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Riassunto 'Manuale del Film' (Rondolino; Tomasi) del corso 'Analisi del Film' 22/23 UNIFE, Appunti di Estetica del Cinema

Libro di testo: G. Rondolino, D. Tomasi; 'Manuale del Film. Linguaggio, racconto, analisi.'; UTET Università, 2018 (Terza edizione). Lo scritto riassume in maniera quanto più schematica il libro di testo scelto dalla docente del corso 'Analisi del Film', tenuto nell'A.A 2022/23. Si è cercato di riportare con fedeltà l'ordine strutturale del testo originario, riassumendo i contenuti "superflui" e schematizzando, con tanto di parole chiave evidenziate, i concetti fondamentali. Da tenere presente che non sono stati trascritti tutti gli esempi citati nel testo originale perché ritenuti non necessari ed esageratamente consistenti; se si seguirà il corso del/della prof ne verranno forniti a sufficienza. Parlo ovviamente per esperienza personale. Grazie

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 18/08/2023

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Scarica Riassunto 'Manuale del Film' (Rondolino; Tomasi) del corso 'Analisi del Film' 22/23 UNIFE e più Appunti in PDF di Estetica del Cinema solo su Docsity! Sceneggiatura e Racconto CHE COS’È UNA SCENEGGIATURA Dalla necessità dell’espressione di una storia fatta per esser raccontata attraverso immagini nasce la sceneggiatura: una descrizione più o meno precisa, coerente, sistematica, di una serie di eventi personaggi dialoghi connessi in qualche modo—> possiamo considerarla un processo di elaborazione del racconto cinematografico con diversi stadi: 1. Soggetto: prima manifestazione dell'idea, breve racconto di qualcosa che diventerà film (in poche righe o pagine)-> il soggetto dovrà essere poi articolato. Nel caso di un adattamento il soggetto ha una mole differente, è tratto da romanzi/racconti quindi non si rifà ad un'idea originale-> sarà sottoposto il soggetto a un lavoro di contenimento, tagli, un processo di selezione, quindi un insieme di variazioni che danno vita a una rilettura personale dell'opera di partenza->quindi un soggetto originale si allunga, un soggetto letterario si abbrevia. 2. Trattamento: gli spunti narrativi del soggetto sono sviluppati e approfonditi, la forma è ancora letteraria, ma ora è caratterizzata narrativamente—> più funzionale alla descrizione delle varie scene, attenzione ad ambientazione e precisazione di situazioni. L'intrigo è articolato, la struttura drammatica ha una progressione, dialoghi abbozzati ma ancora in stile indiretto. 3. Scaletta: segna la fase del passaggio dal "momento" letterario della storia alla costruzione del film. Qui il trattamento è selezionato e suddiviso in scene numerate, la scaletta occorre a tenere controllata l'intera storia del film. 4. Sceneggiatura: qui trattamento e scaletta interagiscono, vengono messe in ordine tutte le scene, descritti gli ambienti, personaggi ed eventi, indicati con precisione i dialoghi. La sceneggiatura subisce il decoupage tecnico—> le scene sono divise in singole immagini (inquadrature o piani) numerate, ad ognuna si indica il contenuto, il punto di vista della cinepresa, movimenti di macchina ecc (collabo col regista fondamentale). 5. Story Board: i disegni che prefigurano le inquadrature. 6. La sceneggiatura desunta dalla copia definitiva del film: in tal caso la sceneggiatura non precede la lavorazione del film, ma la segue, il suo autore è un critico/studioso del cinema che a partire da un film ne descrive le diverse inquadrature e scene, ne riporta i dialoghi, indica le soluzioni tecniche x costruire uno strumento che consenta di conoscere meglio quel film. Questo processo varia di sceneggiatore, infatti importanza e le funzioni della sceneggiatura variano a seconda che ci si collochi nella prospettiva di certi momenti della storia del cinema o di alcuni suoi autori: già nel 1897 la Biograph aveva assunto un professionista che scrivesse soggetti da trasformare in film; ma fu col sonoro, quindi con lo sviluppo dei dialoghi, a dar voce alla sceneggiatura - Già però dal moto degli anni 20 era considerata da alcuni tutto ciò che costituisce il valore di una scena che deve essere stabilito con esattezza, perché in caso contrario, si incorrerebbe in errori - Cinema americano classico (inizio del sonoro fine anni 50) ha assegnato un'importante funzione alla sceneggiatura, infatti il regista doveva rispettare le indicazioni fornite nel decoupage tecnico - nella Nouvelle Vague, al contrario, si privilegiava gli ambienti reali a quelli ricostruiti e alla improvvisazione: a modificato il ruolo della sceneggiatura facendone uno strumento da rimettere in discussione continuamente—> nei ‘Cahiers du cinema’ si dichiarava ostile alla sceneggiatura chiusa dove tutto è predeterminato, pronunciandosi per quella aperta disponibile al punto di vista del regista (“Nel corso del tempo” ‘75 è stato scritto giorno per giorno durante la lavorazione del film). Viene distinta la sceneggiatura-programmata che organizza delle peripezie in una struttura drammatica prete-a-tournée (pronta per essere girata) e la sceneggiatura-dispositivo che è aperta alla casualità delle riprese, incontri, idee dell'autore nel qui e ora della lavorazione del film. Si può distinguere la sceneggiatura legata al cinema classico (chiusa in sé, strutturata, che lascia pochi margini di libertà) è una sceneggiatura del cinema moderno (aperta e manipolabile, disponibile alla modifica, sulla base del caso, dell'improvvisazione, dell'impulso creativo). Caratteristiche essenziali: 1. Per il suo darsi nel corso di un processo di elaborazione che passa attraverso diverse fasi, per il suo assumere forme miste e intermedie, per essere suscettibile di variazioni la sceneggiatura è un oggetto molto labile. Infatti la sceneggiatura è ultimata quando lo scheletro del film è giunto alla fine: essa ha una possibilità di reincarnazione (sei) anche se è una sceneggiatura particolare: non è un modello da fare ma un film già fatto. 2. Letterarietà si presta alla cinematografia: differenza da altre forme di scrittura è il suo darsi in funzione di un film, cioè un mezzo fatto di immagini-> sia x l'autore che x il lettore è 1 necessario che il testo della sceneggiatura sia scritto o letto non a partire dal suo valore letterario, ma il rapporto a immagini e suoni che verranno a sostituire lo scritto, quindi occorre saper raccontare in funzione di immagini e suoni. Infatti scrivere una sceneggiatura comporta la responsabilità x concrete possibilità di realizzazione di quel film—> permette al produttore di farsi un'idea sull'opportunità finanziarie del film e al direttore di produzione di predisporre il piano di lavorazione (il giorno X si gira la scena X, nel luogo Y, con la presenza di attori XY) CHE COS’È UN RACCONTO Il termine racconto raccoglie due significati diversi: storia e discorso. Per storia (che cosa) intendiamo il contenuto o concatenarsi di eventi, compresi i cosiddetti esistenti (personaggi, elementi dell’ambiente)-> una catena di eventi legati fra loro da causa-effetto che accadono nel tempo e spazio (elementi fondamentali); per discorso intendiamo l’espressione (come), i mezzi per il cui tramite viene comunicato il contenuto. Alla base del racconto troviamo la nozione di narratività: se il racconto è un dato concreto e fattuale, la narratività è un insieme di codici, procedure e operazioni, indipendenti dal medium nel quale esse si realizzano, ma la cui presenza in un testo ci permette di riconoscere quest'ultimo come un racconto-> la narratività è virtuale xk esiste solo nel racconto. Nel testo esiste grazie alla funzione minimale: equilibrio-squilibrio-riequilibrio-> un mondo virtuale è caratterizzato da una fase di equilibrio, poi uno o più eventi scombinano l'equilibrio generando una serie di altri eventi che riporteranno l’equilibrio. Quindi la funzione minimale della narrazione è il passaggio da una situazione a un'altra, il darsi di un evento in qualità di operatore di una certa trasformazione. A partire dalle fiabe russe la costruzione era determinata da un numero ristretto di funzioni (azioni-tipo) necessarie per lo sviluppo della storia (ad es. il motivo che porta alla battaglie di diversi racconti bellici). Altra struttura del racconto è quella di Greimas formato da 6 funzioni/attanti con l’aggiunta di elementi oppositori (opponenti) o facilitatori (adiuvanti): Tale modello permette di capire che ogni attante può configurarsi in altri modi, non come un personaggi, quindi una cosa, un sentimento, una qualità-> nello stesso racconto può assumere diverse figure, quindi un personaggio potrà interpretare il ruolo di più attanti. A differenza della quotidianità, in un racconto, tutto ha uno scopo (‘fa senso’) essendo che tutti sono legati-> non tutti fan senso allo stesso modo: 1. Funzioni: spingono a fare e sviluppano la storia—> Cardinali o Nuclei (quei momenti che fanno procedere il racconto; aprono/chiudono le alternative necessarie allo sviluppo) e Catalisi (si agglomerano intorno un nucleo senza modificare la natura alternativa). 2. Indizi: spingono a uno stato e arricchiscono il racconto—> Indizi propriamente detti (richiedono un’attività di decifrazione, rinvia spesso a un carattere/atmosfera/sentimento) e Informanti (portano una conoscenza già fatta dando un’info esplicita) Catalisi e Informanti hanno in comune che sono espansione dei Nuclei, i quali costituiscono l’impalcatura del racconto per le altre 3 unità, le quali andranno a riempire. Aspetto chiave della narratività è la Causalità—> proprio perché è formata da soggetto che cerca oggetto, tra loro strutturati con funzioni e indizi: i racconti nascono quando i soggetti/oggetti tra loro sono causa o effetto. Oggi tale rapporto è diluito ma se dovesse venire a mancare ci si domanderà se è possibile chiamarlo racconto. Narrativa= insieme di regole modi strutture profonde che presiedono e determinano ogni racconto con manifestazioni di superficie (il suo darsi attraverso enunciati verbali e audiovisivi), le quali ci raccontano di personaggi nello spazio-tempo secondo il rapporto causale in un mondo— > chiamato Diegesi, comprensivo anche dei soggetti al di fuori dello schermo, ma che noi sappiamo esistere nel mondo rappresentato. Diegesi= costrutto che nasce da una forma di cooperazione tra racconto e il suo destinatario: il 1° presenta gli elementi (diegetico, interni al film, la musica che nel film gli attori possono sentire), il 2° li congiunge tra loro annettendo anche ciò che non è espressivamente menzionato (intradiegetico, la colonna sonora che solo gli spettatori possono sentire). 2 È necessario dividere l’inquadratura dalle scene/sequenze: in una singola immagine non c’è rottura temporale—> il tempo della storia e del discorso coincidono - in una successione d’immagini che formano un episodio narrativo c’è sempre possibilità di cesure temporali—> un’ellissi è presente nel passaggio da una scena a quella successiva. Le 5 categorie non vanno lette troppo meccanicamente: due scene che corrispondo sia per durata della storia che del discorso (Scena) possono apparire temporalmente diverse allo spettatore—> occorre tener conto del rapporto fra durata e contenuto di ogni imm/epis; una scena di staticità può apparire infinita, mentre una ricca di elementi profilmici svanisce in poco. - Frequenza È il rapporto che stabilisce il n di volte che un evento viene evocato nel racconto e il n di volte che è accaduto nella storia: 1. Singolativo= raccontare una volta sola quanto avvenuto una sola volta. 2. Singolativo plurale= raccontare una volta per ciascun avvenimento avvenuto una volta. 3. Ripetitivo= raccontare più volte ciò che è accaduto una volta (citare la stessa scena da diversi punti di vista come l’aprirsi del portone che dà alla sala degli zar in ‘Ottobre’ o raccontare 4 volte diversamente lo stesso omicidio di un samurai in ‘Rashomon’). 4. Iterativo= raccontare una volta ciò che è accaduto più volte. Di primi acchito un’immagine non può che mostrare uno o più eventi che accadono contemporaneamente, come si può raccontare che tutti i giorni l’uomo si corica presto la sera? Con l’espressione verbale o il montaggio, mostrandoci lo stesso evento rappresentandolo ogni volta con piccole variazioni. 4 Vedere e sapere Dietro ogni film c’è un’istanza narrante che determina le strategie con cui una storia virtuale diventa racconto concreto. Tra i primi ruoli c’è la focalizzazione= il modo in cui vengono regolati dentro un racconto i rapporti di sapere tra istanza narrante, personaggio e spettatore - regolare i flussi d’informazione su cui si basa il racconto—> suspense / sorpresa: il saperne di più dei personaggi determina un effetto suspense; il saperne come i personaggi provoca una sorpresa. La focalizzazione si basa sulla relazione triplice e ne regola i rapporti, però l’istanza narrante ha un ruolo privilegiato essendo elemento dell’origine del racconto—> sa tutto ma decide quanto/ quando del suo sapere discernere nel racconto. 3 modi in cui si articola in maniera cognitiva il rapporto tra i 3 soggetti: 1. Racconto non focalizzato: il narratore ne dice di più di quanto sanno i personaggi. 2. Racconto a focalizzazione interna: il narratore assume il pov di un personaggio dicendo solo ciò che questo sa. 3. Racconto a focalizzazione esterna: il narratore non fa conoscere pensieri/sentimenti del personaggio, dicendo meno di quanto questi sappia. Tre possibili varianti dei 3 rapporti: il caso in cui nello stesso film le focalizzazioni si mescolano, oppure il narratore si focalizza su diversi personaggi - poi, rispetto un personaggio abbiamo una focalizzazione interna, per un’altro quella esterna - rispetto ad un personaggio il narratore ci fa saper di più di alcune cose rispetto ad altre. Il problema sussiste quindi non nel narratore, ma ora nell’immagine, che ci fa vedere—> la focalizzazione deve esser affrontata sul piano della visione—> ocularizzazione= la relazione instaurata tra ciò che la macchina da presa mostra (spettatore filmico) e ciò che il personaggio vede (soggetto dietetico): chi vede? - qual’è il centro percettivo su cui si organizza la narrazione. 1. Ocularizzazione interna: ciò che vede lo spettatore lo vede il personaggio. 2. Ocularizzazione zero: lo spettatore vede qualcosa direttamente senza la mediazione di un personaggio a vederlo—> fuori dalla diegesi: nobody shot. Si divide in: enunciazione mascherata (immagini ordinarie ci mostrano gli elementi diegetici più importanti in modo chiaro facendoci dimenticare la macchina da presa) - enunciazione marcata (movimenti/posizione di macchina mostrano l’autonomia dell’istanza narrante rispetto il personaggio-> l’assassino si avvicina alla preda e la macchina ci mostra solo la sua ombra) 3. Ocularizzazione interna primaria: quelle singole immagini che sembrano esser frutto della vista di qualcuno che osserva (deformazioni ottiche ricordano l’ebrietà, stordimento o miopia) 4. Ocularizzazione interna secondaria: lo spettatore è davanti l’alternanza di due immagini, la prima il personaggi che guarda, la seconda ciò che esso guarda (ripresa in soggettiva). 5 Rapporto tra focalizzazione e ocularizzazione (sapere e vedere)—> vedere è sapere, ma sapere in parte; in più le info diegetiche passano anche per altri 4 espressioni materiali dell’espressione filmiche: parole, musiche, rumori e menzioni scritte—> possono smentire il senso di un immagine. Con l’ocularizzazione mi riferisco al senso del vedere, implicando il sapere (del mondo diegetico: dei personaggi, del tempo, dei loro desideri ecc.) che tale vedere comporta; invece con la focalizzazione mi riferisco al sapere (esterno al film e al suo mondo diegetico), implicano il vedere che può essere fra le cause di tale sapere. La focalizzazione esterna (in letteratura quando l’istanza narrante non entra nei personaggi x raccontarne le emozioni) non implica che l’esteriorità della macchina da presa neghi l’interiorità di un personaggio—>la focalizzazione esterna avviene non quando un personaggio viene visto dall’esterno, ma quando (dal pov della della distribuzione delle info narrative) il nostro sapere viene ristretto rispetto a quello del personaggio: se so quali sono i motivi che lo fanno agire così è foc. interna, altrimenti sono in foc. esterna. Se la foc. è assente allora si dice anche focalizzazione spettatoriale (xk offre allo spettatore un sapere maggiore di quello del personaggio). IL RACCONTO SERIALE 1 Il mondo valorizzato dalle serie tv Le serie sono nuove e, al contempo, antiche forme dell’immaginario a partire da ‘Le mille e una notte’—> la dimensione seriale permette di dispiegare le storie in episodi, creando mondi narrativi popolati, creando attenzione costante ed un legame affettivo coi personaggi: crea rispecchianti tra i personaggi e gli spettatori; connessione e mescolamento tra realtà e narrazione: la serialità diventa specchio di una realtà. Jason Mittel rintraccia come nelle serie l’America esprima la propria debolezza (ormai l’hard power regredisce per lasciare campo al soft power)—> alcuni studiosi rintraccio in serie statunitensi la tendenza etica che afferma la massimizzazione del bene anche attraverso il perseguimento del male (Dexter, Breaking bad)—> il male pare essersi trasferito da un ‘altrove’ al nostro intimo, come dichiara un approccio medico: il male, se ineliminabile, non va più combattuto ma tenuto a bada. Rimane il fatto che una serie tv crea: un mondo narrativo duraturo, popolato da un gruppo coerente di personaggi che vivono in una catena di eventi, in un tempo. 2 I personaggi - Lo spazio Ritrovarsi eni personaggi, la fidelizzazione del pubblico grazie ai comportamenti ricorrenti e dai tratti essenziali esprimono il decennio in cui si cala la serie: Anni 60: il genere sci-fi provocato dal progresso della scienza, dal periodo di boom economico, dal desiderio di conoscenza e avventura-> gli spettatori s’immedesimavano nei personaggi vivendo anche le proprie angosce. Il ’68: incertezza politica e identitaria necessitava gli eroi, anche del quotidiano, che esprimevano una nuova concezione della psicologia, quindi per la costruzione della storia-> il personaggio ora ha un passato, indagato grazie all’importanza dell’introspezione appunto. Anni 70: con le rivendicazioni femministe si presentano eroine femminili simbolo di emancipazione e parità di genere. Anni 80: eroine del quotidiano. Anni 90: protagonisti spesso adolescenti, coi drammi per i cambiamenti e lo scontro con l’autorità Anni 2000: la svolta viene segnata da ‘Lost’ che rivoluziona l’idea di serialità, creando un mondo di pax dalla psiche complessa coinvolgendo il pubblico nella crescita dentro la realtà insulare. Da ‘Lost’ in poi i pax acquisiscono sfaccettature più profonde e il loro approdo non coincide sempre con la loro redenzione, piuttosto con la perdizione-> lo spettatore non giudicherà eticamente ma vi aderisce in quanto conoscitore delle profonde ragioni. L’antieroe è il personaggio più affascinante (Dexter)-> riconosce il male in sé, lo gestisce e ne trae utilità-> non avviene però la legittimazione di criminalità, ma neanche la catarsi—> la discutibile condotta etica diviene attrazione e riconoscimento in un periodo storico in cui le vecchie morali non reggono più. Ora non si usa più l’espediente di spettacolarizzazione per trascinare lo spettatore da un episodio ad un altro, ma l’indagine della personalità dell’antieroe con la conseguente interpretazione empatica della sua complessità. Vicino alle serie in cui i personaggi evolvono, vi sono quelle in cui la staticità fa da padrone—> la serie danno forma con estrema libertà a topos in grado di aprirsi al mondo e alla sua complessità: dai personaggi dei vecchi telefilm si passa agli individui (con le dovute sfaccettature psicologiche) delle nuove serie; così come le ambientazioni/spazio s’è aperto al Mondo. 6 3 Eventi, plot, strategie narrative Le serie, a differenza dei film che dispongono di una sala, devono raggiungere lo stesso obbiettivo senza strumenti del genere, per recuperare usano—> ripetizione, prevedibilità, esplicitazione di tutti gli elementi narrativi. Inoltre si rivolgono ad un pubblico potenzialmente distratto che deve esser stimolato—> uso dei principi della Poetica di Aristotele: una storia costruita su un personaggio che combatte una forza antagonista esterna x realizzare i propri desideri all’interno di una realtà fittizia coerente e sonetta a rapporti causa-effetto, fino a raggiungere una conclusione dominata da un cambiamento assoluto/irreversibile. Si spiega così, non attraverso il rinnovamento tecnologico, la specificità dello spettacolo Usa: una piena fiducia nei principi classici della narrazione: 1. Trama orizzontale (story arc): narrazine si estende in più episodi—> trasporta i personaggi in situazioni diverse ed evoluzione psicofisiche (The Walking dead, House of card). 2. Trama verticale (antologiche/storiche): narrazione episodica in cui la vicenda inizia e finisce con l’episodio, i casi di crime sono i più esemplari. Oggi le serie sono a prevalenza di una o dell’altra trama, ma con caratteri della minore in contemporanea—> la serialità nasce con le ‘saghe’ del 700/800; poi col romanzo d’appendice nei giornali, infine per passare ai serial movies degli anni 10. Dagli anni 80 la tv ha affinato le capacità cognitive degli spettatori che ora non hanno più bisogno di preparazione alla trama multipla, quindi se la serie è qualcosa di mutevole, il piacere dello spettatore sta nel godere di una nuova storia come nel riconoscimento dei meccanismi seriali—> da questi anni le serie non nascondono, ma anzi, si avvalgono dei propri mezzi espressivi costruendo uno stile. Dal 1990-91 con ‘Twin Peaks’ David Lynch indicò la strada che avrebbe preso la tv, credo un fandom e idee virali—> grazie alla serie il cinema d’autore supera la barriera che lo separa dalla tv, i mezzi del cinema si prestano e la valorizzazione del drama corona il cambiamento. A differenza del cinema c’è un cambiamento anche per il ruolo del regista, il quale (grazie alle serie) diventa un ingranaggio di una macchina più grande insieme a molte altre figure, tra le quali spicca quella dello sceneggiatore. La serialità - le strutture narrative - le tecniche visive fanno tesoro di narrazioni letterarie e cinematografiche, oppure sono procedimenti rubati ad altri modelli: ripetizione, standardizzazione, ripresa e serialità non erano fenomeni tipici della tv; infatti ci si chiede se le serie non sono il romanzo del nuovo millennio—> il modo di fruizione è simile, canali come Netflix pubblicano intere stagioni, come un romanzo espone la sua opera. 4 Il tempo dello schermo, della storia e del discorso Il tempo dello schermo: il tempo della fruizione del prodotto e le sue modalità. Il binge watching permette di godere dell’espansione narrativa tipica della serialità, la quale stende confini temporali del film rendendolo un’esperienza totalizzante—> il come si guarda influenza la storia che si vede: il protagonista di Breaking Bad, se si guarda la serie in forma dilatata, mostrerà ed enfatizzerà il graduale cedimento al compromesso morale; se si vede in binge watching si nota il cambiamento del soggetto verso il male come se fosse preesistente in lui. Al contrario lo slow watching predilige la fruizione di 1/2 episodi per lasciar sedimentare l’intreccio, godendo del ricordo della performance attoriale o registiche. Rispetto il tempo di storia e discorso: in ’24’ c’è una totale aderenza tra i due: ogni h di puntata corrisponde a un h delle 24 di un agente federale—> assoluta novità nella tv per cui maggior ritmo e tensione sono marcati dall’orologio sullo schermo, imponendosi in tal modo l’urgenza che può esprimersi soltanto nel presente (qui e ora), unica dimensione che concepisce un incedere incalzante senza concedere immaginazioni o ricordi. ’In Treatment’ ogni episodio corrisponde per tempo e data ad una seduta di uno psicoterapeuta, trasmesso quindi tutte le settimane allo stesso giorno e ora in cui si svolge la terapia. In ‘Lost’ l’analessi diventa elemento primario del racconto: ogni puntata della prima S innesta un flashback per ogni personaggio che spiega il suo background così da far avvicinare lo spettatore alla realtà emotiva. In ‘True Detective’ la trama è segmentata da 3 piani narrativi diversi, corrispondenti a 3 linee temporali diverse che accentuano il senso di fatalità, quindi il rimorso e la colpa—> intreccio intessuto tra sentieri paralleli. 5 Lo showrunner La serialità ha creato il compromesso tra autore letterario e produttore cinematografico, che controlla l’intero processo di di produzione della serie: concepisce l’idea originale, supervisiona gli aspetti creativi, organizzativi e industriali - anche il concetto di scrittura s’è allargata: ideazione, strategie narrative, sostenibilità economica, potenzialità del consumo. 7 SCENOGRAFO Realizza gli ambienti, cura la progettazione grafica e l’allestimento delle scene in linea con il contesto e le volontà del regista. Oggetti di scena, materiali e arredi vengono trovati dallo scenografo con l’ausilio del trovarobe. La preparazione delle scene dipende dal metodo di lavoro dei registi; nasce, all’interno di una spartizione rigorosa del lavoro col fine di rendere un livello di standard alto, in Usa la figura del production designer (progettista e disegnatore)—> concorre a coordinare tutti gli elementi per la realizzazione del film: messa in scena, illuminazione, inquadrature, scenografie e trucchi (fondamentali i bozzetti delle scenografie come fossero un segmento di un ideale story-board). Dopo le verifiche lo scenografo fa eseguire i piani definitivi delle scene, ad esempio le piante architettoniche vengono distribuite poi ai vari capi squadra. Tempo fa lo scenografo doveva creare/simulare ogni tipo di luogo, diventare quindi designer, architetto, carpentiere, poi tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 il cinema si trasformò in strumento di ripresa del reale in forma d’arte, per molto infatti rimase (la scenotecnica) debitrice di quella teatrale, finché soppiantò il teatro come spettacolo pop e trasse dallo stesso le caratteristiche d’illusionismo realista. Dal muto arrivarono scenografie artificiali spesso dipinte; con Méliès le scene divennero più reali con arredamenti dipinti misto veri (trompe-œil); il passaggio da scene dipinte a vere avvenne in Italia con lo spettacolo storico-mitologico (Caribia) che avrebbe influenzato Griffith. Fu Méliès ad aver creato a Montreuil un atelier versato per la luce naturale, due anni prima in USA venne fondato il Black Maria che sfruttava il cinetoscopio. L’illusorietà fu abbandonata nell’Espressionismo (il gabinetto..) con grafica astratta da teatro; il cinema sovietico mixò spazi monumentali all’azione rivoluzionaria per ricavarne ambienti reali, nobili e solenni in contrasto volontario col movimento dei rivoluzionari cinematografi. In USA lo spazio doveva confarsi al genere per raggiungere ogni tipo di pubblico: con collaboratori fissi per ogni aspetto del film, come un art director fisso per ogni major. Spazi rituali, convenzioni teatrali ancestrali e spazi abitativi caratterizzavano il cinema d’Oriente, specie quello giapponese che attraverso l’uso di pannelli trasparenti e leggeri e la pittura si rifecero all’architettura nipponica. Dal Neorealismo e Nouvelle Vogue il cinema si fece in luoghi verruche permettessero più identificazione con la storia, rifiutando le scenografie artificiali-> scenografo divenne esploratore che doveva cercare i luoghi adatti alla realtà della storia/personaggi; traduceva in spazi il mondo interiore dei personaggi. Il lavoro europeo sul piano strutturale e procedurale si differenzia da quello statunitense, che perfezionava invece lo studio system: in Eu il regista sceglieva i collaboratori/il produttore li assicurava. 3 Luce e Colore Illuminare uno spazio significa organizzarlo, dargli una struttura e imporre una certa lettura allo spettatore-> lo spazio acquista senso, si drammatizza, è parte integrante della narrazione. - Luce intradiegetica: fonti di luce che fanno parte della messa in scena: lampade, fuochi ecc - Luce extradiegetica: illuminazione prodotta da riflettori da riflettori e superfici riflettenti che esistono solo nella realtà produttiva, non possono esser mostrate in macchina. Alle volte la prima viene usata per giustificare la seconda. Le qualità della luce son 4: qualità, direzione, sorgente, colore • Qualità-> opposizione classica delle funzioni espressive della luce: Illuminazione contrastata: ottenuto grazie all’illuminazione diretta crea zone di ombra e luce cui margini son delineati—> usata in situazioni ad altra intensità, per drammatizzare lo spazio; inoltre da vita a spazi privilegiati che catturano l’attenzione dello spettatore e danno rilievo all’evento/personaggio. Fondamentale è la luce dinamica realizzata con fonti in movimento che caratterizzano lo spazio con processi di reversibilità tra zone di luce/ombra. Illuminazione diffusa—> crea rappresentazione omogenea dello spazio, ricorre in situazioni distese o dal carattere idilliaco. • Direzione-> pone il problema del rapporto spaziale, il percorso tra fonte e soggetto illuminato: Luce frontale: elimina le ombre per appiattire le immagini Luce laterale: scolpisce i tratti e accentua il rapporto luci-ombre Controluce: stacca la figura dallo sfondo e mie evidenzia i contorni Luce dal basso: distorce i tratti del volto creando forte dramma luce dall’alto: usata di rado, serve a suggerire la frequenza di luci diegetiche sopra la figura Occorre però capire le varie sorgenti luminose, di rado infatti ne è una sola: key light (frontale e mette in evidenza il personaggio) che è la prima fonte, determina l’illuminazione dominante e struttura le ombre principali; la fill light (di lato per scolpire il personaggio) serve a riempire l’immagine per ottenere/cancellare le le ombre della key; la back light (controluce, posteriore alla figura che stacca dallo sfondo il personaggio). 10 Lo schema si addice di più al cinema classico, nel quale la luce trova nella sua potenza espressiva il ruolo di significazione e coinvolgimento emotivo—> simbolizzazione in cui la luce impone allo spettatore un senso - gerarchizzazione determina ciò che è più importante, ciò che è nascosto - leggibilità per cui la luce occorre a rendere chiaro e riconoscibile—> nel cinema classico la luce è al servizio dell’unicità del senso. Nel cinema moderno invece le luci del mondo sono riprodotte così come sono, senza esser piegate per la necessità del racconto—> illuminazione diventerà drammaticamente indifferente. • Colore—> nei 50-60 si afferma il colore sul b/n, anche se nei 30 ci furono i primi esempi. A differenza del sonoro, il colore, non cambiò i film a livello del discorso, infatti il colore esisteva nel b/n con le sue tonalità di grigio—> venne usato il colore per accrescere il ruolo realista, anche se nelle pellicole dei 50 avevano poco a che vedere con la realtà; infatti si caratterizzò per la sua spinta spettacolarizzante nei musical, western e generi di fantasia. Sarà dai 60 che si affermò nei film d’autore: in ‘Deserto Rosso’ Antonioni userà l’espressività del colore per catturare l’intimo dei personaggi nel contesto naturale in cui son calati, dipingendo paesaggi. Si distinguono diverse tendenze dell’uso del colore: realistica, immaginaria, decorativo- estetizzante, espressivo-psicologica. Ovvio sarà il ruolo delle tinte usate (toni caldi richiamano l’occhio più dei freddi)—> possono assecondare i rapporti dominanti tra primo piano e sfondo, oppure invertirli; possono semplificare la lettura di inquadrature, quelle dominate da due colori son più chiare rispetto quelle frammentate da molti; possono stravolgere il significato di un colore e coniugarlo diversamente in base al film, in molti casi si instaurano rapporti tra colore e personaggio in modo che nelle successive scene ci sia il rimando al significato cromatico. Tre momenti della storia del colore nel cinema: Bariolage (50-60): metteva a frutto l’investimento sui colori, occorreva il film si notasse fosse a colori, facevano riferimento alla pittura. Anti-Bariolage (60-70): coincideva con la sparizione dei film in b/n e voleva far dimenticare i colori , spegnendoli e limitandoli. Neobariolage (80 in poi): più europeo, coinvolgeva i registi più interessati all’Eu, ritrovava il colore affermarsi, non vuole attutire i contrasti ma esaltare tonalità sempre più accese. MACCHINE DA PRESA, VIDEOCAMERE DIGITALI Compito delle tradizionali macchine è quello di far scorrere la pellicola al loro interno, da una debitrice a una ricevitrice, in modem tale che durante il percorso possa trovarsi donati l’otturatore, che aprendosi/chiudendosi consenta l’impressione dei singoli fotogrammi (24/s). Le lenti si differenziano per la loro lunghezza focale: distanza tra il centro ottico della lente e il piano della pellicola. Una lente considerata normale varia dai 35 ai 50mm xk il campo di vista è simile a quello dell’occhio umano; poi c sn i grandangoli che che hanno una lunghezza focale ridotta (dai 35mm in giù), la quale permette di registrare ampie porzioni di spazio-> accentuano la distanza tra ciò che è sull’avanpiano e ciò che è sullo sfondo dando profondità e distorcendo le linee rette che si trovano ai margini del quadro (‘Quarto potere’ contribuì alla diffusione dei grandangoli); i teleobiettivi son lenti di lunghezza focale maggiore, dai 75 ai 250mm-> consentono di vedere vicino un’oggetto lontano dalla macchina accentuando piattezza e bidimensionalità del piano, tendendo ad azzerare le distanze tra soggetti e schiacciarli fra loro, tenendo a fuoco alcuni elementi invece di altri e danno vita ad inquadrature sgranate (nasce nel cinema documentario). Nonostante i vari cambiamenti il formato standard (35mm) della pellicola è rimasto lo stesso dai tempi di Edison e Dickson, da quando nel 1899 lo usarono per le immagini in movimento del loro kinetoscopio. Fu nel 1909 che l’associazione dei maggiori produttori statunitensi stabilì la 35mm il formato del cinema professionale; in seguito dalla Pathé il 9,5mm fu il formato per amatoriali, mentre la Kodak diffuse il 16mm adattato in seguito a documentari e a produzioni a basso costo. Dai 60 con la diffusione di schermi panoramici furono girati film spettacolari in 70mm, la quale permetteva una maggior definizione e nitidezza (Lawrence d’Arabia), ma per via dei costi venne abbandonata, per poi esser ripresa con ‘Il cavaliere oscuro’ - ‘Inception’ - ‘incontri ravvicinati’. Fuco il diffondersi delle videocamere digitali che venne realizzato il primo film commerciale girato interamente in digitale HD (Star Wars: L’attacco dei cloni). Le videocamere digitali-> convertono il degnale analogico proveniente dall’obbiettivo, lo catturano su chip e lo archiviano sull’hard disk di un computer, da cui vengono poi rielaborate: inizialmente la definizione rispetto le analogiche era minore, ma col tempo la differenza si assottigliò, tanto da esser preferita la digitale per le riprese in notturna. L’uso delle digitali permette una riduzione dei costi, una potenziale maggior durata delle riprese e l’ottimizzazione in tempo reale delle immagini durante le riprese stesse. Le digitali Low-Fi, contrapposte dalle più pesanti Hi-Fi, per la loro maneggevolezza e leggerezza creano un’estetica amatoriale, un rapporto più intimo con attori e personaggi in scena. 11 DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA Colui che pratica la “scrittura con la luce”—> garantisce coerenza figurativa all’immagine, componendo l’inquadratura con l’esigenze narrative e stilistiche del film, attraverso le disposizioni di fonti naturali e artificiali di luce, il controllo dei movimenti di macchina, le scelte dell’angolo, la selezione dei negativi e obiettivi, il piano di messa a fuoco, l’apertura del diaframma per l’esposizione voluta, distanza/profondità di campo, fino al processo di stampa e sviluppo. Lui stesso fa parte del reparto fotografia insieme all’operatore di macchina, assistente operatore, aiuto operatore, tecnico del video-control, capo elettricista e capo macchinista. Nella fase di preproduzione collabora col regista, scenografo, direttore di produzione, partecipando ai sopralluoghi per la scelta della locazione, ipotizzando l’orario di ripresa. Con lo scenografo si consulta per la progettazione degli ambienti da ricostruire, per l’esigenze spaziali del reparto fotografico e la scelta dei colori; col costumista per operare scelte cromatiche coerenti; con lo sceneggiatore per sentire le prime indicazioni fotografiche xk bisogna scegliere il taglio delle inquadrature adattando il proprio stile al film. I primi operatori del cinema erano ex fotografi di reportage o viaggiatori con cultura romantica, i quali registravano a nome dei Lumiere le immagini esotiche per il pubblico Eu; con l’opzione narrativa che il cinema scelse il ruolo si complicò—> obbiettivo iniziale era l’intelligibilità dell’immagine nonostante le macchine rudimentali, poi con l’Espressionismo tedesco il ruolo della luce si modificò e in seguito il movimento attribuiva valore all’elaborazione formale dell’immagine (uso del buio e degli effetti di luce rapportate alle linee di fuga di scenografie, spesso dipinte). Con kolossal come ‘Caribia’ - ‘Nascita di una nazione’ si delinea il ruolo di direttore dato che richiedeva una coordinazione tecnica tra i vari operatori che dovevano riprendere scende di massa o battaglia (nacque il capo-operatori). L’avvento del sonoro costrinse il silenzio assoluto in scena, dentro capannoni insonorizzati dotati d’illuminazione artificiale, crebbe il numero di addetti e nacque l’Oscar per la fotografia. Nei 30 ad Hollywood il tipo d’illuminazione diffondeva luce piena e rendeva al minimo le zone d’ombra; a differenza del cinema francese e tedesco. L’ingresso del colore a metà dei 30 segna un momento decisivo della fotografia: primo Oscar nel 39 per ‘Via col vento’, mentre in Italia arrivò, il colore, solo nel 52. Fra i 40 e 50 si stabilì la televisione e di conseguenza un abbattimento dei costi di produzione dei film—> la Nouvelle Vague utilizzò operatori attivi nel campo del reportage proponendo un nuovo standard coi film a basso budget. L’evoluzioni tecnologiche tra lampade ad arco o a quarzo, il passaggio da pelliccia a digitale, i software usati in post produzione permettono di direzionare la luce e cambiare la scala cromatica. Dal 2009 (‘The Milionarie’ vinse l’Oscar per la fotografia, interamente girato in digitale) il digitale ha preso il sopravvento definitivo. 4 Attore e costruzione del personaggio A differenza del teatro, l’attore cinematografico sottoposto a un maggior numero di codici che ne determinano la resa espressiva, infatti al cinema il discorso dell’attore (= la maniera, lo stile e i modi in cui recita) arrivano in maniera meno diretta rispetto al teatro-> in una scena di dialogo il discorso dell’attore può esser sottoposto al montaggio/movimenti di macchina/inquadrature: il discorso dell’attore arriva in sala attraverso il discorso del film. Ciò non discrimina l’attore, le maggiori possibilità ontologiche di un film permettono di avvicinarsi di più ad un personaggio, quindi l’importanza espressiva di un volto è maggiore rispetto quella del teatro (poi la pellicola è una sola, lo spettacolo teatrale è ripetibile quindi sempre diverso). Il montaggio determina la recitazione dell’attore in maniera discontinua, a teatro viene tutto d’un fiato dalla stessa prospettiva; inoltre, nel cinema è richiesta la recitazione nella stessa ambientazione anche se rappresentano momenti sparsi nella narrazione—> ciò rendere più complessa l’identificazione col proprio personaggio da parte dell’attore. Considerando l’attore del cinema in relazione al personaggio: da una parte c’è l’idea che il primo debba possedere una serie di tecniche precise e un repertorio stabilito per rappresentare dall’esterno il personaggio—> personaggi rappresentato; dall’altra c’è il sistema Stanislavskij (regista teatrale russo) nato nei primi del 900 e ripreso nei 40 che punta ad un rapporto interiore attore-personaggio, dove il primo non deve fingere stati d’animo non propri, ma viverli dall’interno in prima persona— > personaggio vissuto. Anche se i gesti non sono spontanei ma attinti da un repertorio, l’attore nella maggioranza dei casi crea un un rapporto d’identificazione. Tre grandi modalità di discorso attoriale a proposito di stile: - Recitazione Naturalista: l’attore interpreta il personaggio ricorrendo ad una gestualità/vocalità che assumono un carattere di verosimiglianza, optando per recitazione neutrale e invisibile. - Recitazione Sovraccarica: accentua l’uso di gesta e voci (Brando, de Niro e Nicholson) - Recitazione Minimalista: sobrietà del gesto, dell’espressione, quasi azzerandoli. 12 Spesso si distinguono le angolazioni di inquadrature: angolate dal basso-> conferiscono potenza, superiorità, esaltazione, minacciosità - angolate dall’alto—> conferiscono soggezione, debolezza, costrizione. [in ‘L’ultima risata’ di Marnau, il portiere dal momento in cui indossa la divisa viene inquadrato più volte dal basso; invece quando viene declassato a custode dei servizi igienici verrà spesso inquadrato dall’alto.] Non sempre le angolazioni corrispondono a tale divisione. [Psyco e Quarto Potere, pp129-132] VISIONI IMPOSSIBILI Il cinema è pieno di inquadrature da un pov anomalo, angolazioni molto accentuate ecc—> vengono chiamate oggettive irreali: intendendo quei momenti del film in cui un immagine mostra una porzione di realtà in modo anomalo o apparentemente ingiustificato, segno di un’intenzionalità comunicativa che va oltre la mera raffigurazione (come quando la macchina si colloca in una posizione inaccessibile ad un personaggio; come le immagini dall’alto). Insieme al carattere estremo delle angolazioni, il cinema contemporaneo propone con frequenza le visioni impossibili: accade con le riprese da dietro le fiamme di un camino, dall’interno di un bagagliaio o di un frigo (ad es i trunk shot). Secondo Garcia: tale molteplicità di pov del cinema postmoderno è testimone di una dinamica di ipervisibilità che danno vita a sguardi audaci proposti da un occhio unico a seconda dei casi di incarnato (quando lo sguardo è legato a quello umano), reificato (quando rappresenta il pov di una cosa) e dematerializzato (quando è privo di ogni ancoraggio). L’impossibilità di tali visioni ha trovato una causa nel digitale e, quindi, nella possibilità di creare inquadrature che si liberino dal supporto oggettivo della ripresa (della cinecamera). Il postmoderna allora propone delle vere visioni che non hanno esistenza, se non quelle che si possono immaginare. 3 la cornice e i due spazi In ‘A Chess Dispute’ (1903) due giocatori durante la partita vengono alle mani, si prendono a pugni finché escono dal campo nella parte bassa dall’inquadratura. Avendo forse a che fare con due attori non professionisti i cui colpi sarebbero potuti diventare reali, il regista decise di mostrare solo il colpo che parte e non che va a segno-> venne realizzato, a sua insaputa, uno dei primi esempi di fuori campo. Proprio perché racchiusa in una cornice immaginaria, l’inquadratura (che può suddividersi in diversi quadri/immagini) è definibile in base a un doppio criterio spaziale: - Spazio in campo= ciò che viene mostrato - Spazio fuori campo= ciò che non viene mostrato ma fa parte dell’ambiente di cui l’inquadratura non è altro che una parte-> è composto da una serie di elementi profilmici non inclusi nel campo, ma che con questo hanno una relazione di continuità spaziale. Campo e fuori campo son spesso in rapporto si reversibilità: è sufficiente un movimento di macchina/effetto di montaggio per relegare nel fuori campo ciò che prima era in campo. Viene indicato lo spazio fuori campo suddivisibile in sei diverse aree: 4 che stanno ai lati dell’inquadratura (dx, sx, alto e basso); una che è oltre la scenografia e un’ultima che sta dietro la macchina da presa—> diversi sono i modi con cui è possibile creare un dialogo col fuori campo, quindi di rendere uno spettatore consapevole dell’esistenza d’esso: 1) Entrate e uscite di campo= di derivazione teatrale, corrisponde al fatto che un personaggio non può derivare dal nulla, ma da uno spazio contiguo che noi non vediamo ma fa parte della scena-> tali entrate/uscite possono arrivare da ciascuna delle 6 aree che rappresentano lo spazio fuori campo: uscire passando vicino la telecamera significherebbe correre il rischio di d’esplicitare il fuori campo estraneo dalla diegesi del film. 2) Sguardo (gesti o parole) del personaggio= esplicita solo osservando (o indicando) qualcosa al di fuori, esplicitando qualcosa che è dato vedere al personaggio ma non allo spettatore-> si accende nel secondo un voler-vedere/sapere ciò che il film limita a suggerirgli, cagionando quindi una serie di previsioni e ipotesi-> il racconto spinge lo spettatore in una condizione di attesa e lo costringe a porsi domande. 3) Suono-off= si ricorre alla presenza di una componente sonora diegetica (un uomo che parla o una radio accesa possono sentirsi senza che vengano riprese-> il suono esplicita allo spettatore uno spazio fuori campo; inoltre testimonia che tale possibilità espressiva rappresenta le due anime del racconto filmico: visiva e sonora. Alle volte sembrano integrarsi, altre volte sembrano raccontare due storie parallele. 4) Taglio del corpo= le inquadrature tagliano il personaggio, distinguendo la scelta di permettere di riconoscerlo, oppure di nasconderlo, in quest’ultimo caso le inquadrature invitano lo spettatore a interrogarsi sul non visibile. 15 Tre (+1) distinzioni essenziali per qualificare il fuori campo: - Passivo e Attivo= il primo è quello proprio alle inquadrature a struttura centrifuga, che tendono verso l’esterno rimandando (secondo uno dei modi elencati sopra) a qualcosa presente fuori dai bordi dell’immagine; il secondo è quello delle inquadrature a struttura centripeta, dove tutto converge verso l’interno e nulla rinvia all’esterno. - Fuori campo esterno (=ciò di cui è stato descritto fino ad ora) - Fuori campo interno= sotto un certo aspetto si può ritenere in campo, xk interno all’inquadratura, ma nascosto da un oggetto profilmico (tenda, persona ecc)-> usato x ingannare lo spettatore facendoli credere che tale elemento non sia presente, e poi mostrarcelo all’improvviso, modificando la situa. - Fuori campo concreto= è quello spazio escluso dal campo di ripresa, ma che lo spettatore poteva vedere prima - Fuori campo immaginario= allude una determinata inquadratura ma che non abbiamo potuto vedere, e che forse non vedremo mai. Viene posto un’altro problema, la definizione di fuori campo se si tratta di inquadratura o sequenza (=insieme di piani che trattano un episodio narrativo): non bisogna confondere i due livelli, nel 2° caso, il passaggio da spazio in campo e fuori campo si scambiano continuamente, quindi lo statuto di entrambi è provvisorio-> esiste un fuori campo della sequenza allora? Si, tutte le situazioni ambientate in un interno in cui viene indicata la presenza di qualcosa all’esterno grazie al sonoro—> la sequenza ci nega lo spazio esterno (collocandolo quindi nel fuori campo), però ci invita a tenerlo presente creando un fuori campo immaginario. - Fuori campo anti-classico= lo spazio di produzione occupato dalla troupe/macchine, suggerito dai pov della macchina stessa—> (tale fuori campo ‘proibito) può risultare rivoluzionario se immesso nel filmico come accaduto in ‘E la neve va’, il cui finale mostra il set di Cinecittà in cui alcune scene sono state allestite. [‘M, il mostro di Dusseldorf; pp 136-143] Il fuori campo nello spazio ha lo stesso ruolo che occupa l’ellissi nel tempo; in ambedue i casi qualcosa che può esser rappresentato ma che viene omesso—> tali omissioni rispecchiano il non-visibile di una società (della sua cultura), come la violenza sui minori che viene omessa. Ovvio è che il rapporto tra visibile e non-visibile col tempo, e i mezzi, si assottiglia a favore del primo: violenza e sesso una volta non venivano rappresentati tanto quanto oggi, grazie al cinema, come alla tv e ai cellulari. “Il cinema classico è un cinema del fuori campo, dove il suggerito era più importante del mostrato; oggi, invece, il cinema del campo supera il limite che vede lo schermo come finestra (come il cinema classico che mostra una sola parte). [pp144-147] 4 Soggettiva e sguardo Le soggettive esprimono nella narrazione filmica un punto di vista determinato, che non è solo quella dell’istante narrante, ma quella d’un personaggio-> coincidono in un unico sguardo il pov dell’istanza narrante, quello dello spettatore e quello del personaggio. Sin dal cinema delle origini (specie tra il 1900-06) vengono prodotti un’enorme quantità di film incentrati su un personaggio che guarda “attraverso qualcosa”, tanto da poter coniare un nuovo genere: Keyhole films (= dalla forma di serratura del mascherino più diffuso). La struttura base del sistema su cui si costruisce una soggettiva si può definire attraverso la seguente articolazione: 1. Punto 2. Sguardo 3. Transizione 4. Posizione della macchina da presa da cui si guarda 5. Oggetto 6. Consapevolezza della presenza del personaggio In una prima inquadratura è rappresentato un punto (1) nello spazio dove si trova un personaggio che guarda (2). C’è una transizione (3), di solito attraverso uno stacco, a una seconda inquadratura in un rapporto di continuità con la precedente. Tale inquadratura mostra un’oggetto (5) da una posizione (4) che si presume esser quella del punto (1). Ciò che regge il tutto è la supposizione che il personaggio sia lì, in campo nella 1° inquadratura e e fuori campo nella 2°, a guardare quell’oggetto (6). Dall’esempio pare che le soggettive partano dalle oggettive (=inquadratura che rappresenti il pov della sola istanza narrante, che la precede e/o segue), ma non sempre è così-> esistono “soggettive stilistiche” che invitato lo spettatore ad esser lette come soggettive senza un esplicito rapporto con lo sguardo del personaggio. 16 Ci sono poi la semisoggettiva: inquadratura che pur rappresentando lo sguardo del personaggio non ne rispetta perfettamente la posizione-> accade quando la macchina è +/- vicina dall’oggetto di quanto non lo sia il personaggio. Inoltre, si può intendere anche quando ci viene mostrata una porzione di realtà così come la vede un personaggio, dove, però, la macchina non ne sostituisce lo sguardo ma sta alle sue spalle, all’altezza della nuca. E la falsa soggettiva: inquadrature che, pur simulando un carattere di soggettività stilistica, si trasformano nel corso della loro durate in piani oggettivi—> avviene quando un piano in movimento simula l’avanzare di qualcuno in uno spazio determinato, un qualcuno che nel durante finisce con l’entrare in campo ‘oggettivando’ così il campo. I livelli di soggettiva e oggettiva possono essere intercambiabili: un soggetto può diventare oggetto se guardato da qualcun altro, e viceversa. Nel suo essere espressione diretta del guardare, la soggettiva pone un’altra questione: sguardo. Lo sguardo può indicare dei percorsi di lettura privilegiati all’interno del campo o spingersi al dì fuori di esso, può suggerire sentimenti, emozioni, tratti caratteriali, stabilire dei rapporti e rivolgersi direttamente allo spettatore guardando la telecamera. S’instaura poi un rapporto tra soggettiva e i meccanismi dell’identificazione: bisognerebbe prima di tutto esaminare in maniera psicoanalitica il ruolo che l’identificazione assume nella formazione dell’IO; poi distinguere cinematograficamente tra identificazione primaria (quella della spettatore con l’occhio della macchina da presa) e identificazione secondaria (quella coi personaggi)—> è solo ora che possiamo parlare di “forme di superfici” che favoriscono determinati meccanismi d’identificazione: fra tali forme di superfici la soggettiva ha un ruolo primario—> nell’oggettiva vediamo il volto di un personaggio emotivamente segnato, nella soggettiva siamo calati in esse e vediamo come lui/con lui ciò che le suscita. l’inquadratura soggettiva si rivale come tale a partire dal sintagma che la contiene—> dalla determinata successione d’inquadrature di cui è parte. Determiniamo i sintagmi soggettivi definendo come A l’oggettiva del personaggio che guarda e B la soggettiva su cui/cosa guarda: - Sintagma soggettivo aperto: costituito dalla semplice successione di 2 inquadrature (AB). - Sintagma soggettivo chiuso: il più frequente, implica la successione di 3 immagini (ABA). - Sintagma successivo alternato: da Hitchcock a De Palma, si baserà su 4 inquadrature (ABAB). - Sintagma soggettivo rovesciato: implica un’inversione al Sintagma aperto-> iniziando con l’immagine in soggettiva x passare all’oggettiva (BA). - Sintagma soggettivo differito: molto raro, tra A e B s’inseriscono altre inquadrature che ritardano l’enunciazione della soggettiva vera e propria (ACDB). [Psycho, pp 151-155]. LO SGUARDO DINAMICO DELLE COSE Il cinema anni 90 e 00 h dato grande impulso alla soggettiva, spingendola anche ad un intero film; di larga diffusione è stata l’idea di girare un film affidandolo (per intero) allo sguardo di una videocamera azionata da uno/più personaggi-> (x la 1° volta nel 99) diffusa particolarmente nel genere horror e catastrofico come per affermare che sia accaduto realmente quanto rappresentato, creando un rapporto paradossale con un rappresentato (il film) che è invece segnato da eventi impossibili. Son film in cui la soggettiva viene accompagnata da ampi/elaborati movimenti di macchina a mano, long take e piani sequenza, dando vita a rappresentazioni mosse, incerte—> diffondo un’estetica a bassa definizione analogica (come succede per certo cinema d’autore) - viene affiancato al tradizionale sguardo umano una videocamera (una sorta di protesi ottica) che ne giustifica la presenza e centralità—> affiancano al pov umano quello materiale e meccanico di una ‘cosa’, cioè la videocamera. Nei citati, ci son casi in cui si parla di soggettiva meccanica: la videocamera viene lasciata sola a riprendere, oppure una videocamera di sorveglianza, in ogni caso non c’è più un occhio umano che riprende - oppure si parla di pov della materia o soggettive impossibili in cui viene rappresentato il pov impossibile di oggetti o elementi naturali in movimento che danno vita a travelling, espediente del tutto aderente con l’iperspettacolarità del cinema contemporaneo. Possono esser considerate istanze di uno sguardo riferibile solo al virtuosismo della macchina da presa contemporanea, un occhio disincantato che introduce pov disumani, anonimi (una bomba sganciata, un’onda). 5 Movimenti di macchina Un’inquadratura può esser definita in base alla sua distanza, altezza, inclinazione e angolazione in rapporto al rappresentato, dal suo rinviare o meno lo spazio fuori campo, dalla soggettiva o oggettiva, dal fatto d’esser statica o dinamica indipendentemente dal piano profilmico. 17 MOVIMENTI DI MACCHINA NEL CINEMA CONTEMPORANEO I travelling del contemporaneo, postmoderno e digitale han ben più margine di manovra, quindi coprono ampi spazi in poco tempo, ad alte velocità, di scendere e salire rompendo il ritmo-> son in grado di suscitare pure dei sentimenti (ebrezza, vertigine e iperspettacolo), anche in quanto liberi e non associati a rapporti di coerenza tra forma e contenuto—> fanno dello spettatore nono più un testimone invisibile, piuttosto il passeggero di una giostra che offre ubiquità, onniveggenza e onnipotenza. L’origine per alcuni si rintraccia nel 1° episodio di Star Wars (’77) quando le piccole astronavi dei ribelli tentano di colpire la Morte Nera: i movimenti di macchina + ristrette coreografie delle irregolari pareti rocciose costringono le astronavi a complicate evoluzioni, registrate grazie all’obbiettivo grandangolare. L’intenzione di rendere l’ iperspettacolarità non è un’assoluta invenzione del postmoderno, con risultati diversi negli anni 20 già si operava in questi termini (Francia e Germania); ma oggi a differenza di ieri tali movimenti sono presenti in modo più massiccio, con esigenze di puro virtuosismo slegate da quelle contenutistiche. Innovazioni tecnologiche come la steadycam o la louma, ma soprattutto lo snorkel camera system (braccio tubolare e sistemi di specchi a periscopio che permette di girare in ambienti molto stretti) hanno favorito il carattere spettacolare dei movimenti; ma più di tutti il digitale permette di liberarsi del supporto oggettivo della telecamera. Altro aspetto che caratterizza l’uso di questi movimenti virtuosistici è stata la diffusione delle riprese a mano e a spalla: primi esempi si trovano già dalla Nouvelle Vague o dal nuovo cinema dei 60 (Godard, Pasolini, Bertolucci) oppure con Kubrick. In seguito, il rilancio dei movimenti di macchina a mano (shaky camera) s’è avviato negli anni 80, poi divenuto stilema di alcuni registi del 90/00 (Allen) e cifra di scene iconiche come lo sbarco in Normandia in ‘Salvate il soldato Ryan’, infine trasformato in segno caratterizzante di alcuni horror del nuovo millennio. Nati quindi dal cinéma vérité e presi subito da alcuni registi della modernità, son poi diventati prerogativa di un certo cinema indipendente di genere, per finire con l’ingresso del cinema mainstream-> han voluto tramettere la precarietà e instabilità di certi personaggi, determinare la ripresa con veridicità documentaristica, squarciare la trama con continue tensioni narrative, ma soprattutto han voluto abbandonare un certo ambito sperimentale e autoriale per diventare anch’essi generatori di spettacolo. Se una volta si muovevano gli attori, oggi si muovono le telecamere. 6 Inquadrature multiple e finestre L’idea d’inquadratura multipla, sdoppiata in due o più immagini, ha avuto il boom con il digitale, ma ha pur sempre attraversato con metodi differenti la storia del cinema. Gia da ‘The life of an American Fireman’ (1903) una donna viene circondata da un mascherino facendo riferimento così al pensiero dell’uomo che la sta immaginando, presente nella stessa scena in contemporanea. L’esempio più noto di moltiplicazione schermica dell’immagine nel muto è quella di ‘Napoleon’ (1927); realizzato attraverso un sistema denominato Polyvision che usa 3 macchine da presa e 3 proiettori riuscendo così a mostrare in contemporanea 3 diverse immagini l’una accanto all’altra. La frammentazione dello schermo viene chiamata split-screen: riduzione del montaggio al piano dell’inquadratura-> invece di servirsi di una successione alternata di diverse immagini che mostrano azioni diverse, le si mostrano insieme dentro un’unico piano diviso in due o + quadri, invitando lo spettatore a farsi da sé un montaggio mentale. Lo split-screen divenne popolare tra i 60/70 grazie al successo di ‘Il letto racconta’, in cui viene sperimentato l’uso della tecnica ricorrendo alle numerose scene di telefonate: da una schermata divisa in due ad una frammentazione triangolare, dalla divisione in parti sproporzionate tra loro allo sfioramento dei limiti del metacinema (i piedi nudi dei due interlocutori toccano i confini della loro porzione di schermo, congiungendosi per un attimo, sino a quando la donna ritira precipitosamente il suo quasi si sentisse in imbarazzo. Il regista che più di tutti ha tratto giovamento dalle tecniche digitale x dar vita ad un nuovo tipo d’inquadratura multipla tramite le cosiddette finestre (=immagini che si sovrappongo digitalmente sul piano) è l’inglese Peter Greenaway—> le finestre possono differenziarsi tra loro per numero, per dimensioni, formato, durata e per il fatto d’essere in movimento/statiche, a colori o in b/n; inoltre possono darsi su uno sfondo nero o su uno spazio intradiegetico cui possono sovrapporsi. In ‘Le valige di Tulse Luper’ l’occorrenza più frequente è quella che vede una grande finestra occupare lo spazio centrale dell’inquadratura, su uno sfondo più ampio di cui quella stessa finestra non è che un ritaglio. 20 Montaggio 1 Cos’è il montaggio George Méliès fu tra i primi a scoprire la possibilità del montaggio, nella forma del montaggio trucco almeno-> durante delle riprese a Place de l’Opéra la macchina da presa s’interruppe bruscamente, per poi riprendere il lavoro dopo poco; sviluppando il negativo si accorse che l’omnibus che stava riprendendo si era trasformato in un carro funebre-> nasce così il trucco dell’arresto e sostituzione che divenne la base del suo cinema spettacolare. Lo stadio successivo avvenne coi film composti da + inquadrature: con ‘The kiss in the tunnel’ (1899) il film apre con l’immagine, vista da una locomotiva in movimento, di una galleria in avvicinamento; prosegue con il bacio dei due amanti in un vagone del treno; finisce con l’inquadratura dell’avvicinarsi del treno alla fine del tunnel-> ad unire le inquadrature ci son stacchi evidenti di montaggio che determinano un doppio movimento dello spazio. Ciò che ancora manca è l’idea fondamentale del montaggio: la frantumazione in più inquadrature di uno stesso spazio. L’evoluzione del montaggio passa dagli inglesi agli americani durante il periodo di transizione tra montaggio primitivo (1902-08) a quello classico (1917-60), ovvero tra il 1909-16, ovvero quando il cinema hollywoodiano da forma al proprio modo di produzione, di narrazione e quindi di montaggio. Sempre più tagli fra le scene e al loro interno-> dar ritmo e arricchire la psicologia dei personaggi: dal 1915 i lungometraggi diventano lo standard; dal ’17 le inquadrature vengono riprese d’angolazioni diverse, il piano d’insieme non è più importante degli altri, i tagli si raccordano sul movimento: i film hanno tra i 500/1k inquadrature. Il caso più evidente di tale evoluzione si avrà con le opere di David W. Griffith, con lui il montaggio raggiungerà la prima maturità: Griffith si renderà conto che una sequenza dev’esser composta da singole inquadrature incomplete, scelte e ordinate x necessità drammatica; dimostrando che la cinepresa può avere una parte attiva nella narrazione-> spezzando un avvenimento in brevi frammenti, ripreso dalla miglior posizione, si poteva modificare l’importanza delle singole inquadrature controllando l’intensità drammatica man mano che la narrativa progrediva. Il ruolo del montatore, in maggioranza dei casi sotto il controllo del regista, ha riscontrato un’eccezione nel corso della storia, durante in cinema americano classico: negli studios i registi erano spesso assenti dal montaggio, e in caso di litigio con la direzione non avevano diritto decisionale sul montaggio finale (final cut). Di fatto i montatori lavoravano da soli, solo sotto il controllo dei ‘supervisori al montaggio’, i quali controllavano il film fosse conforme alle aspettative degli studios (in alcuni casi era richiesto l’introduzione di nuove riprese o trucchi di laboratorio). Nel ’39 infatti Frank Capra lamentava questa realtà, destinata poi a cambiare. Montaggio= operazione che consiste nell’unire la fine d’inquadratura con l’inizio della successiva: x lo spettatore si traduce nell’effetto montaggio (=passaggio da immagini A ad immagine B). Quindi l’operazione è un mettere in relazione (funzione connettiva) due o più elementi tra loro, relazione sul piano diegetico (personaggio dell’inquadratura A con quello della B), che su quello discorsivo (angolazione dall’alto in A con quella dal basso in B), infine su quello diegetico- discorsivo (personaggio ripreso dall’alto in A e quello ripreso dal basso in B)—> dar vita al rapporto tra immagini sulla base di un progetto narrativo, semantico ed estetico. Transizioni tra inquadrature facenti parte del discorso filmico: - Stacco= passaggio diretto e immediato da un piano al successivo. - Dissolvenza= 1. D’apertura: l’immagine appare progressivamente sino a diventare nera - 2. In chiusura: l’immagine scompare progressivamente fino a diventare nera - 3. Incrociata: immagine che scompare e quella che compare si sovrappongo per alcuni istanti. Le dissolvenze usate di frequente nel cinema classico, specie x evidenziare i passaggi tra scene e indicare così l’esistenza d’ellissi o salti temporali. Invece quelle in chiusura (rispetto le incrociate) richiamano ad una pausa più pronunciata, interrompono il flusso narrativo e separano nettamente le azioni che le precedono da quelle che le seguono. Tecniche cadute in disuso: Iris (un foro circolare si apre e chiude intono una parte dell’immagine); Tendina (la nuova immagine sostituisce la precedente facendola scorrere via dallo schermo. Transizioni facenti parte della storia: piano d’ambientazione è quel tipo d’inquadratura prettamente descrittiva che avrai la scena col compito di introdurre i caratteri ambientali-> consente allo spettatore di conoscere il luogo della successiva sequenza—> mette in grado di avere una corretta visione dell’episodio che sta x esser narrato e introduce i momenti di pausa nella narrazione x non saltare troppo bruscamente da una scena all’altra. [pp. 191-196] 21 2 Spazio e tempo Nella sua evoluzione, il linguaggio cinematografico, ha imparato ad articolare lo spazio-tempo diegetico in uno spazio-tempo del discorso filmico, in grado di mettere in rilievo quei fatti essenziali allo sviluppo e alle finalità del racconto/dell’opera nel complesso. Dal pov spaziale, il montaggio ha assunto il ruolo di articolare lo spazio diegetico in diverse unità, stabilendo tra queste delle connessioni secondo un progetto narrativo Dal pov temporale, il montaggio deve selezionare quei momenti della storia narrata che hanno un’importanza maggiore e confinare gli altri nel vuoto dell’ellissi. SPAZIO Il cinema, nel suo trattare lo spazio attraverso il montaggio, organizza la visione spettatoriale attraverso una successione di diversi pov che fanno dello spazio diegetico uno spazio filmico: ci sarà quindi un ambiente (spazio diegetico) e una rappresentazione di questo ambiente attraverso una successione d’inquadrature (spazio filmico), determinata dalle scelte narrative. Esistono due possibilità di dar vita alla rappresentazione filmica di uno spazio diegetico: 1. Ad un ‘piano d’insieme’ dell’ambiente ripreso seguono una serie d’inquadrature che lo frammentano e che son comprese nel piano originario—> tende alla chiarezza espositiva, tipica del cinema classico. 2. Lo spazio d’insieme è costruito con una serie d’inquadrature parziali che ce ne mostrano una parte, mai la totalità—> nel caso precedente l’intero era scomposto dal montaggio, ora invece è il montaggio delle parti a comporre l’insieme. Entrambi i casi segnano il gioco della segmentazione dello spazio chiamato decoupage, assente nel cinema dei Lumière. TEMPO All’interno di una breve sequenza il montaggio può introdurre brevi ellissi, più che altro tecniche, perché spesso nemmeno percepite dallo spettatore->aboliscono i tempi morti e rendono la narrazione più avvincente; determinano la differenza tra una scena (dove queste non son presenti e il tempo del discorso è = a quello della storia) e una sequenza vera e propria (dove la loro presenza fa si che il tempo del discorso sia minore di quello della storia). Altro modo in cui il montaggio lavora il tempo a livello intrasequenziale è la durata delle inquadrature: generalmente la durata è il tempo che uno spettatore ha per leggere quell’inquadratura, quindi + un piano è ampio, + info contiene, + si avrà tempo per leggerlo. La durata delle singole inquadrature è uno degli elementi che determina il ritmo di una sequenza: + le inquadrature son brevi, + il ritmo è sostenuto; + son lunghe, + il ritmo si distende. Il montaggio che lavora nelle più importanti articolazioni narrative, passando dal livello intrasequenziale a quello intersequenziale. Allora il montaggio è lo strumento che determina il rapporto tra l’ordine degli eventi della storia (o fabula) e quello dell’intreccio: ad es, in un racconto giallo l’ordine degli eventi (fabula) della storia potrà essere il seguente: 1)A tradisce B - 2)B uccide A - 3)B è ricercato dalla polizia - 4)B è arrestato e confessa. L’intreccio della storia può invece dar vita a questa successione: 1)B è ricercato dalla polizia - 2)B è arrestato e confessa - 3)A tradisce B - 4)B uccide A. Il cinema classico ha prediletto una struttura lineare e cronologica, tranne per i flashback: - Flashback diegetici-> prendono vita dalle parole/pensieri di un personaggio che ricorda/ racconta qualcosa avvenuto in passato (più che un salto in dietro si ha una visualizzazione dei pensieri/parole di un personaggio, piuttosto che una disarticolazione). - Flashback narrativi-> senza la mediazione d’un personaggio, racconta un episodio passato in un tempo successivo. Solo in tal caso è una disarticolazione dell’ordine da parte dell’intreccio. Più raro è il flashforward (anticipazione di un evento futuro) dato che sarebbe possibile solo se il personaggio avesse poteri paranormali nel caso diegetico; invece in quello narrativo è più possibile: in ‘Easy Rider’ il finale viene anticipato nel corso della narrazione da immagini, che già ce ne mostrano gli esiti. Rispetto all’intra, nell’intersequenziale il montaggio introduce nel tessuto narrativo dei film delle ellissi, infatti il passaggio da una scena ad un’altra implica un passaggio temporale più o meno marcato-> a differenza delle ellissi tecniche, quelle proprie dell’intersequenziale (ellissi narrative) sono esplicite x lo spettatore: possono omettere ipotetici fatti irrilevanti o tener nascosti elementi dichiarati poi con flashback, nel 2° caso si parla di montaggio ellittico—> invita lo spettatore all’attiva partecipazione. L’ellissi agisce nel tempo come il fuori campo agisce nello spazio. Un’esempio di montaggio ellittico è: sequenza a episodi/di montaggio che allinea un certo numero di brevi scene, separate le une dalle altre da effetti ottici, e che si succedono cronologicamente. 22 3.3 Montaggio formale Le funzioni dei vari tipi di montaggi non per forza devono escludersi a vicenda, al contempo possono coesistere il montaggio narrativo, semantico ed estetico; la funzione di quest’ultimo in particolare è quella evidenziare gli effetti di tipo formale: accostamento di immagini che che creano un rapporto di volumi, superfici, linee ecc al di là della natura degli elementi rappresentati. Nell’avanguardia dei 20 il formale trova la sua massima intensità (oggi invece nelle pubblicità e nei videoclip musicali). Tra i registi più autorevoli Yasujiro Ozu comporta un’eccezione nel montaggio classico nipponico (tipico il modo di riprende un dialogo giocando su ricerca di associazioni e sovrapposizioni formali, rifiutando campi e controcampi, ponendo invece la macchina sull’immaginaria linea che li congiunge, e non più canonicamente al loro fianco). In ‘Fiori d’equinozio’ fa si che i due interlocutori non si giardino più tra loro ma guardino la macchina; le inquadrature della donna son più ravvicinate cosicché il suo volto, più piccolo rispetto all’uomo, ricopra la stessa porzione dell’altro; scenograficamente gli oggetti (di forma rettangolare) alle spalle di entrambi si richiamano vicendevolmente—> le due serie d’inquadrature fanno si che il montaggio rimandi l’una all’altra attraverso analogie formali: frontalità, direzione di sguardo, i volti che occupano lo stesso spazio e gli oggetti alle loro spalle-> le inquadrature sembrano sovrapporsi in un gioco di somiglianze. Sul piano della costruzione filmica, tale scelta, crea una rappresentazione quasi straniante (dal momento che entrambi parlando alla macchina sembrano parlare anche allo spettatore interpellandolo sul merito del discorso); sul piano del significato il quasi sovrapporsi di forme da vita ad un montaggio che non pone i personaggi l’uno contro l’altro (sguardo verso dx contro sguardo verso sx) secondo una sorta di conflitto, ma li pone in armonia. 3.4 Montaggio discontinuo Rifiuta i codici di continuità hollywoodiani e usa modalità di rappresentazione che testimoniano, sul piano temporale e spaziale, la possibilità di raccontare una storia senza usare la continuità. -Un modo è quello di violare il sistema dei 180°, creando uno spazio a 360° che si pone come modello alternativo al dominate, slegando quindi la cinepresa e girando attorno ai personaggi dialoganti, ad esempio—> i 2 personaggi saranno di volta in volta rovesciati sullo schermo. -Altro modo x creare discontinuità è il jump cut (=falso raccordo), che racchiude 2 forme di raccordi irregolari: 1. Mettere in successione 2 o + inquadrature di uno stesso personaggio troppo simili l’una all’altra sul piano della distanza/angolazione, violando la regola convenzionale che vuole una sufficiente diversità di tra inquadrature consecutive. 2. Una successione d’inquadrature, di uno stesso personaggio, divise da brevi intervalli di tempo ce lo mostrano in posizioni che cambiano di netto, senza transizione, nel passaggio da un’inquadratura all’altra (prima seduto, poi in piedi, poi in camminata) Nessuna delle due attenua gli stacchi del montaggio, ma anzi li esplicitano costringendo lo spettatore a rendersi conto di trovarsi in un film—> per questo ha trovato nel cinema della modernità, in Godard, uno dei suoi periodi; oltre alla Nouvelle Vague, Hitchcock ne fece un uso celebre col fine di gonfiare la suspense: davanti a jump cut lo spettatore vive un senso d’inquietudine nate dal ritrovarsi davanti estranee a quelle del cinema classico-> l’eccezionalità dei modi di rappresentazione prepara l’eccezionalità di ciò che sta x accadere. Oltre ai citati periodi del cinema, il jump cut ha goduto di fama nel contemporaneo e nel postmoderno, dove venne usato x logiche di antillusionismo e x logiche di decontrazione che i film attuano nei confronti dei personaggi. -Altro metodo: inserti non diegetici—>interrompono la regolare successione d’inquadrature con piani estranei allo spazio-tempo del racconto, diventando strumenti di associazioni metaforiche a cui l’istanza narrante ricorre x motivare il senso (l’uso di manifesti pubblicitari, fotografie o riviste in molti film di Godard) e di interruzione della continuità narrativa sospendendo l’azione. -Ultimo metodo di manipolazione temporale è inerente al piano della durata - il cinema classico privilegia 2 possibilità: quella della coincidenza del tempo della storia con quello del discorso (scena), quella in cui il tempo del discorso è più breve di quello della storia (sequenza) - in cui la durata della rappresentazione è maggiore di quello dell’evento rappresentato—> estensione. In ‘Ottobre’ avviene la ripetizione dell’apertura della sala degli zar per 4 volte. Un esempio può essere l’estensione temporale in cui l’inquadratura B non inizia quando quella A finisce, ma un po’ prima-> così il piano B ripete l’ultima parte del movimento di A. 25 MONTAGGIO NEL CINEMA CONTEMPORANEO La più lampante differenza tra i cinema dell’epoca e contemporaneo è la velocità: uso d’inquadratura più brevi moltiplica gli stacchi. Spinto dalle sollecitazioni di altre forme come pubblicità o video musicali, preoccupati di non perdere lo zoccolo duro giovanile della platea, intento a realizzare film come fuochi d’artificio e giochi d’attrazione per coinvolgere sul piano soprattuto sensoriale, favorito dalle tecniche di montaggio digitali.. il contemporaneo ripercorre le vertici del montaggio che hanno segnato esperienze d’avanguardia negli anni 20; con la differenza che queste non sono limitate al cinema d’autore o d’avanguardia, ma fanno parte del mainstream. Tra gli anni 30/60 i film comprendevano 300/700 inquadrature con medie da 8/11 sec - tra i 70/80 c’erano 1500/2000 con una media di 5/8 l’una - oggi anche 3000 a film con medie fino a 1,8 sec. Tale impennata deriva dall’influenza dal cinema d’azione hongkongese e dalla spettacolarità richiesta tra sparatorie e inseguimenti, con l’ausilio di inquadrature sempre in movimento, travelling e macchine a mano, effetti di montaggio bruschi ed angolazioni ardite. Eccezione che confermano la regola è ‘Moulin Rouge’, in una scena di dialogo, dove il protagonista si trova irrompere in stanza un gruppo di teatranti-> la scena dura 4,50 minuti ed è frammentata in 230 inquadrature da 1,26 sec di media ciascuna. 3.5 Montaggio proibito: profondità di campo e piano sequenza Opposto ai modelli di decoupage classico e di montaggio ejzenstejniano, antitetici siccome il primo si fonda su trasparenza e invisibilità per la chiarezza d’esposizione e narrativa, l’altro sull’esplicita funzione del mezzo teso alla significazione. Nonostante le apparenti somiglianze i due modelli hanno in comune il rapporto coercitivo che mettono in atto nei confronti dello spettatore -> il 1° espone gli eventi clou e li evidenza, il 2° costruisce i senso di ciò che rappresenta-> in entrambi i casi lo spettatore è davanti a qualcosa di precostituito. Il critico francese Bazin allora diede vita ad un’alternativa basata su due postulati: 1. Individua nel cinema la sua vocazione ontologica, ovvero la rappresentazione del reale rispettando le sue caratteristiche essenziali. 2. Nella realtà nessun avvenimento sia dotato di una senso vuole determinato a priori, occorre che il reale sia perennemente ambiguo. Specie per quest’ultima ragione il cinema deve oltrepassare il montaggio, siccome questo ha per sua natura forza la direzione di un senso. Secondo Bazin, il cinema deve seguire la riproduzione del mondo reale nella sua continuità spazio-temporale—> da qui nascono due modalità espressive d’importanza primaria nell’ambito dei parametri del linguaggio cinematografico: - Profondità di campo= è un’immagine in cui tutti gli elementi, sia in primo piano che in sfondo, sono a fuoco-> essa sarà maggiore quanto più distanziati saranno sfondo e primo piano, e quanto più quest’ultimo sarà vicino all’obbiettivo (x messa in scena in profondità s’intende la disposizione di oggetti e personaggi su più piani e il loro reciproco interagire). Già coi Lumiere se ne faceva uso nonostante non ci fossero fini espressivi, poi con la fine del muto e per via di motivi tecnici (le new pellicola pancromatica era meno sensibile alla luce, allora serviva aprire di più il diaframma, di conseguenza si metteva a fuoco parzialmente e si creò il flou) cadde desueto. Il ricorso all’effetto flou non vuole abbandonare la verosimiglianza dell’immagine cinematografica, vuole portare la rappresentazione filmica dal piano della singola immagine a quello delle forme del racconto, della verosimiglianza psicologica, dello spazio tempo. Il ritorno della pratica avviene nei 40, specie grazie a Citizen Kane, e Bazin diviene uno dei suoi strenui sostenitori: la profondità di campo pone lo spettatore in un rapporto con l’immagine più vicino rispetto la realtà perché è sollecitato a dargli un contributo, fa il suo decoupage. - Piano sequenza= è un piano che da solo svolge la funzione di sequenza o scena , rappresenta un evento o una serie di eventi caratterizzato/i da una certa autonomia nel contesto narrativo, siccome esibiscono nel loro perdurare un rifiuto del montaggio: è una somma d’inquadrature su cui si articola una sequenza (come per la profondità di campo)-> quello che si da con più inquadrature si può dare con queste due figure. Il long take (più breve rispetto il vero e proprio piano) nasce dai film dei Lumiere e Melies essendo realizzati in un’unica inquadratura, poi fino ai 10 rimase tale siccome le scene, di film più lunghi, duravano un’intera inquadratura. Con l’emergere del montaggio in continuità le inquadrature si fanno più brevi, ma intorno i 30 (in alcuni paesi) la tendenza s’interrompe per alcuni registi, specie grazie all’avvento del sonoro: gli stessi usano, non a caso, anche la profondità di campo e la messa in scena in profondità siccome danno vita ad inquadrature più articolate, che quindi impongono una lettura maggiore rispetto quelle del cinema classico. Schematizzando, l’inquadratura di un film a decoupage ha un solo significato, invece un paio sequenza o un’inquadratura in profondità presenta più significati. 26 Il piano sequenza nel mantenere la continuità spazio-temporale della realtà determina, secondo Bazin, un maggiore realismo, quindi portando il cinema alla sua vera natura ontologica-> lo spazio non è temporalizzato e frammentato, al contrario è rappresentato per blocchi unitari quindi siamo noi a cogliere gli elementi significanti. Due principali critiche son state mosse contro: la 1° dice che la rappresentazione e la sua realtà non possono venir confuse-> ogni immagine del cinema (x angolazione, scelta di campo, durata, bidimensionalità) è di per sé una rappresentazione della realtà, infatti anche la decisione di ridurre al minimo la manipolazione è una scelta del discorso; il 2° denuncia alcune dimenticanze di Bazin rispetto piano sequenza e profondità di campo, di fatto non tutte le volte che le due sono usate vanno nella direzione che il critico privilegia, imponendo una lettura univoca. Non è vero quindi che piano e profondità sono una negazione del montaggio (posso anzi dar vita ad una serie d’inquadrature che riescono a frammentare in più piccole unità significanti gli elementi attraverso le variazioni di codici), può esser presente ma in forma di montaggio intero: cioè la forma di montaggio che si costruisce non più dal rapporto tra le inquadrature, ma all’interno di un solo piano-> un movimento di macchina che rapporti tra loro 2 elementi, un’entrata/uscita di campo di un personaggio ecc ne son esempi. [in ‘Quarto Potere’ i genitori del piccolo Kane decidono di affidarlo al banchiere Tatcher affinché lo porti in città: il piccolo gioca in mezzo alla neve, un movimento di macchina indietro rivela il carattere semioggettivo della scena, scoprendo di spalle la madre che lo sta osservando-> nello sviluppo l’inquadratura finisce con l’articolarsi su tre piani che ne strutturano la profondità: sullo sfondo il bambino che gioca oltre la finestra (effetto cornice), in mezzo il padre in piedi e in primo piano madre e futuro tutore. Il montaggio interno, in tal caso, sfrutta la profondità per creare una relazione tra gli elementi-> lo spettatore dovrà ora ritagliarsi il proprio decoupage (nessuno impedisce di continuare a guardare il bambino mentre ascoltiamo il dialogo tra la madre e il banchiere). Inoltre i 3 livelli corrispondano ad una logica narrativo-drammatica: il bambino (sullo sfondo, distante) vittima di una scelta altrui; il padre cerca debolmente di opporsi (nel mezzo); madre e banchiere (in 1° piano) i veri artefici. Come asserisce Bazin, qui il regista pare non imporre il proprio decoupage, ma al contempo vi sono elementi di articolazione profilmici che costruiscono la scena (come un montaggio): la scelta di un ordine della profondità (Kane, padre, madre) che predispone predominanze spaziali (l’occupazione dello schermo della madre è > di Kane); infine i dialoghi e le voci giocano un ruolo fondamentale dato che guidano lo sguardo dello spettatore proponendo un tipo di “decoupage”.] [Il cinema della Nouvelle Vague, che deve tanto a Bazin, contiene diversi es di long take e piani sequenza che impongono poco alla libertà di sguardo della spettatore. In ‘Fino all’ultimo respiro’ il dialogo tra i 2 personaggi è ripreso in una lunga carrellata, senza alcuno stacco, prima a seguire i 2 che avanzano e poi a precederli mentre ritornano sui propri passi-> tralasciando la diversa velocità dei personaggi rispetto a quella della macchina, Godard rifiutato qualsiasi intervento di montaggio sulla realtà rappresentata, evita di mostrare i due con piani ravvicinati così da mantenere alla pari le parole dell’uno dall’espressioni scaturite dell’altro-> il contenuto del dialogo non è gerarchizzato da alcun montaggio, tocca invece allo spettatore decidere] pp. 256-262 IL “NUOVO” PIANO SEQUENZA Elettronica e digitale hanno permesso d’estendere la durata di un’inquadratura oltre i 10 minuti, come ogni bobina permetteva in passato-> favorita la possibilità di ricorrere a piani sequenza e long take. Non c’è, in realtà, contraddizione con il crescente numero di stacchi e brevità delle inquadrature, i piani e il long si caratterizzano il carattere virtuosistico e il travelling spettacolare che li compongono, ponendo al primo posto perciò il carattere sensoriale e immerso alla pare degli stacchi e brevità d’inquadrature. Il contemporaneo ha inoltre superato il piano con l’effetto piano sequenza: rende possibile arrivare alla cancellazione degli stacchi, permette di presentare in un solo piano ciò che necessita di più riprese-> son piani sequenza simulati dove i passaggi da un immagine all’altra (gli stacchi) son cancellati x dare un’impressione di continuità. In ‘Nodo alla gola’ di Hitchcock (48) l’intero girato venne composto da 8 long take, gli stacchi furono mascherati dai corpi degli stessi attori passando davanti la macchina, oscurando la cinepresa-> unico piano sequenza simulato. Oggi il piano sequenza non ha più nulla a che fare con quello a cui si riferiva Bazin, anzi, s’è liquidato l’ultimo barlume del realismo ontologico del cinema e con lui la relazione analogica con lo spazio-tempo della ripresa, che dava al piano sequenza il suo valore d’autenticità. Il contemporaneo ha reso tutto un piano sequenza senza l'autentico. 27 1.1 Suono e Spazio Nel montaggio audiovisivo ci son 2 ordini di rapporti tra suono e immagini: lo spazio e il tempo. Nello spazio si può distinguere il suono intradiegetico e quello extradiegetico: il primo identifica i suoni che vengono dalla diegesi del film, il secondo è quello che udiamo solo noi spettatori, come la musica d’accompagnamento o l’istanza narrante. In alcuni casi i due si mescolano: la musica che parte da uno stereo in scena per poi divenire la colonna sonora, oppure in ‘L’orgoglio degli Amberson’ (Welles, 42) il narratore chiaramente extradiegetico riassume la storia della famiglia finché uno dei personaggi commenta una frase pronunciata dallo stesso creando una situazione perlomeno paradossale. Il suono intradiegetico può esser diviso in: suono in campo (la fonte sonora è dentro l’inquadratura) e suono fuori campo (ha spesso funzione di allargare l’inquadratura e quindi contestualizzarla, e di creare un senso d’attesa nello spettatore), in cui l’elemento visivo ci permette di distinguere l’uno o l’altro. Vengono rintracciati 3 tipi di suoni che sfumano le caselle di suono in o fuori campo: 1. Suono ambiente= è quello inglobante che avvolge una scena. 2. Suono interno= si oppone a quello esterno (che proviene da una sorgente ben precisa), si tratta di quei suoni che sentiamo in quanto immaginati o ricordati da un personaggio che sul piano visivo potremmo definire ‘immagini mentali’. 3. Suono on the air= è quello che si sente xk trasmesso da strumenti come radio, altoparlante, telefono ecc-> la loro sorgente ultima può essere in campo, ma quella primaria è fuori campo. [I tre tipi di suoni vengono tradotti in: suono over (extradiegetico) - suono in (intradiegetici in campo) - suono off (intradiegetici fuori campo).] Il suono durante un’inquadratura può farci volgere lo sguardo verso una direzione piuttosto che un’altra, ciò viene definito sguardo selettivo, il quale pone il problema della direzione e della distanza da cui proviene la sorgente. 1.2 Suono e Tempo La prima distinzione nel rapporto tra suono e tempo è la differenza tra: Suono simultaneo= si realizza quando il sonoro e l’immagine si danno in uno stesso tempo narrativo (due personaggi parlano e noi sentiamo il suono delle loro voci). Suono non simultaneo= costituito dall’effetto sonoro che anticipa o segue le immagini che noi vediamo in un dato momento (un personaggio evoca un momento passato e mentre continuiamo a sentire le parole che pronuncia vediamo le immagini dell’evento evocato: parole al presente e immagini al passato). Altro caso di non simultaneità è il cosiddetto ponte sonoro: le brevi anticipazioni sonore in cui le parole, musiche e numeri della scena subito successiva a quella presente sullo schermo iniziano a sentirsi prima che se ne vedano le immagini. Il ritmo è un’altra questione centrale dei rapporti, si compone di velocità (determinata dalla durata degli intervalli: se l’intervallo è è breve il suono avrà ritmo veloce e viceversa) e regolarità (nasce sulla base di coincidenze o meno di queste due, se le durate degli intervalli coincidono avremo un ritmo regolare e viceversa). In molti casi il ritmo sonoro e quello visivo vengono adeguati l’uno all’altro, come accade nei film d’animazione o nei musical. 2 Suono e racconto: il punto d’ascolto Come esiste un pov visivo esiste anche quello sonoro, cioè il punto d’ascolto. Parlando di pov del cinema ci si può riferire a quello oggettivo (il pov spaziale della macchina da presa: vicina, lontana, dall’alto ecc) e soggettiva (aspetti narrativi e il rapporto tra sguardo della cinepresa e quella del personaggio)-> attraverso il volume è possibile distinguere tra suoni vicini e lontani, tanto da poter immaginare una scala dei piani sonori non dissimile da quella visiva (si parla di primo piano sonoro)—> da qui s’individuano i due poli estremi: - Coincidenza= quando la sorgente d’un suono s’allontana e così avviene anche per il suono. - Contrasto= quando il punto di vista e punto d’ascolto non si accoppiano: una figura si allontana ma i suoi passi rimangono allo stesso volume. L’aspetto interessante del suono rimane quello narrativo in rapporto tra ciò che sente il pubblico e il personaggio: cioè tra auricolarizzazione interna (che lega un suono diegetico a un personaggio) primaria—> quando il suono assume una dimensione esplicitamente soggettiva, quando una voce si abbassa perché ad es il personaggio si fa distratto, e il punto d’ascolto dello spettatore è coincidente con quello del personaggio; si da grazie l’alterazione sonora causata da una particolare condizione del personaggio in ascolto - secondaria—> quando determinati meccanismi visivi o di montaggio la evidenziano; la coincidenza spettatore e personaggio rimane, ma l’esplicitarsi è dato dall’elemento visivo congiunto a quello sonoro, e non più solo all’ultimo. 30 Auricolarizzazione esterna si da quando i suoni non son legati a nessun personaggio in particolare, quindi essi x il personaggio non hanno un ruolo particolare (come quelli ambientali). L’auricolarizzazione interna è sempre costruita su suoni diegetici, quella esterna implica anche suoni extradiegetici, che non possono esser sentiti dai personaggi quindi. 3 Parole e voci Anche la parola non è nata col sonoro, già durante il muto trovò due mezzi di trasmissione. Il narratore e le didascalie—> avevano la funzione d’informare lo spettatore dei dati essenziali per la comprensione del racconto. Il commentatore pronunciava in simultanea le parole con l’immagine, esercitando una certa improvvisazione, carattere cancellato con l’avvento delle didascalie. Le didascalie venivano fissate sulla pellicola, ma siccome (a differenza del commentatore) dovevano darsi in successione rispetto le immagini il problema non è stato completamente risolto; si dovette attendere la registrazione del sonoro per far si che tronasse la simultaneità immagini-sonoro. Le voci assumono tra i 3 suoni del cinema il ruolo di primo piano: è staccata e messa in evidenza rispetto gli altri, infatti la sua registrazione deve garantire intelligibilità delle frasi pronunciate, invece musiche e rumori non devono interferire con la voce. Possono distinguersi 3 tipi di parola: - Parola teatro: la più ricorrente, contraddistinta da assoluta intelligibilità e il suo esser emanata dai personaggi stessi. - Parola testo: intelligibile quanto la prima, si caratterizza però dall’emissario-> il narratore. - Parola enunciazione: il più raro, è tale nel momento nel momento in cui ciò che è detto non è per forza di cose comprese o non connesse al centro dell’azione. Da considerare che i rumori d’ambiente possono limitare l’intelligibilità delle parole se la registrazione avviene in presa diretta, ovvero quando la registrazione sonora è simultanea alla ripresa visiva e non successiva ad essa. 4 Musiche Non solo dal 1927, anno in cui il cinema divenne sonoro, ma dal 1895, quando il cinema nacque, il rapporto musica-cinema fu soggetto di numerose ipotesi di interrelazioni. Nel corso dei 10 vengono diffusi i primi repertori musicali; nei 20 si vede un nuovo rapporto: il cinema delle avanguardie punta ad un rapporto più estetico e strutturale tra i due linguaggi giocando sulla natura ritmica che li accomuna. Si possono rintracciare due grandi modi con cui la musica si rapporta alle immagini: Partecipazione= la musica esprime la sua partecipazione all’emotività della scena, assumendone il ritmo, il tono attraverso codici ben riconosciuti (gioia, tristezza ecc) Distanza= la musica manifesta un’indifferenza nei confronti della situazione, sviluppando in modo autonomo. Come accade per atri materiali d’espressione filmica, anche la musica ha dato vita a figure dominati—> Leitmotiv e l’avvio/interruzione improvvisa: il primo è un tema melodico ricorrente che caratterizza fatti o personaggi nel corso dell’intero racconto; la seconda si ha quando la musica si avvia o cessa di colpo col compito di accentuare drammaticamente un evento. La musica intradiegetica assume innanzitutto una valenza informativa che solo in secondo luogo può assumere una valenza indiziaria; quella extradiegetica invece è portatrice della prospettiva assunta dall’istanza narrante nei confronti delle situazioni o dei personaggi. L’analisi del film Solo dalla seconda metà dei 60 il ruolo dell’analisi del film conquistò un suo posto, sia grazie alla diffusione del cinema attraverso i metodi più disparati (cassette, DVD, Blu Ray) che all’ambito accademico ed editoriale; in quest’ultime 2 sedi le analisi vengono continuamente riproposte. Le prime analisi del film dalla seconda metà dei 60, oltre a tener conto dei risultati raggiunti dalla teoria del cinema, erano influenzati dal modello dello strutturalismo per poi aprirsi anche verso: semiotica e narratologia, teorie letterarie ed artistiche, storia sociale e sociologia, psicanalisi e femminismo, marxismo e neoformalismo—> dimostra come non esista un metodo universale di analisi; infatti il problema non è la ricerca di un metodo che valga x ogni film, ma sta nella possibilità e nei modi di analizzare un film. L’analisi ha come oggetto primario del proprio lavoro il testo filmico (un’insieme di film, un film o una parte id film che presentano dei tratti di omogeneità), ci insegna infatti a coglierne la struttura e il funzionamento: prima ancora di passare x categorie più ampie (autore, genere, corrente), l’analisi parte dai film per cercare una definizione del genere, e non da una generale definizione di western per cercare nei film dello stesso cosa gli appartiene o meno; oppure partirà dai film di un 31 determinato periodo storico per difinire attraverso quali immagini proponevano al pubblico x esprimere quel determinato periodo storico. Il primo segno distintivo dell’analisi è la sua aderenza al testo filmica dissociandosi da certi elementi per interessarsene ad altri nello specifico—> ciò determina che l’analisi sia particolarmente attenta al funzionamento significante del film, nella consapevolezza che solo in questo modo si possa articolare un discorso davvero fondato. L’analisi in se non rinuncia al confronto con temi e contenuti, dato che in ogni produzione significante non c’è contenuto indipendente dalla forma con cui viene espresso-> non si può dire tutto di un film, perciò è necessaria una prospettiva attraverso cui guardarlo ed interrogarlo, siccome analizzare un film è innanzitutto un porsi delle domande. L’analisi partirà perciò da una prima interpretazione del testo, subordinata ad un’ipotesi preventiva, e di conseguenza potrà affrontare due rischi: attenersi troppo ai fatti quindi fare di un analisi una pseudo-analisi che sfocia in una parafrasi del testo; voler dire qualcosa di essenziale sull’oggetto x esprimere un’interpretazione nuova, ma rischiando di deformare i fatti stessi e di forzare l’analisi—> la volontà interpretativa non andrebbe confusa con quella valutativa e normativa. Infine l’analisi non vuole testimoniare la bellezza o bruttezza di un film, vuole offrire delle conoscenze sul film che pone come proprio oggetto e rendere intelligibile il testo. Strumenti e criteri Un primo gruppo di strumenti possono essere gli strumenti descrittivi: come la sceneggiatura desunta (descrizione delle inquadrature di un film nel suo stato finale), che può essere dell’intero film o di una sola sequenza, la quale comporta il ricorso ad alcune indicazioni imprescindibili: la numerazione delle inquadrature, il resoconto del loro contenuto, la trascrizione dei dialoghi; sarà poi il tipo di analisi condotta a a imporre altre pertinenze: indicazione di tipo di campo o piano, l’incidenza angolare, entrate o uscite di campo, raccordi di montaggio, movimenti di macchina, musiche e rumori ecc. Altro strumento è quello della segmentazione: dividere il film nelle sequenze che lo articolano, riscontrando difficoltà nel cogliere l’inizio e fine delle stesse, e ravvisare la coerenza della struttura interna a ogni sequenza. Tale metodo è comodo per controllare lo sviluppo del racconto e collocare ogni momento del film nella giusta sequenza. C’è poi la descrizione della singola inquadratura e dei quadri in cui essa si costituisce-> corrisponde a trasferire nel linguaggio verbale gli elementi d’informazione e significazione che l’immagine esaminata contiene; la descrizione dell’immagine è selettiva e presuppone d’aver scelto un pov analitico-> la descrizione dell’immagine è già così la l’inizio di un’ipotesi di lettura, nonostante vada letta nel suo contesto. Oltre ai primi 3 ci si può rifare alle tavole, grafici o schemi che possono formalizzare un un aspetto del film; a differenza degli altri, tale metodo, è in grado di render conto del funzionamento della parte di film esaminato. Il secondo gruppo di strumenti è quello degli strumenti citazionionali, intese come prelievo dal corpo del film: una sequenza, una scena, un’inquadratura; il rischio sta nel creare un’idea di film come fatto di singoli frammenti, minando un approccio di esso come totalità. Esiste la possibilità di ricorrere al singolo fotogramma, come oggetto più che altro paradossale siccome nega 2 dei suoi momenti essenziali: movimento e durata. Essi vanno scelti in base alla loro tipicità, quando sono sanno rendere al meglio l’aspetto che si vuole analizzare. Altri metodi possono essere la riproduzione di una banda sonora o il ricorso a disegni che trattengono dell’immagine solo gli elementi pertinenti all’analisi. Ultimo gruppo di strumenti è quello composto dagli strumenti documentari—> costituiti da dati fattuali esterni al film che possono essere utili all’analisi: dati anteriori alla distribuzione che riguardano la produzione, la realizzazione e il lancio (piano di produzione, budget, diari di lavorazione, pubblicità, interviste o scarti di montaggio); dati posteriori (tipo di distribuzione, incassi, recensioni). Cercando un criterio generale, pensando ad un approccio analitico legato alle caratteristiche linguistiche e narrative del cinema si può affermare che x analizzare un film occorrono: scomposizione, analisi delle parti, ricomposizione—> a partire da un’ipotesi preventiva inizio a dividere il film nelle parti che lo compongono (episodi narrativi, sequenze, scene, inquadrature); poi passo all’analisi delle parti individuate: se la mia ipotesi preventiva mi spinge a studiare il rapporto tra organizzazione dello spazio interno all’inquadratura e caratterizzazione dei personaggi, cercherò di trovare il modo in cui una certa logica della strutturazione del piano determini la rappresentazione dei personaggi (in ognuna delle parti potrò rinvenire certi procedimenti dominanti); una volta stabilite le costanti per ogni unità (sia un’immagine che una 32
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