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riassunto Making - Tim Ingold, Sintesi del corso di Antropologia Culturale

Riassunto del libro Making - Tim Ingold

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 01/12/2022

ailui
ailui 🇮🇹

4.6

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Scarica riassunto Making - Tim Ingold e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! Tim Ingold - Macking CONOSCERE DALL’INTERNO L’autore durante un soggiorno presso i Sami (Finlandia) rivaluta l’apprendimento come scoperta anche di se stessi. Quello che gli dicevano i suoi accompagnatori era “impara da solo” infatti la mera trasmissione di informazioni non da garanzia di conoscenza. Essa infatti è un processo attivo che si costruisce strada facendo e non sorprende come questo gli sia stato insegnato da un popolo di cacciatori. Baetson lo definisce deuteroapprendimendo, il processo che ci permette di imparare direttamente dal mondo, da e con le persone e le cose. Nuova sfida dell’antropologia è il superamento del principio epistemologico sul quale si fonda la legittimità delle istituzioni accademiche: la pretesa di queste ultime di fornire un resoconto autorevole sul funzionamento del mondo senza entrare in contatto con esso. Etnografia: studio di, imparo su, progetto che porta a guardare indietro, documentativo Antropologia: studio con, imparo da, progetto che porta a guardare avanti, trasformativo La distinzione principale tra le due sta nel cambiamento che producono: gli effetti prodotti dall’etnografia sono infatti accidentali rispetto allo scopo documentativo Dan Sperber: il compito dell’antropologo è condurre indagini generosa, aperta, comparativa e critica sulle possibilità e condizioni della vita umana. Riformulare insegnamenti acquisiti tramite l’osservazione pratica in termini di materiale empirico riduce l’antropologia a etnografia. L’osservazione partecipante non è una tecnica di raccolta dati ma una modalità di conoscenza dall’interno e posizionare l’osservatore all’esterno della realtà studiata costituisce un paradosso. L’arte di indagare: l’andamento del pensiero procede fianco a fianco e risponde continuamente del mutamento e del fluire dei materiali con cui lavoriamo. Procede in tempo reale, insieme alle vite di coloro che sono coinvolti in essa e al mondo al quale entrambi appartengono. Stabilire una corrispondenza (relazione) Nello studio della produzione artistica e materiale di cultura sono stati commessi due errori: la cultura materiale si è concentrata solo sugli oggetti finiti e su come questi influiscono sulle vite di chi li usa, mentre la cultura visuale solo su tra oggetti immagini e le loro interpretazioni. Quello che si è perso, secondo Ingold, è la creatività dei processi produttivi: da un lato le correnti generative dei materiali e dall’altro la consapevolezza sensoriale degli artefici. Un altro errore compiuto dall’antropologia è stato quello di indossare i panni della storia dell’arte limitandosi a considerare l’arte come un compendio di opere da analizzare invece di corrispondere con essa nel suo movimento di crescita e divenire. Ancora una volta l’antropologia è stata confusa con l’etnografia (l’apertura alla scoperta tipica dell’arte compromette l’accuratezza descrittiva dell’etnografia così come l’andamento retrospettivo di quest’ultima è diametralmente opposto alla dinamicità dell’arte) La stesura di questo libro nasce da un fruttuoso seminario tenuto all’università di Manchester che vedeva il confronto tra dottorandi in arte e architettura e antropologi. Sorprendente è come la qualità del dialogo e delle idee sia migliorata durante lo svolgimento di attività pratiche di ogni tipo. Lo studio è continuato a Dundee con un’osservazione partecipante del metodo di apprendimento di alcuni studenti di belle arti e si è trasformato in un altro seminario dal titolo: le quattro A (antropologia, arte, architettura e archeologia) antropologia dell’architettura: poco sviluppata perché le opere d’arte risultano più facili da collezionare. Gli studi esistenti confondo gli studi sull’architettura con studi sulle strutture architettoniche. Serve un’architettura dell’indagare che esplori i processi che danno vita agli ambienti che abitiamo e ai modi in cui li percepiamo Con il trasferimento a Aberdeen si aggiunse l’archeologia che condivideva con le altre tre discipline temi legati al tempo, al paesaggio e alle forme materiali e simboliche della vita umana. L’archeologia non va confusa con la prestoriografia o protostoriografia che hanno come obbiettivo quello di ricostruire la vita quotidiana del passato. Lo scavo deve essere considerato come coinvolgimento con i materiali contenuti nel suolo e non può essere ridotto a una tecnica di raccolta dei dati (modalità di conoscenza dall’interno) Con il corso sulle quattro A, Ingold, riesce a superare il concetto di territorialità accademica annullando i confini tra le varie discipline (prospettiva dello studio con). Le discipline vengono concepite come approcci complementari per comprendere e plasmare i modi in cui gli esseri umani percepiscono e si relazionano con il proprio ambiente all’interno delle correnti di spazio, tempo e movimento. I MATERIALI DELLA VITA Prima settimana corso sulle Quattro A Chiese agli studenti di raccogliere oggetti trovati nei pressi delle “cose” di cui si occupavano nei loro progetti (descrivere, schizzare, osservare un elemento architettonico a loro scelta). Tutti gli oggetti raccolti vennero depositati al centro della stanza, osservati, e ne venne ricostruita la storia.  questi oggetti erano testimonianze di altre vite ma nel diventare oggetti erano rimasti senza vita e separati da quelle precedenti Seconda settimana Raccolta di materiali. Gli studenti arrivarono con barattoli colmi dal monto che un materiale tende a disperdersi. Analizzando i materiali li si toccò senza paura di rovinarli (come era stato fatto invece con gli oggetti) e vennero assemblati con colla e versati su tavole per crearne opere d’arte  interesse nel modo in cui si registravano le tracce di movimenti e flussi: la corporeità degli studenti si modificava man mano che si modificavano le proprietà di flusso delle misture  se anche gli oggetti fossero stati trattati come materiali sarebbe stato possibile reimmetterli nelle correnti della vita Come riportare le cose in vita? Immaginiamo di arrestare due linee: una è il flusso della coscienza e da ferma prende le sembianze di un’immagine (relazione con il mondo ottica, creatività di prodotto), l’altra è il flusso dei materiali e quando si arresta prende la solida forma di un oggetto (relazione aptica, creatività improvvisata). Queste due linee viaggiano solitamente parallele e la nostra mente è portata a fare continuamente la spola tra oggetto e immagine -> modello ilomorfico = idee che sono state rese materiali e sostanze che sono state rese culturali (cultura materiale) Se si cambia prospettiva e osserviamo longitudinalmente il rapporto tra le due linee ci accorgiamo del confluire delle forze dei materiali -> processo morfologico = ripensare il produrre come un processo di crescita dove l’artefice è un partecipante all’interno di un mondo fatto di materiali attivi (si interviene in processi che sono già in atto) es: Gli studenti del corso sulle Quattro A stavano imparando a intrecciare ceste in vimini con l’antropologa e artigiana Bunn. Quello che apparve fin da subito fu la natura recalcitrante dei materiali e che era proprio questa resistenza che opponevano a tenere insieme l’intera struttura. La forma era invece generata all’interno del campo di forze degli intrecciatori (cestini diversi in base alla corporatura). A queste due forze andava però sommata quella del vento che inclinava la struttura dei cestini.  la forma emerge tramite il movimento es: Produzione di mattoni = potrebbe sembrarci che nel versare argilla morbida in uno stampo rigido essa prenda esattamente la forma che il suo creatore ha in mente. Quello di cui non si tiene conto, secondo il filoso Simondon, è che lo stampo non è un’astrazione geometrica ma una costruzione solida e che l’argilla primo è prodotto dell’architetto, il secondo si ricava dalla natura ma ne l’uno né l’altro da soli sono sufficienti se non vengono plasmati da mano esperta”. Alla geometria basata sulle proiezioni i muratori sostituivano quella fondata sulla conoscenza tattile. Le conoscenze erano acquisite sul campo, utilizzando modelli a grandezza naturale e risolvendo i problemi man mano che si ponevano -> i lineamenti non come imposti al materiale ma emergenti dal materiale stesso -> utilizzare il disegno in senso descrittivo e non prescrittivo. La cattedrale gotica di Chartres, tutt’ora incompiuta, venne ricostruita inseguito a un incendio tra il 1194 e il 1230, nulla si sa dell’architetto e dei disegni non c’è traccia. Questo probabilmente perché tutto venne fatto a grandezza naturale, occupando l’intera superficie dell’edificio. Alla cattedrale inoltre lavorarono molti uomini: diversi gruppi di operai, nove capomastri nel corso di circa 30 campagne -> l’intero edificio appare come un patchwork di elementi architettonici disposti irregolarmente e abbinati in maniera imperfetta. L’OROLOGIAIO VEDENTE Sedendoti a fare colazione trovi un grandissimo numero di ostacoli: la scatola dei cereali rende difficile versarli nella ciotola, devi dosare la quantità di latte e stare attento a non macchiare la tovaglia, il contenuto del cucchiaio è in bilico nel tragitto dalla ciotola alla tua bocca e così via. Nonostante tutte queste difficoltà ogni cosa è stata progettata per uno specifico utilizzo, secondo la logica del design ovvero semplificare la vita. Ma se il suo fallimento sembra così inevitabile ci si chiede se il suo reale compito non sia quello di creare problemi che possa risolvere. Allo stesso modo Dio creò l’uomo: un essere estremamente complesso (psicologicamente e anatomicamente) Paley = dio crea l’occhio per permettere all’uomo di vedere -> dio-progettista risolve un problema che egli stesso ha creato. (A questo enigma P. risponde che dio testimonia l’intelligenza razionale cosicché noi possiamo emularla) Camminando al buio in una brughiera inciampiamo in una pietra. Probabilmente saremmo portati a pensare che essa si sia sempre trovata li ma, se trovassimo un orologio, verrebbe spontaneo chiedersi chi lo ha perso. Ispezionandolo non avremmo alcun dubbio sul fatto che, a differenza della pietra, l’orologio sia stato fabbricato da qualcuno. Supponiamo per assurdo che l’orologio trovato per strada sia dotato di un meccanismo capace di generare nuovi orologi, continueremmo a pensare che il primo sia frutto di un disegno intelligente -> per P. l’evidenza di un disegno si trova in tutte le opere della natura Darwin = generazione dopo generazione, una specie si evolve proprio perché tali meccanismi di duplicazione non sono perfetti  Dawkins = l’analogia tra orologio e organismo si falsa -> l’evoluzione naturale appare come un orologiaio cieco e l’orologiaio vedente li progetta soltanto. La vista, spiega Dawkins, ha a che fare con la preveggenza, ossia l’abilità di formare un piano o una rappresentazione mentale che precede la sua realizzazione -> l’orologio è fatto nel momento della sua progettazione. Nella pietra però non troviamo alcun progetto mentre in altri oggetti e animali (pipistrello) si. Questo perché ci basiamo su ciò che era un modello di comportamento (le regolarità che ci ostiniamo ad individuare o il comportamento di un pipistrello in un determinato ambiente) e lo rendiamo una spiegazione per esso  sembra che la natura stessa sia plasmata ad immagine della ragione scientifica  la preveggenza dell’orologiaio di Dawkins non fa un orologio La preveggenza, nell’opera dell’artigiano, è detta anticipazione cioè l’essere sempre un passo avanti al materiale. (Sennet) Non significa predeterminare le forme definitive delle cose ma aprire un sentiero e improvvisarvi un percorso -> vedere dentro il futuro non proiettarlo sul presente. Gli esempi più calzanti ci vengono quindi non dall’architettura o dal design ma dalla cucina o dal giardinaggio -> non vedere le cose come stanno ma dove stanno andando = preveggenza anticipatoria che fa da tramite, rispetto alla connessione stabilita, assecondando e conciliando le propensioni del materiale -> percepire le cose come non finite e portate avanti con l’utilizzo (non come oggetti) Ma se le cose non sono mai finite e il mondo è in continua costruzione è possibile distinguere il progetto dalla produzione? Per Alberti il disegno indicava sia l’idea sia la sua espressione visiva. Si pensa che la linea possa viaggiare leggera, lontana da peso dei materiali, e inseguire i fantasmi dell’immaginazione. Ma la realtà è diversa: la musica va sempre più veloce della sua trascrizione, i personaggi di uno scrittore trovano sempre il modo di eludere la sua capacità di metterli su carta, Baudelaire la definisce “paura di non andare abbastanza in fretta” Ritornando all’occhio, esso è l’unico in grado di unire preveggenza e sguardo ravvicinato, a tal punto da rendere la prima una condizione necessaria per il secondo. Se guardiamo troppo da vicino non riusciamo a vedere, per vedere bene dobbiamo prendere le distanze e in questo distanziarsi consiste la possibilità di una consapevolezza riflessiva. E’ questa consapevolezza a permetterci di stabilire un coinvolgimento materiale con le cose, senza però fonderci con esse Anche gli esseri umani con deficit della vista sono consapevoli di sé stessi e di quello che li circonda. Questo perché tatto e udito possono indurre sensazioni di distanza E’ dove la vastità dell’immaginazione si scontra con l’attrito dei materiali che la vita è vissuta. TUMOLO CIRCOLARE E TERRA-CIELO Se accumuliamo materiale in un mucchio continuando ad aggiungerne altro in cima otterremo un tumolo con base approssimativamente circolare. Esso è tra le forme più comuni in natura ed è il frutto di un processo antropico. Laura Vinci ha progettato un’opera che ricreasse questo movimento, trasferendo sabbia di marmo finissima da un tumolo all’altro (macchina del mondo). La scelta del marmo non è casuale; in questo modo sovverte la solidità eterna delle architetture e sculture classiche. Da vicino la superficie di questo tumulo ci appare brulicante di movimento, l’esatto opposto di un edificio Il tumolo non è mai completo. E’ impossibile stabilire con certezza dove finisca il tumolo e dove inizi il terreno sul quale poggia, esso potrebbe essere definito terra in divenire. Archeologi preistorici sono spesso portati a credere, a volte fondatamente, che essi siano il risultato di attività antropiche del passato; ma il più delle volte esso è il sottoprodotto involontario di attività ripetitive di vario genere. Il tumolo esiste nel suo accumularsi. I tumuli sono comunque classificati e preservati come monumenti antichi. Ciò presuppone: che essi siano stati pianificati e che essendo stati costruiti in un particolare momento storico possano definirsi antichi. Il paradosso dei monumenti è che essi possono servire da memoriale solo se hanno fallito nel loro intento: durare in eterno -> è facile confondere l’atto del ricordare con gli oggetti che usiamo per localizzare e marcare i nostri ricordi. E’ usanza moderna creare un nocciolo di significato che i costruttori originari lasciarono nel tumulo con la precisa intenzione di farlo rinvenire. Il più delle volte tali sforzi non sono stati premiati. Per gli archeologi di oggi è proprio nello scoprire, e non in ciò che viene scoperto, che risiede l’attività della memoria. Nel caso dei monumenti non abbiamo alcun dubbio nell’affermare che esista un momento esatto in cui ne sia iniziata la costruzione ma non diremmo lo stesso di una montagna. L a montagna non è, né mai sarà, completa. Il tumulo è però una via di mezzo: è di proporzioni certamente più vicine a quelle umane e la sua forma ne è indubbiamente più influenzata eppure la sua forma è sempre emergente per via dell’azione di forze materiali. Perché una cosa entri a far parte del record archeologico deve essere ancorata a un preciso momento di origine -> una cosa che cresce non può farne parte -> archeologia della persistenza dove ciò che conta non è la determinazione di date ma la capacità di seguire le cose nella loro traiettoria temporale dal passato al presente. Anche le cose nei musei invecchiano giorno dopo giorno, eppure il loro invecchiamento è artificialmente arrestato Il tumulo è sia sulla terra che di terra. Un viandante da lontano lo percepisce ben separato dalla linea dell’orizzonte dal cielo ma, se ci si sdraia sopra, questa linea scompare -> mondo terra cielo -> molti tumoli contengono sepolture, i defunti erano messi a riposare in un mondo terra-cielo = il fondersi con il terreno è associato alla morte Nello Jutland, come in tutta la Scandinavia meridionale, molti tumuli hanno il nome di Tinghoj. Nel periodo medievale il Ting era considerato un luogo di riunione dove gli abitanti si radunavano per discutere dei loro affari -> il tumulo era un mezzo tramite il quale radunare e annodare insieme percorsi di vita = il Ting avvolge il paesaggio e come origine della legge, esso si rivolge al paesaggio  nel tumulo il passato è radunato come matrice della vita nel monumento il passato è messo da parte e sopravvive sotto forma di reliquia considerando il tumulo come monumento segna la differenza tra la modellazione del territorio in senso moderno e in senso medievale Per Schama un panorama è formato da stratificazioni di memoria tanto quanto di rocce, è la nostra percezione a creare la distinzione tra materia bruta e paesaggio Con gli studenti del corso, l’autore si reca sulla collina di Bennanchie e, ispirandosi a uno studio di archeologi in Cornovaglia, guarda verso l‘esterno da quello che rimaneva delle porte di ingresso delle case prestoriche. Per facilitare l’esperimento vennero costruite delle sottili cornici di legno. A differenza dell’esperimento in Cornovaglia, notarono che la cornice non trasformava il paesaggio in un’immagine, ma anzi trasformava quei ruderi nuovamente in una casa.  gli spazi abitativi non vengono configurati in anticipo, ma vengono prodotti tramite il movimento ma anche gli edifici producono persone, limitandone i movimenti -> ogni oggetto finisce per combaciare con un’azione = la maniglia è la stretta di mano allo stesso modo quando ci si sdraia sul tumulo di terra lo percepiamo come cosa e non più come oggetto Per Hidegger l’oggetto è completo in sé stesso, è definito nel suo stare di fronte e non possiamo unirci con esso nel suo processo di formazione. Le cose invece sono con noi, corrispondono con i movimenti del nostro essere -> essere al cospetto di una cosa (Ding) significa essere convocati in riunione (Ting) -> unirsi a questa riunione vuol dire stabilire una corrispondenza = rendere oggetto o monumento una di queste cose significa arrestare bruscamente questa corrispondenza L’esperimento continua raggiungendo la sommità della collina e osservando il paesaggio dalla medesima cornice. Come prima il paesaggio non apparve come un’immagine. Ciò accade solamente quando vennero stampate le fotografie fatte -> traferire un paesaggio su superficie piana collegati perché per chi ascolta, osserva o legge il racconto di storie è un’educazione all’attenzione. Il racconto fornisce le informazioni tramite cui si potranno scoprire da soli i significati che le storie possono assumere nelle situazioni concrete della vita -> processo di riscoperta guidata = non si tratta di spiegare il mondo ma di tracciare un sistema che altri siano in grado di seguire (per questo sono le storie sono strumenti educativi efficaci). Le storie guidano senza specificare (come la distinzione tra preveggenza predittiva e anticipatoria, scheggiatura come qualcosa che si porta avanti) Articolazione= processo dove si assemblano o concatenano elementi rigidi all’interno di una più ampia totalità. Ne è un esempio il linguaggio articolato costruito nella mente del parlante. Ma se tutto il pensiero avvenisse in tal modo non avremmo l’empatia. In quest’ottica, la teoria di Polanyi, sembra essere una distinzione tra l’integrazione laterale di proposizioni interconnesse e la corrispondenza longitudinale di movimenti intrecciati. Ma non tutto quello che non viene articolato rimane inespresso; dire è una pratica di corrispondenza ma a livello personale conoscenza ed esperienza sono la stessa cosa. (conoscenza dall’interno delle 4A) Tra tutti gli organi di senso la mano è l’unica a combinare entrambi gli aspetti del dire, esse non sono strumenti manovrati a distanza da una torre di controllo ma sono estensioni del cervello stesso. Hidegger = la mano custodisce in sé l’essenza dell’uomo, poiché la parola, in quanto ambito essenziale della mano, è il fondamento essenziale dell’uomo. E’ la mano che porta a condursi verso il mondo anziché a un comportamento all’interno di esso (cosa che capita invece agli animali). E sempre grazie alla mano l’uomo è formatore del mono Gourhan: la comparsa di utensili tra i caratteri specifici segna la particolare frontiera dell’umanità. Per G. lo sviluppo della tecnologia si è finalmente distaccato dal bagaglio di capacità innate con l’ampliamento della corteccia cerebrale e la scomparsa dello sbarramento prefrontale (che aprì le porte al flusso dell’immaginazione simbolica). Dopo aver operato una distinzione netta tra natura umana e animale, contraddicendosi, G. si incammina per quella che definisce terza via: sia la vita umana sia quella animale siano mantenute in un corpo di tradizioni il cui sostegno non è né istintivo né intellettuale ma, a vari livelli, zoologico e sociale insieme. Sempre in “il gesto e la parola” G. osserva come una grande quantità di operazioni tecniche comportino la ripetizione di regolare di precisi gesti manuali. Di conseguenza poco importa se l’artigiano ha un’idea della forma finale dell’artefatto dal momento che quest’ultima è il risultato di un andamento ritmico del movimento. Tali ripetizioni non sono di tipo meccanico ma nascono da una continua intonazione sensoriale dei movimenti dell’artigiano alla ritmicità immanente dell’ambiente -> ogni fabbricazione è un dialogo tra artefice e materia. L’intelligenza tecnica non va cercata né nel cervello, né nella mano né nello strumento che essa usa ma è insita nel gesto che le raduna insieme. (mano è strumento non sono usati ma messi in uso) La mano è totipotente e ogni tipo di gesto ammette infinite varianti. Si potrebbe pensare che la tattilità risieda nei polpastrelli e che i calli, invece, la indeboliscano. In realtà i calli permettono una maggior sensitività perché rendono meno esitante l’atto del tastare il terreno, permettendo un rapporto più pieno e corporeo con il terreno Nel corso delle 4A, Ingold, decise di indagare le capacità della mano producendo corda. Tutto si basava sulla sequenza di movimenti scorrere-rotolare e afferrare-tirare continuamente ripetuta. Impararono come le mani prendono familiarità con il materiale, come esse impartiscano un ritmo a questi materiali tramite la ripetizione dei loro movimenti, come i materiali mantengano memoria della loro manipolazione e come le forze intrappolate nei materiali, tramite questi movimenti, li tengano insieme. La corda è fatta per cose che non sono già unite -> è fatta per instaurare una corrispondenza. Ma in un mondo già confezionato questa corrispondenza è spezzata (es: scrittura a macchina privata di gestualità e sentimento). Per Gourhan però, nell’uso della mano per innescare processi meccanici, qualcosa va senza dubbio perduto ma in questo modo l’uomo può diventare qualcos’altro, forse di migliore, sicuramente di diverso (tocco e sentimento non devono essere per forza inversamente proporzionali). Per l’autore però si passa da una società in cui la mano è protettiva ed altruista ad una in cui i polpastrelli sono incapaci di tenere, portare e che quindi sono incapaci di sentimento. DISEGNARE LA LINEA Possiamo quindi affermare che ogni forma di disegno sia una modalità di dire con la mano? Dipende da cosa si intente per disegno. Ingold è interessato solo ai segni come modalità di dire e quindi esclude a prescindere i disegni di tecnici e ingegneri, che comunicano dettagli precisi sugli oggetti da produrre o da costruire. Maynard = una punta è intenzionalmente mossa o trascinata su una superficie con un tracciato abbastanza continuo. Questa azione lascia, come traccia del suo percorso, un segno di qualche tipo, ed è eseguita a tal scopo. Se ne deduce che ogni line disegnata a mano è la traccia di un gesto. Eppure non ogni linea ha il proposito di esprimere un gesto. Cain distingue in linee gestuali e line non gestuali. Le prime sono disegnate con l’intento di esprimere i movimenti che le hanno generate. I disegni che ne derivano sono non proposizionali, derivano dalle cose anziché enunciare qualcosa riguardo a esse -> tracciano sentieri che altri possono seguire. Le espressioni di movimento, nelle linee non gestuali, sono un mero effetto collaterale rispetto al loro scopo primario, che è la specificazione. I disegni sono proposizioni e contengono informazioni riguardo a ciò che sarà o che è stato fatto. Schizzare qualcosa, fa notare Pallasmaa, equivale a toccarla. Essi sono proposizioni in itinere ma, quando il disegno tecnico prende il prende il posto dello schizzo, ogni movimento si arresta. Le linee del disegno tecnico sono prime di sentimento, stabiliscono un rapporto con il mondo ottico e non aptico. Talbot = “la forma dell’edificio, una volta delineata sul terreno, si sviluppa organicamente come risultato di quantità variabili di intenzione, pragmatismo, accidente e ambizione. Il significato del disegno, se mai ve né uno, non è in mio controllo.” Tale affermazione combacia con il modo in cui molti artisti grafici descrivono il proprio lavoro, è totalmente in antitesi con l’opinione comune (l’essenza del disegno risiede nella proiezione sulla pagina di immagini mentali). Il disegno è fortemente antitotalizzante e fortemente incline alla continuazione, non è né un’immagine né l’espressione di un’immagine; è la traccia di un gesto (Berger). La matita opera come un trasduttore convertendo la qualità cinetica del gesto dal registro del movimento corporeo e della coscienza a quello del flusso materiale. Il disegno è espressivo di una corrispondenza (cooperare con il proprio lavoro) tra la consapevolezza cinestetica e la linea in fuga, è un processo pesante, non la proiezione di un pensiero, è un attor trasformativo Il disegno e la scrittura sono due modi diversi di dire con la mano. Non esiste immagine che non possa anche essere letta, così come non esiste testo scritto che possa essere guardato come immagine. Ma è difficile, se non impossibile, fare le due cose insieme. Come l’arte del disegno ha una sua grammatica, le parole della scrittura calligrafica sono specifiche modulazioni e inflessioni di righe. Leggere è ripercorrere la linea, per tracciare a ritroso i movimenti che l’hanno formata. Per tanto il disegno espressivo sconfina facilmente nella scrittura e con la stessa facilità se ne discosta. Com’è avvenuto lo slittamento dell’opera della mano disegnatrice verso la scrittura e al di furi di essa? Per l’autore la risposta sta nella tendenza moderna ad assimilare l’immagine alla fotografia e il testo alla parola dattiloscritta -> la scrittura e il disegno sono strappati via dal ductus della mano Meshwork = groviglio di linee che non si connettono mai (come le scie delle lumache). Queste linee sono di movimento e di crescita (in opposizione alle linee del network che funzionano da connettori). Si intrecciano per poi proseguire sempre oltre -> metafora della vita: un mondo fatto di mattoni perfettamente combacianti non potrebbe ospitare nessuna nuova forma di vita -> come per la cattedrale, la realtà è simile a una trapunta La linea della geometria euclidea è definita come la connessione tra due punti. Ha la sua origine in Egitto dove i geometri la utilizzavano per misurare la terra dopo le inondazioni del Nilo; lo facevano piantando una corda tra due paletti piantati nel terreno. La corda però mantiene una certa tattilità, che oggi va perdendosi: il filo teso si tramuta nel suo fantasma intangibile. Le linee organiche tracciano invece il contorno delle cose, i loro involucri, le loro sagome. Dividono le superfici su cui sono tracciate in ciò che sta da un lato della linea e ciò che sta dall’altro. Ma queste linee non esistono davvero in natura, sono collegate ai loro referenti per via simbolica (Goya) e appaiono come costrutti culturali (tendenza della mente a separare gli spazi). Le linee di meshwork appaiono invece perfettamente reali e naturali -> secondo Deluze e Guattari costituiscono la topologia dello spazio liscio che è aptica anziché ottica e si basa sulle qualità tattili e sonore di un mondo fatto di agenti atmosferici, dove non esiste alcun orizzonte a separare la terra dal cielo, né alcuna distanza intermedia, né prospettiva di contorno -> la linea astratta anticipa il divenire delle cose nel sistema terra cielo, non è imposta ma è dettata dalla crescita e dal movimento -> guardare con la natura per ritrovare le linee lungo cui noi e gli altri esseri viviamo. Corbusier = l’uomo avanza dritto per la propria strada perché ha una meta. L’uomo che non lo fa ha l’andamento di un asino da soma: la sua via è tortuosa e governata dal sentimento non dalla ragione. Ma se guardiamo le piante delle città del vecchio continente, capiamo che un tempo l’asino è stato lì mentre, insiste C. una città moderna può vivere solo in linea retta. Levi-Strauss racconta due storie che collegano asini e scrittura. La prima parla di come un capo tribù Nambikawara apprese da lui come le linee, messe su carta, conferissero autorità e per questo motivo decise di utilizzarle in una cerimonia di distribuzione di doni -> per L. il senso della scrittura è da ricercare nell’architettura e nella necessità di organizzare grandi numeri di persone e di sfruttare la loro manodopera -> la funzione primaria della scrittura è facilitare l’asservimento, i benefici culturali non sono altro che un sottoprodotto. Nella seconda invece L. si perde nella foresta a dorso di un asino -> l’asino finisce per portare il fardello delle linee che, lungi dal connettere punti, sorgono nel bel mezzo delle cose e da li semplicemente vanno avanti. Laboratorio all’università di Aberdeen, tenuto da Sheets-Johnston, che chiese di danzare il proprio nome. L’autore si rende conto di come i movimenti danzati sian gli stessi che guidano la mano nella scrittura del proprio nome. Le linee, in questo caso, descrivono un movimento anziché una connessione tra due punti -> esistono soltanto orizzonti che svaniscono una volta raggiunti.
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