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Riassunto manuale di diritto amministrativo Clarich, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

Riassunto del manuale di diritto amministrativo Clarich, 2022.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 23/03/2023

Jackk2202
Jackk2202 🇮🇹

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Scarica Riassunto manuale di diritto amministrativo Clarich e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! DIRITTO AMMINISTRATIVO Riassunto manuale di Diritto Amministrativo – Clarich anno 2022-23 Iacopo Pecchioli SOMMARIO CAPITOLO 1 IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI – Introduzione ............... 1 1. Premessa ............................................................................................................ 1 2. Modelli di Stato e nascita del diritto amministrativo: ........................................................ 1 3. Diritto amministrativo e scienze sociali: la scienza del diritto amministrativo .......................... 6 4. Il diritto amministrativo e i suoi rapporti con altre branche del diritto ................................... 9 5. I caratteri generali del diritto amministrativo .............................................................. 13 CAPITOLO 2 LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO ................... 15 4. Fonti normative statali, riserva di legge, principio di legalità ............................................ 15 Le riserve di legge ................................................................................................ 15 Il principio di legalità ............................................................................................ 16 CAPITOLO 3 IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO ................................... 17 11. I principi generali ............................................................................................... 17 CAPITOLO 8 L’ORGANIZZAZIONE ................................................................ 22 1. Nozione, fonti normative e principi generali ................................................................ 22 2. Persone giuridiche, organi e uffici ............................................................................ 24 3. Le amministrazioni pubbliche .................................................................................. 27 CAPITOLO 3 IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO .................................... 30 1. Gli interessi pubblici, le funzioni e l’attività amministrativa ............................................. 30 2. Il potere, il provvedimento, il procedimento ................................................................ 31 3. Il rapporto giuridico amministrativo .......................................................................... 34 4. La norma attributiva del potere ............................................................................... 36 5. Il potere discrezionale .......................................................................................... 39 6. L’interesse legittimo ............................................................................................ 43 7. Gli interessi legittimi oppositivi e pretensivi ................................................................ 47 8. I criteri di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi .......................................... 49 9. Il “diritto” di accesso ai documenti amministrativi ........................................................ 50 10. Interessi di fatto, diffusi e collettivi ........................................................................ 52 CAPITOLO 5 IL PROCEDIMENTO .................................................................. 54 1. Nozione e funzioni del procedimento ......................................................................... 54 2. Le leggi generali sul procedimento e la l. n. 241/1990 .................................................... 57 3. Le fasi del procedimento ....................................................................................... 58 4. a) L'iniziativa ...................................................................................................... 58 5. b) L'istruttoria .................................................................................................... 60 6. c) La conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi ....................................................... 62 CAPITOLO 4 IL PROVVEDIMENTO ................................................................ 66 1. Premessa .......................................................................................................... 66 2. Il regime del provvedimento ................................................................................... 66 3. Gli elementi strutturali dell’atto amministrativo. L’obbligo di motivazione ........................... 69 4. I provvedimenti ordinatori ...................................................................................... 72 8. Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva. La segnalazione certificata di inizio attività ......................................................................................................... 74 9. Le autorizzazioni e le concessioni ............................................................................. 76 10. Gli atti dichiarativi ............................................................................................. 79 11. Altre classificazioni: atti collettivi, atti plurimi, atti di alta amministrazione, atti collegiali ..... 80 12. L’invalidità dell’atto amministrativo ........................................................................ 81 13. L’annullabilità ................................................................................................... 84 14. a) L’incompetenza .............................................................................................. 85 15. b) La violazione di legge ....................................................................................... 86 16. c) L’eccesso di potere ......................................................................................... 88 17. La nullità ......................................................................................................... 91 1 CAPITOLO 1 IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI – INTRODUZIONE 1. PREMESSA Il diritto amministrativo può essere definito come quella parte del diritto pubblico interno che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione. Esso in particolare riguarda i rapporti che quest’ultima instaura con i soggetti privati nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dalla legge, per la cura di interessi della collettività. Una delle prime definizione fu data da Vittorio Emanuele Orlando nei “Principi di diritto amministrativo”, che la definì come “il sistema di quei principi giuridici che regolano l’attività dello Stato per il raggiungimento dei suoi fini”. Il diritto amministrativo si compone di un corpo di regole e di principi che si è andato formando nell’Europa continentale nel corso del XIX secolo in parallelo all’evoluzione dello Stato di diritto: si tratta dunque di un diritto recente. Il diritto pubblico si ricollega infatti culturalmente al dibattito politico e filosofico del ‘700 sul fondamento e sulla legittimità del potere del sovrano. Assunse poi la consistenza di una branca sviluppata del diritto quando giunse a maturazione lo Stato costituzionale di diritto, a partire dalla Rivoluzione francese; infatti, le costituzioni liberali ottocentesche posero le basi normative sulle quali la dottrina, soprattutto tedesca, elaborò i concetti fondamentali del diritto pubblico. 2. MODELLI DI STATO E NASCITA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO: 2.1. STATO AMMINISTRATIVO Fin dall’antichità i grandi imperi si dotarono di strutture burocratiche stabili senza le quali nessun sovrano sarebbe stato in grado di esercitare il proprio potere e di dominare territori talora assai estesi. Per comprendere il fenomeno amministrativo nella realtà contemporanea, si parte dalla formazione degli stati nazionali in Europa a partire dal XVI secolo e dal graduale superamento dell'ordinamento feudale. Considerando come paradigmatico il caso francese, la nascita dello stato moderno, con l'unificazione del potere politico in capo al re (Stato assoluto), andò di pari passo proprio con la formazione di apparati amministrativi stabili, al centro e in periferia, posti alle dirette dipendenze del sovrano (intendenti del re). Nell’esperienza francese lo stato assoluto si connotava già come stato amministrativo. Nel corso del XVIII secolo lo Stato assoluto assunse i caratteri dell’assolutismo illuminato, emerse così lo stato di polizia che curava la convivenza ordinata e il benessere della collettività. L'espansione dei compiti dello stato e l'attribuzione di poteri amministrativi ai funzionari delegati del sovrano e agli apparati burocratici stabili portarono poco a poco all'emersione della funzione amministrativa come funzione autonoma, non più inglobata in quella giudiziaria (in età medievale soltanto la funzione giudiziaria e quella legislativa assunsero una fisionomia abbastanza definita; soltanto in seguito alla formulazione della teoria della separazione dei poteri, il potere esecutivo acquisì un profilo più autonomo). La Rivoluzione francese del 1789 e le costituzioni liberali approvate nei decenni successivi nell'Europa continentale segnarono la nascita del modello dello stato di diritto (o Stato costituzionale). 2 2.2. STATO DI DIRITTO E STATO A REGIME DI DIRITTO AMMINISTRATIVO Lo stato di diritto è oggi uno dei principi fondanti dell'Unione europea, insieme a quelli della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza. Lo stato di diritto si regge su alcuni elementi strutturali, che costituiscono le precondizioni necessarie per sottoporre gli apparati amministrativi alla signoria della legge e dunque per la stessa nascita di un diritto amministrativo. Questi sono: 1. Lo stato di diritto presuppone il trasferimento della titolarità della sovranità dal rex legibus solutus a un parlamento eletto da un corpo elettorale. 2. Si fonda sul principio della separazione dei poteri, necessaria per rompere il monopolio del potere in capo al sovrano assoluto, secondo la tripartizione dei poteri teorizzata nel XVIII secolo da Montesquieu: ® il potere legislativo al parlamento elettivo, ® il potere esecutivo al re e agli apparati burocratici da esso dipendenti, ® il potere giudiziario a una magistratura indipendente. 3. L'inserimento nelle Costituzioni di riserva di legge, queste escludono (riserva di legge assoluta) o limitano (riserve di legge relativa) anzitutto il potere normativo del governo. Quindi il potere regolamentare dell’esecutivo è ammesso solo nelle materie sottoposte a riserva di legge relativa sempre nel rispetto dei limiti e dei principi stabiliti dalla legge: Il principio di legalità si pone al centro dell'intera costruzione del diritto amministrativo. 4. Per rendere effettive la sottoposizione del potere esecutivo alla legge e la garanzia dei diritti di libertà, lo stato di diritto riconosce al cittadino la possibilità di ottenere la tutela delle proprie ragioni anche nei confronti della pubblica amministrazione innanzi a un giudice imparziale, indipendente del potere esecutivo (XIXs. Conseil d’Etat in Francia e Consiglio di Stato in Italia). Lo stato di diritto sfociò, dunque, nella variante costituita dallo Stato di diritto a regime di diritto amministrativo. 2.3. STATO GUARDIANO NOTTURNO, STATO SOCIALE, STATO IMPRENDITORE, STATO REGOLATORE Nel corso del XIX e del XX secolo si sono succeduti nei vari paesi una pluralità di fasi e di esperienze e ad esse corrispondono altrettanti tipi o modelli di stato. Con la Rivoluzione francese si fecero strada le ideologie di impronta liberista (il “laissez-faire”) tendenti a ridurre al minimo le ingerenze dirette dello Stato nei rapporti economici e sociali. Emerse così il cosiddetto “Stato guardiano notturno” dominante per buona parte del XIX secolo. Lo Stato assunse su di sé principalmente due compiti: • la garanzia dell'ordine pubblico interno; • la difesa del territorio da potenziali nemici esterni; Spettavano dunque alla società civile e al mercato lo svolgimento delle attività economiche e la cura di altri interessi della collettività. Venivano considerati con sfavore le aggregazioni sociali e i corpi intermedi tra Stato e individuo. In questo contesto la presenza di apparati burocratici stabili era ridotta al minimo. La visione liberista e liberale dello stato entrò in crisi, verso la fine del XIX secolo, con l’affermarsi sulla scena politica e istituzionale di nuove ideologie e classi sociali. Sulla scena politica comparivano movimenti e partiti portatori di istanze di redistribuzione e socializzazione della ricchezza nell’interesse delle classi 3 meno abbienti. Queste trasformazioni segnarono il passaggio a un modello di stato detto “stato interventista”, “stato sociale” o “stato del benessere” (welfare state”). A livello centrale, l’amministrazione dello stato si potenziò con la crescita dimensionale e numerica dei ministeri e degli enti deputati a svolgere le nuove funzioni. A livello locale, presero avvio esperimenti di socialismo municipale, cioè di assunzione da parte dei poteri locali di servizi pubblici (es: illuminazione pubblica). La svolta autoritaria, con l'affermarsi del regime fascista in Italia e del regime nazista in Germania, favorì negli anni Trenta una forte espansione della presenza dello stato, un’influenza diretta e indiretta su tutte le principali espressioni della società civile e dell'economia. La crisi economica degli anni Trenta, provocata dal crollo del mercato borsistico nel 1929 richiese interventi di salvataggio da parte dei pubblici poteri. Accrebbe così la presenza diretta dello stato nell'economia e si affermò il modello dello “stato imprenditore”. Interventi sotto forma di ausili e contributi finanziari pubblici, diretti o indiretti. volti a sostenere particolari settori di attività diedero origine alla variante dello “stato finanziatore”. Proliferarono enti pubblici, imprese in mano pubblica, aziende per la gestione diretta di attività economiche. L’influenza delle ideologie collettivistiche, nel secondo dopoguerra, portò all’approvazione di programmi di nazionalizzazione di settori economici strategici (trasporti, sanità, energia elettrica). Emerse così anche nelle democrazie occidentali in forma più o meno accentuata, lo “stato pianificatore”, quest'ultimo si caratterizza per predisposizioni a livello centrale di piani e programmi settoriali, volti a indirizzare risorse pubbliche e private verso obiettivi predeterminati. La presenza diretta o indiretta dello stato nelle attività economiche e sociali determinò una crescita esponenziale della spesa pubblica. Nel lungo periodo ciò provocò una crisi finanziaria dello Stato, questo portò alle riprese di ideologie antistataliste e furono avviate politiche di liberalizzazioni, con la soppressione di regime di monopolio legale e di privatizzazione di molte attività assunte direttamente dai pubblici poteri. Lo “stato imprenditore” si trasformò così via via in uno “stato regolatore”, quest'ultimo rinuncia cioè a dirigere o gestire direttamente attività economiche e sociali e si fa invece carico di predisporre soltanto la cornice di regole e gli strumenti di controllo necessari affinché l'attività dei privati, non vada a ledere gli interessi pubblici rilevanti. Il modello dello stato regolatore con varianti più o meno estreme ha costituito il paradigma di riferimento dell'ultimo trentennio. Tuttavia, la crisi finanziaria e la recessione economica del 2008 hanno messo in luce le carenze strutturali delle concezioni economiche sottostanti a tale modello. Di fronte a tale crisi, per evitare il crollo del sistema finanziario internazionale, sono state attuate misure di intervento pubblico diretto e indiretto con la mobilitazione di tantissime risorse pubbliche. Si è parlato, a questo riguardo, della rinascita dello stato interventista. È emersa anche la consapevolezza che i processi di globalizzazione economica vanno governati con istituzioni e meccanismi di regolazione anch’essi globali. La necessità di rafforzare la presenza attiva dello Stato è emersa con particolare evidenza in occasione della pandemia da COVID-19 esplosa a livello globale nel 2020. Gli Stati hanno varato misure eccezionali volte a incidere sulle libertà personali e a mobilitare risorse, strumenti per contenere la diffusione del virus, ecc.; hanno cioè esercitato un'azione a tutto campo assumendo su di sé la responsabilità diretta di contrasto alla pandemia e ai suoi effetti economici e sociali, assumendo il ruolo di “garanti di ultima istanza” di fronte ha un'emergenza che ha colpito l'intera comunità. 6 A partire dagli anni Novanta anche in Italia lo Stato imprenditore entrò in crisi dati i suoi costi sempre meno sostenibili in una fase di squilibrio della finanza pubblica. Vennero così avviati processi di liberalizzazione e di privatizzazione, si affermò così una concezione dello stato che favorisce processi di decentramento e valorizza le autonomie territoriali e funzionali, in particolare le regioni e gli enti locali acquisirono nuove funzioni e spazi di autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria e fu operata una riforma dei ministeri. Furono anzitutto soppressi il ministero delle Partecipazioni statali e alcuni comitati interministeriali. Quasi tutti gli enti pubblici economici furono trasformati in Società per azioni. Si attuò così la c.d. “privatizzazione fredda”, operazione propedeutica alla c.d. privatizzazione “calda”, cioè la dismissione totale o parziale dei pacchetti azionari in mano pubblica. Gli anni ’90 videro anche l’affermarsi di una concezione che favoriva processi di decentramento e valorizzava le autonomie territoriali. In particolare, le regioni e gli enti locali acquisirono nuove funzioni e spazi di autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria e fu operata una riforma dei ministeri (leggi Bassanini). Il processo culminò con la legge costituzionale del 2001 n.3 che ridisegnò l'assetto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni e delle funzioni amministrative dei vari livelli di governo (Stato, regioni, province e comuni) in base al principio della sussidiarietà verticale. Quest'ultimo privilegia nell'allocazione delle funzioni le unità organizzative più vicine ai cittadini destinatari delle attività e dei servizi. Iniziò ad essere visto con favore anche il coinvolgimento di espressioni della società civile nello svolgimento di attività di interesse pubblico, secondo il modello di sussidiarietà orizzontale. Il processo di riforma della pubblica amministrazione sembra comunque un’operazione mai conclusa. Negli ultimi anni si registra anzi un nuovo attivismo legislativo con l’obiettivo di migliorare la funzionalità e accrescere l’efficienza del sistema amministrativo. A fine 2012 è stata approvata la legge anticorruzione (l.n.190/2012) che impone alle amministrazioni l'adozione di misure di prevenzione e obblighi di pubblicità. Un attivismo legislativo si è manifestato da ultimo in relazione all'azione di contrasto alla pandemia attuata attraverso una serie di decreti-legge e di altri atti normativi e con l'approvazione del Piano nazionale di ripresa e e resilienza (PNRR) presentato dall'Italia nell'ambito del programma Next Generation UE. 2.6. CENNI CONCLUSIVI Pur nella varietà dei contesti e con percorsi legati alle specificità di ciascuno stato, lo sviluppo storico del XIX secolo ad oggi è stato caratterizzato da due tipi di fenomeni: un andamento ciclico nell'espansione e nella contrazione del campo di intervento dei pubblici poteri secondo i vari modelli dello Stato via via succedutisi; il consolidarsi degli apparati amministrativi e l'emergere, anche nei Paesi di common law di un diritto speciale per le pubbliche amministrazioni. Il diritto amministrativo cerca di conciliare l'esigenza di curare molteplici interessi della collettività (interessi pubblici) con quella di garantire al massimo grado le libertà dei singoli. 3. DIRITTO AMMINISTRATIVO E SCIENZE SOCIALI: LA SCIENZA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 3.1. PREMESSA Oggetto del diritto amministrativo sono l'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione e i principi speciali che le regolano. Qualsiasi branca del diritto presuppone infatti una percezione esatta degli oggetti ai quali si riferisce, cioè dei fatti e degli interessi che stanno alla base delle regole da porre (de jure condendo) e successivamente da applicare e interpretare (de jure condictio). 7 Da qui la necessità di tener conto dei metodi e dei contributi di una pluralità di discipline non giuridiche che prendono in considerazione anche la pubblica amministrazione e gli strumenti di intervento dio cui essa dispone per la cura di interessi economici e sociali della collettività. 3.2. LA SOCIOLOGIA La sociologia analizza le relazioni fattuali di potere interne ed esterne agli apparati burocratici e la varietà dei bisogni e degli interessi della collettività di cui essi si fanno carico. Il potere è un fenomeno sociale prima ancora che giuridico, va ricordata l'analisi di Max Weber dei tipi storici di potere, definito come la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini. Il potere si presta a essere classificato in base a tre criteri di legittimazione: il potere tradizionalmente fondato sul carattere sacro delle tradizioni; il potere carismatico fondato sulla forza eroica o sul valore esemplare di una persona; il potere razionale fondato sulla legalità di ordinamenti statuiti. La sociologia studia anche la struttura degli apparati burocratici e del personale che in essi opera. 3.3. LE SCIENZE POLITICHE ED ECONOMICHE. FALLIMENTI DEL MERCATO E “REGULATION” Le scienze politiche analizzano il ruolo degli apparati burocratici all'interno del circuito politico rappresentativo, cioè come strumenti per realizzare le politiche pubbliche decise dal parlamento e inquadrare i rapporti tra classe politica, burocrazie e potere economico. Esse mettono in evidenza come la burocrazia non sia in realtà un attore neutrale nei processi decisionali, ma assume spesso un ruolo attivo di elaborazione e di condizionamento delle politiche governative. Le scienze politiche ed economiche analizzano le situazioni nelle quali è giustificato l'intervento dei pubblici poteri sotto forma di regolazione. Nel mondo anglosassone ha avuto impulso la teoria della regolazione pubblica (o regulation), che analizza le ragioni e le modalità di intervento dei poteri pubblici in campo sociale ed economico. Si distinguono generalmente due modelli di regolazione pubblica, la prima indirizzata a promuovere scopi sociali (social regulation), come la tutela della salute o le provvidenze; la seconda indirizzata a massimizzare l'efficienza economica e il benessere dei consumatori (economic regulation). I principali casi di fallimento del mercato che giustificano l'intervento dei poteri pubblici sono: 1. i monopoli naturali, come le infrastrutture (reti di trasporto ferroviarie, porti, aeroporti); 2. i c.d. beni pubblici, come la difesa esterna o l'ordine pubblico, dei quali beneficia l'intera collettività; le esternalità negative dovute per esempio a produzioni industriali inquinanti i cui benefici vanno a vantaggio delle imprese, ma i cui costi gravano sull'intera collettività; 3. le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni e servizi circa le caratteristiche qualitative essenziali di questi ultimi; 3. le esigenze di coordinamento per esempio relative al sistema dei pesi e misure o al traffico stradale che richiedono la fissazione di standard uniformi. Misure correttive e il prinicipio di proporzionalità à Le misure autoritative necessarie per prevenire e correggere i fallimenti del mercato (command and control) si prestano a essere classificate secondo il criterio che muove dalla maggiore alla minore intrusività rispetto alla dinamica del mercato. Il principio che dovrebbe guidare il regolatore nella scelta degli strumenti correttivi è quello secondo il quale vanno preferiti, tra gli strumenti astrattamente idonei a tutelare l'interesse pubblico, quelli meno restrittivi della libertà d'impresa. 8 3.4. CENNI AGLI INDIRIZZI DELLA “PUBLIC CHOICE” E AL MODELLO “PRINCIPAL-AGENT” Nell'ambito delle scienze economiche va menzionato l'indirizzo della public choice affermatosi negli Stati Uniti, per spiegare il funzionamento effettivo degli apparati pubblici è errato muovere dall’ipotesi che gli apparati pubblici agiscano sempre e necessariamente per il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, bisogna invece considerare che anche il loro comportamento è animato, al pari degli attori privati, da self-interest (potere,reputazione ecc). Gli apparati pubblici agiscono cioè come attori in un'arena pubblica nella quale le decisioni sono il frutto di scambi e di negoziazioni tra vari gruppi politici e sociali e i rappresentanti degli interessi organizzati che mimano in qualche modo il mercato. Anche gli apparati amministrativi al pari degli agenti politici (parlamento e governo) tendono a essere influenzati nelle loro decisioni da interessi soprattutto economici (lobby) deviando così dalla loro missione di cura dell'interesse pubblico generale. Da qui la necessità di un disegno istituzionale atto a prevenire o, quanto meno, a limitare questo rischio. Dal punto di vista macroeconomico, lo Stato nelle sue varie articolazioni può essere considerato come un meccanismo di gestione e redistribuzione delle risorse alternativo al mercato. La microeconomia elabora a sua volta una serie di strumenti concettuali utili per inquadrare il fenomeno burocratico. In particolare, la teoria del principal-agent (principale-agente o delegante- delegato) studia i meccanismi e gli incentivi per far si che l'attività dell'agente, delegato dal principale a compiere una certa attività, venga posta in essere nell'interesse di quest'ultimo e non venga piegata all'interesse egoistico dell'agente. Anche gli apparati burocratici possono essere considerati come agenti del parlamento che attribuisce ad essi, per legge, funzioni e risorse per la cura di interessi pubblici. 3.6. LA SCIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE La scienza dell'amministrazione ha una tradizione che risale al XIX secolo, in Italia, essa si ricollega agli studi di finanza pubblica, ma non ha mai assunto in realtà uno statuto ben definito all'interno delle scienze non giuridiche che studiano la pubblica amministrazione. I principi riuniti sotto il titolo di questa scienza non costituiscono un ramo autonomo di coscienza. 3.7. LA SCIENZA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO Le discipline non giuridiche mirano a ricostruire la sostanza dei fenomeni e degli interessi, alla scienza giuridica spettano alcuni compiti specifici. I fenomeni, infatti, devono essere colti nella loro dimensione giuridica, devono cioè essere inquadrati nel contesto delle norme vigenti (diritto positivo). Spetta dunque al giurista il compito di procedere a una ricognizione delle fonti normative che disciplinano una determinata materia, poi il materiale normativo deve essere riordinato e organizzato in modo sistematico tramite l’elaborazione di categorie e concetti giuridici. L'applicazione rigorosa del metodo giuridico al diritto amministrativo risale in Italia alla fine del XIX secolo, Vittorio Emanuele Orlando pose le basi della scienza del diritto pubblico all'interno del quale si colloca anche il diritto amministrativo. In questa prima fase il diritto amministrativo concentrò la propria attenzione sull'attività amministrativa. Venne elaborata la teoria dell’atto amministrativo come espressione del potere unilaterale attribuito dalla legge agli apparati pubblici; con l'evolversi dei rapporti politici e sociali e con l'espandersi della legislazione 11 4.3. IL DIRITTO PRIVATO I nessi tra diritto amministrativo e diritto privato possono essere ricondotti a tre preposizioni principali: 1. il diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato; 2. non esaurisce tutta la disciplina dell'attività e dell'organizzazione della pubblica amministrazione che attinge sempre più a moduli privatistici; 3. ha una capacità espansiva in quanto si applica a certe condizioni, anche a soggetti privati. L'autonomia del diritto amministrativo à L'autonomia del diritto amministrativo dal diritto privato emerge indirettamente da un istituto disciplinato dalla legge n.241/1990 e cioè dagli accordi stipulati tra amministrazione e soggetti privati e che disciplinano l'esercizio dei poteri discrezionali. L’amministrazione può, infatti, concludere con gli interessati di un provvedimento accordi al fine di determinare il miglior assetto degli interessi da incorporare nel provvedimento finale. Quel che rileva è che a questo tipo di accordi di natura pubblicistica si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del Codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Il diritto amministrativo è un diritto in sé completo e autosufficiente. Esso può attingere talora al diritto privato, ma in modo indiretto e selettivo: • indiretto perché il rinvio è operato non già alle disposizioni del Codice civile, bensì ai principi da esse desumibili in via di interpretazione; • selettivo, perché anche l'applicazione dei principi così ricavati non è automatica, in quanto è subordinata a un giudizio di compatibilità con i principi del diritto amministrativo che dunque prevalgono su quel del diritto civile. Inoltre, l’applicazione del diritto privato può essere escluso da norme speciali. Il diritto amministrativo e il diritto privato non si pongono dunque in un rapporto di regola-eccezione, essi si collocano invece in una relazione di autonomia reciproca. Negli ordinamenti anglosassoni, invece, nei quali il diritto amministrativo ha avuto uno sviluppo più recente ed è meno completo, esso si pone rispetto alla common law in termini di deroga o eccezione, piuttosto che di autonomia. Per tradizione la nascita del diritto amministrativo come disciplina autonoma si fa risalire in Francia al celebre arrêt Blanco del 1873. La specialità del diritto amministrativo si giustifica per la necessità di curare l’interesse generale attraverso un opportuno bilanciamento degli interessi in gioco. L'autonomia del diritto amministrativo sostanziale trova un parallelo nell'autonomia del diritto amministrativo processuale rispetto al diritto processuale civile. I moduli privatistici dell'attività e dell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni à L'attività delle pubbliche amministrazioni è regolata in parte da leggi amministrative e in parte dal diritto privato. Le pubbliche amministrazioni sono dotate anzitutto di soggettività piena nell’ordinamento giuridico. Esse godono, al pari delle persone giuridiche private, di una capacità giuridica generale, quest’ultima intesa come l’attitudine ad assumere la titolarità dei diritti e obblighi in conformità alle norme del Codice civile e delle leggi speciali. L'art. 1,1-bis, 241/1990 enuncia il principio secondo il quale la pubblica amministrazione “nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge non disponga diversamente”. Il solo limite generale che sussiste per esse è costituito dal fatto che la capacità giuridica generale è 12 attribuita alle pubbliche amministrazioni per realizzare le finalità di interesse pubblico affidata a loro (no contratti aleatori). La capacità generale di diritto privato delle P.A. viene integrata da una sorta di capacità speciale, attraverso l’attribuzione per legge di poteri amministrativi necessari per la cura di interessi pubblici. L'esercizio di poteri amministrativi si sostanzia nell'adozione di atti aventi natura autoritativa, caratterizzati dall'unilateralità nella produzione degli effetti e sottoposti al principio di legalità e agli altri principi del diritto amministrativo. L'amministrazione è tenuta a curare l'interesse pubblico affidatole privilegiando l'esercizio dei poteri amministrativi ad essa conferiti piuttosto che far uso della capacità generale di diritto privato. Così in materia di contratti della pubblica amministrazione per la fornitura di beni e servizi e per l'esecuzione di lavori, convivono regole pubblicistiche e regole privatistiche. Le prime riguardano sopratutto la formazione della volontà della pubblica amministrazione, finalizzate a garantire la trasparenza; le regole privatistiche riguardano la fase dell'esecuzione degli obblighi contrattuali assunti. La capacità di diritto privato ha consentito alle pubbliche amministrazioni di ricorrere con frequenza al modello della società di capitali in tutto o in parte a capitale pubblico per l'esercizio di servizi pubblici. Alcune leggi settoriali hanno però previsto deroghe molto ampie alla disciplina del Codice civile, dando origine al fenomeno delle società di diritto speciale, per le quali valgono anche regole pubblicistiche (RAI). Il diritto privato penetra anche all'interno dell'organizzazione pubblica sotto più profili. In primo luogo, non tutta l'organizzazione delle pubbliche amministrazioni è disciplinata da fonti giuridiche pubblicistiche e dai principi del diritto pubblico, in quanto si opera una distinzione tra macro-organizzazione e micro-organizzazione. a) La “macro-organizzazione”, cioè le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l'individuazione degli uffici di maggiore rilevanza, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e le dotazioni organiche, è definita con atti organizzativi di tipo pubblicistico adottati da ciascun ente secondo il proprio ordinamento. b) La “micro-organizzazione”, invece, riguardante l'articolazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, è determinata dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, cioè con atti organizzativi di diritto privato. Il pubblico impiego privatizzato à In secondo luogo, il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, in precedenza sottoposto a un regime pubblicistico è stato ricondotto in gran parte al diritto comune. Di regola si applica il diritto comune, salvo le eccezioni previste dalla disciplina speciale contenuta nello stesso decreto legislativo o in altre leggi amministrative. La tendenza espansiva del diritto amministrativo à In presenza di determinate condizioni, anche soggetti formalmente privati sono sottoposti almeno in parte, a un regime di diritto amministrativo. Ciò accade, in particolare, per soggetti privati che sono qualificati come organismi di diritto pubblico o imprese pubbliche. Alcuni atti di soggetti privati hanno dunque natura di provvedimenti e sono sottoposti al controllo giurisdizionale da parte del giudice amministrativo. Il Codice del processo amministrativo, nel definire l’ambito della giurisdizione amministrativa, infatti, fa riferimento ai “soggetti equiparati” alle pubbliche amministrazioni o a quelli “comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo”. Anche la normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi ha un campo di applicazione che va al di là delle amministrazioni pubbliche in senso stretto. 13 L'art.22,1, 241/ 1990, infatti, include nella definizione di pubblica amministrazione i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, i quali sono tenuti a rispettare gli obblighi in materia di trasparenza. Infine, la costituzione di società per azioni da parte di soggetti pubblici regolate in linea di principio dal diritto privato non comporta sempre e necessariamente che esse siano qualificabili come persone giuridiche private, e in considerazione della rilevanza pubblicistica della loro attività, attribuisce ad alcune società in mano pubblica la natura giuridica di enti pubblici (Poste spa, ENEL spa). In ogni caso la privatizzazione formale di molti enti pubblici, cioè la loro trasformazione in società di diritto privato (privatizzazione “fredda”), se non è accompagnata da una privatizzazione sostanziale, attraverso la dismissione del controllo azionario da parte dello stato o di enti pubblici (privatizzazione “calda”), non altera la sostanza pubblicistica delle società, con la conseguente applicazione di regole pubblicistiche. Va segnalato per completezza che anche il diritto privato in qualche caso incorpora principi propri del diritto amministrativo: nel diritto societario le società facenti parte di un gruppo possono assumere decisioni influenzate dall’attività di direzione e coordinamento della società capogruppo anche sacrificando l’interessa della società a favore di quello del gruppo; tuttavia, le decisioni di questo tipo, al pari degli atti amministrativi, devono essere analiticamente motivate. In conclusione, il diritto amministrativo non costituisce oggi né l’unico diritto applicabile alle pubbliche amministrazioni, né un diritto applicabile solo ad esse. 4.4. IL DIRITTO PENALE Il diritto amministrativo ha numerose connessioni con il diritto penale. In primo luogo, il codice penale dedica l’intero Titolo II del Libro II ai delitti contro la pubblica amministrazione distinguendo i reati commessi dai pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblici servizi e i reati commessi dai privati contro la pubblica amministrazione. Il codice penale contiene anche le definizioni di pubblico ufficiale preposto a una pubblica funzione e di incaricato di pubblico servizio ai fini dell’applicazione delle norme penali. Da tali elementi si possono ricostruire le nozioni generali del diritto amministrativo. In secondo luogo, il diritto penale rafforza l’effettività di molte discipline amministrative di settore punendo comportamenti di singoli individui o di imprese che ne violino i precetti. In terzo luogo, in seguito ad alcune pronunce delle corti europee, la distinzione tra sanzioni amministrative e sanzioni penali ai fini dell’applicabilità del principio del contraddittorio e del principio del ne bis in idem è sempre più incerta. 5. I CARATTERI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 5.1. LA NATURA GIURISPRUDENZIALE DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO Conviene dar conto di alcuni caratteri generali del diritto amministrativo e delle principali partizioni della materia. La nascita del diritto amministrativo in Francia e in Italia è legata all'istituzione di un giudice speciale per le controversie tra cittadino e pubblica amministrazione. Ciò spiega un suo primo tratto distintivo, vale a dire di essere un diritto avente natura giurisprudenziale. In Francia la giustizia amministrativa si sviluppò, senza soluzione di continuità, dal sistema del contenzioso amministrativo all'istituzione di un giudice speciale. Il contenzioso amministrativo era dato da quel complesso di ricorsi e rimedi amministrativi interni al potere esecutivo. Nel 1872 al Conseil d'Etat venne attribuita in via permanente la funzione di giudice del contenzioso 16 IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ Il principio di legalità costituisce uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo, è richiamato dall'art. 1 l. n. 241/1990 secondo il quale l'attività amministrativa persegue fini determinati dalla legge. Tale principio si ricava indirettamente sia da disposizioni Costituzionali, in particolare dall’art.113 che presuppone che il giudice trovi nella legge un parametro oggettivo rispetto al quale sindacare gli atti impugnati, sia dai Trattati europei – definito come principio comune a tutti gli Stati membri. Il principio di legalità assolve una duplice funzione: 1. di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità-garanzia); 2. di indirizzo – di ancoraggio dell’azione amministrativa al principio democratico – nel senso che la legge espressione della sovranità popolare, funge da fattore di legittimazione e da guida dell'attività amministrativa (legalità-indirizzo). Il principio di legalità può essere inteso in due accezioni: 1) In un primo senso, esso coincide con il principio della preferenza della legge: gli atti emanati dalla P.A. non possono porsi in contrasto con la legge. La legge costituisce cioè un limite negativo all'attività dei poteri pubblici che, ove travalicato, determina l'illegittimità degli atti emanati. Il principio di preferenza della legge risale alla prima fase dello Stato di diritto, quando le costituzioni liberali ottocentesche erano improntate a una concezione dualistica della sovranità, il re – principio dinastico – e il parlamento – principio democratico. à In questo modello il potere del re godeva di una propria legittimazione, ma non poteva porsi in contrasto con le leggi. 2) In un secondo senso, il principio di legalità richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge. Quest'ultima costituisce il fondamento esclusivo (limite positivo) dei poteri dell'amministrazione: essa deve attribuire in modo espresso alla pubblica amministrazione la titolarità del potere disciplinandone modalità e contenuti. Questa concezione emerse man mano che si affermò la concezione monistica della sovranità che, secondo l’art. 1 Cost., appartiene al popolo. La P.A., dunque, non ha legittimazione propria, ma i poteri da essa esercitati devono trovare un ancoraggio nel circuito politico-rappresentativo, cioè nella legge (votata da un parlamento elettivo). Il principio di legalità inteso nel secondo senso ha a sua volta una duplice dimensione: 2.1) la legalità formale; per soddisfare la prima è sufficiente la semplice indicazione nella legge (“norma in bianco”) dell'apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo secondario o amministrativo che risulta dunque indeterminato nei suoi contenuti; 2.2) la legalità sostanziale; la seconda esige che la legge ponga, sia pur in termini generali, una disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i presupposti per l'esercizio, le modalità procedurali e le altre sue caratteristiche essenziali. Questa seconda concezione appare più rispondente alla Costituzione e a una visione più evoluta dello Stato di diritto, perché l’effettività della tutela giurisdizionale contro gli atti dell’amministrazione presuppone che il giudice disponga di parametri legislativi che vadano al di là della mera attribuzione di un potere indeterminato nei suoi elementi essenziali. Anche la Corte costituzionale fa leva sul principio di legalità inteso in senso sostanziale. Secondo questa “non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e 17 nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa” (sentenza n.115/2015). La riserva di legge relativa e il principio di legalità inteso in senso sostanziale hanno alcuni elementi in comune poiché assolvono all'analoga funzione garantistica di delimitare il potere esecutivo. La riserva di legge relativa concorre a definire i rapporti interni al sistema delle fonti normative: stabilisce condizioni e limiti al potere regolamentare del governo ed esige che la legge disciplini almeno in parte la materia. Anche il principio di legalità prescrive che il potere dell’amministrazione trovi un fondamento nella legge e qui vi è una sovrapposizione con il principio della riserva di legge relativa. Tuttavia, il principio di legalità si riferisce soprattutto ai poteri e ai provvedimenti amministrativi puntuali. Esso postula che il fondamento dei provvedimenti amministrativi sia costituito anzitutto da norme di rango primario, ma per essere legittimo l'atto amministrativo deve essere conforme anche alle norme secondarie. Infine, i parametri che integrano il principio di legalità sono costituiti anche dai principi generali del diritto amministrativo elaborati via via dalla giurisprudenza amministrativa. CAPITOLO 3 IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO 11. I PRINCIPI GENERALI Vanno distinti, da un lato, i principi che presiedono all'attribuzione e alla disciplina delle funzioni che sono rivolti essenzialmente al legislatore (statale e regionale); dall'altro, i principi che hanno come destinatarie le amministrazioni. Questi ultimi possono essere riferiti, con una scomposizione analitica, alle funzioni, all'attività amministrativa, all'esercizio del potere discrezionale, al provvedimento, al procedimento. In questa parte verranno trattati soltanto i principi correlati al rapporto giuridico amministrativo. 11.1. I PRINCIPI SULLE FUNZIONI Il principio fondamentale che presiede all'allocazione delle funzioni è il principio di sussidiarietà, menzionato nei Trattati europei e, in seguito alla legge costituzionale n. 3/2001, nella Costituzione. In particolare, l'art. 5 TUE enuncia il principio di sussidiarietà verticale con riguardo ai rapporti tra Stati membri e istituzioni dell'Unione. Da esso deriva anzitutto che l'Unione europea agisce esclusivamente nei limiti delle competenze assegnate (tassatività delle competenze) e che, per contro, gli Stati membri sono titolari della generalità delle competenze residue. Inoltre, le competenze attribuite all'Unione europea devono essere soltanto quelle necessarie per conseguire gli scopi dell'Unione che non possono essere conseguiti meglio dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello locale. L'art. 5 menziona anche il principio di proporzionalità in base al quale il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione non devono eccedere quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di proporzionalità con le modalità stabilite in un Protocollo allegato al Trattato che prevede un coinvolgimento preventivo degli Stati membri nella fase preparatoria degli atti normativi europei. 18 Nel diritto interno l'art. 118 Cost richiama i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che vanno a integrare e a rafforzare il principio autonomistico posto dall'art.5. L'art 118 Cost. prevede che la generalità delle funzioni sia attribuita al livello di governo più vicino al cittadino e cioè al comune. Sole le funzioni delle quali è necessario assicurare un esercizio unitario che supera la dimensione territoriale dei comuni possono essere attribuite ai livelli di governo via via più elevati e cioè alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato. Le funzioni amministrative vanno dunque allocate tra gli enti territoriali secondo il criterio della dimensione degli interessi (locale, regionale o nazionale). Da qui l’espressione SUSSIDIARIETA’ VERTICALE. La l. n. 59/1997 definisce meglio il principio di adeguatezza, che si riferisce «all'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente (le funzioni)» e il principio di differenziazione, che mira a tener conto «delle “diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi”». Questi due principi sono volti a salvaguardare la specificità di oltre 8.000 comuni e a sollecitare l’attivazione di forme di collaborazione tra enti territoriali per l’esercizio in forma associata di tali funzioni. La Costituzione richiama anche la sussidiarietà c.d. ORIZZONTALE che attiene ai rapporti tra poteri pubblici e società civile. L'art. 118 Cost. stabilisce, infatti che lo Stato e gli enti territoriali “favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa disposizione ha il valore simbolico, da un lato, di escludere che i poteri pubblici detengono il monopolio nella cura degli interessi della collettività, e dall'altro, di valorizzare le forme di auto- organizzazione della società civile. Anche il principio di proporzionalità è enunciato in varie disposizioni legislative europee recepite nel diritto internazionale. I principi in questione, essendo rivolti al legislatore, sono soprattutto principi e criteri di policy da far valere nelle sedi politiche, più che principi giuridici che fondano pretese azionabili in sede giurisdizionale. 11.2. I PRINCIPI SULL'ATTIVITÀ L'art. 1 della LPA dispone che “l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza nonché dai principi dell'ordinamento comunitario”. à Tali criteri, sebbene riferiti testualmente all'attività, possono valere in realtà anche per l'atto e il procedimento amministrativo. Poiché, l'attività amministrativa riguarda in modo unitario il complesso delle operazioni, comportamenti e atti posti in essere da un apparato amministrativo, anche l’applicazione dei criteri enunciati dall’art 1 consente di formulare un giudizio globale sull’operato dell’amministrazione (tale giudizio verte sia sulla conformità dell’operato dell’amministrazione alla “missione” affidatagli, sia sui risultati ottenuti). A tal proposito di recente è stata di recente elaborata la nozione di “amministrazione di risultato” che si correla a quella più tradizionale di buon andamento cui fa riferimento l'art. 97 Cost. L'amministrazione di risultato pone in primo piano il concetto di buon andamento, introducendo criteri di valutazione delle performance degli apparati amministrativi di tipo aziendalistico. Di recente, il legislatore, nel contesto di una riforma volta a promuovere l'efficienza della pubblica 21 Tale principio ha come destinatario anzitutto il legislatore, ma implica che anche l'agire dell'amministrazione deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. Il principio di precauzione, espressamente riconosciuto in materia ambientale nel TFUE ed elevato dalla giurisprudenza comunitaria a principio di carattere generale applicabile nei cambi di azione che involgono interessi pubblici come la salute e la sicurezza dei consumatori. Il principio di precauzione comporta che, quando sussistono incertezze giuridiche in ordine all'esistenza o al livello di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. 11.4. I PRINCIPI SUL PROVVEDIMENTO I principi che si riferiscono specificamente al provvedimento amministrativo, in aggiunta al principio di legalità, sono essenzialmente il principio della motivazione e il principio di sindacabilità degli atti. Il primo è desumibile dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea laddove sancisce “l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni”. Il principio della motivazione può essere messo in relazione con il principio di trasparenza e, in ultima analisi con quello dell'imparzialità della decisione. Il principio di sindacabilità degli atti amministrativi è sancito dagli artt. 24 e 113 Cost.: gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre assoggettati al controllo giurisidizionale del giudice ordinario o del giudice amministrativo. 11.5. I PRINCIPI SUL PROCEDIMENTO I principi relativi alle modalità di esercizio del potere amministrativo, cioè al procedimento amministrativo, sono il principio del contraddittorio e il principio di pubblicità e trasparenza. Il principio del contraddittorio è richiamato nella Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea seconda la quale ogni individuo ha diritto “di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. La stessa Corte di giustizia qualifica tale principio come “principio di diritto amministrativo ammesso in tutti gli Stati membri della comunità e che risponde alle esigenze della giustizia e della sana amministrazione”. Talora, a proposito del diritto dei privati di esporre le proprie ragioni prima che venga emanato un provvedimento limitativo di diritti, si fa riferimento al principio del giusto procedimento. Anche il principio di pubblicità e di trasparenza è enunciato nella Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea, secondo la quale ogni individuo ha diritto “di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale”. Viene altresì stabilito che le istituzioni, gli organi e organismi dell'unione si basano su “un'amministrazione europea aperta” ispirandosi così al principio dell'open governament in base al quale le determinazioni assunte devono essere rese accessibili a chi vi ha interesse. Il principio in questione rileva in due ambiti. 1. Il primo, più ampio, si riferisce alla messa a disposizione della generalità degli interessati, con modalità di pubblicazione predeterminate da parte dell'amministrazione, di una serie di informazioni riguardanti l'organizzazione e l'attività dell'amministrazione stessa. La recente normativa anticorruzione ha accresciuto gli obblighi di pubblicità di una serie di informazioni relative ai dati patrimoniali di chi ricopre cariche elettive e incarichi in enti pubblici e società pubbliche. 2. Il secondo ambito, più specifico, si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi che, come si è già visto la l. n. 241/1990 definisce come “principio generale dell'attività amministrativa 22 al fine di favorire partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”. La pubblicità e la trasparenza divenendo così un fattore volto a promuovere la verificabilità ex post e dunque, in definitiva, l'imparzialità delle decisioni. Un altro principio è costituito dal principio di certezza del tempo dell'agire amministrativo e di celerità. La Carta europea dei diritti fondamentali attribuisce a ogni individuo anche il diritto a “che le questioni che lo riguardano siano trattate entro un termine ragionevole”. La l. n. 241/1990 lo rende concreto nella disciplina volta a individuare per ciascun tipo di procedimento un termine massimo entro il quale l'amministrazione deve emanare il provvedimento finale che conclude il procedimento amministrativo. La durata ragionevole del procedimento e il rispetto dei termini massimi perseguono due obiettivi: 1) in primo luogo, tutelano gli interessi dei soggetti coinvolti, 2) in secondo luogo, tendono a promuovere l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa. Infine, la l. n. 241/1990 richiama il principio di efficienza, prevedendo, che l'amministrazione “non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria” (art.1, c.2). CAPITOLO 8 L’ORGANIZZAZIONE 1. NOZIONE, FONTI NORMATIVE E PRINCIPI GENERALI L'organizzazione può essere definita come una unità di persone, strutturata e gestita su base continuativa allo scopo di perseguire scopi comuni che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente. Il moderno Stato di diritto presuppone almeno due elementi: un sistema di regole oggettive precostituite e l’istituzione di apparati burocratici stabili, ordinati in modo gerarchico, con un’attribuzione precisa di competenze ai singoli uffici. à A questi ultimi sono assegnati funzionari di carriera dotati di qualificazioni specializzate. Il diritto pubblico per lungo tempo ignorò i fatti organizzativi e in particolare le articolazioni interne dello Stato. Limitò invece la propria attenzione ai provvedimenti formali e alla loro incidenza nella sfera giuridica dei loro destinatari. Lo studio dell’organizzazione rientrava tra i compiti della scienza dell’amministrazione. Il fenomeno organizzativo iniziò a destare interesse nella fase in cui si ruppe la struttura monolitica dello Stato e si affermò il pluralismo dei livelli di governo e degli apparati pubblici con la conseguente necessità di inquadrare giuridicamente le relazioni tra essi. L'organizzazione pubblica intesa come fenomeno giuridico, è disciplinata nel nostro ordinamento da una pluralità di fonti che, nel loro complesso, regolano la struttura degli apparati amministrativi in modo molto minuzioso. L'organizzazione delle pubbliche amministrazioni è menzionata già nella Costituzione che enuncia alcuni tipi generali: il principio del buon andamento e di imparzialità (art. 97) e il principio autonomistico (art. 5). 23 Individua poi i livelli di governo chiarendo che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (art. 114); prevede in particolare come articolazioni fondamentali dello Stato i ministeri; disciplina l’organizzazione e i poteri di regioni, province e comuni (intero Titolo V). La Costituzione stabilisce ancora in termini generali che nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. L'organizzazione può essere disciplinata anzitutto con regolamenti governativi. Inoltre, le amministrazioni pubbliche, mediante atti organizzativi emanati secondo i rispettivi ordinamenti (statuti, regolamenti di organizzazione) individuano le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, nonché gli uffici di maggiore rilevanza e determinano le dotazioni organiche complessive. A livello statale, in particolare l'organizzazione dei ministeri è disciplinata - in parte dal d.lgs. n. 300/1999 che elenca i ministeri, individua le strutture di primo livello (dipartimenti, direzioni generali), disciplina le agenzie, stabilisce le attribuzioni dei singoli ministeri; - in parte da regolamenti di delegificazione che individuano gli uffici di livello dirigenziale centrali e periferici e definiscono la consistenza delle piante organiche; - in parte da decreti ministeriali di natura non regolamentare che definiscono i compiti delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali. A livello substatale gli statuti e le leggi regionali contengono una disciplina dell'organizzazione della regione e degli apparati regionali. A livello di comuni e province spetta allo statuto stabilire le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente, specificando le attribuzioni degli organi inclusi i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente. Per effetto di questo complesso di fonti normative l’organizzazione delle P.A. è disciplinata da una trama molto fitta di norme giuridiche. Dal complesso delle fonti, soprattutto costituzionali e legislative, si possono ricavare alcuni principi generali in materia di organizzazione: 1. Il principio del buon andamento ha risvolti non solo in tema di attività della P.A., ma anche di organizzazione. Questa seconda dimensione emerge in disposizioni legislative come quelle che prevedono il reclutamento del personale in base a concorso (cioè in base al merito) e secondo le esigenze effettive rappresentate nelle piante organiche. 2. Il principio di imparzialità, riferibile all'organizzazione oltre che all’attività, si esprime anzitutto nelle regole volte a far sì che la politica non ingerisca nell’amministrazione e in particolare nel principio organizzativo della distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo proprie dei vertici politici delle amministrazioni e funzioni di gestione riservate ai dirigenti. Sta inoltre alla base dell’obbligo del responsabile del procedimento e dei titolari degli uffici di dichiarare situazioni di conflitto di interessi e pertanto di astenersi dall’esercizio dei propri poteri. 3. Il principio di trasparenza e di pubblicità riferito al procedimento amministrativo. La normativa anticorruzione sviluppa anche una dimensione organizzativa del principio di trasparenza – d.lgs 33/2013 – impone alle P.A. di pubblicare sui propri siti e di aggiornare le informazioni e i dati concernenti la propria organizzazione. La dimensione organizzativa del principio di trasparenza si esprime anche nell’obbligo di istituire all’interno delle P.A. la figura del responsabile della trasparenza, il quale deve monitorare sul rispetto degli obblighi di pubblicazione segnalando le eventuali inadempienze. 26 L'atto formale di investitura o di assegnazione instaura il rapporto di immedesimazione organica tra la persona fisica e l'organo o l'ufficio. La persona fisica viene così incardinata nell'organo o nell'ufficio e la sua attività è direttamente imputabile a questi ultimi e di conseguenza alla persona giuridica. Il rapporto di immedesimazione organica tra persona fisica, organo o ufficio e persona giuridica è un rapporto interno di tipo organizzatorio. La persona fisica è però legata alla persona giuridica anche da un rapporto per così dire esterno, cioè dal cosiddetto rapporto di servizio (o d'impiego). Quest'ultimo è un rapporto giuridico bilaterale che ha per contenuto il complesso dei diritti (compenso, ferie) e degli obblighi assunti dal dipendente nei confronti del datore di lavoro. Il rapporto di servizio è il presupposto affinché il dipendente possa essere poi assegnato a un ufficio e possa così instaurarsi il rapporto di immedesimazione organica. Può darsi tuttavia che il rapporto di servizio sia sorto in seguito a una procedura o a un atto di investitura annullati o dichiarati nulli: si pone il problema di quale sia la sorte degli atti posti in essere dalla persona fisica titolare dell'organo i quali almeno in astratto, dovrebbero essere ritenuti anch'essi invalidi in quanto non riferibili, sia pure ex post all'amministrazione. Per evitare gli inconvenienti di una siffatta eventualità è stata elaborata la figura del funzionario di fatto, cioè di colui che pur in assenza di un'investitura formale esercita di fatto funzioni pubbliche. In base al principio di effettività, unito a una qualche apparenza della legittimità del ruolo assunto agli occhi della collettività, si instaura un rapporto organico di fatto tale da rendere legittimi gli atti adottati. Talora queste situazioni eccezionali vengono poi regolarizzate ex post con atto legislativo. Consideriamo ora la struttura degli apparati pubblici e le relazioni che insorgono tra questi. In primo luogo vanno poste alcune distinzioni relative alla tipologia di organi e uffici. a. Anzitutto gli organi possono essere esterni o interni. 1. Gli organi esterni sono gli strumenti attraverso i quali la persona giuridica opera nei rapporti con altri soggetti dell'ordinamento; 2. gli organi interni – o uffici – pur non ponendo in essere atti direttamente rilevanti nei rapporti esterni, svolgono attività giuridiche propedeutiche alla formazione della volontà dell'amministrazione formalizzate in un atto emanato dall'organo esterno (es: parere dell’ufficio tecnico). b. In secondo luogo gli organi e uffici possono essere necessari o non necessari, a seconda che la loro istituzione sia prevista come obbligatoria dalle norme che disciplinano l'organizzazione dell'ente. 1. Nella prima tipologia rientrano gli organi individuati direttamente dalla legge come nel caso di comuni, il sindaco, la giunta e il consiglio comunale; 2. nella seconda tipologia rientrano per esempio i c.d. ministeri senza portafoglio istituiti all'atto della costituzione del governo su proposta del presidente del Consiglio dei ministri. c. In terzo luogo gli organi possono essere monocratici o collegiali. 1. Nel primo caso all'organo è preposta una sola persona fisica che ne assume la titolarità. 2. Nel secondo caso, ad esso è preposta una pluralità di persone fisiche che esprimono la volontà dell'apparato attraverso delibere assunte sulla base di un procedimento formale. Gli organi collegiali sono collegi perfetti (o reali) ove sia stabilito che essi possano deliberare solo se sono presenti tutti i componenti, anziché, com’è regola generale, la metà più uno dei componenti. Le modalità previste per la nomina dei componenti dell'organo collegiale variano a seconda dei casi. 27 - Ove prevalga l'esigenza di assicurare una rappresentanza di una pluralità di interessi pubblici o privati, le norme individuano i soggetti che possono designare uno o più componenti. - In altri casi i componenti sono scelti su base elettiva (consigli comunali, provinciali o regionali). - In altri casi ancora i componenti sono nominati in ragione di specifiche competenze tecniche. - In qualche caso sono previsti meccanismi di cooptazione, cioè la sostituzione dei componenti cessati dall'incarico da parte dei componenti rimasti in carica. Anche la nomina dei titolari degli organi monocratici in alcuni casi è elettiva, in altri casi è affidata a uno o più soggetti esterni, in altri casi ancora agli stessi organi collegiali. d. In quarto luogo, in base al tipo di funzioni esercitate, gli organi e uffici possono essere: 1. attivi, allorché pongono in essere vuoi gli atti amministrativi correlati alle funzioni proprie dell'ente, vuoi le attività materiali; 2. consultivi, allorché esprimono pareri tecnici o giuridici; 3. di controllo. Altre distinzioni sono tra: organi ordinari e straordinari questi ultimi istituiti per svolgere funzioni particolari per un tempo determinato; uffici semplici e uffici complessi (a livello di ministeri, i dipartimenti suddivisi al loro interno in direzioni generali, a loro volta composte da una pluralità di direzioni semplici); uffici centrali e periferici; organi e uffici amministrativi e tecnici a seconda che svolgano attività che richiedono o meno particolari cognizioni tecniche. 3. LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE Il concetto di P.A. tende ad avere “contorni sfumati se non addirittura evanescenti”. Accanto alle amministrazioni di tipo più tradizionale (Stato, enti territoriali) sono stati istituiti nel corso dei decenni enti pubblici di vario tipo e natura e, in poca recente, soggetti formalmente privati, ma sottoposti almeno in parte a regimi pubblicistici. In base ai dati ISTAT, le amministrazioni sono circa 10.000, delle quali oltre 8.000 sono comuni. In realtà, il perimetro della P.A. non è tracciato in modo univoco, né rispetto: 1. agli organi costituzionali: il Consiglio dei ministri in particolare si pone sul crinale tra politica e amministrazione. È infatti ad un tempo organo costituzionale, ancorato al circuito politico rappresentativo garantito dal meccanismo della fiducia del parlamento, e organo di vertice e di chiusura del sistema della P.A. Nella prima veste adotta atti politici, nella seconda esercita funzioni di indirizzo e di amministrazione attiva. né rispetto: 2. ai soggetti privati: i criteri per distinguere gli enti pubblici dagli enti privati individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza non sono univoci. Ormai è acclarato che “uno stesso soggetto possa avere la natura pubblica a certi fini e rispetto a certi istituti e possa non averla ad altri fini, consentendo, rispetto ad altri istituti, regimi normativi di natura privatistica”. Manca nel nostro ordinamento una definizione legislativa unitaria della P.A. alla quale si ricolleghi l’applicazione di un corpo di regole e principi che ne definiscano uno statuto giuridico omogeneo. 28 Da qui la necessità di costruire in via interpretativa, secondo un approccio funzionale, la nozione di pubblica amministrazione. Questa può essere desunta induttivamente dalle leggi amministrative settoriali che pongono definizioni o elenchi che rientrano nel loro campo di applicazione. Si potrebbe così dire che gli elementi che sono inclusi in tutte le singole leggi amministrative di settore costituiscano “il nocciolo duro” della P.A. o delle pubbliche amministrazioni in senso stretto. In esso rientrano principalmente le amministrazioni statali (ministeri, agenzie), le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici non economici (enti previdenziali, università), le autorità indipendenti. Gli elementi che sono inclusi in uno solo o in pochi insiemi di regimi speciali pubblicistici (soggetti privati titolari di funzioni amministrative) vanno considerati invece come casi eccezionali di espansione del diritto amministrativo a soggetti privati o, tutt'al più come pubbliche amministrazioni in senso lato. I principali regimi speciali da considerare sono quelli relativi al pubblico impiego, al procedimento amministrativo, ai contratti pubblici, al patto di stabilità. a) PUBBLICO IMPIEGO à Un primo insieme di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel d.lgs 165/2001 che pone la disciplina generale dell'organizzazione degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro. Definisce l'ambito di applicazione delle norme formulando un elenco che include tutte le amministrazioni e agenzie dello Stato, gli enti territoriali (regioni, province, comuni), una serie di enti pubblici nominativamente citati (università, enti del servizio sanitario nazionale) o comunque rientranti nella categoria generale degli enti pubblici non economici. La definizione ora esaminata, che viene richiamata in molte altre leggi settoriali per definire il loro ambito di applicazione, non coincide però con quella di pubblica amministrazione posta a livello europeo a proposito della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea (art.45 TFUE). In pratica la nozione europea di pubblica amministrazione include soltanto il nucleo ristretto di incarichi e di figure professionali che partecipano in modo diretto o indiretto all'esercizio dei poteri pubblici e alla tutela degli interessi generali dello Stato. Così, per esempio, non hanno queste caratteristiche gli infermieri delle aziende ospedaliere o gli insegnanti delle scuole. b) PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO àUn secondo insieme di norme pubblicistiche è costituito dalla disciplina del procedimento amministrativo contenuta nella l.n. 241/1990. Relativamente al suo campo di applicazione l’art.29 menziona le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali, le regioni, gli enti locali. Inoltre, rende applicabili in modo inderogabile alcune disposizioni della legge genericamente “a tutte le amministrazioni pubbliche”. Quest’ultima espressione resta in qualche misura indeterminata. Ancora, la l.n. 241/1990 si applica anche ai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative. c) CONTRATTI PUBBLICI à Un terzo insieme di norme pubblicistiche riguarda i contratti per l'acquisto di beni, servizi e lavori. Esse sono contenute, sulla scorta delle direttive europee, nel Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs 163/2006. Il Codice pone una serie articolata di definizioni riferite sia a tipologie di contratti sia di soggetti (“amministrazioni aggiudicatrici”, “enti aggiudicatori”, “organismi di diritto pubblico”, “imprese pubbliche”) volta a individuare in modo specifico le parti del Codice e le procedure di volta in volta applicabili. d) FINANZA PUBBLICA à Un quarto insieme di regole speciali dal quale partire per ricostruire la nozione di pubblica amministrazione attiene al cosiddetto Patto di stabilità concordato in sede europea, che 31 tassativo di funzioni che continuano ad essere attribuite allo Stato. Tutte le funzioni residue vennero trasferite alle regioni e agli enti locali in base al principio della sussidiarietà verticale. 1.3. L ’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA L'esercizio delle funzioni amministrative comporta lo svolgimento da parte dell'apparato pubblico di una varietà di attività materiali e giuridiche. L’attività amministrativa consiste appunto nell'insieme delle operazioni, comportamenti e decisioni posti in essere o assunti da una pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni affidate ad essa da una legge. L’attività amministrativa è rivolta a uno scopo o fine pubblico ed è dotata del carattere della doverosità; il mancato esercizio dell’attività può essere fonte di responsabilità: ciò a differenza di quanto accade nell’ambito dei rapporti di diritto comune, nei quali l’esercizio della capacità giuridica da parte dei soggetti privati è di regola libero. All'attività amministrativa fa riferimento l'art.1.l n. 241/1990 secondo il quale “l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza”. Sotto il profilo giuridico, l'attività amministrativa assume una rilevanza autonoma rispetto a quella dell'atto o provvedimento amministrativo. Essa si presta a qualificazioni che consentono di valutare in modo globale e unitario l'operato delle singole amministrazioni in termini sia di legalità, sia di efficienza, efficacia ed economicità (valutazione fatta da organi come la Corte dei conti). L'atto amministrativo, che costituisce un singolo episodio o un frammento dell'attività posta in essere da un apparato, si presta invece a essere valutato sopratutto sotto il profilo della conformità o meno all'ordinamento (legittimità) e dell'attitudine a soddisfare nel caso concreto l'interesse pubblico (merito amministrativo). à È invalsa l’espressione “amministrazione di risultato”, contrapposta all’”amministrazione per atti”. La giurisprudenza tende a ritenere che l'amministrazione svolge attività amministrativa “non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dell'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto privato”. È emersa così la distinzione tra “attività amministrativa in forma privatistica” e “attività d'impresa di enti pubblici”. La tendenza ad attribuire una connotazione pubblicistica ad attività svolte con moduli privatistici mira in realtà a colpire il fenomeno, in crescita, che vede le amministrazioni far ricorso a forme organizzative e operative privatistiche al solo fine di sottrarsi al regime del diritto amministrativo. 2. IL POTERE, IL PROVVEDIMENTO, IL PROCEDIMENTO L'attività amministrativa può esprimersi, oltre che in operazioni materiali, nell'adozione di atti o provvedimenti amministrativi che sono la manifestazione e la concretizzazione dei poteri amministrativi previsti dalla legge. Quest’ultima in relazione a ciascuna funzione individua in modo puntuale i poteri conferiti al singolo apparato. 2.1. IL POTERE I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si concretizza nell'emanazione di provvedimenti produttivi di effetti giuridici nella sfera dei destinatari. 32 Essa si aggiunge, integrandola, alla capacità giuridica generale di diritto comune, intesa come attitudine ad assumere la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, previste dall’ordinamento, di cui essi, al pari delle persone giuridiche private, sono dotati. Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovraordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono. Gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. à Va posta la distinzione tra potere in astratto e potere in concreto. La legge definisce gli elementi costituivi di ciascun potere (potere in astratto). Il potere in astratto ha carattere dell'inesauribilità, nel senso che fin tanto che resta in vigore la norma attributiva, esso si presta a essere esercitato in una serie indeterminata di situazioni concrete. Ogni qual volta poi si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, l'amministrazione è legittimata a esercitare il potere (potere in concreto) e a provvedere così alla cura dell'interesse pubblico. L’amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l'emanazione di un atto o provvedimento autoritativo idoneo a incidere unilateralmente nella sfera giuridica del soggetto destinatario e a porre una disciplina del rapporto che sorge tra privato e l'amministrazione. 2.2. L 'ATTO E IL PROVVEDIMENTO Nell'ordinamento italiano manca una definizione legislativa di atto o provvedimento amministrativo. L'atto amministrativo costituisce una nozione elaborata essenzialmente dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Alcune indicazioni si possono ricavare sia dalla Costituzione che da alcune leggi generali. In particolare, l'art. 113 Cost. stabilisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale”; la legge determina quali organi giurisdizionali abbiano il potere di “annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge”. Queste disposizioni richiamano due aspetti del sistema giuridico degli atti amministrativi: 1) la loro sottoposizione necessaria a un controllo giurisdizionale, operato dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario; 2) la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche. Sul piano storico, la nozione di atto amministrativo assunse una rilevanza autonoma proprio allorché alla fine del XIX secolo, venne istituito in Italia un giudice amministrativo, distinto da quello ordinario, allo scopo di sindacare l'operato delle pubbliche amministrazioni. La IV Sezione del Consiglio di Stato si pose subito il problema di quali caratteristiche dovessero avere gli atti delle amministrazioni per poter essere sottoposti al controllo giurisdizionale e contribuì, con la dottrina, a elaborare la teoria del diritto amministrativo. A questo riguardo, l'art. 26 Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, abrogato dal Codice del processo amministrativo e sostituito con disposizioni analoghe, stabilisce che il giudice amministrativo può decidere circa un atto emanato da un'autorità amministrativa, ritenuto illegittimo (per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge) e lesivo di una situazione giuridica soggettiva del privato (il c.d. interesse legittimo). L'art. 1, 1-bis, l. 241/1990 stabilisce che la pubblica amministrazione agisce di regola secondo le norme del diritto privato nell'adozione di atti di natura non autoritativa. Questi ultimi vanno dunque distinti dagli atti aventi natura autoritativa, per i quali, invece, vale il regime pubblicistico proprio degli atti amministrativi. 33 Inoltre, l'art. 3 della medesima legge stabilisce che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, indicando anche qui un elemento formale tipico degli atti amministrativi che li differenzia dagli atti privati. L’art. 7 prevede che l’avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; e l’art 21 specifica che il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione allo stesso effettuata. Queste disposizioni richiamano implicitamente un'altra caratteristica dei provvedimenti è cioè l'autoritarietà (o imperatività) intesa come attitudine a determinare in modo unilaterale la produzione degli effetti giuridici nei confronti di terzi. Pur utilizzando indifferentemente, in tali disposizioni costituzionali e legislative, i termini “atto amministrativo” e “provvedimento amministrativo” è necessario effettuare una distinzione: Þ L’atto amministrativo include ogni dichiarazione di volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio, compiuta da un soggetto dell'amministrazione pubblica nell'esercizio di una potestà amministrativa. Per esempio, costituiscono atti amministrativi quelli endoprocedimentali come i pareri, le valutazioni tecniche, le proposte, le intimazioni. Þ Il provvedimento amministrativo, che costituisce la sub categoria più importante degli atti amministrativi, può essere definito come: una manifestazione di volontà espressa dall'amministrazione titolare del potere all'esito di un procedimento amministrativo, volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari del provvedimento medesimo, per es: un decreto di espropriazione, un'autorizzazione, una sanzione amministrativa. 2.3. IL PROCEDIMENTO La nozione di procedimento è stata elaborata dalla dottrina amministrativa. Le leggi amministrative attribuiscono alle pubbliche amministrazioni poteri finalizzati alla cura degli interessi pubblici. L'esercizio del potere avviene secondo il modulo del procedimento amministrativo, cioè attraverso una sequenza, individuata anch'essa dalla legge, di operazioni e di atti strumentali all'emanazione di un provvedimento amministrativo produttivo degli effetti giuridici tipici nei rapporti esterni. Il procedimento assolve a una pluralità di funzioni: o garantire la partecipazione dei privati all'esercizio del potere attraverso la presentazione di memorie, di documenti, e ciò a tutela dei propri interessi che sono suscettibili di essere pregiudicati dal provvedimento amministrativo; o consentire all'amministrazione di acquisire informazioni utili ai fini dell'adozione del provvedimento; o assicurare il coordinamento tra le pubbliche amministrazioni. Il procedimento costituisce, in realtà, la modalità ordinaria di esercizio di tutte le funzioni pubbliche corrispondenti ai tre poteri dello Stato. La funzione legislativa assume la forma del procedimento legislativo, disciplinato in gran parte dai regolamenti parlamentari e finalizzato all'emanazione di atti con forza o valore di legge; la funzione giurisdizionale assume quella del processo la cui disciplina si ritrova nei vari codici processuali e si conclude con una sentenza dotata dell'autorità del giudicato; la funzione amministrativa si manifesta nel procedimento amministrativo, che si conclude con un provvedimento dotato di autoritarietà o imperatività. 36 produce l'effetto e senza che sussista, di regola, un rapporto giuridico preesistente tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione. Per altro verso, il potere conferito dalla legge alla pubblica amministrazione non è sempre integralmente vincolato. Anzi, di regola, all'amministrazione sono attribuiti margini più o meno ampi di apprezzamento e valutazione discrezionale che, possono determinare una modulazione degli effetti e del contenuto del provvedimento emanato. La disciplina degli interessi in conflitto in ordine ai beni non è posta integralmente e direttamente dalla norma, ma quest’ultima rimette almeno una parte della determinazione dell’assetto finale degli interessi al soggetto titolare del potere (l’amministrazione). 4. LA NORMA ATTRIBUTIVA DEL POTERE Le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di due tipi: • le norme di azione disciplinano il potere amministrativo nell'interesse esclusivo della pubblica amministrazione, hanno come scopo assicurare che l'emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell'interesse dei soggetti privati; • le norme di relazione sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra l'amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di quest'ultimi, definendo direttamente l’assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e P.A. Dalla coppia norma di azione, che segna i limiti interni al potere volti a guidare l'attività dell'amministrazione, e norma di relazione, che segna i limiti esterni al potere tracciando i confini tra la sfera giuridica dei soggetti privati rispetto a quella dell'amministrazione, derivano, a cascata, una serie di conseguenze: Þ sul piano delle situazioni giuridiche soggettive, la distinzione tra interesse legittimo, correlato alla prima, e diritto soggettivo, correlato alla seconda; Þ sul piano delle qualificazioni giuridiche, l'applicazione della categoria dell'illegittimità (annullabilità) o dell'illiceità (nullità) agli atti che violano l'uno o l'altro tipo di norma; Þ sul piano della giurisdizione, l'attribuzione delle controversie al giudice amministrativo o al giudice ordinario e la definizione dei rispettivi poteri. Una siffatta ricostruzione dicotomica delle norme appare troppo meccanica e legata a una concezione dell’interesse legittimo che si sta superando. In realtà, anche alle norme che disciplinano l’attività amministrativa va riconosciuta ormai una valenza relazionale e una funzione di tutela dell’interesse del soggetto privato, oltre che pubblico. Appare dunque preferibile utilizzare la formula più generica di “norma attributiva del potere”, la quale individua in termini astratti, gli elementi caratterizzanti il particolare potere attribuito ad un apparato pubblico: il soggetto competente; il fine pubblico; i presupposti e i requisiti; le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma; gli effetti giuridici. 1. Quanto al soggetto competente, in un sistema amministrativo multilivello e articolato in una molteplicità e varietà di apparati, ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico alla titolarità di uno e un solo soggetto/organo. La norma deve individuarlo con precisione. à E ogni atto emanato da un soggetto/organo non competente è affetto da vizio di incompetenza. 37 2. Il fine pubblico, correlato a quello che viene definito come l'interesse pubblico primario affidato alla cura dell'apparato amministrativo titolare del potere, costituisce un elemento che è specificato dalla norma di conferimento del potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina quella particolare materia. Il fine pubblico è eteroimposto dalla norma: quest'ultima orienta le scelte effettuate in concreto dall'amministrazione e condiziona, in ultima analisi, la legittimità del provvedimento emanato. à La sua violazione configura un vizio di eccesso di potere per sviamento. 3. Un terzo elemento posto dalla norma attributiva del potere consiste nell'individuazione dei presupposti e dei requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato. La loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l'esercizio legittimo del potere (es: il Testo unico in materia edilizia, a proposito del permesso a costruire, indica come presupposti la conformità del progetto, ad esempio, al piano particolareggiato). A proposito dei presupposti e dei requisiti sostanziali bisogna porre l’attenzione sul grado di analiticità richiesto nell’individuazione del loro contenuto: Il potere può risultare più o meno ampiamente vincolato o, per converso, più o meno ampiamente discrezionale. Ciò da luogo a 2 estremi: Þ Al primo estremo si collocano i poteri integralmente vincolati, ad essi l'amministrazione non ha altro compito se non quello di verificare, se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati dalla norma attributiva e, nel caso positivo, di emanare il provvedimento che produce gli effetti anch'essi rigidamente predeterminati dalla norma. Þ Al secondo estremo si pongono i poteri sostanzialmente “in bianco” (ordinanze di necessità e di urgenza) che rimettano al soggetto titolare del potere spazi pressoché illimitati di apprezzamento, di valutazione delle fattispecie concrete e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un determinato interesse pubblico. La discrezionalità emerge allorché la norma autorizza ma non obbliga l'amministrazione a emanare un certo provvedimento. Ciò accade anzitutto quando il legislatore prevede che l’amministrazione “può” oppure “ha la facoltà di” emanare un determinato atto. In generale gli spazi di valutazione dei fatti costitutivi del potere sono tanto più ampi quanto più la norma d'azione fa ricorso ai cosiddetti “concetti giuridici indeterminati”. La norma definisce cioè i presupposti e i requisiti con formule linguistiche tali da non consentire di accertare in modo univoco il loro verificarsi in concreto (interesse storico-artistico “particolarmente rilevante”). I concetti giuridici indeterminati possono essere di due categorie: a) i concetti empirici o descrittivi (intralcio alla circolazione) che si riferiscono al modo di essere di una situazione di fatto. Questi involgono giudizi a carattere tecnico-scientifico e coprono, l'area delle valutazioni tecniche; b) i concetti normativi o di valore che contengono un ineliminabile elemento di soggettività (persona in stato di bisogno). Questi involgono giudizi di valore e coprono l'area della discrezionalità amministrativa Riguardo ai primi l’indeterminatezza rende problematica la sussunzione della fattispecie concreta nel parametro normativo; con riguardo ai secondi è la stessa interpretazione in astratto del parametro normativo a presentare margini di opinabilità elevati essendo legata inevitabilmente ai valori e alla sensibilità soggettiva dell’interprete. 38 Si ritiene che i concetti giuridici indeterminati presentino un “nocciolo” di certezza, che include i casi che rientrano o meno nel paramento normativo, e un “alone” di incertezza, che fa riferimento alle situazioni limite nelle quali la sussunzione del caso concreto nel parametro normativo è incerta e opinabile. L’applicazione di una siffatta norma si scontra con la difficoltà di individuare in concreto i casi che possono essere in essa sussunti. L’opinabilità si accresce man mano che ci si allontana dai casi più certi. Il concetto giuridico indeterminato presenta un doppio limite negativo e positivo. La difficoltà sta nell’individuare con precisione dove tali limiti vadano tracciati e quando si trapassa dal giudizio certo a quello problematico e opinabile. Sorge così il problema di chi abbia il “diritto di ultima decisione” e cioè fino a che punto le valutazioni compiute dall’amministrazione in sede di interpretazione e di applicazione dei concetti giuridici indeterminati possano essere sindacate dal giudice. La tecnica normativa dei concetti giuridici indeterminati, nei limiti in cui concedono all'amministrazione spazi di valutazione e di decisione non sindacabili, comporta inevitabilmente una caduta del valore della legalità sostanziale. In realtà di fronte alla complessità crescente dei fenomeni economici e sociali e alla rapidità dei cambiamenti, il parlamento è sempre meno in grado di porre un sistema completo e preciso di regole che definiscono per ogni possibile evento futuro l'assetto degli interessi. È dunque in qualche misura costretto a delegare ad apparati pubblici secondo la tecnica della normativa attributiva di poteri, ambiti più o meno ampi di valutazione di fatti e interessi e di composizione dei conflitti tra questi ultimi. Anche in ambito civilistico, i codici hanno abbandonato il metodo casistico, caratterizzato dalla definizione minuziosa per adottare quello delle clausole generali. 4. La norma attributiva del potere prescrive anche i requisiti formali degli atti (di regola forma scritta) e le modalità di esercizio del potere, individuando la sequenza degli atti e degli adempimenti necessari per l'emanazione del provvedimento finale che danno origine al procedimento amministrativo. La struttura del procedimento è individuata nelle singole leggi amministrative di settore e nelle normative attuative, integrate con i principi generali posti dalla l. n.241/1990. 5. La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l'elemento temporale dell'esercizio del potere. Può in primo luogo individuare un termine per l’avvio dei procedimenti d’ufficio; in secondo luogo, deve specificare il termine massimo entro il quale l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo ed infine scandice talora anche i tempi per l’adozione degli atti endoprocedimentali. Gran parte di questi termini ha natura ordinatoria: la loro violazione non inficia la legittimità degli atti adottati, ma può giustificare misure, come, per esempio, un intervento sostitutivo o una sanzione disciplinare. 6. Infine, la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti giuridici che l'atto amministrativo può produrre una volta emanato all'esito del procedimento. I provvedimenti amministrativi, proprio perché correlati a poteri che possono essere inquadrati, nella categoria generale dei diritti potestativi stragiudiziali, hanno l'attitudine a produrre effetti costitutivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. Sono esempi di provvedimenti con effetti costitutivi in senso stretto le concessioni amministrative, che attribuiscono in capo a un soggetto privato un diritto soggettivo a svolgere una certa attività. 41 un'unica scelta legittima tra quelle consentite in astratto dalla legge. Nel corso del procedimento la discrezionalità può cioè ridursi via via fino ad annullarsi del tutto. In questi casi si parla di vincolatezza in concreto, da contrapporre alla vincolatezza in astratto che si verifica, allorché la norma predefinisce in modo puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Una riduzione dell'ambito della discrezionalità può avvenire anche attraverso il cosiddetto autovincolo alla discrezionalità. Di frequente tra la norma di conferimento del potere che concede all'amministrazione spazi di discrezionalità più o meno ampi e il provvedimento concreto assunto all'esito della valutazione si interpone la predeterminazione da parte della stessa amministrazione di criteri e parametri che vincolano l'esercizio della discrezionalità. Ciò accade ad esempio nei giudizi valutativi espressi da commissioni di concorso, le quali sono tenute a specificare, prima di esprimere le proprie valutazioni sui singoli candidati, i parametri di giudizio già previsti nella normativa di riferimento e nel bando. L'autovincolo alla discrezionalità costituisce in definitiva un tentativo di salvaguardare e di recuperare in parte le esigenze sottese alla legalità sostanziale necessariamente sacrificate attraverso la tecnica del conferimento di poteri discrezionali. 5.2. IL MERITO AMMINISTRATIVO Il merito ha una dimensione essenzialmente negativa e residuale: esso si riferisce all'eventuale ambito di scelta spettante all'amministrazione che si pone al di là dei limiti coperti dall'area della legalità (cioè dei vincoli giuridici posti dalle norme e dai principi dell'azione amministrativa). Se il potere è integralmente vincolato lo spazio del merito risulta nullo. Rientra di regola nel merito, per esempio, il giudizio espresso dalla commissione su un candidato che partecipa ad un concorso pubblico. Il merito connota, in definitiva, l'attività dell'amministrazione da considerare da considerare essenzialmente libera. Essa è insindacabile da parte del giudice amministrativo nell'ambito del giudizio di legittimità. La distinzione tra legittimità e merito rileva in più contesti: 1. Il primo è quello dei controlli amministrativi, questi si articolano in controlli di legittimità e in controlli di merito, i primi finalizzati ad annullare gli atti amministrativi, i secondi a modificare o sostituire l'atto oggetto del controllo e di tutela giurisdizionale. 2. In secondo luogo, il Codice del processo amministrativo contrappone la giurisdizione di legittimità, che è quella di cui è investito in via ordinaria il giudice amministrativo, alla giurisdizione “con cognizione estesa al merito”, nell'esercizio della quale “il giudice amministrativo può sostituirsi all'amministrazione”. Il giudice amministrativo può cioè rivalutare le scelte discrezionali dell'amministrazione e sostituire la propria valutazione (es: può modifica l’ammontare di una sanzione pecuniaria irrogata). La giurisdizione di merito rompe il diaframma tra giurisdizione e amministrazione (il giudice “si fa amministratore”), in deroga al principio della separazione dei poteri, essa è limitata a pochi casi tassativi (art 134 proc.amm). 3. In terzo luogo, i confini tra legittimità e merito rilevano anche in materia di responsabilità amministrativa alla quale sono soggetti i funzionari pubblici in relazione al cosiddetto danno 42 5.3. LE VALUTAZIONI TECNICHE La discrezionalità amministrativa va tenuta distinta dalle valutazioni tecniche. Queste ultime si riferiscono ai casi in cui la norma attributiva del potere, rinvia a nozioni tecnologiche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità. à L’art 17. 241/1990 regola le modalità attraverso le quali il responsabile del procedimento procede ad acquisirle e i rimedi in caso di ritardi. Tra le valutazioni tecniche rientrano per esempio: i giudizi medici aventi per oggetto l’idoneità ad essere arruolati nelle forze militari o di polizia o la riconducibilità di una determinata malattia alla causa di servizio. Mentre la discrezionalità amministrativa attiene al piano della valutazione e comparazione degli interessi, le valutazioni tecniche attengono al piano dell'accertamento e della qualificazione di fatti alla luce di criteri tecnico-scientifici. L’uso dell’espressione “discrezionalità tecnica” è impropria perché nella discrezionalità tecnica manca l’elemento volitivo che connota invece la discrezionalità amministrativa. Si ricorre più correttamente alla formula “valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche”. L’uso del medesimo sostantivo (discrezionalità) si giustifica probabilmente per il fatto che, soprattutto in passato, il problema dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche era posto in termini analoghi a quello dei limiti del sindacato sulla discrezionalità amministrativa In entrambi i casi si riteneva precluso un sindacato pieno che comporti una valutazione autonoma del giudice che si sovrapponga (e sostituisca) a quella dell'amministrazione. La valutazione del giudice è necessariamente altrettanto opinabile rispetto a quella dell'amministrazione e dunque non ci sarebbe ragione per preferirla: il giudice può soltanto ripercorrere dall’esterno l’attività valutative, cioè effettuare un sindacato estrinseco volto a verificare se la valutazione è affetta da vizi logici, incongruenze o da altre carenze utilizzando le tecniche di rilevamento dell’eccesso di potere. Tuttavia, il giudice amministrativo, in epoca più recente, ha intrapreso un'opera volta a differenziare e rendere più intenso il proprio sindacato sulle valutazioni tecniche e si spinge a verificare l'attendibilità e la correttezza del criterio tecnico utilizzato. Nel sindacare le valutazioni tecniche il giudice amministrativo è agevolato dal fatto di poter ricorrere allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio. Peraltro, l’”attendibilità” non coincide necessariamente con la “condivisibilità”, nel senso che il giudice potrebbe ben ritenere una valutazione tecnica come attendibile, cioè formulata sulla base di argomentazioni logiche e tecniche ben strutturate, e dunque legittima, pur non condividendola personalmente. La valutazione tecnica può essere sindacata solo se non è stata effettuata in base a presupposti, metodi e procedimenti obiettivi, se non abbia accertato in modo pertinente e completo tutti i fatti rilevanti o se siano stati commessi altri errori. Valutazioni tecniche ed esercizio della discrezionalità amministrativa, proprio perché riguardano momenti logici diversi (la prima attiene al momento dell'accertamento del fatto / o nel momento della determinazione del contenuto (quid) del provvedimento, la seconda alla valutazione degli interessi), possono coesistere in una stessa fattispecie. Al riguardo si usa talora l'espressione di discrezionalità mista. Un esempio può essere: l’accertamento del carattere epidemico di una malattia e la successiva scelta dei rimedi alternativi per contenere i rischi di propagazione. Le valutazioni tecniche vanno tenute distinte, oltre che dalla discrezionalità amministrativa, anche dai meri accertamenti tecnici. Questi ultimi si riferiscono a fatti la cui esistenza o inesistenza è verificabile in modo 43 univoco, sia pure con l'impiego di strumenti tecnici (come gli strumenti per la rilevazione della presenza e della quantità di sostanze inquinanti in un terreno). A differenza delle valutazioni tecniche, i meri accertamenti tecnici possono essere sindacati in modo pieno dal giudice amministrativo nell'ambito del giudizio di legittimità. 6. L’INTERESSE LEGITTIMO Il termine passivo del rapporto giuridico amministrativo, cioè l'interesse legittimo, è situazione giuridica soggettiva che costituisce una delle principali specificità del nostro sistema giuridico. Sempre stato fonte di discussioni in sede dottrinale e di incertezze in sede applicativa. Al pari del diritto soggettivo, l'interesse legittimo trova un riconoscimento costituzionale nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale (art. 24, 103 e 113 Cost.) e costituisce dunque una situazione giuridica soggettiva dalla quale non si può prescindere. La rilevanza della distinzione tra le due categorie di situazioni giuridiche è stata tradizionalmente duplice: • è assurta a criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, il primo investito della giurisdizione sui diritti soggettivi, il secondo della giurisdizione sugli interessi legittimi; • è servita a delimitare l'ambito della responsabilità civile della pubblica amministrazione che non includeva il danno derivante da una lesione di interessi legittimi (aspetto ormai superato dalla Cassazione con sentenza n. 500/1999 che ha aperto la strada alla risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo). Riguardo il primo aspetto la Corte Costituzionale, in una sentenza considerata come la pronuncia più importante in materia di assetto della giustizia amministrativa, ha ribadito che la giurisdizione amministrativa ha per oggetto gli interessi legittimi. Ad essa può essere devoluta in casi tassativi anche la cognizione di diritti soggettivi, ma solo quando questi ultimi sono in qualche modo connessi e intrecciati a un rapporto nel quale l’amministrazione si presenta essenzialmente in veste di autorità. 6.1. EVOLUZIONE STORICA DELL’ INTERESSE LEGITTIMO Per parlare della nascita dell'interesse legittimo occorre partire dalla legge 2248 del 1865 di abolizione del contenzioso amministrativo che impresse una svolta al nostro sistema di giustizia amministrativa adottando, sulla scorta del modello inglese e belga, il modello del giudice unico. Venne cioè attribuita al giudice civile la giurisdizione in tutte le controversie tra il privato e la pubblica amministrazione nelle quali si facesse questione di un diritto civile o politico, ossia di un diritto soggettivo, ancorché la controversia fosse correlata all’emanazione di un provvedimento amministrativo. Tuttavia, l'area delle situazioni inquadrabili in termini di diritto soggettivo divenne sempre più ristretta, creando in tal modo un vero e proprio vuoto di tutela di fronte a numerosi casi di illegittimità e abusi da parte dell'amministrazione. Da qui l'origine della legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, che mirava a integrare la legge del 1865 introducendo un nuovo rimedio per tutelare tutte le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo: fatto salvo l'ambito della giurisdizione dei giudice ordinario, la IV Sezione venne dunque investita del potere di decidere sui ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge contro gli atti o provvedimenti amministrativi aventi per oggetto “un interesse d'individui o di enti morali giuridici”. 46 La natura sostanziale dell’interesse legittimo emerge anche dal modo nel quale la giurisprudenza ha inquadrato la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo devoluta ora alla giurisprudenza del giudice amministrativo. La giurisprudenza si è posta la questione se il risarcimento del danno costituisca un diritto soggettivo distinto dall’interesse legittimo, ancorchè a questo collegato, nel senso che la lesione di quest’ultimo ad opera del provvedimento illegittimo fa sorgere in capo al suo titolare un diritto al risarcimento del danno. La Corte costituzionale ha inteso l'azione risarcitoria come tecnica di tutela dell'interesse legittimo che si affianca e integra la tecnica di tutela più tradizionale costituita dall'annullamento. Se l'interesse legittimo incorpora anche una pretesa risarcitoria, è evidente che esso ha per oggetto un bene della vita che il titolare dell'interesse medesimo mira ad acquisire o a conservare, sia pure tramite l'intermediazione del potere amministrativo, e che è suscettibile di subire una lesione ad opera di un provvedimento illegittimo. In definitiva nella ricostruzione dell'interesse legittimo il baricentro si sposta così dal collegamento con l'interesse pubblico a quello con l'utilità finale o “bene della vita” che il soggetto titolare dell'interesse legittimo mira a conservare o ad acquisire. L'interesse legittimo accentua così la connotazione sostanziale. All'esito dell'evoluzione ora tratteggiata si può dunque affermare che la norma di conferimento del potere abbia la doppia ed equiordinata funzione di tutelare l'interesse pubblico e di tutelare l'interesse del privato. L'interesse pubblico non assorbe quello privato, né quest'ultimo il primo. Nell'ambito di un rapporto di sovra-sottordinazione secondo lo schema del diritto potestativo, i vincoli posti dalla norma attributiva del potere hanno una doppia funzione: Þ per un verso fungono da guida e vincolo per l'amministrazione nella realizzazione dell'interesse pubblico; Þ per altro verso, hanno una funzione di garanzia della situazione giuridica soggettiva del privato. Nella dinamica del rapporto giuridico amministrativo, da un lato, l'amministrazione titolare del potere cura in via primaria l'interesse pubblico; dall'altro, il titolare dell'interesse legittimo mira esclusivamente al proprio interesse individuale, con libertà di scegliere le forme di tutela da attivare nel processo e prima ancora nell’ambito del procedimento amministrativo. In definitiva volendo proporre una definizione sintetica, “l'interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della pubblica amministrazione e tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire sull'esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita”. I poteri e le facoltà in questione si esplicano principalmente, all'interno del procedimento attraverso l'istituto della partecipazione; quest’ultima consente al privato di rappresentare il proprio punto di vista presentando memorie e documenti, egli può così cercare di orientare le valutazioni discrezionali dell'amministrazione in senso a sé favorevole. Il privato può persino sottoporre all'amministrazione proposte che possono sfociare, ove accolte, in un accordo avente per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento (art. 11 l. n. 241 /1990). Siffatti poteri e facoltà tendono a riequilibrare in parte la posizione di soggezione nei confronti del titolare del potere. L'interesse legittimo acquista così una dimensione attiva. Ad essa corrispondono in capo all'amministrazione una serie di doveri comportamentali nella fase procedimentale e nella fase decisionale (buona fede, imparzialità, proporzionalità) che sono finalizzati anche alla tutela dell'interesse del soggetto privato. 47 In ogni caso il titolare dell’interesse legittimo fa valere nei confronti dell’amministrazione una pretesa a che il potere sia esercitato in modo legittimo e conforme all’interesse sostanziale del privato alla conservazione o all’acquisizione di un bene della vita. Una dottrina recente (2003) fa emergere una visione che dissolve l'interesse legittimo nella figura più generale del diritto soggettivo. Infatti, all'interno del diritto soggettivo vi sono figure di diritti diversi tra loro es. diritto di proprietà, diritto di credito avente per oggetto somme di denaro o il diritto di comportarsi secondo buona fede nell'ambito delle trattative finalizzate alla stipula di un contratto (“doveri di protezione”, non vi è però una garanzia di un risultato predeterminato). Questa categoria di diritti ultima è strutturalmente analoga a quella dell'interesse legittimo, il quale potrebbe essere ricondotto a una figura particolare di diritto avente per oggetto una prestazione-comportamento da parte dell'amministrazione a favore del soggetto privato. In conclusione, l'interesse legittimo ingloba in sé sia una dimensione passiva (situazione di soggezione, rispetto alla produzione degli effetti); sia una dimensione attiva (pretesa a un esercizio corretto del potere alla quale corrispondono una serie di poteri e facoltà nei confronti dell’amministrazione da far valere nel procedimento o anche in sede giurisdizionale). à Questa duplice dimensione costituisce forse la cifra più caratteristica dell'interesse legittimo che condiziona la dinamica del rapporto amministrativo. 7. GLI INTERESSI LEGITTIMI OPPOSITIVI E PRETENSIVI Sotto il profilo funzionale degli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie: • gli interessi legittimi oppositivi: sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del destinatario, sacrificando l'interesse di quest'ultimo. à Si pensi al potere di espropriazione, all'irrogazione di una sanzione amministrativa. • gli interessi legittimi pretensivi: al contrario, sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario, dando soddisfazioni all'interesse di quest'ultimo. à Si pensi al potere di rilasciare una concessione per l'uso di un bene demaniale o un'autorizzazione per l'avvio di una attività economica. Gli interessi legittimi oppositivi si riferiscono, di regola, all'amministrazione che sottrae o sacrifica altrimenti i beni o altre utilità private. Gli interessi legittimi pretensivi si riferiscono all'amministrazione per prestazioni che attribuisce beni o altre utilità ai soggetti privati. Negli interessi legittimi oppositivi il rapporto procedimentale assume una dinamica di contrapposizione, nel senso che il titolare dell'interesse legittimo oppositivo cercherà di intraprendere tutte le iniziative volte a contrastare l'esercizio del potere che sacrifica un suo bene della vita. Il suo interesse a evitare che si determini una compressione della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l'amministrazione, all'esito del procedimento, si astenga dall'emanare il provvedimento che produce l'effetto negativo (pretesa a un non facere da parte dell'amministrazione). Al titolare dell'interesse legittimo oppositivo, infatti, interessa soltanto non veder sacrificata o compressa la propria sfera giuridica, cioè a conservare il bene della vita. Negli interessi legittimi pretensivi il rapporto procedimentale assume una dinamica più collaborativa, nel senso che il titolare dell'interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a 48 stimolare l'esercizio del potere e a orientare la scelta dell'amministrazione in modo tale da poter conseguire il bene della vita. Il suo interesse a far sì che si determini un ampliamento della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l'amministrazione, all'esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l'effetto positivo (pretesa a un facere dell'amministrazione). Al titolare dell'interesse legittimo pretensivo, infatti, interessa soltanto poter veder ampliata la propria sfera giuridica, cioè acquisire un bene della vita, non rileva, dal pov del privato, se l’emanazione del provvedimento è legittima o illegittima. I due tipi di dinamica si riflettono sia sulla struttura del procedimento, sia su quella del processo amministrativo. Þ Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il procedimento si apre usualmente d'ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. Þ Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un'istanza o domanda di parte che fa sorgere l'obbligo di procedere e di provvedere in capo all'amministrazione titolare del potere e instaura il rapporto giuridico amministrativo. Anche il processo amministrativo e la tipologia di azioni in esso esperibili presentano caratteri propri in funzione del diverso bisogno di tutela. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il bisogno di tutela è correlato all'interesse alla conservazione del bene della vita suscettibile di essere sacrificato o compresso in seguito all'emanazione del provvedimento restrittivo della sfera giuridica del privato. L'annullamento dell'atto impugnato con efficacia ex tunc soddisfa in modo specifico tale bisogno. Infatti, il ricorrente viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima dell’emanazione del provvedimento. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è correlato invece nell'interesse all'acquisizione del bene della vita per mezzo dell'emanazione del provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato. Rispetto a tale bisogno l’annullamento del provvedimento di diniego o, nel caso di silenzio-inadempimento si rivelano insufficienti. Infatti, non determinano in via immediata l’acquisizione del bene della vita in capo al titolare dell’interesse legittimo che richiede invece l’adozione da parte del dell’amministrazione del provvedimento richiesto. Soltanto una sentenza che accerti la spettanza del bene della vita e che condanni l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto risulta pienamente satisfattiva. L’azione che consente un siffatto risultato è la cosiddetta azione di adempimento, cioè l’azione di condanna a un facere specifico. Anche la tutela risarcitoria, che è necessaria per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica (di annullamento del provvedimento illegittimo e di condanna al rilascio del provvedimento richiesto) si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi. Con riferimento agli interessi oppositivi essa è correlata ai danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. La sentenza di annullamento con efficacia retroattiva, infatti, pur eliminando l'atto e i suoi effetti, non può porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi la tutela risarcitoria è correlata ai danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di 51 L'accesso ai documenti amministrativi consiste nel “diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”. Esso è incluso dalla l. n. 241/1990 tra i livelli essenziali delle prestazioni ai quali fa riferimento l'art. 117 Cost. e rientra dunque nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. È inoltre definito come “principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza”. In conformità a questa duplice finalità, il diritto in questione rileva in due ambiti. ® In primo luogo, rientra, tra i diritti attribuiti ai soggetti che possono partecipare a un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire ad essi di tutelare meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e documenti acquisiti al procedimento che li riguardano. Si parla in questo caso di accesso procedimentale. ® In secondo luogo, costituisce un diritto autonomo che può essere esercitato anche al di fuori dal procedimento da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una pubblica amministrazione. La l. n. 241/1990 sembra costruire il diritto di accesso in termini di protezione diretta di un bene della vita, cioè secondo lo schema del diritto soggettivo. In particolare, con riguardo all'accesso non procedimentale, esso sorge quando il soggetto che richieda l'accesso dimostri “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”. L'accesso non è dunque attribuito a chiunque, è necessario invece che la richiesta di accesso sia correlata a un interesse in qualche modo differenziato e alla titolarità di una posizione giuridicamente rilevante (non necessariamente un diritto soggettivo o un interesse legittimo in senso proprio, ma anche una situazione giuridica soggettiva allo stato potenziale). [Un'eccezione prevista per legge si ha in materia ambientale nella quale l'accesso alle informazioni è consentito a chiunque ne faccia richiesta senza necessità di dichiarare un proprio interesse. Un'altra eccezione più recente è il cosiddetto accesso civico, in base al quale chiunque può richiedere l'accesso alle informazioni che le amministrazioni avrebbero comunque l'obbligo di pubblicare sui propri siti o con altre modalità tutte le volte in cui esse hanno omesso questo adempimento; l’accesso civico serve a rendere effettiva l'osservanza degli obblighi di pubblicità e trasparenza.] Sotto il profilo oggettivo, l'accesso è escluso in una serie tassativa di casi e cioè in relazione ai documenti coperti dal segreto di Stato, a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l'adozione di atti amministrativi generali, ai documenti contenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi (art. 24,1. 241/1990). Altri casi di esclusione possono essere individuati tramite regolamento di delegificazione laddove sussista il rischio di una lesione di interessi pubblici (per es. la sicurezza e difesa nazionale). Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l'amministrazione deve dunque compiere una duplice operazione. Deve anzitutto operare una comparazione tra l'interesse all'accesso e il contrapposto interessa alla riservatezza di terzi. Deve inoltre valutare se l'accesso ha il carattere della “necessarietà”, poiché la l. n. 241/1990 prescrive che deve essere comunque garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare e difendere i propri interessi giuridici”. 52 L'accoglimento dell'istanza di accesso sembra dunque subordinata, almeno nel caso in cui siano presenti esigenze di riservatezza, a valutazioni dell'amministrazione che sembrano avere natura in qualche misura discrezionale. Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativa è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ciò costituisce sintomo che in questa materia possono porsi questioni di diritto soggettivo. È discussa la natura giuridica del diritto di accesso: di recente sembra prevalere l’interpretazione che non si tratti di un diritto soggettivo in senso proprio, ma che esso vada inquadrato, al di là del nomen utilizzato dalla legge, nella categoria dell’interesse legittimo. [Vedi anche cap. 5 – par. 13 e) l’accesso ai documenti amministrativi] 10. INTERESSI DI FATTO, DIFFUSI E COLLETTIVI Le norme che disciplinano l'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione possono imporre all'amministrazione doveri di comportamento, finalizzati alla tutela di interessi pubblici, in modo per così dire irrelato, cioè senza che ad essi corrisponda alcuna situazione giuridica. Si pensi per esempio alle norme che impongono alle amministrazioni di adottare atti di pianificazione, di contenere livelli di spesa, di raggiungere determinati standard qualitativi nell'erogazione dei servizi. La violazione di siffatti doveri rileva, di regola, soltanto all'interno dell'organizzazione degli apparati pubblici e può dar origine, a seconda dei casi, a interventi di tipo propulsivo (diffide) o sostitutivo da parte di organi dotati di poteri di vigilanza, a sanzioni che colpiscono i dirigenti e i funzionari responsabili della violazione o ad altre forme di penalizzazione. I soggetti privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio da siffatte attività poste in essere dall'amministrazione per la cura di interessi pubblici possono vantare, di regola, un interesse di mero fatto (interesse semplice) in relazione al quale le norme in questione offrono soltanto una tutela di tipo non giurisdizionale. I portatori di un interesse di mero fatto possono infatti promuovere l'osservanza da parte delle amministrazioni dei doveri, per esempio, sollecitandole ad attivarsi (segnalazioni, petizioni) o attraverso campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Emerge così la necessità di distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi. I criteri sono essenzialmente due: il criterio della differenziazione e il criterio della qualificazione. 1. Quanto al criterio della differenziazione, perché posso configurarsi l'esistenza di un interesse giuridicamente protetto, occorre anzitutto che la posizioni in cui si trova il soggetto privato rispetto all'amministrazione gravata da un dovere di agire sia in qualche modo differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell'ordinamento. Può essere rilevante a questo riguardo l'elemento fisico-spaziale della vicinanza (o vicinitas) che rende più concreto il pregiudizio in capo a taluni soggetti. 2. Una volta appurato il carattere differenziato di un interesse rispetto a quello della generalità dei soggetti, occorre valutare se tale interesse rientri in qualche modo nel perimetro della tutela offerta dalle norme e, in particolare, da quelle che attribuiscono il potere (criterio della qualificazione giuridica dell'interesse) e se, pertanto, il suo titolare possa vantare una posizione qualificabile come interesse legittimo. 53 Gli interessi di mero fatto possono avere una dimensione individuale o superindividuale. È così emersa in dottrina e in giuri la nozione di interesse diffuso. Gli interessi diffusi sono stati definiti variamente come interessi non personalizzati (o adespoti), senza struttura, riferibili in modo indistinto alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti (consumatori, utenti); il carattere “diffuso” dell'interesse deriva dalla caratteristica del bene materiale o immateriale ad esso correlato che non è suscettibile di appropriazione e di godimento esclusivi (ambiente, patrimonio storico-artistico). Si tratta in genere di beni pubblici “non rivali” e “non escludibili”: “non rivali” perché il loro consumo o utilizzo da parte di uno non ne impedisce la fruizione da parte di un altro; “non escludibili”, perché, una volta fornito il bene, nessuno può esserne escluso dalla fruizione. L'ordinamento giuridico, tuttavia, ha iniziato a prendere in considerazione gli interessi diffusi attribuendo ad essi una certa rilevanza sia in sede procedimentale, sia in sede processuale. a) Sotto il primo profilo l'art. 9 241/1990 attribuisce la facoltà di intervenire nel procedimento a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati nonché ai “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati” ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. Il diritto di partecipazione consente dunque di immettere nel procedimento interessi riferibili alla collettività (es: tutela ambiente) che non coincidono necessariamente con quello curato in via istituzionale e dall’amministrazione titolare del potere. Quest’ultima dovrà tenerne conto in sede di valutazione e ponderazione degli interessi rilevanti e di decisione finale. b) Più complessa è la questione della tutela giurisdizionale degli interessi diffusi che ha avuto oscillazioni in dottrina e in giuri: i principali criteri elaborati per aprire la strada alla tutela giurisdizionale sono essenzialmente tre: il collegamento con la partecipazione procedimentale; l'elaborazione della nozione di interesse collettivo; la legittimazione ex lege. 1. La prima strada proposta in dottrina è stata quella di individuare nella partecipazione al procedimento amministrativo ai sensi della l. n. 241/1990 un elemento di differenziazione e qualificazione tale da consentire l'impugnazione innanzi al giudice amministrativo del provvedimento conclusivo del procedimento (non accolta dalla giurisprudenza). Tuttavia, considerando bene, il diritto di partecipazione al procedimento e la legittimazione processuale hanno funzioni diverse. La partecipazione assolve non soltanto alla funzione di tutela preventiva degli interessi, ma anche quella di fornire all’amministrazione una gamma più ampia di informazioni utili per esercitare meglio il potere. Essa ha, quindi, un ambito più ampio della legittimazione processuale che può essere riconosciuta solo al titolare di una situazione giuridica soggettiva in senso proprio che ha subito una lesione alla quale occorre porre rimedio; 2. Un 'altra via è stata quella di ampliare le maglie dell'interesse legittimo fino a includervi alcune situazioni nelle quali il ricorrente agisce in giudizio per tutelare in realtà un interesse superindividuale. È stata posta in proposito la distinzione tra interesse propriamente diffusi e interessi collettivi, cioè interessi riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati (associazioni sindacali dei lavoratori, partiti politici). A questi organismi è stata riconosciuta in giurisprudenza una legittimazione processuale autonoma, correlata a una situazione di interesse legittimo, allo scopo di tutelare gli interessi non già dei singoli appartenenti alla categoria, bensì della categoria in quanto tale; 56 le asimmetrie informative che spesso sussistono nei rapporti con i soggetti privati, sia nell’interesse di questi ultimi che hanno la possibilità di rappresentare il proprio punto di vista. La partecipazione acquista così una dimensione per così dire collaborativa. Questa dimensione è presente soprattutto nei procedimenti di tipo individuale nei quali il provvedimento determina effetti ampliativi nella sfera giuridica del destinatario. La partecipazione del privato al procedimento è utile, infatti, sia all’amministrazione in relazione alle esigenze di completezza dell’istruttoria, sia al privato che ha così la possibilità di sottoporre all’amministrazione gli elementi necessari affinché essa emani il provvedimento favorevole e gli attribuisca il bene della vita al quale ispira. La dimensione collaborativa è presente anche nei procedimenti di regolazione, con riguardo agli atti di regolazione delle autorità indipendenti. Peraltro, l'amministrazione deve appurare che tutti gli interessi coinvolti siano adeguatamente rappresentati e deve vagliare gli apporti partecipativi dei privati. Inoltre, la voce degli interessi più organizzati (le c.d. lobby) tende a sovrastare quella degli altri interessi, con il rischio di condizionare e influenzare in modo più efficace la valutazione dell’amministrazione (la c.d. cattura dei regolatori). III. Una terza funzione del procedimento è quella della garanzia del contraddittorio (scritto e talora anche orale) a favore dei soggetti incisi negativamente dal provvedimento. Essa connota soprattutto i procedimenti di tipo individuale, nei quali la pubblica amministrazione esercita un potere che determina effetti restrittivi o limitativi della sfera giuridica del destinatario e il rapporto giuridico si connota in termini di contrapposizione, più che di collaborazione. Il contraddittorio procedimentale, che connota in senso giustiziale il procedimento può assumere una dimensione verticale o orizzontale. Þ La dimensione verticale si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l'amministrazione titolare del potere e il destinatario diretto dell'effetto giuridico restrittivo. Nel contraddittorio verticale l'amministrazione deve essere “parte imparziale”, deve cioè a un tempo curare l’interesse pubblico di cui essa è portatrice e garantire la posizione della parte privata portatrice di un interesse contrapposto. Þ La dimensione orizzontale del contraddittorio riguarda i procedimenti nei quali i privati sono portatori di interessi contrapposti e pertanto l'organo decidente è chiamato a garantire la “parità delle armi”. In alcuni casi il contraddittorio è perfettamente paritario, come per esempio nei procedimenti di tipo concorsuale nei quali gli aspiranti a una medesima utilità o bene hanno una eguale pretesa a conseguirli. In altri casi il contraddittorio orizzontale non è del tutto paritario, come per esempio nei procedimenti sanzionatori antitrust nei quali all'impresa sospetta di aver compiuto un abuso di posizione dominante si contrappone l'impresa che ha denunciato ciò all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. IV. Una quarta funzione del procedimento è quella di operare da fattore di legittimazione del potere dell'amministrazione e di promuovere pertanto la democraticità dell'ordinamento amministrativo. Infatti, la caduta della legalità sostanziale, dovuta all’impossibilità del legislatore di prefigurare in modo preciso tutte le situazioni che richiedono l’esercizio del potere, si presta a essere compensata con la legalità procedurale. Il procedimento, aperto alla partecipazione di tutti i soggetti interessati, diviene la sede nella quale si individua la regola per il caso concreto dettata dal provvedimento. à La democrazia procedimentale completa, anche se non soppianta la democrazia rappresentativa 57 (il vincolo procedimentale integra il comando della norma legislativa). V. Una quinta funzione del procedimento è quella di promuovere il coordinamento tra più amministrazioni ciascuna è chiamata a curare un interesse pubblico, nei casi in cui un provvedimento amministrativo vada a incidere su una pluralità di interessi pubblici. Accanto a modelli di coordinamento debole (il parere obbligatorio, ma non vincolante), la legislazione amministrativa prevede modelli di coordinamento più forte (il parere vincolante, l’intesa…). à In definitiva, il procedimento ha una pluralità di funzioni che sono spesso compresenti nella singola fattispecie. Di volta in volta, a seconda del tipo di procedimento, può prevalere l'una o l'altra funzione. 2. LE LEGGI GENERALI SUL PROCEDIMENTO E LA L. N. 241/1990 Il procedimento amministrativo è al centro del sistema del diritto amministrativo in molti ordinamenti e ha trovato una disciplina organica in leggi generali e la l. n. 241/1990. In una prospettiva di comparizione, conviene accennare sopratutto alle leggi austriaca e statunitense che hanno avuto un'influenza su molti ordinamenti. In Italia, il primo tentativo di introdurre una legge generale sul procedimento amministrativo risale al secondo dopoguerra e in particolare al progetto di legge elaborato tra 1944 e il 1947. Il progetto fu riproposto e rielaborato in varie legislature senza però essere approvato. All'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso fu intrapreso un nuovo tentativo ad opera di una commissione che elaborò un testo che ispirò un decennio dopo la legge del 7 agosto 1990 n.241. Il testo è stato più volte modificato e integrato siano ai giorni nostri (la più importante è la 15/2005). La l. n. 241/1990 si caratterizza per il fatto di essere una legge soprattutto di principi, molti dei quali già affermati dalla giurisprudenza amministrativa, che non ha la pretesa di porre una disciplina esaustiva di tutti gli istituti del procedimento. La legge non contiene alcuna definizione generale di procedimento, né una definizione delle singole fasi in cui esso si articola, fornisce, però, una cornice generale che si sovrappone e integra tutte le leggi amministrative che disciplinano i singoli procedimenti. Il campo di applicazione della l. n. 241/1990 è individuato sulla base di un criterio soggettivo e oggettivo. Þ Sotto il profilo soggettivo le disposizioni in essa contenute si applicano alle amministrazioni statali, agli enti pubblici nazionali e anche alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente alle attività che si sostanziano nell’esercizio delle funzioni amministrative. Inoltre, le regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla base dei principi stabiliti dalla l. n. 241/1990 ma non possono prevedere aspetti limitativi rispetto alla legge, ma solo prevedere garanzie maggiori. Þ Sotto il profilo oggettivo, la l. n. 241/1990 si applica nella sua interezza ai procedimenti di tipo individuale. Invece le disposizioni sull'obbligo di motivazione, sulla partecipazione al procedimento, e sul diritto di accesso non si applicano agli atti normativi e agli atti amministrativi generali. La legge disciplina un nuovo modello di rapporto tra la pubblica amministrazione e cittadini. 1. In primo luogo, la l. n. 241/1990 colma la distanza e la separatezza tradizionale tra amministrazione e soggetti privati, i quali avevano come unico punto di contatto con essa il provvedimento emanato in modo unilaterale. Per un verso, i soggetti privati fanno per così dire ingresso nel procedimento attraverso gli 58 strumenti di partecipazione che consentono così ad essi di esprimere il proprio punto di vista. Per altro verso, la l. n. 241/1990 favorisce, ricorso a strumenti consensuali in luogo dell'esercizio unilaterale per così dire dall'alto di poteri autoritativi. Prevede che l'amministrazione possa stipulare accordi con gli interessati, anche su proposta di questi ultimi, per la determinazione del contenuto discrezionale del provvedimento. à il privato si fa in qualche modo “coamministratore”. 2. In secondo luogo, la tradizionale separatezza tra le stesse pubbliche amministrazioni, ciascuna titolare di poteri autonomi, con scarsi canali di comunicazione reciproca, viene vista con sfavore. Sono invece privilegiati strumenti consensuali di collaborazione paritaria per lo svolgimento di attività di interesse comune (accordi) e di coordinamento tra procedimenti paralleli (conferenza di servizi). Inoltre, esse devono collaborare scambiandosi reciprocamente gli atti e i documenti in loro possesso, sgravando il privato dall’onere di procurarseli autonomamente. 3. In terzo luogo, viene attenuata la concezione individualistica e atomistica dei rapporti tra Stato e cittadino propria della concezione liberale ottocentesca. Infatti, al “dialogo” procedimentale possono partecipare non solo i singoli individui incisi dal provvedimento amministrativo, ma anche i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati. à l’amministrazione si apre, cioè, alle espressioni della società civile. 4. In quarto luogo la l. n. 241/1990 supera in gran parte il principio del segreto d'ufficio sulle attività interne all'amministrazione che rendeva imperscrutabile l'operato dell'amministrazione. La legge enuncia infatti il principio di pubblicità e trasparenza e pone una disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi. L'obbligo in capo ai dipendenti pubblici di mantenere il segreto d'ufficio, cioè di non divulgare informazioni riguardanti l'attività amministrativa di cui l'impiegato è in possesso, opera in via residuale, cioè “al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso”, le quali hanno dunque una priorità. Prevede inoltre l'obbligo di rendere pubblici tutti gli atti organizzativi interni. 5. In quinto luogo la l. n. 241/1990 fa cadere il velo dell'anonimato che si frapponeva tra il cittadino e gli apparati amministrativi. La figura del responsabile del procedimento personalizza e “umanizza” infatti il rapporto con i soggetti privati e consente di attribuire in modo più certo le responsabilità interne a ciascun apparato. à In definitiva la legge ha segnato il superamento del modello autoritario dei rapporti tra Stato e cittadino a favore di un modello che pone l'accento sulle garanzie e sui diritti del cittadino che entra in contatto con l'amministrazione. Essa può essere considerata come una legge attributiva di “nuovi diritti” di cittadinanza amministrativa. 3. LE FASI DEL PROCEDIMENTO La sequenza degli atti e degli adempimenti nei quali si articola il procedimento può essere suddivisa in fasi distinte. Le fasi sono essenzialmente: l'iniziativa, l'istruttoria, la conclusione. 4. A) L'INIZIATIVA La prima fase è quella dell'iniziativa, cioè dell'avvio formale del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento finale produttivo degli effetti giuridici nella sfera giuridica del destinatario. Emerge qui una 61 l’autocertificazione che consiste nella possibilità per i soggetti privati di dichiarare sotto propria responsabilità il possesso di determinati stati e di qualità. Si è anche stabilito per legge che i certificati rilasciati da un’amministrazione non hanno valore se prodotti presso altre amministrazioni e ciò al fine di costringerle allo scambio reciproco delle informazioni necessarie. L'attività istruttoria può essere effettuata anche con modalità informali; ad esempio, per favorire la conclusione di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento può essere predisposto un calendario di incontri ai quali sono invitati il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati. Delle attività istruttorie compiute e delle risultanze delle medesime viene dato conto usualmente attraverso la redazione di verbali acquisiti al procedimento (i verbali fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti che in essi risultino menzionati). La fase istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto di intervenire e partecipare al procedimento. Ad essi l’amministrazione è tenuta a comunicare l'avvio del procedimento, possono intervenire anche soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio del provvedimento. La partecipazione e l'intervento incorporano due diritti. 1. Il primo è quello di prendere visione degli atti del procedimento (c.d. accesso procedimentale). 2. Il secondo consiste nella possibilità di presentare memorie scritte e documenti. à Nel loro insieme essi concorrono a fondare il diritto alla partecipazione informata. L'amministrazione ha l'obbligo di valutare i documenti e le memorie presentate, ove pertinenti all'oggetto del procedimento, e deve pertanto darne conto nella motivazione del provvedimento. Sotto il profilo organizzativo l'istruttoria è affidata alla figura del responsabile del procedimento, assegnato di volta in volta dal dirigente responsabile della struttura subito dopo l'apertura del procedimento. Il suo nominativo viene comunicato o reso disponibile su richiesta a tutti i soggetti interessati. La figura del responsabile del procedimento costituisce una delle principali novità del nuovo modello di rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, perché consente a quest'ultimo di avere un interlocutore certo con il quale confrontarsi e rende meno spersonalizzato il rapporto con gli uffici. I compiti del responsabile del procedimento includono tutte le attività propedeutiche all'emanazione del provvedimento finale e l'adozione di ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In aggiunta a quelle relative all'accertamento dei fatti, va richiamato il potere di chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. Nei procedimenti a istanza di parte il responsabile del procedimento è tenuto ad attivare una fase supplementare di contraddittorio nei casi in cui l'istruttoria effettuata dà esito negativo e porti all'adozione di un provvedimento di rigetto dell'istanza. Al soggetto che l’ha proposta, e che dunque ha dato avvio al procedimento, deve essere data comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda. Entro 10 giorni l’interessato può presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da altri documenti, nel tentativo di superare le obiezioni formulate dall’amministrazione. L'eventuale provvedimento finale negativo che rigetta l'istanza deve dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni eventualmente presentate. 62 Di regola il responsabile del procedimento non adotta il provvedimento finale, ma trasmette tutti gli atti, corredati usualmente da una relazione istruttoria, all'organo competente a emanare il provvedimento finale. Quest'ultimo si deve attenere di regola alle risultanze dell'istruttoria. à Può discostarsene, ma deve indicare le ragioni nel provvedimento finale. 6. C) LA CONCLUSIONE: IL TERMINE, IL SILENZIO, GLI ACCORDI Conclusa la fase istruttoria, l'organo competente a emanare il provvedimento finale assume la decisione all'esito di una valutazione complessiva del materiale acquisito al procedimento e, se il potere ha natura discrezionale, della ponderazione degli interessi. L’art. 2 l 241/1990 pone in capo all’amministrazione l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso produttivo di effetti nella sfera giuridica dei destinatari. Il provvedimento finale può essere emanato, a seconda dei casi, dal titolare di un organo individuale (sindaco, prefetto) oppure da un organo collegiale (giunta comunale, consiglio di amm.). Accanto ad atti semplici è frequente nelle leggi amministrative il ricorso ad atti complessi, esempi sono il decreto interministeriale, nel quale convergono la volontà paritaria di una pluralità di amministrazione; il concerto nel quale il ministero competente a emanare il provvedimento deve prima inviare al ministero concertante lo schema di provvedimento per ottenerne l’assenso o indicazioni di modifica; l'intesa che interviene nei rapporti tra Stato e regioni. La determinazione finale è assunta sulla base delle regole vigenti al momento in cui essa è adottata. Al procedimento si applica infatti il principio del tempus regit actum, in base al quale le modifiche intervenute a procedimento avviato trovano immediata applicazione, a meno che non si sia in presenza di situazioni giuridiche ormai consolidate o di fasi procedimentali già del tutto esaurite. c1) Il provvedimento deve essere emanato entro il TERMINE stabilito per lo specifico procedimento. L'art.2 pone una disciplina dei termini di conclusione dei procedimenti che è generale e completa: Þ generale, perché essa si applica là dove manchino disposizioni legislative speciali in tema di termini di conclusione del procedimento; Þ completa, perché l'applicazione della medesima vale direttamente o indirettamente per tutte le fattispecie di procedimenti. L'art.2 rimette anzitutto a ciascuna pubblica amministrazione, nei casi in cui i termini dei procedimenti da essa curati non siano già stabiliti per legge, l'obbligo di individuarli per ciascun tipo di procedimento con propri atti di regolazione e di renderli pubblici. Di regola la durata massima non deve superare i 90 giorni, in ragione della natura interessi pubblici coinvolti e della complessità del procedimento. à Se le amministrazioni non provvedono a porre una propria disciplina dei termini, si applica un termine generale di 30 giorni. In definitiva, la disciplina del termine del procedimento amministrativo posta dall'art.2 l. n. 241/1990 dà corpo al principio della certezza del tempo dell'agire amministrativo. Questo principio risponde sia all’esigenza dell’amministrazione alla cura sollecita dell’interesse pubblico portatrice, sia a quella dei soggetti privati che devono poter programmare le proprie attività facendo affidamento sulla tempestività nell’adozione degli atti amministrativi necessari per intraprenderla. Il termine può essere sospeso per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di necessità di acquisire informazioni o certificazioni. 63 Le leggi e i regolamenti che disciplinano i singoli procedimenti prevedono talora termini endoprocedimentali relativi ad adempimenti posti a carico dei soggetti privati o relativi ad atti attribuiti alla competenza di altre amministrazioni. I termini finali ed endoprocedimentali hanno di regola natura ordinatoria, perché la loro scadenza non fa venir meno il potere di provvedere, né rende illegittimo (o nullo) il provvedimento finale emanato in ritardo. Solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come perentorio e a pena di decadenza il provvedimento tardivo è considerato viziato. Ad esempio, in materia di espropriazione, la dichiarazione di pubblica autorità, che costituisce il presupposto del decreto di espropriazione, indica un termine entro il quale quest’ultimo deve essere emanato (in mancanza di indicazione il termine è di 5 anni): il suo decorso determina l’inefficacia della dichiarazione. In alcune fattispecie di poteri che incidono negativamente sui diritti dei soggetti privati, la natura perentori del termine si ricava in via interpretativa. I termini previsti per gli adempimenti a carico dei soggetti privati nell’ambito del procedimento hanno invece di regola natura più cogente: il loro decorso fa decadere il soggetto privato dalla facoltà di porli in essere o in caso di adempimento tardivo consente all’amministrazione di non tenerne conto. Allo scopo di incentivare il rispetto dei termini previsti per una serie di provvedimenti e di atti procedimentali è stato previsto che se essi sono adottati dopo la scadenza sono inefficaci. Inoltre, il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può provocare conseguenze di vario tipo: può far sorgere una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario o una responsabilità di tipo dirigenziale nei confronti del vertice della struttura; nei casi più gravi il ritardo può essere fonte di responsabilità penale. Il mancato rispetto del termine può costituire anche motivo per l'esercizio del potere sostituivo da parte del dirigente sovraordinato: l’organo di governo di ciascuna amministrazione individua il soggetto titolare di tale potere cui si può rivolgere il privato in caso di ritardo; se ciò avviene, il dirigente è tenuto a concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto attraverso le strutture competenti o nominando un commissario ad acta. Il potere sostitutivo può anche essere esercitato d’ufficio, entro il 30 gennaio di ogni anno il titolare del potere sostitutivo comunica all’organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termine e ciò al fine di sensibilizzarlo e indurlo a intraprendere le iniziative necessarie per risolvere questo tipo di problema. Infine, i provvedimenti su istanza di parte rilasciati in ritardo devono indicare sia il termine previsto dalla legge, sia il termine effettivamente impiegato. L'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento può anche far sorgere l'obbligo di risarcire il danno a favore del privato (danno da ritardo). Questo tipo di responsabilità che va fatta valere innanzi al giudice amministrativo, prescinde del tutto dalla legittimità o illegittimità del provvedimento emanato in ritardo. Ciò significa che il tempo dell'agire amministrativo costituisce un bene dalla vita autonomo da quello correlato all'esercizio del potere. 66 Il potere di recesso è, dunque, riconducibile alla revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. Ad esso si accompagna l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione a eventuali danni subiti dal privato. La disciplina degli accordi ha il valore simbolico di proporre l'immagine di un'amministrazione più aperta al confronto, al dialogo, ai contributi propositivi dei soggetti privati. CAPITOLO 4 IL PROVVEDIMENTO 1. PREMESSA Il provvedimento è la manifestazione di volontà dell’amministrazione tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei confronti del soggetto destinatario, a disciplinare un rapporto giuridico intercorrente tra la P.A. e un soggetto privato e avente per oggetto un bene della vita. Nel nostro ordinamento manca sia una definizione legislativa di atto o provvedimento, sia una disciplina organica delle sue caratteristiche. Il suo regime giuridico si ricava in parte dalle disposizioni contenute nella l. n. 241/1990 e in parte dall'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Il provvedimento amministrativo costituisce dunque una manifestazione dell'autorità dello Stato volta alla cura in concreto dell'interesse pubblico di cui essa è tenuta a farsi carico in base alla legge. In un sistema costituzionale improntato al principio della tendenziale separazione dei poteri l'atto amministrativo, espressione del potere esecutivo, si colloca a fianco di due atti tipici riconducibili agli altri due poteri dello Stato: la legge che è espressione del potere legislativo e la sentenza, espressione del potere giurisdizionale attribuito a magistrature indipendenti. Questi 3 atti hanno in comune il fatto di essere assunti all’esito di un procedimento atto a garantire trasparenza e tutela degli interessi coinvolti. 2. IL REGIME DEL PROVVEDIMENTO 2.1. LA TIPICITÀ Essa si contrappone all'atipicità dei negozi giuridici privati (1322 c.c.); atipicità che riguarda sia i fini perseguiti, sia gli strumenti giuridici per perseguirli. Il principio di tipicità è uno dei corollari del principio di legalità (in senso sostanziale) secondo il quale le pubbliche amministrazioni sono tenute a perseguire esclusivamente il fine stabilito dalla norma di conferimento del potere e può utilizzare soltanto lo strumento giuridico definito dalla stessa norma. Un’attenuazione del principio di tipicità sono le c.d. ordinanze contingibili e urgenti che possono essere emanate soltanto nei casi e per i fini previsti dalla legge ma non sono tipizzate, nel senso che la legge lascia all’organo competente la determinazione del contenuto e degli effetti del provvedimento. I provvedimenti emanati devono trovare dunque un fondamento espresso nella legge (nominatività dei provvedimenti amministrativi – per indicare che l’amministrazione può emanare soltanto gli atti ai quali la legge fa espresso riferimento): in questo caso si può dire che le ordinanze contingibili e urgenti, pur essendo atipiche, sono nominate. 67 Il principio di tipicità e la nominatività escludono che si possano riconoscere in capo all'amministrazione poteri impliciti, cioè poteri non espressamente previsti dalla legge ma ricavabili indirettamente da norme che definiscono altri poteri; tuttavia, secondo la giurisprudenza, è sufficiente in molti casi che le disposizioni legislative contengano un fondamento generico del potere, offrendo così un’interpretazione estensiva ed elastica delle norme attributive del potere, nel tentativo di colmare lacune presenti nelle leggi di settore. 2.2. LA COSIDDETTA IMPERATIVITÀ L'atto amministrativo si differenzia dai negozi di diritto privato, perché è dotato di una particolare forza giuridica atta a far prevalere, ove occorra, l'interesse pubblico sugli interessi dei soggetti privati. Dunque, un secondo carattere tradizionale del provvedimento amministrativo è la cosiddetta imperatività o autoritarietà. Essa consiste nel fatto che la pubblica amministrazione titolare di un potere attribuito dalla legge può, mediante l'emanazione del provvedimento, imporre al soggetto privato destinatario di quest'ultimo le proprie determinazioni operando in modo unilaterale una modifica nella sua sfera giuridica (espropriazione=effetto traslativo= compravendita). Nell'imperatività si manifesta la dimensione verticale (sovraordinazione) dei rapporti tra Stato e cittadino che si contrappone a quella orizzontale (di equiordinazione) delle relazioni giuridiche privatistiche. L’imperatività servì a giustificare, storicamente, la “degradazione” del diritto soggettivo in interesse legittimo ad opera del provvedimento radicando così la giurisdizione del giudice amministrativo. In realtà, l’imperatività altro non è che una formula lessicale che esprime la particolare modalità di produzione degli effetti nei rapporti tra l’amministrazione titolare del potere e il soggetto privato titolare di un interesse legittimo. Infatti, il provvedimento è imperativo in quanto ha l'attitudine a modificare in modo unilaterale la sfera giuridica del soggetto privato destinatario senza che sia necessario acquisire il suo consenso. L'imperatività coincide dunque con l'unilateralità nella produzione di un effetto giuridico che accomuna ogni atto di esercizio di un potere in senso proprio. La stessa unilateralità non è un carattere indefettibile del provvedimento. Infatti, l’esercizio del potere può avvenire con modalità consensuale, cioè con un accordo tra la PA e il soggetto privato avente per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento (ART. 11 LPA). L’efficacia di un provvedimento non dipende dalla validità del medesimo, cioè dalla sua piena conformità alla norma attributiva del potere, anche l’atto illegittimo è in grado di produrre effetti tipici; tuttavia, gli effetti possono essere rimossi con efficacia retroattiva in seguito a sentenza di annullamento del giudice amministrativo ovvero in seguito all’annullamento pronunciato dalla stessa amministrazione in via di autotutela. à Vale cioè quello che è stato definito il principio dell'equiparazione dell'atto invalido all'atto valido. Solo il provvedimento affetto da nullità non ha carattere imperativo. La volontà eventualmente contraria del soggetto privato non preclude il prodursi dell'effetto giuridico: il destinatario del provvedimento si trova dunque in una posizione di passività (di soggezione). Tale imperatività emerge con più evidenzia negli atti amministrativi che determinano effetti ablatori o comunque restrittivi della sfera giuridica del destinatario (int.leg. oppositivi); ma la relazione giuridica con l’amministrazione non è paritaria e consensuale neppure nel caso di atti amministrativi emanati su domanda o istanza dell’interessato e che determinano un effetto ampliativo della sfera giuridica di quest’ultimo attribuendogli un diritto, una facoltà o altra utilità (int.leg. pretensivi), infatti l’effetto giuridico ampliativo viene comunque prodotto in via unilaterale dal provvedimento emanato (emanato, ove ricorrano i presupposti, all’esito di un procedimento, avviato su istanza del privato). 68 La domanda o istanza del privato fa sorgere in capo all’amministrazione (ex art. 2 LPA) un dovere di avviare il procedimento e di emanare all’esito di quest’ultimo il provvedimento richiesto (=dovere di provvedere). La volontà del privato costituisce la legittimazione dell’agire della PA; la volontà non si fonde però con quella dell’amministrazione che emana il provvedimento, a differenza di quanto accade nei negozi giuridici privati. L’effetto giuridico ampliativo viene prodotto in via unilaterale dal provvedimento emanato. 2.3. L ’ESECUTORIETÀ E L ’EFFICACIA Una seconda caratteristica di molti provvedimenti amministrativi è la cosiddetta esecutorietà disciplinata dall’art.21-ter .241/1990. Essa può essere definita come il potere dell'amministrazione di procedere all'esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza dover rivolgersi preventivamente a un giudice allo scopo di ottenere l'esecuzione forzata. L'esecutorietà deroga al principio civilistico del divieto di autotutela, cioè di farsi giustizia da sé. Nei rapporti interprivati, l’autotutela è ammessa infatti solo in casi eccezionali. La regola è invece che chi vuol far valere le proprie ragioni deve rivolgersi al giudice civile che accerti l’inadempimento degli obblighi nascenti dal negozio ed emani una sentenza di condanna e che disponga le misure coattive necessarie per l’esecuzione della sentenza. àLa P.A. ha invece la possibilità di portare a esecuzione i provvedimenti con propri uomini e mezzi. Quindi, mentre l’imperatività opera sul piano della produzione degli effetti giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiali necessarie per conformare la realtà di fatto alla situazione di diritto così come modificata dal provvedimento. Prima dell’introduzione dell’art. 21-ter della LPA si è discusso in dottrina il fondamento dell’esecutorietà del provvedimento amministrativo che è stato rinvenuto in passato nella c.d. presunzione di legittimità del provvedimento. La giustificazione teorica di quest’ultima venne trovata nel fatto che, di norma, gli atti amministrativi siano emanati in modo legittimo e dunque possano essere portati a esecuzione dell’amministrazione direttamente. Tuttavia, la dottrina ha dimostrato l’inconsistenza teorica di questo principio, collegato ad una’ideologia autoritaria dei rapporti fra Stato e cittadino. L'art. 21-ter l. n. 241/1990 pone una disciplina embrionale del potere dell'amministrazione di provvedere all'esecuzione coattiva dei propri provvedimenti confermando che l'esecutorietà non è una caratteristica propria di tutti i provvedimenti amministrativi, ma deve essere di volta in volta prevista dalla legge. Il comma 1 precisa che il potere di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito all’amministrazione solo “nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge”. à L'esecutorietà è riferibile non soltanto agli obblighi nascenti dal provvedimento, ma anche a quelli aventi fonte negoziale. In relazione agli obblighi che sorgono per effetto di un provvedimento amministrativo, quest'ultimo deve indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, l'esecuzione coattiva può avvenire solo previa adozione di un atto di diffida, concedendo così al privato un’ultima chance. In definitiva, l'esecutorietà del provvedimento si concretizza nell'avvio di un procedimento d'ufficio in contraddittorio con il soggetto privato. à L'esecutorietà del provvedimento presuppone che il provvedimento emanato sia efficacie ed esecutivo. 71 Nella motivazione l'amministrazione deve dar di conto di tutti gli elementi rilevanti, acquisiti nel corso dell'istruttoria procedimentale, che l'hanno indotta a operare una determinata scelta, cioè nella motivazione deve essere possibile ricostruire l’iter logico seguito dall’amministrazione per addivenire ad una certa determinazione. La motivazione può essere anche per relationem, cioè con un rinvio ad altro atto acquisito al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni. La motivazione assume particolare importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre in quelli vincolati essa può essere limitata all'enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l'esercizio del potere. Essa è, infatti, lo strumento principale per sindacare la legittimità, in particolare in termini di ragionevolezza e di proporzionalità, delle scelte operate dall'amministrazione. In generale, quanto più ampio è l'ambito della discrezionalità tanto più stringente è da ritenere l'obbligo di motivazione. L'art.3,2. 241/1990 esclude dall'obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Tuttavia, si è riacceso il dibattito, sulla motivazione del provvedimento, in seguito ad alcune disposizioni contenute nella l.n. 15/2005, di riforma della legge n.241/1990, e nella legge 190/2012, che sembrano indicare direttrici contrastanti. à Per un verso: L'art.6,1, 241/1990 prevede ora che l'organo competente ad adottare un provvedimento amministrativo, ove ritenga di discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, deve indicare nella motivazione le ragioni. Un obbligo di motivazione è stato introdotto anche per gli accordi tra amministrazione e privati aventi per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento, equiparando così ancor più il loro regime a quello ordinario dell'atto amministrativo. à Per altro verso: l'art.21-octies,2 l. n. 241/1990 esclude che il provvedimento possa essere annullato per vizi formali o procedurali ove il contenuto dispositivo del medesimo in ogni caso non avrebbe potuto essere diverso. à Si discute dunque se la motivazione abbia perso in parte la sua rilevanza e possa essere per così dire “dequotata” a vizio meramente formale. Ciò che importa è che la decisione sia sorretta da ragione valide, anche se non esternate nella motivazione. Si pone così la questione di se ed entro quali limiti sia superato il divieto tradizionale dell'integrazione della motivazione nel corso del giudizio, enunciato dalla giurisprudenza amministrativa, e dunque dell'ammissibilità della cosiddetta motivazione successiva (o postuma). 6. Infine, ultimo elemento è la FORMA dell'atto amministrativo. È richiesta di regola la forma scritta (per gli atti degli organi collegiali è prevista la verbalizzazione). In taluni casi l'atto può essere esternato oralmente (l'ordine di polizia), oppure l'atto può essere sottoscritto con la firma digitale e comunicato utilizzando le tecnologie informatiche. L'atto amministrativo può assumere, a determinate condizioni, la veste formale di un accordo tra l'amministrazione titolare del potere e il privato destinatario degli effetti volto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento. Si prevede al riguardo i cosiddetti accordi integrativi o sostitutivi per i quali è prescritta a pena di nullità la forma scritta. La nozione di provvedimento implicito emersa in giurisprudenza, cioè che si ricava da un altro provvedimento espresso o da un comportamento concludente dei quali costituisca un presupposto necessario (nomina di un dipendente pubblico che, senza l’adozione di un atto formale, venga inserito nell’organizzazione). 72 Completata l'analisi degli elementi strutturali dell'atto amministrativo, va sottolineato gli “elementi essenziali” del provvedimento, la mancanza dei quali costituisce una delle cause di nullità. Gli elementi essenziali dell'atto amministrativo non sono elencati in modo puntuale dalla legge e dunque essi vanno individuati in via di interpretazione. Per identificare l'atto amministrativo e il suo contenuto dispositivo soccorrono le regole di interpretazione che sono quelle previste in via generale dal Codice civile per l'interpretazione dei contratti (1362). La giurisprudenza ritiene peraltro che alcune di esse non possono essere applicate ai provvedimenti (è il caso degli artt. 1370 e 1371). Su un piano più descrittivo, l'atto amministrativo indica nell'intestazione l'autorità emanante, contiene nel preambolo i riferimenti alle norme legislative e regolamentari che fondano il potere esercitato, richiama gli atti endoprocedimentali e altri atti ritenuti rilevanti e la motivazione, enuncia nel dispositivo la determinazione o situazione finale. Reca anche la data e la sottoscrizione e menziona i destinatari e l'organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere contro l'atto e il termine entro il quale il ricorso va proposto. 4. I PROVVEDIMENTI ORDINATORI Bisogna tenere distinti i provvedimenti aventi effetti limitativi della sfera giuridica del destinatario, tra cui rientrano i provvedimenti ablatori reali e personali, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori, e i provvedimenti aventi effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario. 4.1. I PROVVEDIMENTI ABLATORI REALI Tra questi va menzionata l’espropriazione per pubblica utilità, nella quale si manifesta al massimo grado il conflitto tra interesse pubblico e gli interessi privati. Trova un punto di composizione nel consentire alla P.A., all’esito di un contraddittorio, di trasferire coattivamente il diritto di proprietà dal privato all’amministrazione o al soggetto beneficiario dell’espropriazione, attribuendo al privato il diritto a un indennizzo. L’indennizzo non coincide necessariamente con il valore di mercato, ma non deve neanche essere irrisorio. La Corte costituzionale ha posto il principio del “serio ristoro”, facendo riferimento “al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge”. 4.2. I PROVVEDIMENTI ORDINATORI Tra i provvedimenti ablatori personali vanno collocati gli ordini amministrativi e i provvedimenti che impongono ai destinatari obblighi di fare o di non fare puntuali. L’ordine è un provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione determinata. Nelle organizzazioni improntate al principio gerarchico (l'esercito e le forze di polizia), l'ordine è lo strumento in base al quale il titolare dell'organo o dell'ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida all'attività dell'organo o dell'ufficio sottordinato. Esso presuppone che l’ambito della competenza attribuito a quest’ultimo sia inclusa nell’ambito della competenza del primo. Se l’ordine appare palesemente illegittimo, l’impiegato è tenuto a farne reclamo motivato al superiore, il quale ha sempre il potere di rinnovarlo per iscritto. In questo caso l’impiegato è tenuto a darvi esecuzione, a meno che non si tratti di un atto vietato dalla legge penale. à La mancata osservanza dell’ordine impartito può comportare l’adozione di sanzioni disciplinari. 73 Gli ordini amministrativi possono essere previsti anche al di fuori dei rapporti interorganici e dunque riguardare rapporti intersoggettivi tra l’amministrazione titolare del potere e i soggetti privati destinatari. Gli ordini di polizia sono emanati dalle autorità di pubblica sicurezza. Tra di essi vi è l'invito a comparire dinanzi all'autorità di pubblica sicurezza entro un termine assegnato, la cui inosservanza è sanzionata anche penalmente, oppure l'ordine di sciogliere una riunione o un assembramento che metta in pericolo l'ordine pubblico preceduto da un invito e da tre intimazioni formali. Gli ordini di polizia, al pari degli altri provvedimenti dell'autorità di pubblica sicurezza, sono dotati di esecutorietà, cioè possono essere eseguiti in via amministrativa. L’effettività di questo provvedimento è rafforzata, sotto il profilo penale, da una figura di reato che punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato da un’autorità amministrativa, emanato per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico. Un'altra tipologia di provvedimenti ordinatori è costituita dalla diffida, che consiste nell'ordine di cessare da un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell'infrazione. La diffida può comportare in caso di inottemperanza sanzioni di tipo amministrativo. Un esempio di diffida è il potere attribuito all’autorità competente al controllo degli scarichi di acque inquinanti di ordinare al titolare dell’autorizzazione, che non rispetta le condizioni in essa contenute, di cessare il comportamento entro un termine determinato. 4.3. LE SANZIONI AMMINISTRATIVE Altra tipologia di provvedimenti restrittivi della sfera giuridica del destinatario. Esse sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva. Le sanzioni amministrative sono previste dalle leggi amministrative sia in caso di violazione dei precetti in esse contenuti (es: sanzioni contenute nel Codice della strada), sia nel caso di violazione dei provvedimenti emanati sulla base di tali leggi (es: previste dal Testo unico degli enti locali). In molti casi, la minaccia delle sanzioni amministrative è accresciuta dalla previsione, per gli stessi comportamenti, di sanzioni di tipo penale. In realtà sussiste un certo grado di fungibilità tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, tanto da giustificare interventi periodici del legislatore vuoi nella direzione di depenalizzare gli illeciti minori, vuoi, anche, con minor frequenza nella direzione opposta. La legge 689/1981 detta una disciplina generale delle sanzioni amministrative, richiamando a sé una serie di principi tipicamente penalistici: Þ il principio di legalità, in base al quale nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione e secondo il quale leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati; Þ il principio della personalità, che si manifesta nelle regole relative alla capacità di intendere e di volere, le regole relative al concorso di persone, ecc.; Þ la non trasmissibilità agli eredi. Le sanzioni amministrative sono riconducibili a più tipi: 1. le sanzioni pecuniarie, che fanno sorgere l'obbligo di pagare una somma di danaro determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma; 2. le sanzioni interdittive che incidono sull'attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (sospensione da un albo professionale); 76 à per ridurre i margini di incertezza il d.lgs. 25 novembre 2016, n.22 ha individuato un elenco di fattispecie sottoposte al regime della SCIA e del silenzio-assenso. La SCIA ha dato origine a un dibattito dottrinale circa la sua natura. La SCIA, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe una forma di “autoamministrazione” dei privati, resa possibile proprio dal fatto che lo svolgimento dell'attività è subordinato dalle leggi amministrative alla presenza di presupposti e requisiti vincolati, la sussistenza dei quali, in una fattispecie concreta, può essere accertata in modo agevole dal soggetto interessato che valuta autonomamente la propria situazione e per così dire, emana l'atto autorizzativo “in luogo” dell'amministrazione. à Le ricostruzioni più recenti, avallate dalla giurisprudenza amministrativa, riconducono la SCIA all’ambito delle attività libere, anche se conformate dalle leggi amministrative, sottoposte a vigilanza da parte delle autorità pubbliche. Resta peraltro incerta la questione della tutela del terzo che affermi di subire una lesione nella propria sfera giuridica per effetto dell'avvio dell'attività. Infatti, mentre l'autorizzazione espressa costituisce un atto impugnabile da parte del terzo che vuole opporsi all'avvio dell'attività nel caso della SCIA manca un provvedimento che consenta il ricorso al giudice amministrativo da parte del terzo. Una disposizione legislativa ha precisato che la dichiarazione di inizio attività e la denuncia della stessa non costituiscono provvedimenti direttamente impugnabili; dunque, il terzo che desideri contrastare l'avvio dell'attività deve invitare l'amministrazione a emanare un provvedimento che ne vieti l'avvio o la prosecuzione e se l'amministrazione non provvede può rivolgersi al giudice per far accertare l'obbligo di provvedere. à vedi appunti o pag 183-184 9. LE AUTORIZZAZIONI E LE CONCESSIONI I regimi che subordinano l’avvio dell’attività a un provvedimento di assenso (controllo ex ante) determinano effetti ampliativi della sfera giuridica del privato. I regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale (indicati in un elenco tassativo piuttosto esteso). L'autorizzazione preventiva è giustificata quando l'obiettivo della tutela dell'interesse pubblico non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia. Nell'ambito del modello del controllo preventivo sulle attività dei privati vanno considerate principalmente le autorizzazioni e le concessioni. 1. L'autorizzazione è l'atto con il quale l'amministrazione rimuove un limite all'esercizio di un diritto soggettivo del quale è già titolare il soggetto che presenta la domanda. Il suo rilascio presuppone una verifica della conformità dell'attività ai parametri normativi posti a tutela dell'interesse pubblico (funzione di controllo). Le autorizzazioni danno origine al fenomeno dei diritti soggettivi in attesa di espansione, il cui esercizio è subordinato a una verifica preventiva da parte di una P.A. [l’amministrazione ha un potere “confermativo”; il soggetto privato vanta una posizione di interesse legittimo (pretensivo) che fa coppia con il diritto soggettivo preesistente]. La concessione è invece l'atto con il quale l'amministrazione attribuisce ex novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo a un soggetto privato [il soggetto privato è titolare di un interesse legittimo (pretensivo) allo stato puro, solo in seguito all’emanazione del provvedimento concessorio sorge in capo ad egli un diritto sogg. pieno]. 77 Sotto il profilo funzionale l'autorizzazione è uno strumento di controllo da parte dell'amministrazione sullo svolgimento dell'attività allo scopo di verificare preventivamente che esse non si ponga in contrasto con un interesse pubblico. L'autorizzazione spesso si esaurisce senza che si instauri una relazione stabile con l'amministrazione che vada al di là di una generica attività di vigilanza da parte di quest’ultima sulla permanenza in capo al soggetto privato delle condizioni previste dalla legge. La concessione instaura in molti casi un rapporto di lunga durata con il concessionario caratterizzato da diritti e obblighi reciproci e da poteri di vigilanza più continuativa e talora anche di indirizzo delle attività poste in essere in base alla concessione. La concessione costituisce spesso uno strumento attraverso il quale l’amministrazione affida a soggetti privati la gestione di beni, attività o prerogative proprie. La concessione può avere dunque una valenza di tipo organizzativo e può realizzare una forma di partenariato pubblico-privato. Le concessioni si suddividono in due subcategorie: • le concessioni traslative à trasferiscono in capo a un soggetto privato un diritto o un potere del quale è titolare l'amministrazione. Un esempio è la concessione dell'uso di un bene demaniale per l'installazione di uno stabilimento balneare. • le concessioni costitutive à attribuiscono al soggetto privato un nuovo diritto (onorificenza). Quanto all'oggetto, invece, le concessioni sono riconducibili a varie specie: Þ Vi sono le concessioni di beni pubblici, come in particolare i beni demaniali sui quali possono essere attributi diritti d'uso esclusivi. Þ Una seconda specie è data dalle concessioni di servizi pubblici o di attività ancor oggi sottoposte a un regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello Stato o di enti pubblici come ad esempio la distribuzione dell'energia. Þ Una terza specie è data dalle concessioni di lavori o di servizi assimilati dal Codice dei contratti pubblici e normali contratti (concessioni =/= contratti di appalto di lavoro e servizi). Rientrano infine nel fenomeno concessorio alcuni tipi di sovvenzioni, sussidi e contributi di danaro pubblico erogati, spesso con criteri discrezionali per il perseguimento di interessi pubblici. 2. La bipartizione delle autorizzazioni e delle concessioni appare troppo rigida e si individua così all'interno di ciascuna categoria, una serie di subcategorie intermedie. In particolare, la distinzione tra ® autorizzazioni costitutive, talune connotate da un'ampia discrezionalità e in relazioni alle quali è dubbia la preesistenza di un diritto soggettivo in capo al privato; ® autorizzazioni permissive che operano come condiciones juris, cioè come fatti permissivi o ostativi all'esercizio di una determinata attività con funzione talora di mero controllo di quest'ultima; ® autorizzazioni ricognitive volte in prevalenza a valutare l'idoneità tecnica di persone o di cose (abilitazioni). Tra le categorie ibride vanno menzionate anche le licenze aventi due caratteristiche: 78 • riguardano attività nelle quali non sono rinvenibili preesistenti diritti soggettivi dei soggetti privati; • il loro rilascio è subordinato a valutazioni di tipo tecnico o discrezionale o di coerenza con un quadro programmatorio. La dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato la nozione di concessione-contratto volta ad attenuare il carattere unilateral-pubblicistico dell'atto concessorio. Infatti, ci si rese conto che, soprattutto nei casi di affidamento della gestione di servizi pubblici per periodi di tempo prolungati e richiedenti la realizzazione di infrastrutture complesse e onerose, l’unilateralità della concessione era una finzione; in realtà i privati concessionari pretendevano garanzie per investimenti di lunga durata e altri impegni da parte del concedente incompatibili con la concezione autoritaria tipica del provvedimento amministrativo discrezionale. Con la concessione-contratto il fenomeno concessorio si sdoppia così in due componenti: • un provvedimento (atto di sovranità) volto ad attribuire al concessionario il diritto a svolgere una certa attività; • un contratto o una convenzione volti a regolare su base paritaria i diritti e gli obblighi delle parti nell'ambito di un rapporto di durata. Di fatto poi, nonostante la posizione formale di sovraodinazione dell'amministrazione che rilascia la concessione, la parte contrattualmente più forte finisce spesso per essere l'impresa privata che gestisce il servizio. 3. La distinzione tra autorizzazioni e concessioni ha richiesto un ripensamento complessivo sia alla luce del diritto europeo, sia alla luce del diritto interno. La direttiva 123/2006 recepita con d.lgs 59/2010 dà una definizione onnicomprensiva di regime autorizzatorio. Il diritto europeo è nemico della discrezionalità: subordinare l'esercizio di un'attività a una valutazione discrezionale dell'amministrazione significa costituire una “barriera all'entrata” in un determinato mercato nei confronti del privato o dell'impresa. Il d.lgs 59/2010 enuncia il principio che l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi “costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica” e individua una serie di requisiti di accesso all’attività vietati in modo assoluto perché non giustificati o discriminatori: es. la richiesta della cittadinanza italiana: l'economia deve essere in libera concorrenza. Altri requisiti sono ammessi invece solo per motivi di interesse generale come la salute pubblica o l'ordine pubblico, tutela dei lavoratori es. la previsione di tariffe minime o massime, di un numero minimo di dipendenti. Nei casi in cui il numero delle autorizzazioni deve essere limitato “per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili” o per altri motivi imperativi di interesse generale, il loro rilascio deve avvenire attraverso una procedura di selezione pubblica sulla base di criteri resi pubblici, atti ad assicurare l'imparzialità. In definitiva, le condizioni alle quali i regimi autorizzatori subordinano l'accesso e l'esercizio di un'attività di servizi devono essere, oltre che non discriminatorie e giustificate da un motivo di interesse generale “chiare e inequivocabili”, “oggettive”, “rese pubbliche preventivamente”. In conclusione, alla luce dell'evoluzione del diritto europeo e del diritto interno, la distinzione più rilevante in materia di autorizzazioni e concessioni, è tra atti vincolati e atti discrezionali, tra “autorizzazioni discrezionali costitutive” e “autorizzazioni vincolate ricognitive”. Nelle prime l'atto amministrativo è la 81 all’esercizio del potere discrezionale. 3. Un altro criterio di distinzione riguarda la PROVENIENZA SOGGETTIVA DEL PROVVEDIMENTO. Ci sono casi nei quali il provvedimento è emanato da un organo competente di tipo monocratico e, casi nei quali il provvedimento è espressione della volontà di più organi o soggetti e ha dunque natura di atto complesso. Vanno menzionati anche gli atti collegiali nei quali il provvedimento è emanato da un organo composto da una pluralità di componenti designati con vari criteri (elezione, nomina da parte di organi politici o in rappresentanza di enti pubblici). Le delibere assunte dagli organi collegiali avvengono con modalità procedurali definite negli statuti o nei regolamenti dei singoli enti e amministrazioni. La riunione del collegio viene convocata di regola dal presidente e a ciascuno dei componenti è comunicato in anticipo l'ordine del giorno. Prima di procedere alla discussione e all'assunzione della delibera va verificata la presenza alla riunione del numero legale (quorum costitutivo). La delibera è validamente assunta ove sia approvata dalla maggioranza (semplice, qualificata) dei presenti (quorum deliberativo). La delibera è riferibile unitariamente all’organo collegiale, ma le eventuali responsabilità non ricadono sui componenti assenti o dissenzienti. à Di tutte le operazioni, inclusa la votazione, dà conto il verbale della seduta, predisposto da un segretario verbalizzante e approvato dall'organo collegiale nella seduta successiva. 12. L’INVALIDITÀ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO Anzitutto va precisato che non tutti i casi di difformità tra il provvedimento e le norme che lo disciplinano dà origine a invalidità. Nei casi di imperfezioni minori, l'atto è semplicemente irregolare ed è suscettibile di rettifica o regolarizzazione. à Si ha invalidità allorché la difformità tra atto e norme determina una lesione di interessi tutelati da queste ultime e determina la nullità o di annullabilità dell’atto. L’invalidità trova una disciplina compiuta nella l 241/1990 e nel Codice del processo amministrativo. La teoria generale opera una distinzione contenutistica tra • norme che regolano una condotta: impongono obblighi o attribuiscono diritti • norme che conferiscono poteri: conferiscono poteri. Esse sono state variamente etichettate come norme primarie e secondarie, norme di condotta e norme sulla produzione giuridica, norme di relazione e norme di azione. I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come illeciti e contro di essi l'ordinamento reagisce attraverso l'imposizione di sanzioni di varia natura (sanzioni penali, obbligo di risarcimento). Gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi e contro di essi l'ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L'invalidità può essere definita più precisamente come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale. Essa può essere sanzionata, in funzione della gravità della violazione, secondo due modalità: 82 1. l'inidoneità dell'atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell'ordinamento (nullità); 2. l'idoneità a produrli in via precaria, cioè fin tanto che non intervenga un giudice che, accertata l'invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore (annullamento). Si è affermato nel tempo il principio che equipara il provvedimento invalido a quello valido ai fini della produzione dell'effetto giuridico tipico (salva sua successiva rimozione in seguito all'annullamento). Questo principio appare infatti più rispettoso delle prerogative delle amministrazioni e dell'esigenza di consentire la realizzazione immediata della cura in concreto dell'interesse pubblico. Mentre nel diritto privato l’annullabilità è confinata a ipotesi tassative, nel diritto amministrativo le c.d. figure sintomatiche dell’eccesso di potere, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale sono una sorta di catalogo tendenzialmente aperto e non tipizzato. à In definitiva, il regime dell'annullabilità costituisce il regime ordinario del provvedimento amministrativo invalido, mentre la nullità è un fenomeno marginale. Viene operata un’altra distinzione tra invalidità totale e parziale: la prima investe l'intero atto, la seconda una parte di questo, lasciando inalterata la validità e l'efficacia della parte non affetta dal vizio. Anche il provvedimento amministrativo può essere colpito da invalidità totale o parziale. Quest'ultima si ha nel caso di provvedimenti con effetti scindibili, degli atti plurimi (es: se 1 dei vincitori di un concorso deve essere escluso ciò non travolge pure gli altri). In genere si ritiene applicabile al provvedimento il principio enunciato dall’art 159 c.p.c., secondo il quale l’invalidità di una parte dell’atto si estende alle altre parti solo ove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. Può assumere rilievo anche il principio civilistico in base al quale la nullità di una parte o di una clausola del contratto comporta la nullità del contratto solo quando risulta essenziale per la conclusione dello stesso (1419 c.c.). L'invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta. a. Nel caso di invalidità propria assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l'atto. Nel caso di invalidità derivata, l'invalidità dell'atto discende per così dire per propagazione dall'invalidità di un atto presupposto. L'invalidità derivata può essere di due tipi: 1. ad effetto caducante, e in questo caso travolge in modo automatico l'atto assunto sulla base dell'atto invalido; L'effetto caducante si verifica in presenza di un rapporto di stretta casualità tra i due atti: il secondo costituisce una mera esecuzione del primo. Se invece l’atto successivo non costituisce una conseguenza inevitabile del primo, ma richiede ulteriori apprezzamenti, l’invalidità derivata ha soltanto un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve essere fatta valere attraverso l’impugnazione autonoma di quest’ultimo. 2. ad effetto invalidante, e in questo caso l'atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato. b. Passando a considerare l'invalidità originaria e l'invalidità sopravvenuta, va premesso che in linea di principio trova applicazione anche nel diritto amministrativo il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità del provvedimento si determina con riguardo alle norme in vigore al momento della sua adozione. Poiché l'esercizio del potere avviene nella forma del procedimento, cioè di una pluralità di atti funzionalmente collegati e strumentali all'adozione del provvedimento finale, si pone talora la questione delle conseguenze del mutamento delle norme vigenti sui procedimenti avviati, ma non ancora conclusi (es: se successivamente alla presentazione di una domanda di concessione e all’avvio dell’istruttoria 83 interviene una normativa più ristrettiva, la concessione non può essere più rilasciata; in altri casi il mutamento normativo non incide sulle procedure già iniziate). Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti amministrativi nel caso di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi, la retroattività rende viziato il procedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella terza ipotesi poiché le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici sorti anteriormente (tranne se i rapporti sono esauriti). Conviene svolgere ancora due considerazioni generali sull'invalidità del provvedimento: La prima è che l. n. 241/1990 non ha fatto altro che razionalizzare le acquisizioni giurisprudenziali e dottrinali. Così, in primo luogo, la giurisprudenza interpretò subito la formula “eccesso di potere” non già come “straripamento di potere”, bensì come “sviamento di potere”. Þ Il primo si riferisce ai casi di macroscopico sconfinamento dell'ambito di competenza da parte di un'autorità amministrativa; il secondo ai casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere. In seguito, il giudice amministrativo, allo scopo di accertare l'eccesso di potere elaborò le cosiddette figure sintomatiche dell'eccesso di potere rendendo così sempre più penetrante il sindacato sulla discrezionalità amministrativa. Þ In secondo luogo, la giurisprudenza individuò ipotesi nelle quali il provvedimento è affetto da deviazioni così abnormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura emanato in assenza di una base legislativa tanto da non potere essere inquadrato all'interno del regime dell'illegittimità, che non far venir meno la forza imperativa del provvedimento. Emerse così una tipologia di vizi più gravi sussunti nella categoria della carenza del potere (in astratto e in concreto) o anche della nullità, in presenza dei quali il provvedimento perde il carattere imperativo e dunque non è in grado di travolgere i diritti soggettivi. à Gli atti assunti in carenza di potere vennero pertanto attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, mentre gli atti con riferimento ai quali veniva contestato soltanto il cattivo esercizio del potere restarono affidati alla cognizione del giudice amministrativo. È stata anche elaborata la distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell'amministrazione. Da un lato vi sono i “meri comportamenti” (o comportamenti senza potere) assunti in violazione di una norma di relazione, cioè lesivi di un diritto soggettivo, e ascrivibili alla categoria della illiceità (danno a un veicolo a causa della cattiva manutenzione della strada). Dall'altro vi sono i comportamenti nei quali il collegamento funzionale tra provvedimento invalido e l'attività materiale esecutiva posta in essere dall'amministrazione integra una violazione della norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo confluire, in definitiva, l'intera fattispecie nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. Nel settore dell'espropriazione si contrappone “l'occupazione usurpativa” alla “occupazione appropriativa”. • L’occupazione usurpativa si ha allorché il terreno viene occupato in carenza di qualsivoglia titolo (in via di fatto o in carenza di potere); in questo caso i comportamenti che danno origine a 86 In primo luogo, al vizio di incompetenza non si ritiene applicabile l'art.21-octies c,2 cioè il principio della dequotazione dei vizi formali volto a limitare l'annullabilità degli atti vincolati e ciò in relazione al maggior disvalore collegato alla violazione delle norme sulla competenza. Il vizio di incompetenza assume una priorità rispetto ad altri motivi formulati nel ricorso: se il giudice accerta tale vizio dovrebbe annullare il provvedimento senza esaminare gli ulteriori motivi. Infine, a differenza di quanto accade per i vizi formali, si riteneva ammessa la convalida dell'atto da parte dell'organo competente anche in corso di giudizio. 15. B) LA VIOLAZIONE DI LEGGE La seconda tipologia di vizi che possono causare l'annullabilità è costituita dalla violazione di legge. Essa è considerata una categoria generale residuale, perché in essa confluiscono tutti i vizi che non sono rubricati come incompetenza o eccesso di potere. Essa raggruppa tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario e secondario che definiscono i profili vincolati, formali, sostanziali, del potere. Si discute se la nozione di violazione di legge includa anche la violazione dei principi generali dell'azione amministrativa ai quali fa esplicitamente o implicitamente rinvio l’art. 1 della 241/1990 (imparzialità, proporzionalità, irretroattività del provvedimento) anche se appare preferibile non operare una siffatta inclusione. à La principale distinzione interna alla violazione di legge è quella tra vizi formali (error in procedendo) e vizi sostanziali (error in judicando). L'art,21-octies, c. 2, l. n. 241/1990 enuclea tra le ipotesi di violazione di legge la “violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti”, cioè una subcategoria di vizi formali che, a certe condizioni sono dequotati a vizi che non determinano l'annullabilità del provvedimento. La disposizione pone più specificamente le seguenti condizioni: che il provvedimento abbia “natura vincolata”; che pertanto “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Riguardo la prima condizione: se si accerta che il potere è integralmente vincolato, ne discende, come conseguenza automatica, anche l'altra condizione e cioè che risulta palese che, anche in assenza del vizio formale o procedurale rilevato, il contenuto del provvedimento sarebbe rimasta invariato. à In questo caso il provvedimento non può essere annullato né dal giudice amministrativo nell'ambito di un giudizio di impugnazione, né dalla stessa amministrazione in sede di esercizio del potere di autotutela. Il secondo periodo dell'art 21.241/1990 individua un’ipotesi particolare costituita “dall'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento”. L'operazione richiesta all'interprete è una ricostruzione di quello che sarebbe stato l'esito del procedimento ove tutte le norme sul procedimento e sulla forma fossero state rispettate. Se la conclusione di questa sorta di simulazione mentale è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l'atto non può essere annullato (regime uguale a quell previsto per il primo periodo del medesimo art). La disposizione presenta però due specificità: ® manca il riferimento alla natura vincolata del potere; ® si richiede all'amministrazione che ha emanato l'atto di dimostrare “in giudizio” che il vizio procedurale o formale accertato non ha avuto alcuna influenza sul contenuto del provvedimento. 87 Quanto al primo aspetto, la disposizione include nel suo campo di applicazione anche i poteri discrezionali (in astratto). Solo qualora risulti ex post che l'amministrazione non aveva altra scelta legittima se non quella di emanare un atto con quel contenuto (vincolatezza in concreto), può operare il principio della non annullabilità per violazione delle norme formali e procedurali. Quanto al secondo aspetto, l'onere della prova su questo punto grava sull'amministrazione nei confronti della quale sia stato proposto un ricorso per l'annullamento del provvedimento viziato. Ciò comporta una deroga alle regole processuali ordinarie che vietano all'amministrazione di integrare la motivazione nel corso del giudizio. à Poiché si tratta di prova negativa, la disposizione attribuisce al ricorrente l'onere di allegare in giudizio gli elementi che sarebbero stati prodotti nell'ambito del procedimento ove la comunicazione di avvio del medesimo procedimento fosse stata effettuata nelle forme prescritte. L'art. 21-octies.2 si inserisce nella tendenza del nostro ordinamento a valorizzare il principio di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa (amministrazione di risultato) a scapito, entro dei limiti, di quello rispetto della forma e dunque della funzione di garanzia assoluta dalle norme relative al procedimento e alla forma. L’art 21-octies, c.2 ha dato origine a dispute in dottrina e a una cospicua giurisprudenza non ancora qualificata. Secondo la giurisprudenza, ad esempio, la mancanza di motivazione in un provvedimento integralmente vincolato non può giustificare l'annullamento di quest'ultimo, ma applica talora la stessa regola anche a provvedimenti che presentano margini di discrezionalità se, dagli atti del procedimento, risultano le ragioni sottostanti. La disposizione pone varie questioni interpretative: 1. Una prima interpretazione dice che l'art. ha valenza processuale e non sostanziale. L'atto non può essere annullato dal giudice ma, sotto il profilo sostanziale continua ad essere illegittimo che potrebbe portare la p.a. a esercitare il potere di annullamento d'ufficio. 2. Secondo un'altra interpretazione la disposizione avrebbe tipizzato in via legislativa una fattispecie di irregolarità non invalidante del provvedimento. Che cos'è l'irregolarità? Sono casi di imperfezioni minori che non legano alcun interesse (n'è privato n'è pubblico) es. data indicata su un provvedimento, non inserire nel provvedimento presso quale attività si può fare un ricorso ed entro quale termine ecc o errori materiali es. individuazione dell’oggetto. L'irregolarità non rende invalido il provvedimento che è suscettibile di regolarizzazione attraverso la rettifica del provvedimento. In realtà, il disvalore della violazione delle norme sulla forma dell'atto e sul procedimento previsto dal medesimo articolo al comma 2 sembra essere maggiore, rispetto a quello di una mera irregolarità non lesiva di alcun interesse pubblico apprezzabile. 3. Sembra quindi preferibile una terza interpretazione che qualifica come illegittimi anche i provvedimenti non annullabili ai sensi della disposizione. Quindi in definitiva l'art. 21 octies co.2 seguendo questa interpretazione ha stabilito soltanto che per taluni atti illegittimi l'annullabilità, vuoi da parte del giudice vuoi d'ufficio, costituisce una reazione dell'ordinamento da ritenersi non proporzionata, visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. Resta peraltro da appurare quali altre conseguenze possono essere ricollegate ai vizi formali e procedurali. La tutela risarcitoria non sembra percorribile poiché è difficile configurare un danno in capo al privato da un atto il cui contenuto non sarebbe stato comunque diverso. Ipotizzabile è invece, a certe condizioni, una 88 responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario al quale sia imputabile la violazione formale o procedurale riscontrata; potrebbe essere valutata l’opportunità di introdurre una sanzione di tipo pecuniaria a carico dell’amministrazione. 16. C) L’ECCESSO DI POTERE L’eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali. Esso consente al giudice di operare un sindacato che va oltre la verifica del rispetto dei vincoli posti in modo esplicito dalla norma attributiva del potere (aspetti vincolati del potere) e che può spingersi invece fino alle soglie del c.d. merito amministrativo. L’eccesso di potere ha riguardo all’aspetto funzionale del potere, cioè alla realizzazione in concreto dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione. L'eccesso di potere è definito oggi come vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. In tale passaggio, all'interno cioè delle fasi del procedimento, possono emergere anomalie, incongruenze e disfunzioni che danno origine appunto all'eccesso di potere. La figura primigenia dell'eccesso di potere è lo sviamento di potere che consiste nella violazione del vincolo del fine pubblico posto dalla norma attributiva del potere. Una siffatta violazione si ha allorché il provvedimento emanato persegue un fine diverso da quello in relazione al quale il potere è conferito dalla legge all'amministrazione. Nella pratica lo sviamento di potere è difficile da provare, in quanto il provvedimento, all'apparenza, si presenta spesso come conforme alle disposizioni normative che regolano quel particolare potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza a rilevare il vizio in via diretta, attraverso elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionale costituiti dalle cosiddette figure sintomatiche dell'eccesso di potere. Le figure sintomatiche costituiscono una categoria aperta, non tipizzata dal legislatore. Prima di esaminare la ricostruzione teorica delle figure sintomatiche conviene analizzarne più da vicino le principali fattispecie. C1) ERRORE O TRAVISAMENTO DEI FATTI Se il provvedimento viene emanato sul presupposto dell'esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta invece inesistente, o viceversa, della non esistenza emerge la figura dell'eccesso di potere per errore di fatto (o anche travisamento dei fatti). Esempi sono l'imposizione di un obbligo di bonifica ambientale di un terreno nel quale invece si dimostra che non sono presenti sostanze inquinanti. Non rileva se l’errore è inconsapevole o consapevole. C2) DIFETTO DI ISTRUTTORIA Nella fase istruttoria del procedimento l'amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti, ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni alto elemento utile per operare una scelta consapevole e ponderata. Ove questa attività, posta in essere dal responsabile del procedimento, manchi del tutto o sia incompleto, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell'eccesso di potere per difetto di istruttoria. Es. un piano urbano del traffico comunale non può porre limiti di accesso al centro storico ove i flussi di traffico non dimostrino una situazione di congestione. A differenza dell’errore di fatto, in questo caso non può escludersi che annullato l’atto e posta in essere una nuova istruttoria, questa volta in modo corretto, l’amministrazione potrebbe adottare un atto con il medesimo contenuto. 91 c) Di recente, le figure sintomatiche sono state qualificate come clausole generali (buona fede, imparzialità) che fanno sorgere obblighi comportamentali nell'ambito del rapporto giuridico amministrativo intercorrente tra la pubblica amministrazione e il cittadino. In definitiva, le figure sintomatiche dell'eccesso di potere, pur essendo ben collaudate nella prassi della giurisprudenza, hanno ancora uno statuto teorico incerto. 17. LA NULLITÀ La nullità è una categoria introdotta in via giurisprudenziale per inquadrare le patologie più gravi del provvedimento; pur avendo una rilevanza teorica equiparata all’annullabilità, nella pratica costituisce un fenomeno marginale. L'art.21-septies 241/1990 individua anzitutto quattro ipotesi tassative di nullità: la mancanza degli elementi essenziali; il difetto assoluto di attribuzione; la violazione o elusione del giudicato; gli altri casi espressamente previsti dalla legge. 1. La mancanza degli elementi essenziali accomuna la nullità del provvedimento a quella del contratto, la l. n. 241/1990 non li elenca in modo preciso, rimettendo così all'interprete il compito di individuare le singole fattispecie. 2. Il difetto assoluto di attribuzione è già stato esaminato trattando della carenza di potere e dell'incompetenza assoluta e non richiede ulteriori svolgimenti. Esso corrisponde alla figura dello straripamento di potere. 3. La violazione o elusione del giudicato è un’ipotesi particolare che riprende e legifica gli orientamenti giurisprudenziali. Si ha elusione del giudicato allorché l'amministrazione in seguito all'annullamento pronunciato dal giudice con sentenza passata in giudicato emana un nuovo atto che si pone in contrasto con quest'ultima allorché essa ponga un vincolo puntuale e non lasci all'amministrazione alcuno spazio di valutazione. Il nuovo atto, cioè “ignora e palesemente trascura il sostanziale contenuto del giudicato e manifesta il reale intendimento dell'amministrazione di sottrarsi al giudicato”. 4. La quarta ipotesi di nullità si riferisce ai casi in cui la legge qualifica espressamente come nullo un atto amministrativo (nullità testuale): es: il Codice dei contratti pubblici sancisce la nullità delle clausole dei bandi di gara che introducono casi di esclusione dei concorrenti ulteriori rispetto a quelle stabilite dalla legge. La nullità è talora disposta per legge con riguardo a termini di conclusione di procedimenti amministrativi qualificati dalla legge come termini posti a pena di decadenza (termini perentori). Si è discusso se un'ipotesi di nullità sia costituita dagli atti adottati dall'amministrazione in applicazione di norme nazionali contrastanti con il diritto europeo. Questi atti si qualificano come annullabili, e cioè in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici di diritto pubblico (invece sono nulli quando è la norma attributiva del potere si pone in violazione del diritto europeo). 17.1 AZIONE DI NULLITÀ Sul versante processuale, il Codice del processo amministrativo introduce un'azione per la declaratoria della nullità (azione di accertamento) che può essere proposta innanzi al giudice amministrativo entro un termine di decadenza assi breve (180 giorni) e ciò in relazione, all'esigenza di garantire stabilità all'assetto 92 dei rapporti di diritto pubblico. A differenza di quanto accade per l'annullabilità, la nullità può essere sempre rilevata d'ufficio dal giudice o opposta dalla parte resistente (P.A.). Inoltre, si attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alla nullità dell'atto adottato in violazione o elusione del giudicato. Il vizio deve essere fatto valere nella sede del giudizio di ottemperanza, cioè del rito speciale previsto nel caso di mancata esecuzione da parte della P.A. delle sentenze del giudice amministrativo e del giudice ordinario. Il ricorso può essere promosso nel termine di 10 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza e il giudice ove accolga il ricorso emana una sentenza che dichiara la nullità del provvedimento. 18. L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO, LA CONVALIDA, LA RATIFICA, LA SANATORIA, LA CONFERMA, LA CONVERSIONE, LA REVOCA, IL RECESSO Si tratta di provvedimenti che l'amministrazione può emanare per porre rimedio all'invalidità o alla non conformità all'interesse pubblico di un provvedimento amministrativo. I provvedimenti in questione sono assunti nell'ambito di procedimenti definiti di secondo grado proprio perché hanno per oggetto atti già emanati che l'amministrazione sottopone a un riesame. 18.1. L 'ANNULLAMENTO D'UFFICIO La misura specifica per reagire all'illegittimità del provvedimento è costituita dall'annullamento con efficacia ex tunc dell'atto emanato. L'annullamento del provvedimento illegittimo può essere pronunciato oltre che dal giudice amministrativo in caso di accoglimento del ricorso proposto dal titolare dell'interesse legittimo, anche in altri contesti e da altri soggetti: dalla stessa amministrazione in sede di esame dei ricorsi amministrativi; dagli organi amministrativi preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti. In queste ipotesi l’annullamento è doveroso, nel senso che deve essere necessariamente reso ove sia accertato un vizio. L’annullamento d’ufficio ha invece carattere discrezionale e costituisce una delle manifestazioni del potere di autotutela della P.A. Il potere in questione può essere esercitato dallo stesso organo che ha emanato l'atto (c.d. autoannullamento) o da altro organo al quale sia attribuito per legge (annullamento gerarchico). Affinché l'amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento d'ufficio devono sussistere quattro presupposti esplicitati dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990. I. Il primo è che il provvedimento sia “illegittimo ai sensi dell'art. 21 octies”, sia affetto da un vizio di violazione di legge, di incompetenza o di eccesso di potere. II. Devono inoltre sussistere “ragioni di interesse pubblico”, rimesse alla valutazione dell'amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell'atto e dei suoi effetti piuttosto che la loro conservazione, pur in presenza di una illegittimità accertata. L'interesse astratto al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l'amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento in cui è disposto l'annullamento d'ufficio. III. L'annullamento d'ufficio richiede in terzo luogo come chiarisce l'art.21-nonies, una ponderazione di tutti gli interessi in gioco che deve essere esplicitata nella motivazione. Devono essere valutati, specificamente, oltre all'interesse pubblico all'annullamento, da un lato, quello del destinatario del 93 provvedimento; dall'altro quello degli eventuali controinteressati. IV. Infine, la valutazione discrezionale deve tener conto del fattore temporale. L'annullamento può essere disposto “entro un termine ragionevole” (altrimenti prevale l’interessa a mantenere inalterato lo status a quo ante e a tutelare l’affidamento creato). Rientra nella discrezionalità dell’amministrazione stabilire se il termine è ragionevole e poiché ciò introduce un elemento di incertezza sulla stabilità dei rapporti giuridici amministrativi, è stato fissato il termine di 12 mesi per alcuni tipi di provvedimenti. Attesa la natura discrezionale dell'annullamento d'ufficio, l'amministrazione non è tenuta a prendere in esame e a dar seguito a segnalazioni ed esposti da parte di soggetti privati che denunciano l'illegittimità di un atto amministrativo. 18.2. LA CONVALIDA In alternativa all'annullamento d'ufficio, l'art.21-nonies,2 prevede che l'amministrazione possa procedere alla convalida del provvedimento illegittimo, sempre in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. La convalida del provvedimento amministrativo è operata dalla stessa amministrazione cui è imputabile il vizio rilevato e opera retroattivamente (=/= nel diritto privato la convalida spetta al soggetto leso). Se la convalida riguarda il vizio di incompetenza è ricorrente nell'uso l'espressione di ratifica. La ratifica riguarda più propriamente le ipotesi nelle quali all'interno di un'amministrazione pubblica un organo può, in base alla legge, esercitare in caso d'urgenza una competenza attribuita in via ordinaria a un altro organo, che poi è chiamato a far proprio l'atto emanato. 18.3. LA SANATORIA Si parla talora anche di sanatoria nei casi in cui l'atto è emanato in carenza di un presupposto e quest'ultimo si materializza in un momento successivo, oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo. 18.4. LA CONFERMA E L 'ATTO CONFERMATIVO All'esito di un procedimento di riesame aperto su sollecitazione di un privato o anche d'ufficio, l'amministrazione può pervenire, inseguito all'istruttoria, alla conclusione che il provvedimento, nonostante i dubbi iniziali, non è affetto da alcun vizio. In questi casi l'amministrazione emana un provvedimento di conferma. Si distingue tra conferma che costituisce un provvedimento amministrativo autonomo dal contenuto identico di quello oggetto del riesame, e atto meramente confermativo; con quest'ultimo l'amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non vi sono motivi di riaprire il procedimento e procedere a una nuova valutazione. 18.5. LA CONVERSIONE Con riferimento ai provvedimenti affetti da nullità e da annullabilità, si ritiene generalmente applicabile, anche in assenza di una disposizione legislativa, la conversione. 18.6. LA REVOCA Anche i provvedimenti perfettamente validi ed efficaci sono passibili di un riesame che ha per oggetto il merito (opportunità), cioè la conformità all'interesse pubblico dell'assetto degli interessi risultante dall'atto emanato. Uno degli istituti più caratteristici del diritto amministrativo è la revoca del provvedimento.
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