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Riassunto Manuale di diritto penale Parte generale Grosso Pelissero Petrini Pisa, Dispense di Diritto Penale

Riassunto delle parti: 2 -3 - 4 - 5 - 7 del libro: C.F. Grosso - M. Pelissero - D. Petrini - P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale. 2013

Tipologia: Dispense

2013/2014

In vendita dal 11/11/2014

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Scarica Riassunto Manuale di diritto penale Parte generale Grosso Pelissero Petrini Pisa e più Dispense in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! PARTE SECONDA: LA LEGGE PENALE CAPITOLO IV – Riserva di legge Il pensiero illuminista ha avuto un ruolo rilevante nel fondare i principi del diritto penale moderno. PRINCIPIO DI LEGALITA’ : in virtù del quale i precetti penali (gli unici dai quali precetti può derivare una limitazione della libertà personale) devono provenire non più dall’arbitrio di un sovrano assoluto, ma solo e sempre da una legge emanata da un parlamento democraticamente eletto; legge che deve essere previa al fatto commesso, chiara e precisa. Questa necessità trova origine nel contratto sociale: i cittadini, non più sudditi, mettono a disposizione dello stato anche la loro libertà personale al fine di garantire la pace sociale." -> il principio di legalità scaturisce come conseguenza della divisione dei poteri. Solo il Parlamento può riservare a sé ogni atto in materia legislativa penale. Quattro corollari del principio di legalità: - riserva di legge: l’esigenza di limitare la potestà punitiva dello stato trova uno sbocco nell’idea che i precetti penali siano frutto nell’attività normativa dell’organo elettivo, dove sono rappresentate le istanze di tutti i cittadini." (ratio di garanzia- contro gli abusi di potere) - irretroattività della legge penale: viene sancita dall’articolo 25 Comma 2 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso” - principio di determinatezza: la certezza del diritto pretende che i precetti penali siano chiari, tassativi, precisi, cioè comprensibili da tutti i consociati. (ratio di certezza) - principio di tassatività: impone al giudice di limitare l’ambito operativo della norma penale ai soli fatti in essa tassativamente descritti, vietando qualsiasi forma di interpretazione analogica in malam partem. RISERVA DI LEGGE La materia penale è di esclusiva prerogativa legislativa, nessuna fonte subordinata può emanare leggi. ratio di garanzia: solo una legge emanata da un parlamento democraticamente eletto tutela i consociati da possibili arbitri di natura politica, offrendo garanzie d’imparzialità e legittimazione. ratio di certezza: La legge prevede delle forme di pubblicazione che ne garantiscono la conoscibilità da parte di tutti i cittadini." Legalità Sostanziale: in alcuni regimi fortemente autoritari, si è sviluppata l’idea che il reato non è solo il fatto previsto come tale dalla legge, ma anche ciò che va contro il sano sentimento del popolo. Legalità Formale: è tipica degli ordinamenti liberali e democratici, impone al giudice di considerare come reato solamente ciò che viene previsto dalla legge. -> ITALIA Costituzione Articolo 25 Comma II: “nessuno può essere punito per un fatto che, 1 secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva un reato” -> Art 119 Codice Penale: “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti” -> Art 14 Disposizioni sulla legge: “le leggi penali non si applicano oltre i casi ed i tempi da esse considerati” Possono essere fonti del diritto penale le leggi costituzionali, le leggi ordinarie, i decreti governativi in tempo di guerra , ai sensi dell’art. 78 Cost. Maggiori problemi pongono i decreti leggi e i decreti legislativi. Secondo l’opinione dominante, questi atti del governo possono essere fonte del diritto penale, in quanto, in entrambi i casi sarebbe garantito un adeguato controllo del Parlamento (ex post ed ex ante) sull’attività normativa penale del governo. Altri autori, invece, fanno notare che la ratio di garanzia potrebbe essere menomata. La Corte, nel ’96, in un a sua pronuncia ha voluto impedire al Governo di rendere vigente, magari per mesi e mesi, un provvedimento (anche penale) non convertito in legge. Diritto penale e leggi regionali Le leggi regionali non rientrano in quelle indicate nel articolo 35 comma II e III in quanto emanate da un organo elettivo che rappresenta solo una parte dei cittadini dello stato. -> art 117 Costituzione prevede che la materia penale sia di competenza esclusiva dello stato. Limitate, infatti, sono le competenze regionali in materia penale. Le regioni possono intervenire sugli elementi normativi della fattispecie penale e incidere sull’ambito delle cause di giustificazione che non sono norme penali in senso stretto, ma di rilevanza intraordinamentale. CONSUETUDINE La consuetudine, detta anche uso normativo, è una fonte del diritto. Essa consiste in un comportamento costante ed uniforme, tenuto dai consociati con la convinzione che tale comportamento sia doveroso o da considerarsi moralmente obbligatorio. (Si intende un modo consueto ed abituale di operare, che ingenera la convinzione della sua corrispondenza ad una norma giuridica.) 4 forme di consuetudine: 1) Consuetudine incriminatrice: secondo l’articolo 25 comma 2 e 3 della costituzione non esiste spazio per questo tipo di consuetudine, dal momento che l’introduzione del nuovo precetto penale è riservato alla legge, e non potrebbe derivare dall’idea che un certo comportamento, sia per convinzione generale, ritenuto criminoso. 2) Consuetudine abrogatrice: si ha quando una norma penale resta, anche per tempo, del tutto disapplicata ma ciò non significa che essa sia stata implicitamente abrogata. 3) Consuetudine integratrice: in virtù della quale la consuetudine potrebbe in materia penale attribuire rilievo a determinate situazioni, sulla base degli usi e del convincimento del loro valore giuridico. La dottrina più attenta tende ad escludere anche questa terza ipotesi di consuetudine, dal momento che essa, estendendo l’ambito della fattispecie incriminatrice oltre i limiti imposti dalla legge, finirebbe per porsi in contrasto con la ratio di garanzia della riserva di legge. ES: pag 89 2 Disapplicazione di norme penali interne di favore (norma penale che prevede una disciplina più favorevole al reo, una categoria di norme nella quale si tende a ricomprendere indistintamente tutte le disposizioni penali che abrogano una incriminazione, che rendono meno grave la punizione del reato, che restringono la fattispecie legale, che si risolvono in un regime penalistico meno grave per l’imputato.) Per quanto riguarda la Convenzione dei Diritti dell’Uomo (CEDU) anch’essa è impossibilitata ad introdurre fattispecie penali incriminanti direttamente nel nostro ordinamento mediante atti sovranazionali dal momento che l’ art 25 costituzione stabilisce che solo una legge del Parlamento può disporre in questo senso. Pertanto, il Parlamento non può emanare norme penali in contrasto con una previsione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Se ciò dovesse avvenire, la norma dovrebbe essere dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, per violazione dell’art.117 comma 1 Cost. CAPITOLO V – Successione di leggi penali nel tempo Principio di irretroattività (secondo corollario del principio di legalità), viene sancita dall’articolo 25 Comma 2 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso” È evidente la ratio di garanzia teso a tutelare il cittadino da qualsiasi abuso del potere legislativo. Vi è anche una fondamentale funzione di certezza, dal momento che i cittadini devono essere messi in grado di sapere in anticipo, con chiarezza, quali sono le possibili conseguenze penali dei loro comportamenti. Principio presente già nella Petition of rights di Philadelphia del 1774 e nell’art. 8 della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. 4 sono le norme da prendere in considerazione: Art 11 delle Disposizioni sulle leggi: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Art 2 comma 1 codice penale 1930: “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva un reato” Art 25 comma 2 cost: la legge che punisce una fattispecie di reato deve essere “[…] entrata in vigore prima del fatto commesso” Art 7 Convenzione europea della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sancisce il principio di irretroattività, le relative sanzioni e pene. L’art.25 comma 2 Cost. impone il divieto di irretroattività di una nuova fattispecie incriminatrice mentre nell’art 2 Codice Penale: introduce una disciplina della successione delle leggi penali nel tempo improntata sul canone della retroattività delle disposizioni penali più favorevoli al reo. La nostra giurisprudenza costituzionale ha individuato nel principio di uguaglianza (art.3 Cost.), sotto lo specifico profilo della ragionevolezza una possibile copertura costituzionale del canone della retroattività. Se, infatti, il legislatore interviene ad abrogare una fattispecie incriminatrice o a modificare una norma penale in senso favorevole al reo, non sarebbe ragionevole continuare ad applicare, sotto la vigenza della nuova legge, le precedenti norme a chi viene giudicato oggi anche se ha commesso il fatto sotto il vigore della legge precedente. La retroattività della legge penale più favorevole è imposta dalla Costituzione, ma con un limite: il legislatore infatti, potrebbe introdurre una deroga al principio (prevedendo 5 cioè che una legge più favorevole successiva non si applichi retroattivamente), ma solo se l’eccezione è giustificata da una qualche ragionevolezza. La disciplina in materia di successione di leggi penali nel tempo, di cui all’art 2 c.p., appare complessa. Una prima ipotesi è quella dell’ abolitio criminis, che si verifica quando una legge successiva abroga una precedente fattispecie incriminatrice. Il comma 2 prevede che non possano essere puniti coloro che hanno commesso il fatto sotto la vigenza della legge incriminatrice precedente (abrogata), ed anzi, se vi è già una sentenza di condanna, anche definitiva, ne debbano cessare immediatamente gli effetti penali. Ratio di questa previsione: non ha senso espiare una sanzione detentiva a chi ha commesso un fatto non più considerato meritevole di pena. Il nostro sistema infatti è improntato al diritto penale del fatto e non dell’autore. Il comma 4 c.p., disciplina una seconda ipotesi, successione delle leggi penali nel tempo: il fatto è considerato reato sia nella vigenza della legge precedente che di quella successiva, ma la disciplina è diversa (esempio in riferimento alla misura della pena). In questi casi il giudice deve applicare la legge più favorevole al reo. Differenza tra obolitio criminis e successione di leggi penali nel tempo: - si può parlare di abolitio criminis solo quando, in concreto, il fatto incriminato dalla norma previgente, non rientri più, a nessun titolo, nella nuova fattispecie. - Se, invece, vi è quella che la nostra dottrina e giurisprudenza chiamano “criterio strutturale” - se, cioè , dal confronto tra le 2 norme, si evince che il fatto concreto rientra, pur con una disciplina diversa - si dovrà ritenere che vi sia successione di leggi penali nel tempo, con l’applicazione di una normativa più favorevole (es. quella che prevede una nuova circostanza attenuante)- comma 4. Es. pag. 112 violenza sessuale Quando invece il confronto tra le 2 fattispecie porti ad escludere la continuità del tipo di illecito, allora vi è abolitio criminis. Es. pag. 113 infanticidio per onore o per abbandono. Il criterio strutturale, non è l’unico, e può cedere il passo qualora la volontà del legislatore sia da intendersi nel senso dell’abolitio criminis. Es. pag. 113 interruzione volontaria della gravidanza. Può avvenire che solo alcune delle condotte precedentemente incriminate mantengano rilevanza penale. (es. delitti contro la libertà sessuale pag. 114). Successione della legge penale in vigore medio tempore: Ai sensi dell’art 2 comma 3 c.p., dev’essere sempre applicata all’imputato la legge penale più favorevole, anche se tale legge sia stata in vigore “medio tempore” e sia stata abrogata successivamente da una legge, vigente al momento della pronuncia della sentenza che preveda pene più gravi a quelle previste dalla legge in vigore al momento della commissione del fatto. Ciò perché in ritardo nella definizione del processo non può risolversi in un danno per l’imputato. Concetto di “norma più favorevole al reo”: L’espressione “più favorevole” utilizzata dal codice può porre problemi quando la legge successiva sia favorevole per certi aspetti ma sfavorevoli per altri. In questi casi il giudice non potrà prendere una parte di una norma e una di un’altra ma dovrà valutare il favor rei in concreto. Il limite del giudicato definitivo: mentre l’abolitio criminis ha effetto retroattivo anche se vi è sentenza definitiva di condanna, l’applicazione della legge penale successiva trova un limite nel giudicato. Se vi è, infatti, una sentenza definitiva non ha senso riaprire in sede esecuzione della condanna, innumerevoli procedimenti penali già definitivamente “esauriti” con inaccettabile onere di carico giudiziario. Unica eccezione: (Pena detentiva modificata in pena pecuniaria) art. 2 comma 3 c.p.: prevede che qualora la pena venga sostituita in ammenda pecuniaria dalla legge 6 seguente, la pena detentiva deve cessare immediatamente di esistere ed essere convertita in ammenda. Secondo l’art. 2 comma 5 c.p. l’abolitio criminis e la successione delle leggi penali nel tempo non si applica a due tipi di leggi: - leggi eccezionali: sono quelle dettate dalla necessità di affrontare eventi straordinari e gravi, sono destinate ad esser valide fino al perdurarsi dello stato di necessità. - leggi temporanee: sono quelle che prevedono un termine di durata, oltre il quale cessano di avere effetto. Leggi a tempo il cui tempo è indicato in maniera implicita o esplicita. Le eventuali previsioni penali contenute in una legge che è già destinata, ab origine, ad avere efficacia limitata nel tempo, si applicano retroattivamente (cioè anche quando viene meno la situazione di eccezionalità o quando scade il termine di vigenza) perché, altrimenti, la certezza di vedersi applicare, retroattivamente, il successivo più favorevole regime penale renderebbe priva di qualsiasi efficacia preventiva la fattispecie incriminatrice eccezionale o temporanea. Il nuovo regime, quando si tratta di decreti legge con valenza penale, qualora essi non fossero convertiti in legge entro 60 giorni, può seguire due strade: - fatto antecedente: se è stato commesso prima dell’entrata in vigore di un decreto legge non convertito, il reo verrà punito, in quanto il decreto che abrogava la sua colpa non è diventato legge. - decreto legge favorevole in ipotesi di fatto concomitante: qualora vi sia concomitanza con la vigenza del decreto, è vero che ai sensi dell’art. 77 della Costituzione il decreto è tamquam non esset, ma è anche evidente che il soggetto abbia agito nella consapevolezza della liceità dei suoi gesti e per questo non può essere punito. - decreto legge sfavorevole in ipotesi di fatto concomitante: anche se il soggetto ha dimostrato una capacità criminale, non sarà punito, dal momento che mancata conversione esclude qualsiasi effetto penale sfavorevole nella sfera di libertà dei cittadini. (si richiama la regola generale dell’applicazione, anche retroattiva del regime più favorevole al reo). Qualora invece si parli di norme integrative extrapenali, come nel caso di espulsione di un immigrato il cui Paese viene ammesso all’Unione, il principio di retroattività della lex mitior non viene applicato, in quanto, esso vale con esclusivo riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, e non ad eventuali modifiche della situazione dei fatti. - In virtù del principio di riserva di legge, non è mai consentito, alla Corte, estendere l’incriminazione oltre i limiti previsti dalla fattispecie, né inasprirne il regime sanzionatorio, dal momento che solo al legislatore è rimessa la scelta dei fatti da incriminare e delle relative sanzioni. Quando l’incriminazione di un certo fatto risulti irragionevole, rispetto alla irrilevanza penale di condotte simili, la Corte non può estendere la punibilità ai fatti non previsti, ma deve dichiarare l’illegittimità della norma che irragionevolmente limita la punibilità. Non è escluso, però, che la Corte Costituzionalità possa sindacare sulla legittimità delle leggi penali di favore, in modo particolare quando esse creino delle inaccettabili “zone franche” per talune situazioni. Essa può sindacare quando la norma di favore non delimita l’ambito di operatività di una fattispecie incriminatrice, ma sottrae una certa categoria di soggetti o di condotte dall’applicazione della norma stessa. 7 principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato” – l’analogia è certamente vietata nel diritto penale. Divieto di analogia - art 14 Disposizioni sulle legge in generale: “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”, ciò lo riscontriamo anche nell’art.1 c.p. ove si prevede che i fatti puniti debbono essere “espressamente” indicati dalla legge. A questo proposito la nostra dottrina individua il principio di tassatività, il quale, impone al giudice di limitare l’ambito di operatività della norma penale ai soli fatti in essa tassativamente descritti. L’interpretazione estensiva del diritto penale sarebbe consentita nella misura in cui sia rispettato il limite del significato letterale della norma CAPITOLO VIII Criteri per valutare l’obbligatorietà della legge penale italiana nello spazio: - Principio di universalità: è punito alla stregua del diritto penale italiano qualsiasi delitto commesso da chiunque, a danno di chiunque, anche all’estero. - Principio di territorialità: al contrario, limita l’applicazione della legge italiana ai soli fatti commessi nel territorio dello stato. - Principio di personalità passiva: prevede l’applicazione della legge penale dello stato a cui appartiene il titolare del bene offeso dal reato. - Principio di personalità attiva: si applica la legge penale dello Stato di appartenenza del reo. Un ordinamento disciplina l’efficacia delle leggi penali dello stato nello spazio attraverso la mediazione e combinazione di questi quattro criteri. Il nostro ordinamento prevede, ai sensi dell’art 6 comma 1 c.p., il principio di territorialità, con relative deroghe, ai sensi degli arti 7-10 c.p. ,in virtù delle quali la legge penale italiana si applica ai fatti commessi all’estero con una tendenza anche al principio di universalità, con dei limiti derivanti dalla parziale applicazione dei criteri di personalità attiva e passiva. 1. Principio di territorialità L’art.3, comma 1, c.p., sancisce il principio dell’obbligatorietà della legge penale: “ la legge penale obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato”, con le uniche, tassative eccezioni previste dal diritto pubblico o internazionale (per esempi, le immunità consolari). Pertanto “chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana” (art.6 comma1 c.p.); “il reato si considera commessa nel territorio dello Stato, qualora l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione o dell’omissione” (comma 2). Questo ampio criterio è anche detto criterio della sineddoche: che considera di competenza italiana anche un fatto di cui solo una parte si è svolta in Italia. 10 Infine, un reato commesso interamente all’estero non può rientrare nella giurisdizione italiana solo perché legato dal vincolo della continuazione con un altro reato commesso in Italia. Territorio dello Stato: suolo entro i confini dell’Italia (sottosuolo, acque interne e coste) e di ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato, come il mare costiero entro le 12 miglia e lo spazio aereo nazionale anche le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come estensioni dello stato stesso, salvo se sono soggetti a una legge territoriale straniera (art. 4 comma 2 c.p.) Reati commessi a bordo di una nave straniera (pag.150) Art. 7 c.p. esistono alcuni fatti puniti anche se commessi interamente all’estero, siano essi da parte del cittadino italiano o dallo straniero. “Fatti puniti incondizionatamente”, cioè indipendentemente da qualsiasi condizione di procedibilità. La ratio è data dal principio di personalità passiva: si tratta di delitti che offendono direttamente un interesse dello Stato italiano, ai sensi dell’art.7 c.p.: - delitto contro la personalità dello Stato Italiano - delitti di contraffazione del sigillo di stato e uso del sigillo contraffatto - delitti di falsità monetaria di un conio in validità nel territorio italiano o di altre valute - delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello stato abusando dei loro poteri o violando i doveri inerenti allo loro funzioni. Inoltre, l’ultimo comma dell’art 7 c.p. contiene una sorta di norma di chiusura in virtù della quale la punibilità del cittadino o dello straniero è estesa a tutti i reati per i quali l’applicabilità della legge penale italiana sia prevista da speciali disposizioni di legge o da convenzioni internazionali. Art 22 c.p.: ha lo scopo di mediare l’azione penale dello stato Italiano nel territorio vaticano. Art. 8 c.p. “delitti politici”: “il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana”. In questo caso, però, la punibilità non è incondizionata , bensì subordinata ad una condizione di procedibilità: la richiesta del Ministro della giustizia. Se, poi, il delitto è perseguibile a querela, oltre alla richiesta del Ministro occorre anche la querela del soggetto passivo del delitto (comma 2). Si considera delitto politico qualsiasi fatto del reato che sia “oggettivamente” tale che, cioè, “offende un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino”. Si definisce delitto “soggettivamente politico” “ il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”. Delitti comuni commessi all’estero: art 9 - 10 cp: legifera in merito ai delitti comuni commessi interamente all’estero, i quali possono essere sottoposti comunque alla legge penale italiana. Secondo l’art. 9 prende in esame i delitti commessi dal cittadino italiano all’estero, prevedendo l’applicabilità della legge penale italiana, in ossequio al principio di soggettività attiva, per i delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione minima di 3 anni. La punibilità ai sensi dell’ordinamento italiano è subordinata alla condizione di procedibilità che il reo si trovi nel territorio dello Stato italiano. Ai sensi del comma 2 “ se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro di grazia e giustizia ovvero a istanza o a querela della persona offesa” Anche in questo caso si ritiene necessaria la presenza del reo nel territorio dello Stato. Ai sensi dell’ultimo comma “qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a 11 richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l'estradizione di lui non sia stata concessa o non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto”. L’art 10 disciplina l’applicabilità della legge penale italiana ai delitti commessi interamente all’estero da uno straniero. In particolare, se il delitto viene fatto contro un cittadino Italiano o ai danni del nostro Stato, si applica la legge penale italiana per i delitti punito con l’ergastolo o con la reclusione minima di un anno, sono previste le condizioni di procedibilità sia della richiesta del Ministro della Giustizia che della presenza del colpevole nel territorio dello Stato. Qualora il soggetto passivo (non attivo perché il reo non è cittadino italiano) sia la Comunità europea, uno Stato estero o straniero “il colpevole è punito dalla legge Italiana, a richiesta del Ministro di grazia e di giustizia, sempre che: si trovi nel territorio dello Stato, si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o reclusione minima di 3 anni, l’estradizione non sia stata concessa o non accettata dal Governo dello Stato in cui ha commesso il delitto o da quello a cui appartiene“ I delitti contro la personalità individuale o contro la libertà sessuale sono incondizionatamente puniti, anche se commessi all’estero da cittadino italiano o in danno di cittadino italiano. Se commessi da uno straniero a danno del cittadino italiano la punibilità è subordinata alla condizione che sia prevista una pena di reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni e che vi sia la richiesta del ministro della giustizia. Rinnovamento del giudizio: Art. 11 comma 1 c.p.: il cittadino e lo straniero che abbiano commesso un reato nel territorio dello Stato vengono sempre giudicati in Italia, anche si vi è già stato un giudizio penale all’estero. Nel caso di delitto commesso all’estero ma punibili in Italia ai sensi degli artt. 7-10 c.p.si procede alla rinnovazione del giudizio qualora lo richieda il Ministro della giustizia. L’art 138 comma 1 c.p.: “quando il giudizio seguito all’estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all’estero è sempre computata, tenendo conto della specie di essa”: L’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen 14 giugno 1985 ha introdotto il principio del “ne bis in idem” in virtù del quale non si può procedere una seconda volta per lo stesso reato, quando questo è già stato giudicato e la relativa pena sia stata scontata o sia in corso di esecuzione secondo la legge della parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita. - Il limitato riconoscimento di sentenze penali straniere è un corollario del rinnovamento del giudizio. Secondo l’Art. 12 c.p: “ Alla sentenza penale straniera pronunciata per un delitto può essere dato riconoscimento: comma 1) per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere; comma 2) quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria; comma 3) quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali; comma 4) quando la sentenza straniera porta condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili. Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato estero col quale esiste trattato di estradizione. 12 reato (elementi negativi del fatto). –2) elemento soggettivo (coscienza e volontà dell’azione o omissione, dolo o colpa), si affianca al fatto, in quanto la responsabilità penale non può essere fondata solo sulla base di elementi di natura oggettiva. La teoria bipartita corrisponde alla disciplina del c.p. come emerge dal confronto tra gli artt. 47-59, ult. comma c.p. - Concezione tripartita: gli elementi costitutivi del reato sono ricondotti a 3 categorie -1) il fatto tipico include gli elementi oggettivi del reato; -2) l’antigiuridicità nella quale trovano collocazione le cause di giustificazione; -3) la colpevolezza identifica gli elementi soggettivi che consentono di muovere al soggetto un rimprovero per il fatto commesso. Questa ricostruzione del reato offre 2 vantaggi: 1) sembra adeguarsi meglio al procedimento di accertamento giudiziale del reato, in quanto il giudice accerta in primo luogo l’elemento oggettivo (Caio ha ucciso Tizio), poi l’assenza di causa di giustificazione (mancanza di legittima difesa, stato di necessità, uso legittimo delle armi, ecc.) ed infine l’elemento soggettivo (Caio ha agito con dolo o con colpa). 2) la tripartizione consente di far emergere le specifiche funzioni a cui rispondono le 3 categorie dogmatiche. La distinzione tra i 2 modelli si riduce alla differente collocazione delle scriminanti che per la concezione bipartita costituiscono elementi negativi del fatto e per la concezione tripartita fondano la categoria autonoma dell’antigiuridicità. Questa per la teoria bipartita non costituisce una categoria autonoma, ma integra l’essenza del reato. - Concezione quadripartita: come la teoria tripartitica utilizza le categorie del fatto tipico, dell’antigiuridicità e della colpevolezza ma vi affianca anche quella della punibilità alla quale vanno ricondotte particolari situazioni che rendono opportuno non far seguire la pena alla commissione di reato: - cause personali di non punibilità ( es. immunità) – cause sopravvenute di non punibilità, nella quali la ragione del “non punire” risiede nell’incentivare una condotta antitetica a quella diretta a produrre l’offesa. Se il fatto non è punibile, viene a mancare un elemento stesso del reato. Nel nostro sistema i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni in relazione alla specie di pena per essi prevista: 1) delitti: l’ergastolo, la reclusione e la multa 2) contravvenzioni: arresto e ammenda. La distinzione tra queste due tipologie di reato non è fondata su ragioni sostanziali, bensì di tipo formale, è quindi impossibile sostenere che uno sia più grave dell’altro. CAPITOLO X - Soggetti Soggetto attivo del reato (detto anche autore): è chi realizza il fatto descritto dalla singola fattispecie incriminatrice. La maggior parte delle fattispecie è costruita in forma monosoggettiva, nel senso che per la commissione del reato è sufficiente l’intervento di una singola persona. Altre volte, invece, è la stessa fattispecie incriminatrice a richiedere la presenza necessaria di più soggetti attivi (es. rissa, “reati a concorso necessario” vedi l’associazione a delinquere.) Soggetto attivo del reato può essere solo la persona umana, in quanto nel nostro ordinamento gli enti collettivi sono esclusi dalla responsabilità penale. In alcuni casi, è la stessa norma incriminatrice a richiedere come elemento costitutivo di fattispecie, la presenza di particolari qualifiche personali in capo al soggetto attivo che contraddistinguono i reati comuni dai reati propri. La qualifica personale del soggetto attivo: può essere di due tipi: - naturalistica: un esempio può essere la qualifica di madre nel delitto di infanticidio. 15 - giuridica: un esempio può essere la qualifica di pubblico ufficiale o pubblica amministrazione. IMMUNITA’ L’art 3 c.p. “carattere obbligatorio della legge penale”: “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovino sul territorio dello stato, salvo eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”. Le eccezioni a cui fa riferimento l’art. sono costituite dalle c.d. immunità. Non si tratta di limiti all’obbligatorietà della legge penale, ma prevede che alla commissione del reato non segua l’applicazione della pena, in quanto prevalgono ragioni di politica criminale che ne giustificano la rinuncia. Le immunità hanno natura giuridica di cause personali di esenzione dalla pena, la loro applicazione è limitata al solo soggetto a cui si riferisco e non si estendono ai concorrenti. Le immunità si distinguono in base alla fonte che le prevede in immunità di diritto pubblico interno o di diritto internazionale. Esistono inoltre 2 tipologie di immunità: - funzionale: la non punibilità è limitata ai reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni. - extra funzionale: la non punibilità è estesa anche altri atti commessi al di fuori dell’esercizio. Le immunità si dividono ulteriormente in: - sostanziali: sono cause personali di non punibilità - processuali: interessano il processo e consistono in ostacoli al promovimento dell’azione penale (cause di improcedibilità) o al compimento di specifici atti processuali. -> non possono essere introdotte immunità che non rispettino le esigenze di tutela ricavabili dal dettato costituzionale, è quindi esclusa un’autonoma competenza del legislatore ordinario in materia di immunità che ha bisogno di un fondamento concreto nella Cost. o in altre leggi costituzionali. Le Immunità nel diritto pubblico interno sono espressamente previste dalla Cost. o da leggi costituzionali. Art. 90 Cost: Il Presidente della Repubblica gode solo di immunità funzionale che non compre gli atti commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni presidenziali. Egli risponde solamente del reato di alto tradimento e attentato alla costituzione, in quanto viene tutelato dalla firma dei ministri nelle altre funzioni. -> immunità estesa al presidente del senato se ricopre la figura di presidente della repubblica. Tale immunità è strumentale al compimento degli altissimi compiti che la Cost. demanda al PdR, nella sue veste di capo dello Stato e rappresentante dell’Unità Nazionale. I Parlamentari godono secondo l’art 68 di una immunità sostanziale che interessa le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio della loro funzione. Questo art. richiede un nesso funzionale delle opinioni espresse con l’esercizio di funzioni parlamentari. L’immunità copre pertanto anche le opinione espresse al di fuori del Parlamento, purché permanga il nesso funzionale. I commi 2 e 3 prevedono una immunità di tipo processuale che non impedisce le indagini del P.M. né il processo penale nei confronti dei parlamentari, ma non consente l’adozione di specifici atti processuali senza l’autorizzazione da parte della camera di appartenenza, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna o qualora il parlamentare sia colto in flagranza di reato. Queste limitazioni interessano anche gli atti commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni, durante e prima l’assunzione della carica. 16 Queste garanzie sono riconosciute in maniera ridotta ai consiglieri regionali, in maniera uguale ai giudici della corte costituzionale e ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura in merito alle opinioni ed ai voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni. (l’immunità del CSM è prevista, a differenza delle altre, da una legge ordinaria ma la Corte Costituzionale gli ha riconosciuto copertura costituzionale). Le immunità di diritto internazionale si fondano su convenzioni internazionali alle quali è stata data attuazione con leggi ordinarie. Ne godono in maniera assoluta, sostanziale e processuale, funzionale ed extrafunzionale, i Capi di Stato esteri in territorio Italiano ed il Pontefice quale capo dello stato della città del Vaticano. Godono di immunità extrafunzionale anche gli appartenenti al corpo diplomatico, mentre i consoli e gli impiegati consolari hanno una immunità funzionale completa, invece una extrafunzionale solo per i reati di custodia cautelare superiore al minimo di 5 anni. I militari di uno stato estero sono soggetti alla legge dello stato di appartenenza per i reati commessi in servizio, la disciplina risulta più articolata per le forze armato NATO. Nei confronti delle persone giuridiche sono previste solo sanzioni civili o amministrative, ma non penali (societas delinquere non potest). Dunque, di un reato commesso da un amministratore nell’interesse della società risponde penalmente solo la persona fisica. Nel nostro sistema penale sono presenti argomenti contrari alla responsabilità penale delle persone giuridiche fondati su norme di legge ordinaria e costituzionale: - L’art. 197 c.p. prevede l’obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle multe e delle ammende. Si tratta di un caso di responsabilità sussidiaria dell’ente, qualificata dal legislatore come obbligazione civile, perché si tratta del pagamento di una somma di ammontare pari a quello della sanzione pecuniaria alla persona fisica. - art. 27, comma 1 Cost. il principio della responsabilità penale personale impone di chiamare a rispondere del reato sola la persona fisica che lo ha realizzato e non anche l’ente, sul quale non potrebbe ricadere sanzioni per un fatto commesso da altri. L’argomento può essere superato attraverso il principio di immedesimazione organica tra persona fisica ed ente, secondo il quale i fatti commessi dalla persona fisica sono direttamente imputati all’ente. Per superare i limiti di questi art. si è proposto: - il ricorso alle misure di sicurezze (non pene) a carico delle persone giuridiche che prescindono dalla colpevolezza del destinatario della misura e presuppongono solo la pericolosità sociale. - funzione rieducativa della pena. Solo le persone fisiche sono rieducabili. È stato rilevato che alcune tipologie di reato hanno la loro genesi nella complessità dell’ente collettivo all’interno del quale il reato viene commesso: le dinamiche interne finiscono per avere un ruolo determinante nella commissione del fatto. Sono reati che vengono commessi all’interno dell’ente e sono espressione di politiche di impresa, che sono l’effetto di decisione prese a diversi livelli della struttura societaria. Se fosse chiamata a rispondere solo la persona fisica autrice del reato, la risposta sanzionatoria sarebbe del tutto sproporzionata e si tradurrebbe nella violazione dell’art.27,comma 1 Cost. , perché la persona fisica risponderebbe di un fatto che non gli può essere del tutto rimproverato. Anche sul piano della efficacia del sistema sanzionatorio, si è rilevato che solo responsabilizzando l’ente si garantirebbe una risposta penale proporzionata ed efficace. 17 - omissiva: (omissione) quando consiste in un “non facere”. Il precetto è costituito da una norma comando che impone al soggetto di tenere una condotta attiva. Nota: non esistono reati senza azione perché verrebbe violato il principio di materialità del reato. L’art 43 comma 1 c.p.: “nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commesso con coscienza e volontà”. Coscienza e volontà vanno riferimento esclusivamente all’omissione o all’azione, non all’interno fatto del reato (non va confuso con il dolo). Coscienza e volontà reali: corrispondono ad un dato psicologico effettivo (es. pag. 207). Coscienza e volontà potenziali: (al di sotto della zona lucida della coscienza non sorrette, quindi, da coscienze e volontà effettive) ritroviamo questi elementi all’interno degli atti abituali oppure automatici. Oppure possono esistere atti per i quali non è possibile ravvisare alcuna coscienza e volontà perché il soggetto non avrebbe potuto impedire l’azione o l’omissione, basti pensare agli atti istintivi e quelli riflessivi. SUITAS: si può dire che la condotta è propria del soggetto, gli appartiene, è opera sua se sussiste coscienza e volontà dell’azione o omissione, perché ne era effettivamente cosciente e l’ha voluta o perché avrebbe potuto evitarla se avesse prestato maggiore attenzione. L’elemento della coscienza e volontà dell’azione o omissione non sussiste in 3 casi: 1) forza maggiore: art. 45 c.p. prevede che “non è punibile chi ha commesso un fatto per forza maggiore”. Si tratta della vis maior cui resisti non potest, ossia di una forza della natura improvvisa, alla quale il soggetto non può resistere né sottrarsi. 2) costringimento fisico: art. 46 c.p. prevede che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva sottrarsi o resistere”. In tal caso del fatto commesso risponde l’autore della violenza . 3) stato di incoscienza indipendente dalla volontà: si ha quando, per una causa imprevedibile e indipendente da noi, si verte in uno stato di incoscienza improvvisa. Questi 3 casi evidenziano come in assenza di coscienza e volontà, viene meno la condotta, elemento oggettivo del reato, per cui il soggetto va assolto “perché il fatto non sussiste”. 2) Presupposti della condotta: (elementi costitutivi del reato che rientrano nell’oggetto del dolo) è necessario che, al momento della condotta, per alcune fattispecie di reato sussistano alcuni presupposti: - presupposti naturalistici: sono condizioni naturali, come l’essere incinta per compiere un aborto. - presupposti giuridici: che richiamano elementi normativi. 3) Evento: all’epoca della redazione del codice Rocco la dottrina era divisa sulla nozione di evento. - l’evento naturalistico si identifica con le modificazioni del mondo esterno cagionate dalla condotta e considerate dalla legge come elemento costitutivo di fattispecie. L’evento è staccato dalla condotta ed è assente nei reati in cui la legge si limita ad incriminare una condotta attiva o omissiva. - l’evento giuridico consiste nell’offesa dell’interesse (o interessi) tutelati dalla norma incriminatrice. L’evento giuridico non è separabile dalla condotta, perché il fatto di reato 20 è visto sotto il profilo dell’offesa del bene giuridico, tale evento è presenti in tutti i reati anche in quelli sprovvisti di evento naturalistico. Spetta all’interprete valutare caso per caso quale accezione privilegiare. Distinzione dei reati in relazione alla condotta: - reati di azione e di omissione: nei reati di azione è presente una condotta attiva che si estrinseca in un movimento muscolare realizzato attraverso uno o più atti, mentre nei reati di omissione si incrimina il “non agire” del soggetto quando una norma impone di agire - reati di pura condotta e reati di evento: sono reati di pura condotta quelli nei quali la fattispecie si esaurisce in una condotta attiva (es. la sottrazione nel delitto di furto) oppure omissiva (es nell’omissione di soccorso). Sono invece reati di evento le fattispecie nelle quali è presente come elemento costitutivo un evento naturalistico. - reati a condotta vincolata e reati a forma libera: sono a condotta vincolata quelle fattispecie nelle quali la legge richiede specifiche modalità della condotta (es. nel delitto di estorsione è necessaria la violenza o la minaccia). Sono invece a forma libera i reati nei quali la legge attribuisce rilevanza a qualsiasi condotta che cagiona l’evento. (sono definito anche casuali puri o casualmente orientati, in quanto il criterio di tipizzazione della condotta è costituito dal nesso di casualità) - reati istantanei, permanenti e abituali: nei reati istantanei la condotta si realizza in un solo istante: questi reati, si consumano quindi in uno specifico momento (unico acto perficiuntur). Nei reati permanenti invece si richiede la protrazione nel tempo di una condotta alla quale si accompagna il permanere dell’offesa al bene giuridico (es. sequestro di persona). In questi reati sono presenti 2 momenti: - quello iniziale della permanenza (perfezione del reato) che si realizza quando la protrazione della condotta per un certo lasso di tempo consolida l’offesa al bene giuridico tutelato. Questa cessa quando l’autore interrompe l’azione o circostanze esterne la fanno cessare. - Momento finale della permanenza oppure consumazione segna la cessazione dell’offesa e definisce il grado di intensità dell’offesa stessa. Nei reati abituali il fatto è descritto in modo da richiedere la reiterazione di una pluralità di azioni che vengono considerate penalmente come una sola condotta. Questo può essere proprio quando i singoli comportamenti da soli non costituirebbero un reato, improprio quando le singole condotte costituiscono di per sé reato, ma la loro reiterazione da luogo ad una fattispecie di reato abituale. Invece i reati eventualmente abituali possono realizzarsi indistintamente attraverso un’unica condotta o la reiterazione di più condotte. CAPITOLO XII – Reati Omissivi 21 La condotta omissiva si traduce in “non facere”, per evitare di ridurla ad un mero nihil facere, è stata elaborata la teoria dell’aliud agere: il fondamento materiale dell’omissione consisterebbe nella condotta attiva tenuta dal soggetto quando avrebbe dovuto agire. -> Oggi la dottrina pone l’accento sul carattere normativo dell’omissione: la condotta omissiva rileva nella misura in cui sussiste una norma che impone al soggetto di tenere una certa condotta; se manca la norma in positiva dell’azione non sussiste nemmeno un’omissione rilevante. L’omissione rilevante è sempre un’omissione doverosa, è però necessario che sia fondata su una norma giuridica. Ai sensi dell’Art. 42, comma2 c.p. anche l’omissione deve essere cosciente e volontaria e per accertare la sussistenza di questo requisito, è utile considerare cosa stava facendo il soggetto quando aveva omesso la condotta doverosa. I reati omissivi si distinguono in: a) Reato omissivo proprio: è un reato di azione nel quale il fatto consiste nell’omettere la condotta imposta dal precetto (es. omissione di soccorso- art.593 c.p.). nel reato omissivo tra i requisiti del fatto vanno considerati: - la situazione tipica, ossia la situazione di fatto, descritta nella norma incriminatrice, in presenza della quale sorge l’obbligo giuridico di attivarsi. Tale elemento deve preesistere alla condotta omissiva: si tratta, quindi, di un presupposto della condotta. - la condotta omissiva: nella descrizione del fatto il legislatore indica in quale direzione il soggetto debba agire per evitare di trasgredire il precetto (es. è necessario prestare aiuto o avvisare l’autorità- art.593 c.p.) - un termine di adempimento: entro il quale deve essere tenuta la condotta doverosa. Il termine può essere espresso dalla norma o va desunto dal giudice attraverso l’interpretazione della norma. - la possibilità di agire: ossia che il soggetto non sia impossibilitato per ragioni oggettive a tenere la condotta doverosa. b) Reato omissivo improprio: consiste nel mancato impedimento di un evento che il soggetto aveva l’obbligo giuridico di impedire; è costituito da una norma comando, perché il soggetto risponde per aver omesso di impedire l’evento. La norma di riferimento è l’art 40, comma 2 c.p.: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico impedire equivale a cagionarlo”: essa opera come clausola di equivalenza, in quanto consente, a determinate condizioni, di equiparare la condotta omissiva a quella attiva. --> reato commissivo mediante omissione evidenzia la struttura di reato di evento realizzato attraverso una condotta omissiva. Il reato omissivo improprio presenta problemi di struttura in quanto sono indeterminati gli elementi che lo compongono, sollevando dubbi su rispetto dei principi di riserva di legge e di determinatezza. In particolare, le questioni più controversie interessano 3 profili: 1) l’ambito di applicazione della clausola di equivalenza: Clausola di equivalenza definita dall’art. 40 c.p. può essere applicata solo ai reati con evento naturalistico; vengono quindi esclusi i reati di pura condotta, reati nei quali la condotta omissiva è già prevista dal legislatore in sede di tipizzazione della condotta, i reati con condotta a tipizzazione necessariamente attiva. L’ambito di applicazione è quindi limitato ai reati causali puri, nei quali il legislatore considera rilevante qualsiasi condotta che sia casuale rispetto alla realizzazione dell’evento. 2) l’obbligo giuridico di impedire l’evento svolge una funzione essenziale perché solo per i reati di tale dovere, l’omissione è equiparata alla condotta attiva. 22 art. 41 comma 1: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.” Il legislatore parte dal presupposto che l’evento non è mai la risultante di un solo fattore e ciò che rileva è l’efficacia causale della condotta umana, il cui significato causale non viene meno “anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.” (Comma 3) Comma 2: “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.” Parte della dottrina aveva evidenziato la contraddittorietà della norma che, pur disciplinando un concorso di cause, finisce per escluderlo, in quanto il solo fattore determinante è costituito dalle cause sopravvenute: se queste sono state da sole sufficienti a determinare l’evento significa che sono state l’unica causa determinante. Le cause sopravvenute sono state identificate da alcuni nelle serie causali del tutto autonome rispetto alla condotta. Es. Tizio propina una dose mortale di veleno a Caio, il quale però muore per effetto del colpo di fucile sparato da Sempronio. In tal caso, ad escludere il nesso di causalità bastava la norma generale che lo prescrive, senza necessità di una specifica disposizione sull’interruzione dello stesso. Fatto sta che, a fronte dell’inutilità del comma 1 dell’art. 40 e della difficoltà di interpretazione dell’art. 41, la dottrina italiana ha preferito indagare il problema elaborando impostazioni teoriche a prescindere dalla disciplina codicistica e cercando di adattare ex post i risultati della riflessione teorica al tenore degli artt. 40 e 41. TEORIA CONDIZIONALISTICA (o della condicio sine qua non) Secondo questa teoria la Causa è l’insieme delle condizioni necessarie per la produzione dell’evento: ogni condizione ha dunque, efficacia causale rispetto all’evento (ogni condizione è necessaria ma non sufficiente). Per l’accertamento della responsabilità penale è sufficiente che la condotta umana sia una delle condizioni dell’evento. Il carattere causale di una condizione è accertato attraverso il procedimento di eliminazione mentale: a) la condotta umana E’ condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato. b) la condotta umana NON E’ condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento si sarebbe egualmente verificato. GIUDIZIO CONTRO-FATTUALE: un ragionamento ipotetico che si sviluppa “contro i fatti” ossia chiedendosi come si sarebbero sviluppati gli accadimenti in assenza di un determinato fattore. Questo metodo evidenzia il carattere logico della causalità condizionalistica. Critiche: - Regresso all’infinito: rischio di estensione eccessiva della responsabilità penale; se causali sono tutte le condizioni dell’evento, lo saranno allora volta anche le condizioni delle condizioni e cosi via a seguire in un regresso potenzialmente esteso all’infinito. Questa obiezione, però, non tiene conto del fatto che la responsabilità penale non si fonda solo sugli elementi oggettivi della fattispecie, ma richiede anche l’accertamento della colpevolezza. - Causalità alternativa ipotetica: ossia dall’intervento di un fattore causale che avrebbe comunque prodotto l’evento all’incirca nello stesso momento. 25 (Il problema della causalità alternativa ipotetica si pone ogniqualvolta risulti che il danno si sarebbe comunque verificato, per effetto di una sequenza causale diversa ed autonoma, anche in assenza del fatto attribuito al convenuto.) Es. Tizio incendia la casa per lucrare il premio dell’assicurazione; si accerta, però, che la casa sarebbe andata ugualmente per effetto di un incendio che si è sviluppato nel medesimo tempo nel bosco vicino alla casa. Es. un medico, su richiesta di un malato, gli pratica una iniezione letale, che procura il suo decesso, il quale sarebbe comunque morto di li a poco a causa delle gravi condizioni di salute. In questi casi l’applicazione del procedimento di eliminazione mentale dovrebbe condurre ad escludere il nesso di causalità, in quanto eliminando la condotta non viene meno l’evento. Questa obiezione non colgono nel segno in quanto impostano l’accertamento del nesso di causalità partendo da una nozione di evento in astratto, prescindendo dalle caratteristiche e specificità del caso concreto. Un punto fondamentale nell’accertamento del nesso causale sta, invece, proprio nel prendere come secondo termine del rapporto l’evento in concreto, cosi come si è verificato nella particolare situazione di vita (evento hic et nunc). Ora , se partiamo da questo presupposto, la teoria condizionalistica supera queste obiezioni, in quanto, l’evento si è verificato per effetto della condotta umana, poco importa se l’evento si sarebbe verificato ugualmente per effetto di altri fattori. - Causalità addizionale: quando l’evento deriva da azioni congiunte, tali che se anche una venisse meno, non verrebbe meno l’evento, il procedimento di eliminazione mentale dovrebbe condurre ad escludere il nesso di causalità. A questa critica si è però risposto che il procedimento di eliminazione mentale va verificato rispetto al complesso dei fattori causali e non alle singole condotte. Causalità e Imputazione: CORRETTIVI DELLA TEORIA CONDIZIONALISTICA (accolgono i principi della teoria condizionalistica e restringono l’imputazione di un evento ad una condotta di cui va comunque accertato il carattere di condicio sine qua non). - Teoria della causalità adeguata Accoglie i principi della teoria condizionalistica, secondo i quali la condotta umana deve costituire condizione dell’evento, ma limita la responsabilità penale esclusivamente alle condotte idonee a produrlo. La valutazione di idoneità va effettuata secondo un giudizio ex ante, ossia accertando se, al momento della condotta, questa costituiva, in base alle massime di esperienza, un fattore probabile di determinazione dell’evento. Questa teoria finisce per restringere eccessivamente la responsabilità penale che dovrebbe essere esclusa quando una condotta, che appariva ex ante non idonea a produrre un certo evento, lo abbia poi di fatto prodotto. In tal modo viene escluso il nesso causale tra la condotta e gli effetti atipici che la stessa ha prodotto. Questa teoria manca di qualunque appiglio normativo e fondamento. ????? - Teoria della causalità umana Elaborata da Francesco Antolisei, secondo il quale la causalità delle condotte dell’uomo presenta proprie specificità, in quanto l’uomo in forza dei propri poteri conoscitivi e volitivi, ha una sfera di signoria che gli consente di dominare un serie di circostanze nelle quali si inserisce la sua condotta. I fattori che rientrano in questa sfera possono essere dominanti, cioè causati dall’uomo e eccezionali, ossia esterni e imprevedibili che non possono essere imputati al soggetto. La sussistenza del rapporto di causalità richiede 2 elementi: 26 1) Positivo: è necessario che la condotta costituisca condicio sine qua non dell’evento mediante giudizio controfattuale (teoria condizionalistica). 2) Negativo: è necessario che non sia intervenuto un fattore eccezionale che interrompe il nesso di causalità. Es. Caio, ferito da Tizio con intenzione omicida, viene portato all’ospedale per essere curato ma muore per un incendio durante il periodo di degenza: in tal caso la condotta di Tizio, che è condizione di evento morte (se Caio non fosse stato ferito non si sarebbe ricoverato e quindi non sarebbe morto nell’incendio), non è legata da un rapporto di causalità giuridica perché è intervenuto un fattore eccezionale che ha interrotto il nesso causale. Se , invece, la morte di Caio fosse dovuta all’imperizia del medico curante, non vi sarebbe interruzione del nesso causale, perché l’errore del medico non può essere considerato un fattore eccezionale. [Condivide con la teoria condizionalistica la premessa che causa dell'evento è ogni azione necessaria e sufficiente a produrlo; il rapporto di causalità, tuttavia, sussiste a condizione che l'evento non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali. È dunque da escludersi il rapporto di causalità ogniqualvolta nel decorso causale siano intervenuti dei fattori rarissimi, cioè fattori che hanno una insignificante probabilità di verificarsi.] - Teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento (nata in Germania) Introduce il criterio dell’aumento del rischio per restringere dell’imputazione penale rispetto ad una condotta di cui sia stato accertato il valore condizionalistico. Affinché un evento possa essere imputato ad una condotta sono necessari 3 requisiti: a) la condotta deve essere condizione dell’evento; b) la condotta deve aver creato un pericolo riprovato dall’ordinamento. Es. il nipote induce lo zio ricco a fare un viaggio in aereo, sperando che muoia durante un disastro aereo, che puntualmente avviene: secondo questa teoria l’evento morte non può essere imputato al nipote, in quanto la condotta di induzione al viaggio rientra nell’ambito del rischio consentito, perché non ha aumentato il rischio di verificazione dell’evento, (diversamente sarebbe se il nipote fosse a conoscenza di una avaria all’aereo o della preparazione di un attentato); c) l’evento deve essere la realizzazione del rischio non consentito. Es. morte del soggetto ferito portato all’ospedale e ivi perito a causa di un incendio  il decesso non costituisce la concretizzazione del rischio prodotto dal ferimento. Questa teoria sposta la soluzione di un problema di imputazione sul piano oggettivo (piano sogg. Per la maggior parte della dottrina). Ai fini dell’affermazione della responsabilità penale non basti accertare il nesso di causalità, ma è necessaria anche la presenza di una componente psichica, in termini di dolo o colpa. Sussunzione sotto leggi scientifiche L’accertamento del nesso di causalità si complica in presenza di eventi di natura multifattoriale. È quindi necessario che il rapporto di causalità sia spiegato facendo riferimento alle leggi scientifiche che giustificano la causalità di un certo fattore rispetto ad un altro. Il giudice deve passare da un metodo individualizzante ad un metodo generalizzante nella spiegazione del nesso causale: deve necessariamente partire dal caso concreto, ridescritto (c.d. descrizione dell’evento), astraendo da alcune delle connotazioni della vicenda concreta e dando rilevanza alle sue modalità tipiche e ripetibili rilevanti ai sensi della legge scientifica [secondo la quale a fattori generali di tipo A, analogo al fattore che si è in concreto verificato (a), segue un evento generale di tipo B, analogo a quello che in concreto si è verificato (b)] Il giudice, dunque, non crea ma è fruitore di leggi scientifiche, in modo da garantire il massimo di certezza nell’accertamento del nesso di causalità e assicurarne la controllabilità. 27 trasfusioni di sangue e non è assuntrice di sostanze stupefacenti attraverso siringhe infette). La soluzione avanzata dalla Sezioni Unite si segnala per la definizione parificazione, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità, tra condotta attiva e condotta omissiva: la specificità di quest’ultima non può mai condurre a flessibilizzare l’accertamento del rapporto con l’evento. Tale accertamento si traduce in un risultato di certezza processuale, che impone al giudice un maggior rigore in presenza di leggi statistiche con frequenze medio-basse. In ogni caso l’insufficienza, la contraddittorietà o l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale devono condurre ad una soluzione assolutoria (in dubbio pro reo). CAPITOLO XIV – Fatto tipico e offensività Principio di offensività in astratto: riguarda la necessità che costituiscano reato fatti offensivi di beni giuridici che i consociati ritengono meritevoli di tutela penale e che, quindi, giustifica l’intervento della sanzione. Esso si rivolge: a) in primo luogo al legislatore, il quale deve descrivere fattispecie incriminatrici a tutela di beni giuridici. b) In secondo luogo all’interprete, ed in particolare al giudice, che deve interpretare le norme penali in modo da garantire il rispetto del principio di offensività in astratto, adeguando il bene tutelato ai principi costituzionali o, qualora ciò sia impossibile, sollevando questione di legittimità costituzionale. Offensività in concreto: non sempre un fatto tipico è anche offensivo del bene giuridico, perché il legislatore non sempre è in grado di descrivere un a fattispecie in modo tale che la realizzazione di un fatto concreto conforme alla fattispecie astratta sia sempre anche offensivo del bene giuridico a cui tutela è posta la norma incriminatrice. Es. Sempronio, durante una passeggiata in collina, vedendo un grappolo di uva da un filare di viti, ne stacchi un acino per assaggiarla. Il fatto descritto riproduce gli elementi costitutivi del delitto di furto (art. 624 c.p.) che posto a tutela del patrimonio, ma in concreto non arreca offesa agli interessi patrimoniali del proprietario della vigna, perché il bene sottratto ha un valore insignificante. L’art. 49 comma 2 c.p. è la base normativa del principio di necessaria offensività del reato (offensività in concreto), in quanto prevede la non punibilità del fatto tipico ma in concreto non offensivo del bene giuridico (c.d. concezione realistica del reato). Al principio di offensività in concreto viene riconosciuto rilievo costituzionale: se la norma penale fosse applicata anche a fatti che in concreto non offendono l’interesse tutelato dalla norma, la pena si ridurrebbe a punizione di mera disobbedienza. Questa concezione è stata criticata da una parte della dottrina che preferisce risolvere l’assenza di offesa in concreto al bene giuridico nei termini di assenza dello stesso fatto tipico: tipicità apparente. Es. furto di un acino di uva: per la concezione realistica del reato si tratta di un reato impossibile per inidoneità dell’azione, per l’altra parte della dottrina non si realizza nemmeno un fatto di furto. Il tratto differenziale tra le 2 impostazioni teoriche sta nel diverso ruolo riconosciuto al principio di offensività nel rapporto con il fatto tipico: secondo la concezione realistica l’offensività costituisce un elemento del reato che si aggiunge agli elementi del fatto tipico (concezione strutturale del principio di offensività); secondo la teoria della tipicità apparente, l’offensività diventa criterio di interpretazione del fatto di reato (concezione interpretativa del principio di offensività). 30 Può accadere, però, che in concreto il fatto sia offensivo del bene giuridico tutelato, sebbene l’offesa arrecata non sia così significativa: si supponga che il furto abbia ad oggetto un bene di scarso valore all’interno di un esercizio commerciale. Si tratta dei c.d. reati bagatellari in concreto o (reati bagatellari impropri). Qui la scarsa significatività non sta nel tipo di bene offeso, ma nella esiguità dell’offesa in concreto arrecata ad un interesse ritenuto meritevole di tutela. L’offesa al bene giuridico è una entità graduale, tanto che si parla di gradualità del reato. Per limitare l’intervento penale a fronte di fatti scarsamente significativi in ragione dell’irrilevanza dell’offesa arrecata dal fatto, il legislatore si è mosso nell’ambito di 2 settori: - Processo penale minorile: l’art 27 d.p.r. 448/88, che disciplina il processo penale minorile, prevede che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto “se risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento… quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne”. - Giudice di pace: analogamente l’art.34 d.lgs. 247/2000 prevede, in relazione ai reati attribuiti alla competenza penale del giudice di pace, l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto: “ Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato.” Reati di Pericolo L’offesa del bene giuridico è assicurata sia dalla lesione che dalla messa in pericolo del bene giuridico tutelato. È, quindi, possibile distinguere tra: - reati di danno dove il bene giuridico è pregiudicato nella sua consistenza (es. art. 575 c.p. omicidio in cui c’è una lesione del bene vita) - reati di pericolo dove è presente solo una probabilità di lesione del bene giuridico (es. art. 422 c.p., delitto di strage sono sufficienti atti diretti a mettere in pericolo l’incolumità pubblica. Appartiene a questa categoria anche il delitto tentato). I reati di pericolo rientrano nelle tecniche di anticipazione della tutela penale, infatti non si attende che il bene sia leso ma si anticipa la soglia della punibilità già alla sola messa in pericolo del bene, al fine di prevenirne la lesione. È un adeguamento della politica criminale alla “società del rischio”. A loro volta i reati di pericolo si dividono in due tipi: 1) Reati di pericolo concreto: il pericolo è elemento costitutivo espresso di fattispecie. Spetta al giudice accertare in concreto la presenza di questo elemento. In merito alla nozione di pericolo, di per se vaga ove il suo accertamento non è agevole, prevale l’orientamento che lo identifica con un giudizio di relazione tra una certa situazione ed un evento futuro dannoso da prevenire, si richiede però una rilevante probabilità che tale evento si realizzi. Nell’accertamento del pericolo concreto è fondamentale distinguere: - il momento del giudizio che indica il tempo nel quale deve essere compiuta la valutazione di probabilità dell’evento pregiudizievole. La valutazione deve essere svolta sempre ex ante secondo il giudizio di prognosi postuma: il giudice deve mentalmente porsi al momento della situazione da qualificare in termini di pericolo e chiedersi se vi è possibilità di verificazione dell’evento. - la base del giudizio indica gli elementi della situazione concreta dei quali il giudice deve tenere Conto per esprimere la prognosi: secondo il giudizio a base parziale si tiene conto delle condizioni di fatto conoscibili da una persona posta nelle medesime condizioni; il 31 giudizio a base totale prende in considerazione la totalità delle circostanze del caso concreto presenti al momento del giudizio. Considerando che il pericolo costituisce un elemento della fattispecie oggettiva, appare più corretto utilizzare la base totale, rinviando in sede di colpevolezza (accertamento del dolo o della colpa) la considerazione degli elementi a conoscenza dell’autore o che l’autore avrebbe potuto e dovuto conoscere. - il metro del giudizio indica i parametri che il giudice deve utilizzare nell’accertamento del pericolo, si tratta di leggi scientifiche di copertura e regole di esperienza che si utilizzano nell’accertamento del nesso di causalità. Il giudice utilizza le leggi disponibili al momento del giudizio. 2) Reati di pericolo in astratto: in questo caso, il pericolo non compare come elemento costitutivo di fattispecie ma si limita a costituire la ratio della norma, ossia Il legislatore descrive un fatto che secondo una valutazione astratta mette in pericolo il bene giuridico tutelato. Il giudice si attiene ad accertare che il fatto concreto sia conforme alla fattispecie astratta, senza accertare che lo stesso abbia messo in pericolo il bene tutelato. Queste fattispecie sono più precise rispetto ai reati di pericolo concreto, in quanto la situazione pericolosa è descritta dal legislatore; possono, però, essere problematiche in relazione al rispetto del principio di offensività laddove il fatto concreto, pur riproducendo gli elementi della fattispecie astratta non costituisca un pericolo al bene tutelato. L’utilizzo di reati di pericolo astratto si presenta come tecnica di tutela adeguata ad assicurare l’intervento penale in alcuni settori: - attività seriali: in questi casi il bene giuridico è offendibile solamente attraverso una pluralità di condotte. - reati precauzionali: consistono nella violazione di norma cautelari in tema di prevenzione. Trattandosi di prescrizioni a contenuto preventivo, il legislatore ricorre a fattispecie di pericolo astratto. - esercizio di attività in assenza di autorizzazione: il pericolo astratto connota anche le fattispecie che sanzionano l’esercizio di attività in assenza delle dovute autorizzazioni. - settori nei quali esiste incertezza scientifica: in ordine alla nocività di certe sostanze o di certe situazioni. Il reato di pericolo astratto richiede una corretta tipizzazione del pericolo, per questo si ricorre a termini semanticamente pregnanti, ossia capaci di esprime situazioni in concreto pericolose per gli interessi tutelati. Es. reato di incendio, art.423 c.p., che incrimina chiunque cagiona un incendio: un reato di pericolo astratto dove il termine incendio nella sua accezione comune, indica una situazione pericolosa per l’incolumità pubblica. Possono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi solo qualora sia violato il principio di “manifesta irragionevolezza” (art. 3 Cost.) cioè quando il legislatore ha descritto una fattispecie incriminatrice in modo assolutamente arbitrario. -> Compito del giudice è anche verificare nei reati di pericolo astratta l’offensività in concreto: se, ad es., una fattispecie è fondata sul superamento di determinate soglie, una eccedenza minima rispetto al valore soglia non integra la fattispecie incriminatrice se la stessa si mostra priva di idoneità lesiva. 32 Gli effetti del riconoscimento della libertà di autodeterminazione del paziente hanno 2 importanti effetti: 1) il bene Vita diventato un bene parzialmente disponibile, ma esclusivamente nei limiti del legittimo esercizio della libertà di rifiutare le cure. 2) nei limiti in cui paziente legittimamente rifiuta le cure, cessa la posizione di garanzia del medico, la cui condotta omissiva non rileva penalmente ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p. Più complesso è l’inquadramento giuridico della condotta del medico che, per rispettare la volontà del malato di rifiutare le cure, intervenga con una condotta attiva (es. casi Welby ed Englaro pag. 249). L’adempimento del dovere è classica espressione del principio di non contraddizione. L’ordinamento non può imporre, da un lato, di tenere un certo comportamento e, dall’altro, incriminare una condotta. L’adempimento del dovere può derivare: a) da una norma giuridica: esso appare a prima vista non problematico, il vero problema consiste nel comprendere quando una causa di giustificazione impone un fatto astrattamente corrispondente ad una fattispecie criminosa. Occorre infatti valutare se la norma che stabilisce una determinata attività doverosa impone realmente la condotta che si intende scriminare. Quindi, se ad esempio , una norma del codice di procedura penale obbliga ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria ad arrestare in flagranza gli autori di determinati reati (art.382 c.p.p.) sarebbe del tutto inammissibile attribuire a tali soggetti il reato di sequestro di persona (art.605 c.p.). La norma non impone ulteriori comportamenti all’adempimento dell’obbligo poiché la scriminante, di per sé non compre eventuali lesioni cagionate nell’eseguire l’arresto in flagranza. Si stratta, in definitiva, di interpretare attentamente la norma che impone il dovere di agire: se l’attività è espressamente imposta, la norma che delinea il reato finisce (soccombe) di fronte alla disposizione che stabilisce l’attività doverosa in quanto norma generale che è derogata dalla norma speciale. b) da un ordine dell’autorità. Quando l’ordine proviene dalla pubblica autorità è necessario distinguere a seconda che l’ordina sia legittimo o illegittimo. L’art. 51 c.p. riconosce in via generale efficacia scriminante solo agli ordini legittimi. Attengono alla legittimità sia profili formali (la competenza del superiore gerarchico ad emanare l’ordine e quella del subordinato ad eseguirlo) sia profili sostanziali: l’ordine è legittimo se l’ordinamento consente al soggetto di imporre a soggetti gerarchicamente sott’ordinati determinati comportamenti astrattamente configurabili come reato. Se l’ordine è legittimo, chi lo esegue, non risponde del fatto commesso, e non risponde, a titolo di concorso, il soggetto che ha impartito l’ordine. In caso di ordine illegittimo, invece, il codice penale italiano chiama a rispondere del reato non solo il superiore gerarchico che con l’ordine ha istigato alla commissione di un reato, ma anche l’esecutore. In tal modo, il soggetto cui è impartito l’ordine può sindacarne la legittimità e rifiutare l’esecuzione di un ordine che comporterebbe la commissione di un reato. L’unica possibilità per l’esecutore di sottrarsi alla responsabilità è delineata dall’ art. 51 comma 3. con riferimento alla disciplina dell’errore: se il subordinato ritiene di eseguire un ordine legittimo incorre in un errore sull’esistenza delle cause di giustificazione che esclude il dolo. Deve trattarsi, però, di un errore di fatto. Al principio dell’inefficacia scriminate dell’ordine illegittimo viene prevista, una deroga nell’ultimo comma dell’art 51. c.p. “non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.” Si fa riferimento ai c.d. ordini illegittimi vincolanti. Esistono settori della Pubblica Amministrazione in cui l’ordinamento impone al subordinato di eseguire comunque 35 l’ordine impartito dal superiore del reato scaturente dall’ordine illegittimo (vincolante), risponde il soggetto gerarchicamente sovraordinato. L’esercizio di un diritto Anche esso trova giustificazione nel principio di non contraddizione. Quindi, l’ordinamento giuridico non può, dopo aver riconosciuto ad un soggetto il diritto di tenere una determinata condotta, minacciare con la sanzione penale chi realizza tale condotta. L’art. 51 c.p. fa riferimento non solo ai diritti soggetti in senso stretto, ma a qualsiasi situazione giuridica soggettiva che consenta ad una persona di realizzare un comportamento che corrisponde ad una fattispecie incriminatrice. Occorre interpretare correttamente la norma che riconosce il diritto o la facoltà il cui esercizio ha efficacia scriminante. Offendicula: difesa passiva non sempre attuabile legittimamente. LA LEGITTIMA DIFESA La causa di giustificazione più riconosciuta è la difesa legittima. Nel codice penale vigente questa scriminante rappresenta l’esito di un bilanciamento di beni contrapposti che vede la prevalenza dell’interesse del soggetto aggredito rispetto all’interesse dell’aggressore che viene colpito dalla reazione difensiva della vittima dell’aggressione. L’art.52 comma 1 delinea la legittima difesa “classica”: “ non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. La legittima difesa ordinaria presenta una serie di requisiti: - Il pericolo di offesa deve essere attuale, nel senso che l’offesa deve essere in corso di attuazione (es. l’aggressore sta colpendo la vittima) o quanto meno imminente (es. l’aggressore si sta avvicinando armato alla vittima). L’attualità del pericolo è fondamentale nella logica della possibilità di (auto)difesa privata: se il pericolo, invece, appare superato ammettere la commissione di un reato contro l’aggressore diverrebbe autorizzazione alla vendetta, se, invece, il pericolo appare proiettato in un futuro troppo lontano chi teme l’aggressione ha la possibilità di richiedere l’intervento degli organi pubblici preposti alla tutela dei consociati. Il pericolo deve investire un “diritto” proprio o altrui. L’offesa deve essere ingiusta, cioè non autorizzata (o addirittura imposta) dall’ordinamento. L’ingiustizia va valutata in termini obiettivi e quindi prescinde dalla buona fede dell’aggressore (non occorre che questi agisca necessariamente con dolo e colpa); irrilevante è l’incapacità di intendere e di volere del soggetto che crea il pericolo (si può reagire nei confronti di un minore o di un malato di mente). Non è necessario che il pericolo di offesa provenga da un essere umano , può provenire anche da un animale. La difesa deve essere necessaria: se è possibile sottrarsi al pericolo senza alcun rischio con modalità diverse dalla commissione di un reato nei confronti dell’aggressore deve essere privilegiata tale scelta. In questo ambito si pone il delicato problema della fuga quale alternativa alla reazione, essa però non può essere i posta all’aggredito. A differenza dello stato di necessità, l’aggredito deve potersi sottrarre all’aggressione efficacemente e senza rischio alcuno; se la fuga è pericolosa (es. deve volgere le spalle ad un aggressore armato oppure la fuga implica rischio nel lanciarsi dalla finestra di un locale non situato a piano terra) l’aggredito è legittimato a colpire l’aggressore per neutralizzarlo. Se l’aggredito ha provocato deliberatamente l’aggressione, la reazione al pericolo non può considerarsi “necessitata”. A differenza dello stato di necessità la reazione è comunque autorizzata anche se il pericolo era prevedibile. 36 Infine, la reazione deve essere proporzionata. Il rapporto di proporzione deve essere instaurato tra il bene aggredito e quello pregiudicato dalla reazione: se l’aggressore minaccia la vita dell’aggredito, quest’ultimo può uccidere l’aggressore; non è possibile tutelare un bene patrimoniale cagionando la morte dell’autore dell’aggressione (es. sparare al ladro di una moto uccidendolo o ferendolo gravemente, anche se non vi è altro mezzo a disposizione per impedire il furto). Occorre comunque valutare la situazione nella sua evoluzione dinamica. La proporzione è un rapporto che deve essere effettuato nel momento in cui l’aggredito percepisce il pericolo: non è lecito lasciare crescere il pericolo per reagire con modalità maggiormente lesive. La legittima difesa domiciliare o “allargata” Proprio in relazione al requisito della proporzione il legislatore è intervenuto nel 2006 introducendo due nuovi commi nell’art.52 c.p. L’intento era quello di mettere al riparo da un’incriminazione chi si fosse “difeso” contro un’aggressione all’interno della propria abitazione, non solo nell’abitazione ma in ogni “luogo di privata dimora” (comma2). il comma 3 amplia tale ambito ricomprendendo “ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale imprenditoriale”. L’ampliamento di operatività della scriminante viene realizzato attraverso una sorta di “presunzione” della sussistenza del requisito della proporzione. Vengono stabiliti, alcuni presupposti: in primo luogo chi reagisce a difesa di se stesso o di altri deve essere “legittimamente presente” nel domicilio e se fa uso di un’arma deve essere legittimo detentore della stessa. Inoltre la difesa deve essere finalizzata a difendere “la propria o altrui incolumità” oppure “i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione” LO STATO DI NECESSITA’ Lo stato di necessità gode di un minore livello di accettazione sul piano sociale ed è valutato con maggior rigore dalla dottrina, ciò si spiega con il fatto che il reato che resta impunito non è compiuto nei confronti di un “aggressore”, come avviene nella legittima difesa, ma a danno di un soggetto estraneo al pericolo che si vuole evitare attraverso la commissione di un reato. Secondo l’art.54 c.p. “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Come nella legittima difesa l’autore del fatto commette un reato per sottrarsi a un pericolo, che può derivare da fattori naturali o da comportamenti umani. In quest’ultimo caso il reato non si dirige nei confronti dell’autore della situazione pericolosa ma è realizzato a danno di un soggetto estraneo all’aggressione (innocente). Sotto il profilo dell’attualità vi è coincidenza con l’art.52 c.p.: la valutazione dovrà essere, se possibile, ancora più rigorosa nello di necessità. (Mentre la legittima difesa può essere invocata per proteggere qualsiasi diritto) nello stato di necessità il pericolo deve investire beni inerenti la persona. Il requisito della proporzione coincide con l’art.52 c.p. l’accertamento deve essere particolarmente rigoroso nell’ambito dell’art. 54 c.p. Quindi non è ammissibile sacrificare la vita di un terzo innocente per evitare un pregiudizio per la propria incolumità personale o una limitazione della libertà personale. Un limite evidente all’operativa dello stato di necessità è individuabile nella causazione volontaria del pericolo, a cui si pretende di sottrarsi a danno di terzi. Secondo una prima interpretazione l’esclusione riguarda le situazioni in cui un soggetto ha creato con piena volontà il pericolo; secondo un’altra interpretazione il requisito esclude la possibilità di invocare la scriminante anche in caso di causazione colposa del pericolo. 37 Stato) la nostra giurisprudenza ha dato spazio, in chiave interpretativa, al concetto di inesigibilità. CAPITOLO XVII – DOLO Il dolo è la più grave forma di imputazione soggettiva. Costituisce la forma ordinaria di responsabilità colpevole per i delitti. [Se esiste una distinzione giuridica tra reato doloso e colposo, deve esistere anche tra le contravvenzioni. Di regola, è indifferente se il fatto è stato commesso con dolo o colpa. Tale indifferenza non deve essere fraintesa. Essa attiene all’integrazione della fattispecie incriminatrice sotto il profilo soggettivo, ma non copre le eventuali diverse regole di disciplina dettate per i fatti colposi o dolosi. Nel caso delle contravvenzioni la distinzione è rilevante ai fini della misura della pena.] Art 43 comma 1 c.p.: il delitto “è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Questa è una definizione fuorviante ed incompleta, e per questo pone molti problemi: - in riferimento all’intenzione potrebbe far ritenere che rientri nell’imputazione doloso solo l’ipotesi nella quale l’agente agisce con il fine di realizzare l’evento descritto dalla fattispecie incriminante. In tal senso risponderebbe di omicidio doloso solo il killer che uccide su commissione ma non anche il rapinatore che, fuggendo, spari tra la folla per rallentare gli inseguitori, uccidendo un passante. - in riferimento all’oggetto del dolo. L’art 43 comma 1 c.p. , contiene un riferimento unicamente all’evento (c.d. evento naturalistico), conseguenza della condotta dell’agente, dal quale la legge fa discendere l’esistenza del reato. Ma vi sono delitti dimera condotta che prescindono dalla realizzazione di un evento naturalistico. Dunque, l’oggetto del dolo non va ricercato solo nella norma in questione. L’art 43 comma 1 c.p. infatti, ci dice che l’evento deve essere rappresentato e voluto dall’agente ma non esaurisce l’oggetto del dolo che ritroviamo in altre 2 norme del codice: - art 47:erronea rappresentazione di uno degli elementi della fattispecie incriminatrice - art 59: causa di giustificazione => entrambe le norme in materia di errore escludono la punibilità dell’agente per mancanza di dolo. => insieme al 43 comma 1, essi consentono di ricomprendere nell’oggetto del dolo di un determinato delitto tutti gli elementi che ne definiscono la fattispecie, ossia l’oggetto del dolo è costituito dal fatto tipico con forme ad una fattispecie astratta di delitto. Ipotesi di errore che non esclude il dolo: errore sull’identità della persona offesa (art.60 c.p.). Es. se Tizio crede di sparare a Caio ( l’amante della moglie) ma, a causa della penombra ove si trova, scambia un ignaro passante per la vittima designata e la uccide, egli risponde ugualmente di omicidio doloso. Il dolo si caratterizza, dal punto di vista psicologico, per le due funzioni: rappresentativa e volitiva. - Elementi rappresentativi del dolo: sono sia descrittivi che normativi del fatto tipico. Quindi, devono rientrare sotto questa categoria sia le qualifiche naturalistiche che quelle giuridiche. Tutti gli elementi descrittivi e normativi del fatto devono essere oggetto di rappresentazione: - presupposti della condotta. - la condotta stessa. 40 - l’evento naturalistico. - le qualifiche soggettive del reo. L’agente deve avere la rappresentazione degli elementi precedenti o concomitanti alla sua condotta (presupposti, mezzi, luogo, oggetto materiale, soggetto passivo etc.). Di tali elementi egli deve avere conoscenza perché possa considerarsi la sua successiva condotta come dolosa: ad esempio, se un cacciatore ritiene che dietro un cespuglio che si muove vi sia una lepre, quindi spara e colpisce invece un uomo che ivi si trovava nascosto, non potrà essere imputato di omicidio doloso in quanto non si era «rappresentato» lo sparare contro un essere umano. Ancora, l’agente deve aver presenti gli elementi «normativi» del fatto, cioè quegli elementi che devono essere valutati in base a regole giuridiche: ad esempio, se asporto una cosa che non sapevo fosse «altrui», ma ritenevo di mia proprietà, non potrò essere chiamato a rispondere del reato di furto [art. 624], in quanto non mi ero rappresentato l’elemento normativo della fattispecie costituito dalla «altruità» della cosa. Va precisato, comunque, che non è necessario che l’agente abbia una conoscenza «giuridica» di tali elementi, ma è sufficiente che se li rappresenti nella loro dimensione sociale. condotte omissive proprie: l’agente deve rappresentarsi la situazione tipica descritta dalla norma, il termine per adempiere, la possibilità di agire. Cioè l’autore deve poter individuare nella vicenda concreta quale sia la condotta imposta dalla legge e rendersi conto che essa è concretamente praticabile. reati omissivi impropri: sono oggetto di rappresentazione la possibilità di agire, la posizione di garanzia rivestita rispetto al bene tutelato e l’azioni impeditiva dell’evento. - Elemento volitivo del dolo: esistono diverse teorie in merito alla considerazione della volontà personale. -> teoria della rappresentazione: l’oggetto di volizioni potrebbe essere solo, in senso stretto, la Condotta. Ciascuno di noi, infatti, può letteralmente “volere” solo i propri movimenti corporei, mentre le conseguenze dei nostri atti posso essere, al più rappresentate e auspicate, ma non volute. -> teoria della volontà: le conseguenze dei comportamenti umani, sia intenzionalmente prodotti sia quando rappresentati come certi, sono accettate dalla volontà umana quindi voluti. Il momento nel quale valutare la presenza del dolo è proprio la condotta, ossia il momento nel quale l’agente compie l’ultimo atto di dominio sullo svolgimento del fatto. In tal senso il dolo deve essere: - concomitante alla condotta, non rileva pertanto il dolo antecedente. Es. Tizio vuole uccidere la fidanzata e la sta conducendo, in auto, sul luogo del delitto programmato, ma durante il percorso, a causa della velocità eccessiva, esce di strada e la vittima muore per le ferite riportate nell’incidente: omicidio colposo non doloso. Né può rilevare il dolo susseguente. Se Caio porta distrattamente a casa un ombrello molto simile al suo, prelevato dal portaombrelli del ristorante nel quale ha cenato, se giunto a casa, accortosi dell’errore, si tiene, con soddisfazione, l’oggetto altrui, che è in miglior stato del suo: nessun reato, perché manca il dolo al momento dell’impossessamento ( il furto, infatti, non è punito a titolo di colpa). Infine non rileva il c.d. Dolus generalis: situazione nella quale l’agente si rappresenta e vuole l’evento naturalistico, ma in termini astratti e generici, senza che l’atteggiamento psicologico sia specificatamente rivolto a tutti gli elementi concreti del fatto storico. Es. se Sempronio ferisce a bastonate la vittima e poi, credendola morta, le da fuoco, ma la perizia accertata che essa è morta soffocata dal fumo delle fiamme: non omicidio doloso e distruzione del cadavere, perché manca il dolo al momento nel quale si cagiona la morte, ma tentato omicidio e omicidio colposo. 41 Con riferimento alla condotta attiva occorre distinguere tra: - reati a forma libera: il momento volitivo del dolo deve investire l’ultimo atto, tra quelli che causano l’evento morte, che sia sotto il dominio diretto dell’agente. Es. vi è dolo se Tizio, intenzionalmente, porge il bicchiere di vino avvelenato alla vittima designata. - reati a forma vincolata: l’agente voglia proprio la particolare modalità del fatto descritta dalla fattispecie incriminante. Es. nel delitto di violenza sessuale non è sufficiente la volizione del compimento di un atto sessuale senza il consenso della vittima, ma occorre che la volontà abbracci anche l’uso di violenza, minaccia o abuso di autorità. Infine nei reati omissivi: la volontà dell’agente attiene alla decisione consapevole di non compiere l’azione doverosa, cioè di non adempire all’obbligo giuridico di agire. [La coscienza dell’offesa all’interesse tutelato, intesa nella sua dimensione fattuale, va adeguatamente valorizzata anche se non rappresenta un vero e proprio elemento di dolo.] Forme di Dolo: - dolo generico: la rappresentazione e la volontà di commettere un fatto che coincide in tutti i suoi elementi con una fattispecie incriminatrice. - dolo specifico: tra gli elementi della fattispecie compare anche una particolare finalità che deve muovere l’agente, senza che, peraltro sia necessario ad integrare la consumazione del delitto, che tale finalità si realizzi. Il dolo specifico è descritto con formule del tipo “al fine di” “con lo scopo di”; in questi casi perché sia integrato l’elemento soggettivo doloso occorre anche dare la prova che il soggetto era mosso dalla finalità descritta dalla norma. Su un altro piano si pone la distinzione tra: - dolo intenzionale: il soggetto agisce perché intende realizzare la condotta o causare l’evento; il fatto realizzato costituisce il fine per il quale il soggetto si determina ad agire e costituisce la forma più grave di dolo, in cui l’elemento volitivo raggiunge il suo apice. - dolo diretto: il soggetto pur non avendo di mira come finalità primaria la realizzazione del fatto vietato dalla norma penale, agisce con la consapevole certezza di realizzarlo. Es. un killer è incaricato di uccidere un magistrato e per farlo decide di piazzare una bomba nella sua auto, pur sapendo che questi, ogni mattina, scende con la figlia per accompagnarla a scuola: dolo intenzionale per la morte del magistrato, dolo diretto quella della figlia che morirà certamente a causa dell’esplosione. - dolo eventuale: l’agente si configura come possibile (non come certo o altamente probabile) il verificarsi di un reato, e ciò nonostante agisce anche a costo di realizzarlo. Es. per tornare all’esempio precedente può perdere la vita anche una terza persona, ad esempio un altro abitante della casa sceso proprio in quel momento nel garage condominiale. Egli non agisce con l’intenzione di causare la morte del vicino (dolo intenzionale), né se la rappresenta come certa (dolo diretto), ma ne accetta il rischio pur di portare avanti il suo proposito criminale. Il dolo eventuale confina con la c.d. colpa cosciente o con previsione, in entrambi i casi il soggetto si rappresenta come possibile verificarsi di un reato. Ma mentre nella colpa cosciente si tratta di una rappresentazione a contenuto negativo (il reo esclude in virtù delle proprie capacità o di altri fattori conosciuti, che l’evento si verificherà) nel dolo eventuale la rappresentazione ha contenuto positivo: il soggetto agisce ugualmente per conseguire a qualsiasi costo il suo obiettivo. -> E’ quindi necessario individuare il minimum di volontarietà, indispensabile per non snaturare 42 - non ci si può rifare al c.d. uomo medio: è prevedibile ciò che un soggetto medio è in grado di rappresentarsi come possibile. Ciò finirebbe per abbassare molto lo standard di rispetto delle regole cautelari. L’ordinamento deve pretendere il massimo rispetto possibile delle regole di cautela, pertanto, si ritiene che prevedibilità ed evitabilità dell’evento vadano parametrate sul c.d. agente modello, cioè il soggetto che svolgendo quel tipo di attività, utilizza tutte le cauteli che l’ordinamento giuridico può legittimamente aspettarsi e pretendere dai cittadini, in quelle medesime circostanze. Come detto, invece, la colpa specifica consiste nella violazione di regole cautelari scritte, cristallizzate una volta per tutte in una legge, in un regolamento, ordine oppure disciplina. In questo caso, il giudizio sulla prevedibilità dell’evento viene compiuta dalla fonte che pone la regola cautelare che possono essere avere un contenuto esplicito e specifico ed essere rigide o elastiche. Occorre, comunque, sempre verificare se il rispetto della regola cautelare non avrebbe aumentato il rischio di realizzazione del fatto. Con riferimento alla culpa in vigilando la prevedibilità del fatto può avere ad oggetto anche il comportamento altrui, ma con alcuni limiti. Nell’ipotesi di colpa specifica, si potrà muovere un rimprovero di questo tipo, tutte le colte che la regola scritta abbia di mira anche l’impedimento di un fatto delittuoso da parte di terzi. Con riferimento alla colpa generica, si parla di Principio di affidamento, quando l’astratta previsione che un altro soggetto possa tenere un comportamento non conforme al dovere di diligenza non è ancora sufficiente pe riporre a ciascun consociato di prevenire i fatti colposi altrui, in virtù di un ovvia aspettativa che le regole cautelari siano rispettate. Questo principio conosce 2 limiti: - non può essere invocato da chi abbia una posizione di garanzia sul terzo, del quale si possa, in astratto, prevedere il comportamento non diligenza. - si può invocare il principio di affidamento solo quando non vi siano elementi concreti che indicano il soggetto a ritenere che il terzo non rispetterà le regole cautelari. -> riguardo l’attività medica di équipe, lo spazio per questo principio è assai limitato. -> in caso di attività pericolose è sempre prevedibile che possano verificarsi eventi dannosi, quindi il criterio non si rapporta alla condotta ma all’eventuale superamento del rischio consentito. Evitabilità dell’evento (terzo elemento) Nel delitto colposo il fatto deve verificarsi “a causa” della violazione della regola cautelare. Occorre, pertanto, sempre accertare la c.d. causalità della colpa, e cioè quello stretto collegamento tra violazione del dovere di diligenza ed evento, che deve essere accertato secondo le cadenze della teoria condizionalistica. Con riferimento all’ipotesi di colpa specifica, la violazione della regola cautelare scritta è sufficiente a determinare la responsabilità colposa per qualsiasi tipo di evento si verifichi? Es. se il datore di lavoro non fornisce caschi protettivi del capo ai suoi lavoratori, e uno di questi viene punto sulla nuca da un insetto velenoso e subisce una lesione. In questo caso la regola cautelare mira a proteggere il lavoratore da possibili cadute di oggetti dall’alto, quindi, il giudice, non può limitarsi ad accertare la violazione della regola cautelare per ritenere comprovata la colpa, ma deve verificare la causalità della colpa rispetto all’evento che in concreto si è verificato. La questione, però, presenta un elemento di complessità nelle vicende nelle quali l’evento in concreto sia conseguenza dell’esposizione ad un fattore di rischio, de quale al momento della condotta, si conosceva la pericolosità solo in riferimento a malattie 45 diverse da quella poi manifestatasi. In questo caso, il datore di lavoro risponde di delitto colposo, in quanto, non si può ritenere incolpevole solo perché la condotta ha provocato conseguenze di cui il legislatore non aveva tenuto conto al momento della formulazione originaria della norma. Esigibilità del comportamento rispettoso delle regole di diligenza Dimensione soggettiva della colpa che consiste nella possibilità di esigere che l’agente rispetti le regole cautelari che avrebbero evitato il realizzarsi dell’evento. Può avvenire, però, che la doverosa concretizzazione e personalizzazione del giudizio di colpevolezza porti a ritenere che la pure accettata violazione (a livello oggettivo) di una regola cautelare nel caso concreto non sia rimproverabile. In tal senso possono venire in rilievo solo deficit di natura fisica, psichica o di socializzazione che, in concreto, rendano non esigibile il rispetto della regola di diligenza. Es. la donna di campagna che non conosce le regole della città. Il grado della colpa Come per il dolo anche la colpa può essere graduata ai sensi dell’art. 133 comma 1 e 3 c.p. Il giudice dovrà tenere conto del divario, cioè della distanza, tra la condotta che sarebbe stata imposta dalla regola cautelare ed il concreto comportamento tenuto dall’agente. Si dovrà prendere in considerazione la misura soggettiva della colpa sulle cause personali che hanno influito sul deficit di diligenza. La stessa evitabilità dell’evento può assurgere ad indice di valutazione del grado della colpa. Colpa e caso fortuito Ai sensi dell’art. 45 c.p.: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”, cioè un accadimento eccezionale ed assolutamente imprevedibile, che viene ad interferire con la condotta dell’agente. Es. colpo di sonno o malore improvviso che colpisce un’automobilista. Il caso fortuito è una causa di per sé sola sufficiente a produrre l’evento che, pertanto, ai sensi dell’art 41 comma 2 c.p., esclude il rapporto di causalità (tesi oggettiva) o è causa di esclusione della colpevolezza, in quanto, l’evento verificatosi non sarebbe prevedibile ed evitabile, neppure alla stregua dell’agente modello (tesi soggettiva)? La Corte preferisce la tesi soggettiva, in quanto, l’art 45 descrive una situazione nella quale vi è un rapporto causale tra condotta ed evento e soprattutto perché l’eventuale rilevanza dei fattori eccezionali sulla causalità è già espresso, secondo la teoria della causalità umana, dall’art. 41 c.p. CAPITOLO XIX – Disciplina dell’errore Le diverse tipologie di errore penalmente rilevanti. La tematica dell’errore e dell’ignoranza consiste in una falsata percezione della realtà o della normativa vigente. L’errore sul fatto è uno degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, esso può essere: - Errore di fatto che deriva da un’erronea percezione della realtà naturalistica. Es. il diritto di furto, che punisce chi si appropria di una cosa mobile altrui. L’agente può credere, però, per errore (sul fatto) che la cosa sia, in realtà, di sua proprietà, portando con sé dal guardaroba di un ristorante un soprabito del tutto simile al suo ma che appartiene a qualcun altro. - Errore di diritto che deriva da un’erronea interpretazione della disciplina giuridica dettata, ad esempio, dal codice civile in materia di diritto di proprietà: l’agente crede che sia ancora sua un’autovettura che ha già venduto con atto notarile, ma della quale non è ancora stato pagato tutto il prezzo. 46 Diverso dall’errore sul fatto è L’errore sul diritto, che verte sulla fattispecie penale: uno straniero di cultura, islamica crede che sia legittimo, doveroso, percuotere e chiudere in casa sua figlia già maggiorenne che rifiuti di vestire di burka, mentre nel nostro ordinamento tali fatti sono puniti a titolo di lesioni dolose e sequestro di persona; oppure su una norma extra penale (come nell’esempio dell’appropriazione di una vettura che si crede ancora, erroneamente, propria). ERRORE DI FATTO SUL FATTO Ai sensi dell’art.47, comma 1 c.p. “L’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità dell’agente”. L’errore, infatti, consiste in una falsa rappresentazione della realtà, che incide sul processo di formazione della volontà, e pertanto esclude il dolo. Es. il cacciatore spara dietro un cespuglio credendo che ci sia un cinghiale e invece uccide un bambino (manca volontà e quindi, dolo) Prosegue, la norma in questione, disponendo che “se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa se è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Ne deriva che, in presenza di un errore sul fatto, escluso il dolo, il giudice dovrà compiere un’ulteriore, duplice valutazione: 1- dovrà domandarsi se l’errore stesso è dovuto a colpa; se cioè l’agente, secondo la diligenza che l’ordinamento pretende per quelle attività, avrebbe potuto o dovuto prevedere che dietro il cespuglio non ci fosse un cinghiale ma un bambino. Qualora risponda in termini positivi (se, cioè, l’erronea percezione della realtà fenomenica è rimproverabile all’agente) 2- si dovrà verificare se il delitto è punito anche a titolo di colpa. L’errore (colpevole) produrrà degradazione della sua responsabilità a titolo di omicidio colposo. Diverso, ovviamente, il caso di un delitto per il quale non è prevista punibilità a titolo di colpa (per esempio, il furto). Diversamente è per i casi in cui non è prevista la punibilità a titolo di colpa (es. furto) Errore sul fatto dovuto ad errore su legge extra penale. L’errore sul fatto, può essere frutto di una non corretta interpretazione (o conoscenza) di una norma di legge extra penale. Ai sensi del comma 3 dell’art. 47 c.p., questo tipo di errore esclude la punibilità sempre che si tratti di errore sul fatto di reato. L’errore sulla legge extra penale potrà riguardare tanto gli elementi normativi della fattispecie incriminatrice quanto quelli di natura normativa etico-sociale. Es. la genitrice di origine nord europea, abituata, in virtù di un modello educativo libero e responsabilizzante, a lasciare spesso la figlia adolescente da sola, non dovrà rispondere, per errore su un elemento normativo di natura etico-sociale, del delitto di abbandono di minore, art. 591 c.p. L’aspetto di maggior criticità dell’errore sul fatto dovuto ad errore su legge diversa da quella penale consiste proprio nel distinguere l’ipotesi in questione dall’ignoranza della legge penale che, ai sensi dell’art.5 c.p., non scusa, se non quando rivesta l’eccezionale carattere dell’inevitabilità. Tale questione viene risolta dalla giurisprudenza in termini molto severi: qualsiasi norma giuridica non penale, che sia richiamata, anche solo indirettamente, dalla fattispecie incriminatrice, viene da questa incorporata, e pertanto l’eventuale errore su di essa non scusa mai, risolvendosi in un errore sulla legge penale. Questo tipo di interpretazione dell’art. 47, comma 3, c.p. finisce per abrogare, la norma in questione: qualunque errore sulla legge extra penale, infatti, diviene irrilevante, ai fini della non punibilità, perché letto sempre come errore sulla legge penale, proprio in virtù dell’incorporazione, anche solo implicita, nel precetto. A fronte di un simile interpretatio abrogans, la nostra dottrina ha cercato di percorrere varie strade, al fine di ridare senso ed effettività al disposto di cui all’art. 47, comma 3, c.p. Altri preferiscono, invece, ricondurre la regola in virtù della quale l’errore su legge diversa da quella penale rileva ai fini della non punibilità, ai principi generali in materia 47 Questo meccanismo di imputazione costruito su base oggettiva è stato, ben presto, oggetto di critiche sull’opportunità o meno di costruire siffatti modelli di responsabilità. Con l’avvento della Costituzione, in campo penale, la responsabilità oggettiva crea problemi di legittimità. L’art. 27 comma 1 Cost.,infatti, afferma: “la responsabilità penale è personale." -> non è quindi ammessa nessuna responsabilità per il fatto altrui commesso. -> responsabilità personale non vuol dire soltanto rispondere per fatto proprio ma implica che l’intervento della sanzione penale è giustificato solo se nei confronti del fatto vi è “colpevolezza” (rimproverabilità sulla base di un coefficiente psicologico) La svolta si ha nel 1988 con la sentenza n. 364 della Corte Costituzionale. Il problema sollevato concerneva l’art 5 c.p. sull’inescusabilità assoluta dell’ignoranza della legge penale (e dell’errore su di essa): la Corte perviene ad una declaratoria di parziale illegittimità costituzionale della norma ma soprattutto riconosce che la responsabilità oggettiva è incostituzionale quando investe “elementi significativi” della fattispecie. LA PRETERINTENZIONE L’artt. 43 c.p. delitto preterintenzionale “o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente”. I delitti preterintenzionali sono un numero ristretto, nel codice penale compare solo l’art. 584 c.p. omicidio preterintenzionale: esso è una figura autonoma che si inserisce nell’ambito delle ipotesi di omicidio e non costituisce una circostanza aggravante del delitto di lesioni dolose previsto dall’art. 582 c.p. L’evento non deve essere voluto e nemmeno previsto e accettato come possibile o probabile conseguenza del fatto doloso. I codificatori del 1930 inquadravano la preterintenzione nell’ambito dell’ipotesi di responsabilità oggettiva: è sufficiente riscontrare un rapporto di causalità materiale tra la parte dolosa (atti diretti a ledere o percuotere) e l’evento più grave (la morte). L’unico limite alla responsabilità lo riscontriamo qualora l’evento non voluto sia derivato da fattori del tutto eccezionali, anomali, oggettivamente imprevedibili, “interruttivi” del rapporto di causalità. Reato aberrante Il codice penale dedica una specifica attenzione anche all’errore inabilità: una tipologia di errore che si profila durante l’esecuzione di un reato. L’art 83 c.p. “aberratio delicti”: l’errore (nell’uso di mezzi di esecuzione o per “altra causa”) che comporta la realizzazione di un evento diverso da quello voluto; in questo caso la causa dell’errore non va riscontrata in un difetto di percezione della realtà. Es. un soggetto vuole colpire una vetrina ma cagiona, per errore di mira o per l’improvvisa interposizione della persona sulla traiettoria, una lesione personale (evento diverso da quello voluto). - Il reato “diverso” può sostituirsi a quello voluto oppure aggiungersi ad esso. Per poter individuare una aberratio delicti occorre escludere la rilevabilità del dolo eventuale nei confronti dell’evento diverso; altrimenti saremo di fronte ad un normale concorsi di 2 reati dolosi (intenzionale ed eventuale). - se l’evento “diverso” non è investito dal dolo il soggetto agente risponde “a titolo di colpa” solamente se il fatto è previsto come delitto colposo dalla legge. - nell’ottica del legislatore del 1930 l’aberratio delicti rappresentava un esempio di responsabilità oggettiva: si attribuisce automaticamente una responsabilità per un fatto 50 non voluto in quanto chi agisce è mosso comunque da volontà criminosa. Ciò suscita alcune obiezioni, in particolare per contrasto con il principio di responsabilità personale. L’aberratio delicti è stata, poi, recuperata nel quadro della responsabilità soggettiva superando la prospettiva del 1930. L’art 83 comma 2 c.p. “aberratio bilesiva”: evidenzia il caso relativo ad un concorso formale di reati, uno di natura dolosa (evento voluto) e uno di natura colposa. Aberratio ictus Secondo formula di reato aberrante individuata nell’art. 82 c.p. “aberratio ictus”: l’autore realizza il fatto pianificato ma per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato (o per “altra causa”) colpisce una vittima diversa da quella designata. Es. Un killer che spara per strada per eliminare un soggetto ma uccide un’altra persona. Si tratta di una situazione analoga a quella costituita dal c.d. error in persona (art.60 c.p.), nel quale la divergenza tra vittima reale e quella designata discende da un difetto di rappresentazione (es. al buio); nell’aberratio ictus la divergenza deriva da un errore nell’esecuzione, e si sviluppa in un contesto nel quale l’autore conosce perfettamente la vittima e non vuole colpire la vittima effettiva. L’art. 82 comma 1 c.p. il reo risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere ma fa “salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’ art 60 c.p.” Il significato effettivo di questa norma è controverso: l’autore dell’aberratio ictus deve rispondere con le pene dei delitti dolosi per un fatto che doloso non è, quindi il comma 1 ha la funzione di sanzionare con le pene dei reati dolosi fatti che sarebbero realizzati solamente per colpa o in presenza di un mero rapporto di casualità materiale (responsabilità aggettiva). [-> Inoltre l’irrilevanza dell’identità della vittima (la quale non è elemento costitutivo del reato, salvo particolari casi) è disciplinata dall’error in persona.] Aberratio causae: questa forma non ha rilevanza e fa riferimento ad una particolare divergenza tra voluto e realizzato che emerge nella fase esecutiva: un soggetto vuole realizzare un determinato evento ed effettivamente lo cagiona ma attraverso un iter causale diverso da quello immaginato. Es. un soggetto per uccidere una persona, la getta in un fiume ma la morte non deriva dal progettato annegamento ma da traumi subiti per l’impatto sul ponte da cui la persona è stata fatta cadere. Poiché le norme incriminatrici non tipicizzano l’itinerario causale che determina l’evento, questa forma di “errore nell’esecuzione”, non incide sull’elemento soggettivo e quindi la responsabilità è doloso essendo irrilevante che la causa dell’evento sia diversa da quella programmata. Responsabilità per i Reati Commessi a mezzo stampa L’art 57 c.p. post 1958: definisce la colpa del direttore del mezzo stampa, delineando una figura di reato (autonoma) di agevolazione colposa di un delitto doloso commesso da altri e non impedito dal soggetto garante della conformità alla legge del contenuto del periodico. -> l’articolo fa diretto riferimento ai direttori dei periodici stampati. “sono considerati stampe o stampati tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione” -> per quanto riguarda un periodico online, non è estendibile al direttore la disciplina stabilita dall’art 57 c.p. in quanto limitato alla stampa. La responsabilità penale, in questo, riguarda l’autore del testo online ed il direttore (o il curatore) può rispondere penalmente solo se si dimostra che è l’autore del fatto o concorrete doloso. 51 Mezzi radiotelevisivi: visto che i direttori di telegiornali e radiogiornali non rispondono dell’ex art. 57 c.p. si è dichiarata l’incostituzionalità della norma per violazione dell’articolo 3 Cost. La corte si è espressa in merito attraverso una declaratoria di maggiore pericolosità dei giornali rispetto ai mezzi di trasmissione via etere, salvando la norma in extremis. Attualmente è responsabile la persona delegata al controllo della trasmissione. Mezzi stampa non periodici: art 57 bis c.p. disciplina la responsabilità nei reati commessi attraverso stampe non periodiche (libri, manifesti, volantini). Non essendo presente un direttore responsabile la norma attribuisce il controllo ad altre 2 figure: - l’editore che è chiamato a rispondere se l’autore della pubblicazione rimane ignoto o risulta non imputabile. - lo stampatore che è chiamato a rispondere se omette di indicare l’editore. Questi soggetti rispondono a titolo di colpa. Le pene e le modalità seguono l’art. 57 c.p. nell’ottica di agevolazione colposa di delitto doloso. Condizioni obiettive di punibilità: la definizione è contenuta nell’art 44 c.p. in base al quale quando per la punibilità del reato la legge richiede il verificarsi di una condizione il colpevole risponde anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della stessa, non è da lui voluto. Si tratta di eventi naturalistici o giuridici dai quali non dipende l’esistenza del reato ma è condizionata la mera punibilità. L’art. 44 c.p. pone delle condizioni obiettive dal momento che esse non costituiscono l’oggetto di un giudizio di responsabilità ma rilevano giudizialmente. Queste si differenziano dalle condizioni di procedibilità (querela, istanza, richiesta e autorizzazione a procedere) che rappresentano le ipotesi non tipiche di istanze di opportunità di punibilità rimesse ad una valutazione di terzi interessati, titolari di un potere discrezionale di rimuovere o meno un ostacolo all’esercizio obbligatorio dell’azione penale: le condizioni di procedibilità non incidono sulla punibilità ma sulla conoscibilità del fatto da parte del giudice. La disciplina della prescrizione decorre dal giorno in cui si è verificata la condizione di punibilità. La formazione del giudicato: sentenza assolutoria prevede che un soggetto non possa essere messo a processo per lo stesso fatto una seconda volta e il risarcimento del danno non patrimoniale dipende dalla verificazione della condizione di punibilità. Rilevante è la distinzione delle condizioni obiettive di punibilità rispetto agli elementi essenziali del reato. L’assenza di indicazioni legislative, comportando un vulnus al principio di legalità, ha portando all’elaborazione di diversi criteri utilizzabili per l’identificazione della condizione obiettiva del reato: - criteri formali: l’impiego nella formulazione delle fattispecie di locuzioni del tipo “se dal fatto deriva”, “qualora si verifichi”, è indizio della presenza di una condizione obiettiva di punibilità. Non sono invece condizioni obiettive di punibilità quegli eventi legati da un rapporto di causalità materiale con la condotta. - criteri sostanziali: rientra ciò che fa parte delle materia del divieto. Inoltre le condizioni obiettive di punibilità possono essere divise in 2 sottocategorie: - estrinseche: sono estranee all’offesa e al disvalore del fatto costituente reato e rappresentano 52 3) Tra 14 e 18 anni, è quel periodo, che coincide con l’adolescenza, rispetto al quale il conseguimento della capacità di intendere e di volere può essere significativamente influenzata da molteplici fattori, di carattere sociale, culturale, affettivo, relazionale, economico ecc. Ebbene, proprio in virtù di tale difficoltà, l’art. 98 c.p. prevede che il giudice debba valutare caso per caso, al di fuori di qualsiasi presunzione, la capacità di intendere e di volere di colui che commetta un reato tra 14 e 18 anni di età. il giudizio sull’imputabilità deve essere svolto con “stretto riferimento” al reato commesso. Il codice vigente prevede che, se il minore non è imputabile non sia punibile, cioè non possa essere sottoposta a pena. Ma se socialmente pericoloso, potrà essere sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata del riformatorio giudiziario. Se, invece, il minore tra 14 e 18 anni viene ritenuto imputabile, potrà essere sottoposto a pena, diminuita, però, sino ad un terzo. La minore età costruisce una sorta di circostanza attenuante. Vizio di mente. Tra le cause che possono escludere o diminuire l’imputabilità di un soggetto maggiorenne, rilievo centrale riveste l’infermità di mente. Ai sensi dell’art.88 c.p., infatti, chi si trovi, per infermità, in uno stato di mente tale da escludere la sua capacità di intendere o di volere, non è imputabile. Se l’infermità produce uno stato mentale che non esclude del tutto, ma scema gradualmente la capacità di intendere e di volere, il reo risponde del reato commesso ma la pena sia diminuita. La semi infermità di mente coincide con un disturbo non settoriale, che pertanto deve investire tutta la psiche del soggetto, ma in maniera tale da non escludere completamente la capacità di comprendere correttamente il senso della realtà esterna e le conseguenze dei propri comportamenti, nonché di autodeterminarsi. Anche l’infermità di mente deve essere presente al momento del fatto, per esplicita previsione normativa. Essa deve aver causalmente influito sulla commissione del reato, alla quale il reo deve essere stato determinato proprio a causa del vizio di mente. Una prima delimitazione importante del concetto di infermità di mente, rilevante ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p., è che essa può consistere anche in un stato patologico di tipo fisico (per esempio, il delirio febbrile). Ciò distingue il concetto di << infermità >>, rilevante sullo stato mentale, da quello di << infermità psichica >> , di cui all’art.222 c.p., che disciplina le modalità del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. L’infermità può essere anche non permanente, cioè può consistere in una patologia che regredisce, purché non sia di così breve durata da non poter neppure assumere le forme di uno vero e proprio stato patologico. Non possono incidere sull’imputabilità il vizio del gioco di azzardo, il mero dato anagrafico dell’età avanzata e la presenza di momentanei deficit mnemonici ; la pedofilia. Se la capacità di intendere o di volere è del tutto esclusa, il soggetto non può essere punito ma, se socialmente pericoloso al momento della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, può essere sottoposto a misura di sicurezza. La seminfermità di mente, invece, non esclude l’imputabilità ma costituisce una circostanza attenuante. Inoltre, se socialmente pericoloso, dopo aver scontato la pena, il semi imputabile potrà essere sottoposto a misura di sicurezza. 55 Reati commessi sotto l’effetto di sostanze alcooliche o stupefacenti all’art.85 c.p., che imporrebbe di considerare non imputabile chi sia privo, al momento del fatto, della capacità di intendere o di volere. E’ del tutto evidente, infatti, che sia l’alcool che le sostanze stupefacenti incidono in maniera decisiva sulla capacità di intendere e di volere: l’ubriaco, per esempio, tende a sottovalutare il pericolo, così come avviene per l’assuntore di cocaina; perde i freni inibitori; può trovarsi alla mercé di reazioni violente del tutto incontrollabili. Peraltro la disciplina codicistica attribuisce l’effetto di escludere l’imputabilità solo a due situazioni: 1) Una prima situazione è quella dell’ubriachezza dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Es. l’alterazione delle funzioni mentali causata dai vapori di alcool che colpiscono colui che ripulisce le botti di una cantina, oppure l’assunzione, per un errore del farmacista, di un una compressa che contiene stupefacente, nell’incolpevole idea che tratti di un innocuo farmaco omeopatico. In queste ipotesi l’imputabilità è esclusa, e non consegue neppure l’applicazione di una misura di sicurezza. Infine se l’ubriachezza non è piena , ma la capacità di intendere o di volere e grandemente scemata, il comma 2 dell’art. 91 c.p. prevede che il soggetto è imputabile ma la pena e diminuita. - Molto più rilevante la disciplina dell’ubriachezza volontaria o colposa. E’ volontaria l’ubriachezza di colui che assume una rilevante quantità di alcool, spinto dal desiderio di dimenticare, per una sera, una cocente delusione amorosa, o magari, al contrario, di festeggiare, senza freni, una qualche ricorrenza lieta. E’, invece, colposa l’ubriachezza di colui che, negligentemente, non controlla la quantità di alcool ingerita, e soprattutto gli effetti che potrebbero derivarne, magari a causa delle calura estiva e di una piacevole compagnia durante una cena. Ebbene, in entrambi i casi, se commette un reato, il soggetto viene ritenuto imputabile, nonostante l’evidente alterazione del suo stato mentale. Egli risponderà sulla base dello (pseudo) dolo o della (pseudo) colpa valutata con riferimento al reato commesso. Il sistema previsto dal legislatore del 1930 descrive, poi due situazioni che, non solo escludono l’imputabilità, ma aggravano la pena, e possono portare all’applicazione di una misura di sicurezza: 1- ubriachezza preordinata, cioè finalizzata al compimento di un reato ( un rapinatore alle prime armi assume cocaina prima del fatto, per darsi il coraggio necessario) o a precostituirsi una scusa. 2- ubriachezza abituale, prevista dall’art. 93 c.p., tratta la situazione di colui che, oltre ad essere dedito all’uso di bevande alcoliche, è in stato di frequente ubriachezza. 2) Cronica intossicazione da sostanze alcoliche o stupefacenti che esclude o diminuisce l’imputabilità, infatti, consiste in una vera e propria alterazione mentale, di natura patologica, non più reversibile, indipendente dall’eventuale ulteriore assunzione di alcool o sostanze. Non imputabilità e possibile sottoposizione a misure di sicurezza (se socialmente pericoloso) per il soggetto la cui capacità di intendere e di volere sia totalmente esclusa; semi imputabilità, pena diminuita (e possibile situazione di sicurezza) se la patologia ha scemato la capacità di intendere e di volere. Sordomutismo L’art. 96 c.p. introduce, tra le cause di esclusione dell’imputabilità, il sordomutismo che abbia escluso la capacità di intendere e di volere del soggetto, al momento del 56 compimento del fatto. Il comma 2 della norma prevede che, se la capacità di intendere e di volere è grandemente scemata, la pena sia diminuita. Il codice non distingue tra sordomutismo congenito ed acquisito e, pertanto, entrambi potranno portare, se del caso, ad una declaratoria rilevante in tema di imputabilità. L’art. 96 c.p. detta, per sordomutismo, una disciplina simile a quella prevista per il vizio di mente, sia con riferimento alla pena che alle misure di sicurezza. Actio libera in causa La disciplina dell’imputabilità si completa con la previsione di cui all’art. 86 c.p., in virtù del quale, se un soggetto si mette in stato di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa, non si applica l’art. 85 c.p.; egli, cioè, viene ritenuto pienamente imputabile. Si tratta dell’ipotesi della c.d. “actio libera in causa”, cioè di una incapacità di intendere e di volere che è però frutto di una scelta libera, volontaria e preordinata. PARTE QUINTA: LE FORME DI MANIFESTAZIONE DELL’OFFESA CAPITOLO XXII – REATO CIRCOSTANZIATO Le circostanze sono elementi accidentali (circum-stare, stare attorno), la loro presenza non è necessaria al fine dell’esistenza del reato, aggiungendosi ad una fattispecie criminosa già costituita e incidendo sulla sua gravità comportando di regola una variazione della pena o una modifica della procedibilità del reato. La variazione della pena può essere: - quantitativa quando alla pena applicabile al reato base deve aggiungersi un quantum di pena della stessa specie o quando la legge prevede una cornice edittale autonoma; - qualitativa quando la circostanza modifica la specie della pena. Hanno un’efficace extra edittale: infatti la circostanza comporta una variazione del trattamento sanzionatorio con superamento dei limiti edittali indicati dalle singole fattispecie incriminatrici. Gli elementi circostanziali hanno 2 funzioni: 1) consentono di adeguare il trattamento sanzionatorio al reale disvalore del fatto attraverso la previsione normativa di elementi capaci di incidere sulla gravità del reato o sulla capacità a delinquere del soggetto, alla cui presenza viene collegata una modificazione della risposta sanzionatoria; 2) funzione di garanzia del principio di legalità, in quanto descritte dalla legge, le circostanze consentono di realizzare l’adeguamento del trattamento sanzionatorio alla gravità del reato senza lasciare questo compito alla discrezionalità del giudice. Classificazione *Le circostanze possono essere classificate in: - circostanzi aggravanti che comportano un aumento del trattamento sanzionatorio; - circostanze attenuanti che prevedono una diminuzione della sanzione applicabile. Esse possono a loro volta essere comuni o speciali:  Le CIRCOSTANZE COMUNI sono potenzialmente applicabili a tutti le ipotesi di reato o ai reati con le quali presentano una compatibilità strutturale. Le circostanze aggravanti comuni sono contenute nell’art. 61 c.p.: “1) l'avere agito per motivi abietti o futili; 2) l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato; 3) l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento; 57 reclusione non può superare gli anni 30; quando è attenuante la pena è diminuita fino ad 1/3 e alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da 20 a 24 anni. - in presenza di circostanze indipendenti o ad effetto speciale (art. 63 comma 3 c.p.) l’aumento o la diminuzione di pena per le altre circostanze non opera sulla pena base del reato ma sulla pena stabilita per le predette circostanze. 2) concorso di circostanze omogeneo: concorrono circostanze dello stesso segno: - in caso di concorso di circostanze ad effetto comune opera la regola contenuta nell’art.63 comma 2 c.p., secondo la quale l’aumento o la diminuzione di pena va operata sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente. - in caso di concorso di circostanze ad efficacia speciale l’art. 63 comma 4 c.p. stabilisce che si applica solo la pena stabilita per la circostanza più grave con la facoltà del giudice di aumentarla fino ad 1/3; - in caso di concorso di circostanza ad efficacia comune e speciale , art. 63 comma 3 c.p., l’aumento o la diminuzione operano sulla pena stabilita per la circostanza ad efficacia speciale. Limiti: - Limiti degli aumenti di pena in caso di concorso di circostanze aggravanti (art. 66 c.p.) la pena non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge, salvo le ipotesi di circostanze ad effetto speciale, e comunque non eccedere gli anni 30 in caso di reclusione e anni 5 in caso di arresto e anche in caso di multa o ammenda. - Limiti delle diminuzioni di pena in caso di concorso di circostanze attenuanti (art.67 c.p.) la pena non può essere inferiore a 10 anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell’ergastolo; le altre pene sono diminuite quando non si tratta di circostanze indicate nell’art. 63 comma 2, la pena non può essere applicata in misura inferiore ad 1/4. Concorso eterogeneo e giudizio di bilanciamento Diversamente dal codice penale Zanardelli in cui il concorso eterogeneo di circostanze era disciplinato da rigide regole aritmetiche, nell’impianto originario del Codice Rocco veniva prevista la possibilità per il giudice di procedere discrezionalmente al giudizio di bilanciamento attraverso una valutazione qualitativa del peso delle diverse circostanze, con la possibilità della dichiarazione di prevalenza delle aggravanti o delle attenuanti o della loro equivalenza. Restavano comunque escluse le circostanze ad efficacia speciale e quelle inerenti la persona del colpevole. Il giudizio di bilanciamento, così strutturato, assolve in pieno alla funzione di individualizzazione della pena al caso concreto, è “un giudizio complessivo e sintetico sulla personalità del reo e sulla gravità del reato”: il giudice dovrà, infatti, procedere ad una valutazione unitaria ed integrale dell’episodio criminoso, che consenta il pieno rispetto del principio di proporzione tra la pena da comminare e il fatto criminoso. Il decreto legge n. 99 (convertito nella legge n. 220)del 1974 venne attuata una riforma che, ha rappresentato una innovazione radicale attraverso l’estensione della disciplina del giudizio di bilanciamento anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e alle circostanze ad effetto speciale. Era intento del legislatore di porre rimedio al rigorismo sanzionatorio che caratterizzava alcune fattispecie di frequente verificazione, in cui la pena appariva sproporzionata rispetto all’entità dei fatti e alla personalità del colpevole. La dimensione attuale del giudizio di bilanciamento comporta l’eventuale rischio che l’aumento di pena relativo ad una circostanza aggravante speciale possa essere vanificato nel caso in cui il giudice, libero nella sua valutazione discrezionale, opti per dichiarare la prevalenza o l’equivalenza di circostanze attenuanti di minor rilevanza. Le circostanze blindate Il legislatore ha introdotto con sempre maggior frequenza delle circostanze blindate a cui ha riconosciuti un particolare privilegio nel giudizio di bilanciamento. La blindatura 60 del giudizio di bilanciamento, che il legislatore ha previsto in alcune ipotesi di concorso di circostanze eterogenee, può avere 2 contenuti alternativi: - a base totale: si verifica l’esclusione della dichiarazione di prevalenza o di equivalenza delle circostanze attenuanti; - a base parziale: viene preclusa al giudice la sola dichiarazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, rimanendo impregiudicata la possibilità che le stesse siano valutate equivalenti, con la conseguenza della vanificazione dell’aumento di pena riconnesso alla contestazione dell’aggravante. La recidiva Tra le circostanti inerenti la persona del colpevole l’art. 70 c.p. ricomprende anche la recidiva, disciplinata dall’art. 99 c.p. si caratterizza per la previsione di un aumento di pena nel caso in cui il soggetto dopo essere stato condannato per un reato ne commette un altro. Esistono diverse forme di recidiva: 1) recidiva semplice (art. 99 comma 1): chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro può essere sottoposto ad un aumento di 1/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. La recidiva è possibile solo per i delitti dolosi. 2) recidiva aggravata (art. 99 comma2): disciplina le diverse forme di recidiva aggravata, in cui la pena può essere aumentata fino alla metà. - recidiva specifica: se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole, cioè che violano una stessa legge o che presentano caratteri fondamentali comuni. - recidiva infraquinquennale quando il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei 5 anni dalla condanna precedente. - recidiva esecutiva e del latitante prevede l’aumento della pena fino alla metà se il nuovo delitto è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena. 3) recidiva reiterata (art. 99 comma 4): se il recidivo commetto un altro delitto, l’aumento della pena nel caso di recidiva semplice, è della metà e, nei casi della recidiva aggravata, è di 2/3. - recidiva reiterata obbligatoria (comma5): l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e non può essere inferiore ad 1/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitti non colposo. L’art. 70 c.p. qualifica espressamente la recidiva quale circostanza aggravante inerente la persona del colpevole. Secondo la giurisprudenza prevalente, la recidiva è una circostanza aggravante da contestare obbligatoriamente dal momento che facoltativo è il suo aumento di pena: viene pertanto ammesso il giudizio di bilanciamento e gli altri effetti giuridici si producono anche a prescindere dall’aggravamento sanzionatorio. La recidiva comporta diversi effetti di rilevanza pratica: un aumento quantitativo della pena, limitazioni al giudizio di bilanciamento, limitazioni al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed ulteriori effetti in ordine all’applicazione di determinate cause di estinzione. Criteri per distinguere gli elementi costitutivi dagli elementi circostanziali Non esiste un criterio normativo in base al quale possa essere stabilito con certezza quando ci si trovi in presenza di una circostanza o quando, invece, a un vero e proprio elemento costitutivo. 61 I reati aggravanti dell’evento: delitti che subiscono un aumento della pena quando si verifica un ulteriore evento dannoso o pericoloso oltre a quello che è richiesto per la loro esistenza. Vi sono 3 diverse tipologie: 1) l’evento aggravatore è voluto perché costituisce la realizzazione dello scopo oggetto del dolo specifico del reato base; 2) è indifferente se l’evento aggravatore sia voluto o non voluto dal momento in quanto non produce conseguenze penalmente rilevanti (es. calunnia) 3) l’evento aggravatore deve essere non voluto perché altrimenti troverebbe applicazione la corrispondente ipotesi doloso ( es. morte o lesione derivante dalla condotta di maltrattamenti). Quest’ultima ipotesi pone 2 ordini di problemi: il titolo di imputazione dell’evento non voluto e la natura giuridica. Si discute, infatti, se possono essere qualificati come reati autonomi rientranti nello schema della preterintenzione o se si tratti di reati circostanziati. CAPITOLO XXIII – Delitto tentato Si parla di reato consumato quando l’agente porta a termine l’iter criminis, realizzando tutti gli elementi costitutivi della norma incriminatrice. L’individuazione del momento consumativo è di estrema importanza (per esempio, ai fini dell’individuazione della legge applicabile, in materia di amnistia e indulto, per individuare la competenze per territorio etc..) e varia a seconda delle diverse categorie di reati. - I reati ad evento naturalistico si consumano nel momento nel quale si realizza l’evento stesso: es. l’omicidio giunge a realizzazione nell’istante in cui si verifica la morte della vittima. È più difficile distinguere tra consumazione e tentativo quando il compimento di un reato ad evento naturalistico avviene in ipotesi di predisposizione della forza pubblica: Es. Tizio, vittima di una estorsione, che finge di accedere alla richiesta di denaro del colpevole, ma avvisa la polizia che si apposta sul luogo nel quale egli dovrà consegnare la busta con il denaro. Se le forze dell’ordine arrestano il reo non appena la busta stessa è nelle sue mani, può dirsi che il delitto sia consumato? La nostra giurisprudenza reputa consumato il delitto anche se il reo acquisisce una signoria sul denaro del tutto apparente e momentanea. - I reati di mera condotta istantanei giungono a consumazione quando si esaurisce la condotta tipica, cioè quando la gente compie l’ultimo atto che la realizza. Es. nel delitto di furto la consumazione coincide non solo con la sottrazione della cosa mobile, ma anche con il suo impossessamento. Pertanto, che sottrae un bene e lo nasconde per poi tornare con più tranquillità a riprenderlo la notta successiva, non porta a compimento la condotta descritta dalla fattispecie e risponde di furto solo tentato. - I reati permanenti, invece, giungono a compimento quando cessa la condotta criminosa descritta dalla fattispecie. Es. un sequestro di persona, delitto già “perfetto” al momento nel quale inizia la limitazione della libertà di movimento della vittima, si consuma quando essa riacquista la libertà personale. - Nei reati abituali, infine, la consumazione coincide con il compimento dell’ultimo fatto che, unitariamente considerato con quello che precedono, qualifica come criminoso il comportamento dell’agente. Si parla di delitto tentato quando lo svolgimento dell’attività criminosa non giunge a compimento, cioè quando il delitto non è portato a termine, non è giunto a consumazione per ragioni che prescindono dalla volontà del colpevole. 62 Es. Tizio tenta di esplodere un colpo di pistola contro la moglie dormiente, ma il revolver non funziona per cattiva manutenzione e la pistola è inceppata, egli risponderà comunque per tentato omicidio. - valutazione a base totale: tiene conto anche di quelle evenienze del fatto che, seppur previe, non erano conoscibili dal reo o da un terzo estraneo e sono state scoperte solo in seguito. La soluzione del problema dipende dalla volontà di far prevalere le esigenze di prevenzione generale oppure il rispetto del principio di offensività. Può avvenire che la circostanza, previa, ma sconosciuta, attinga all’inesistenza assoluta, in rerum natura, dell’oggetto materiale della condotta. Es. Tizio che spara a Caio sdraiato nel suo letto credendolo addormentato, ma egli è morto da qualche ora per infarto. In questi casi, l’art. 49 comma 2 c.p., prevede che l’agente non sia punibile, vertendosi in un caso di reato impossibile per inesistenza dell’oggetto materiale della condotta. Al più, egli potrà essere sottoposto ad una misura di sicurezza, se il giudice riterrà che sia socialmente pericoloso. Al di fuori dell’inesistenza assoluta, in rerum natura, dell’oggetto materiale della condotta, si distinguono le situazioni nelle quali il bene tutelato non ha corso il minimo pericolo (Tizio spara con una pistola scarica), dal caso nel quale la circostanza scoperta in seguito renda solo accidentalmente non realizzabile l’evento (la pistola non spara perché priva di adeguata manutenzione ma avrebbe potuto funzionare). 2) Secondo elemento oggettivo positivo: direzione non equivoca. Si risponde per delitto tentato solo se gli atti sono “diretti in modo non equivoco a commettere un delitto”. Ciò significa che gli atti devono poter far comprendere di essere indirizzati al compimento di una, ed una sola, specifica ed individuabile fattispecie incriminatrice. Il problema è comprendere quali circostanze concrete possono rendere quel comportamento effettivamente univoco, con riferimento ad una soltanto delle diverse ipotesi criminose indicate. Al riguardo si sono proposte 2 diverse interpretazioni: - la teoria soggettiva: l’atto è inequivoco quando vi sia la confessione dell’agente, desunta dalla confessione del colpevole, da una verosimile chiamata in correità di un complice, da esplicite intercettazioni telefoniche tra i complici della banda dei sequestratori. Questa soluzione si presta a molteplici critiche, in quanto, confonde un elemento oggettivo della struttura del delitto tentato con la prova del dolo, che rileva, invece, a livello soggettivo. Inoltre, dovendosi sempre, da parte del giudice, dare la prova della volontà colpevole di chi compie una fattispecie dolosa il requisito della non equivocità degli atti finirebbe col perdere qualsiasi autonomia, mentre l’interprete si deve sforzare di dare ad ogni elemento della fattispecie incriminatrice un suo autonomo ruolo nella struttura del reato. Questa teoria finisce per anticipare l’inizio dell’attività punibile anche ad attività preparatorie molto distanti, dal punto di vista temporale, con l’inizio dell’esecuzione del reato. Es. colui che acquisti il veleno con l’intenzione di uccidere, un mese dopo, la moglie, dovrebbe rispondere di tentato omicidio, se solo avesse scritto nel proprio diario segreto il proprio intento criminale. - teoria oggettiva, in virtù della quale gli atti possono ritenersi non equivoci solo se di per sé, sono in grado di rilevare l’intenzione criminosa del colpevole. Anche questa soluzione non risolve la questione, da momento che resta da chiedere alla stregua di quale osservatore gli atti devono apparire oggettivamente univoci. Es. 4 soggetti si apprestano a compiere una rapina in un istituto di credito. Arrivano in loco, parcheggiano l’auto, all’ingresso scendono, prendono il necessario, entrano in banca e a questo punto estraggono le armi. 65 Per l’osservatore esterno essi, finché non estraggono le pistole, sono dei ragazzi con un borsone che si dirigono allo sportello bancario. Per le forze dell’ordine, che da tempo intercettavano le loro conversazioni ed avevano collocato una cimice nell’auto, sanno che essi intendono rapinare la banca e, quindi, ai loro occhi i loro atti acquistano valenza anche prima che vengono estratte le armi. Nella difficoltà di individuare un corretto e definitivo punto di bilanciamento tra le esigenze di prevenzione generale, la tutela dei beni dei cittadini ed il rispetto del principio di offensività, una soluzione ragionevole può essere quella di ritenere integrato il requisito della non equivocità degli atti tutte le volte che, per inizio dell’esecuzione del reato, vi sia concreta esposizione al pericolo dell’interesse tutelato. L’elemento soggettivo nel tentativo L’unico titolo di imputazione soggettiva compatibile con il tentativo è il dolo. È poco verosimile, infatti, la responsabilità penale per colpa, quando l’iter criminis non giunge a compimento, dal momento che la direzione non equivoca degli atti, pur integrando un requisito di carattere oggettivo, pare incompatibile con un atteggiamento veramente colposo, caratterizzato dalla violazione di regole cautelari, rispetto alle quali la consumazione del reato costituisce, al più, una mera rappresentazione a contenuto esclusivamente negativo. Molto più problematica la questione della compatibilità del tentativo con tutte le forme di intensità del dolo, ed in particolare con il dolo eventuale. - La tesi affermativa ritiene che il dolo del delitto tentato deve coincidere con quello del delitto consumato anche sotto il profilo della rilevanza del dolo eventuale. - La tesi negativa afferma, invece, che il delitto tentato ha una sua piena e totale autonomia rispetto a quello consumato. La questione controversia riguarda la rilevanza che può assumere, nella struttura del tentativo, il requisito della direzione non equivoca degli atti: - la teoria negativa pur riconoscendo che atto non equivoco è solo quello che dimostra la volontà del colpevole, ritengono che non possa comunque definirsi “univoco” ciò che non sia voluto intenzionalmente, o quanto meno rappresentato come conseguenza certa della commissione del delitto stesso (dolo intenzionale o diretto: univocamente diretto a commettere un delitto). - L’attuale orientamento giurisprudenziale che tende ad imputare a titolo di dolo eventuale fatti lesivi della vita o dell’integrità fisica, in situazioni tradizionalmente coperte dalla colpa (es. circolazione stradale e tutela penale del lavoro) impone ancora maggior rigore, per evitare che, quando l’evento non si è verificato, sia comunque possibile un intervento sanzionatorio severo, a titolo di tentativo omicidio con dolo eventuale. Questo orientamento che esclude la rilevanza del dolo eventuale tende a salvaguardare le esigenze di prevenzione generale attraverso un allargamento della sfera di operatività del dolo diretto e del dolo alternativo. La compatibilità del tentativo con le diverse fattispecie di reato I delitti colposi nelle ipotesi di commissione dolosa, potrebbero essere, in astratto, oggetto di imputazione a titolo di tentativo, non ostandovi ragioni strutturali. Per quanto attiene alle diverse categorie di delitti dolosi, la compatibilità del tentativo è subordinata alla descrizione, nella fattispecie incriminatrice, di una condotta delittuosa suscettibile di interruzione o alla presenza di un evento naturalistico. La configurabilità del tentativo: - nelle fattispecie omissive improprie: colui che, gravato da un obbligo giuridico, pur potendo agire, non si attivi per impedire il realizzarsi di un evento, ne risponderà a titolo di tentativo a partire dal momento nel quale ha violato l’obbligo di agire, qualora l’evento venga evitato dall’intervento di una terza persona o da altri fattori indipendenti dalla sua volontà. 66 - nelle fattispecie omissive proprie (o di mera condotta) che si consumano con la violazione dell’obbligo di agire. La giurisprudenza, di recente, ha escluso la compatibilità del tentativo, dal momento che il reato omissivo prevede sempre un termine, prima dello spirare del quale sarebbe sempre possibile che il soggetto tenga la condotta omessa e, pertanto, non si potrebbe ancora parlare di tentativo. Dopo lo scadere del termine, invece, il delitto sarebbe consumato. La compatibilità dei reati di pericolo con il tentativo è oggetto di molteplici discussioni, dovute al fatto che, secondo alcuni, essendo pacificamente già il delitto tentato una fattispecie di pericolo, non avrebbe senso punire il “pericolo di un pericolo”, perché realizzerebbe un’eccessiva anticipazione di tutela. Una soluzione soddisfacente impone di distinguere 3 situazioni differenti: - i reati di pericolo astratto non pare legittimo, alla luce del principio di offensività anticipare in maniera rilevante la punibilità; - reati di pericolo concreto, ove il pericolo è l’evento del delitto, caratterizzate da un evento intermedio non paiano ravvisarsi ostacoli di ordine strutturale a punire chi applichi fuoco , immediatamente spento dal tempestivo arrivo dei pompieri, se la condotta era idonea a mettere a repentaglio l’incolumità pubblica; - reati apparentemente di pericolo astratto, verificare l’effettiva messa in pericolo dell’interesse tutelato. Tentativo e circostanze - Delitto tentato circostanziato: alcune circostanzi sia attenuanti che aggravanti, preesistono al compimento del fatto. Se l’agente risponde a titolo di tentativo, le circostanze, già presenti al momento del fatto, produrranno affetto (aggravante o attenuante) sulla pena che il giudice infliggerà al reo. - Delitto circostanziato tentato: quando la circostanza esiste solo nelle ipotesi che il reto è giunto a compimento. Desistenza e recesso attivo (ultimi due commi dell’art.56) - La desistenza volontaria: caratterizzata dal fatto che il colpevole arresta l’iter criminis quando ancora la condotta non è giunta a termine, cioè quando egli ha ancora un dominio sulla situazione tale da poter impedire, se interrompe l’azione, che il delitto giunga a compimento. Essa è una causa (personale e sopravvenuta) di non punibilità in senso stretto, cioè motivata da ragioni di opportunità in virtù della quale, colui che intraprende la commissione di un reato desiste volontariamente dalla soluzione, va esente da pena. Sarà, però, chiamato a rispondere di quegli atti che ha già consumato una diversa fattispecie incriminatrice. Es. Tizio entra in una casa per effettuare un furto ma desiste. Non sarà chiamato a rispondere di tentativo di furto ma di danneggiamento del domicilio dovuto alla sua violazione. La volontarietà della desistenza, secondo l’ordinamento, non deve riguardare una qualche forma di pentimento morale, essa si applica anche se l’agente desiste per ragioni di convenienza o per aspettare il momento più opportuno. La desistenza non sarà volontaria in presenza di fattori di allarme o di rischio che rendono pericoloso proseguire nell’azione delittuosa. - Recesso attivo: colui che, sempre volontariamente, impedisce l’evento, è soggetto alla pena del delitto tentato, significativamente ridotta (da 1/3 alla metà). Nel recesso attivo l’azione ha esaurito i suoi effetti è giunta a compimento, e l’agente non ha più alcun dominio diretto sulla situazione, che possa consentirgli di paralizzarne gli effetti. Ma egli si attiva positivamente per impedire che tali effetti si realizzino. Non è sufficiente, però, che il reo si attivi con ogni mezzo e forza per impedire l’evento: la circostanza attenuante, infatti, può essere applicata solo se realmente l’evento non si verifica. Se poi, l’evento viene evitato anche grazie all’intervento di un terzo, vi è recesso attivo quando l’agente abbia comunque offerto un contributo decisivo all’azione salvifica. 67 Entrambe le teorie richiedono l’unicità del reato di cui tutti i concorrenti rispondono (il reato è unico ed è attribuito ai diversi concorrenti), diversamente è - nella teoria delle fattispecie plurisoggettive differenziate, in cui può accadere che i diversi concorrenti rispondono di uno stesso fatto materiale, ma sulla base di diverse impostazione soggettive, chi per dolo e chi per colpa. Questa teoria sostiene che il concorso di persona dà luogo ad una pluralità dei reati, tanti quante sono le condotte concorsuali. I requisiti strutturali del concorso di persona L’indeterminatezza dell’art, 110 c.p. ha sollecitato dottrina e giurisprudenza ad elaborare i requisiti del concorso di persona. Essi ne sono 4: 1) la pluralità dei concorrenti; ne sono sufficienti 2. Non tutti i concorrenti, però, devo essere anche punibili: l’ultimo comma dell’art. 112 c.p. prevede che le circostanze aggravanti ivi previste si applicano “anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile”; l’art. 111 c.p. disciplina la determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile; l’art. 119 c.p. limita gli effetti delle cause soggettive di esclusione della pena al solo concorrente a cui si riferiscono. 2) la commissione di un fatto di reato. È necessario che siano realizzati gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice: è sufficiente che attraverso la cooperazione plurisoggettiva il fatto concreto riproduca tutti gli elementi della fattispecie astratta. Può trattarsi di un reato consumato o di un delitto tentato. È quindi ammesso il concorso in un tentativo, ma non è punibile il tentativo di concorso, ossia il fatto di tentare, senza riuscirci, di concorrere in un reato: l’art. 115 c.p., infatti, prevede la non punibilità dell’accordo o dell’istigazione se agli stessi non segue la commissione del reato. In questi casi (che prendono nome di quasi-reato) l’art. 115 c.p. prevede solo l’applicazione di una misura di sicurezza a condizione che il giudice accerti la pericolosità sociale dell’autore. 3) il contributo concorsuale. Per rispondere a titolo di concorso è indispensabile l’apporto di un contributo da parte di ciascun concorrente. Il relazione al tipo di contributo si distingue tra: - CONCORSO MATERIALE, che si esplica sul piano oggettivo della preparazione o dell’esecuzione del reato. Si distinguono diverse forme di contributo materiale: a) l’autore, che realizza per intero il fatto; b) il coautore, se più soggetti realizzano gli elementi della fattispecie incriminatrice, sia quando ognuno realizzi per intero il fatto tipico sia in presenza dell’esecuzione frazionata; c) il complice, che dà un contributo oggettivo alla realizzazione del reato in fase preparatoria o esecutiva. I problemi nascono in relazione al contributo materiale atipico del complice. Una condotta costituisce contributo concorsuale se causale rispetto alla commissione del reato. Obiezioni al criterio di codicio sine qua non che in ambito concorsuale sortirebbe l’effetto di restringere irragionevolmente la punibilità escludendo la rilevanza di condotte meritevoli di pena. Per superare queste obiezioni, sono stati proposti criteri alternativi alla causalità condizionalistica: 1- Criterio della causalità agevolatrice o di rinforzo che attribuisce rilevanza concorsuale anche alle condotte che, pur non essendo condicio sine qua non del reato, abbiano comunque agevolato o rinforzato la sua realizzazione. Ben diverse sono le conseguenze se l’agevolazione viene accertata non ex post, ma sulla base di un giudizio di prognosi postuma, ossia valutando se il contributo, nel momento in cui è stato prestato (giudizio ex ante), abbia aumentato il rischio di realizzazione del reato, si tratta cioè di condotte di aumento del rischio. Il criterio di prognosi postuma è utilizzato per accertare il requisito dell’idoneità degli atti nel tentativo, non può essere proposto per accertare la responsabilità penale in relazione ad un reato che si è realizzato e rispetto al quale deve essere considerata la rilevanza delle condotte di 70 partecipazione. In ambito concorsuale è la causalità condizionalistica l’unico criterio in grado di garantire il rispetto dei principi di legalità e di responsabilità per il fatto proprio. Nei reati permanenti il contributo concorsuale può essere prestato anche in epoca successiva alla perfezione del reato, sino a che perdura la permanenza (es. l’aiuto prestato al sequestratore, mettendo a disposizione un nascondiglio più sicuro) sempre che il concorrente agisce con il dolo di partecipazione e non con il solo scopo di aiutare l’autore del reato ad eludere le investigazioni dell’autorità (delitto di favoreggiamento). 2- la causalità condizionalistica (criterio di delimitazione del contributo concorsuale materiale atipico) svolge una duplice funzione: come criterio di imputazione del fatto di reato garantisce il rispetto del principio di responsabilità per fatto proprio, come funzione di tipizzazione del contributo di partecipazione garantisce il rispetto dei principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie penale. - CONCORSO MORALE che consiste in un contributo di carattere psichico di determinazione o rafforzamento del proposito criminoso. Esso si presenta nella forma di: determinazione, quando si fa sorgere un proposito criminoso prima inesistente; istigazione, quando si rafforza un proposito già presente. Costituiscono forme di determinazione o istigazione anche l’accordo, quando chi vi partecipa non prenda poi parte alla preparazione o esecuzione del reato, ed il consiglio (es. consiglio all’imprenditore di distruggere le scritture contabili). Anche il contributo morale richiede un accertamento rigoroso della causalità psichica: è cioè necessario accertare che l’istigatore abbia influita sulla volontà dell’istigato determinando o rafforzando il proposito criminoso che si è poi tradotto nella commissione del reato. Mancando leggi scientifiche di copertura è necessario utilizzare massime di esperienza che indicano che certe condotte tenute in determinati contesti e nei confronti di certi soggetti, hanno efficacia istigatoria. L’istigazione non è causale se l’esecutore del reato era già risoluto nel commettere il reato (c.d. omnimodo facturus). Si tratta, quindi, di una situazione di difficile accertamento. - CONCORSO MEDIANTE OMISSIONE: è possibile concorrere in un reato anche attraverso una condotta omissiva. a) nei reati omissivi propri possono rispondere della condotta omissiva coloro che abbiano l’obbligo di intervenire per effetto della situazione tipica. b) negli altri reati è possibile concorrere attraverso una condotta omissiva solo se sussiste un obbligo giuridico di impedire che altri commetta un reato: è quindi necessario che chi omette sia titolare di una posizione di garanzia avente ad oggetto l’impedimento di reati commessi da terzi. Il concorso mediante omissione va distinto dalla connivenza consistente nella condotta di chi, non essendo titolare di una posizione di garanzia, non interviene dinanzi alla commissione di un reato: in assenza dell’obbligo giuridico di impedire un reato, l’art.40 cpv. non è in grado di fondare alcuna responsabilità concorsuale per omissione. 4) Il dolo di partecipazione. Non è richiesto un previo accordo tra i concorrenti, potendo il concorso esplicarsi in un intervento di carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altri, anche all’insaputa del correo. Esso richiede la sussistenza di 2 requisiti: a) rappresentazione e volontà del fatto di reato; b) rappresentazione è volontà di concorrere con altri nella commissione del reato. Questo requisito fa da collante psichico tra i contributi concorsuali. Non è, però, necessario che tutti i concorrenti siano reciprocamente consapevoli di concorrere con altri ma la presenza di tale consapevolezza consente alle norme sul concorso di svolgere la funzione di incriminazione e di disciplina nei confronti di coloro che hanno tale consapevolezza. 71 Nei reati a dolo specifico non è necessario che tutti i concorrenti agiscono con la particolare finalità richiesta dalla fattispecie incriminatrice ma è sufficiente che un solo compartecipe abbia tale finalità purché gli altri ne siano consapevoli. Discussa è la rilevanza penale della condotta di chi induce taluno a commettere un reato al fine di assicurare il colpevole alla giustizia (c.d. agente provocatore). La giurisprudenza lo ritiene punibile a titolo di concorso nel reato se la sua condotta si inserisce con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato. la dottrina, invece, esclude la responsabilità concorsuale dell’agente provocatore basandosi sull’elemento soggettivo: manca la volontà del fatto costitutivo di reato, perché il soggetto non vuole che il reato giunga a consumazione, avendo sin dall’inizio agito affinché il soggetto provocato fosse bloccato dalle forze dell’ordine prima di portare a termine il programma criminoso. Nella prassi l’agente provocatore costituisce una figura recessiva, mentre maggiore importanza costituisce la figura dell’infiltrato che realizza operazioni sotto copertura: sebbene l’infiltrato realizzi condotte conformi a fattispecie incriminatrici la sua non punibilità è espressamente prevista, a determinate condizioni, dalla legge. Le circostanze nel concorso di persone Il codice, pur adottando un modello unitario di disciplina, affida al giudice il compito di differenziare le pene tra i concorrenti in relazione alla tipologia del contributo di partecipazione attraverso la previsione di circostanze aggravanti e attenuanti. L’unica circostanza che non prende in considerazione la posizione del singolo concorrente è costituita dall’aggravante ad effetto comune applicabile se il numero dei concorrenti non è inferiore a 5 (art.112 comma1). Le altre circostanze aggravanti previste agli artt.111 e 112 c.p. danno rilevanza al particolare disvalore del contributo di partecipazione ed ai rapporti tra i concorrenti. Costituiscono circostanze aggravanti: a) determinare a commettere il reato una persona non imputabile o non punibile a cagione di una condizione personale; b) determinare a commettere un reato un minore degli anni 18 o una persona in stato di infermità o deficienza psichica; c) avvalersi di/sfruttare un minore di anni 18 o di una persona in stato di infermità o deficienza psichica nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza; d) promuovere, organizzare o dirigere la cooperazione; e) determinare a commettere il reato persone soggetti alla propri autorità, direzione o vigilanza. Le circostanze aggravanti si applicano anche se talune dei concorrenti non è imputabile o punibile. Le circostanze attenuanti, previste all’art 114 c.p., sono a efficacia comune e facoltative. Alcune descrivono situazioni speculari alle aggravanti: la pena può essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni di cui sopra. La circostanza attenuante della minima importanza facoltizza il giudice a diminuire la pena, se l’opera prestata da taluna delle persone concorse nel reato abbia avuto “minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato”. La giurisprudenza ha invece proposto un interpretation abrogans di questa attenuante, sostenendo che “trova applicazione solo laddove l’apporto causale del correo risulti obiettivamente così lieve da apparire, nell’ambito della relazione di causalità, quasi trascurabile e del tutto marginale… configurandosi l’attenuante in questione solo se l’efficienza causale sia stata “minima”, cioè tale da poter essere avulsa dalla seriazione causale, senza apprezzabili conseguenze pratiche sul risultato complessivo dell’azione criminosa”. 72 non costituisce reato: in questi casi l’extraneus risponde del reato proprio solo se è in dolo rispetto alla qualifica personale e non si applica la speciale attenuante. Gli effetti delle cause di non punibilità in ambito concorsuale L’art.119 disciplina gli effetti delle cause di esclusione della pena, disponendo che quelle soggettive si applicano alla persona a cui si riferiscono (comma 1), mentre quelle oggettive si estendono a tutti i concorrenti (comma 2). Sono quindi disciplinati gli effetti di tali cause, ma non si indica in cosa consistano. A seconda che la causa di non punibilità sia oggettiva o soggettiva diversi sono gli effetti. Le cause oggettive che escludono la punibilità sono le cause di giustificazione: queste facendo venire meno il profilo oggettivo del reato operano nei confronti di tutti i concorrenti. Le cause soggettive di esclusione della pena sono: - le scusanti che escludono la colpevolezza; - le cause che escludono l’imputabilità; - le cause personali di non punibilità che escludono profili personali della responsabilità e non possono che limitare i propri effetti al concorrente a cui si riferiscono; - le cause sopravvente di non punibilità che consistono in condotte personali di ravvedimento tenute dopo la commissione del reato, ed a questo antitetiche, si applicano a chi ha tenuto questa condotta. Desistenza in ambito concorsuale: il concorrente può desistere dalla partecipazione, ma l’applicazione della causa sopravvenuta di non punibilità nel tentativo presenta profili problematici nell’ambito del concorso di persona. In presenza di un a compartecipazione il concorrente non può limitarsi ad abbandonare volontariamente l’azione criminosa concordata, in quanto, la sua condotta ha già interagito con quella degli altri concorrenti nell’ambito della preparazione o dell’inizio di esecuzione della condotta. È necessario, invece, che il concorrente annulli il contributo dato in modo che non possa essere più efficace per la prosecuzione del reato ed elimini le conseguenze che fino a quel momento si sono prodotte. Così, venuti meno gli effetti del proprio contributo il reato commesso dagli altri concorrenti non è più opera del concorrente che ha desistito. Quanto al recesso attivo, che integra una circostanza attenuante del delitto tentato, la sua applicazione in ambito concorsuale comporterebbe l’estensione a tutti i concorrenti. Tuttavia, il recesso attivo deve essere volontario: potrebbe essere allora prospettato un interpretazione restrittiva, escludendo le circostanze consistenti in condotte aventi valore soggettivo tenute dopo la commissione del reato e da riferire solo al concorrente che le abbia volontariamente tenute. Cooperazione nel delitto colposo L’art. 113 c.p. disciplina la cooperazione nel delitto colposo stabilendo che: “Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”. Il codice Zanardelli non prevedeva una norma analoga, parte della dottrina si era mostrata contraria ad ammettere il concorso in forma colposa, in quanto partiva dal presupposto che elemento costitutivo del concorso fosse il previo accordo; il codice Rocco ha previsto l’art. 113 al fine di dissipare ogni dubbio sulla configurabilità di una cooperazione colposa. Anche nella cooperazione nel delitto colposo sono necessari i requisiti generali di struttura di concorso di persone della pluralità degli agenti e della realizzazione di una fattispecie di reato che deve, però, essere un delitto colposo. Presentano invece profili specifici l’elemento soggettivo ed il contributo di partecipazione. Con riferimento all’elemento soggettivo è necessario che i concorrenti non vogliano il fatto di reato (altrimenti sussisterebbero gli estremi del concorso doloso), ma abbiano la consapevolezza dell’altrui partecipazione, ossia che la propria condotta converge con quella di altri; ciò accade anche se il concorrente non conosce la specifica condotta e l’identità dell’altro compartecipe. 75 Non è invece necessaria anche la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta. Questo elemento soggettivo fa da collante tra i diversi contributi concorsuali e consente di differenziare la cooperazione nel delitto colposo dal concorso di fattori colposi indipendenti, nel quale le diverse condotte convergono nella produzione di un medesimo evento senza che gli autori delle stesse siano consapevoli che le loro condotte si innescano su quelle altrui. Sia nella cooperazione nel delitto colposo che nel concorso di fattori colposi indipendenti gli autori delle condotte rispondono del delitto colposo, ma nel primo il reato è unico ed in forma concorsuale, nel secondo invece sussistono tanti reati quante sono le condotte colpose, accumunate dalla causazione di un unico evento. Anche nella cooperazione del delitto colposo è necessario che il contributo di cooperazione sia causale rispetto al fatto di reato. La condotta può integrare la violazione di una regola cautelare primaria, ossia direttamente preventiva dell’evento lesivo (es. soggetto alla guida dell’auto istigato a superare i limiti di velocità); altre volte può trattarsi di una regola cautelare secondaria, così definita dalla dottrina perché ha ad oggetto la non agevolazione o l’impedimento della condotta colposa di 1/3, direttamente produttiva dell’evento (ad es. affidare la propria auto ad un terzo che cagiona con la stessa un incidente mortale sapendo che l’affidatario del mezzo non ha la patente) . All’art. 113 va riconosciuta la funzione di disciplina che comporta l’applicazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti. Più discussa invece la capacità dell’art. 113 di svolgere nel sistema penale una funzione di incriminazione. In presenza di reati colposo di pura condotta o a condotta vincolata l’art.113 c.p. può svolgere una funzione di incriminazione rispetto a quei contributi colposi che non integrano gli estremi della condotta tipica. Diversità di imputazione soggettiva tra i concorrenti In presenza di concorso di persona in un reato, i concorrenti rispondono dolosamente o colposamente a seconda che siano in dolo o in colpa rispetto al fatto. Nessun dubbio che sia possibile un concorso doloso in un reato colposo: se Tizio induce in errore sul carattere innocuo della sostanza Caio, il quale la versa nel bicchiere di Mevio, procurandone la morte, non vi è dubbio che Tizio risponda di omicidio doloso e Caio di omicidio colposo. Quando, invece, si tratta concorso colposo in un reato doloso, la responsabilità colposa deve essere espressamente prevista, non è configurabile un concorso colposo in un reato doloso. Cioò, tuttavia, non comporta necessariamente una lacuna di tutala. Si pensa all’esempio di Tizio che lascia incustodito il fucile che Caio utilizza per uccidere l’amante della moglie: per fondare la responsabilità di Tizio non c’è bisogno del concorso colposo in un reato doloso, in quanto basta la fattispecie monosoggettiva dell’omicidio colposo, avendo Tizio, con la custodia imprudente dell’arma, dato u contributo causale alla morte di Mevio. Non è quindi necessario, come fa la giurisprudenza, scomodare il concorso colposo in un reato doloso. Il concorso di persone viene distinto in: - concorso eventuale, in cui la realizzazione in forma plurisoggettiva costituisce un dato eventuale, in quanto la fattispecie incriminatrice è descritta dal legislatore in forma monosoggettiva e la compartecipazione trova il proprio fondamento nella norme di parte generale sul concorso di persone. - concorso necessario, in cui è invece la stessa legge a prevedere come elemento costitutivo di fattispecie la pluralità dei soggetti attivi (c.d. concorrenti necessari). Si pongono problemi differenti in relazione alle funzioni di disciplina e di incriminazione che queste norme svolgono. 76 Anche ai reati a concorso necessario vanno estese le regole di disciplina previste per il concorso eventuale (ad. Es. le circostanze previste agli artt. 111- 112-114 c.p.), a meno che la fattispecie incriminatrice non preveda regole proprie. Le norme sul concorso possono svolgere anche una funzione di incriminazione rispetto a condotte atipiche, non punibili ai sensi della fattispecie a concorso necessario: risponde di concorso in corruzione chi istiga un imprenditore a pagare una tangente al pubblico ufficiale per aggiudicarsi un appalto. Nella maggior parte dei reati a concorso necessario tutti i concorrenti sono puniti; vi sono però alcuni casi in cui non tutti i concorrenti necessari sono puniti dalla norma incriminatrice. In questi casi ci si chiede se la punibilità del concorrente necessario, ma non espressamente dalla norma penale, possa essere recuperata attraverso la funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p. che può svolgere una funzione estensiva della punibilità rispetto a condotte atipiche. La funzione incriminatrice delle norme sul concorso di persone opera solo nei casi in cui il concorrente necessario non si limita a tenere la condotta implicitamente richiesta dalla fattispecie ma dà alla realizzazione del fatto un contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p. Reati-accordo e reati associativi La legge può prevedere fattispecie che incriminano il semplice accordo: reato- accordo. Esempio delitto di cospirazione politica mediante accordo, consistente nel fatto di 2 o più persone che si accordano per commettere un delitto contro la personalità dello Stato. In queste fattispecie il legislatore incrimina il semplice incontro di volontà tra più persone finalizzato alla commissione di un reato. Si tratta di una tecnica di anticipazione della tutela che, in ragione dell’importanza del bene giuridico tutelato, attribuisce rilevanza penale a condotte meramente preparatorie. Nei reati associativi il legislatore incrimina la costituzione di una struttura associativa finalizzata alla realizzazione di un programma criminoso. In questa fattispecie è necessaria la costituzione di una associazione. Gli associati rispondono del reato associativo indipendentemente dalla commissione dei delitti-scopo. Qualora siano realizzati i delitti oggetto del programma associativo, degli stessi non rispondono tutti gli associati, ma solo coloro che abbiano dato un contributo concorsuale alla commissione del delitto-scopo: va pertanto distinta la condotta di associazione, consistente nello svolgere un ruolo all’interno dell’organizzazione, dal concorso nel delitto-scopo, che richiede l’accertamento dei requisiti strutturali del concorso di persone. Rispetto al reato associativo ci si chiede se le norme possano svolgere una funzione incriminatrice, ossia se consentano di estendere la punibilità rispetto a condotte che, non integrando la condotta di partecipazione, diano un contributo alla vita dell’associazione: si tratta del c.d. concorso esterno. La Corte di Cassazione, inizialmente divisa sulla stessa ammissibilità del concorso esterno è pervenuta alla soluzione affermativa con una sentenza a Sezione unite del 1994. PARTE SETTIMA: IL SISTEMA SANZIONATORIO CAPITOLO XXVII – Funzioni della pena 77 possibilità di risocializzazione senza ridurre la pena a pura neutralizzazione del condannato, violando il rispetto inderogabile dei diritti fondamentali della persona. Le funzioni della pena nelle fasi di sviluppo del meccanismo sanzionatorio 1) comminatoria edittale della pena. Nel momento della previsione della pena da parte del legislatore assume una funzione preminente la prevenzione generale, sia nel suo aspetto negativo di deterrenza sia nel suo aspetto positivo di orientamento culturale, in quanto la sanzione la sanzione penale si giustifica proprio in funzione della tutela dei beni giuridici giuridici e per prevenire punizioni arbitrarie dell’autore del reato. L’efficacia preventiva generale e speciale della pena è condizionata dalla proporzione della sanzione. È difficile definire quale pena e quali limiti edittali siano in astratto proporzionati al precetto, in quanto il disvalore complessivo del fatto e la pena sono entità tra loro non commensurabili. Non c’è dubbio, però, che attraverso il principio di proporzione qualità e qualità della pena comminata in astratto diventano specchio del differente valore attributo dall’ordinamento ai beni giuridici offesi. La Corte Costituzione ha riconosciuto alla prevenzione sociale un ruolo essenziale già in fase di comminatoria in astratto delle pene. 2) commisurazione e applicazione giudiziale. Nella fase di commisurazione giudiziale della pena al caso concreto non può rilevare la funzione di prevenzione generale. Se il giudice decidesse di applicare all’autore di un furto di un bene di valore non significativo di massimo edittale previsto per quel reato dalla legge, pronuncerebbe una condanna esemplare per distogliere i consociati dalla commissione di altri furti, ma violerebbe alcuni principi costituzionali irrinunciabili. La prevenzione generale rileva, invece, per il fatto che il giudice applica la pena: sarebbe frustata la funzione prevenzione generale se la pena, minacciata in astratto dal legislatore, non fosse poi applicata dal giudice (funzione di osservazione della sanzione minacciata in astratto). In sede di commisurazione della pena svolge un ruolo centrale il principio di proporzione rispetto alla gravità del fatto concreto ed alla colpevolezza del soggetto per quel fatto. Alla funzione di prevenzione speciale, la Corte Costituzionale, le ha riconosciuto un ruolo trasversale nelle diverse fasi di “vita” della pena “da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”. Essa ha la capacità di giustificare una pena inferiore a quella che appare proporzionata rispetto al fatto commesso, ma mai superiore: così il giudice potrebbe valutare adeguata una pena più bassa per esigenze di non desocializzazione; al contrario, non potrebbe applicare una pena più elevata ritenendo che solo un trattamento in carcere più lungo assicuri la rieducazione del soggetto. 3) fase esecutiva. In fase esecutiva svolge un ruolo preminente la funzione rieducativa della pena. La Corte Costituzionale ha riconosciuto la rieducazione come diritto per il condannato ed è dovere dello Stato conformare l’esecuzione delle pene al rispetto del dettato costituzionale. Per esigenze di prevenzione speciale la pena può subire in esecuzioni sospensioni o riduzioni, ma mai potrebbe essere aumentata al di là dei limiti fissati dal giudice in sede di commisurazione della pena. La funzione di prevenzione generale opera in quanto l’esecuzione della pena costituisce l’esito conclusivo dell’asseverazione della sanzione minacciata ab origine; sarebbe del tutto fallimentare un sistema che alla previsione in astratto della pena facesse seguire la condanna, ma non l’esecuzione della stessa. Sulla efficacia di prevenzione generale incide ben più della severità, la certezza delle pene. 80 CAPITOLO XXVIII - Pene Il principio di legalità investe anche le conseguenze sanzionatorie, in primo luogo le pene che trovano fondamento costituzionale nell’art. 25 comma 2 Cost. La quantificazione delle pene rientra nella discrezionalità del legislatore; solo eccezionalmente in caso di macroscopica irrazionalità, la Corte Costituzionale si riserva di intervenire. Il sistema sanzionatorio Il sistema sanzionatorio adottato dal codice Rocco in materia di pena era estremamente semplificato. Mantenuta la distinzione tra: - Pene principali: previste indefettibilmente per ciascun reato; - Pene accessorie: sanzioni che non possono essere applicate isolatamente ma che hanno un ruolo ancillare rispetto alle pene principali. Pene principali Sono costituite secondo lo schema duale rappresentato dalle pene detentive (ergastolo, reclusione, arresto) e dalle pene pecuniarie (multa, ammenda). Questa impostazione emerge dall’art. 17 c.p.: le pene principali stabilite per i delitti sono: 1) la pena di morte (originariamente prevista è stata eliminata con il d.lgs.luog.n.224 del 1944 e successivamente repudiata dalla Costituzione con l’art. 27 comma 4). 2) l’ergastolo 3) la reclusione 4) la multa. Le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono: 1) l’arresto 2) l’ammenda Le uniche manifestazione di flessibilità del sistema sanzionatorio erano rappresentate dalla sospensione condizionale della pena o dalla liberazione condizionale (che poteva intervenire dopo l’espiazione di una parte cospicua della pena detentiva). Con il nuovo Ordinamento penitenziario varato 1975 fanno la comparsa le misure alternative alla detenzione con le quali vengono individuate ulteriori modalità di esecuzione della pena detentiva: - semilibertà - affidamento in prova ai servizi sociali e successivamente detenzione domiciliare. Con la l.24 Novembre 1981, n. 689, vengono introdotte sanzione sostitutive delle pene detentive brevi: - semidetenzione - libertà controllata - lavoro sostitutivo Infine, nel 2000, viene riconosciuta una pur limitata competenza penale al giudice di pace, il sistema sanzionatorio – oltre all’ampliamento dello spazio riconosciuto alla pena pecuniaria – si arricchisce con la permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità.  L’ergastolo La pena dell’ergastolo, regolata dall’art. 22 c.p., è perpetua ed è prevista per alcuni reati contro la personalità dello Stato, l’incolumità pubblica e contro la vita. Si assiste, tuttavia, ad una progressiva erosione della durata perpetua della pena dell’ergastolo. 81 Ai sensi dell’art. 176 comma 3 c.p. è prevista la possibilità per il condannato di usufruire della liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena. Ai sensi degli artt. 30-ter comma 4 e 50 comma 5 Ord. penit. è consentito ai condannati di usufruire dopo l’espiazione di almeno 10 anni dei permessi premio e dopo 20 anni della semilibertà. Questo tipo di pena è stato oggetto di dubbi di legittimità Costituzionale in quanto non appare compatibile con la funzione rieducativa della pena perché non consente il rientro nella società civile del condannato. La Corte costituzionale ha affermato la legittimità, sostenendo che funzione della pena non è il solo riadattamento sociale del condannato e che la liberazione condizionale consente il reinserimento nella società civile del soggetto, escludendo il carattere della perpetuità dell’ergastolo.  Pena detentiva: reclusione (per i delitti) e arresto (per le contravvenzioni) Esse si differenziano in merito alla possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione e sul piano della ripartizione dei detenuti. Per entrambe le tipologie sono previsti limiti minimi e massimi edittali generali: - ai sensi dell’art. 23 c.p. la reclusione “si estende da 15 giorni a 24 anni”; - ai sensi dell’art. 25 c.p. l’arresto “si estende da 5 giorni a 3 anni”. Si tratta di limiti derogabili dal legislatore in relazione a particolari figure criminose: es. il sequestro a scopo di estorsione ed il sequestro a scopo di terrorismo o di eversione prevedono la pena della reclusione da 25 a 30 anni.  La pena pecuniaria: multa (per i delitti) e ammenda (per le contravvenzioni) Esse consistono nel pagamento allo Stato di una somma di denaro, che può essere fissa o proporzionale (art. 27 c.p.) entro i limiti minimo e massimo stabiliti dalla legge, salva la facoltà del giudice, quando per le condizioni economiche del reo la pena pecuniaria stabilita dalla legge può presumersi inefficace, di aumentarla fino al triplo o di diminuirla fino a un terzo (art. 133-bis c.p.). - ai sensi dell’art. 24 comma 1 c.p. la multa può oscillare da un minimo di 50€ ad un massimo di 50.000€; - ai sensi dell’art. 26 comma 1 c.p. l’ammenda può variare da un minimo di 20€ ad un massimo di 25.000€. L’art. 24 comma 2 c.p. dispone che “per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro 50€ a 25.000€”. Ai sensi dell’art. 133-ter c.p. il giudice può disporre, in relazione alle condizione economiche del condannato, che la multa o l’ammenda venga pagata in rate mensili da 3 a 30 (non inferiore a 15€). La rateizzazione della pena pecuniaria può essere concessa sia a coloro che versano in una temporanea difficoltà di pagamento sia al soggetto non abbiente. Nell’originaria impostazione del codice penale del 1930, l’art. 136 c.p. prevedeva che le pene della multa e dell’ammenda, non eseguite per insolvibilità del condannato (impossibilità di adempiere permanente), si convertissero nella pena detentiva della specie corrispondente. Tale disposizione fu dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale (sentenza 21 Novembre 1979 n.131) in quanto si poneva in contrasto con il principio di uguaglianza. La conversione è ora disciplinata dagli artt. 102 e 105 della l.24 Novembre 1981 n. 689, che stabiliscono che le pene da conversione della pena pecuniaria sono la libertà 82 a) nei confronti di coloro che sono stati condannati più di 2 volte per reati della stessa indole; b) nei confronti di coloro ai quali la pena detentiva sostitutiva, inflitta con precedente condanna, è stata convertita ovvero nei confronti di coloro ai quali sia stata revocata la concessione del regime di semilibertà; c) nei confronti di coloro che hanno commesso il reato mentre si trovavano sottoposti ala misura di sicurezza della libertà vigilata o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Ai sensi dell’art. 58 della legge 689/1981 il giudice, può sostituire, motivando la scelta, la pena detentiva e tra le pene sostitutive sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato. Non può tuttavia sostituire la pena detentiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. La semidetenzione e la libertà controllata sono considerate per ogni effetto giuridico come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita. Una volta eseguita per l’intero la sanzione sostituita, la pena si considera estinta per avvenuta espiazione. Si procede alla revoca della sostituzione della pena detentiva breve in ogni caso di: - inosservanza degli obblighi concernenti la semidetenzione o la libertà controllata; - mancato pagamento della pena pecuniaria; - condanna successiva per un reato precedentemente commesso che avrebbe rappresentato un ostacolo alla sostituzione. Le misure alternative alla detenzione Le misure alternative intervengono nella fase di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva e sono di competenza della magistratura di sorveglianza. La loro funzione e di evitare o contenere il contatto con il carcere quando è in corso o si profila un percorso di socializzazione che potrebbe essere ritardato dalla rigida esecuzione della pena detentiva. Le misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario sono: 1) l’affidamento in prova al servizio sociale è la misura alternativa più significativa e di maggiore ampiezza, disciplinata dall’art. 47 dell’Ord. Penit.; si tratta di una misura radicalmente alternativa ala detenzione in carcere e sottoposta a minori vincoli ala libertà del condannato. Presupposti per la sua applicazione: - la durata della pena da espiare non superiore a 3 anni - la valutazione che tale misura si è ritenuta sufficiente alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. L’affidamento in prova viene concesso sulla base dei risultati dell’osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno 1 mese in istituto. Inoltre, può essere disposto anche senza procedere all’osservazione all’istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio positivo. Il soggetto deve comunque osservare una serie di prescrizioni relative alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro, che possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza nel corso dell’affidamento. La competenza è del tribunale di sorveglianza, quale organo collegiale. La revoca all’affidamento in prova può essere effettuata qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova. L’esito positivo del pericolo di prova estingue la pena detentiva ed ogni latro effetto penale. Può, altresì, essere dichiarati estinta dal Tribunale di sorveglianza, qualora l’interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa. 85 2) la semilibertà, ai sensi dell’art. 48 Ord. Penit., indica la possibilità offerta al condannato (o a l’internato) di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto carcerario per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. Si tratta di una misura solo parzialmente alternativa che può essere applicata: - per le condanne formalmente suscettibile di affidamento in casi in cui appare sconsigliabili o prematura la misura più ampia; - per le condanne più lunghe è la prima misura applicabile e, in questi casi, si richiede che si asta scontata metà della pena. L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono i presupposti per un graduale reinserimento del soggetto nella società. Ulteriore presupposto per la concessione della semilibertà è lo svolgimento di attività risocializzante. La competenza è del Tribunale di sorveglianza. La semilibertà può essere rievocata in ogni tempo nel caso in cui il condannato non si dimostri idoneo al trattamento. In caso di mancato rientro del semilibero, se il ritardo: - non supera le 12 ore si configurerà un illecito di natura disciplinare; - supera le 12 ore il soggetto è da considerarsi evaso: la denuncia per il delitto di evasione comporta la sospensione dell’ammissione al regime della semilibertà, mentre alla condanna segue la revoca. 3) la detenzione domiciliare si presenta in diverse forme ed è disciplinata dall’art. 47-ter ss. Ord. Penit. La pena della reclusione può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattarsi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i 70 anni di età. La detenzione domiciliare non può essere concessa per i delitti contro la personalità individuale, se il soggetto sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o sia stato condannato con l’aggravante della recidiva o della recidiva reiterata – art.99 comma 4 c.p.- (al condannato al quale sia stata applicata la recidiva, se la pena detentiva inflitta non superi i 3 anni, può essere concessa la detenzione domiciliare). La pena della reclusione non superiore a 4 anni può essere espiata con la detenzione domiciliare e le sue forme quando si tratta di: a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni 10 con lei convivente; b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni 10 con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; d) persona di età superiore a 60 anni, se inabile anche parzialmente; e) persona minore di anni 21 per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. La competenza è del Tribunale di sorveglianza. La detenzione domiciliare è revocata: - se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure; - quando vengono a cessare le particolari condizioni soggettive che avevano giustificato l’applicazione della misura. Il condannato che si allontana dalla propria abitazione o da un latro dei luoghi indicati, commette il delitto di evasione. La denuncia per evasione comporta la sospensione del beneficio e la condanna ne comporta la revoca. 86 3.1) la detenzione domiciliare speciale, art. 47- quinquies Ord. penit., è prevista per le madri con i figli di età inferiore ad anni 10 e condannate alla pena della detenzione di qualunque durata a condizione che abbiano scontato 1/3 della pena (15 anni in caso di condanna alla pena dell’ergastolo). Non potrà essere concessa, oltre che in relazione alla tipologia del reato commesso o al particolare livello di pericolosità (delinquente abituale, professionale o per tendenza), anche in caso di pericolo di fuga, di prognosi di commissione di altro delitto, di mancanza o di inadeguatezza del domicilio. Luoghi di esecuzione della pena possono essere anche privati con identica destinazione: una scelta che si giustifica con l’applicabilità del nuovo istituto anche ai tossici indipendenti. I contenuti del nuovo istituto e le sanzioni previste per l’inottemperanza coincidono con quelli della detenzione domiciliare. La competenza a decidere in merito all’esecuzione della pena presso il domicilio del condannato, però, non spetta al Tribunale di sorveglianza ma al Magistrato di sorveglianza. 4) liberazione anticipata, art. 54 Ord. penit., consiste nella detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena detentiva scontata. La detrazione è concessa al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione ai fini del suo più efficace reinserimento nella società. la condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca. 5) alle misure alternative si affianca una misura semialternativa prevista dal codice penale agli artt. 176-177: la liberazione condizionale. È inserita tra le cause di estinzione della pena e prevede la sospensione dell’esecuzione di una pena detentiva già in corso di espiazione e della eventuale misura di sicurezza detentiva per una durata pari al tempo ancora da scontare (estinzione del residuo di pena qualora non sia intervenuta lea revoca del provvedimento). Presupposti: - chi ha scontato almeno 30 mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i 5 anni; - nel caso in cui il condannato sia un recidivo reiterato, il soggetto deve aver scontato almeno 4 anni di pena e non meno di 3/4 della pena inflittagli; - il condannato all’ergastolo deve aver scontato almeno 26 anni di pena. La concessione della liberazione condizionale è, altresì, subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle. La liberazione condizionale è revocata se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale. L’art. 185 c.p.: “Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili. (comma 1) Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui. (comma 2)” Forme di riparazione: - risarcimento in forma specifica che conduce al ripristino dello status quo antecedente alla commissione del fatto di reato  Restituzione. Es. gli oggetti o il denaro, frutto di una rapina o un furto, devono essere restituiti. 87 Per alcuni reati (la violenza sessuale, omicidio colposo aggravato, reati di prostituzione minorile e pedopornografia ecc.) il termine che sarebbe individuato con la regola ordinaria è raddoppiato. Na va dimenticato che la prescrizione è rinunciabile da parte dell’imputato che aspiri ad un’assoluzione nel merito: lo aveva stabilito la Corte Costituzionale nel 1990 e lo chiarisce esplicitamente l’attuale settimo comma dell’art. 157 c.p. Atti sospensivi L’art. 159 c.p. stabilisce che: “il corso della prescrizione rimani sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di” autorizzazione a procedere, sospensione del procedimento o del processo per impedimento delle parti o dei difensori o su richiesta dell’imputato o del suo difensore. Atti interruttivi  L’art 160 c.p. tratta l’interruzione del corso della prescrizione e stabilisce che: “ il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna”, inoltre, declina un elenco di atti interruttivi che vanno dall’ordinanza applicativa di misure cautelari personali all’interrogatorio, dalla richiesta di rinvio a giudizio alla sentenza di condanna. L’elenco delle cause di interruzione è ampio ma tassativo, non estensibile in via analogica ad altri atti non espressamente contemplati. Gli effetti dei 2 istituti sono diversi. In caso di sospensione la prescrizione riprende il suo corso dal giorno di cessazione della causa sospensiva; i periodi antecedente e successivo si sommano e la durata della sospensione non incontra limiti. Le cause interruttive, invece, determinano in via di principio l’azzeramento del periodo antecedente (“la prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorre dal giorno della interruzione”)ma comunque il periodo prescrizionale non può essere dilatato oltre un certo limite. Oblazione L'oblazione è una causa di estinzione del reato limitata alle contravvenzioni, prevista agli articoli 162 e 162-bis del codice penale. Essa, definita ordinata o automatica, consiste nel pagamento, prima dell’apertura del dibattimento o dell’emissione del decreto penale di condanna, di una “somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento”. L’effetto deflattivo dell’istituto (che ovviamente postula che non sia preventivabile la prescrizione del reato) e, il vantaggio per l’autore del reato (visibile nelle minori spese legali che nello sconto dell’ammenda irrogabile). L’oblazione discrezionale: ai sensi del comma 1 dell’art. 162-bis c.p., nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda il contravventore può essere ammesso a pagare, prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Inapplicabile ai recidivi, ai contravventori abituali e professionali, l’oblazione non può operare se permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore. L’oblazione è definita discrezionale in quanto il giudice può respingere la domanda di oblazione, avuto riguardo alla gravità del fatto. Sospensione condizionale della pena È una causa estintiva ad efficacia differita :ai sensi dell’art. 167 c.p. se, il condannato non commette un delitto , ovvero una contravvenzione della stessa indole e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto e non ha luogo l’esecuzione delle pene. È il primo (e più importante) istituto che consente al giudice di cognizione di bloccare l’esecuzione della pena inflitta con la sentenza di condanna individuando un percorso alternativo: una sospensione sub condicione, in quanto il soggetto non deve commette 90 altri reati durante il periodo di sospensione, pena la revoca della stessa. Essa risponde all’esigenza di evitare l’applicazione di una sanzione (soprattutto detentiva) quando l’effettiva esecuzione della stessa appaia eccessiva o comunque controproducente; si tende in tal modo ad evitare il contatto con l’ambiente carcerario. L’istituto, inoltre, tende a valorizzare la funzione specialpreventiva della pena, in quanto fornisce una controspinta alla commissione di nuovi reati sotto la comminatoria di eseguire effettivamente la pena per il momento solo virtualmente inflitta. Presupposti formali: la sospensione condizionale ordinaria richiede che: 1) la pena detentiva non sia superiore a 2 anni, il limite sale a 3 anni per i minori degli anni 18, o a 2 anni e 6 mesi per persona di età superiore agli anni 18 ma inferiore agli anni 21; 2) il soggetto non sia delinquente o contravventore abituale o professionale; 3) non sia stata già applicata in precedenza; 4) non sia stata pronunciata condanna intermedia a pena detentiva non sospesa. Presupposti sostanziali: il giudice deve ritenere che il colpevole si asterrà dal compiere ulteriori reati (c.d. prognosi di non recidiva). Il codice penale prevede che la sospensione condizionale possa essere corredata da obblighi. Essi consistono in obblighi di natura riparatoria in senso stretto (restituzioni, risarcimento del danno, eliminazione delle conseguenze danno o pericolose del reato) e in senso lato (prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato non superiore alla durata della pena sospesa). Con la concessione della sospensione condizionale si apre un “periodo di prova”, di regola di 5 anni, che si conclude con la declaratoria di estinzione del reato oppure con la revoca. La sospensione condizionale della pena è revocata quando: a) venga commesso un nuovo reato ( delitto o contravvenzione della stessa indole) durante il periodo della sospensione; b) sia riportata una condanna per un delitto commesso anteriormente ad una pena che, cumulata a quella precedente sospesa, superi i limiti sopra indicati; c) non vengono adempiuti gli obblighi imposti. Accanto alla sospensione condizionale ordinaria si colloca la c.d. sospensione condizionale speciale. L’ultimo comma dell’art. 163 prevede che se la condanna non è superiore ad 1 anno e vi è stata una 1condotta riparatoria prima della pronuncia della sentenza, il giudice sospende l’esecuzione per un periodo più breve di quello ordinario (1 anno invece di 5). Le cause di estinzione della pena intervengono quando la vicenda processuale si è conclusa ed è in corso l’esecuzione della pena inflitta con la sentenza di condanna divenuta definitiva. La morte del reo L’art. 161 c.p. prevede che “la morte del reo avvenuta dopo la condanna, estingue la pena”. Si tratta di una conseguenza ovvia per le pene detentive, meno ovvia, ma spiegabile con il principio di personalità della responsabilità penale, l’estinzione delle pene pecuniarie. L’art. 198 c.p. chiarisce che “l’estinzione… della pena non importa l’estinzione delle obbligazioni civili nascenti dal reato” salvo che si tratti delle obbligazioni civili per le multe e per le ammende inflitte a persone indipendenti o incidenti sulle persone giuridiche. La prescrizione della pena L’estinzione della pena per decorso del tempo è disciplinata dagli artt.172-173 c.p. 91 L’ergastolo è imprescrittibile. La reclusione si estingue dopo un periodo di tempo pari la doppio della pena inflitta, in ogni caso, il periodo prescrizionale non può superare i 30 anni ne essere inferiore a 10 anni. La multa si estingue dopo 10 anni. La pena dell’arresto e quella dell’ammenda hanno un termine di prescrizione di 5 anni. I recidivi e i delinquenti abituali e professionali sono esclusi dalla prescrizione delle pene inflitte per i delitti. L’Indulto Esso consiste nel condono totale o parziale di una pena principale, fruisce dello stesso iter procedimentale dell’amnistia: la concessione avviene con la legge che deve essere approvata dalla maggioranza qualificata. L’estinzione delle pene accessorie è esclusa dall’indulto salvo che la legge risponda diversamente. La Grazia È un condono personalizzato rimasto di competenza del Capo dello Stato. presupposto per la concessione della grazie è una sentenza irrevocabile di condanna: ai sensi dell’art-174 comma 1 c.p. condona in tutto o in parte la pena principale o la commuta in una pena di specie diversa. La grazia può essere subordinata a condizioni e, a discrezione del Capo dello Stato, può estendersi anche alle pene accessorie. La riabilitazione L’art. 178 c.p. precisa che essa estingue soltanto le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga diversamente. La riabilitazione può intervenire quando sono trascorsi almeno 3 anni dal giorno in cui il condannato ha finito di scontare la pena principale, 8 anni per i casi più significativi di recidiva e 10 anni per i delinquenti abituali e professionali. Termini particolari sono previsti in caso di soggetto condannato a pena condizionalmente sospesa. Impedisce la riabilitazione la sottoposizione attuale a misure di sicurezza (salvo revoca) ed il non aver adempiuto alle obbligazioni civili nascenti dal reato, salvo che venga dimostrata l’impossibilità di adempierle. La non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale Prevista dall’art.175 c.p., il giudice può ordinarla nel caso di prima condanna pena detentiva non superiore a 2 anni o a pena pecuniaria non superiore a 516€. È altresì prevista la possibilità che la non menzione venga concessa nel caso in cui “venga inflitta congiuntamente una pena detentiva non superiore a 2 anni ed una pena pecuniaria che priverebbe complessivamente il condannato della libertà personale per un tempo non superiore a 30 mesi” CAPITOLO XXX – Misure di sicurezza Il codice penale prevede, accanto alle pene, anche le misure di sicurezza in funzione di controllo e prevenzione della pericolosità dell’autore. Si parla sistema sanzionatorio a doppio binario: le pene sono indirizzate a punire il fatto, le misure di sicurezza a prevenire comportamenti illeciti del reo, che si basano su un giudizio di pericolosità sociale della sua personalità. Le origini di questo sistema le riscontriamo nell’intenzione, da parte dei redattori del codice Rocco, di contemperare le impostazioni teoriche della scuola classica (pene retributive) e della scuola positiva (sanzioni penali in funzione di controllo della pericolosità criminale dell’autore). Il tentativo del codice Rocco di comporre i principi delle 2 scuole venne presentato dal Ministro Guardasigilli: - le pene, di durata determinata, fissata dal giudice sulla base di 92 Il codice prevede alcune ipotesi di c.d. pericolosità sociale qualificata, nelle quali il legislatore ha tipizzato la pericolosità sociale dei soggetti imputabili, al fine di agevolare il giudice nell’accertamento prognostico di pericolosità. - Delinquente abituale: questa figura si fonda sul principio in forza del quale la commissione di più reati nel tempo allenta i freni inibitori è predispone il soggetto a commetterne in futuro altri. Il codice prevede diverse figure di delinquente abituale: a) abitualità presunta dalla legge: la presunzione di abitualità è fondata sulla pluralità dei delitti, sulla loro omogeneità di indole, sulla delimitazione dell’arco temporale di commissione dei fatti e sulla loro non contestualità (art. 102 c.p.). b) abitualità ritenuta dal giudice: in questo caso la dichiarazione di abitualità è fondata sul presupposto oggettivo di una “carriera criminale” meno consistente, ma si richiede che il giudice valuti se il soggetto sia da ritenere “dedito al delitto”, ossia se abbia un’inclinazione alla commissione dei delitti. - Delinquente o contravventore professionale: la professionalità del reato è una species di abitualità criminosa, connotata dal fatto che il soggetto trae i mezzi di sostentamento dalla commissione di reati; non è mai presunta, ma va accertata sempre dal giudice. - Delinquente per tendenza: “E' dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l'incolumità individuale… il quale… riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole” (art. 108 c.p.). Il delinquente per tendenza può essere anche un autore primario di un delitto contro la vita o l’incolumità individuale. Il delitto deve trovare causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole, la quale però non può originare da un vizio di mente, ciò significa che l’autore deve essere un soggetto imputabile. (delinquente nato di Cesare Lombroso). Prima della Riforma del 1986 queste figure agevolavano il compito del giudice, oggi la dichiarazione di abitualità, professionalità nel reato e tendenza a delinquere è comunque subordinata all’accertamento in concreto della pericolosità sociale. 3. Le singole misure di sicurezza personale Le misure di sicurezza personali si dividono in: - misure di sicurezza detentiva: a) l’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro per i delinquenti abituali professioni o per tendenza (art.216 c.p.); b) il ricovero in una casa di cura e di custodia per i condannati appena diminuita a causa di infermità di mente sordomutismo, intossicazione croniche da alcool o sostanze stupefacenti, ubriachezza abituale (artt.219-221 c.p.); c) il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario, destinato ai soggetti prosciolti per vizio totale di mente sordomutismo, intossicazione croniche da alcool o sostanze stupefacenti (art 222 c.p.). d) il ricovero in un riformatorio giudiziario destinato ai minori non imputabili o imputabili: la misura si esegue attraverso l’affidamento del minore alla famiglia, qualora questa costituisca un ambiente idoneo, o ad una comunità. - misure di sicurezza non detentiva: a) la libertà vigilata ( art. 228 ss. c.p.): si applica nelle ipotesi di quasi-reato e in caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore ad un anno, oltre che negli altri casi previsti dalla legge. “La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata è affidata all'autorità di pubblica sicurezza. Alla persona in stato di libertà vigilata sono imposte dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati. Tali prescrizioni possono essere dal giudice successivamente modificate o limitate. 95 La sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale.” La libertà vigilata ha assunto un ruolo importante anche in relazione ai soggetti non imputabili prosciolti per vizio totale di mente sordomutismo, intossicazione croniche da alcool o sostanze stupefacenti, potendo essere arricchita di prescrizioni terapeutiche . Nei loro confronti il codice prevedeva come unica misura il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario che oggi si è trasformato in uno strumento sussidiario di prevenzione dei casi di più elevata pericolosità sociale, non suscettibili di controllo attraverso interventi meno invasivi. b) il divieto di soggiorno in uno o più comini, o in una o più province, applicato ai condannati per delitti contro la personalità dello Stato, contro l’ordine pubblico o per delitti commessi per motivi politici o occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo (art.233 c.p.). c) il divieto di frequentare osterie o pubblici spacci di bevande alcooliche, destinato ai condannati per reati commessi in stato di ubriachezza, sempre che questa sia abituale. d) l’espulsione dello straniero extracomunitario dallo Stato e l’allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’UE. e) la legge 172/2012, in attuazione della Convenzione di Lanzarote, ha introdotte nuove misure di sicurezza personali, applicabili in relazione ad alcuni reati in tema di pedopornografia: restrizione dei movimenti e della libera circolazione, divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente da minori, divieto di svolgere lavori che prevedano un contatto abituali con minori, obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti. 4. Applicazione, durata, esecuzione Le misure di sicurezza personali sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o proscioglimento; in alcuni casi possono essere ordinate con provvedimento successivo. Le misure di sicurezze hanno una durata minima, differenziata in relazione alle diverse misure ed ai destinatari delle stesse. Tuttavia, l’esecuzione può cessare prima della decorrenza del temine minimo, qualora il giudice di sorveglianza accerti che è venuta meno la pericolosità sociale. Non è prevista una durata massima delle misure di sicurezza personali, che “non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose.” (art.207 c.p. comma 1 c.p.). hanno dunque una durata non predeterminata che si prolunga attraverso il sistema del riesame della pericolosità (art.208 c.p.). Decorso il periodo minimo di durata della misura di sicurezza, il giudice riprende in esame le condizioni della persona che vi è sottoposta, per stabilire se essa sia ancora socialmente pericolosa. L’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezze e ne fa cessare l’esecuzione. Alcuni autori di reato possono essere destinatari di pene e di misure di sicurezza (i delinquenti abituali, professionali e per tendenza; gli autori semi-imputabili per vizio di mente, intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, sordomutismo, ubriachi abituali, minori di età superiore ai 14 anni imputabili), non è previsto, però, un sistema vicariale tra pene e misure di sicurezza. Ne deriva una disciplina dell’esecuzione rigida. La regola generale prevede che le misure di sicurezza detentive siano eseguite dopo che la pena è stata scontata o è altrimenti estinta (art. 211 c.p.) esistono comunque dei casi particolari. Qualora una persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva si sottragga volontariamente alla esecuzione di essa, l’art. 215 c.p. prevede che ricominci a 96 decorrere nuovamente il periodo minimo di durata della misura di sicurezza dal giorno in cui a questa è data nuovamente esecuzione. In caso di trasgressione degli obblighi inerenti ad una misura di sicurezza non detentiva, il codice prevede la possibilità di applicare misure di sicurezza più incisive, anche di tipo detentivo. LE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI Il codice penale prevede 2 misure di sicurezza patrimoniali: 1) cauzione di buona condotta: consiste nel deposito, presso la cassa delle ammende, di una somma di denaro. Se durante l’esecuzione della misura chi vi è sottoposto non commette alcun delitto o contravvenzione punita con l’arresto, è ordinata la restituzione della somma. Si tratta di una misura di scarsa efficacia. 2) confisca: riveste maggiore importanza sul piano applicativo e nelle strategie di contrasto alla criminalità consiste in un provvedimento ablativo di acquisizione, a favore del patrimonio disponibile dello Stato, della proprietà di determinati beni che presentano un nesso di strumentalità o di derivazione del reato. L’art. 240 c.p. prevede 2 ipotesi di confisca: - confisca facoltativa: a) delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato (es. arma); b) del prodotto, ossia del risultato materiale del fatto di reato (es. sostanze alimentari adulterate in relazione al reato); c) del profitto, consistente nel vantaggio di natura economica derivato dal reato. La confisca presuppone la pericolosità della cosa, da intendere non nel senso che gli oggetti confiscabili siano in sé pericolosi, ma nel senso che la disponibilità di questi beni in capo all’autore del reato rappresenta un possibile fattore criminogeno. Il comma secondo dell’art. 240 c.p. prevede la confisca obbligatoria (ha carattere obbligatorio che sottrae al giudice ogni potere discrezionale): a) delle cose che costituiscono il prezzo del reato, consistente nel vantaggio economico che l’autore ha ricevuto per commettere il reato (es. la tangente pagata al pubblico ufficiale nei reati di corruzione); b) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione di alcuni reati informatici espressamente previsti; c) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna (c.d. cose obiettivamente criminose). La confisca non può essere disposta qualora la cosa appartenga a persona estranea al reato. Più di recente il legislatore ha riscoperto l’importanza della confisca come strumento di contrasto alla c.d. criminalità del profitto, ossia quelle forme di criminalità motivate dall’ acquisizione di vantaggi di natura economica (es. la criminalità organizzata):la sottrazione del provento del reato dovrebbe avere funzione deterrente e di prevenzione speciale. Il legislatore ha introdotto ipotesi particolari di confisca: - la confisca per equivalente, la quale opera laddove non sia possibile rinvenire l’oggetto confiscabile; il giudice allora ordina che sia confiscato un oggetto di valore corrispondente a quello del bene da confiscare; - si assiste alla estensione dell’oggetto della confisca: ad es. in caso di condanna per il reato di associazione di tipo mafioso è prevista la confisca obbligatoria anche delle cose che costituiscono l’impiego del prezzo, del prodotto o profitto del reato. Con riferimento a quest’ultimo profilo, va segnalata l’ipotesi particolare di confisca (c.d. confisca allargata): si prevede che in caso di condanna per una serie di reati sia sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui risulti essere titolare o avere la disponibilità 97
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