ottaviano Augusto, espugnata e incendiata nel 40 a.C. Sarà poi ricostruita e prenderà il nome di Augusta Perusia. Della città antica è conservata parte della cinta muraria in blocchi di travertino, lunga 3 km e munita di monumentali porte, delle quali se ne conservano due, entrambe del III secolo a.C:  La Porta Marzia, inglobata nella Rocca Paolina, ornata con i busti di Giove e dei Dioscuri, e con protomi di cavallo.  La Porta di Augusto, fiancheggiata da due torrioni di epoca romana e con arco a tutto sesto sormontato da una decorazione di scudi e lesene. Verosimilmente, anche il pozzo Sorbello con rivestimento in blocchi di travertino è da riferire alla costruzione delle mura stesse. Meglio conosciute, sono le necropoli che hanno restituito già per l’età del Ferro sicure testimonianze, in particolare la vasta necropoli del Palazzone che ha permesso di recuperare ricche sepolture con ceramiche attiche e bucchero, dove è visibile il monumentale ipogeo della famiglia Volumni con sepolture databili tra il II e il I secolo. La tomba è costituita da un vestibolo centrale su cui si aprono quattro celle e da un corridoio sul fondo che immette in altre tre camere funerarie. Essa costituisce un bell’esempio dell’interno di una casa di epoca ellenistica. Nella camera centrale, decorata sul soffitto con una protome di gorgone, erano le sepolture più antiche entro urne cinerarie di notevole raffinatezza. Quella del capostipite Arnth Velimnes, importante magistrato della Perugia del II secolo, appare particolarmente sontuosa, con la figura del defunto distesa sul coperchio sostenuto da due demoni alati posti a protezione di una finta porta dipinta. Perugia, insieme a Chiusi e Volterra era celebre per la produzione di urne. Prima del IV secolo non esisteva un vero centro urbano dotato di mura, ma nei dintorni troviamo comunque varie tombe principesche a stile votivo, decorate con rilievi e raffigurazioni delle scene mitologiche. Vi era, inoltre, la decorazione dei carri, di cui il più famoso, che proviene da Monteleone da Spoleto. L’usanza dei carri la troviamo soltanto tra il VII e il VI secolo. Tra il III e il I secolo, il tipo tombale è a camera, scavata nella roccia con soffitto a doppio spiovente, oppure costruita con grandi blocchi di travertino e volta a botte. Il rito funebre era l’incinerazione. Molto ricche risultano le tombe scavate nella necropoli dello Sperandio, da dove proviene il celebre sarcofago di pietra fetida con raffigurazione di un corteo. Monumentale appare la Tomba di S. Manno, della famiglia Precu, come ricorda un’iscrizione posta all’ingresso di una delle celle laterali, con volta a botte costituita da blocchi di travertino, mentre la Tomba dei Cai Cutu, con pianta a crociera, che ha restituito 50 urne cinerarie ed un sarcofago, databili tra il III e il I secolo a.C. TODI Todi sorge su un’altura posta tra il corso del Tevere e dei torrenti Naia e Rio, una posizione adatta per svolgere funzioni di controllo sull’importante via d’acqua e sul tracciato stradale che conduceva ad Orvieto. Il nome etrusco di questo antico centro umbro, Tutere (Tute= confine), richiamerebbe proprio questa sua collocazione geografica di confine. La città entrò nella sfera politica etrusca nel V secolo, quando conobbe una grande fioritura economica durata per due secoli, tanto che arrivò a coniare una propria moneta. A questo periodo sono riferibili le sepolture della necropoli della Peschiera con grandi quantità di manufatti bronzei di notevole pregio, oreficerie, ceramiche figurate greche ed etrusche. Al IV secolo a.C. è databile il donario del santuario extraurbano di Monte Santo che ha restituito la famosa statua bronzea conosciuta come il Marte di Todi. La floridezza di Todi appare ben documentata fino al III secolo a.C, quando entrò a far parte dei domini di Roma. L'AGRO VOLTERRANO La Toscana centro-occidentale, che dalle colline scende al mare col tratto di costa tra Pisa e Populonia, è oggi un'area di grande fascino paesaggistico sebbene molto diverso dal passato. I casi della Fortezza medicea di Livorno e di Collesalvetti, risalenti alla fine dell'età del Bronzo, costituiscono degli esempi molto ben documentati: il primo ritrovamento è frutto di recenti ricerche all'interno di due ambienti sotterranei della fortezza livornese, che hanno individuato le fondazioni di almeno tre capanne. Più esteso è il sito dei Pratini dell'Argin Grosso, nel Comune di Collesalvetti, dove nel corso di lavori è stato rimesso in luce un palafitticolo eretto su cassoni di bonifica resi necessari giacchè il sito si trovava in antico sulle sponde di una laguna salmastra. Si sono conservati reperti di ambito domestico come fornelli, pesi da telaio per la filatura e la tessitura, resti di fauna terrestre e marina, testimoni dell'antica alimentazione. VOLTERRA Con l'inizio dell'età del Ferro, l'area più densamente popolata è Volterra, dove già dal IX secolo a.C. sono documentate alcune necropoli con tombe a pozzetto. La città sorgeva su un alto colle ed era difesa da una cinta muraria che ne racchiudeva la superficie. L'area delle Ripaie ha restituito tombe molto antiche con tipici ossuari biconici di cultura villanoviana, alle quali fanno seguito per l'VIII secolo altre sepolture dello stesso tipo, i cui corredi si arricchiscono di oggetti metallici che testimoniano le ricchezze metallurgiche distretto. Le testimonianze dell'età del Bronzo finale, benchè limitate a due asce di tipo Gabbro e ad alcuni frammenti dalle Ripaie, sono di notevole interesse in quanto propongono per Volterra una situazione analoga a quella di altri centri etruschi. L'altura di Volterra in epoca villanoviana fu teatro anche di altri abitanti, grazie alla presenza di terrazzamenti naturali e di una visuale che permetteva di controllare le vallate di vari fiumi. Si conoscono due necropoli villanoviane, con tombe a pozzetto e a fossa.Vari insediamenti villanoviani minori sorsero su tutto il pianoro nell'VIII secolo le cui sepolture sono tornate alla luce. I materiali di queste sepolture, mostrano una tenace continuità di tradizione culturale villanoviana tra il IX ed il VII secolo, similmente a quanto è testimoniato nel territorio fiorentino col quale tale area ebbe stretti contatti, caratteristica da imputarsi sostanzialmente ad un consolidato modello socio- politico più che a mancanza di rapporti con l'estero. orizzontali che formavano il soffitto. Presso questa tomba sono stati individuati anche i resti di una sepoltura più antica, del tipo a pozzo, il cui corredo intatti è riferibile ad un guerriero del ceto egemone, come dimostrano una lancia di grandi proporzioni, una spada ed una piastra pettorale in bronzo. Nella piana sottostante si trova la necropoli di Comeana, con tombe riferibili a grandi proprietari terrieri, in un'area di insediamenti rurali di notevole valore agricolo. La Tomba Boschetti, formata da un breve corridoio che precedeva un vestibolo ed un vano cubico, simile alle tombe di Prato Rosello, ha restituito pochi resti di almeno due sepolture, tra le quali quella di un ricco guerriero. Di ben altre dimensioni è invece il Tumulo di Montefortini che si presenta come una vera e propria collina artificiale sorretta da un tamburo di pietre solo parzialmente in vista, nella quale si apriva un altare- terrazza sporgente per l'esposizione dei defunti e dei loro corredi. Nel tumulo son tornate in luce ben due tombe riferibili a fasi distinte:  la più antica, è della metà del VII secolo ed è collocata al centro del tumulo e come altre tombe, ha una cella circolare coperta ad aggetto, con un pilastro centrale. Il vestibolo al ritrovamento era ancora chiuso dall'antico lastrone, mentre il corridoio di accesso venne cancellato dalla seconda tomba.  La seconda tomba è preceduta da un corridoio scoperto e da un vestibolo coperto con pietre aggellanti. Da qui si accede alla cella rettangolare coperta anch'essa con la tecnica dell'aggetto e fornita di un'identica “mensola” di pietra lungo il perimetro delle pareti allo stesso modo della più antica tholos circolare. Nel complesso emerge come quest'area si trovasse al centro di crescenti influssi commerciali e culturali. L'infittirsi e l'aggregarsi degli insediamenti della fine del VII secolo va in alcuni luoghi quai Fiesole d Artimino, a preludere alla formazione urbana, come sembra indicare anche la nascita di produzioni artigianali destinate a mercati estesi. L'Etruria settentrionale interna mostra così in questa fase una peculiare sintesi di tradizione ed innovazione che costituisce la caratteristica di un'area piuttosto ampia e culturalmente omogenea. FIESOLE Fiesole fu abitata sin dal neolitico, con la prima età del Ferro Fiesole appare occupata da piccoli nuclei posti sulle due sommità collinari. Negli strati al di sotto del tempio etrusco sono stati individuati alcuni fori nella roccia ed uno scasso rettangolare, connessi forse a capanne di epoca villanoviana più che a sepolture. Dalla stessa area, provengono numerosi resti ceramici sia villanoviani che orientalizzanti, tra i quali particolari anse a due corna con appendici cave. Nel tardo arcaismo, nasce nella zona di Fiesole una scuola scultorea, che produce un discreto gruppo di monumenti funerari di pietra serena, un'arenaria estratta in cave dei dintorni. Di questa produzione si conoscono vari tipi: stele a ferro di cavallo, a campo rettangolare con unico riquadro o con due o tre riquadri, a lira; cippi a parallelepipedo , talvolta con leoni rampanti sugli spigoli, e coronamento a sfera o a bulbo; altari e sculture animalesche a tutto tondo. La decorazione è a rilievo basso. L'esemplare più antico, la stele di Larth Ninie, databile al 520 a.C. , per la forma a rettangolo con gli angoli superiori stondati e per l'immagine del defunto a tutto campo come guerriero, può confrontarsi con le stele volterrane arcaiche. Alla stessa scuola sono attribuite sculture a tutto tondo come una statua di leone. Nell'interno del terrazzamento per il tempio tripartito, le cui strutture più antiche risalgono alla fine del IV o agli inizi del III secolo a.C. sono state rinvenute terracotte sub arcaiche. Nell'ellenismo arriva a Fiesole ceramica a vernice nera volterrana, la quale spesso rappresenta il modello per le forme di una ceramica grigia prodotta in botteghe locali. Fiesole durante la guerra sociale fu occupata da Lucio Porcio Catone e dopo la guerra civile tra Mario e Silla, per essersi schierata dalla parte del primo, dovette accogliere un colonia di veterani sillani ai quali si ribellò nel 78 a.C. . Nel 63 a.C. fu favorevole a Catilina che vi stanziò il suo esercito; da questo momento in poi la città entra nell'orbita romana e cominciano ad essere costruiti edifici monumentali come il teatro e le terme. La ceramica di epoca orientalizzante rinvenuta a Fiesole, va messa in relazione con alcuni resti di edifici che, sono riconoscibili come strutture abitative utilizzate forse nella parte finale del VII secolo, periodo in cui l'intero agro fiorentino sembra attraversare una fase di sviluppo insediativo ed economico in stretta connessione con l'aumento dei traffici sulle diverse vie di comunicazione. Dalla fine del II secolo sarà meglio collegato anche con le località marittime. Fiesole con l'inizio del IV secolo a. C. ha una crescita esponenziale nella quantità di reperti, la cui esistenza presuppone l'aggregarsi di un elevato numero di persone residenti sul posto. La popolazione era dedita ad attività lavorative specializzate, come la produzione di stele e sculture (sopratutto di età tardo arcaica) di vasellame in bucchero, i cui produttori venivano smerciati anche presso le comunità circostanti attraverso l'impiego di arterie di comunicazione. L'abitato venne interessato nella metà del VI secolo, da una profonda ristrutturazione; dopo tale evento fu creata un'area sacra con al centro un piccolo edificio di culto quadrato il cui pavimento interno era fatto in semplice terra battuta ma la copertura, oltre alle tegole, comprendeva antefisse dipinte e acroteri alle due estremità della trave maestra, decorati con un ippocampo plastico. Una fognatura, alcuni terrazzamenti e pavimentazioni completavano l'area : ad essa vanno riferiti anche una cultura in pietra serena con un leone accovacciato ed un basamento in pietra, oltre al vasellame in miniatura realizzato in bucchero nero e grigio, ceramica attica ed una stipe di bronzetti (molto diffusa in Etruria meridionale). Un ulteriore piccolo edificio di uso sacro sorto nel V secolo e risistemato durante l'età ellenistica era presente sul versante meridionale di Fiesole, nella sua area vennero rinvenuti più di 40 bronzetti votivi, oltre a delle ceramiche. La presenza sulla collina di S. Francesco di una scultura in pietra raffigurante un leone, di vasellame arcaico e miniaturistico, fa presumere che anche qui vi fosse un luogo di culto con depositi votivi, come sull'altura orientale da dove proviene un raffinato bronzetto con Ercole vestito con pelle di leone nemeo. La cinta urbana forma una impressionante difesa, ancora leggibile nonostante le demolizioni da parte dei fiorentini nel 1125. alle botteghe artigiane è con ogni probabilità da attribuire una classe di steli figurate in pietra serena, dette “pietre fiesolane” presenti su tutto il territorio. Sono proprio queste steli che meglio documentano lo sviluppo degli insediamenti etruschi nell'area fiorentina. GONFIENTI Forse in connessione con l'espansione verso l'area padana di quest'ultimo centro etrusco va letta la vera e propria città da poco individuata nella piana pratese, presso Gonfienti, insediamento che è stato riportato alla luce per errore. Era formato da ampie case sntro isolati posti su pianta ortogonale, e progettato organicamente. La sua cronologia, incentrata sul V secolo a.C., corrisponde a quella di Marzabotto, città quasi “speculare” situata al di là della catena appenninica lungo il corso del Reno. Come Gonfienti, anche Marzabotto, venne realizzata durante il particolare periodo storico dell'espansione etrusca verso nord. PISA L’origine leggendaria della città e tramandata dalle fonti letterarie parla della fondazione di Pisa adopera di Troiani scappati dalla guerra. Recentemente sono stati ritrovati resti di un villaggio di almeno otto capanne, dell’età del bronzo finale, collocato presso un ambiente lagunare e salmastro sopra una palificazione di tronchi d’olmo. L’abbandono di quest’area alla fine dell’età del bronzo e la più o meno contemporanea esistenza di altri insediamenti sia un’area urbana pisana che nella foce dell’Arno, sembrano mettere in diretta connessione la dislocazione dei villaggi con l’instabilità del regime idrico, ma al contempo di mostrano una marcata predilezione degli insediamenti per le zone pedemontane e luoghi costieri posti alla foce dei fiumi. Il paesaggio era diverso da quello odierno: le spiagge erano molto più brevi, la costa fino a Versilia era ornata da lagune e specchi d’acqua dolce che costituivano un facile attracco per i naviganti e un utile risorsa per la pesca, i fiumi si frammentavano alla foce in vari bracci che potevano essere risaliti dalle imbarcazioni. La presenza in siti costieri gli oggetti provenienti dalla Sardegna documenta l’ampiezza dei traffici sul mare già all’inizio dell’età del ferro. Pisa diventa un centro di grande importanza sino al IX secolo epoca alla quale risalgo alcune tombe villanoviane e tracce di un’area abitativa all’interno della città moderna. L’insediamento Pisano sorge su un’area lagunare separata dal mare da alcuni depositi sabbiosi, là dove il ramo più settentrionale del delta dell’Arno confluiva con l’Auser. Questo primo insediamento faceva capo di una rotta di traffici terrestri e fluviali che da Bologna superava l’Appennino puntando sull’area fiorentina e poi, mediante il fiume giungeva Pisa. Dall’VIII secolo a questo percorso se ne dovete aggiungere un altro, che dall’area modenese, per le valli del Panaro e utilizzando il Serchio, giungeva a questo scalo litoraneo. Grazie ritrovamenti di manufatti bronzei, risultava il collegamento costiero anche con l’etruria meridionale e con la foce del Tevere. Stato ritrovato anche vasellame fabbricato a Tarquinia, che indicherebbe in Pisa un po’ l’importante per la diffusione di ceramiche di stile geometrico dall’Etruria meridionale verso nord. Il rapporto con Tarquinia è avvalorato dalle fonti letterarie in cui Catone attribuiva la nascita di Pisa a Tarchon, fondatore di Tarquinia. Indagini archeologiche hanno rimesso in luce presso la necropoli villanoviana un grande tumulo dell’VIII-VII secolo Circondato da lastre di pietra che, per l’assenza al suo interno di resti umani, è stato considerato un probabile cenotafio per un ricco principe. Già alla fine del VII secolo controllava il territorio che da Castiglioncello Ed alla foce del fine andava sino all’alta Versilia, spingendosi nell’interno della valle del Serchio, alla bassa valle dell’Arno e dalla media Val d’Era. Attiva dell’artigianato artistico nella produzione agricola, Pisa ristruttura Il suo territorio urbano tra la fine del V secolo e gli inizi del IV secolo come dimostrano i santuari di Piazza Dante di piazza Duomo. Evoluzione cittadina visibile nei resti architettonici portuali e nel conio di moneta propria di argento. Pisa diventa alleata di Roma già nel III secolo con gli scontri contro i liguri. Tra il 41 e il 33 a.C. diventa colonia opsequens iulia. Recentemente sono tornati alla luce i resti del porto urbano della città etrusca e romana e, con essi, i relitti di almeno 28 scavi di imbarcazioni. Individuati i resti delle strutture portuali della città etrusca, formati da una palizzata frangiflutti cui correva parallela una banchina di grandi blocchi di pietra profonda quasi 2 m e lunga oltre 16, collegata a un avancorpo quadrangolare. Il rinvenimento di Biemme tanto imbarcazioni in eccellente stato di mezzo il bastione, grazie al suolo umido e privo di ossigeno che ha custodito intatti i legni le sostanze organiche solitamente deperibili. Gli schiavi riferibili A tre navi da carico, Primark azioni per la navigazione fluviale, una barca a remi e due ulteriori grandi barche di uso da definire sono pressoché integri mentre altri scavi sono incompleti e danneggiati. Le navi nel loro complesso risalgono ad un ampio lasso di tempo tra il III secolo e il V secolo. LA VERSILIA E LUCCHESIA Lo scalo Pisano non fu l’unico impiantato: lo scalo S. Rocchino , nei pressi di Massarosa, le cui labili tracce sul terreno sono ormai deperite. Qui venne vengono messi in luce, non lontano da una fonte d’acqua dolce, alcuni resti della prima età del ferro presso i quali alla fine del VII secolo fu effettuato un complesso lavoro di bonifica del terreno. Furono create palizzate frangiflutti e costruì di argini con cumuli di fascine e legna me disposti a formare dei cassoni di forma regolare. Sopra queste fondazioni vengono eretti abitazioni dalle quali provengono reperti in bulgaro, in ceramica acroma e d’impasto,Che trovano stretti confronti, oltre che con gli scavi di Pisa, corre Berti dell’ago volterrano e da Populonia. Alla fine del VI secolo e del V secolo si datano frammenti di vasellame di importazione greca, oltre che ceramica di produzione in zona. I ritrovamenti nella Versilia sono la testimonianza di una loro pressione commerciale diretta verso nord, che comporterà sia la nascita di piccoli insediamenti alla foce del Magra e nel Golfo del La Spezia sia in un probabile concomitante ritiro dei liguri, dei quali inizio del VI secolo non ci sono più documentate le necropoli di Chiavari, di Rapallo e del Beccatoio. In Garfagnana, lungo la valle del Serchio attorno all’antico lago di Bientina, si trovano materiali etruschi e liguri databili tra il VI secolo e il II secolo con corredi dalle tombe liguri di Castelvecchio Pascoli e da Val di Vaiana , e di pietra santa, dove sono presenti dei segnacoli funebri a forma di clava, caratteristici della fase Etusca versiliese. Ma soprattutto le eleganti oreficerie e di pregevoli cratere attico a figure rosse con Teseo, opera del ''pittore del porco'', usato a Rio Ralletta di Capannori come cinerario per una sepoltura etrusca; ripostiglio di monete in argento degli inizi del III secolo da Romito di Pozzuolo; le coeve tombe liguri a cassetta di Vado di Camaiore, documentano l’avanzata ligure nel territorio. I liguri furono poi affrontati dall’esercito romano, incontrando però una resistenza accanitissima che si protrarrà, dopo varie campagne, sino a 180 a.C., quando la disfatta ligure fu seguita dalla deportazione di 40.000 uomini nel Sannio. Questo evento via la fondazione delle colonie di Lucca e Luni nel 177 a.C. Le origini di Lucca sono etrusche, come attestano i reperti di via Squaglia. Questi, risalenti alla fine del VII secolo e gli inizi del VI secolo sono riferibili a un sepolcreto familiari formato da una dozzina di tombe a incider azione, forse collegabili al vicino abitato di via nottolini, dove sono stati rinvenuti frammenti di bucchero e di altro vasellame. Tracce etrusche sono tornate in luce a Fossa Nera, presso Porcari, dove in un’area già occupata nell’età del bronzo e poi abbandonata per le esondazioni dell’Auser viene edificato un complesso rurale di abitazioni, Sylos e discariche a cavallo tra il VI e il V secolo. Colpito da una prima eisondazione, il sito venne definitivamente distrutto da un ulteriore piena che interessano l’intera palude di Biatinia e trasformò la vita e l’economia di tutta l’aria, cancellando intero sistema abitativo etrusco dalla zona fino al III secolo. L’area di Fossa Nera venne occupata nel 150 a.C. ormai in epoca romana, da una casa rurale tardo repubblicana inserita in una fittissima rete di piccole fattorie di divisi coloni. L’ETRURIA PADANA Gli aspetti culturali dell’Etruria Padana sono antichi quanto quelli delle aree comprese nell’Etruria propria. La definizione stessa della cultura etrusca della prima età del Ferro- detta “Villanoviana” - prende infatti il nome da una località emiliana presso Bologna: Villanova, dove vennero individuate testimonianze di questa facies culturale. Gli aspetti culturali villanoviani perdurano tuttavia, in area padana fino al VI secolo a.C, ovvero ben oltre i limiti cronologici consueti, con un mantenimento di schemi socio-culturali ed insediativi tradizionali, che ostacola la formazione di vere e proprie città. BOLOGNA Bologna, in etrusco Felsina, è la città che ha avuto un ruolo primario fra quelle etrusche della Padania. Il fondatore sarebbe stato Ocno, lo stesso che avrebbe fondato Mantova, figlio o fratello di Auleste, a sua volta fondatore di Perugia. Il capoluogo emiliano fu occupato dal IX secolo da genti di cultura villanoviana che facevano capo a più insediamenti vicini.
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