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Riassunto Manuale di diritto penale. Parte generale.C.F. Grosso - M. Pelissero - D. Petrini - P. Pisa, 2013 + APPUNTI, Sintesi del corso di Diritto Penale

Riassunto delle parti: 2 -3 - 4 - 5 - 7 del libro: C.F. Grosso - M. Pelissero - D. Petrini - P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale. 2013 + APPUNTI dalle lezioni di diritto penale di Daniela Falcinelli nell' a.a. 2014/1015

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 13/10/2015

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Scarica Riassunto Manuale di diritto penale. Parte generale.C.F. Grosso - M. Pelissero - D. Petrini - P. Pisa, 2013 + APPUNTI e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! 1 PARTE I DIRITTO PENALE: parte dell’ordinamento giuridico che regolamenta le relazioni tra i soggetti della collettività. Ha due caratteri essenziali: umanità e storicità, due coordinate fondamentali dell’uomo. Macro-parametri: naturalismo e normativismo per lo studio di vari Istituti, che si arricchiscono di due necessari componenti: oggettivismo e soggettivismo. Oggetto del diritto penale: fatti penalmente rilevanti. Non si guarda al soggetto ma al fatto, al comportamento del soggetto in funzione del quale si valuterà il ruolo del soggetto ed eventualmente la sua punibilità. Caratteristica del diritto penale: si parla di Sistema Penale, quindi si ha una logica non solo lineare ma anche circolare, perché gli Istituti che compongono questa parte dell’ordinamento giuridico si leggono e si comprendono non solo in sé stessi ma anche in collegamento con gli altri. Codice penale: un insieme di norme scritte. Norma : regola generale ed astratta (logica deduttiva: si parte dalla regola per comprendere/verificare il caso concreto). I vari rami dell’ordinamento giuridico individuano modelli di comportamento positivi, comportamenti cioè che il cittadino può e deve apprestare per ottenere determinati risultati utili e positivi. All’opposto il diritto penale. Peculiarità del diritto penale (autonomia e originalità): 1. il diritto penale individua modelli di comportamento negativi, cioè quei fatti vietati che non devono essere commessi, fatti illeciti negativi e sanzionati con pena (obblighi e divieti). 2. la mancanza di osservanza della norma penale è sanzionata con pena: Un fatto di reato si riconosce perché la norma, la previsione generale ed astratta, sancisce che a fronte della violazione del precetto (dovere o divieto) consegue una certa misura sanzionatoria. Il diritto penale, quindi, disciplina i fatti che costituiscono reato e le relative sanzioni. Esso si distingue dal diritto civile che regola i diritti dei cittadini e i rapporti tra i privati, e dal diritto amministrativo che disciplina l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche e i rapporti fra esse e i cittadini. Il reato è punito con sanzioni consistenti in pene e misure di sicurezza; l’illecito civile è sanzionato con le sanzioni del risarcimento e delle restituzioni; l’illecito amministrativo viene punito con sanzioni amministrative consistenti in sanzioni pecuniarie, interdizioni, prescrizioni, obblighi di ripristino. Reato (caratterizzato dalla specifica tipizzazione di ciascun illecito) ≠ Illecito civile, quest’ultimo si presenta come mero illecito di lesione, caratterizzato dall’atipicità e dalla generalizzazione della sua formulazione. Meno marcate sono le differenze tra illecito penale e amministrativo in quanto caratterizzato entrambi secondo particolari connotati, anche per quanto riguarda il contenuto di alcune sanzioni. Il sistema sanzionatorio penale Costituito da: Pene principali Sono costituite secondo lo schema duale rappresentato dalle pene detentive (ergastolo, reclusione, arresto) e dalle pene pecuniarie (multa, ammenda). Questa impostazione emerge dall’art. 17 c.p.: - la pena di morte (originariamente prevista è stata eliminata con il d.lgs.luog.n.224 del 1944 e successivamente repudiata dalla Costituzione con l’art. 27 comma 4). - l’ergastolo: La pena dell’ergastolo, regolata dall’art. 22 c.p., è perpetua ed è prevista per alcuni reati contro la personalità dello Stato, l’incolumità pubblica e contro la vita. Si assiste, tuttavia, ad una progressiva erosione della durata perpetua della pena dell’ergastolo. - Pena detentiva: reclusione (per i delitti) e arresto (per le contravvenzioni) - Pena pecuniaria: multa (per i delitti) e ammenda (per le contravvenzioni) 2 Esse consistono nel pagamento allo Stato di una somma di denaro, che può essere fissa o proporzionale (art. 27 c.p.) entro i limiti minimo e massimo stabiliti dalla legge, salva la facoltà del giudice, quando per le condizioni economiche del reo la pena pecuniaria stabilita dalla legge può presumersi inefficace, di aumentarla fino al triplo o di diminuirla fino a un terzo Le uniche manifestazione di flessibilità del sistema sanzionatorio erano rappresentate dalla sospensione condizionale della pena o dalla liberazione condizionale (che poteva intervenire dopo l’espiazione di una parte cospicua della pena detentiva). Con il nuovo Ordinamento penitenziario varato 1975 fanno la comparsa le misure alternative alla detenzione con le quali vengono individuate ulteriori modalità di esecuzione della pena detentiva: - semilibertà - affidamento in prova ai servizi sociali e successivamente detenzione domiciliare. Con la l.24 Novembre 1981, n. 689, vengono introdotte sanzione sostitutive delle pene detentive brevi: - semidetenzione: che può sostituire le pene detentive fino a 2 anni e consiste nell’obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno in un carcere e in una serie di limitazioni. - libertà controllata: che può sostituire le pene detentive fino ad un anno e consiste nel divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salva autorizzazione; nell’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale ufficio di pubblica sicurezza o presso il comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente; prevede una serie di limitazioni. - lavoro sostitutivo. Infine, nel 2000, viene riconosciuta una pur limitata competenza penale al giudice di pace, il sistema sanzionatorio – oltre all’ampliamento dello spazio riconosciuto alla pena pecuniaria – si arricchisce con la permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità. Pene accessorie Le pene accessorie hanno carattere interdittivo, dal momento che consistono in una privazione di determinati diritti o facoltà o nella limitazione del loro esercizio. Sono previste pene accessorie specifiche per i delitti (l’interdizione dai pubblici uffici, da una professione o da un’arte, l’interdizione legale, l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro, la decadenza o la sospensione dell’esercizio della potestà dei genitori) e per le contravvenzioni (sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte, sospensione gli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese). Caratteristica delle pene accessorie, oltre al loro inevitabile collegamento con le pene principali, è quella di un maggior automatismo che si manifesta attraverso una ridotta discrezionalità del giudice, che non solo è tenuto ad infliggere la pena accessoria in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge, ma è spesso vincolato nella determinazione della loro durata. MISURE DI SICUREZZA Il codice penale prevede, accanto alle pene, anche le misure di sicurezza in funzione di controllo e prevenzione della pericolosità dell’autore. Si parla sistema sanzionatorio a doppio binario: - le pene sono indirizzate a punire il fatto e hanno una necessaria vocazione alla rieducazione (art. 27 comma 3 Cost.); - le misure di sicurezza hanno, accanto alla funzione di difesa sociale, la funzione di prevenzione speciale positiva dei comportamenti illeciti del reo, e anche esse devono tendere alla rieducazione attraverso interventi che appaiano più adeguati, ma con l’esclusione di qualsiasi intervento di rieducazione coatta. Nella prospettiva costituzionale le misure di sicurezza si devono muovere nella duplice prospettiva di tutela della collettività e di supporto a favore della persona destinataria della misura. Un ulteriore elemento di omogeneità tra pene e misure di sicurezza sta nella loro afflittività: carattere sia delle pene sia delle misure di sicurezza, che comportano una limitazione della libertà personale, protraibile sine die sulla base di un giudizio prognostico, sempre incerto, di pericolosità sociale. Il carattere che rende il diritto penale autonomo, originale, distinto è la pena che ha una particolare caratterizzazione: misura coercitiva che interviene sulla libertà personale dell’individuo. 5 rivolge non tanto alla vittima ma al colpevole, il reo per garantirlo e tutelarlo assegnando una funzione alla pena che vada oltre se stessa. La pena deve essere un valore per il reo e cioè impatta sulle 3 fasi: - comminatoria: se la pena a questa funzione di riavvicinamento del singolo ai valori della collettività nel momento in cui il legislatore va a scrivere il precetto e la sanzione, deve fare i conti con un rapporto di proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione. In quanto, applicare una sanzione eccessiva significherebbe far percepire al reo l’ingiustizia, ciò lo spingerebbe ad allontanarsi dal sistema pubblico dei valori piuttosto che avvicinarlo e reinserirlo in esso. - irrogazione: il giudice dovrà stabilire la misura della reclusione da applicare tenendo presente sempre la funzione di rieducazione e dovrà individualizzarla tenendo presente il fatto commesso, la gravità e la capacità a delinquere, parametri attraverso i quali il giudice dovrà quantificare la pena. Non si parla più di pene esemplari dichiarate incostituzionali, la norma viene calata nel caso concreto e deve soddisfare le esigenze di giustizia reale. - esecuzione: in questa sede vengono aumentati i diritti dei detenuti. La pena deve essere tendenzialmente rieducativa. Sopravvivono l’ergastolo (dichiarato costituzionalmente legittimo ma non per i minori) e il regime del 41 bis (regime di esecuzione penitenziario della pena che esclude i diritti di libertà del detenuto, lo isola non consentendogli lo sviluppo di relazioni interpersonali, precludendogli l’accesso all’esterno, la comunicazione con i familiari, la possibilità di avere riviste ecc… questo regime è previsto per i condannati per associazioni a delinquere di stampo mafiosa). Come spiegare la sopravvivenza di questi di fronte al precetto costituzionale? - ergastolo: costituzionalmente legittimo, essendo stato reintrodotto a partire dagli anni ’70 l’istituto della liberazione condizionale, che consente, trascorsi 26 anni di reclusione, la possibilità per l’ergastolano di avere una limitazione della libertà personale al di fuori del carcere purché negli anni di detenzione abbia dato prova sicura di un certo ravvedimento. La tendenziale funzione rieducativa dipende dal reo. Il sistema penale in queste 3 fasi deve offrire al reo la possibilità di essere rieducato ciò non significa che il reo voglia essere rieducato. Infatti, dipende dal singolo se accettare o meno questa funzione. Laddove la funzione rieducativa non possa attecchire, perché non c’è volontà del reo, l’unico effetto che può avere la funzione di prevenzione speciale e individuale è quello di neutralizzazione, allontanamento dalla collettività in quanto funzione della pena è anche quella di difesa sociale. A questo proposito si parla di regime del 41 bis utilizzato solo se il reo mantiene un atteggiamento di chiusura negando ogni forma di collaborazione e mantenendo collegamenti con l’associazione mafiosa (cosa che deve essere provata). Art. 13 Cost “La libertà personale è inviolabile. (comma 1) Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. (comma 2) È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. (comma 4)” Sancisce il primo diritto di libertà del cittadino italiano, della persona umana. Libertà personale: di che si tratta? Libertà fisica (in quanto gli altri tipi di libertà già li troviamo negli artt. 14 e seguenti), si tratta di una libertà di muoversi fisicamente nello spazio tempo; libera auto-determinazione dell’uomo che ha però un riflesso materiale particolare. Essa è la stessa libertà violata attraverso l’applicazione di una sanzione penale: come si giustifica? Perché viene scelta questa estrema ratio? L’ultima evoluzione della scienza penale: la Corte Costituzionale è venuta a riconoscere l’esistenza di questo principio che fornisce dei limiti contenutistici ai fatti penalmente rilevanti a partire dalla metà degli anni ‘ 90, conseguente alla formulazione del principio di colpevolezza che ci instrada verso un profilo 6 soggettivo del reato e del principio di offensività con riguardo all’art.13 e che ci incanala, invece, verso un’analisi oggettiva del fatto penalmente rilevante. Principio di offensività significa che il fatto di reato non può e non deve essere un fatto qualunque. Può essere fatto di reato solamente il fatto offensivo -> lo diceva Gian Beccaria come portato delle garanzie illuministiche, si riteneva che il legislatore non potesse essere considerato completamente libero nello scrivere una norma penale ma dovesse prevedere fatti, non espressione di una mera disobbedienza o infedeltà, ma fatti (non meri atteggiamenti interiori non comprovabili in sede processuale) materiali, cioè che siano esternati comportamenti che possono essere completamente valutati e che siano offensivi. Che cosa si intende per offensività? 1. in un primo momento evolutivo si era inteso che offendibili in sede penale, quindi garantibili attraverso la sanzione penale, potessero essere esclusivamente i diritti individuali (diritti soggettivi ≠ da interessi legittimi). In realtà, da sempre, il Codice Rocco, quindi, il diritto penale, conosce di situazioni giuridiche tutelate in sede penale che fuoriescono dalla sfera della mera individualità, viene ad essere regolamentata la tipologia di reati contro la personalità dello Stato, vengono tutelate le funzioni pubbliche o di beni collettivi (super- individuali) della salute pubblica, incolumità pubblica. Quindi, questa prima delimitazione ha perso presto la sua forza perché le esigenze di protezione penale sono più ampie. 2. Si è allora arrivati alla categoria del c.d. bene giuridico. Il reato deve essere il fatto offensivo di un bene giuridico, cioè di una situazione giuridica che abbia un valore. Che valore? Un valore supremo di pari rilevanza costituzionale: stretta delimitazione dei beni giuridici di stratta rilevanza, cioè delle situazioni che offese danno luogo alla legittimazione della sanzione penale. Valore ovviamente con una radice socio-culturale. Non è detto, però, che il bene giuridico sia espressamente richiamato nella Carta Costituzionale, la quale non conteggia tutti una serie di valori e situazioni che oggi vengono considerate di rilevanza costituzionale. Es. ambiente Es. art. 600 quarter 1 -> pedopornografia virtuale. Qual è il bene giuridico tutelato? È l’esito di un’interpretazione di una norma e solo dopo del fatto concreto, quindi vedere se esso corrisponde alla norma generale ed astratta. Si tratta di un’immagine virtuale, quindi in riferimento va solo ai fatti in cui le immagini virtuali rappresentano un minore che effettivamente esiste, che abbia quindi un riscontro nella dimensione reale. Solo in questa misura si può leggere la lesione della sua dignità e della corretta formazione della sua personalità in senso lato. Il principio di offensività si rivolge: - al legislatore, condizionandolo, posto che la Costituzione sta sopra al legislatore ordinario nella scrittura della norma; - al giudice, condizionandolo in sede processuale. Il principio opera, quindi, su 2 livelli: previsione astratta e applicazione in concreto della norma. Danno ≠ messa in pericolo, quest’ultima si differenzia in: - reati di pericolo astratto: in questo caso, il pericolo non compare come elemento costitutivo di fattispecie ma si limita a costituire la ratio della norma, ossia Il legislatore descrive un fatto che secondo una valutazione astratta mette in pericolo il bene giuridico tutelato. Il giudice si attiene ad accertare che il fatto concreto sia conforme alla fattispecie astratta, senza accertare che lo stesso abbia messo in pericolo il bene tutelato. [Es. reato di incendio, art.423 c.p., che incrimina chiunque cagiona un incendio: un reato di pericolo astratto dove il termine incendio nella sua accezione comune, indica una situazione pericolosa per l’incolumità pubblica.] - reati di pericolo concreto: la formulazione della norma penale è tale che si richiede espressamente come elemento costitutivo del reato la messa in pericolo del bene giuridico. Il giudice dovrà verificare che, in concreto, ci sia stato il pericolo. 7 Di fronte al principio di necessaria offensività del bene giuridico è ammissibile questo distinguo? Senz’altro la formulazione linguistica è diversa; il giudice dovrà però sempre verificare che in concreto ci sia stata una pericolosità per il bene giuridico, altrimenti ci sarebbe una disattenzione rispetto al principio costituzionale che renderebbe illegittima l’applicazione della norma. La Corte Costituzionale con la sentenza 333/1990 formula il contenuto del principio di offensività e riconosce che questo si indirizza non solo al legislatore ma anche al giudice che deve comunque riconoscere in concreto una forma di offesa penalmente rilevante, altrimenti deve concludere nel senso dell’assoluzione perché il fatto non costituisce reato, in quanto esso può essere tale solo se è portatore di una situazione di disvalore che incarna l’offesa al bene giuridico. Es. fattispecie di delitti contro l’amministrazione della giustizia (simulazione di reato che riguarda il fatto; calunnia che riguarda il fatto e chi l’ha commesso). Bene tutelato: il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria nel momento dell’accertamento del reato. Quindi in primo momento vi era una lettura distinta tra reato di pericolo in astratto e in concreto che oggi è venuta meno dato l’esigenza costituzionalizzata di offensività del fatto di reato per cui per vedersi un fatto di reato si dovrà effettivamente riscontrare nella realtà, cioè si dovrà sempre verificare se quella previsione astratta che può, in astratto, corrispondere a un fatto offensivo, anche in concreto corrisponda a questa offesa. L’art. 49 comma 2 c.p. è la base normativa del principio di necessaria offensività del reato (offensività in concreto), in quanto prevede la non punibilità del fatto tipico ma in concreto non offensivo del bene giuridico (c.d. concezione realistica del reato). Al principio di offensività in concreto viene riconosciuto rilievo costituzionale: se la norma penale fosse applicata anche a fatti che in concreto non offendono l’interesse tutelato dalla norma, la pena si ridurrebbe a punizione di mera disobbedienza. Vi è una possibilità di una sfasatura tra l’offensività in concreto e in astratto e offensività e tipicità. Es. furto di un chicco d’uva: corrisponde in astratto alla fattispecie tipica di reato di furto, art.624 c.p. ma il fatto non è offensivo del bene giuridico. Per tipicità si intende la descrizione di un fatto naturale, umano, la selezione di frammenti della realtà umana dotata, portatrice di un disvalore rispetto a un bene giuridico di rilievo costituzionale offendibile attraverso un comportamento umano. (esistono delle situazioni tipiche necessariamente offensive) L’interpretazione, della fattispecie criminale e del diritto penale, deve muovere dalla disposizione, questa è fatta di parole, di materiale linguistico che si inserisce però in un sistema, per cui la prima e immediata interpretazione di una norma si dovrà confrontare con le altre norme del sistema per essere realmente comprovata. L’interpretazione della legge, infatti, ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni preliminari del codice civile implica un’interpretazione del senso delle parole secondo la loro cognizione. Principi generali di politica criminale Politica criminale: insieme degli strumenti che un sistema utilizza per contrastare la criminalità e la ricerca di quelli più efficaci. Ha un ambito di intervento più ampio che prende in considerazione anche strumenti non necessariamente di tipo penale. Politica penale (inclusa nella politica criminale): affronta il problema della criminalità attraverso il ricorso a strumenti strettamente penali. Non sempre rappresenta lo strumento più efficace per contrastare certi fenomeni (es. per la criminalità organizzata sono più efficaci strumenti di contrasto sul piano patrimoniale). Politica sociale: ha come oggetto qualunque fenomeno sociale e interviene in via preventiva per contrastare i c.d. fattori criminogeni (predisponenti alla commissione di un reato). I limiti di ordine costituzionale alle scelte di politica criminale possono essere distinti in: a) Divieti di incriminazione: al legislatore e all’interprete è vietato incriminare condotte che costituiscono esercizio di diritti e libertà costituzionali, il cui esercizio non può costituire reato. b) Limiti di incriminazione, che condizionano le scelte di politica criminale sono: 10 Quattro corollari del principio di legalità (che hanno tutti copertura costituzionali): 1. PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGGE La materia penale è di esclusiva prerogativa legislativa, nessuna fonte subordinata può emanare leggi. Art. 25 Comma II Cost. : “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva un reato”. La riserva di legge muove dall’esigenza di limitare il legislatore, soggetto deputato a scrivere il comportamento che può determinare l’applicazione di una legge penale. È il Parlamento (in cui trova espressione la volontà popolare) che esprime questa garanzia. Possono essere fonti del diritto penale le leggi costituzionali, le leggi ordinarie, i decreti governativi in tempo di guerra , ai sensi dell’art. 78 Cost. Maggiori problemi pongono i decreti leggi e i decreti legislativi. Questi atti del governo possono essere fonte del diritto penale, in quanto, in entrambi i casi sarebbe garantito un adeguato controllo del Parlamento (ex post ed ex ante) sull’attività normativa penale del governo. Infatti 3 sono i momenti che garantiscono la certezza del diritto: 1) intervento del Parlamento 2) possibilità di intervento dell’opinione pubblica 3) possibilità di intervento della Corte Costituzionale Inoltre, l’art. 25 comma 2 recita “se non in forza di una legge”, quindi si devono far rientrare anche gli atti aventi forza di legge emanati dall’esecutivo. In questo caso Leggi regionali-> art 117 Costituzione prevede che la materia penale sia di competenza esclusiva dello stato. Limitate, infatti, sono le competenze regionali in materia penale. Le regioni possono intervenire sugli elementi normativi della fattispecie penale e incidere sull’ambito delle cause di giustificazione che non sono norme penali in senso stretto, ma di rilevanza intraordinamentale. Regolamenti e consuetudini non sono fonti del diritto penale. Problematica importante Art. 117 comma 1: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” Fonti dell’UE, atti normativi dell’UE: - Regolamenti: legge vigente per il cittadino; - Decisioni: disposizioni individualizzate che non hanno una portata normativa (non sono generali ed astratte); - Direttive: strumento più utilizzato, individuano obiettivi e risultati che ciascuno Stato deve perseguire e raggiungere lasciando una libertà discrezionale nella scelta degli strumenti ma da un termine da rispettare. Possono scrivere una norma penale italiana? Danno garanzia di democraticità? No, in quanto non è il Parlamento a emanarli ma il Consiglio Europeo. Ciò comporterebbe un deficit di democraticità. Però, le fonti comunitarie, in particolare le direttive, possono imporre agli Stati membri, l’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, a tutela di interessi comunitari o di particolare rilievo, soprattutto sovranazionale. Modifiche del trattato di Lisbona del 2007: Art. 83 Trattato sul funzionalmente dell’unione europea (TFUE): il Parlamento ed il Consiglio possono stabilire, attraverso direttive, “norme minime relative alla definizione dei reati e delle sensazioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolari necessità di combatterli su basi comuni.” -> Nove materie nell’ambito delle quali l’Unione Europea può stabilire tali “regole minime”: il terrorismo, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale di donne e minori, il traffico illecito di stupefacenti e armi, il riciclaggio di denaro e la corruzione, la criminalità informatica e la criminalità organizzata. Inoltre, l’art.83 prevede che l’Unione possa emanare delle direttive che stabiliscono «norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni», in tutti quei settori oggetto di armonizzazione tra i Paesi 11 membri dell’Unione stessa, quando si rileva indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione. Tutela mediata e indiretta in quanto l’UE non può introdurre direttamente negli ordinamenti degli Stati membri nuove fattispecie incriminatrici Difetto: se un Paese membro non attua gli accordi, nel suo ordinamento si verifica una carenza di tutela degli interessi comunitari. A questo proposito, l’Unione Europea, ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), può esercitare nei confronti degli Stati membri che non hanno rispettato le previsioni di una direttiva, un potere di infrazione, che può portare al pagamento di somme di denaro, a titolo di sanzione, anche molto ingenti. La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha affermato il principio della preminenza del diritto comunitario, il quale stabilisce in un contrasto tra norme interne ed europee, prevalgono sempre le europee. Contrasto tra norma penale interna e normativa comunitaria Il giudice italiano, ai sensi degli artt. 11 e 117 Cost., deve tener conto della disciplina europea, in virtù del principio della preminenza del diritto comunitario, recepito dalla nostra Cost. Per quanto riguarda la Convenzione dei Diritti dell’Uomo (CEDU) anch’essa è impossibilitata ad introdurre fattispecie penali incriminanti direttamente nel nostro ordinamento mediante atti sovranazionali dal momento che l’ art 25 costituzione stabilisce che solo una legge del Parlamento può disporre in questo senso. Pertanto, il Parlamento non può emanare norme penali in contrasto con una previsione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Se ciò dovesse avvenire, la norma dovrebbe essere dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, per violazione dell’art.117 comma 1 Cost. La natura della riserva di legge può essere: - ASSOLUTA: solo il legislatore può scrivere per introdurre un precetto e una sanzione -> garanzia per il cittadino; - RELATIVA: la scrittura di un precetto può essere delegata a fonti subordinate. Nel nostro ordinamento qual è la natura della riserva di legge? Si parla di RISERVA TENDENZIALMENTE ASSOLUTA o RISERVA ASSOLUTA RELATIVIZZATA. Tertium genus di riserva di legge secondo cui per la parte della norma che disciplina la sanzione la riserva di legge deve essere assoluta e limita strettamente la possibilità di un legittimo intervento sulla scrittura della norma penale ad opera di una fonte subordinata. 2. PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ Principio di irretroattività (secondo corollario del principio di legalità), viene sancito più direttamente dall’articolo 25 Comma 2 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. Quindi, non si può essere rimproverati pe runa condotta che, nel momento in cui si è tenuta, non era conoscibile come reato. Il legislatore si trova, così, depotenziato, nel senso che può prevedere un fatto che costituisce reato solo da quel momento in poi (ex nunc). Diversamente sarebbe violato il principio di legalità. Divieto assoluto di applicazione retroattiva della norma penale sfavorevole o di norma incriminatrice nuova o di una norma che comporti l’aggravamento del trattamento sanzionatore rispetto a quello che il destinatario della norma penale poteva prevedere nel momento in cui ha commesso il fatto. Ciò non coinvolge, invece, un profilo favorevole. A questo proposito, la disciplina in materia di successione di leggi penali nel tempo, di cui all’art 2 c.p., appare complessa. L’art. 2 del c.p. (scritto prima del comma 2 dell’part. 25) reca una disciplina dettagliata della dinamica cronologica delle leggi penali, cioè della loro successione nel tempo. In parte, questo trova espressa ricezione nell’alveo del precetto costituzionale, ma esso in quanto precetto di principio deve essere 12 sintetico e quindi non riporta tutta la casistica da conoscere anticipatamente. Invece, ciascun comma dell’art. 2 prevede dei casi diversi di disciplina intertemporale del diritto penale. Comma 1: “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”. Scrive il senso dell’art. 25 comma 2 Cost.: divieto di applicazione retroattiva di una norma di incriminazione. Comma 2: “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali”. Si tratta dell’ipotesi di abolitio criminis, che si verifica quando una legge successiva abroga una precedente fattispecie incriminatrice. Prevede che non possano essere puniti coloro che hanno commesso il fatto sotto la vigenza della legge incriminatrice precedente (abrogata), ed anzi, se vi è già una sentenza di condanna, anche definitiva, ne debbano cessare immediatamente gli effetti penali. Ratio di questa previsione: non ha senso espiare una sanzione detentiva a chi ha commesso un fatto non più considerato meritevole di pena. Il nostro sistema infatti è improntato al diritto penale del fatto e non dell’autore. La disciplina trova fondamento da un lato nel principio del favor rei, che comporta l'applicazione della legge favorevole al reo, e dall'altra nel principio d'uguaglianza. Comma 3: “Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135”. Ipotesi speciale di successione penali nel tempo Comma 4: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Disciplina una seconda ipotesi, successione delle leggi penali nel tempo: il fatto è considerato reato sia nella vigenza della legge precedente che di quella successiva, ma la disciplina è diversa (esempio in riferimento alla misura della pena). In questi casi il giudice deve applicare la legge più favorevole al reo. Differenza tra obolitio criminis e successione di leggi penali nel tempo: - si può parlare di abolitio criminis solo quando, in concreto, il fatto incriminato dalla norma previgente, non rientri più, a nessun titolo, nella nuova fattispecie. - Se, invece, vi è quella che la nostra dottrina e giurisprudenza chiamano “criterio strutturale” - se, cioè , dal confronto tra le 2 norme, si evince che il fatto concreto rientra, pur con una disciplina diversa - si dovrà ritenere che vi sia successione di leggi penali nel tempo, con l’applicazione di una normativa più favorevole (es. quella che prevede una nuova circostanza attenuante)- comma 4. Comma 5: “Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.” L’abolitio criminis e la successione delle leggi penali nel tempo non si applica a due tipi di leggi: - leggi eccezionali: sono quelle dettate dalla necessità di affrontare eventi straordinari e gravi, sono destinate ad esser valide fino al perdurarsi dello stato di necessità. - leggi temporanee: sono quelle che prevedono un termine di durata, oltre il quale cessano di avere effetto. Vige il principio del tempus regit actum, cioè "ogni atto va valutato secondo la norma vigente al momento del suo compimento" , è di ordine generale, ma non è espresso nella Costituzione, per cui sono ammesse leggi ordinarie con efficacia retroattiva quando, però, esse non violino i principi fondamentali dello Stato. Comma 6: “Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti”. 3-4: PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA e TASSATIVITA’ La norma penale deve essere scritta in termini chiari, precisi e determinati e applicata in termini tassativi. PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA: terzo corollario del principio di legalità [I destinatari del p. di determinatezza sono il Parlamento -costruisce fattispecie incriminanti chiare e precise- il giudice -la cui interpretazione delle norme si mantiene a limiti rigorosi- ed i cittadini - 15 Criteri per valutare l’obbligatorietà della legge penale italiana nello spazio: - Principio di universalità: è punito alla stregua del diritto penale italiano qualsiasi delitto commesso da chiunque, a danno di chiunque, anche all’estero. - Principio di territorialità: al contrario, limita l’applicazione della legge italiana ai soli fatti commessi nel territorio dello stato. - Principio di personalità passiva: prevede l’applicazione della legge penale dello stato a cui appartiene il titolare del bene offeso dal reato. - Principio di personalità attiva: si applica la legge penale dello Stato di appartenenza del reo. Un ordinamento disciplina l’efficacia delle leggi penali dello stato nello spazio attraverso la mediazione e combinazione di questi quattro criteri. Il nostro ordinamento prevede, ai sensi dell’art 6 comma 1 c.p., il principio di territorialità, con relative deroghe, ai sensi degli arti 7-10 c.p. ,in virtù delle quali la legge penale italiana si applica ai fatti commessi all’estero con una tendenza anche al principio di universalità, con dei limiti derivanti dalla parziale applicazione dei criteri di personalità attiva e passiva. 1. Principio di territorialità L’art.3, comma 1, c.p., sancisce il principio dell’obbligatorietà della legge penale: “ la legge penale obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato”, con le uniche, tassative eccezioni previste dal diritto pubblico o internazionale (per esempi, le immunità consolari). Pertanto “chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana” (art.6 comma1 c.p.); “il reato si considera commessa nel territorio dello Stato, qualora l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione o dell’omissione” (comma 2). Questo ampio criterio è anche detto criterio della sineddoche: che considera di competenza italiana anche un fatto di cui solo una parte si è svolta in Italia. Infine, un reato commesso interamente all’estero non può rientrare nella giurisdizione italiana solo perché legato dal vincolo della continuazione con un altro reato commesso in Italia. Territorio dello Stato: suolo entro i confini dell’Italia (sottosuolo, acque interne e coste) e di ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato, come il mare costiero entro le 12 miglia e lo spazio aereo nazionale anche le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come estensioni dello stato stesso, salvo se sono soggetti a una legge territoriale straniera (art. 4 comma 2 c.p.) Reati commessi a bordo di una nave straniera (pag.150) Art. 7 c.p. esistono alcuni fatti puniti anche se commessi interamente all’estero, siano essi da parte del cittadino italiano o dallo straniero. “Fatti puniti incondizionatamente”, cioè indipendentemente da qualsiasi condizione di procedibilità. La ratio è data dal principio di personalità passiva: si tratta di delitti che offendono direttamente un interesse dello Stato italiano, ai sensi dell’art.7 c.p.: - delitto contro la personalità dello Stato Italiano - delitti di contraffazione del sigillo di stato e uso del sigillo contraffatto - delitti di falsità monetaria di un conio in validità nel territorio italiano o di altre valute - delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello stato abusando dei loro poteri o violando i doveri inerenti allo loro funzioni. Inoltre, l’ultimo comma dell’art 7 c.p. contiene una sorta di norma di chiusura in virtù della quale la punibilità del cittadino o dello straniero è estesa a tutti i reati per i quali l’applicabilità della legge penale italiana sia prevista da speciali disposizioni di legge o da convenzioni internazionali. Art 22 c.p.: ha lo scopo di mediare l’azione penale dello stato Italiano nel territorio vaticano. Art. 8 c.p. “delitti politici”: “il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana”. In questo caso, però, la punibilità non è incondizionata , bensì subordinata ad una condizione di procedibilità: la richiesta del Ministro della giustizia. Se, poi, il delitto è 16 perseguibile a querela, oltre alla richiesta del Ministro occorre anche la querela del soggetto passivo del delitto (comma 2). Si considera delitto politico qualsiasi fatto del reato che sia “oggettivamente” tale che, cioè, “offende un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino”. Si definisce delitto “soggettivamente politico” “ il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”. Delitti comuni commessi all’estero: art 9 - 10 cp: legifera in merito ai delitti comuni commessi interamente all’estero, i quali possono essere sottoposti comunque alla legge penale italiana. Secondo l’art. 9 prende in esame i delitti commessi dal cittadino italiano all’estero, prevedendo l’applicabilità della legge penale italiana, in ossequio al principio di soggettività attiva, per i delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione minima di 3 anni. La punibilità ai sensi dell’ordinamento italiano è subordinata alla condizione di procedibilità che il reo si trovi nel territorio dello Stato italiano. Ai sensi del comma 2 “ se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro di grazia e giustizia ovvero a istanza o a querela della persona offesa” Anche in questo caso si ritiene necessaria la presenza del reo nel territorio dello Stato. Ai sensi dell’ultimo comma “qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l'estradizione di lui non sia stata concessa o non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto”. L’art 10 disciplina l’applicabilità della legge penale italiana ai delitti commessi interamente all’estero da uno straniero. In particolare, se il delitto viene fatto contro un cittadino Italiano o ai danni del nostro Stato, si applica la legge penale italiana per i delitti punito con l’ergastolo o con la reclusione minima di un anno, sono previste le condizioni di procedibilità sia della richiesta del Ministro della Giustizia che della presenza del colpevole nel territorio dello Stato. Qualora il soggetto passivo (non attivo perché il reo non è cittadino italiano) sia la Comunità europea, uno Stato estero o straniero “il colpevole è punito dalla legge Italiana, a richiesta del Ministro di grazia e di giustizia, sempre che: si trovi nel territorio dello Stato, si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o reclusione minima di 3 anni, l’estradizione non sia stata concessa o non accettata dal Governo dello Stato in cui ha commesso il delitto o da quello a cui appartiene“ I delitti contro la personalità individuale o contro la libertà sessuale sono incondizionatamente puniti, anche se commessi all’estero da cittadino italiano o in danno di cittadino italiano. Se commessi da uno straniero a danno del cittadino italiano la punibilità è subordinata alla condizione che sia prevista una pena di reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni e che vi sia la richiesta del ministro della giustizia. Rinnovamento del giudizio: Art. 11 comma 1 c.p.: il cittadino e lo straniero che abbiano commesso un reato nel territorio dello Stato vengono sempre giudicati in Italia, anche si vi è già stato un giudizio penale all’estero. Nel caso di delitto commesso all’estero ma punibili in Italia ai sensi degli artt. 7-10 c.p.si procede alla rinnovazione del giudizio qualora lo richieda il Ministro della giustizia. L’art 138 comma 1 c.p.: “quando il giudizio seguito all’estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all’estero è sempre computata, tenendo conto della specie di essa”: L’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen 14 giugno 1985 ha introdotto il principio del “ne bis in idem” in virtù del quale non si può procedere una seconda volta per lo stesso reato, quando questo è già stato giudicato e la relativa pena sia stata scontata o sia in corso di esecuzione secondo la legge della parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita. - Il limitato riconoscimento di sentenze penali straniere è un corollario del rinnovamento del giudizio. 17 Secondo l’Art. 12 c.p: “ Alla sentenza penale straniera pronunciata per un delitto può essere dato riconoscimento: comma 1) per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere; comma 2) quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria; comma 3) quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali; comma 4) quando la sentenza straniera porta condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili. Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato estero col quale esiste trattato di estradizione. Se questo non esiste, la sentenza estera può essere egualmente ammessa a riconoscimento nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta. Tale richiesta non occorre se viene fatta istanza per il riconoscimento agli effetti indicati nel numero.” L’Unione Europea ha emanato alcune Decisioni Quadro per il reciproco riconoscimento tra i Paesi membri, delle sentenze penali in materia di pene detentive e misure limitative della libertà personale, pene pecuniarie, confisca, misure sospensive o sostitutive. Estradizione: consegna, da uno Stato ad un altro che ne fa richiesta, di un soggetto che deve essere giudicato o punito per i suoi crimini. Si parla di estradizione attiva dal punto di vista dello Stato richiedente; mentre l’e. passiva è quella esercitata da chi consegna il soggetto. L’estradizione è un istituto di diritto internazionale regolato da alcune norme del codice di procedura penale. Peraltro anche il codice penale ne disciplina alcuni aspetti, all’art 13 c.p. “L'estradizione è regolata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali” (comma 1). “L'estradizione può essere concessa od offerta, anche per reati non preveduti nelle convenzioni internazionali, purché queste non ne facciano espresso divieto.Non è ammessa l'estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali” (comma 3) L’estradizione è sottoposta ad una serie di principi e vincoli: - Requisito della doppia incriminazione: il fatto per il quale viene chiesta o concessa l’estradizione deve essere preveduto come reato dalla legge penale e dalla quella straniera. (art. 13 comma 2) Pertanto, se il fatto, in Italia, è punito con sanzioni amministrative l’estradizione non può essere concessa (dato che nell’ordinamento italiano il fatto non ha rilievo penale ma soltanto di illecito amministrativo). - Principio di specialità: la concessione dell’estradizione è subordinata alla condizione che, per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per cui è stata concessa “l’estradato non venga sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale né consegnato ad altro Stato” (art. 699 comma 1 c.p.p.) - Principio di sussidiarietà: l ’estradizione non può essere concessa se, per lo stesso fatto, nei confronti del soggetto, è in corso un procedimento penale, mentre il divieto di “bis in idem” impedisce l’estradizione se è stata pronunciata una sentenza irrevocabile nello Stato. Limiti relativi al tipo di reato commesso: - Divieto di estradizione per reati politici sia dello straniero che del cittadino (art.10 e 26 Cost) La qualificazione “politico” diventa elemento di garanzia che preserva il soggetto da possibili persecuzioni da parte del potere degli Stati contro i loro oppositori. L’estradizione, però, è consentita per i colpevoli del delitto di genocidio o di atti di terrorismo. Esistono ulteriori reati politici che permettono l’estradizione, ad esempio: - illecita cattura di aeromobili, atti illegali contro l’aviazione civile" - gravi attentati alla vita, integrità fisica e libertà di perone sotto protezione internazionale - rapimento, sequestro e cattura di un ostaggio - reati che prevedono l’ausilio di bombe, esplosivi armi automatiche 20 fattispecie, il soggetto attivo riveste un ruolo particolare, ha una specifica qualifica e si trova in una particolare situazione). La qualifica personale del soggetto attivo: può essere di due tipi: - naturalistica: un esempio può essere la qualifica di madre nel delitto di infanticidio. - giuridica: un esempio può essere la qualifica di pubblico ufficiale o pubblica amministrazione. IMMUNITA’  cause personali di non punibilità L’art 3 c.p. “carattere obbligatorio della legge penale”: “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovino sul territorio dello stato, salvo eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”. Le eccezioni a cui fa riferimento l’art. sono costituite dalle c.d. immunità. Non si tratta di limiti all’obbligatorietà della legge penale, ma prevede che alla commissione del reato non segua l’applicazione della pena, in quanto prevalgono ragioni di politica criminale che ne giustificano la rinuncia. Le immunità hanno natura giuridica di cause personali di esenzione dalla pena, la loro applicazione è limitata al solo soggetto a cui si riferisco e non si estendono ai concorrenti. Le immunità si distinguono in base alla fonte che le prevede in immunità di diritto pubblico interno o di diritto internazionale. Esistono inoltre 2 tipologie di immunità: - funzionale: la non punibilità è limitata ai reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni. - extra funzionale: la non punibilità è estesa anche altri atti commessi al di fuori dell’esercizio. Le immunità si dividono ulteriormente in: - sostanziali: sono cause personali di non punibilità - processuali: interessano il processo e consistono in ostacoli al promovimento dell’azione penale (cause di improcedibilità) o al compimento di specifici atti processuali. -> non possono essere introdotte immunità che non rispettino le esigenze di tutela ricavabili dal dettato costituzionale, è quindi esclusa un’autonoma competenza del legislatore ordinario in materia di immunità che ha bisogno di un fondamento concreto nella Cost. o in altre leggi costituzionali. Le Immunità nel diritto pubblico interno sono espressamente previste dalla Cost. o da leggi costituzionali. Art. 90 Cost: Il Presidente della Repubblica gode solo di immunità funzionale che non compre gli atti commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni presidenziali. Egli risponde solamente del reato di alto tradimento e attentato alla costituzione, in quanto viene tutelato dalla firma dei ministri nelle altre funzioni. -> immunità estesa al presidente del senato se ricopre la figura di presidente della repubblica. Tale immunità è strumentale al compimento degli altissimi compiti che la Cost. demanda al PdR, nella sue veste di capo dello Stato e rappresentante dell’Unità Nazionale. I Parlamentari godono secondo l’art 68 di una immunità sostanziale che interessa le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio della loro funzione. Questo art. richiede un nesso funzionale delle opinioni espresse con l’esercizio di funzioni parlamentari. L’immunità copre pertanto anche le opinione espresse al di fuori del Parlamento, purché permanga il nesso funzionale. I commi 2 e 3 prevedono una immunità di tipo processuale che non impedisce le indagini del P.M. né il processo penale nei confronti dei parlamentari, ma non consente l’adozione di specifici atti processuali senza l’autorizzazione da parte della camera di appartenenza, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna o qualora il parlamentare sia colto in flagranza di reato. Queste limitazioni interessano anche gli atti commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni, durante e prima l’assunzione della carica. Queste garanzie sono riconosciute in maniera ridotta ai consiglieri regionali, in maniera uguale ai giudici della corte costituzionale e ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura in merito alle opinioni ed ai voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni. (l’immunità del CSM è prevista, a differenza delle altre, da una legge ordinaria ma la Corte Costituzionale gli ha riconosciuto copertura costituzionale). 21 Le immunità di diritto internazionale si fondano su convenzioni internazionali alle quali è stata data attuazione con leggi ordinarie. Ne godono in maniera assoluta, sostanziale e processuale, funzionale ed extrafunzionale, i Capi di Stato esteri in territorio Italiano ed il Pontefice quale capo dello stato della città del Vaticano. Godono di immunità extrafunzionale anche gli appartenenti al corpo diplomatico, mentre i consoli e gli impiegati consolari hanno una immunità funzionale completa, invece una extrafunzionale a meno che non si tratto di delitto punito con reclusione di massimo almeno 5 anni. I militari di uno stato estero sono soggetti alla legge dello stato di appartenenza per i reati commessi in servizio, la disciplina risulta più articolata per le forze armato NATO. Nei confronti delle persone giuridiche sono previste solo sanzioni civili o amministrative, ma non penali (societas delinquere non potest). Dunque, di un reato commesso da un amministratore nell’interesse della società risponde penalmente solo la persona fisica. - art. 27, comma 1 Cost. il principio della responsabilità penale personale impone di chiamare a rispondere del reato sola la persona fisica che lo ha realizzato e non anche l’ente, sul quale non potrebbe ricadere sanzioni per un fatto commesso da altri. È stato rilevato che alcune tipologie di reato hanno la loro genesi nella complessità dell’ente collettivo, commessi all’interno dell’ente e sono espressione di politiche di impresa, che sono l’effetto di decisione prese a diversi livelli della struttura societaria. Se fosse chiamata a rispondere solo la persona fisica autrice del reato, la risposta sanzionatoria sarebbe del tutto sproporzionata e si tradurrebbe nella violazione dell’art.27,comma 1 Cost. , perché la persona fisica risponderebbe di un fatto che non gli può essere del tutto rimproverato. Anche sul piano della efficacia del sistema sanzionatorio, si è rilevato che solo responsabilizzando l’ente si garantirebbe una risposta penale proporzionata ed efficace. Con il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Il legislatore ha introdotto nel nostro sistema la Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. Destinatari: enti forniti di personalità giuridica, società e associazioni anche prive di personalità giuridica. La disciplina non si applica allo Stato, agli enti pubblici territoriali, a quelli non economici e agli enti che svolgano funzioni di rilievo costituzionali. Principi di garanzia: principio di legalità e i suoi corollari. Responsabilità dell’ente limitata ai c.d. reati-presupposto, elenco tassativo di fattispecie progressivamente ampliato (truffa, frode informatica, reati di impresa, più alcuni reati colposi: omicidio lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro; reati ambientali). Per imputare alla responsabilità dell’ente il reato commesso dalla persona fisica sono necessari alcuni requisiti strutturali: - art.5 d.lgs. 231: richiede che i reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente. L’interesse ha fondamento oggettivo, indica, in una prospettiva ex ante, il fine in viste del quale il soggetto ha commesso il reato; il vantaggio richiede l’oggettiva acquisizione di un profitto da parte dell’ente, con accertamento ex post. Es. rogo presso lo stabilimento torinese della Thyssen Krupp, la Corte di Assise ha riconosciuto la responsabilità della società per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose sul presupposto che “le gravissime violazioni della normativa antinfortunistica ed antincendio, le colpevoli omissioni erano caratterizzate da un contenuto economico rispetto al quale l’azienda non solo aveva interesse, ma se ne è anche sicuramente avvantaggiata, sotto il profilo del considerevole risparmio economico che ha tratto omettendo qualsiasi intervento nello stabilimento di Torino”. - il reato deve essere stato commesso: a) da soggetti in posizione apicale, b) da soggetti in posizione subordinata . - mancata o insufficiente adozione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati. Attraverso questo sistema il legislatore ha previsto una colpevolezza di organizzazione nei confronti 22 dell’ente che non ha prevenuto la commissione dell’illecito penale mediante l’adozione di un programmi interno di prevenzione e controllo. Sia l’ente che la persona fisica sono responsabili ed entrambi rispondono l’una sul piano amministrativo e l’altra su quello penale. La responsabilità dell’ente, però, è autonoma da quella della persona fisica, in quanto sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile o quando il reato si estingue. Sistema sanzionatorio efficace e capace di fungere da deterrente e prevenire la commissione di reati è costituito da : - sanzione pecuniaria (sanzione amministrativa principale che viene commisurata al grado di responsabilità dell’ente) - sanzione interdittive (es. sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze, concessioni….); queste possono essere sostituite dalla nomeina di un commissario giudiziario, quando l’ente svolge un servizio pubblico la cui interruzione può provocare grave pregiudizio alla collettiva o può avere rilevanti ripercussioni sull’occupazioni. - la confisca e la pubblicazione della sentenza L’Art.17 tratta la riparazione delle conseguenze del reato: se prima del dibattimento, l’ente ha risarcito il danno si applica solo la sanzione pecuniaria e non quelle interdittive. In tal modo l’ente è indotto ad attivarsi a risarcire il danno e a modificare la propria organizzazione interna. La competenza ad accertare la responsabilità dell’ente spetta al giudice penale competente per i reati dai quali la stessa dipende (art.36) ed è prevista la riunione del procedimento dell’illecito amministrativo dell’ente con quello penale contro l’autore del reato. Con il d.lgs. 231 il legislatore ha creato un tertium genus di responsabilità con elementi propri della responsabilità amministrativa e penale. La responsabilità dell’ente,infatti, non è una responsabilità amministrativa, ma si parla, di una responsabilità penale mascherata, con garanzie procedurali che richiamano quelle processual-penalistiche, con sanzioni innovative in quanto non ammissibili né alle pene né alle misure di sicurezza; ciò nasce dall’esigenza di evitare possibili questioni di legittimità costituzionale. Il soggetto passivo del reato: è il titolare del bene giuridico tutelato dalla fattispecie, viene anche chiamato “persona offesa”. Può essere: persona giuridica, persona fisica, un ente collettivo privo di personalità giuridica, lo Stato, o una collettività di persone. Infatti, vi possono essere più soggetti passivi nei reati plurioffensivi, ossia che offendono più beni giuridici. Il soggetto passivo di distingue dall’oggetto materiale del reato: costituito dalla persona o dalla cosa sulla quale cade la condotta del reato, ad esempio nel caso di un furto l’oggetto rubato. Può esserci, come nel sequestro, coincidenza tra oggetto materiale e soggetto passivo. Il soggetto passivo si distingue dal danneggiato: ossia colui che subisce un reato caratterizzato da un danno risarcibile. Il soggetto passivo è, normalmente, anche danneggiato dal reato, ma vi possono essere casi di soggetti danneggiati che non sono soggetti passivi. Il sistema penale conferisce rilevanza alla Persona offesa a diversi fini. - in alcuni casi sono richieste come elemento costitutivo di fattispecie specifiche qualifiche in capo al soggetto passivo. (es. oltraggio a pubblico ufficiale) - in alcuni casi le qualifiche del soggetto passivo rilevano come elemento circostanziale, ad esempio se un attentato viene svolto nei confronti di alcuni soggetti che esercitano funzioni di sicurezza pubblica avrà un peso maggiore. - può fondare una causa di non punibilità, come nel caso del danno al patrimonio commesso senza violenza da un coniuge non legalmente separato… - il consenso del soggetto passivo alla lesione di diritti disponibili costituisce una causa di giustificazione secondo l’art 50 del c.p." - nei casi di delitti perseguibili con querela il soggetto passivo diventa il titolare del diritto stesso di presentare querela. - la persona offesa rileva anche sul piano della disciplina processuale. 25 un solo istante: questi reati, si consumano quindi in uno specifico momento (unico acto perficiuntur). Nei reati permanenti invece si richiede la protrazione nel tempo di una condotta alla quale si accompagna il permanere dell’offesa al bene giuridico (es. sequestro di persona). In questi reati sono presenti 2 momenti: - quello iniziale della permanenza (perfezione del reato) che si realizza quando la protrazione della condotta per un certo lasso di tempo consolida l’offesa al bene giuridico tutelato. Questa cessa quando l’autore interrompe l’azione o circostanze esterne la fanno cessare. - Momento finale della permanenza oppure consumazione segna la cessazione dell’offesa e definisce il grado di intensità dell’offesa stessa. Nei reati abituali il fatto è descritto in modo da richiedere la reiterazione di una pluralità di azioni che vengono considerate penalmente come una sola condotta. Questo può essere proprio quando i singoli comportamenti da soli non costituirebbero un reato, improprio quando le singole condotte costituiscono di per sé reato, ma la loro reiterazione da luogo ad una fattispecie di reato abituale. Invece i reati eventualmente abituali possono realizzarsi indistintamente attraverso un’unica condotta o la reiterazione di più condotte. 1. Che differenza c'è tra azione e omissione? Due sono i criteri di distinzione proposti: uno normativo e uno naturalistico. Per il criterio normativo, la condotta è omissiva quando la regola è un comando, cioè la pretesa di un facere, è attiva invece quando la regola è un divieto, cioè la pretesa di non facere. Per il criterio naturalistico, la condotta è attiva quando il soggetto pone in essere un fattore che innesca il processo causale sfociante nell'evento lesivo. Il medico, ad esempio, somministra adrenalina ad un paziente affetto da ipertensione arteriosa non diagnosticata, cagionandone così la morte (c.d. fattore iatrogeno). Ancora, la condotta è attiva quando il fattore realizzato dal medico non innesca il decorso causale, ma lo accelera soltanto. Ad esempio, interviene chirurgicamente su un paziente debilitato da una certa malattia, accelerando il processo patologico con conseguente anticipazione dell'evento letale. La condotta è, invece, omissiva quando il soggetto non pone in essere un fattore ostacolante il decorso causale già esistente, ontologicamente, in rerum naturae capace di produrre autonomamente l'evento lesivo. Un medico, ad esempio, non interviene chirurgicamente né farmacologicamente su un paziente affetto da tumore, non asportando la relativa massa e non praticando la chemioterapia. SENTENZA LUVARA’ 16 giugno (22 luglio) 2011, Luvarà, n. 29476: condotta medica tra azione e omissione La sentenza in commento opta per il criterio normativo. Si tratta del caso di asportazione di un neo con peduncolo sanguinante ad una paziente. Il medico si limita alla rimozione del peduncolo anziché procedere alla totale asportazione della formazione. Omette poi l'esame istologico del reperto operatorio. La paziente viene persa per melanoma maligno, che se visto in tempo avrebbe potuto portare a un prolungamento di vita. 1° e 2° grado di giudizio hanno qualificato la condotta medica in termini di omissione, dato dall’omesso esame istologico. Ritiene peraltro che manchi il nesso causale fra l'omesso esame istologico e la morte della paziente e pronuncia quindi sentenza di non luogo a procedere. Su ricorso del p.m. e della parte civile, la Cassazione qualifica attiva la condotta e annulla la sentenza. Nel qualificare attiva la condotta della limitata rimozione della formazione, la Cassazione adotta il criterio normativo sopra illustrato, quindi: azione se si trasgredisce un divieto, omissione se si trasgredisce un comando. 26 Il criterio normativo è facilmente capovolgibile a seconda di come si formula la regola da seguire, se cioè in termini di divieto o di comando. Nel caso oggetto della sentenza si è configurato un divieto, che suona in sostanza in questi termini: non limitarti alla rimozione del peduncolo. Ma il divieto può essere capovolto in comando così: recidi tutta la formazione (e parte sana circostante). Ciò è a discrezione del giudice a seconda di come ritenga ragionevole formulare il precetto comportamentale. Questo comporta una sfera di pericolosità umana (in quanto il giudice è un uomo) che va trincerata attraverso l’adozione di un parametro naturalistico. In realtà, la distinzione fra azione e omissione appare tracciabile più inequivocabilmente con il criterio naturalistico (adottato attualmente), chiedendosi semplicemente se il processo causale che ha condotto all'evento sia stato messo in moto o no dal medico (azione) o se il processo causale, patologicamente idoneo a sfociare autonomamente nell'evento, non sia stato arrestato o rallentato dal medico, con conseguente progredire letale della malattia non curata (omissione).Prescindendo quindi dalla manipolabile qualificazione quale divieto o quale comando della regola violata e prescindendo da ciò che avviene fisicamente, cioè agire o stare inerti. SENTENZA CIPICCIA Tizi è proprietario di un’abitazione nei pressi di un palo della luce che doveva essere spostato. Quindi, vengono due dipendenti Enel che provvedono a spostarlo e a ricollocare il contatore ma quando lo fanno non istallano il salvavita. Tizio, incarica così una ditta di provvedere all’allaccio della corrente. La ditta arriva, il datore di lavoro provvede all’allacciamento della parte terminale del sistema elettrico, i due dipendenti provvedono all’allacciamento della spina femmina con la spina maschio senza fare caso alla mancanza del salvavita. Essi stendono il filo di collegamento, lo consegnano al datore di lavoro che provvede alla nastratura finale. Si verifica una dispersione di acqua e Tizio che era andato ad accendere il sistema di irrigazione resta fulminato e muore. La sentenza di 1°Grado e la sentenza della Corte d’Appello condannano per omicidio colposo mediante omissione il datore di lavoro, in quanto garante, e assolvono i dipendenti dell’Enel e della ditta non titolari di posizioni di garanzia e quindi non responsabili. La Corte di Cassazione, che interviene sul ricorso, ribalta la qualifica attraverso l’adozione del criterio naturalistico  condotta non più omissiva ma ATTIVA. Si giunge così alla conclusione di una corresponsabilità e vengono giudicati colpevoli di omicidio colposo mediante azione, il datore di lavoro (che ha nastrato/isolato male i fili della corrente)e i due dipendenti (in quanto hanno inserito la spina e svolto il filo che è stato condotto dal palo all’impianto elettrico per la nastratura finale) RECENTE PRONUNCIA DEL TRIBUNALE DELL’AQUILA Dicembre 2012 (che ha fatto molto discutere) Ha proceduto alla sentenza di condanna di alcuni membri della Commissione nazionale grandi rischi per eventi morte e lesioni di centinaia di persone a causa della forte scossa sismica (terremoto). COMPORTAMENTO IMPUTATO per i MEDIA: mancata previsione del terremoto (comportamento omissivo: parametro normativo) COMPORTAMENTO IMPUTATO dal TRIBUNALE dell’Aquila: comportamento attivo, parametro naturalistico Convocazione da parte della Commissione nazionale grandi rischi, la sera precedente la notte in cui si è scatenato il terremoto, della popolazione dell’Aquila, affermando che era scientificamente comprovabile che dopo un così ampio rilascio di energia cinetica attraverso le varie scosse, era da escludersi che si potesse riverificare un evento sismico di grandi proporzioni e con effetti devastanti, invitando la 27 popolazione a riacquisire la serenità perché non vi era alcun pericolo di sicurezza pubblica a seguito delle verifiche attuate. Dichiarando tutto agibile, rassicurando la popolazione e spingendole a rientrare nelle proprie case. Comportamento attivo che innesca una causalità psicologica che suggestiona, persuade a tenere un comportamento che altrimenti non avrebbero tenuto. Rapporto di causalità/nesso di causalità/nesso eziologico La causalità esiste solo nel reato ad evento naturalistico. La causalità prende in considerazione l’art.40 comma 1 “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”  elemento materiale che collega il comportamento umano (condotta attiva o omissiva) ed evento -> rapporto di causalità. Problema della causalità penale è un problema epistemologico cioè un problema di accertamento del rapporto di causalità (perché nulla deve essere dato per assurdo, tutto deve essere accertato). - evoluzione scientifica nel tempo: il giudice si trova a confrontarsi con un dato ineliminabile. Quindi l’evento non è mai la risultate di un solo fattore ma di più fattori/condizioni, di una pluralità di elementi che si sono verificati, necessarie per la produzione di un evento La causalità va accertata con un giudizio ex post (che si sviluppa dopo), cioè dopo che si è verificato l’evento il giudice deve accertare il rapporto di causalità.(cioè il nesso causale che possa collegare l’evento ad una particolare condotta attiva o omissiva dell’imputato). Tra condotta ed evento vi è un nesso di conseguenzialità (art. 40 comma 1). Quindi, il giudizio di accertamento ex post si sviluppa tra un dato cronologico antecedente (condotta umana) e un dato naturalistico successivo (evento). La verifica deve svilupparsi su cosa corre, se corre cioè un nesso materiale che unisce questo fattore antecedente e il successivo. 1.La prima teoria che viene sviluppata dall’esigesi penalistica ai primi del 1900 è la TEORIA CONDIZIONALISTICA (o della condicio sine qua non o teoria della parità delle condizioni). Secondo questa teoria possono essere considerati causa dell’evento tutti quei fattori/condotte che sono intervenute cronologicamente prima della verificazione dell’evento e non possono essere mentalmente eliminati senza che l’evento venga meno. Alla base di questa teoria c’è un procedimento mentale (giudizio contro-fattuale) cioè un giudizio che va contro i fatti. Il giudice è tenuto ad eliminare mentalmente un fattore (quello che intende qualificare causa dell’evento) e verificare se eliminato mentalmente quello evento si sarebbe comunque verificato. - se l’evento non si sarebbe verificato allora la condotta è stata causa dell’evento ovvero una condizione necessaria e sufficiente per la determinazione dell’evento. - se quell’evento eliminata mentalmente la condotta, si sarebbe comunque verificato, quella condotta non ha assunto un ruolo determinante nell’evento. Parità delle condizioni (cederis peribus) perché questo giudizio ipotetico contro-fattuale può essere applicato ad una qualsiasi condizione cronologicamente antecedente all’evento. Critiche/obiezioni : Critiche: - Regresso all’infinito: rischio di estensione eccessiva della responsabilità penale; se causali sono tutte le condizioni dell’evento, lo saranno allora volta anche le condizioni delle condizioni e cosi via a seguire in un regresso potenzialmente esteso all’infinito. Questa obiezione, però, non tiene conto del fatto che la responsabilità penale non si fonda solo sugli elementi oggettivi della fattispecie, ma richiede anche l’accertamento della colpevolezza. - Causalità alternativa ipotetica: ossia dall’intervento di un fattore causale che avrebbe comunque prodotto l’evento all’incirca nello stesso momento. 30 - leggi universali: a contenuto universale e assoluto che valgono cioè nel 100% dei casi e che quindi fotografano come, a fronte dell’esistenza del sovvenire dell’accertamento di un fattore x, nel 100% dei casi consegua l’effetto y. - leggi statistiche (più numerose): che attestano una regolarità di successione causale tra fattori che non attiene al 100% dei casi osservati ma che empiricamente denota una certa percentuale di regolarità di successioni. Quale sono utilizzabili in campo penale? - Un orientamento si accontenta di un minor rigore: è sufficiente, infatti, che la condotta omissiva abbia aumentato il rischio di verificazione dell’evento. Sarebbero sufficienti “serie e apprezzabili probabilità di successo” che l’azione doverosa omessa avrebbe impedito la verificazione dell’evento, inoltre, la Cassazione giunge a fissare soglie percentuali di probabilità di salvezza del bene del 30%. - Nel settembre del 2000 si è assistito ad un importante mutamento di orientamento nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in 3 sentenze (“sentenze Battisti”, dal nome del giudice estensore e che si occupavano di responsabilità medica), ha chiesto che l’accertamento della causalità omissiva abbia lo stesso grado di quella attiva e che le leggi di copertura utilizzate possiedano un coefficiente percentualistico vicino a 100 per restringere la responsabilità penale. - Sentenza Franzese (2002), pronuncia della Cassazione delle Sezioni Unite. Franzese dal nome dell’imputato: primario dell’istituto Cardarelli di Napoli del reparto gastro-interologo. Es. caso di responsabilità omissiva. Morte di un paziente per sepsi addominale (infezione) non riconosciuta in sede di degenza a seguito di un’operazione, nonostante gli esami di routine effettuati. Quindi, il paziente, che dopo pochi giorni torna in ospedale, ha un’infezione diffusa al punto da provocargli la morte. Condotta omissiva: medico che non ha verificato bene il quadro clinico. Le Sezioni Unite pronunciano il c.d. Decalogo di accertamento di causalità penale. Trovano il metodo, l’ordine logico e giuridico di verifica dei passaggi per accertare la causalità. 1. Verificare l’esistenza di una legge scientifica. (anche con frequenza statistica medio bassa/bassa che serva quale parametro di sussunzione per sviluppare un giudizio ipotetico contro-fattuale di eliminazione mentale) Se il giudice non la trova? Premessa: il giudizio di accertamento di causalità da parte del giudice avviene EX POST, sulla base delle conoscenze del momento storico del processo, quindi del giudice, e non del momento storico in cui si è verificato il fatto. Per rispondere a questa domanda vengono ripresi due casi verificatosi in GERMANIA e in SPAGNA durante la metà degli anni ’90. CASO in Germania: LEIDEN SPRAY che atteneva alla diffusione sul mercato di uno spray per la lucidatura delle pelli da anni in commercio ma che, ad un certo punto, aveva sollevato dei reclami da parte dei consumatori, i quali lamentavano dei fastidi e delle patologie di tipo respiratorio, che aveva provocato anche delle morti. Così il consiglio di amministrazione incarica un esperto chimico di verificare il prodotto che per anni non aveva provocato problemi. Non viene, però, rilevato nessun problema. I reclami continuano e aumentano. Si apre un procedimento penale che giunge alla condanna di tutti i vertici amministrativi della società, basandosi sull’accertamento di causalità, nonostante anche in sede processuale nei vari gradi di giudizio, nessun perito era riuscito a indicare esattamente quale elemento chimico avrebbe potuto provocare questo genere di effetti lesivi/morte. Si era, quindi, presa in considerazione l’alta percentuale dei casi tra coloro che avevano utilizzato il prodotto e avevano presentato queste problematiche. 31 Ciò indusse a una pronuncia di condanna. CASO in Spagna: tossinfezione da olio di colza, destinato ad usi industriali a fini di combustibili ma importato illegalmente in Spagna da un gruppo industriale che trattava prima il prodotto chimicamente per poi immetterlo sul mercato, nei supermercati con fini alimentari. Iniziarono a svilupparsi delle patologie di tipo respiratorio tra coloro che risultavano consumatori di questo tipo di olio soprattutto nella zona della Catalogna, comportando anche un numero significativo di decessi. All’esito di un procedimento penale si pervenne a una sentenza di condanna di tutti i vertici amministrativi della società che aveva realizzato quest’illegale operazione. Nonostante la mancanza di dati che avrebbero potuto attestare quali elementi avrebbero provocato questi effetti lesivi/morte. RECENTE REVISIONE DELLA VICENDA secondo la quale il vero responsabile del dramma fu un pesticida utilizzato nella Catalogna, zona economicamente più debole, per la produzione di pomodori, con l’intezione di far crescere un numero maggiore di pomodori e ridare così vigore all’economia della zona, questo utilizzo era autorizzato dal governo spagnolo. Il collegamento scientifico tra le patologie verificatosi e il consumo di passate di pomori, in questo caso, fu riscontrato. La sentenza non fu revisionata in quanto le condanne erano già state eseguite e quindi l’interesse degli imputati nel riaprire il processo era sfumato. Sono mancate anche qui leggi scientifiche che attestassero il rapporto di causalità che si era poggiato sulla verificazione di una percentuale alta degli effetti patologici a seguito dell’utilizzo di un determinato prodotto. La mancanza di leggi scientifiche può, infatti, provocare effetti ingiusti (come in questo caso) Cosi la sentenza delle Sezioni Unite risponde all’interrogativo affermando che il giudice, se non trova una legge scientifica, è tenuto a pronunciare una sentenza di proscioglimento (per esigenza di certezza del diritto) perché il fatto di reato non sussiste perché manca l’elemento fondamentale del rapporto di causalità. la Sentenza Franzese partendo nuovamente da un caso di responsabilità medica per condotta omissiva, ha fatto il punto sulla causalità attiva ed omissiva e sul grado di certezza delle leggi scientifiche utilizzabili. Ai fini dell’accertamento del rapporto di causalità la Corte di Cassazione distingue 2 nozioni di probabilità: - probabilità statistica: attiene alla verifica empirica circa la frequenza relativa nella successione degli eventi ed è desunta dall’osservazione scientifica dei fenomeni. - probabilità logica (o credibilità razionale): contiene la verifica dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica per il singolo evento concreto che si presenta dinanzi al giudice. Secondo il giudizio di probabilità logica, sussiste rapporto di causalità tra una condotta ed un evento in concreto, se si può affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio che la condotta è stata causa dell’evento, cioè che va ragionevolmente escluso l’intervento di fattori causali alternativi. Es. si supponga che Tizio, malato di Aids, abbia avuto un rapporto sessuale non protetto con Caia e che, successivamente si accerti che Caia ha contratto il virus. La legge scientifica di copertura prevede una percentuale statistica molto bassa di contagio per via sessuale dopo rapporti non protetti; se dovessimo accertare il nesso di causalità desumendone il grado di certezza da quello della legge scientifica, dovremmo arrivare ad escludere il nesso di causalità. Ragionando nei termini proposti dalle Sezioni Unite, si può arrivare a ritenere provato al di là di ogni ragionevole dubbio il nesso di causalità tra il rapporto sessuale non protetto da Tizio e Caia e la malattia contratta da quest’ultima, sempre che sia possibile escludere nel caso concreto l’intervento di fattori causali alternativi di contagio (non ha avuto altri rapporti sessuali, non ha ricevuto trasfusioni di sangue e non è assuntrice di sostanze stupefacenti attraverso siringhe infette). Tale accertamento si traduce in un risultato di certezza processuale, che impone al giudice un maggior rigore in presenza di leggi statistiche con frequenze medio-basse. 32 In ogni caso l’insufficienza, la contraddittorietà o l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale devono condurre ad una soluzione assolutoria (in dubbio pro reo). Scopo del processo penale non è ricercare una verità storica/ assoluta (che potrebbe non essere riconosciuta) ma la VERITA’ PROCESSUALE. Il giudice non deve, quindi, ricercare la certezza scientifica della causalità (100%) ma l’elevata credibilità razionale, ovvero l’elevata probabilità logica che la condotta abbia svolto un ruolo causale rispetto alla realizzazione dell’evento in termini di RAGIONEVOLE CERTEZZA. Nel giudizio di accertamento della causalità dopo la verifica dell’esistenza di una legge scientifica che generale ed astratta descrive il procedimento di collegamento tra condotta ed evento, entra in gioco un altro fattore: 2. L’esclusione dei decorsi causali alternativi che spieghino con equivalente o maggiore grado di credibilità razionale di probabilità logica la realizzazione dell’evento. (che impediscono di superare ogni ragionevole dubbio) Es. la voratore che contrae una patologia per esposizione sul luogo di lavoro a fibre di amianto per cui viene considerato responsabile il datore di lavoro. Ma potrebbe essere causato da decorsi alternativi come il tabagismo, il forte vizio di fumo del lavoratore. Il passaggio dal generale ed astratto all’individuale e concreto richiede allora la conferma della validità della legge scientifica, che vale in generale, anche a spiegare il caso concreto, in quanto sia escluso dal quadro della ricostruzione il valore di un’altra legge scientifica che spieghi con pari o superiore grado di credibilità razionale di probabilità logica le modalità di produzione di quell’evento a partire dal fattore diverso in cui non svolge alcun ruolo la condotta dell’imputato. (all’esito della verifica processuale dell’inesistenza di questi, il giudice potrà raggiungere la ragionevole certezza – suo obiettivo – di aver superato il dubbio circa la causalità penale. Il decalogo delle sezioni Unite è quindi sintetizzato in questi due punti. Sentenze dopo il deposito della sentenza delle Sezioni Unite Franzese e che la richiamano. Es. Il caso di un medico che omesso di diagnosticare una patologia tumorale al polmone che era fortemente evidenziata dalla lastra attraverso una macchia scura e intesa invece come colorazione della lastra stessa. Il paziente muore due anni dopo per arresto cardio-circolatorio. Si apre un procedimento penale per omicidio colposo a carico del medico, ove si rinviene attraverso l’esame peritale richiesto che esiste una legge scientifica che attesta come nel 70% dei casi un adeguato trattamento chemioterapico a quel particolare tipo di tumore, avrebbe comportato la sopravvivenza del paziente fino a 5 anni. L’evento può essere considerato penalmente significativo? Attraverso il procedimento di eliminazione mentale e un giudizio controfattuale della condotta del medico l’evento si sarebbe comunque verificato anche se alcuni anni dopo. Le Sezioni Unite Franzese ricordano che quando si tratta di vita umana occorre conteggiare anche l’accelerazione della verificazione dell’evento. Bisogna quindi verificare che l’evento non si sarebbe verificato o che si sarebbe verificato ma in misura lesiva inferiore o in termini significativamente diversi. Dall’esame peritale però emerge anche che il quadro clinico del paziente era più complesso, egli soffriva anche di altre quattro patologie tutte capaci di indurre l’evento morto: arresto cardio-circolatorio. Il giudice può pronunciare una sentenza che accerti l’esistenza della causalità penale? 35 Concetto di relazione o normativo. - Di relazione perché non esiste se non il rapporto ad una condotta che si doveva tenere. - Normativo perché questa relazione va fatta con un parametro generale ed astratto (dettato dalla norma) che abbia effetti di obbligatorietà. Fondamentale per l’esistenza di un reato omissivo è un presupposto (il dovere, l’obbligo). Nella struttura del reato omissivo si pretende l’indicazione di un presupposto, delle condizioni che si devono presentare per rendere operativo quell’obbligo, e del termine finale. Deve, quindi, essere esattamente descritta la cornice spaziale e cronologica di operatività del dovere. Es. Tre amici, Tizio, Caio e Sempronio, fanno una gita al mare. Tizio organizza la gita ma ha altre intenzioni perché scopre che Sempronio è amante di sua moglie, Caio lo sa bene ma non volendo creare disagi anche perché crede che sia una semplice rimpatriata non dice nulla dei suoi timori. Tizio invita solo Sempronio, sapendo che non sa nuotare, a fare una gita in barca. Caio crede possa essere l’occasione di riconciliazione, decide di restare in spiaggia ad ascoltare la musica. Tizio e Sempronio vanno in mare aperto, Tizio getta dalla barca Sempronio, nessuno, neanche il bagnino Medio, salva Sempronio che annega. Chi ha ucciso Sempronio? Per definire penalmente rilevante un’omissione vi deve essere una norma giuridica che detta i paletti di rilevanza causale dell’omissione, perché essa possa essere una causa dell’evento. Art. 40 Comma 2 “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Questo fonda il reato omissivo improprio. Nasce come forma di manifestazione del reato dalla sintesi e dall’integrazione di questa norma (art.40 comma 2) e la singola fattispecie incriminatrice di parte speciale che ha una modalità strutturale ed espositiva in termini di reato a forma attiva e libera. Es. Art. 575 Omicidio doloso “chiunque cagiona la morta di un uomo…” Dove cagionare consiste in una condotta attiva (causalità attiva). Integrando l’art. 575 (che da rilievo a qualsiasi condotta purché causale) con il comma 2 dell’art. 40, che scrive di un’equivalenza tra il cagionare ed il non impedire l’evento, si ha una forma di manifestazione omissiva impropria del reato: c.d. titolo di imputazione/incriminazione di una condotta omissiva causa di un evento. Es. La madre che non allatta il proprio figlio neonato cagionandone la morte. Non è subito sussumibile sotto l’art. 575 perché non è un cagionare in termini di azione ma si tratta di un’omissione: la madre omette l’allattamento. L’art. 40 comma 2 scrive l’equivalenza tra causalità attiva e omissiva (come anche le Sezioni Unite Franzese). Questa equivalenza non è però un’esatta identità. Risultato che consegue questo disposto normativo è l’individuazione di tutti gli elementi costitutivi del reato omissivo improprio. Es. di Tizio Caio e Sempronio. Se tutti possono cagionare l’evento attraverso una condotta attiva, lo stesso non vale attraverso una condotta omissiva che possa avere un rilievo penale. L’individuazione di chi può ottenere una condotta omissiva che può ritenersi causa penalmente rilevante rispetto ad un evento naturalistico. IL FILTRO SELETTIVO è dato dalla norma dell’art. 40 comma 2: OBBLIGO GIURIDICO, parametro per la verifica della causalità omissiva. Se un soggetto non è titolare dell’obbligo giuridico, il fatto tipico non esiste. Ma chi è il titolare dell’obbligo giuridico? Cosa fonda quest’obbligo? 36 Il riconoscimento dell’esistenza di un soggetto che possa dirsi soggetto-mittente in termini penali. Sull’identificazione di questo soggetto si sono susseguite diverse teorie: 1. Teoria sostanziale Esigenza di una giustizia sostanziale a tutela del bene protetto che, a fondare l’obbligo di impedire l’evento sia una posizione di potere che riconosca in capo ad un soggetto la capacità di schermare la pericolosità della situazione da cui nascerebbe il suo dovere di intervenire. Es. Caio esperto escursionista sa che Tizio, suo amico, vuole mettersi alla prove ed affrontare un pericoloso percorso. Caio preoccupato, di nascosto, lo segue. Le condizioni climatiche volgono al peggio, Caio spaventato nonostante abbia visto Tizio in difficoltà, preso dallo spavento scappa. Caio è responsabile? No. Aveva potere e capacità ma il nostro è un sistema penale che si basa su un principio di riserva di legge. Elemento (obbligo di impedire l’evento) che seleziona un elemento costitutivo del reato: Il soggetto. Esso è scritto solo dal legislatore, non il fatto, non la situazione sostanziale o le esigenze di giustizia legato al caso concreto. L’obbligo è GIURIDICO, non etico o morale e la giuridicità deve avere carattere penale e quindi di riserva di legge. 2. Teoria formale Teoria contrapposta: esclusivamente una fonte formale sarebbe condizione necessaria e sufficiente ad identificare il soggetto mittente dei reati omissivi impropri. Neanche questa stringenza di formalità corrisponde alle dinamiche del sistema penale (che ha comunque una base sociologica) ed è stata per questo presto disattesa perché si potrebbe trasformare in una logica di responsabilità oggettiva che è in contraddizione con il principio costituzionalizzato di colpevolezza. Basterebbe individuare la qualifica formale in capo ad un soggetto per ritenerlo titolare dell’obbligo giuridico, quando magari nei fatti egli potrebbe anche non avere i poteri di impedire l’evento. Il soggetto non sarebbe, quindi, responsabile di un fatto riconducibile a una sua scelta, in quanto egli non aveva la possibilità, non aveva modo di agire diversamente. Questa stringenza di forme, che viene sentita estranea dalla logica del sistema penale, aveva portato ad allargare con la c.d. teoria del trifoglio il novero delle fonti suscettibili di essere la base di questo obbligo non solo alla legge ma anche al contratto e all’agire pericoloso precedente. Es. Proprietario di una casa decide di scavare un fosso abbastanza profondo per piantare un grande alber. Stanco decide di non completare il lavoro e di rimandare al giorno seguente. Un ragazzino per fare uno scherzo entra in un giardino e nel buio non vedendo la buca cade e si rompe una gamba. (La causalità è innescata da una condotta attiva – lo scavo- non c’è, quindi, un’omissione) Il proprietario aveva l’obbligo di impedire l’evento lesivo? Secondo questa teoria questo sarebbe l’agire pericoloso precedente che non ha schermato il rischio, imputabile al proprietario, che potrebbe fondare l’obbligo di impedire l’evento. Non è ammissibile un’estensione in questi termini delle fonti formali dell’obbligo, in quanto l’agire pericoloso precedente non può essere la base di un obbligo di intervento. 3. Teoria mista (eclettica o sincretica) Teoria che unisce le due logiche (forma e sostanza/dovere e potere). Il naturalismo (potere - il concreto e l’individuale) deve integrarsi con il normativismo (dovere – l’astratto e il generale). La parte formale esige che ci sia, appunto, una base formale che incarichi del dovere di impedire l’evento un determinato soggetto. La base è la legge o atti aventi forza di legge e il contratto. Es. Il genitore ha l’obbligo/dovere di… dettato dagli artt. 30 del c.p. e 147 c.c. 37 Essa non si accontenta di individuare il dovere ma deve individuare anche il potere (di impedire l’evento) in mano al soggetto intitolato, perché solo così si ha a 360° la c.d. FIGURA DEL GARANTE. Il garante è titolare della posizione di garanzia, ossia dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, insieme ad altri obblighi previsti nell’ambito del nostro ordinamento ma che non sono la base dell’obbligo giuridico impeditivo del comma 2 dell’art.40 e non possono essere considerati elemento costitutivo di una responsabilità penale per omissione. Es. Obbligo di agire: base di un reato omissivo proprio – omissione di soccorso (l’eventuale morte non può essere imputata a chi omette il soccorso)  solo l’obbligo di impedire può fondare la responsabilità penale; Gli obblighi di sorveglianza o di vigilanza (non obblighi impeditivi) sono esclusi dall’ambito di responsabilità penale dell’evento. Sulla scorta del contenuto della posizione di garanzia si distinguono due tipi di garante: - Posizione di protezione: Es. Genitore rispetto al figlio minore, egli è responsabile per aver omesso l’impedimento solo di alcuni tipi di evento a danno del figlio minore. Es. Se al bimbo viene rubata la bici, il genitore non è responsabile. Questa posizione si costruisce sulla base dell’esistenza di poteri fattuali ed è riconosciuta dall’ordinamento per una particolare relazione stretta che sussiste tra il garante e il titolare del bene giuridico da proteggere. In funzione dell’esistenza di questa stretta relazione il garante, titolare di una posizione di protezione, ha il dovere/potere di proteggere uno o più determinati titolari o a fronte di qualsiasi fonte di pericolo o di talune determinate fonti. Caratteristica: vicinanza con uno o più beni giuridici rispetto a determinati titolari degli stessi. - Posizione di controllo: hanno un diverso contenuto e trovano riconoscimento dogmatico nella figura del proprietario, del custode… È titolare di questa posizione colui che ha il potere/dovere di tutelare qualsiasi bene giuridico di qualsiasi soggetto che possa essere coinvolto da una determinata fonte di pericolo di cui egli ha il potere di dominio, gestione, controllo. Es. Proprietario di un edificio pericolante per incuria in cui le tegole cadono e possono cagionare la lesione ad un passante o danneggiare un auto (si tratta quindi anche di bene patrimoniale). Entrambe le posizioni emergono dalla norma giuridica che si affaccia sulla realtà, cioè scritta in funzione della realtà. Di volta in volta occorrerà, però, verificare che effettivamente questa situazione di intitolazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento che sta scritta in generale ed astratto corrisponda all’operatività nella vicenda concreta. Perché una volta identificato il titolare dell’obbligo giuridico di impedire l’evento si deve calare nella dinamica concreta del verificarsi di quell’evento in concreto. Es. Pronuncia del tribunale di Perugia Due bambini di tenera età, tra i 5 e i 6 anni, giocano a freesbee nell’atrio interno di un palazzo condominiale. Uno dei due lo tira all’altro, il quale non riesce a prenderlo. Il freesbee va così a sbattere contro la vetrata accanto al portone di ingresso condominiale. Il vetro si infrange e uno dei pezzi cade all’esterno colpendo un ragazzino di 14 anni seduto su una panchina nel patio esterno vicino l’ingresso. Il pezzo si conficca nel cuore provocandone la morte per arresto cardiocircolatorio. Viene tratto in giudizio l’amministratore del condominio con l’imputazione di omicidio colposo commesso mediante omissione. Gli si imputa, infatti, di non aver ben mantenuto le strutture dell’edificio dal momento che, attraverso un’indagine peritale, emerge che quel vetro non era a norma e quindi non era dotato di caratteri di solidità pretesi dalla norma, che se seguiti non avrebbero portato, con un colpo, alla parcellizzazione in pezzi grandi e l’evento probabilmente non si sarebbe verificato. L’edificio era degli anni 60 l’amministratore subentra negli anni 90 ma non si preoccupa di controllare che tutto fosse a norma. L’amministratore è titolare di un obbligo giuridico di impedire l’evento? 40 dobbiamo riconoscere che una condotta tipica non c’è stata e quindi non procediamo all’accertamento della causalità. Ove il medico avesse scelto un’infermiera professionista e l’avesse adotta di tutte le caratteristiche del caso concreto sarebbe rimasto sulla scena della responsabilità penale esclusivamente la figura del garante secondario. Nella vicenda concretamente sviluppata, invece, posta la sussistenza di un garante secondario che ha comunque omesso, anche il garante originario è rimasto tale e ha tenuto una condotta omissiva per non aver impedito l’evento e per non aver affidato il soggetto a una persona con competenze adeguate necessarie. Riassunto. 1. Primo passaggio evidenzia una dinamica diversa nell’accertamento e che adegua piuttosto che l’identità l’equivalenza della causalità attiva e quella omissiva. - Causalità attiva: giudizio ipotetico contro-fattuale di eliminazione mentale, in quanto c’è un comportamento attivo che ha modificato la realtà esterna nello scenario naturalistico, che consente di verificare se eliminata mentalmente la condotta l’evento non si sarebbe comunque prodotto alla luce della sussumibilità sotto leggi scientifiche, cioè una regola generale ed astratta preesistente rispetto al momento del processo che attesti in una certa frequenza di casi il collegamento tra condotta ed evento. - Causalità omissiva: il modello non è lo stesso, in questo caso non c’è nulla da eliminare, da un punto di vista naturalistico l’omissione non esiste, è un niente, quindi viene utilizzato sempre di un giudizio ipotetico contro-fattuale MA di aggiunta/addenda mentale, il giudice infatti in via ipotetica dovrà verificare se inserita mentalmente nel quadro quella condotta doverosa avrebbe effettivamente impedito l’evento, cioè immaginare che se si inserisce, in quel quadro contro-fattuale, la condotta attiva che avrebbe avuto la funzione impeditiva, secondo la norma generale ed astratta che crea la posizione di garanzia, avrebbe o meno impedito l’evento. 2. Come fa il giudice a sviluppare la considerazione circa l’esistenza o meno di una causalità omissiva? Premessa: verifica della causalità naturale attiva, cioè il giudice deve in primo luogo ricostruire quale sia stato l’effettivo decorrere dell’evento, solo facendo ciò può valutare se inserita la condotta omissiva, doverosa omessa, l’evento si sarebbe o meno verificato. Verifica dell’inesistenza di decorsi causali alternativi che spieghino con equivalente o maggiore grado di credibilità razionale di probabilità logica la realizzazione dell’evento secondo una legge scientifica diversa. (che impediscono di superare ogni ragionevole dubbio) 3. i decorsi causali alternativi devono essere riscontrabili alla luce delle c.d. evenienze processuali, cioè i mezzi di prova raccolti nel processo. La causalità omissiva ha natura ipotetico-normativa: - normativa perché è la legge a considerare equivalente alla condotta attiva quella di omesso impedimento dell’evento da parte da chi aveva l’obbligo giuridico di impedirlo; - ipotetica in quanto l’accertamento del nesso causale in presenza di una condotta omissiva richiede un ragionamento di tipo ipotetico, anzi doppiamente ipotetico: 1) è necessario individuare quale azione doverosa avrebbe dovuto tenere il titolare della posizione di garanzia, 2) chiedersi se, ipotizzando presente la condotta doverosa, l’evento sarebbe venuto meno (solo in caso di risposta affermativa sussiste il rapporto di causalità tra l’omissione e l’evento). 41 I criteri di imputazione vanno al di la della volontà o non volontà. L’art. 42 al comma 1 afferma che “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” (regola generale) -> dolo - SUITAS Il comma 2 regola l’eccezione “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”. Rinveniamo in questo comma, dunque, l’esistenza di tre criteri di imputazione soggettiva del delitto: dolo colpa e preterintenzione. Da le regole generali in tema di elemento soggettivo del delitto. Il comma 3 afferma: “la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione” (fa quindi esplicito riferimento ai casi di natura oggettiva). Il comma 4 afferma “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria sia essa dolosa o colposa”. L’art. 43 c.p si scompone di tre alinea nel primo comma che trattano rispettivamente di: dolo, preterintenzione e colpa. DOLO l dolo è definito nell'ordinamento penale italiano dall'art.43 c.p.: "Il delitto è doloso o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione". Tale definizione postula dunque due elementi strutturali fondamentali ai fini della presenza o meno del dolo: la previsione (ossia la rappresentazione mentale con riferimento all’evento, oggetto della volontà del fatto. Coscienza e consapevolezza) e la volontà (forza psichica e si innesta sui decorsi causali portandoli avanti). Oggetto del dolo: è il fatto tipico oggettivo nella sua interezza, così come è strutturato dalla norma penale. [ripete più avanti. A pag. 43 e 44] Che si intende per fatto tipico di reato? Per rispondere possiamo rinvenire all’art.47 c.p. L’art. 47 c.p. tratta dell’errore sul fatto di reato e ci conferma come l’oggetto del dolo, necessario per dare la consistenza strutturale alla rappresentazione è il fatto nella sua interezza. La rappresentazione è il presupposto per la formazione della volontà. Essa viene meno nel caso di errore. L’errore, infatti, è la falsa rappresentazione della realtà esterna, lo ritroviamo in termini chiari nell’art.47 comma 1, il quale afferma: “l’errore sul fatto che custodisce il reato esclude la punibilità dell’agente… non di meno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. ”. Ciò significa che la punibilità per dolo è esclusa per effetto di un’erronea rappresentazione del fatto che costituisce reato, in quanto essa deve avere come connotato costitutivo l’esatta previsione di tutti e ciascuni gli elementi costitutivi del fatto di reato. Quindi esclude il dolo perché viene meno il suo primo elemento costitutivo: la rappresentazione. Es. Tizio va a cacciare insieme a Caio, caccia al cinghiale. Tizio e Caio, ciascuno per conto suo, si appostano per cercare la preda. Tizio, avendo puntato un gruppetto di cespugli, vede uno dei gruppetti muoversi, convinto che finalmente abbia scovato il cinghiale, spara senza analizzare più attentamente il contesto della situazione, e uccide Caio che si era appostato dietro al cespuglio per meglio cogliere il cinghiale. C’è il dolo? No, perché non c’è rappresentazione del fatto di reato di cagionare la morte di un uomo, quindi vi è errato scenario che si configura nella mente dell’agente. Classico esempio di errore sul fatto, perché si erra nella rappresentazione della realtà esterna naturalistica. Lo stesso art.47, che esclude la punibilità per dolo, fa salva un’eventuale punibilità per colpa. Gli elementi descrittivi e normativi del fatto ricadono nell’oggetto della rappresentazione? E quindi di costituzione anche della volontà? Si, anche questi elementi costituiscono la tipicità del fatto di reato. 42 Es. Tizio aspetta il treno, insieme ad altri viaggiatori, Caio con la valigia uguale a Tizio si affianca a quest’ultimo, nel momento in cui ognuno riprende la valigia, per errore la scambiano. È furto? L’errata rappresentazione è caduta sull’elemento normativo. Es. Tizio, vicino di terreno di Caio, con il quale ha sempre discusso per l’acquisto di una fascia di terreno al confine tra i due. Caio, in punto di morte, si convince e decide di donare quella parte di terreno a Tizio. Così, quest’ultimo, convinto comincia a porre dei paletti di confine su questa fascia di terreno, intendendo che ormai quella fascia fosse sua. Egli non sa che, secondo la legge italiana, non ha valore il c.d. testamento non cupativo, cioè orale. C’era invece un testamento scritto che disponeva diversamente. Il comportamento di Tizio, il quale riteneva suo un bene che in realtà era altrui), quindi, sarebbe punibile. C’è un’erronea rappresentazione del fatto di reato? In questo caso, però, va ulteriormente calibrata perché che cos’è che il soggetto fa esattamente quello che vuole fare: mette i paletti sul terreno… allora c’è dolo? Ciò apre ad un’ulteriore dimensione problematica: conoscenza della legge penale. ] Per essere in dolo occorre conoscere la norma penale? C’è dolo se erro nell’esistenza di una norma penale? - L’Art.5 c.p. stabilisce che “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza sulla legge penale”. L’intervento della Corte Costituzionale aggiunge un altro pezzo che non rinveniamo nel testo scritto, perché appunto è una lettura che viene fornita dalla Carta Costituzionale ma che è diventata parte cogente di questo dettato: … Salvo che si tratti di ignoranza inevitabile, il che significa che l’inevitabilità dell’ignoranza sulla legge penale, scusa, ovvero esclude un giudizio di colpevolezza perché il fatto non costituisce reato ma non esclude il dolo, fermo che oggetto del dolo deve essere l’esatta rappresentazione e volontà del fatto non della norma. Quando possiamo distinguere l’errore sul fatto – art.47 c.p. - per cui va esclusa la punibilità per dolo, dall’errore sul precetto? Es. Tizio è convinto che la sentenza di separazione produca il recedimento del vincolo coniugale (prodotto in realtà, da un punto di vista civilistico, solo dalla sentenza di divorzio). Il delitto di bigamia consiste nel contrarre un altro matrimonio avente effetti civili da parte di chi già legato da un vincolo matrimoniale avente effetti civili. Egli convinto che con la sentenza di separazione si sia slegato dal precedente rapporto contrae un nuovo matrimonio con la sua compagna. Ha commesso il delitto di bigamia? Es. Tizio, arrivato da un po’ di tempo in Italia, è di religione islamica per cui la bigamia non è solo una regola religiosa ma una regola di vita, ammessa, tollerata e valorizzata. Arrivato in Italia, con un matrimonio avente già effetti civili, sposa una donna, convinto che per effetto dell’adesione alla religione islamica possa realizzare questo comportamento. Commette delitto di bigamia? Il delitto di bigamia è punibile solo per dolo. Per cui, riconoscere o meno l’esistenza del dolo è fondamentale, in quanto sposta tra la sfera di totale irrilevanza giuridica del fatto e il rilievo penale a titolo del delitto doloso. Quindi, solo se c’è dolo è integrato un fatto di reato. Ma comunque, come afferma il Comma 2 Art. 5 “L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso”. In entrambi gli esempi c’è un errore che esclude il dolo? Nel primo caso: art. 47 comma 3 “L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”, caso in cui la l’errore sulla legge diversa da quella penale, che compone un elemento costitutivo del fatto, si riflette in un errore sul fatto, cioè un’erronea rappresentazione della realtà. Quindi, si tratta di errore sul fatto che esclude il dolo. (Qual è la legge diversa da quella penale? È sempre parte inscindibile del precetto penale e quindi si trasporta necessariamente nella disciplina dell’art. 5 c.p., si tratta dunque di una interpretatio abrogans del comma 3 dell’art. 47, un’interpretazione quindi che lo lascia scomparire come se fosse abrogato). Nel secondo caso: c’è un errore di diritto, per cui è richiamabile quindi l’art.5 c.p., il dolo non è escluso perché non ha errato sul fatto, cioè su ciò che ha commesso, ma si è fornito un’errata rappresentazione della valutazione che l’ordinamento fornisce di quel fatto che egli voleva esattamente commettere ed ha commesso. Ha errato sulla qualifica negativa, piuttosto che positiva, che a quelle conseguenze 45 letto sempre come errore sulla legge penale, proprio in virtù dell’incorporazione, anche solo implicita, nel precetto. A fronte di un simile interpretatio abrogans, la nostra dottrina ha cercato di percorrere varie strade, al fine di ridare senso ed effettività al disposto di cui all’art. 47, comma 3, c.p. Altri preferiscono, invece, ricondurre la regola in virtù della quale l’errore su legge diversa da quella penale rileva ai fini della non punibilità, ai principi generali in materia di dolo: qualsiasi errore sul fatto, sia esso di fatto che di diritto incide negativamente sulla formazione della volontà, e pertanto non può che escludere il dolo. Secondo altri autori, pare preferibile la tesi che, rifiutando un’indebita estensione analogica in malam partem, esclude qualsiasi residua responsabilità colposa. Errore sugli elementi differenziali tra fattispecie. Il comma 2 dell’art. 47 dispone che l’errore sul fatto non esclude la punibilità per un reato diverso. In concreto, si possono prospettare tre diverse situazioni. In concreto si possono prospettare 3 diverse situazioni: 1- Errore su un elemento “aggravante” o “elevante” Se l’agente ignora, per errore, l’esistenza di un elemento della fattispecie concreta che rende diversa e più grave l’ipotesi delittuosa, deve applicarsi l’ipotesi meno grave. Es. Tizio, dopo aver commesso un furto, viene fermato da un poliziotto in borghese che, pur essendo nell’esercizio delle proprie funzioni, non si qualifica come tale, e lo offende pesantemente: si tratta di ingiuria (fattispecie meno grave, art. 594 c.p.) e non oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.) fattispecie più grave, rispetto alla quale l’agente ne ignora gli elementi costitutivi. 2- Ignoranza di un elemento che rendo meno grave la fattispecie; come nell’esempio appena prospettato, Tizio viene fermato dopo il furto, ma da un privato che egli crede per errore essere un poliziotto in borghese, nell’esercizio delle sue funzioni; se lo insulta: si tratta di ingiuria (reato realmente commesso) e non oltraggio a pubblico ufficiale, in virtù della disciplina del c.d. reato putativo. 3- L’agente crede, sempre per errore, che nella situazione concreta sia integrato un elemento che degrada la punibilità, che, cioè, porterebbe a realizzare una meno grave fattispecie di reato. Es. Tizio crede per errore che vi sia il consenso della vittima alla propria uccisone: omicidio comune o omicidio del consenziente? Errore determinato dall’altrui inganno. Può avvenire che l’errore sul fatto sia frutto dell’inganno di una terza persona: Es. un pubblico ufficiale redige un atto pubblico che contiene false attestazioni, in quanto tratto in inganno dal privato, che allega documenti a loro volta falsificati. In questo caso, all’autore materiale del falso si applica l’art.47 c.p. (egli, in sostanza, non potrà essere punito) ma, ai sensi dell’art. 48 c.p. “del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo”, pertanto, risponderà l’autore dell’inganno. Per “inganno” si deve intendere qualsiasi condotta che abbia concretamente tratto in errore l’autore materiale del reato: una menzogna, la produzione di un documento falso, o qualsiasi altro artificio. Qualora il soggetto ingannato abbia tenuto la condotta criminosa per essere stato tratto in inganno, ma gli si possa rimproverare di non aver utilizzato tutta la diligenza che l’ordinamento impone, egli risponderà del fatto a titolo di colpa. Es. se Tizio, con volontà omicida, trae in inganno il cacciatore, facendogli credere che dietro il cespuglio vi è una preda venatoria, e non un uomo, e Caio spara ed uccide, in una situazione nella quale la presenza di un uomo dietro il cespuglio poteva essere prevedibile, allora Tizio risponde di omicidio doloso, Caio di omicidio colposo dal momento che il suo errore, pur se ingenerato dall’inganno altrui, è dovuto a colpa. Ignoranza o errore sulla legge penale La coscienza dell’illiceità penale del fatto non deve essere oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente. Art. 5 c.p. “nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”.-> si può parlar di buona fede nelle contravvenzioni: atteggiamento psicologico in virtù del quale il soggetto agente ha, sì violato la norma penale, ma con la verosimile e rimproverabile 46 consapevolezza di agire in maniera lecita. La Corte si è inoltre espresse mediante lo stabilimento di: - criteri oggettivi puri: rendono impossibile la conoscenza della norma penale per tutti i consociati, vista l’oscurità del testo legislativo nonché il marasma interpretativo giudiziario. - criteri misti: sono assicurazioni erronee di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare. - criteri soggettivi puri: prendono in considerazione solo ed esclusivamente le caratteristiche dell’agente. note: i criteri oggetti puri e misti non valgono per chi svolge determinate tipologie di attività. FORME DI DOLO Tutte le forme di dolo, in quanto dolo, necessitano di essere sorrette da rappresentazione e volontà del fatto tipico di reato, poi a seconda dell’intensità della volizione si distinguono in: - dolo intenzionale: il soggetto agisce perché intende realizzare la condotta o causare l’evento; il fatto realizzato costituisce il fine per il quale il soggetto si determina ad agire e costituisce la forma più grave di dolo, in cui l’elemento volitivo raggiunge il suo apice. - dolo diretto: quando c’è una rappresentazione in termini certi o altamente probabili del realizzarsi dell’evento. Es. Es. un killer è incaricato di uccidere un magistrato e per farlo decide di piazzare una bomba nella sua auto, pur sapendo che questi, ogni mattina, scende con la figlia per accompagnarla a scuola: dolo intenzionale per la morte del magistrato, dolo diretto quella della figlia che morirà certamente a causa dell’esplosione. - dolo eventuale: l’agente si configura come possibile (non come certo o altamente probabile) il verificarsi di un reato, e ciò nonostante agisce anche a costo di realizzarlo. Cioè il soggetto tiene un certo comportamento rappresentando che possibile conseguenza della sua condotta sia un evento che non vuole raggiungere come scopo del suo agire ma è un plausibile effetto consequenziale del suo comportamento. DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE Il problema che si pone è quello di distinguere concettualmente il dolo eventuale dall’ipotesi più grave di colpa, la c.d. colpa cosciente: sorretta da non volontà del fatto ma caratterizzata dalla previsione dell’evento non voluto e realizzato. Elemento di congiunzione tra dolo e colpa: la previsione. Elemento di disgiunzione: la volontà. Quindi in entrambi i casi, colpa cosciente e dolo eventuale, c’è previsione dell’evento ma nella colpa cosciente, che è una forma aggravata di colpa, l’evento previsto e poi realizzato non è voluto; Nel caso di dolo eventuale, l’evento, previsto e realizzato, è voluto anche se non costituisce lo scopo della condotta del soggetto. Es. Il terrorista che mette la bomba nella piazza della città per fare un attentato dimostrativo. Egli non ha l’obiettivo di uccidere gli abitanti della cittadina ma vuole dimostrare la pericolosità dell’associazione di cui fa parte. Immagina che non ci siano persone che attraversano durante la notte la piazza della città. Lo immagina come possibile ma fa scoppiare ugualmente la bomba. Per distinguere dolo eventuale e colpa cosciente bisognerà comprendere se si tratti di un evento che anche se previsto come possibile sia effettivamente voluto o meno. Sono stati sviluppati svariati criteri: 1. in particolare, il criterio di accertamento del rischio del verificarsi dell’evento: In base a ciò si avrebbe dolo eventuale nella misura in cui l’evento sia previsto come possibile e voluto in quanto è accertato il rischio del verificarsi dell’evento e colpa cosciente se l’evento è previsto come possibile ma non è voluto, quindi se il soggetto non ha accertato il rischio del suo verificarsi. Questo criterio non ha avuto successo. 47 2. Negli ultimi anni, di fronte l’eccessiva discrezionalità del giudice nella valutazione del dolo eventuale e colpa cosciente, la giurisprudenza della Corte di Cassazione alla formulazione della c.d. FORMULA DI FRANK. - Questa è una teorica di impostazione dogmatica germanica che nella sua prima formulazione sembra poco risolvere l’esigenza di certezza di garanzia del diritto. La formula di Frank si imposta sul giudizio ipotetico: il giudice dovrà ipotizzare che il reo si sia rappresentato in termini di certezza il verificarsi dell’evento. Ci si deve porre una domanda: se il soggetto si fosse rappresentato in termini di certezza la verificazione dell’evento rappresentato, avrebbe agito? Se la risposta è positiva allora si verte in termini di dolo eventuale perché c’è volontà dell’evento; se la risposta è negativa e il reo si fosse astenuto dal tenere quella condotta allora siamo nel campo della colpa cosciente. Non si assiste all’individuazione di un parametro certo che riesca a scolpire la casistica di dolo e colpa. - Un intervento massiccio in un ottica di certezza, in questo campo, appartiene agli ultimi anni, in particolare ad una pronuncia della Corte di Cassazione della prima sezione del Febbraio 2011 che per la prima volta, in sede di giudizio di legittimità da parte della Corte di Cassazione, sigla una condanna per omicidio doloso a titolo di dolo eventuale con riferimento ad una morte accorsa in sede di incidentalità stradale, attraverso un percorso di riconoscimento che arricchisce la formula di Frank e che sottolinea un dato che doveva essere evidente da sempre: prendere in considerazione l’intero fatto che si compone di condotte di evento e non di rischio di verificazione dell’evento, in quanto l’evento si è verificato. Si dovrà accertare, quindi, che il soggetto avesse la volontà della verificazione dell’evento concreto. Per far ciò, la giurisprudenza della Corte di Cassazione combina la prima formula di Frank alla seconda formula di Frank. Per cui al fine di sviluppare questo giudizio ipotetico di permettere al giudice di formulare una risposta alla domanda: se il reo avesse avuto una rappresentazione certa della verificazione dell’evento avrebbe agito ugualmente?. Per rispondere deve usare la formula del “costi quel che costi”, ovvero deve verificare se il soggetto agente abbia in quel contesto deciso di agire a costo della verificazione dell’evento. Quindi alla base di questa volontà vi è la scelta/la decisione da parte del reo. Es. Caso della Corte di Cassazione. Tizio che si trovava consapevolmente a bordo di un furgone rubato, durante il percorso, scorge a lato della strada una pattuglia della polizia in servizio. Tizio, visto il blocco, inizia ad accelerare. La polizia insospettita decide di operare un fermo ma di fronte ad un mancato arresto del mezzo, cominciano ad inseguirlo. Tizio, durante l’inseguimento, per sfuggire alla polizia, accelerando supera tutti i limiti massimi consentiti e non rispetta il codice della strada, passando anche con il rosso. La polizia difronte questa situazione decide di interrompere l’inseguimento per evitare vittime. Tizio passando difronte all’ennesimo semaforo che segnalava il rosso viene travolto da una macchina, la guidatrice muore e uno dei passeggeri riporta gravi lesioni. Il Tribunale di Roma apre il procedimento per omicidio e lesioni, qualificandoli come dolosi per dolo eventuale. La Corte d’Appello riqualifica il fatto in termini di omicidio e lesioni colpose per colpa cosciente, muovendo dalla considerazione che sebbene non ci fossero, dai rilievi operati dei segnali di frenata per cui il guidatore aveva proseguito senza rallentare, anche se si trovava ad attraversare l’impianto semaforico con il rosso, questo non doveva intendere l’accettazione dell’evento, cioè la verifica che egli avesse agito a costo di determinare l’evento, in quanto la determinazione dell’evento, che scaturisce dallo scontro d’auto, sarebbe andato contro anche i suoi interessi in quanto avrebbe bloccato la sua fuga. La Corte di Cassazione si trova a rielaborare questo materiale di riflessione e giudica attraverso la prima e la seconda formula di Frank. In primo luogo disattende la considerazione che era stata formulata nel senso dell’acquisizione di una sicura fiducia da parte del guidatore che nulla sarebbe successo perché già aveva attraversato più impianti semaforici senza nessun incidente e aveva maturato la certezza che nemmeno a quell’ennesimo semaforo si sarebbe maturato l’incidente. 50 Il contenuto della colpa non è un contenuto naturalistico ma NORMATIVO, cioè si tratta di operare un confronto, una valutazione alla stregua di quella che doveva essere la corretta modalità comportamentale. - Per verificare la dimensione oggettiva della colpa dobbiamo attestare che il soggetto in concreto ha tenuto un comportamento non aderente a quelle direttive comportamentali che l’agente modello avrebbe saputo e potuto tenere in quel contesto. Qual è il parametro per modellare l’agente modello? Come faccio a stabilire quale regola cautelare è stata violata? Si usa la formula homo eiusdem professionis et condicionis, intesa non in senso della professione esercitata in generale ma dell’attività che viene in quel momento posta in essere. Si tratta di un soggetto che svolgendo quel tipo di attività, utilizza tutte le cautele che l’ordinamento giuridico può legittimamente aspettarsi e pretendere dai cittadini, in quelle medesime circostanze. Invece, la colpa specifica va attualizzata al contesto di attività, il che ne potrebbe anche legittimare una disattenzione, cioè una violazione necessaria per essere prudenti, cioè per andare a prevenire eventi pericolosi. Es. una macchina si trova di fronte ad un carico caduto dal camion che la precede, per salvare l’incolumità di chi risiede nell’automobile si sposta sulla carreggiata opposta violando una regola del codice della strada. In questo caso è imposta la violazione, che va contestualizzata ogni volta la regola comportamentale ha questa funzione prudenziale con lo specifico margine di operatività che si trova a vivere in quel momento il soggetto agente. Ancora, va letta con riferimento al c.d. Principio di affidamento che serve a definire le regole del comportamento del caso concreto. Esso opera per la determinazione e definizione dell’oggetto, quindi la re-identificazione della regola cautelare in contesti di cooperazione, cioè contesti in cui ravvisano l’interazione di più persone. In generale il principio di affidamento deve esistere, deve poter improntare la fiducia negli altri. In base a tale principio il soggetto che interagisce con altri è autorizzato a fare assegnamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte degli altri soggetti. Questo ha due limiti: - si può invocare il principio di affidamento solo quando non vi siano elementi concreti che indicano il soggetto a ritenere che il terzo non rispetterà le regole cautelari, quindi, quando la fiducia è disattesa di fronte alla negligenza degli altri, che sia percepibile empiricamente, cioè da un punto di vista naturalistico attraverso cui si può apprezzare che l’altro non verrà a mantenere una condotta negligente. Es. chi viaggia su una strada con diritto di precedenza abbia modo di rendersi conto che la velocità tenuta dall’altro guidatore è tale da impedire a quest’ultimo di arrestarsi per tempo allo “stop”. - non può essere invocato da chi abbia una posizione di garanzia sul terzo, del quale si possa, in astratto, prevedere il comportamento non diligente. Quando, quindi, il soggetto ha un obbligo di controllo dell’operato altrui. Es. di lavoro svolto in equipe, in cui il ruolo del “capo” si divide tra un’attività di supervisione dell’attività altrui e un’attività direttamente operativa che non potrebbe svolgersi senza fare affidamento sul puntuale adempimento degli altri componenti dell’equipe. Per verificare la colpa, oltre la regola cautelare, ci deve essere un tipo di legame tra condotta colposa ed evento. Si parla del c.d. nesso causale interno alla colpa, inteso come nesso psichico. Potranno essere imputati per colpa solo quegli eventi che rappresentano la specifica caratterizzazione del rischio che la regola cautelare violata tendeva ad evitare. Infatti si risponde per colpa esclusivamente con riferimento a quegli eventi che possono essere rapportati alla sfera di rimproverabilità perché evitabili (dato ulteriore da accertare rispetto alla violazione della regola cautelare) attraverso l’adozione di un comportamento corrispondente alla regola cautelare che si imponeva nel caso. Quindi l’evitabilità si dota: 51 - un primo momento di accertamento dell’essere l’evento la specifica concretizzazione del rischio che la regola cautelare imposta, si volgeva ad evitare. - di un ulteriore elemento costitutivo: la capacità del comportamento alternativo lecito di evitare effettivamente il verificarsi dell’evento A questo livello non è ancora concluso il giudizio di accertamento della colpa perché manca un ultimo tassello: La verifica della dimensione soggettiva della colpa. [Posto che l’evitabilità è un nesso tra la dimensione oggettiva della violazione della regola cautelare e la dimensione soggettiva della colpa.] ELEMENTO DI COMPLESSITà: dato temporale Quando l’evento in concreto è conseguenza dell’esposizione ad un fattore di rischio dei quali al momento della condotta si riconosceva la pericolosità solo in riferimento a conseguenze diverse da quelle manifestatasi. Es. Sentenza di primo grado del Tribunale di Venezia sul caso Porto Marghera. Si tratta di un’industria petrolchimica che nello svolgimento della sua attività produttiva utilizza determinati agenti chimici. Essi nel momento in cui iniziano ad essere utilizzati nello svolgimento dell’attività economica a partire dagli anni ‘70 hanno, a contatto con l’epidermide, come possibili effetti collaterali quelli causativi della c.d. malattia di Raynaud che è una malattia di carattere vascolare che comporta la perdita delle falangi delle dita, delle mani e dei piedi. Negli anni ’90 con l’evoluzione della scienza, si è attesta un’altra patologia che possa essere innescata con il contatto con questa sostanza: una patologia tumorale al fegato (angiosarcoma epatico) che ha esiti mortali. Pensiamo ad un amministratore che negli anni ’80 abbia disatteso quelli che possono essere delle regole cautelari per evitare il contatto con questa sostanza, non disponendo di quelli che sono i meccanismi di protezione individuali, non dando né guanti né mascherine al lavoratore che si trova ad avere contatto con questi agenti. Vent’anni dopo questo lavoratore muore per tumore al fegato. C’è colpa dell’amministratore? Il dato temporale è importante? Cioè che si sia conosciuto da un punto di vista scientifico solo negli anni ‘90 per una condotta tenuta in anni ’70-’80? Sotto il profilo della CAUSALITA’ MATERIALE è rilevante la discrasia temporale? Possiamo avvalerci cioè del fatto che nel ’70 non c’erano leggi scientifiche che attestavano questo collegamento e che sono insorte nel ’90 e il giudizio si sia svolto nel 2005? La causalità materiale si attesta con giudizio ex post, cioè giudice fa uso del sapere del tempo del processo, perciò il giudice è tenuto a verificare l’esistenza di un legame oggettivo alla luce del sapere del suo tempo. Verificata la causalità tra la condotta e l’evento morte, dovrà poi verificare se sussiste un rimprovero per colpa. C’è violazione di una regola cautelare? Si! L’evitabilità attraverso l’adozione di un comportamento diligente è accertato sotto il duplice profilo della capacità impeditiva del comportamento alternativo lecito e della specifica concretizzazione del rischio. Che cosa manca? L’ultimo dato: la dimensione soggettiva della colpa (concetto richiamato nella ricostruzione della regola cautelare: regola di condotta che identifica il comportamento necessario per evitare il danno. Quale danno? Non un danno qualsiasi in quanto, in questo caso, ci sarebbe la colpa. Il Tribunale di Venezia nega l’esistenza della colpa, proprio in forza della mancanza di riconoscibilità scientifica dell’evolversi quello specifico evento a seguito di quella mancanza comportamentale. Perché la conoscenza scientifica di allora, lungo cui poteva muovere il comportamento dell’amministratore, 52 attestava la producibilità dell’evento, sì dannoso per la salute, ma ben diverso invalidante ma non mortale e determinato da un contatto epidermico, cioè materiale con la sostanza. Solo ex post, ma non anche ex ante cioè al momento della condotta (che è quello il momento in cui si deve esprimere il giudizio di accertamento della colpa, perché la colpa è colpa per il fatto legato ad una certa condotta mancante) si è riconosciuta la possibilità di sviluppo di un ulteriore, diverso ma eterogeneo, evento dannoso per la salute, mortale derivante da un diverso canale di rischio perché l’angiosarcoma epatico si contrae per effetto dell’emanazione di questi agenti. Secondo la sentenza richiamata "la prevedibilità di un evento può essere formulata solo allorquando, al momento in cui viene compiuta la condotta iniziale, sussistano leggi scientifiche di copertura, le quali per metto non di stabilire che da una certa condotta possono seguire determinati effetti". La Corte d’Appello ai fini della sussistenza del requisito della prevedibilità ritiene non necessaria la "conoscenza da parte dell’agente dei meccanismi causali spiegati da una legge di copertura scientifica, ma sufficiente la conoscibilità del rischio. Ovvero si deve ragionare in una logica precauzionale che impone la c.d. default option cioè l’opzione di non tenere quella condotta fintanto che non sia scientificamente accertato il grado di non dannosità di quel particolare comportamento. La Corte di Cassazione nel 2008 conferma la sentenza di condanna, le parole della Cassazione: "le soglia, insita nei concetti di diligenza e prudenza, oltre la quale l’agente può prevedere le conseguenze lesive della sua condotta, non è costituita dalla certezza scientifica ma dalla probabilità o anche dalla possibilità che queste conseguenze producano. Naturalmente questa possibilità deve essere concreta e non solo astratta." La sentenza della Corte di Cassazione ha espressamente evocato il principio di precauzione, riconosce corretto affermare che "esso non ha una diretta efficacia nel diritto penale ma è volto solo ad ispirare le pubbliche autorità nelle scelte di regolamentare e vietare determinate attività quando esista il sospetto di una loro pericolosità che però mai ha trovato conferma.", "la precauzione richiede che si adottino certe cautele anche se è dubbio che la mancata adozione provochi eventi dannosi". La pronuncia che ha suscitato delle critiche notevoli da parte della dottrina e della giurisprudenza, proprio perché, si è detto, verrebbe a connotare la colpa come non più, così come vuole lo statuto della colpa, legata alla prevedibilità in concreto dell’evento verificatosi, ma sconnessa da una logica di prevenzione e volta alla precauzione (si tratterebbe, in questo caso, di un mutamento genetico del diritto penale rispetto alle direttive costituzionali date dall’art.27 Cost.). Oltre alla violazione della regola cautelare accertata oggettivamente, alla verifica dell’evitabilità dell’evento, si deve poter apprezzare la riconoscibilità, la rappresentabilità da parte del soggetto agente in concreto dell’evoluzione della situazione di rischio verso l’evento che in concreto si è materializzato. Se non ha la capacità di apprezzare questo substrato di pericolosità (non c’erano i parametri scientifici per sviluppare questo giudizio di previsione di rappresentazione e consapevolezza della specifica rischiosità del suo comportamento) non possiamo parlare di colpa, in quanto si tradurrebbe altrimenti in una prevedibilità in astratto e non in concreto (perché già si conosce di una generica dannosità alla salute riportata dal contatto tra questo elemento e il corpo umano, allora il datore dovrebbe immaginare che potrebbe svilupparsi anche un qualsiasi altro evento dannoso più grave. Amplia a dismisura la sfera della rimproverabilità penale). Prevedibilità in astratto che si lega ad una logica di precauzione. La colpa nella sua dimensione negativa è non volontà del fatto che costituisce reato anche se aggravata dalla previsione di esso. Ciò che la connota in prima battuta è il dolo negativo della non volontà. Però non ci si può basare su un solo elemento negativo per promuovere un giudizio di rimproverabilità penale, bisognerà indagare in che consiste l’atteggiamento colposo penale. Si deve passare attraverso la violazione di una regola cautelare che va a qualificare come colposa la condotta e del nesso che lega il soggetto all’evento imputabile per colpa che in prima battuta: l’inevitabilità a cavallo tra profilo oggettivo e soggettivo. 55 Il concetto di colpevolezza è diverso da quello di colpa (cioè un criterio di imputazione soggettiva alternativo ed eccezionale rispetto al dolo, tratta il nesso psichico minimo alla base di un fatto costituente reato). Dato questo dettato non si può più accertare la ricostruzione delle preterintenzione come dolo misto a responsabilità oggettiva. A tal proposito la sentenza 364/1988 troviamo che la Corte Costituzionale esige l’imputazione per colpa (cioè la verifica della colpa) con riferimento agli elementi più significativi del fatto di reato. Solo rispetto a questi è necessario accertare un’appartenenza psicologica personale, quantomeno nella forma della colpa. Subito dopo, con la sentenza n.1085/1988 la Corte Costituzionale fornisce un ulteriore criterio di lettura per decriptare la categoria degli elementi più significativi del fatto di reato. Sono tali, scrive la Corte, tutti quegli elementi che hanno la forza di fondare il disvalore del fatto, quindi l’offesa, che vanno a ricostruire il senso dell’offesa penale. Mentre tutti gli altri elementi, al di fuori del disvalore del fatto, possono essere anche imputati oggettivamente. VEDI PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA Più AVANTI 2. Dolo misto a colpa Questa interpretazione rinnega la ricostruzione strutturale della preterintenzione come dolo misto a responsabilità oggettiva, rendendolo così costituzionalmente conforme. Si tratta di previsione del dolo rispetto al fatto di base di percosse e lesioni e colpa rispetto all’evento più grave non voluto (morte). Obiezione: è ammissibile che la violazione della norma penale che punisce le percosse e le lesioni sia intesa come violazione della regola cautelare? Come detto, la regola cautelare è una regola di comportamento (come anche la norma penale) ma con contenuto esclusivamente di prevenzione (evitare rischi prevedibili come sviluppo di un comportamento inosservante); Questa è diversa dalla regola penale, la quale vieta e sanziona. Infatti, non si tratterebbe di una vera colpa perché non c’è violazione di una regola cautelare . Solo nelle evoluzioni, ma poche sono le pronunce giurisprudenziali che fanno questo percorso evolutivo, si richiede una colpa in carne ed ossa, cioè da accertare in concreto. Elementi da verificare: - Violazione di una regola cautelare - Evitabilità e prevedibilità del fatto Impostare la violazione di una regola cautelare in contesti illeciti provoca molti dubbi, in quanto sarebbe come dire che il codice penale, il sistema italiano vieta di commettere un reato ma nello stesso tempo chiede di stare attento durante la commissione del reato stesso e questa sarebbe un’illogicità. Infatti, sarebbe sconfessata la natura stessa di norma giuridica penale, in quanto essa non esprimerebbe più solamente un divieto, ma anche un consiglio a commettere il reato senza sfociare in altri delitti più offensivi. Questa obiezione ha valore? Si parla, in realtà di due cose diverse, un conto è la violazione della norma penale sulle percosse e le lesioni e un conto è ricercare un’altra norma con finalità precauzionale, cautelativa che va a schermare da rischi evitabili e prevedibili. Infatti, si dovrebbe poter richiedere ad ogni consociato, pur versante in re illicita, di non causare reati più gravi di quello preventivato, adottando la diligenza che gli si può in concreto richiedere. Non si può non ammettere che un ordinamento ragionevole possa al contempo vietare comportamenti di lieve intensità e vietare comportamenti maggiormente offensivi verso beni omogenei, senza che questo si traduca in un incentivo a commettere i reati meno gravi. Che effettivamente si possa riscontrare la violazione di una regola cautelare anche in contesti illeciti è un concetto salvo per effetto di una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2009: c.d. sentenza Ronci. 56 Accanto al delitto preterintenzionale, l’art. 586 “Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'art. 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate”. Il colpevole risponde secondo la disciplina dell’istituto del reato aberrante per aberratio delicti (art.83 c.p.): quando si cagiona un evento diverso da quello voluto nella fase di esecuzione di un altro reato; le pene previste per le lesioni colposo o l’omicidio colposo sono però aumentate. Es. Questa sentenza si occupa del caso particolare della morte di un tossicodipendente per assunzione di una sostanza stupefacente mal tagliata, trasferita da parte dello spacciatore. Nell’ipotesi di morte verificatasi in conseguenza dell’assunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dell’art. 586 c.p. per l’evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dell’agente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale. La sola fattispecie espressa di delitto preterintenzionale presente nel codice penale è quella di cui all'art. 584 c.p. che punisce l'omicidio preterintenzionale che si verifica come conseguenza di atti diretti a commettere i reati di percosse o lesioni di cui agli artt. 581 e 582 c.p. La legge speciale ha, poi, previsto un'ulteriore fattispecie espressa di delitto preterintenzionale e, cioè, l'aborto preterintenzionale (art. 18 della legge sull’aborto) che prevede l’evento abortivo come conseguenza di atti diretti a commettere i reati di percosse o lesioni su una donna in gravidanza. Viene comunemente ricondotta alla fattispecie del delitto preterintenzionale tutta la gamma dei c.d. DELITTI AGGRAVATI DALL’EVENTO (categoria allargata di delitti preterintenzionali – autonoma fattispecie di reati) Es. art.593 c.p. omissione di soccorso, aggravato se come conseguenza ha un evento morte; Es. art. 572 c.p. maltrattamento contro la famiglia o convivente o persona in rapporto di tutorato, aggravato se come conseguenza ha un evento morte, un tentato suicidio o suicidio. Es. delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.). Categoria autonoma ed estesa che va oltre la categoria del delitto preterintenzionale, ma pur sempre ricostruita secondo il meccanismo di imputazione soggettiva misto di DOLO (per fatto di base voluto) e COLPA (per l’evento ulteriore più grave). Le ipotesi vertono sulle fattispecie aggravate che sono previste dal 2 e 3 comma dell’art.630 c.p., il quale afferma: “(comma 1) Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni. (comma 2) Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta. (comma 3) Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo.” Che ragionamento sviluppare in ordine all’elemento soggettivo con riferimento a queste 2 ipotesi (2 e 3 comma)? Comma 2  conseguenza non voluta (non dolo). Non ci possiamo accontentare però di un meccanismo di responsabilità oggettiva, quindi, dobbiamo intendere che il sé e il quod di questa fattispecie dipende dalla verifica della colpa in concreto più l’evento morte. Comma 3  c.d. reato complesso cioè un reato che si compone di base di un sequestro di persona a scopo di estorsione e dell’omicidio. Comma 2: prevede la reclusione anni 30 per l’evento morto quando un omicidio colposo è punito con la reclusione dai 6 mesi ai 5 anni. 57 Qual è il senso di questo disvalore se si parla di dolo mista a colpa? Quali ipotesi di evento morte imputabili per colpa ricadono sulla sfera dell’ipotesi preterintenzionale? Vari scenari: per capire il senso soggettivo della preterintenzione. 1° ipotesi: Tizio sequestra Caio, persona anziana malata di diabate, durante il sequestro viene lasciato in un pozzo umido, freddo con poca acqua e cibo e senza medicinali. In questa situazione Caio sempre più si lascia andare fisicamente, abbandonando anche il cibo che gli viene dato. Il carceriere rimane assolutamente indifferente. Caio muore. 2° ipotesi: Tizio sequestra Caio in un edificio con un piccolo giardino, dove gli concedono ogni tanto di passeggiare però sempre seguito, durante una delle sue passeggiate Caio viene punto da un’ape ed essendo allergico muore per shock anafilattico. 3° ipotesi: Tizio sequestro Caio ed inizia ad avere sentore che qualcuno lo stia bruciando per cui decide di cambiare il luogo del sequestro. Mette Caio in macchina per raggiungere il nuovo luogo ma durante il percorsosi trova la polizia che lo insegue a sirene accese. Tizio inizia una folle corsa, sbanda, cade in un burrone Caio muore. Queste 3 ipotesi possono essere ricondotte: 2 alle ipotesi di cui all’art.630 c.p.; 1 alle ipotesi di concorso tra delitto di cui al 1° comma di cui all’art.630 c.p. e l’omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. con argine di sanzione diverso dai 30 anni di reclusione. BASE: volontà per il fatto di sequestro di persona a scopo di estorsione (per tutte e 3 le ipotesi) 1: dolo eventuale come accettazione dell’evento; 2: omicidio colposo art. 589 c.p. (puntura: rischio quotidiano/comune che prescinde dalla base criminale del sequestro) 3: non si tratta di dolo eventuale (Tizio è sulla stessa macchina con Caio) ma di preterintenzione: in cui il nesso di rischio che porta allo sviluppo offensivo letale nasce dal contesto illecito (sfuggire alla polizia perché ha commesso il reato di sequestro). [Vedi istituti di delitti aggravati dall’evento di natura preterintenzionale: - aberratio delicti - aberratio ictus (vedi appunti registrazione) - aberratio causae] CAUSE DI GIUTIFICAZIONE L’antigiuridicità è esclusa in presenza di: Cause di giustificazione (dette anche scriminanti) codificate (da specificare in quanto c’era una corrente interpretativa che parlava di cause di giustificazione non codificate) In alcune situazioni un fatto, che normalmente costituirebbe un illecito penale, non è considerato tale in quanto “giustificato” dall’ordinamento. Esse sono collegabili a norme che autorizzino o impongano la realizzazione del fatto che normalmente costituirebbe reato. Sono considerate cause di esclusione dell’antigiuridicità, nel quadro della concezione tripartita del reato (cap. IX). Le cause di giustificazione, sul piano formale, si fondano sul principio di non contraddizione Art. 51 c.p.: “se una norma autorizza oppure impone una certa condotta non è possibile ammettere che essa possa dare luogo contraddittoriamente ad una responsabilità penale”. Sul piano sostanziale alla base delle principali cause di giustificazioni è presente una valutazione dell’ordinamento che risolve ipotesi di conflitto tra interessi contrapposti. Modello generale delle cause di giustificazione di BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI: tra norma penale e norma che facoltizza o impone, occorre operare un bilanciamento tra i 2 interessi e riconoscere che laddove codifica una causa di giustificazione, il legislatore decide di ritenere indifferente la prevalenza dell’uno o dell’altro interesse perché li ritiene equiparabili. La disciplina delle cause di giustificazione non è delineata in maniera organica dal codice penale, ma è desumibile in parte dai principi generali e in parte dalle disposizioni presenti nel codice. 60 4.LA LEGITTIMA DIFESA La causa di giustificazione più riconosciuta è la difesa legittima. Nel codice penale vigente questa scriminante rappresenta l’esito di un bilanciamento di beni contrapposti che vede la prevalenza dell’interesse del soggetto aggredito rispetto all’interesse dell’aggressore che viene colpito dalla reazione difensiva della vittima dell’aggressione. L’art.52 comma 1 delinea la legittima difesa “classica”: “ non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Il pericolo deve investire un “diritto” proprio o altrui. Es. Tizio sta per essere ucciso/sequestrato e fuggendo ruba una macchina (fatto tipico di reato: furto). -> difesa un diritto proprio Es. Tizio ruba un’auto per trasportare Caio all’ospedale gravemente ferito -> difesa di un diritto altrui. La legittima difesa ordinaria presenta una serie di requisiti: - Il pericolo di offesa deve essere attuale, nel senso che l’offesa deve essere in corso di attuazione (es. l’aggressore sta colpendo la vittima) o quanto meno imminente (es. l’aggressore si sta avvicinando armato alla vittima). Attuale anche in senso di permanenza del pericolo(es. legione al sequestratore durante il sequestro). Problematica dell’elasticità dell’attualità nei c.d. casi “ora o mai più”, cioè quando l’attualità del pericolo ancora non sussiste ma se si attendesse che il pericolo divenga attuale allora non ci sarebbe più spazio per una difesa effettiva. Es. sequestrato che aggredisce il sequestratore nel momento in cui egli si è addormentato, in quanto l’unico momento disponibile per una difesa anche se non si è sviluppata un’aggressione. Una parte minoritaria della giurisprudenza ritiene che il pericolo possa essere considerato attuale, in quanto si agisce in quel momento oltre il quale non c’è più margine per la tutela del diritto. - L’offesa deve essere ingiusta, cioè non autorizzata (o addirittura imposta) dall’ordinamento. L’ingiustizia va valutata in termini obiettivi e quindi prescinde dalla buona fede dell’aggressore (non occorre che questi agisca necessariamente con dolo e colpa); irrilevante è l’incapacità di intendere e di volere del soggetto che crea il pericolo (si può reagire nei confronti di un minore o di un malato di mente). Non è necessario che il pericolo di offesa provenga da un essere umano, può provenire anche da un animale. - La difesa deve essere necessaria: se è possibile sottrarsi al pericolo senza alcun rischio con modalità diverse dalla commissione di un reato nei confronti dell’aggressore deve essere privilegiata tale scelta. Se si può fuggire, il soggetto ha il DOVERE di farlo piuttosto che cagionare un danno all’aggressore. L’aggredito, però, deve potersi sottrarre all’aggressione efficacemente e senza rischio alcuno; se la fuga è pericolosa (es. deve volgere le spalle ad un aggressore armato oppure la fuga implica rischio nel lanciarsi dalla finestra di un locale non situato a piano terra) l’aggredito è legittimato a colpire l’aggressore per neutralizzarlo. A differenza dello stato di necessità la reazione è comunque autorizzata anche se il pericolo era prevedibile. - Infine, la reazione deve essere proporzionata. La proporzione è tra la situazione offensiva e quella difensiva che non significa solo proporzione tra i beni: bene aggredito e quello pregiudicato dalla reazione. Se la comparazione fosse solo tra i beni, si darebbe sempre la prevalenza ideologica al bene persona; ma in una più ampia logica di bilanciamento della proporzione bisogna far riferimento alla situazione. Per cui saranno considerate proporzionate quelle situazioni aggressive anche del bene lesione della personalità dell’incolumità fisica che abbiano una ragione di equilibrio con la sottrazione di un bene patrimoniale. Sempre che si tratti di lesione e non di morte, in quanto non è possibile tutelare un bene patrimoniale cagionando la morte dell’autore dell’aggressione (es. sparare al ladro di una moto uccidendolo o ferendolo gravemente, anche se non vi è altro mezzo a disposizione per impedire il furto). -> in questo caso la legittima difesa sarebbe viziata da un eccesso. 61 La proporzione è un rapporto che deve essere effettuato nel momento in cui l’aggredito percepisce il pericolo: non è lecito lasciare crescere il pericolo per reagire con modalità maggiormente lesive. Il legislatore intervenuto nel 2006 con l’introduzione di due nuovi commi, 2 e 3, all’art. 52, i quali disciplinano la legittima difesa domiciliare o “allargata” L’intento era quello di mettere al riparo da un’incriminazione chi si fosse “difeso” contro un’aggressione all’interno della propria abitazione, non solo nell’abitazione ma in ogni “luogo di privata dimora” (comma2). il comma 3 amplia tale ambito ricomprendendo “ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale imprenditoriale”. L’ampliamento di operatività della scriminante viene realizzato attraverso una sorta di “presunzione” della sussistenza del requisito della proporzione (di cui al comma 1), quando un soggetto legittimamente presente in uno di questi luoghi fa uso di un’arma legittimamente detenuta o di un altro mezzo al fine di difendere la propria o altrui incolumità o di difendere i beni patrimoniali propri o altrui, sempre che non vi sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione. 5.LO STATO DI NECESSITA’ Lo stato di necessità gode di un minore livello di accettazione sul piano sociale ed è valutato con maggior rigore dalla dottrina, ciò si spiega con il fatto che il reato che resta impunito non è compiuto nei confronti di un “aggressore”, come avviene nella legittima difesa, ma a danno di un soggetto estraneo al pericolo che si vuole evitare attraverso la commissione di un reato. Secondo l’art.54 c.p. “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Come nella legittima difesa l’autore del fatto commette un reato per sottrarsi a un pericolo, che può derivare da fattori naturali o da comportamenti umani. In quest’ultimo caso il reato non si dirige nei confronti dell’autore della situazione pericolosa ma è realizzato a danno di un soggetto estraneo all’aggressione (innocente). - Sotto il profilo dell’attualità vi è coincidenza con l’art.52 c.p.: la valutazione dovrà essere, se possibile, ancora più rigorosa nello di necessità. - (Mentre la legittima difesa può essere invocata per proteggere qualsiasi diritto) nello stato di necessità il pericolo deve investire beni inerenti la persona. Es. Tizio per sfuggire ad un omicidio viola l’abitazione di Caio. - Il requisito della proporzione coincide con l’art.52 c.p. l’accertamento deve essere particolarmente rigoroso nell’ambito dell’art. 54 c.p. Quindi non è ammissibile sacrificare la vita di un terzo innocente per evitare un pregiudizio per la propria incolumità personale o una limitazione della libertà personale. Se vi sono più alternative per sfuggire al pericolo, non si deve coinvolgere il terzo estraneo anche a costo di subire un pregiudizio (minore) da parte del soggetto che intende sfuggire al pericolo. - Lo stato di necessità non può essere invocato da chi “ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo”. Determinate categorie di soggetti, non possono farsi scudo dell’art. 54 c.p. Un comportamento scriminato dallo stato di necessità ha, comunque, conseguenze sul piano civilistico, si è obbligati a corrispondere un equo indennizzo per i danni recati ai terzi secondo l’art. 2045 c.c., ciò evidenzia che non si è di fronte ad un comportamento pienamente lecito, infatti, il terzo non è obbligato ha subire la condotta di chi agisce in stato di necessità e può autotutelarsi nei limiti previsti per la legittima difesa. 6.Uso legittimo delle armi Il codice penale italiano dedica una norma specifica all’uso dei mezzi di coazione da parte dei pubblici ufficiali. L’art 53 c.p. delinea una scriminante propria; affermando: “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti (adempimento di un dovere e legittima difesa), non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere 62 una resistenza all'Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.” L’uso degli strumenti è legittimo in presenza di alcuni requisiti: - adempire ad un dovere del proprio ufficio (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza). - necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità per adempire ad una funzione, oppure impedire il consumarsi di alcuni reati elencati dall’art. 53 comma 1. I dubbi nascono riguardo l’ambiguo concetto di resistenza. Intesa in termini di resistenza attiva non è sufficiente una mera resistenza passiva (es. fuga da parte di un soggetto a cui è stato ordinato di fermarsi). Solo in due situazioni passive particolari è legittimato l’uso di armi o di altri mezzi di coercizione fisica: 1. Addetti all’amministrazione penitenziaria per la gestione dell’ordine nelle carceri; 2. In caso di contrabbando salvo che si sia fuga o abbandono di refurtiva. L’uso deve essere sempre PROPORZIONATO. Come previsto dal comma 1 dell’art.59 c.p. “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti”, è sufficiente la presenza oggettiva di una scriminante a prescindere dalla percezione psicologica del soggetto che vive questa situazione scriminante. Comma 2: “Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. La circostanza opposta al comma 1 è prevista dal comma 4: “Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.  circostanza putativa: non esiste ma viene percepita come tale. Causa di giustificazione putativa: il soggetto agente è convinto erroneamente di agire in conformità di una causa di giustificazione. L’art. 55 c.p. tratta l’ipotesi di eccesso colposo: “Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo” Si tratta di una situazione peculiare: gli estremi della causa di giustificazione ci sono ma per colpa vengono superati i limiti che all’esistenza dello spazio di liceità vengono riconosciuti dalla norma o dalla necessità o dall’ordine dell’autorità. Il soggetto risponde di reato colposo (non doloso). Es. Tizio che si è difeso a fronte di una situazione giustificante ma che è stata superata nei suoi margini risponderà di omicidio colposo non doloso. IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA Colpevolezza: terzo elemento strutturale costitutivo del reato. Evoluzioni storiche delle letture del principio di colpevolezza (che esprime una dimensione soggettiva elevata a principio costituzionale) -> “la responsabilità penale è personale”: 1. Negare ipotesi di responsabilità oggettiva. Non farlo significherebbe riconoscere la personalità solo laddove ci sia un comportamento materiale speso da una persona  lettura minima e oggettiva Parlando di responsabilità oggettiva si pensa non solo al comportamento ma anche all’evento verificato come conseguenza. Sarebbe sufficiente in questa ottica di personalità in termini minimi che l’evento sia conseguenza del proprio comportamento e non di quello degli altri. Quindi, qualsiasi sia il risultato, l’esito 65 Non imputabilità e possibile sottoposizione a misure di sicurezza (se socialmente pericoloso) per il soggetto la cui capacità di intendere e di volere sia totalmente esclusa; semi imputabilità, pena diminuita (e possibile situazione di sicurezza) se la patologia ha scemato la capacità di intendere e di volere. Sordomutismo L’art. 96 c.p. introduce, tra le cause di esclusione dell’imputabilità, il sordomutismo che abbia escluso la capacità di intendere e di volere del soggetto, al momento del compimento del fatto. Il comma 2 della norma prevede che, se la capacità di intendere e di volere è grandemente scemata, la pena sia diminuita. Il codice non distingue tra sordomutismo congenito ed acquisito e, pertanto, entrambi potranno portare, se del caso, ad una declaratoria rilevante in tema di imputabilità. L’art. 96 c.p. detta, per sordomutismo, una disciplina simile a quella prevista per il vizio di mente, sia con riferimento alla pena che alle misure di sicurezza. Actio libera in causa Non è conteggiabile nella disciplina dell’imputabilità l’ipotesi della c.d. “actio libera in causa”, cioè di una incapacità di intendere e di volere che è però frutto di una scelta libera, volontaria e preordinata dall’agente. Cioè l’agente si è volontariamente posto in uno stato di incapacità di intendere e di volere per commettere un reato. La sentenza n. 364/1988 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 5 «nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità della ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile». Così l’art. è stato colto da una sentenza interpretativa manipolativa che ha riscritto una parte della norma che però non compare nel testo legislativo ma si deve immaginare che ci sia, cioè la Corte Costituzionale ha fornito una reinterpretazione delle c.d. rime obbligate. L’art.5 infatti, non va più letto nel senso di “Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale”, in quanto questo è il precetto generale che nella sua rigidità veniva codificato nel 1930. Ad oggi si stabilisce che l’ignoranza o l’errore sulla legge penale non scusa, non esclude il giudizio di colpevolezza salvo che non si sia trattato di errore o ignoranza inevitabile, ossia nei casi in cui questo errore o ignoranza (assoluta non conoscenza che manca di una rappresentazione alternativa) siano determinati da situazioni inevitabili. Quindi dopo la capacità di intendere e di volere, l’ulteriore passaggio della verifica della colpevolezza è, appunto, verificare l’evitabilità o inevitabilità dell’errore o dell’ignoranza sulla legge penale ovvero la conoscenza o conoscibilità del precetto penale violato. L'errore di diritto scusabile, in quanto dovuto ad ignoranza inevitabile, è configurabile solo in presenza di: - una oggettiva e insuperabile oscurità della norma o del complesso di norme da cui deriva il precetto penalmente sanzionato. Quindi, norma penale formulata in modo intellegibile; - un grave atteggiamento caotico sull’interpretazione della norma da parte dei competenti o della giurisprudenza; - una mancata pubblicazione della Gazzetta Ufficiale che segna l’entrata in vigore della norma. Margine di ulteriore espansione che l’inevitabilità dell’ignoranza sul precetto penale conosce in tema di c.d. reati culturalmente orientati. Per questi, si intende generalmente un fatto che, pur essendo considerato penalmente rilevante in un certo ordinamento, corrisponde ad un comportamento del tutto lecito nel contesto socio-culturale e giuridico cui appartiene e fa riferimento l’agente: in certi casi può trattarsi addirittura di condotte esplicitamente facoltizzate o imposte, anche se non necessariamente per mezzo di un a norma giuridica. Es. situazioni di assoggettamento sessuale del marito rispetto alla moglie o del padre rispetto ai figli che sono consentite in certe culture (diverse dalla nostra). A questo proposito il nostro ordinamento si confronta con due modelli: - Il modello liberale (anglosassone) che da rilievo alle culture minori in vari modi, in alcuni modi escludendo la punibilità, in altri ammettendo delle circostanze attenuanti valutando come possa aver inciso la cultura dell’agente sulla motivazione e sull’esecuzione del reato. - il modello francese molto rigido e che non ammette la valorizzazione di alcune forme di espressione culturali. 66 Il nostro ordinamento, confrontandosi con questi due modelli, ha scelto di imboccare una via intermedia. Non possono trovare spazio, nel nostro ordinamento, le culture nella misura in cui vadano in contrasto con i valori fondamentali che esso riconosce (tutela della salute, incolumità della personalità, della sessualità della donna..) Es. art. 583 bis c.p. pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili. Ultimo elemento della colpevolezza: assenti di scusanti. Si parla di cause di giustificazione o scriminanti che escludono la punibilità perché fanno venir meno l’antigiuridicità del fatto; se invece la non punibilità è derivazione della mancanza di colpevolezza si tratta, appunto, di cause di esclusione della colpevolezza ovvero di scusanti. Cause di esclusione della colpevolezza L’attenzione viene rivolta al soggetto agente e riguarda l’elemento soggettivo del reato. Al fine del giudizio di accertamento della colpevolezza, il giudice deve verificare che non sussistano condizioni di anormalità tali da implicare l’inesigibilità del comportamento conforme alla regola violata. Quindi la colpevolezza implica la presenza di condizioni “normali” di motivabilità secondo il diritto. Queste possono essere tipizzate solo dal legislatore; infatti è scelta del nostro ordinamento non enucleare un principio generale di inesigibilità, come invece c’è negli altri ordinamenti che lascerebbe al giudice uno spazio di discrezionalità applicativa notevole, ma di fissare in norme tassative le ipotesi scusanti. Rientrano in questo principio generale di inesigibilità gli stati emotivi e passionali. In questi casi rimane ferma la tipicità e antigiuridicità del fatto, ma l’ordinamento tiene conto dei riflessi psicologici derivanti dalla circostanza anomala e ritiene di non dover intervenire con la sanzione penale. E’ necessario che l’agente sia a conoscenza della concreta sussistenza dei presupposti della scusante. In sintesi: - il soggetto deve essere rimproverabile e quindi imputabile. Verificare, a questo proposito, la capacità di intendere e di volere. - verificare l’evitabilità o inevitabilità dell’errore o ignoranza su legge penale - verificare l’assenza di scusanti. Forme di manifestazione del reato Il reato non compare mai nelle sue linee generali ed astratte nella realtà concreta ma compare sempre arricchito o piuttosto deprivato di qualcosa. Il reato si trova avvalorato da una serie di ulteriori condizioni: le circostanze. Le circostanze sono elementi accidentali (circum-stare, stare attorno), la loro presenza non è necessaria al fine dell’esistenza del reato, aggiungendosi ad una fattispecie criminosa già costituita e incidendo sulla sua gravità comportando di regola una variazione della pena o una modifica della procedibilità del reato. Hanno un’efficace extra edittale: infatti la circostanza comporta una variazione del trattamento sanzionatorio con superamento dei limiti edittali indicati dalle singole fattispecie incriminatrici. - le circostanze adeguano la pena al reale disvalore del fatto attribuendo rilevanza a situazioni o fattori, diversi dagli elementi costitutivi, la cui presenza giustifica un aggravamento o un’attenuazione della pena. La variazione della pena può essere: - quantitativa quando le circostanze sono prese in considerazione dal legislatore in senso aggravante (art.61, che comportano un aumento della sanzione, es. omicidio con premeditazione) o attenuante (art.62 che comportano una diminuzione della sanzione applicabile, es. eutanasia) - qualitativa quando la circostanza modifica la specie della pena. Le circostanze (aggravanti e attenuanti) possono essere comuni o speciali: - Le CIRCOSTANZE COMUNI sono potenzialmente applicabili a tutti le ipotesi di reato o ai reati con le quali presentano una compatibilità strutturale. - Le CIRCOSTANZE SPECIALI sono, invece, previste espressamente in relazione ad uno o più reati. Un’altra classificazione attiene alla tipologia della variazione di pena: - circostanze ad effetto comune quando la pena è aumentata o diminuita fino a 1/3; 67 - circostanze ad effetto speciale quelle che di volta in volta vengono individuate, con diversa quantità di pena, dal legislatore e comportano una variazione della pena (aumentata o diminuita) superiore ad un terzo; - circostanze oggettive (definite dall’art.70 c.p.) quelle che concernano la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personale dell’offeso; - circostanze soggettive che concernano l’intensità del dolo o il grado della colpa o le condizioni e le qualità personali del colpevole o i rapporti tra il colpevole o l’offeso o che sono inerenti alla persona del colpevole. Importanti per rispettare il principio di colpevolezza. Fa parte delle circostanze soggettive aggravanti inerente la persona del colpevole la RECIDIVA disciplinata dall’art. 99 c.p. si caratterizza per la previsione di un aumento di pena nel caso in cui il soggetto dopo essere stato condannato per un reato ne commette un altro. Esistono diverse forme di recidiva: 1) recidiva semplice (art. 99 comma 1): chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro può essere sottoposto ad un aumento di 1/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. La recidiva è possibile solo per i delitti dolosi. 2) recidiva aggravata (art. 99 comma2): disciplina le diverse forme di recidiva aggravata, in cui la pena può essere aumentata fino alla metà. 3) recidiva reiterata (art. 99 comma 4): se il recidivo commetto un altro delitto, l’aumento della pena nel caso di recidiva semplice, è della metà e, nei casi della recidiva aggravata, è di 2/3. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitti non colposo. Giudizio di bilanciamento: è prevista la possibilità per il giudice di procedere discrezionalmente al giudizio di bilanciamento attraverso una valutazione qualitativa del peso delle diverse circostanze, con la possibilità della dichiarazione di prevalenza delle aggravanti o delle attenuanti o della loro equivalenza. Attraverso una valutazione unitaria ed integrale dell’episodio criminoso, che consenta l’individuazione della pena nel caso concreto. Per diminuire la discrezionalità del giudice sono state introdotte: - Circostanze privilegiate o blindate: circostanze di cui viene sempre garantita l’applicazione e non possono mai essere dichiarate né equivalenti né soccombenti ma dovranno sempre trovare applicazione a prescindere dagli esiti del giudizio di bilanciamento del giudice DELITTO TENTATO Si parla di reato consumato quando l’agente porta a termine l’iter criminis, realizzando tutti gli elementi costitutivi della norma incriminatrice. Si parla di delitto tentato quando l’iter criminis non giunge a compimento, cioè quando il delitto non è portato a termine per ragioni che prescindono dalla volontà del colpevole. Anche in questi casi l’ordinamento penale reagisce con una sanzione (inferiore rispetto al reato consumato), dal momento che il fatto, pur se non consumato, è rilevante sia sotto il profilo oggettivo (la vittima ha comunque corso un grave pericolo) che soggettivo ( il colpevole manifesta un a certa capacità criminale, indipendentemente dal fatto che l’iter criminis non sia giunto a compimento). La questione più delicata attiene all’individuazione del momento dal quale è legittimo punire il colpevole per un fatto che non è giunto a compimento, nella prospettiva di trovare un ragionevole punto di equilibro tra la tentazione di anticipare al massimo l’individuazione dell’inizio dell’attività punibile (per esempio: al momento della mera ideazione, oppure dell’accordo, anche non seguito da altri atti) e il rischio di violare il principio di offensività, sanzionando condotte che non hanno arrecato danno al bene tutelato, nemmeno sotto il profilo della messa in pericolo. A questo proposito, il legislatore penale del 1889 (codice Zanardelli) distingueva tra: 70 quello esecutivo per far si che si configuri un delitto tentato. Quindi, risostiene che nel nostro ordinamento si debba ancora parlare di esecutività degli atti perché questi siano univoci e punibili. ATTI ESECUTIVI: atti tipici corrispondenti, anche in minima parte, alla descrizione di una fattispecie delittuosa. L’elemento soggettivo nel tentativo L’unico titolo di imputazione soggettiva compatibile con il tentativo è il dolo. Molto più problematica la questione della compatibilità del tentativo con tutte le forme di intensità del dolo, ed in particolare con il dolo eventuale. La Corte di Cassazione ritiene che il dolo eventuale non è compatibile con il delitto tentato, in quanto nel dolo eventuale si accetta l’evento che potrebbe intervenire ma non si strumentalizza in direzione di esso, si strumentalizza in un’altra direzione ammettendo tra le possibili conseguenze che ci sia anche un particolare risultato. Desistenza e recesso attivo (commi 3 e 4 dell’art.56) Due istituti fondamentali che ci danno conto dell’esistenza, come ulteriore componente (negativa) del delitto tentato, della sopravvenienza di un fattore esterno, involontario, quindi al di fuori della sfera di volontà/di dominio del soggetto agente, che costringe all’interruzione del decorso causale, della consumazione. - La desistenza volontaria (comma 3): caratterizzata dal fatto che il colpevole arresta l’iter criminis quando ancora la condotta non è giunta a termine, cioè quando egli ha ancora un dominio sulla situazione tale da poter impedire, se interrompe l’azione, che il delitto giunga a compimento. La desistenza può essere: volontaria che, secondo l’ordinamento, non deve riguardare una qualche forma di pentimento morale, essa si applica anche se l’agente desiste per ragioni di convenienza o per aspettare il momento più opportuno. Si tratta di una decisione libera e autonoma. Non volontaria in presenza di fattori di allarme o di rischio che rendono pericoloso proseguire nell’azione delittuosa. Essa è una causa (personale e sopravvenuta) di non punibilità in senso stretto, l’agente sarà, però, chiamato a rispondere di quegli atti che ha già consumato. Es. Tizio entra in una casa per effettuare un furto ma desiste. Non sarà chiamato a rispondere di tentativo di furto ma di danneggiamento del domicilio dovuto alla sua violazione. - Recesso attivo: prevede una forma di punizione attenuata. Nel recesso attivo l’azione ha esaurito i suoi effetti, è giunta a compimento, e l’agente non ha più alcun dominio diretto sulla situazione, che possa consentirgli di paralizzarne gli effetti. Ma egli si attiva positivamente per impedire che tali effetti si realizzino. Non è sufficiente, però, che il reo si attivi con ogni mezzo e forza per impedire l’evento: la circostanza attenuante, infatti, può essere applicata solo se realmente l’evento non si verifica. Se poi, l’evento viene evitato anche grazie all’intervento di un terzo, vi è recesso attivo quando l’agente abbia comunque offerto un contributo decisivo all’azione salvifica. CONCORSO DI PERSONE NEL REATO L’art. 110 c.p. svolge una funzione estensiva della punibilità del concorso di persone nel reato. Le norme sul concorso di persone (art.110 ss. c.p.) svolgono una funzione di incriminazione, nel senso che rendono penalmente rilevanti condotte che non lo sarebbero in forza della fattispecie monosoggettiva di parte speciale (c.d. condotte atipiche): esempi, solo in forza delle norme sul concorso di persone acquistano rilevanza penale le condotte del palo, di colui che presta l’auto per commettere il furto o quella di chi istiga al reato. I 4 requisiti strutturali del concorso di persona 1) la pluralità dei concorrenti, dei soggetti agenti; ne sono sufficienti 2. 2) la commissione di un fatto tipico oggettivo di reato. Può trattarsi di un reato consumato o di un delitto tentato. È quindi ammesso il concorso in un tentativo, ma non è punibile il tentativo di concorso, ossia il fatto di tentare, senza riuscirci, di concorrere in un reato (art.115) 71 3) il contributo concorsuale. Per rispondere a titolo di concorso è indispensabile l’apporto di un contributo causale da parte di ciascun concorrente. In relazione al tipo di contributo si distingue tra: - CONCORSO MATERIALE, che si esplica sul piano oggettivo della preparazione o dell’esecuzione del reato. Si distinguono diverse forme di contributo materiale: a) l’autore, che realizza per intero il fatto; b) il coautore, se più soggetti realizzano gli elementi della fattispecie incriminatrice, sia quando ognuno realizzi per intero il fatto tipico sia in presenza dell’esecuzione frazionata; c) il complice, che dà un contributo oggettivo alla realizzazione del reato in fase preparatoria o esecutiva. - CONCORSO MORALE che consiste in un contributo di carattere psichico di determinazione o rafforzamento del proposito criminoso. Esso si presenta nella forma di: determinazione, quando si fa sorgere un proposito criminoso prima inesistente; istigazione, quando si rafforza un proposito già presente. Costituiscono forme di determinazione o istigazione anche l’accordo, quando chi vi partecipa non prenda poi parte alla preparazione o esecuzione del reato, ed il consiglio (es. consiglio all’imprenditore di distruggere le scritture contabili). Anche il contributo morale richiede un accertamento rigoroso della causalità psichica: è cioè necessario accertare che l’istigatore abbia influita sulla volontà dell’istigato determinando o rafforzando il proposito criminoso che si è poi tradotto nella commissione del reato. Mancando leggi scientifiche di copertura è necessario utilizzare massime di esperienza che indicano che certe condotte tenute in determinati contesti e nei confronti di certi soggetti, hanno efficacia istigatoria. L’istigazione non è causale se l’esecutore del reato era già risoluto nel commettere il reato (c.d. omnimodo facturus). Si tratta, quindi, di una situazione di difficile accertamento. Discussa è la rilevanza penale della condotta di chi induce taluno a commettere un reato al fine di assicurare il colpevole alla giustizia (c.d. agente provocatore). La giurisprudenza lo ritiene punibile a titolo di concorso nel reato se la sua condotta si inserisce con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato. la dottrina, invece, esclude la responsabilità concorsuale dell’agente provocatore basandosi sull’elemento soggettivo: manca la volontà del fatto costitutivo di reato, perché il soggetto non vuole che il reato giunga a consumazione, avendo sin dall’inizio agito affinché il soggetto provocato fosse bloccato dalle forze dell’ordine prima di portare a termine il programma criminoso. Nella prassi l’agente provocatore costituisce una figura recessiva, mentre maggiore importanza costituisce la figura dell’infiltrato che realizza operazioni sotto copertura: sebbene l’infiltrato realizzi condotte conformi a fattispecie incriminatrici la sua non punibilità è espressamente prevista, a determinate condizioni, dalla legge. - CONCORSO MEDIANTE OMISSIONE: è possibile concorrere in un reato anche attraverso una condotta omissiva. a) nei reati omissivi propri possono rispondere della condotta omissiva coloro che abbiano l’obbligo di intervenire per effetto della situazione tipica. Es. persone che omettono di prestare soccorso a una persona in pericolo b) negli altri reati è possibile concorrere attraverso una condotta omissiva solo se sussiste un obbligo giuridico di impedire che altri commetta un reato: è quindi necessario che chi omette sia titolare di una posizione di garanzia avente ad oggetto l’impedimento di reati commessi da terzi. 4) elemento soggettivo: Il dolo di partecipazione. Non è richiesto un previo accordo tra i concorrenti, potendo il concorso esplicarsi in un intervento di carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altri, anche all’insaputa del correo. Esso richiede la sussistenza di 2 requisiti: a) rappresentazione e volontà del fatto di reato; b) rappresentazione e volontà di concorrere con altri nella commissione del reato. Non è, però, necessario che tutti i concorrenti siano reciprocamente consapevoli di concorrere con altri. 72 Cooperazione nel delitto colposo L’art. 113 c.p. disciplina la cooperazione nel delitto colposo stabilendo che: “Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”. Con riferimento all’elemento soggettivo è necessario che i concorrenti non vogliano il fatto di reato (altrimenti sussisterebbero gli estremi del concorso doloso), ma abbiano la consapevolezza dell’altrui partecipazione, ossia che la propria condotta converge con quella di altri. Non è invece necessaria anche la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta. Anche nella cooperazione del delitto colposo è necessario che il contributo di cooperazione sia causale rispetto al fatto di reato. Diversità di imputazione soggettiva tra i concorrenti In presenza di concorso di persona in un reato, i concorrenti rispondono dolosamente o colposamente a seconda che siano in dolo o in colpa rispetto al fatto. Nessun dubbio che sia possibile un concorso doloso in un reato colposo: se Tizio induce in errore sul carattere innocuo della sostanza Caio, il quale la versa nel bicchiere di Mevio, procurandone la morte, non vi è dubbio che Tizio risponda di omicidio doloso e Caio di omicidio colposo. Quando, invece, si tratta concorso colposo in un reato doloso, la responsabilità colposa deve essere espressamente prevista, non è configurabile un concorso colposo in un reato doloso. Cioò, tuttavia, non comporta necessariamente una lacuna di tutala. Si pensa all’esempio di Tizio che lascia incustodito il fucile che Caio utilizza per uccidere l’amante della moglie: per fondare la responsabilità di Tizio non c’è bisogno del concorso colposo in un reato doloso, in quanto basta la fattispecie monosoggettiva dell’omicidio colposo, avendo Tizio, con la custodia imprudente dell’arma, dato u contributo causale alla morte di Mevio. Non è quindi necessario, come fa la giurisprudenza, scomodare il concorso colposo in un reato doloso. Le varianti individuali al piano comune (il c.d. concorso anomalo) Spesso può accadere che il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti perché è intervenuta, in corso di esecuzione, una variante individuale al piano iniziale. Il caso è disciplinato dall’art. 116 c.p., rubricato “Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti”: “Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione”. Si tratta dell’ipotesi di responsabilità oggettiva più severa prevista dal codice in applicazione del principio del versari in re illicita, sul presupposto che chi si affida ad altri per l’esecuzione di un reato corre il rischio di rispondere anche delle eventuali conseguenze non volute. A mitigare la ferrea disciplina del c.d. concorso anomalo interviene solo l’applicazione di una circostanza attenuate obbligatoria ad effetto comune “se il reato commesso è più grave di quello voluto”. Es. Tizio, che fa da palo fuori dall’abitazione mentre Caio entra per commettere il furto concordato, dovrà rispondere della violenza sessuale commessa da Caio ai danni della figlia del proprietario, sebbene con una pena attenuata. Requisiti del concorso anomalo: - Affinché il concorrente non volle il reato diverso ne risponda, è necessario che vi fosse un accordo per la commissione di un reato e che il reato diverso sia stato realizzato con dolo da parte di (almeno) uno dei concorrenti. - richiede il nesso di causalità tra la condotta del concorrente ed il reato diverso. - è necessaria la non volizione del reato diverso, perché se il concorrente fosse in dolo, anche solo eventuale, rispetto al reato diverso realizzato, ne dovrebbe rispondere con la conseguenza che non gli potrebbe essere riconosciuta l’attenuante dell’art.116 cpv.
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