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Riassunto Manuale di diritto penale Parte generale Grosso Pelissero Petrini Pisa, Sintesi del corso di Diritto Penale

Rielaborazione personale del Manuale di Diritto Penale - Parte Generale - Carlo Federico Grosso – Marco Pelissero – Davide Petrini – Paolo Pisa - Esclusa parte 6 (Cap. 25-26)

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 16/01/2015

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Scarica Riassunto Manuale di diritto penale Parte generale Grosso Pelissero Petrini Pisa e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! MANUALE DI DIRITTO PENALE – Parte generale Carlo Federico Grosso – Marco Pelissero – Davide Petrini – Paolo Pisa PARTE PRIMA: introduzione al diritto penale e alla politica criminale Capitolo 1: diritto penale, reato, pena. Il diritto penale disciplina i fatti che costituiscono reato e le relative sanzioni. Si distingue dal diritto civile, che regola i diritti dei cittadini e i rapporti fra i privati, e dal diritto amministrativo, che disciplina l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche e i rapporti fra pubbliche amministrazioni e cittadini. Reato è punito con sanzioni consistenti in pene e misure di sicurezza. L’accertamento della sua commissione e l’inflizione della sanzione sono affidati ai giudici penali. Illecito civile sanzionato con le sanzioni del risarcimento del danno e delle restituzioni (giudice civile). Illecito amministrativo viene punito con sanzioni amministrative, applicate dalla stessa pubblica amministrazione. Il reato è caratterizzato dalla specifica tipizzazione di ogni illecito, mentre l’illecito civile si presenta come un illecito di lesione, caratterizzato dall’atipicità e dalla generalizzazione della sua formulazione. La funzione del diritto penale è la tutela degli interessi umani. Tra la fine del ‘700 e 800 si confermava la funzione del diritto penale di garantire gli interessi di maggiore rilievo individuale e sociale. Nell’800 veniva inoltre sottolineata la funzione etico-morale del diritto penale, la punizione del colpevole, il ripristino del diritto violato. Si apre così la strada a concezioni autoritarie del diritto penale, che individuano nella commissione del reato un attentato all’autorità dello Stato che giustificava l’intervento penale nei confronti del colpevole. Nel secondo dopoguerra, la concezione del diritto penale inteso come protezione degli interessi è tornata al centro del dibattito penalistico. In uno stato democratico di diritto, il diritto penale deve essere utilizzato nei confronti delle sole infrazioni che offendono beni d’importanza primaria. Erano quindi rinvenibili nella società beni e bisogni d’importanza primaria, preesistenti alla disciplina giuridica, che il legislatore doveva proteggere. Il concetto di “offesa” costituiva lo snodo centrale nella teoria generale del reato. Da un punto di vista formale il reato è un fatto vietato dalla legge penale la cui commissione comporta l’applicazione di una sanzione penale tale definizione, è di tipo formale, in quanto non fa riferimento ai fatti, ma solo al modo con il quale l’ordinamento reagisce alla loro realizzazione. Secondo un criterio sostanziale, il reato è ciò che turba l’ordine etico, che urta la moralità di un popolo e pone in pericolo l’esistenza o la conservazione della società. Cioè che è o no considerato reato, può essere individuato all’interno della Costituzione reato come illecito che offende beni che devono essere considerati di maggiore importanza e meritevoli di essere protetti sul terreno del diritto penale. Si può far riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per definire ciò che riguarda o meno “materia penale” ogni illecito al quale l’ordinamento reagisce con una sanzione caratterizzata da un contenuto punitivo o afflittivo. I criteri sostanziali utilizzabili sono: la natura dell’inflazione e la gravità della sanzione. Il codice vigente prevede due specie di sanzioni penali: • le pene, destinate ad assicurare la prevenzione generale; • le misure di sicurezza, destinate a recuperare alla società gli autori di reato socialmente pericolosi attraverso la rimozione delle cause della loro pericolosità. Tale sistema viene definito del doppio binario. Pene e misure di sicurezza sono elencate nella parte generale del codice penale, e vengono applicate dal giudice penale nel quadro di un processo penale. Funzione della pena retribuzione morale e giuridica, emenda, intimidazione, prevenzione speciale. La funzione essenziale della pena deve essere individuata nella prevenzione sociale, per tendere a disincentivare i delinquenti. La prevenzione per essere efficace deve garantire l’applicabilità rapida e inflessibile (cosa che nel nostro sistema non avviene). L’art. 27 Cost. prevede che la pena abbia anche una funzione rieducativa, funzione estremamente importante, ma comunque non sostitutiva di quella preventiva. Capitolo 2: evoluzione storica del diritto penale. Il diritto penale moderno nasce con l’illuminismo nella seconda metà del 700. Numerose regole enunciate in quell’epoca costituiscono tuttora principi cardine delle legislazioni penali europee. Cesare Beccarie Dei delitti e delle Pene: il diritto penale non deve realizzare un astratto modello di regole morali, bensì fornire una protezione dei beni umani fondamentali; in questa prospettiva esso deve essere utilizzato soltanto quando si riveli strumento strettamente necessario a tale esigenza di tutela (extrema ratio di tutela). Delitti e pene devono essere individuati con chiarezza prima della commissione del fatto, in quanto il cittadino ha il diritto di conoscere preventivamente ciò che è vietato e ciò che è consentito. La pena deve colpire l’autore del reato in misura proporzionale alla gravità del fatto commesso, non devono essere severe ma rapide e ineluttabili, uguali per tutti e la pena di morte deve essere abolita. Le nuove idee hanno trovato nella legislazione della rivoluzione francese la loro consacrazione. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 ha enunciato gran parte di questi principi, seguito dall’Assemblea Costituente nel 1790, dal codice penale e la legislazione penale del 1791. Si è assistito poi ad una trasformazione della stessa impostazione ideologica del pensiero penalistico e del contenuto delle legislazioni penali. Sul piano culturale, all’impostazione utilitaristica del pensiero illuministico si sono affiancate impostazioni che richiamavano ad astratti criteri di giustizia (es. l’idea di un diritto penale espressione di una giustizia di tipo etico-morale o l’utilizzo di pene “esemplari”). Quest’impostazione ideologica, seguendo il modello del codice napoleonico del 1810, ha caratterizzato le codificazioni “liberali” europee e italiane dell’800. La scuola classica Il passaggio dalla fase dell’elaborazione giuridico-filosofica dell’illuminismo a quella liberale dell’800 ha trovato il suo supporto nella scuola classica di diritto penale. Tale scuola, di cui Francesco Carrara era il suo esponente maggiore, si caratterizza per la sua continuità rispetto ai canoni garantistici dell’illuminismo, ma ribalta la sua impostazione utilitaristica. La scuola classica ha tentato di costruire un sistema “astratto” di diritto penale, indipendente dalle contingenze politiche e sociali ed ancorato ai valori della ragione assoluta il giurista è chiamato a costruire un sistema di reati e pene secondo criteri si razionalità scientifica generali, tranne per i delitti di c.d. lesa maestà, i quali sono necessariamente dipendenti dalla politica. Legge n. 354/1974 riforma dell’ordinamento penitenziario al fine di rendere l’esecuzione penitenziaria coerente con la funzione rieducativa, assicurare i diritti dei condannati, prevedere sanzioni alternative. d. lgs. N. 231/2000 responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche. Legge n. 59/2006 disciplina la legittima difesa. Legge Cirelli (n. 251/2005) riduzione dei tempi di prescrizione denegata giustizia (legge ad personam). È mancata tuttavia una riforma organica del codice. I due tentativi più importa tanti sono stati il progetto Pagliaro (riforma del codice coerente con la Costituzione, riducendo il potere discrezionale del giudice, superando il sistema del doppio binario) e il progetto Grosso (riprende il progetto Pagliaro e porta innovazione nel campo delle sanzioni penali). Capitolo 3: principi generali di politica criminale Politica criminale s’intende l’insieme degli strumenti che un sistema predispone per contrastare la criminalità e la ricerca di quelli che si presentano più efficaci. Politica penale affronta il problema della criminalità attraverso il ricorso a strumenti strettamente penali: la politica criminale include quindi la politica penale, la quale rappresenta una parte importante in quanto limita la libertà personale. La politica criminale costituisce a sua volta un aspetto della politica sociale la quale ha per oggetto qualunque fenomeno sociale. La politica sociale deve intervenire in via preventiva per contrastare i fattori predisposti alla commissione del reato. La politica criminale deve essere distinta anche dal diritto penale, intendendo per tale l’insieme delle regole che disciplinano i presupposti della responsabilità penale e le conseguenze sanzionatorie che seguono alla commissione del reato. Franz Von Liszt aveva elevato il diritto penale alla Magna Charta del reo: il diritto penale costituisce un’arma a doppio taglio poiché tutelando i beni giuridici, costituisce un limite alla politica criminale preventiva. Il diritto penale, inoltre, garantisce all’autore del reato sia tutela dagli abusi del potere punitivo, che dall’autodifesa privata. L’approccio del tecnicismo giuridico al diritto penale, ha tenuto lontano dai giuristi qualsiasi considerazione di politica criminale lo studio del diritto penale non poteva eseguire alcuna valutazione sull’efficacia della disciplina rispetto agli scopi perseguiti. Si sviluppa così una forte dogmatica criminale. La politica criminale si occupa non solo di ricercare gli strumenti più efficaci per contrastare un certo fenomeno, ma anche di definire l’oggetto che fonda l’intervento penale. Il legislatore è libero di qualificare qualsiasi fatto come reato? Già durante l’illuminismo, acque l’esigenza di limitare il potere legislativo sul piano del contenuto delle leggi era necessario assicurare sia garanzie formali della legalità, sia garanzie sostanziali su che cosa punire e quindi limitare il potere di criminalizzazione del legislatore. Attualmente, un limite è rappresentato dalla Costituzione stessa. I limiti di ordine costituzionale alle scelte di politica criminale possono essere distinti in: a. divieti d’incriminazione b. limiti d’incriminazione c. obblighi d’incriminazione Divieti d’incriminazione Al legislatore è fatto divieto di incriminare condotte che costituiscono esercizio di diritti e libertà costituzionali. Questi divieti si rivolgono sia al legislatore sia all’interprete. Talvolta è possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma penale, il cui ambito di applicazione è ridefinito in modo da salvaguardare la libertà individuale. Un divieto d’incriminazione di carattere generale deriva dalla necessità di rispettare il principio di uguaglianza. Limiti d’incriminazione Sulla costituzione è possibile fondare anche diversi limiti che il legislatore incontra nell’esercizio della sua potestà d’incriminazione. Costituiscono limiti d’incriminazione offensività, proporzionalità, sussidiarietà, efficacia della tutela penale e principi di consapevolezza. I principi costituzionali che limitano le scelte di politica criminale possono essere dimostrativi (consentono alla Corte Costituzionali di dichiarare l’illegittimità della norma che sia in contrasto con gli stessi) o argomentativi (hanno un contenuto più flessibile, in quanto consistono in indirizzi di politica criminale che si rivolgono al legislatore e che non consentono, di per sé, una declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma che non li rispettano). Principio di determinatezza La riserva di legge costituisce una garanzia solo formale del principio di legalità, in quanto il legislatore potrebbe attribuire rilevanza penale ad un qualsiasi fatto. Nella misura in cui si valorizza la ratio di garanzia sottostante al principio di legalità, è necessario che la legge descriva in modo preciso le norme penali (principio di determinatezza o precisione) i consociati devono poter prevedere in anticipo quali sono i comportamenti vietati e quali quelli permessi. Il principio di determinatezza costituisce un limite generale della politica criminale si rivolge al legislatore, imponendogli limiti nella formulazione delle norme penali. Costituisce solo un limite strutturale che il legislatore dovrebbe rispettare nella formulazione delle norme. La corte costituzionale ha affermato che la garanzia costituzionale impone al legislatore di descrivere fatti chiari e precisi, ma anche di prevedere come reato fatti che corrispondono a situazioni riscontrabili nella realtà. Il principio di materialità Il principio di materialità impone al legislatore di incriminare solo comportamenti umani esteriormente percepibili. Tale principio risale agli illuministi, che avevano sostenuto la necessità di tenere distinto il peccato dal reato Art. 25 Cost.: nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Sono compatibili con il principio di materialità i reati omissivi. Sono invece incompatibili il diritto penale della volontà (secondo la quale la sanzione penale non deve intervenire per reprimere “fatti dannosi”, ma per colpire “volontà cattive”); il diritto penale dell’atteggiamento interiore, il diritto penale della pericolosità (non punisce l’autore del fatto, ma l’autore pericoloso). Il principio di offensività Per giustificare l’intervento penale è necessario che l’intervento penale sia rivolto nei confronti di fatti offensivi dei beni giuridici. Distinzione tra offensività in astratto (si rivolge al legislatore) e offensività in concreto (si rivolge al giudice). Questo principio risale agli illuministi, i quali avevano l’esigenza di limitare la potestà penale ai soli fatti dannosi per la società. L’idea che il reato debba costruire un fatto offensivo di beni giuridici, è stata elaborata nel 1834 dal giurista Franz Birnbaum, secondo il quale il bene giuridico deve costituire un’entità pre-normativa che il legislatore non crea attraverso l’introduzione della norma penale, ma trova nel contesto sociale nel quale la norma va ad inserirsi. È necessario inoltre che il bene giuridico presenti il requisito dell’offendibilità, ossia il bene deve poter essere offeso da una condotta la categoria del bene giuridico svolge una funzione critica, ovvero la limitazione del legislatore nelle scelte di incriminazione; una funzione sistematica, che consente di raggruppare le fattispecie attorno ad oggetti giuridici di categoria; una funzione dogmatica, che esprime la capacità del bene giuridico di essere strumento per l’interpretazione delle singole norme. Bene giuridico = interesse protetto = oggetto giuridico Scuola di Kiel considerò il bene giuridico espressione dello Stato liberale, che pone limiti al proprio intervento, ed incompatibile con i principi del nazionalsocialismo che proponeva uno Stato forte libero di intervenire in qualsiasi campo. Al reato offensivo di bene giuridico si sostituisce il reato come violenza di un dovere di obbedienza viene violato l’obbligo di fedeltà alla Stato. Negli anni Sessanta, viene nuovamente valorizzata la funzione critica del bene giuridico. Franco Bricola anni ’70: quest’autore ha sostenuto che il sacrificio di un bene di rilevanza costituzionale (considerato inviolabile) giustifica il ricorso alla sanzione penale solo per tutelare beni dotati anch’essi di rilevanza costituzionale. Tale rilevanza non spetta solo ai beni espressamente enunciati dalla Costituzione, ma anche ai beni impliciti e a quelli presupposti. La teoria dei beni giuridici costituzionali proposta da Bricola intendeva dare base normativa al bene giuridico, al fine di garantirgli un’effettiva potenzialità critica. L’importanza della tesi di Bricola risiede nel fatto che il principio di offensività in astratto da principio argomentativo di mero indirizzo di politica criminale viene assunto a principio dimostrativo in grado di fondare un giudizio di legittimità costituzionale sulle scelte di incriminazioni fatte dal legislatore. L’importanza del bene è direttamente proporzionale all’anticipazione della punibilità: il rispetto del principio di offensività è garantito non solo dalla fattispecie di lesione, ma anche da quelle di semplice messa in pericolo del bene offeso e l’importanza del bene giuridico giustifica la maggiore o minore anticipazione della tutela. Le critiche a questa teoria sono state svariate. Il principio di offensività in astratto gode di copertura costituzionale attraverso un’interpretazione sistematica Art. 25 e 27 Cost. il riferimento al fatto va inteso come “fatto offensivo”. Anche la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto al principio di offensività in astratto il valore di “limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore ordinario”, richiamandolo in alcune sentenze. In altri casi, invece, si è ricorsi al principio di ragionevolezza. Il riconoscimento del principio di offensività in astratto produce effetti positivi in termini di limitazione della tutela penale. Viene esclusa la legittimità del diritto penale d’autore, nel quale rilevano non i fatti offensivi, ma le condizioni e le qualità personali dell’autore del fatto. Il principio di offensività consente, inoltre, di escludere la rilevanza penale di condotte che possono essere oggetto di disapprovazione morale, ma che non offendono interessi di terzi o della collettività, in quanto si risolvono in condotte che appartengono alla sfera privata delle scelte individuali. Il principio di offensività fonda quindi la distinzione tra diritto penale e morale (es. comportamenti che attengono alla morale sessuale o ad atti osceni). Il richiamo al bene giuridico come oggetto della tutela penale ha consentito anche un’interpretazione evolutiva degli interessi tutelati alla luce dei principi costituzionali e dell’evoluzione del contesto socio- culturale i beni giuridici devono essere reinterpretati alla luce di principi costituzionali e quindi è necessaria una revisione dei limiti della tutela penale per la presenza di contro-interessi costituzionalmente rilevanti. I beni giuridici non sono entità statiche, ma sono condizionati dall’evoluzione del contesto socio-culturale in cui i singoli beni sono calati. Il principio di legalità viene enunciato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Da quel momento in poi il principio di legalità costituirà un caposaldo della legislazione penale. Per quanto riguarda la nostra Costituzione ritroviamo degli espliciti riferimenti nell’Art. 25 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso … Nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. Altro riferimento lo ritroviamo nell’Art 7 della Convenzione Europea. La riserva di legge La materia penale è di esclusiva prerogativa legislativa, con la conseguenza che nessuna fonte subordinata può emanare leggi penali. Solo una legge, emanata da un parlamento democraticamente eletto, tutela i consociati da possibili arbitri del potere politico, offrendo le indispensabili garanzie d’imparzialità e legittimazione, il cui rispetto deve essere massimo, ogni qual volta sia in gioco la libertà personale dei cittadini (ratio di garanzia). La legge prevede delle forme di pubblicazione che garantiscono la conoscibilità da parte di tutti coloro che sono obbligati a rispettare le norme penali (ratio di certezza). Legalità sostanziale: è reato non solo il fatto previsto come tale dalla legge, ma anche ciò che va contro il sano sentimento del popolo questo tipo di legalità non garantisce i cittadini da abusi di potere. Legalità formale: impone al giudice di considerare reato solo ciò che è previsto come tale dalla legge. Fonti del diritto penale: leggi costituzionali, leggi ordinarie, decreti governativi. Leggi regionali: questi provvedimenti sono frutto di un organo elettivo che però rappresenta solo una parte dei cittadini dello Stato hanno vigenza infatti solo su territorio regionale. L’Art. 120 Cost. impedisce alle Regioni di emanare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni stesse. Con l’Art. 117 Cost. prevede che l’ordinamento penale sia di esclusiva competenza statale Consuetudine: s’intende un modo consueto ed abituale di operare, che ingenera la convinzione della sua corrispondenza ad una norma giuridica. Esistono in materia penale, 4 forme di consuetudine, che pongono differenti questioni di legittimità: 1. Consuetudine incriminatrice: l’introduzione di un nuovo precetto penale (e delle relative sanzioni) è riservata alla legge, e non potrebbe certo derivare dall’idea che un certo comportamento sia ritenuto criminoso. 2. Consuetudine abrogatrice: quando una norma penale resta, anche per molto tempo, del tutto disapplicata, ciò non significa che essa sia stata implicitamente abrogata 3. Consuetudine integratrice: la consuetudine potrebbe attribuire rilievo a determinate situazioni sulla base degli usi e del convincimento del loro valore giuridico. 4. Consuetudine scriminante: necessità di preservare al massimo grado il rispetto del principio di legalità. La normazione penale, è di esclusivo appannaggio legislativo. La legge può rinviare ad una fonte di rango inferiore? In questo caso si parla di riserva relativa. Riserva assoluta di legge: tutti gli elementi costitutivi del fatto tipico, nonché le relative sanzioni, devono essere indicati dalla legge. Se la legge rinvia ad un precedente regolamento, la riserva di legge è rispettata nel caso del rinvio recettizio, quando l’amministrazione non possa più modificare l’atto regolamentare, dopo l’entrata in vigore della legge che lo richiama nel precetto penale. In tal caso l’individuazione degli elementi costitutivi del fatto di reato è comunque rimessa interamente alla legge. Qualora l’amministrazione possa modificare il proprio regolamento anche dopo l’entrata in vigore della legge penale che lo richiama (rinvio mobile), allora la riserva di legge è violata, dal momento che una successiva modifica del regolamento potrebbe incidere sugli elementi costitutivi del reato, sottraendo alla legge la scelta dei fatti da vietare e dei loro elementi costitutivi. Potrebbe anche verificarsi un’integrazione da parte della fonte subordinata, di elementi del fatto che non coinvolgono alcuna discrezionalità, perché relativi ad aspetti tecnici del reato. Norme penali in bianco: fattispecie incriminatrici che richiamano un provvedimento amministrativo. Il rinvio alla fonte subordinata sarebbe legittimo ogni qual volta vi sia una “sufficiente specificazione” del precetto da parte della norma di legge. L’incidenza delle fonti comunitarie I Trattati istitutivi dell’Unione Europea hanno posto il problema dell’interazione tra disciplina sovrannazionale e diritto penale interno degli Stati membri la questione attiene all’individuazione delle fonti comunitarie sul diritto penale nazionale. In un sistema improntato al principio di legalità, gli organi sovrannazionali non possono avere potestà normativa in materia penale quest’assenza di potestà normativa diretta, si fonda sulla considerazione che i re Trattati istitutivi dell’Unione Europea non prevedono una competenza penale diretta degli organi comunitari. Pertanto, la tutela diretta d’interessi comunitari può avvenire solamente attraverso la previsione di sanzioni amministrative, che non sono riservate, nella nostra Costituzione, alla legge del Parlamento. Il problema della tutela degli interessi comunitari si è posto con grande rilevanza. Le fonti comunitarie, possono imporre agli Stati membri l’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, a tutela d’interessi comunitari o di particolare rilievo (Trattato di Lisbona del 2007). Quest’argomento è trattato all’interno dell’Art. 83 TFUE le materie nell’ambito delle quale l’UE può stabilire regole minime sono: terrorismo, tratta degli esseri umani, sfruttamento sessuale di donne e minori, traffico illecito di armi e stupefacenti, riciclaggio di denaro, corruzione, criminalità informatica e organizzata. Anche prima delle modifiche introdotte con il Trattato di Lisbona, l’Unione prevedeva specifici obblighi d’incriminazione per tutelare gli interessi dell’Unione stessa. Inizialmente le direttive dell’UE si limitavano a chiedere l’introduzione di sanzioni efficaci e proporzionate, senza imporre lo strumento penale, lasciando la scelta ai singoli Parlamenti. Successivamente, grazie anche al ruolo della Corte di giustizia Europea, l’UE ha imposto il ricorso alla sanzione penale indicandone i limiti. Attraverso tale Corte viene affermato e radicato il principio della preminenza del diritto comunitario, ovvero in caso di controversie tra norme interne ed europee prevalgono quest’ultime. I Paesi Europei recepiscono le direttive europee attraverso i seguenti strumenti: • Unificazione individuazione di un unico strumento penale vigente in tutti gli ordinamenti degli Stati membri (es. creare una Costituzione europea) • Assimilazione l’Unione invita i Paesi membri ad estendere la tutela penale già presente nei loro ordinamenti interni a specifici interessi dell’Unione stessa, secondo gli schemi e i modelli penalistici tipici di ciascun sistema giuridico. • Armonizzazione gli Stati membri sono chiamati ad introdurre nuove fattispecie incriminatrici, modellate sulla base delle indicazioni e previsioni contenute nelle direttive dell’Unione. L’Unione Europea può esercitare nei confronti degli Stati membri che non hanno ottemperato alle previsioni di una direttiva, un potere d’infrazione, che può portare al pagamento di sanzioni pecuniarie. È vero anche che l’Unione Europea è priva di un autonomo e diretto potere di introdurre nuove fattispecie incriminatrici, se non passando attraverso i Parlamenti nazionali, ma nella sostanza molte materie sono di appannaggio esclusivo degli organi dell’Unione Europea. Esiste anche la possibilità che si verifichi un contrasto tra norma penale interna e normativa comunitaria, ed in questo caso il giudice italiano deve tener conto della disciplina europea. Se si tratta di un contrasto dell’ordinamento interno con una norma del Trattato, il giudice penale è tenuto a disapplicare la normativa interna. Anche a livello interpretativo, la prevalenza del diritto comunitario impone al giudice di scegliere, tra le diverse interpretazioni, quella più conforme ai principi del diritto comunitario. Tra le norme di diritto di maggior rilievo in ambito penale, la Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, riveste un ruolo centrale. Resta il fatto che in base all’Art. 25 Cost. non vi possono essere fattispecie penali introdotte direttamente nel nostro ordinamento da atti sovrannazionali. Art. 117 Cost. il Parlamento non potrà emanare norme penali che si pongono in contrasto con una previsione europea dei diritti dell’uomo. Capitolo 5: successione di leggi penali nel tempo Il principio di retroattività Nessuno può essere punito per un fatto che non fosse già previsto come reato al momento del compimento del fatto stesso. Ratio di garanzia tesa a tutelare il cittadino da qualsiasi abuso di potere. L’irretroattività della legge penale svolge una fondamentale funzione di certezza, poiché i cittadini devono essere messi al corrente anticipatamente e con chiarezza delle possibili conseguenze penali dei loro comportamenti, orientando consapevolmente il loro agire. Le norme che trattano quest’argomento sono: • Art. 11 Disposizioni sulla legge in generale: “la legge non dispone che per l’avvenire. Essa non ha effetto retroattivo”. • Art. 2 Codice penale: “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”. • Art. 25 Cost.: “la legge punisce un fatto commesso dopo l’entrata in vigore della legge” • Art. 7 Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: “prevede esplicitamente il principio di irretroattività”. Quest’ultimo articolo afferma, inoltre, che “non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. La retroattività della legge penale più favorevole al reo è imposta dalla Costituzione, ma con dei limiti: il legislatore potrebbe introdurre una deroga al principio (prevedendo che una legge più favorevole successiva non si applichi retroattivamente), solo se l’eccezione è giustificata da una qualche ragionevolezza. Il fondamento di questo principio lo si trova all’interno dell’Art. 3 Cost. (principio di uguaglianza), che impone di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti a prescindere dal fatto che essi siano stati commessi prima o dopo dell’entrata in vigore dell’ultima legge. La disciplina in materia di successione di leggi penali nel tempo appare complessa. Abolitio criminis: si verifica quando una legge successiva abroga una precedente fattispecie incriminatrice. In questo caso decadono tutte le sanzioni riguardanti quel reato non considerato più tale. Successioni di leggi penali nel tempo: nel caso in cui il fatto è considerato reato sia nelle norme precedenti sia in quelle successive, il giudice è tenuto ad applicare la norma “più favorevole” al reo, anche se questa è stata abrogata son norme successive. Si apre quindi il problema del “più favorevole” in quanto una norma può essere favorevole per certi aspetti, una norma per altri: in questo caso si valuta “in favor rei”. Criterio storico: necessità di rifarsi alla volontà del legislatore, non tanto intesa soggettivamente, quanto piuttosto come l’oggettivazione, nel testo di legge, di una volontà storica, espressa dal Parlamento attraverso l’esercizio del proprio potere legislativo. Questo criterio può non essere abbastanza visto che col tempo cambiano le esigenze di tutela. Criterio logico-sistematico: consiste nel cercare, tra tutti i possibili significati della norma penale, quello più coerente con l’ordinamento nel suo insieme. Criterio teleologico: occorre individuare lo scopo della fattispecie incriminatrice, per interpretarla alla luce dei mutamenti che le esigenze di tutela impongono nei diversi momenti storici questo metodo tende ad obiettivare le finalità di tutela, sganciandole dalla volontà del legislatore imponendo una visione dinamica del bene da proteggere. Divieto di analogia Per analogia s’intende l’integrazione dell’ordinamento giuridico attraverso l’applicazione, ad un caso non regolato dalla legge, della disciplina prevista per casi simili. Questa non può essere utilizzata nel caso del diritto penale. Principio di tassatività impone al giudice di limitare l’ambito di operatività della norma penale ai soli fatti in essa tassativamente descritti. Il problema fondamentale attiene al confine fra analogia(sempre vietata) ed interpretazione estensiva del diritto penale, che sarebbe consentita, nella misura nella quale sia rispettato il limite del significato letterale della norma. Il divieto di analogia opera sempre “in malam partem”, mentre sono possibili interpretazioni analogiche a favore del reo, purché non vi sia una lacuna intenzionale del legislatore, o non si tratti di norme eccezionali, e perciò refrattarie a qualsiasi estensione analogica, anche di favore. Capitolo 8: limiti spaziali alla efficacia della legge penale I criteri in base ai quali valutare l’obbligatorietà della legge penale italiana nello spazio sono quattro: 1. Principio di universalità: è punito alla stregua del diritto penale italiano qualsiasi delitto, commesso da chiunque, a danno di chiunque, anche all’estero. 2. Principio di territorialità: limita l’applicazione della nostra legge penale ai soli fatti commessi nel territorio dello Stato. 3. Principio di personalità passiva: prevede l’applicazione della legge penale dello Stato cui appartiene il titolare del bene offeso dal reato. 4. Principio di personalità attiva: si applica la legge penale dello Stato di appartenenza del reo. Nessun sistema applica uno di questi quattro principi nella loro versione pura ogni ordinamento giuridico disciplina l’efficacia della legge penale nello spazio attraverso la combinazione di tutti e quattro i criteri indicati. Il nostro ordinamento prevede il principio di territorialità (Art. 6 c.p.), ma ha introdotto tante deroghe (Art. 7-10 c.p.) da registrare una tendenza verso il principio di universalità, pur temperato da alcuni limiti, derivanti dalla parziale applicazione dei due altri criteri di personalità attiva e passiva. Il principio di territorialità Art. 3 c.p. la legge penale obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato. Il principio di territorialità fa riferimento sia ai soggetti sia ai fatti. Art. 6 c.p. il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione o dell’omissione si applicherà la nostra legge penale, purché un minimo della condotta (anche reato omissivo) sia stato tenuto in Italia. Un reato commesso interamente all’estero non può rientrare nella giurisdizione italiana per il solo fatto che sia legato dal vincolo della continuazione con altro reato commesso in Italia. Il territorio dello stato non va inteso solo come il suolo entro i confini dell’Italia (comprensivo del sottosuolo, delle acque interne e delle coste), ma identifica ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato, come il mare costiero e lo spazio aereo nazionale (comprese navi e aerei italiani). Il codice non riserva alcuna disciplina ai reati commessi a bordo di una nave straniera, che si trovi nelle acque territoriali italiane. Secondo i trattati internazionali, lo stato costiero può far valere la propria legge solo in determinati casi. L’Art 7 c. p. prevede che una serie di delitti siano puniti anche se commessi interamente all’estero, sia da parte del cittadino italiano che straniero reati puniti incondizionatamente in quanto offendono direttamente gli interessi dello Stato Italiano. Quella legge viene applicata sia in base alla legge ordinaria, che in base alle convenzioni internazionali. Delitti politici (Art. 8 c.p.) il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero un delitto politico … è punito secondo la legge italiana. Questa punibilità non è però incondizionata ma subordinata alla richiesta del Ministro della giustizia. Si considera “politico” qualsiasi fatto di reato che sia “oggettivamente” tale, cioè che offende un interesse politico dello Stato, o un diritto politico del cittadino. Il delitto “soggettivamente politico” è il delitto comune determinato in tutto o in parte da motivi politi. Questo tipo di delitto è conforme al 1930, quando s’intendeva eliminare tutti gli oppositori del regime. Con l’entrata in vigore della Costituzione, la questione del delitto politico viene affrontata negli Art. 10 e 26 Cost., che impediscono l’estradizione per reati politici dello straniero e del cittadino. Art. 9 c.p. prende in esame i delitti commessi dal cittadino italiano all’estero, prevedendo l’applicabilità della legge penale italiana per i delitti puniti con la reclusione non inferiore tre anni. La punibilità è subordinata a condizione che il reo sia in Italia. Se la pena detentiva è inferiore a tre anni, è necessaria la richiesta da parte del Ministro di grazie e giustizia . Nel caso in cui il reato commesso è a danno delle Comunità Europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro di grazia e giustizia a condizione che l’estradizione del reo non sia stata concessa o accettata dal Governo dello Stato in cui il delitto è stato commesso. Art. 10 c.p. disciplina l’applicabilità della legge penale italiana ai delitti commessi interamente all’estero da uno straniero. Se il fatto è commesso contro un cittadino italiano o ai danni del nostro Stato, si applica la legge penale italiana per i delitti puniti con la reclusione di un anno minimo, a condizione della presenza del reo in territorio nazionale è alla richiesta del Ministero di grazie e giustizia. Nel caso di delitto contro la Comunità Europea, viene applicata la legge penale italiana se il reo si trova in Italia, a richiesta del Ministero di grazia e giustizia, se la reclusione non è inferiore a tre anni, non sia stata ceduta l’estradizione allo Stato di appartenenza del reo o dove è stato commesso il fatto. Art. 600-602, 604, 609 c.p. delitti contro la personalità individuale, contro la libertà sessuale, incondizionatamente puniti anche se commessi all’estero da cittadino italiano in danno del cittadino italiano. Strumenti di collaborazione internazionale Rinnovamento del giudizio: l’Art. 11 c.p. prevede che il cittadino e lo straniero, che abbiano commesso un reato nel territorio dello Stato, vengano sempre giudicati in Italia, anche se vi è già stato un giudizio penale all’estero. Nel caso di delitto commesso all’estero, ma punibile in Italia, si procede alla rinnovazione del giudizio solo se vi è richiesta da parte del Ministro della giustizia. Con gli accordi di Schengen del 1993, è stato introdotto un nuovo principio, il quale vieta di procedere una seconda volta, quando già vi sia stato un giudizio di condanna per il medesimo fatto, e la relativa pena sia stata scontata o sia in esecuzione. Riconoscimento di sentenze penali straniere: Art. 12 c.p. limitato riconoscimento delle sentenze penali straniere. La sentenza penale straniera può essere riconosciuta sotto il profilo civilistico o deve essere subordinato all’esistenza di un trattato di estradizione con il paese straniero che l’ha emessa, ovvero, se tale trattato non esiste, alla richiesta del Ministro della giustizia. L’Unione Europea ha emanato alcune Decisioni Quadro, finalizzate al reciproco riconoscimento, tra i paesi membri, delle sentenze penali in materia di pene detentive e misure limitative della libertà personale, pene pecuniarie, confisca. Il nostro ordinamento ha emanato un decreto legislativo, recependo la Decisione Quadro “nei limiti in cui non sono incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali nonché in tema di diritti di libertà e giusto processo”. Estradizione: consegna, da uno Stato ad un altro che ne fa richiesta, di un soggetto che deve essere giudicato o punito per i suoi crimini. Dal punto di vista dello Stato richiedente, si parla di estradizione attiva, mentre chi consegna il soggetto, esercita l’estradizione passiva. L’estradizione è basata su Convenzioni bilaterali, ma nel nostro ordinamento viene regolata dall’Art. 13 c.p. La Corte costituzionale ha poi posto i limiti all’estradizione, es. i delitti politici. Doppia incriminazione Il fatto per quale viene chiesta o concessa l’estradizione, deve essere preveduto come reato dalla legge italiana e da quella straniera. Principio di specialità la concessione dell’estradizione è subordinata alla condizione che, per un fatto anteriore alla consegna, diverso da quello per il quale l’estradizione viene concessa “l’estradato non venga sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o in misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale né consegnato ad altro Stato tranne che avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato al quale è stato consegnato trascorsi 45 giorni dalla sua liberazione, ovvero, avendolo lasciato, via abbia fatto volontariamente ritorno”. Principio di sussidiarietà l’estradizione non può essere concessa se, per lo stesso fatto, nei confronti del soggetto, è in corso procedimento penale o se è stata pronunciata sentenza irrevocabile. Gli Art. 10 e 26 Cost. impediscono l’estradizione per reati politici sia dello straniero sia del cittadino. Nella prospettiva costituzionale, la qualificazione “politico” del fatto criminoso diviene elemento di garanzia che, impedendo l’estradizione in un Paese straniero di chi è accusato di un reato di natura politica, lo preserva da possibili persecuzioni da parte del potere costituito, garantendogli la libertà. A causa di gravi episodi di terrorismo, si è imposta la necessità di consentire l’estradizione anche in presenza di reati considerati politi (delitti di genocidio, delitti contro la sicurezza, ecc…) Il nostro ordinamento, inoltre, vieta la concessione dell’estradizione quando l’imputato o il condannato corre il rischio, nel Paese richiedente, di essere sottoposto ad atti persecutori, discriminazioni, pene crudeli, disumane di morte, o comunque atti che violano uno dei diritti fondamentali della persona. Attualmente, tra gli Stati membri dell’Unione Europea, l’estradizione, quale ordinario strumento di collaborazione tra ordinamenti penali diversi, è stata sostituita dal mandato d’arresto europeo, un provvedimento emesso dall’autorità giudiziario di un Paese membro, che impegna tutti gli altri a dirvi esecuzione, per l’arresto di un ricercato per l’esercizio dell’azione penale o per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza restrittiva delle libertà personali. L’emissione e l’esecuzione del mandato d’arresto europeo sono di esclusiva competenza giurisdizionale e prescindono da qualsiasi intervento dell’autorità governativa. Inoltre non è previsto il requisito della doppia incriminazione. Il mandato d’arresto europeo non può essere emesso per reati politici, tranne che per i fatti di genocidio e per i delitti del terrorismo. L’esecuzione del mandato d’arresto europeo è subordinata al rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dei Art. 27 Cost. il principio della responsabilità penale personale, imporrebbe di chiamare a rispondere del reato solo la persona fisica che l’ha realizzato e non l’ente. Per superare i limiti di quest’articolo, si è proposto di prevedere a carico delle persone giuridiche non pene, ma misure di sicurezza che prescindono dalla colpevolezza dl destinatario. Conformandosi agli ordinamenti degli altri Paesi, è stato rilevato che alcune tipologie di reato hanno la loro genesi nella complessità dell’ente collettivo all’interno del quale il reato viene commesso vi sono reati che vengono commessi al’interno dell’ente e sono espressione di politiche d’impresa. Anche sul piano dell’efficacia del sistema sanzionatorio, si è rilevato che solo responsabilizzando l’ente si garantirebbe una risposta penale proporzionata ed efficace. Anche nel caso di persone giuridiche, va sottolineata la funzione rieducativa della pena. Il rapporto tra persona fisica e giuridica, è reso più complesso dalla dipendenza delle conseguenze penali a carico della persona fisica da decisione che solo l’ente può prendere. A livello di normativa sovrannazionale, l’Unione Europea ed il Consiglio d’Europa avevano sollecitato la corresponsabilità dell’ente in relazione ai reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Con il d.lgs. n° 231/2001, il legislatore ha introdotto nel nostro sistema la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, della società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. La disciplina si applica alle personalità giuridiche, alle società e associazioni. La responsabilità dell’ente è limitata ad un elenco di fattispecie (reati-presupposto), quali truffa, frode, corruzione, reati d’impresa, reati ambientali. Per imputare la responsabilità all’ente, il reato deve essere commesso nel suo interesse o vantaggio. Il reato deve inoltre essere commesso da soggetti in posizione apicale o subordinata. Attraverso il sistema dei modelli organizzativi interni il legislatore ha previsto una colpevolezza di organizzazione nei confronti dell’ente, al quale s’imputa il fatto di non aver prevenuto la commissione dell’illecito penale mediante l’adozione di un programma di prevenzione e controllo. In ogni caso la responsabilità dell’ente non fa venir meno quella della persona fisica, anche se è autonoma l’una risponde sul piano amministrativo, l’altro su quello penale. La sanzione amministrativa principale è costituita dalla sanzione pecuniaria, accompagna da sanzioni interdittive (interdizione nell’esercizio dell’attività, sospensione di licenze), confisca e pubblicazione della sentenza. Riparazione delle conseguenze del reato: se, prima dell’apertura del dibattimento, l’ente ha risarcito interamente il danno, eliminando le conseguenze dannose e pericolose, si applica solo la sanzione pecuniaria. La competenza ad accertare la responsabilità dell’ente spetta allo stesso giudice penale. È previsto, inoltre, che all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, e misure cautelative. la responsabilità dell’ente è solo amministrativa? Per non violare l’Art 27 Cost. si è parlato di una responsabilità penale mascherata. Soggetto passivo del reato titolare del bene giuridico tutelato dalla fattispecie persona offesa. Soggetto passivo può essere sia una persona fisica che giuridica o un ente collettivo o lo Stato. Il soggetto passivo va distinto dall’oggetto materiale del reato, costituito dalla persona o dalla cosa su cui cade la condotta del reato può esservi anche coincidenza tra soggetto passivo e oggetto materiale (es. nel caso di sequestro di persona). Il soggetto passivo non va confuso nemmeno con il danneggiato, ossia colui che ha subito dal reato un danno risarcibile anche in questo caso vi può essere coincidenza. Il sistema penale conferisce rilevanza alla persona offesa a diversi fini: • Sono richieste come elemento costitutivo del reato stesso (resistenza a pubblico ufficiale). • Le qualifiche del soggetto passivo si rivelano come elemento circostanziale (attentato terroristico contro pubbliche amministrazioni). • Il soggetto passivo può fondare una causa di non punibilità (delitto contro il patrimonio del coniuge non punibile). • Il consenso del soggetto passivo alla lesione di diritti disponibili costituisce causa di giustificazione. • Nei delitti perseguibili a querela, il soggetto passivo è il titolare del diritto di presentare querela. • La persona offesa rileva anche sul piano della disciplina processuale (diritto di fare opposizione). Viene quindi, come in quest’ultimo caso, presa in considerazione anche il soggetto passivo del reato vittimologia. Attraverso l’analisi vittimologica, viene sottolineato che spesso è il soggetto passivo a generare il reato tramite provocazioni. L’idea di fondo è la prevenzione della criminalità riducendo le occasioni di commissioni di reato. Valorizzazione del risarcimento del danno soluzione più appagante dell’applicazione di una pena. Giustizia conciliativa privilegia la conciliazione tra autore e vittima del reato (es. reati minorili). Capitolo 11: condotta ed evento Nelle strutture del reato gli elementi oggettivi essenziali della fattispecie integrano il fatto tipico, che costituisce il primo elemento oggetto di accertamento da parte del giudice, ovvero quell’elemento che deve sussistere affinché esista il reato. Il fatto tipico è composto dalla condotta (o azione), dai presupposti della condotta, dalle qualifiche soggettive del soggetto attivo e del soggetto passivo e dall’evento. Condotta e suitas La condotta umana può essere attiva (azione) o omissiva (non fare). Nel primo caso il precetto è costituito da una norma divieto, nel secondo caso, invece, da una norma comando. La condotta è un requisito fondamentale per parlare di reato, ma c’è anche chi ritiene che possano esservi reati di sospetto o di posizione. Art. 42 c.p. nessuno può essere punito per un’azione o un omissione prevista dalla legge come reato, se non l’ha commesso con coscienza e volontà. Coscienza e volontà vanno riferite esclusivamente all’azione o all’omissione, e non all’intero fatto del reato. In alcuni casi coscienza e volontà dell’azione o omissione corrispondono ad un dato psicologico effettivo (coscienza e volontà reali). Vi sono però condotte che si collocano al di sotto della zona lucida della coscienza, ovvero non sono sorrette da coscienza e volontà effettive, ma sarebbe irragionevole considerarle penalmente irrilevanti (es. chi lancia per abitudine una cicca di sigaretta, o chi dimentica il figlio in auto). Sicuramente una maggiore attenzione avrebbe potuto evitare il danno e quindi siamo in presenza di coscienza e volontà potenziali (atti abituali o automatici). Nel caso in cui non vi è alcuna coscienza e volontà, ovvero il soggetto non avrebbe potuto impedire l’azione o l’omissione, si parla di atti istintivi e atti riflessi. Nel caso in cui sussista coscienza e volontà, si può dire che la condotta è propria del soggetto (suitas). L’elemento della coscienza e della volontà dell’azione o omissione non sussiste in tre casi: • Forza maggiore: Art. 45 c.p. non è punibile chi ha commesso il fatto … per forza maggiore. • Costringi mento fisico: Art. 46 c.p. non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o sottrarsi. • Stato d’incoscienza indipendente dalla volontà. In assenza di coscienza e volontà la condotta non può essere considerata propria del soggetto mancando coscienza e volontà, viene meno la stessa condotta penalmente rilevante: il fatto non sussiste. Talvolta, al momento della condotta, devono essere presenti determinati presupposti naturalistici o giuridici. Anche i presupposti costituiscono elementi costitutivi del fatto di reato e rientrano nell’oggetto del dolo. Evento naturalistico: s’identifica con le modificazioni del mondo esterno cagionate dalla condotta e considerate dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie. L’evento è staccato dalla condotta ed è assente nei reati di pura condotta, ossia in quei reati nei quali la legge si limita ad incriminare una condotta attiva o omissiva. Evento giuridico: consiste nell’offesa dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice. Tal evento non può essere staccato dalla condotta, infatti, tale evento è presente in tutti i reati. Distinzione dei reati in relazione alla condotta • Reati di azione e reati di omissione: è presente una condotta attiva che si estrinseca in un movimento muscolare realizzato attraverso uno o più atti (omicidio). Nei reati di omissione, il legislatore incrimina il “non agire” del soggetto quando la norma impone al soggetto di agire (omissione di denuncia). • Reati di pura condotta e reati di evento: i primi sono quelli nei quali la fattispecie si esaurisce in una condotta attiva (furto) o omissiva (omissione di soccorso). Sono reati di evento le fattispecie nelle quali è presente come elemento costitutivo un evento naturalistico. • Reati a condotta vincolata e reati a forma libera: sono a condotta vincolata quella fattispecie nelle quali la legge richiede specifiche modalità di condotta, scelta fatta dal legislatore nella sua descrizione (reati sul patrimonio). Sono invece a forma libera i reati nei quali la legge attribuisce rilevanza a qualsiasi condotta che cagiona l’evento (omicidio) il criterio di tipizzazione della condotta è costituito dal nesso di casualità: è tipica qualsiasi condotta che sia condizione dell’evento (reati casuali puri o casualmente ordinati). • Reati istantanei, reati permanenti e reati abituali: nei primi la condotta si realizza in un solo istante, reati che si consumano in uno specifico momento (furto, ingiuria). Nei reati permanenti si richiede la protrazione nel tempo di una condotta, alla quale si accompagna il permanere dell’offesa al bene giuridico (es. sequestro di persona), e si divide in un momento iniziale (prefazione) e in uno finale (consumazione). I beni giuridici ritornano comunque nella disponibilità del titolare una volta cessata la condotta. Questi reati non vanno confusi con i reati abituali (es. maltrattamenti in famiglia), nei quali più azioni vengono considerate come una condotta singola. Quest’ultimo può essere proprio (i singoli reati considerati di per sé, non costituiscono reato, ma è considerato tale nella loro integrazione) o improprio (le singole condotte costituiscono di per sé reato). Alcuni reati possono essere realizzati indistintamente attraverso un’unica condotta o la reiterazione di più condotte reati eventualmente abituali. Capitolo 12: reati omissivi La condotta omissiva si traduce in un non facere. Teoria dell’aliud agere: il fondamento materiale dell’omissione consisterebbe nella condotta attiva tenuta da soggetto quando avrebbe dovuto agire. Carattere normativo dell’omissione: la condotta omissiva rileva nella misura in cui sussiste una norma che impone al soggetto di tenere una certa condotta; se manca la norma impositiva dell’azione, non sussiste nemmeno un’omissione rilevante. L’omissione rilevante è un’omissione doverosa. È necessario che a fondare l’omissione sia una norma giuridica (e non un sentimento etico). Anche la condotta omissiva deve essere cosciente e volontaria. Le concause Art. 41 c.p.: “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione o omissione e il colpevole”. Le cause sopravvenute Art. 41 c.p. “le cause sopravvenute escludono il rapporto di casualità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce di per sé reato, si applica la pena per questo stabilità”. Se le cause sopravvenute sono state da sole sufficienti a determinare l’evento, significa che sono state l’unica causa determinante serie causali del tutto autonome rispetto alla condotta (ex. Tizio vuole avvelenare Caio, il quale però muore perché ucciso da Sempronio). La teoria condizionalistica Secondo questa teoria, causa è l’insieme delle condizioni necessarie per la produzione dell’evento: ogni condizione ha dunque efficacia casuale rispetto all’evento. Il carattere casuale di una condizione è accertato attraverso il procedimento di eliminazione mentale: la condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata dai fatti accaduti, l’evento non si sarebbe verificato; la condotta umana non è condizione necessaria dell’evento se, eliminata dai fatti accaduti, l’evento si sarebbe egualmente verificato. Giudizio contro-fattuale: si tratta di un ragionamento ipotetico che si sviluppa chiedendosi come si sarebbero sviluppati gli accadimenti in assenza di un determinato fattore carattere logico. Regresso all’infinito: se causali sono tutte le condizioni dell’evento, saranno a loro volta causali anche le condizioni delle condizioni fino all’infinito. Casualità alternativa ipotetica: intervento di un fattore casuale che avrebbe comunque prodotto l’evento nello stesso momento (es. un medico effettua un’iniezione letale ad un malato terminale che comunque sarebbe morto di li a poco). In questo caso si analizza l’evento in astratto, ma bisogna invece analizzare l’evento in concreto e la causa principale. Causalità addizionale: quando l’evento deriva da azioni congiunte, tali che, se anche una venisse meno, non verrebbe meno l’evento. In questo caso il procedimento di eliminazione mentale va verificato rispetto al complesso dei fattori casuali e non alle singole condotte. La casualità non potrebbe essere risolta in termini naturalistici, come propone la teoria condizionalistica, ma dovrebbe essere affrontata come problema d’imputazione di un evento ai fini della responsabilità penale: ossia l’evento che è riconducibile ad una condotta umana, non necessariamente deve essere imputato all’autore della condotta ai fini della responsabilità penale. Per questo si sviluppano altre teorie. Teoria della causalità adeguata Questa teoria accoglie i principi della teoria condizionalistica, secondo i quali la condotta umana deve costituire condizione dell’evento, ma si limita la responsabilità penale esclusivamente alle condotte che si presentano come idonee a produrlo. Questa teoria, che tenta di restringere l’imputazione dell’evento a fronte di una ritenuta eccessiva estensione della responsabilità sulla base della teoria condizionalistica, finisce per avere l’effetto opposto, ossia quello di restringere eccessivamente la responsabilità penale che dovrebbe essere esclusa quando una condotta, che appariva inidonea a produrre l’evento, l’ha poi prodotto. Le esigenze di limitare la responsabilità penale, possono essere soddisfante con l’elemento soggettivo, che deve essere sempre accertato con giudizio ex ante, al momento della condotta. Teoria della causalità umana La causalità delle condotte dell’uomo presenta proprie specificità, in quanto l’uomo, ha una sfera di signoria che gli consente di dominare una serie di circostanze nelle quali s’inserisce la sua condotta: i fattori che rientrano in questa sfera possono essere considerati causati dall’uomo, perché dominabili dallo stesso; i fattori che invece fuoriescono da questa sfera non possono essere imputati al soggetto, perché si tratta di fattori eccezionali e quindi imprevedibili. Teoria dell’imputazione oggettiva dell’uomo Affinché un evento possa essere imputato ad una condotta, sono necessari tre requisiti: • La condotta deve essere condizione dell’evento; • La condotta deve aver creato un pericolo riprovato dell’ordinamento; • L’evento deve essere la realizzazione del rischio non consentito. Questa teoria sposta sul piano oggettivo il problema dell’imputazione, spesso risolto sul piano soggettivo. È necessario che il rapporto di causalità sia spiegato facendo riferimento alle leggi scientifiche che giustificano la casualità di un certo fattore rispetto ad un altro (sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura). Il giudice deve passare da un metodo individualizzante ad un metodo generalizzante nella spiegazione del nesso causale: deve partire dal caso concreto, ma questo deve essere ridescritto (descrizione dell’evento), astraendo da talune delle connotazioni della vicenda concreta. Il giudice non crea le leggi scientifiche per spiegare il rapporto tra avvenimenti, ma è fruitore di leggi scientifiche, in modo da garantire il massimo di certezza nell’accertamento del nesso di causalità e assicurarne la controllabilità. Talvolta le leggi sono universali, o comunque statistiche. Oltre che alle leggi scientifiche, il giudice può ricorrere alle generalizzate regole di esperienza, ossia alle massime di esperienza che stabiliscono una connessione tra avvenimenti secondo attendibili risultati di generalizzazione del senso comune. Il giudice deve inoltre accettare l’esistenza di assunzioni tacite, ossia di principi che si assumono per dimostrarti o di alcuni passaggi causali che la scienza non riesce a dimostrare. Il giudice deve considerare sempre lo stato delle conoscenze presenti al momento del giudizio, perché si tratta di accertare un elemento di natura oggettiva ed il giudizio di causalità è sempre ex post. La necessità di mantenere fermo il principio condizionalistico, integrato dal principio di sussunzione sotto leggi scientifiche, garantisce il rispetto dei principi costituzionali di legalità e di personalità della responsabilità penale. In particolare, nelle fattispecie causalmente orientate svolge un’essenziale funzione tipizzante, in quanto delimita l’ambito delle condotte penalmente rilevanti: sono tipiche solo le condotte che ex post risultano aver avuto efficacia causale rispetto all’evento. Quale probabilità deve possedere la legge scientifica di copertura per poter essere utilizzata? La causalità omissiva Art. 40 c.p. “non impedire un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Si sostiene che la causalità omissiva ha natura ipotetico-normativa: normativa in quanto prevista dalla legge; ipotetica in quanto si deve ipotizzare cosa sarebbe successo in alcuni casi. Spesso viene ritenuta omissiva una colpa che non lo è (Es. del medico che sottopone un malato ad una cura errata omettendo la giusta terapia). La giurisprudenza accerta la condotta omissiva, sulle possibilità che si sarebbero state si evitare l’evento, qualora non fosse stata commessa l’omissione. Quest’orientamento interpretativo trasforma un illecito di evento in illecito di condotta rischiosa, perché il disvalore del reato non è incentrato sulla causazione dell’evento, ma sul disvalore della condotta che ha aumentato e non diminuito il rischio per il bene tutelato. Nel settembre 2000 si è assistito ad un importante mutamento di orientamento nella giurisprudenza dalla Corte di Cassazione che, in tre sentenze, ha richiesto che l’accertamento della causalità omissiva abbia lo stesso grado di quella attiva. Il contrasto giurisprudenziale tra sentenze favorevoli all’allentamento dell’accertamento della causalità omissiva e il nuovo orientamento, che si esprimeva in termini antitetici, è stato composto da una sentenza pronunciata dalla Cassazione a Sezioni Unite (sentenza Franzese), che, partendo da un caso di responsabilità medica per condotta omissiva, ha fatto il punto sulla causalità attiva ed omissiva e sul grado di certezza delle leggi scientifiche utilizzabili, risolvendo il quesito di diritto se la sussistenza del nesso di causalità “debba essere ricondotta all’accertamento che con il comportamento dovuto ed omesso l’evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità vicino alla certezza, ovvero siano sufficienti soltanto serie ed apprezzabili probabilità di successo della condotta che avrebbe potuto impedire l’evento”. Al fine dell’accertamento del rapporto di causalità la Corte di cassazione distingue due nozioni di probabilità. Probabilità statistica: è quella che definisce la frequenza astratta fra determinati fenomeni ed è desunta dall’osservazione scientifica dei fenomeni stabilisce una semplice successione regolare tra eventi in una certa percentuale di casi. Probabilità logica: indica il grado di attendibilità della spiegazione del rapporto di causalità nel singolo caso concreto. Secondo questo giudizio, sussiste rapporto di causalità tra una condotta ed un evento in concreto, se si può affermare, al di la di ogni ragionevole dubbio, che la condotta è stata causa dell’evento. La soluzione avanzata dalle Sezioni Unite si segnala per la definitiva parificazione tra condotta attiva e condotta omissiva. Capitolo 14: fatto tipico e offensività Il principio di offensività in astratto si rivolge al legislatore, all’interprete e al giudice. Se si guarda l’offensività in concreto, ci si rende conto come spesso ci sia differenza tra il fatto tipico e l’offesa al bene giuridico tutelato (es. del rubare un grappolo d’uva, è un reato, ma non crea danno). La dottrina si è chiesta se sia ragionevole che il diritto penale, intervenga a reprimere un fatto tipico, ma in concreto non offensivo dell’interesse tutelato. L’Art. 49 c.p. prevede la non punibilità del reato impossibile per inidoneità dell’azione ovvero assicura la non punibilità del tentativo inidoneo la norma prevede la non punibilità del fatto tipico, ma in concreto non offensivo del bene giuridico (concezione realistica del reato). L’Art. 49 diventa la base normativa del principio di necessaria offensività del reato (offensività in concreto). I sostenitori della concezione realistica del reato evidenziano che se la norma penale dovesse essere applicata anche a fatti che in concreto non offendono l’interesse a tutela del quale la norma è posta, la pena si ridurrebbe a punizione della mera disobbedienza. La concezione realistica è stata criticata da una parte della dottrina che preferisce risolvere l’assenza di offesa in concreto al bene giuridico nei termini di assenza dello stesso fatto tipico tipicità apparente. Il merito della concezione realistica del reato sta nell’avere garantito una base normativa al principio di necessaria offensività in un contesto culturale ancora segnato dal tecnicismo giuridico. Secondo la concezione realistica l’offensività costituisce un elemento del reato che si aggiunge agli elementi del fatto tipico (concezione strutturale); secondo la teoria della tipicità apparente, l’offensività diventa criterio di interpretazione del fatto di reato (concezione interpretativa). Entrambi gli orientamenti sostengono la necessità di garantire il rispetto del principio di offensività in concreto: il reato, per essere punibile, richiede sempre che né si accerti la necessaria offensività. Il principio di offensività in giurisprudenza È importante distinguer le cause di giustificazione dalle cause di non punibilità, in cui il legislatore stabilisce la non punibilità di un soggetto per semplici ragioni d’opportunità. Si può fondare larga parte delle cause di giustificazione sul principio di non contraddizione: se una norma autorizza o impone una certa condotta, non è possibile ammettere che essa possa dare luogo ad una responsabilità penale. Sul piano sostanziale è presente una valutazione dell’ordinamento che risolve ipotesi di conflitto tra interessi contrapposti. La disciplina delle cause di giustificazione non è delineata in maniera organica dal codice penale. In relazione ai principi generali, va sottolineato che le cause di giustificazione devono rispettare il principio di riserva di legge, nei limiti in cui esso opera per gli altri elementi costitutivi del reato. Quindi né la legge regionale né atti dell’esecutivo possono costituire una causa di giustificazione, ma comunque fonti non statali o infralegislative possono influenzare l’ambito di applicazione di quelle cause di giustificazione a struttura aperta. È ammissibile inoltre un’estensione in via analogica di una causa di giustificazione. Art. 59 si riferisce all’errore di fatto, ovvero una non corretta percezione della realtà esterna che genera la convinzione in chi agisce di trovarsi in una situazione che consentirebbe, se rispondesse alla realtà, di fruire di una causa di giustificazione. Errore di diritto: può consistere nell’erronea credenza sull’esistenza di una causa di giustificazione o un errore sui limiti normativi di una causa di giustificazione prevista dall’ordinamento. Art. 50 “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso di chi può validamente disporne”. Il consenso dell’avente diritto costituisce in ambito penale una manifestazione di volontà con la quale il titolare diritto rinuncia alla tutela del proprio diritto. Questa causa di giustificazione può essere spiegata con il principio di bilanciamento degli interessi in conflitto, ovvero la tutela del bene e la libertà di autodeterminazione del suo titolare. In ambito penale non sempre il consenso costituisce una causa di giustificazione, infatti, in alcuni casi il consenso (o dissenso) interviene come elemento del fatto tipico. In alcuni casi è la stessa norma incriminatrice a prevedere espressamente questo elemento (violenza di domicilio o sessuale per sussistere deve essere commesso con il dissenso del titolare del bene). Altre volte, il consenso è implicito nella struttura della fattispecie (es. truffa). Il consenso ha invece natura giuridica di causa di giustificazione, quando interviene in relazione ad un fatto tipico offensivo del bene giuridico, giustificandone la lesione. In questo caso prevale l’interesse del singolo alla libertà di disporre sull’interesse dell’ordinamento alla salvaguardia dello stesso bene. La natura giuridica del consenso come causa di esclusione del fatto tipico o come causa di giustificazione dipende dal significato che assume la libertà di autodeterminazione del titolare del bene; si tratterà di causa di giustificazione laddove la tutela del bene assuma un significato autonomo rispetto alla libertà di disporne del suo titolare. I requisiti della scriminante sono due: deve trattarsi di diritti disponibili e devono sussistere le condizioni per la valida rinuncia alla tutela del diritto. Sono disponibili quei beni rimessi all’esclusivo interessa del singolo, che può disporne; sono indisponibili quei beni rispetto ai quali prevale l’interesse pubblico alla loro tutela. Sono considerati beni indisponibili l’ordine pubblico, la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, la famiglia. Sono beni disponibili gli interessi patrimoniali. Per quanto riguarda l’integrità fisica, questa è disponibile in alcuni limiti fissati, in quanto non deve essere incisa in maniera permanente. Anche per quanto riguarda il bene “vita” questo è indispensabile. Cosi come non sono esplicitati nell’Art. 50 c.p. i limiti di disponibilità dei diritti, così non sono indicate le condizioni di validità del consenso. Il consenso non deve essere viziato da violenza o da errore e può essere sottoposto a condizioni. È necessario che il soggetto abbia la capacità di consentire alla lesione del bene, infatti, in caso di soggetti incapaci di intendere e volere, il consenso può essere prestato dal legale rappresentante. Il consenso può essere espresso o tacito. Quest’ultimo non va confuso con il consenso putativo (quando il consenso non è stato dato, ma chi lede il bene ritiene che il consenso sia stato prestato. Il consenso è invece presunto quando chi offende il bene, sa che il consenso non è stato dato, ma presume che lo avrebbe ottenuto, qualora lo avesse chiesto al titolare del bene. Per quanto riguarda i reati colposi (effettuati con consenso) non si può parlare di scriminanti. Il consenso nel caso d’interventi medici, costituisce una condizione di liceità dell’intervento: senza il consenso del paziente, il medico non è legittimato ad intervenire. Il consenso deve quindi essere informato, ossia al paziente devono essere date tutte le informazioni sul tipo di trattamento e sugli effetti dello stesso. La funzione del consenso informato ha come risvolto anche il riconoscimento del diritto a rifiutare le cure, anche se tale rifiuto espone al pericolo la vita del soggetto. Il bene della vita è diventato un bene disponibile, ma esclusivamente nei limiti del legittimo esercizio della libertà di rifiutare le cure. Nei limiti in cui il paziente legittimamente rifiuta le cure, cessa la posizione di garanzia del medico, la cui condotta omissiva non è penalmente rilevante. L’adempimento di un dovere Può derivare da una norma giuridica o da un ordine dell’Autorità. Nel caso di dovere derivante da una norma giuridica, bisogna interpretare attentamente la norma che impone il dovere di agire e se l’attività è espressamente imposta, la norma che delinea il reato soccombe di fronte alla disposizione che stabilisce l’attività doverosa in quanto norma generale che è derogata dalla norma speciale. Nel caso di un ordine proveniente da una pubblica autorità, bisogna distinguere l’ordine legittimo (consentito dall’ordinamento) da quello illegittimo, per il quale sono chiamati a rispondere del rato sia chi lo ordina che chi lo commette. L’unica possibilità per l’esecutore di sottrarsi alla responsabilità è quello di ritenere un ordine legittimo incorrendo in un errore di fatto. Ordini illegittimi vincolanti: militari, forze dell’ordine devono comunque eseguire l’ordine loro impartito del reato ne risponde chi ha impartito l’ordine. Va comunque rifiutato di eseguire un ordine “manifestamente criminoso”. L’esercizio di un diritto L’ordinamento giuridico non può dopo aver riconosciuto ad un soggetto il diritto di tenere una determinata condotta, e minacciare con la sanzione penale chi realizza tale condotta. Occorre interpretare correttamente la norma che riconosce il diritto o la facoltà il cui esercizio ha efficacia scriminante: la condotta giustificabile è solo quella corrispondente al diritto o alla facoltà legittima e non può allargarsi a condotte strumentali all’esercizio del diritto. In molti casi occorre identificare i limiti entro cui un diritto deve essere esercitato ciò comporta la ricerca di un punto di equilibrio tra diritti in conflitto. Offendicula: forme di difesa passiva. La legittima difesa Nel codice penale vigente, questa scriminante rappresenta l’esito di un bilanciamento di beni contrapposti che vede la prevalenza dell’interesse del soggetto aggredito rispetto all’interesse dell’aggressore che viene colpito dalla reazione difensiva della vittima dell’aggressione. Art. 52 legittima difesa “classica”: non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altri contro il pericolo attuale di un’offesa, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Nel 2006 è stata affiancata la legittima difesa “domestica” o “allargata”. La legittima difesa deve avere determinati requisiti: • Il pericolo deve essere attuale; • Il pericolo deve investire un diritto proprio o altrui; • L’offesa che si tende a prevenire o bloccare deve esser ingiusta, ovvero non autorizzata dall’ordinamento. L’ingiustizia va valutata in termini di obiettivi e quindi prescinde dalla buona fede dell’aggressore. • La difesa deve essere necessaria qui si pone il problema della fuga quale alternativa alla reazione. Se la fuga è pericolosa, l’aggredito è legittimato a colpire l’aggressore per neutralizzarlo. • La reazione deve essere proporzionata. Occorre comunque valutare la situazione nella sua evoluzione dinamica. La legittima difesa “domiciliare” Sono stati introdotti due nuovi commi nell’Art. 52, allargando la legittima difesa in qualunque luogo privato. In questo caso, per sussistere la legittima difesa, devono essere presenti ulteriori requisiti, ovvero l’aggredito deve risiedere legittimamente nella dimora e deve detenere sempre in maniera legittima l’eventuale arma utilizzata. Lo stato di necessità Art. 54 c.p. “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo, da lui non causato, né evitabile”. L’autore del fatto, commette quindi un reato per sottrarsi al pericolo sia di causa naturale, che causato da comportamenti umani e coinvolgenti soggetti estranei alla situazione. Anche in questo caso il pericolo deve essere attuale e imminente. A differenza della legittima difesa, nello stato di necessità il bene da difendere deve essere inerente alla persona (rischio della vita o della libertà). Il principio di proporzionalità è applicato in maniera ancora più attenta. Per quanto riguarda lo stato di necessità, il pericolo non deve essere stato cagionato in maniera volontaria da chi crea un danno ad un terzo soggetto per difendere sé stesso, e inoltre non ci deve essere alcuna alternativa a schivare il pericolo. Lo stato di necessità non può essere invocato da chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. È inoltre necessario risarcire il danno a chi è stato coinvolto. L’uso legittimo delle armi A differenza degli ordinamenti europei, il codice penale italiano dedica un articolo a quest’argomento. L’Art. 53 c.p. si riferisce ai pubblici ufficiali, i quali utilizzano i mezzi in dotazione per adempiere al proprio dovere d’ufficio e respingere violenze o impedire reati. La particolarità di quest’articolo è che non si parla di proporzionalità. Capitolo 16: principio di colpevolezza Costituiranno elementi di maggiore intensità un elevato grado di certezza della rappresentazione del fatto e la più spiccata coscienza dell’offesa dell’interesse tutelato. Darà conto di minore gravità la mancanza di consapevolezza o dubbi. Per quanto riguarda la volontà facciamo una distinzione tra dolo d’impeto (il soggetto agisce in un momento assai prossimo a quello nel quale ha preso la decisione) e dolo di proposito (tra determinazione ed esecuzione trascorre un certo lasso di tempo) da non confondersi con la premeditazione (fredda e perdurante determinazione a commettere il reato). Come qualsiasi altro elemento del fatto tipico, anche il dolo deve essere provato con un grado di certezza che superi ogni ragionevole dubbio -> la prova del dolo riveste particolare importanza. Particolare importanza riveste in questo caso l’esperienza. Capitolo18: colpa Colpa: causazione di un fatto vietato dalla legge penale per violazione di regole cautelari, codificate o meno. L’illecito colposo assume gravità decisamente minore rispetto a quello doloso. Art. 43 c.p. si definisce colposo “quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Anche in questo caso, come per il dolo, la definizione di colpa deve abbracciare tutti gli elementi costitutivi del fatto tipico. Gli elementi strutturali della colpa sono tre: • l’elemento negativo della mancanza di volontà del fatto l’evento non è voluto dall’agente; • l’elemento oggettivo positivo dell’inosservanza di regole cautelari; • l’evitabilità dell’evento. Mancanza di volontà del fatto permette di distinguere la colpa dal dolo. Anche se l’evento non è voluto, non vuol dire che non sia prevenuto. Violazioni di regole cautelari distinzione tra colpa generica (vi è una violazione di norme di prudenza, perizia ed attenzione non scritte, ma delle quali l’ordinamento pretende rispetto) e colpa specifica (riguarda le violazioni di regole cautelari scritte). Colpa per assunzione s’imputa al soggetto di essersi assunto un compito che non era in grado di portare a termine, senza esporre a rischio l’incolumità altrui. Nel caso di rapporti gerarchici, si può incolpare il datore di lavoro o il responsabile (culpa in vigilando) per non aver controllato il lavoro del suo addetto (culpa in eligendo). Nel caso della colpa generica, dovrà essere il giudice a valutare la situazione, indagando sulla prevedibilità e l’evitabilità del fatto, in base ad un agente modello, cioè il soggetto che, svolgendo quel tipo di attività, utilizza tutte le cautele possibili, cioè tutte le cautele che l’ordinamento giuridico può legittimamente aspettarsi e pretendere dai cittadini, in quelle medesime circostanze. Colpa scientifica consiste nella violazione di regole cautelari scritte. Questi tipi di regole possono avere un contenuto esplicito e specifico, ma il giudice dovrà sempre accertare se il rispetto della regola ha esaurito la misura della diligenza nel caso concreto (ha fatto tutto il possibile) o ha aumentato il rischio di realizzazione del fatto. Principio di affidamento vi è l’aspettativa che tutti assumano un atteggiamento conforme all’ordinamento. Non lo può invocare chi ha una posizione di garanzia rispetto ad una terza persona, ma solo chi non ha elementi concreti per pensare che la terza persona non sia affidabile. In questo senso, la legge è molto rigida nei riguardi delle attività di equipe mediche. Nel caso di attività pericolose, l’evento dannoso è sempre prevedibile rischio consentito. Evitabilità dell’evento nel delitto colposo, il fatto si verifica a causa della violazione di alcune regole cautelari, che se rispettate avrebbero potuto evitare il fatto. Un elemento molto importante per valutare la colpa è riferito all’aspetto soggettivo dell’agente, ovvero può capitare che il rispetto della regola non sia esigibile dal soggetto stesso a causa di deficit. Come per il dolo, anche la colpa può essere graduale. Il giudice, infatti, nel decidere la pena, dovrà tenere conto del divario tra il comportamento imposta al soggetto e quello concretamente tenuto. Altri elementi che influiscono sul grado della pena sono i motivi personali e l’evitabilità dell’evento. Art. 45 c.p. non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito. Capitolo 19: disciplina dell’errore Diverse tipologie di errore: • errore sul fatto viene in rilievo l’errore su uno degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa. A sua volta si divide in errore di fatto (es. Prendere un cappotto dall’armadio del ristorante pensando fosse il suo erronea percezione della realtà) o di diritto (non interpretare bene la disciplina). • Errore sul diritto verte sulla fattispecie penale o su una norma extrapenale. All’errore è equiparata l’ignoranza che può portare alla medesima erronea percezione della realtà materiale o della disciplina giuridica. Art. 47 c.p. l’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità dell’agente. In caso di errore viene, infatti, a mancare il dolo, ma la punibilità non è esclusa se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (ex. Un cacciatore che uccide un bambino pensando fosse un animale). L’errore sul fatto, oltre che da una falsata percezione della realtà, può essere frutto di una non corretta interpretazione (o conoscenza) di una norma di legge extrapenale. L’Art. 47 c.p. esclude la punibilità per questo tipo di errore, sempre che abbia causato un errore sul fatto di reato. L’errore sulla legge extra-penale potrà riguardare tutti gli elementi normativi della fattispecie incriminatrice quanto quelli di natura normativa etico-sociale. Il problema sussiste nel distinguere l’errore su legge extra-penale dall’ignoranza della legge penale. L’attuale interpretazione dell’Art. 47 c.p. afferma che qualunque errore sulla legge extra penale diviene irrilevante ai fini della non punibilità, perché letto sempre come errore sulla legge penale, in virtù dell’incorporazione nel precetto. Vi sono comunque varie letture dell’Art. 47 c.p. Particolarmente delicata è la distinzione tra errore sulla legge extra penale ed errore sul precetto, nelle ipotesi di norme penali in bianco. Secondo alcuni, la falsa rappresentazione dell’elemento esterno al precetto penale costituisce errore su legge diversa da quella penale e quindi porta alla non punibilità dell’agente. Quando il comando o il divieto penale sono significativamente descritti dalla norma extra penale richiamata dalla fattispecie penale in bianco, allora vi è un errore sul precetto. Errore sugli elementi differenziali tra fattispecie Art. 47 l’errore sul fatto, che esclude la punibilità dell’agente, non esclude la punibilità per un reato diverso. Se l’agente ignora, per errore, l’esistenza di un elemento della fattispecie concreta che rende diversa e più grave l’ipotesi delittuosa, deve applicarsi l’ipotesi meno grave (una persona offende un’altra persona, quindi ingiuria, non sapendo che questo è un pubblico ufficiale, oltraggio). Errore determinato dall’altrui inganno Per “inganno” si deve intendere qualsiasi condotta che abbia concretamente tratto in errore l’autore materiale del reato qualora il soggetto ingannato abbia tenuto la condotta criminosa per essere stato tratto in inganno, ma gli si possa rimproverare di non aver utilizzato tutta la diligenza che l’ordinamento impone ai soggetti che svolgono quel tipo di attività, egli risponderà del fatto a titolo di colpa. Reato putativo: Art. 49 c.p. non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato. Ignoranza o errore sulla legge penale Art. 5 c.p. nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. Buona fede nelle contravvenzioni: quell’atteggiamento psicologico in virtù del quale il soggetto agente ha, sì violato la norma penale, ma con la verosimile e non rimproverabile consapevolezza di agire in maniera lecita. Ricerca di un punto di equilibrio. A seconda che l’ignoranza sia evitabile o meno, l’agente è non punibile o punibile. Complicato, diventa valutare l’inevitabilità dell’ignoranza e per questo la Corte individua criteri oggettivi puri, misti o soggettivi puri. L’ignoranza o l’errore inevitabile sulla legge penale non possono mai consistere nel dubbio sulla liceità dei propri comportamenti, poiché il dubbio può sempre essere verificato. Capitolo 20: ipotesi di responsabilità anomala Già a partire dal codice Rocco del 1930, si poneva il problema della responsabilità oggettiva, caratterizzata dalla volontà criminosa di commettere il fatto. Il discorso continua con l’avvento della Costituzione, infatti, l’Art. 27 Cost. afferma che “la responsabilità penale è personale” non è ammessa nessuna forma di responsabilità per fatto altrui e quindi l’intervento della sanzione penale è giustificata solo se nei confronti del fatto vi è colpevolezza. La Corte Costituzionale si attesta invece su un’interpretazione più limitata del principio. La preterintenzione Delitto preterintenzionale: si verifica quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente. L’omicidio preterintenzionale è una figura autonoma e non una circostanza aggravante del delitto imputazione dell’evento più grave di quello voluto. Tal evento non deve essere né voluto, né previsto. La preterintenzione viene inquadrata nell’ambito delle ipotesi di responsabilità oggettiva è sufficiente riscontrare un rapporto di causalità materiale tra il segmento doloso e l’evento più grave. Reato aberrante Errore inabilità: è una forma di errore che si profila durante l’esecuzione di un reato. Aberratio delicti: consiste nell’errore che comporta la realizzazione di un evento diverso da quello voluto. La causa dell’errore non va ricercata in un difetto di percezione della realtà. Il reato diverso può sostituirsi a quello voluto o aggiungersi ad esso. Se l’evento diverso non è investito da dolo, il soggetto agente ne risponde a titolo di colpa (effettiva responsabilità). Anche in questo caso, l’aberratio delicti rappresenta un esempio di responsabilità oggettiva, in quanto l’evento è causato comunque dalla volontà criminosa del soggetto. Aberratio ictus: situazione in cui l’autore di un reato realizza il fatto che realmente intendeva compiere, ma per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, “colpisce” una vittima diversa da quella L’infermità può consistere anche in uno stato psicologico di tipo fisico (delirio febbrile) e non essere permanente. Entro quali limiti può ritenersi non imputabile un soggetto affetto da disturbi psichici e anomalie della personalità? Una prima impostazione faceva rientrare nel vizio di mente solo le malattie mentali a base organica (schizofrenia e delirio paranoide). Solo successivamente all’intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (2005), è stato affermato che anche i disturbi della personalità possono escludere o diminuire l’imputabilità, in quanto riducono la capacità di intendere e di volere. Art. 90 c.p. gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono la capacità di intendere e di volere. In quel caso si parla di “reazioni a corto circuito”. Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti È non imputabile sono chi è affetto da intossicazione cronica da sostanze alcoliche e stupefacenti, e non l’ubriaco che, seppur non in grado di intendere e di volere, crea un incidente. Un’altra situazione che esclude l’imputabilità del soggetto, è quella dell’ubriachezza dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Nel caso in cui l’ubriachezza non è piena, ma la capacità di intendere e di volere è scemata, il soggetto è imputabile, ma la pena è diminuita. È volontaria l’ubriachezza di colui che assume una rilevante quantità di alcool, mentre è colposa l’ubriachezza di colui che, negligente, non controlla la quantità di alcool ingerita. In entrambi i casi, il soggetto è imputabile nonostante l’evidente alterazione del suo stato mentale. Il soggetto non verrà valutato in riferimento al suo atteggiamento, ma risponderà del reato commesso. Due situazioni in cui non solo non viene esclusa la punibilità, ma anzi viene aggravata, sono il caso di ubriachezza preordinata (cioè finalizzata al compimento di un reato o a precostituirsi una scusa) o ubriachezza abituale (Art. 93 c.p.) da non confondersi con l’ubriachezza cronica (Art. 95 c.p.), in cui il soggetto non è imputabile in quanto la sua alterazione è irreversibile. Tutto ciò vale anche per il caso di assunzione di sostanze stupefacenti. Sordomutismo Art. 96 c.p. introduce tra le cause di esclusione dell’imputabilità il sordomutismo che abbia escluso la capacità di intendere e di volere del soggetto al momento del compimento del fatto. Nel contesto sociale degli anni ’30 , il sordomuto poteva subire deficit per ciò che riguarda le relazioni sociali e quindi, in caso di reato, il giudice doveva valutare caso per caso la situazione. Con la situazione di oggi, è stato proposto addirittura di eliminare la norma in questione. Art. 86 c.p. se un soggetto si mette in stato d’incapacità di intendere e di volere al fine di commettere un reato o di prepararsi la scusa, non si applica l’art. 85 c.p. ma egli viene ritenuto pienamente imputabile actio libera in causa (scelta libera e volontaria di rendersi incapace di intendere e volere). PARTE QUINTA: le forme di manifestazione dell’offesa Capitolo 22: Reato circostanziato Le circostanze sono elementi accidentali, diversamente dagli elementi costitutivi, e la loro presenza non è necessaria al fine dell’esistenza del reato, ma si aggiunge incidendo sulla sua gravità comportando una variazione della pena o una modifica della procedibilità del reato. La variazione della pena può essere quantitativa o qualitativa. Gli elementi circostanziali hanno una duplice funzione: consentono di adeguare il trattamento sanzionatorio al reale disvalore del fatto e garantiscono il principio di legalità adeguando il trattamento sanzionatorio alla gravità del reato. Classificazione Le circostanze possono essere classificate in relazione agli effetti applicativi, al loro contenuto e alle tecniche di previsione legislativa. Circostanze aggravanti comportano un aumento del trattamento sanzionatorio. Circostanze attenuanti prevedono una diminuzione della sanzione applicabile. Le circostanze comuni (aggravanti, attenuanti e attenuanti generiche) sono potenzialmente applicabili a tutte le ipotesi di reato o ai reati con i quali presentano una compatibilità strutturale. Il catalogo delle circostanze aggravanti comuni è contenuto nell’Art. 61 c.p. aver agito per motivi futili, aver agito nonostante la previsione dell’evento, aver agito con crudeltà, ecc… Sono circostanze attenuanti comuni (Art. 62 c.p.) aver agito per valore morale o sociale, aver riparato il danno prima del giudizio, ecc…. Le circostanze speciali sono previste espressamente in relazione ad uno o più reati. Un’altra classificazione attiene alla tipologia della variazione di pena: • Circostanze ad effetto comune: quando la pena è aumentata o diminuita fino ad un terzo; • Circostanze ad effetto speciale: quelle che comportano una variazione di pena superiore ad un terzo; • Circostanze autonome: quelle in cui il legislatore stabilisce una pena di specie diversa; • Circostanze indipendenti: quando la pena è determinata in misura indipendente rispetto a quella ordinaria; • Circostanze oggettive (Art. 70 c.p.): quelle che concernono la natura, la specie, l’oggetto, il tempo, il luogo, la gravità del danno, ovvero le condizioni e le qualità personali dell’offeso; • Circostanze soggettive: quelle che concernono l’intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole; • Circostanze tipiche: quelle in cui elementi costitutivi sono descritti in maniera tassativa dalla norma; • Circostanze indefinite: quelle in cui l’individuazione degli elementi costitutivi è rimessa alla discrezionalità del giudice; • Circostanze privilegiate o blindate: particolari ipotesi circostanziali di cui viene sempre garantita l’applicazione. Per quanto riguarda l’imputazione delle circostanze vi è stata una riforma negli anni ’90. Mentre prima le circostanze venivano applicate oggettivamente all’agente, anche se questo ne ignorava l’esistenza, ora invece l’aggravante viene valutato solo se riconosciute o ignorate con colpa dall’agente. Errore sulla persona offesa dal reato: fa riferimento ai casi in cui il soggetto agente versi in errore sull’identità della persona offesa. Bisogna distinguere a seconda che si è in presenza di una sola circostanza o di un concorso di circostanze. In presenza di una sola circostanza è differente la modalità di computo a seconda della tipologia della stessa. In presenza di una circostanza ad effetto comune, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di pena che il giudice applicherebbe se non concorresse alcuna circostanza (pena base) la pena può aumentare fino ad un terzo per un massimo di trent’anni e diminuita fino ad un terzo. In presenza di circostanze indipendenti o ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione della pena non opera sulla pena base del reato ma sulla pena stabilita per le predette circostanze. Il concorso di circostanze può essere omogeneo o eterogeneo a secondo che concorrano più circostanze dello stesso o di diverso segno. In caso di concorso omogeneo è necessario distinguere le varie circostanze. Concorso di circostanze ad effetto comune: l’aumento o la diminuzione della pena va operata sulla quantità di essa, risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente. Concorso di circostanze ad efficacia speciale: si applica solo la pena stabilita per la circostanza più grave, con la facoltà del giudice di aumentarla fino ad un terzo nel rispetto dei limiti. Concorso di circostanze ad efficacia comune e speciale: l’aumento o la diminuzione operano sulla pena stabilita per la circostanza ad efficacia speciale. Limiti degli aumenti di pena (Art. 66 c.p.): nel caso di aggravanti, la pena non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge o comunque i 30 anni di reclusione, i 5 di arresto e 30987 € di multa. Limiti delle diminuzioni di pena (Art. 67 c.p.): nel caso di concorso di più circostanze attenuanti la pena non può essere inferiore a 10 anni di reclusione se è prevista la pena dell’ergastolo e comunque la pena non può essere applicata in misura inferiore ad un quarto. Per quello che riguarda il concorso eterogeneo, secondo l’impianto originario del codice Rocco (1930), il giudice procedeva discrezionalmente al giudizio di bilanciamento attraverso una valutazione qualitativa del peso delle varie aggravanti o attenuanti il giudice dovrà procedere ad una valutazione unitaria e integrale dell’episodio criminoso, che consenta il pieno rispetto del principio di proporzione tra la pena da comminare e il fatto criminoso. Con la riforma del 1974, viene estesa la disciplina del giudizio di bilanciamento anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e alle circostanze ad effetto speciale, al fine di attuare il rigore sanzionatorio e di riequilibrare la funzione del giudizio di bilanciamento. Il giudizio di bilanciamento conserva comunque il carattere dell’obbligatorietà e la sua funzione di adeguamento della pena al caso concreto, attraverso una valutazione qualitativa del fatto di reato e della personalità del reo. Le circostanze blindate La blindatura del giudizio di bilanciamento può avere due contenuti alternativi: a base totale o a base parziale. Nel primo caso si verifica l’esclusione della dichiarazione di prevalenza o di equivalenza delle circostanze attenuanti, nella seconda alternativa, invece, viene preclusa al giudice la sola dichiarazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, con la conseguenza della vanificazione dell’aumento di pena riconnesso alla contestazione dell’aggravante. Rientra tra le circostanze blindate anche l’ipotesi della minore età: il privilegio opera solo quando l’attenuante concorra con aggravanti che comportano la pena dell’ergastolo. Capitolo 23: delitto tentato Si parla di reato consumato quando la fattispecie concreta corrisponde perfettamente a quella astratta l’agente porta a termine l’iter criminis. L’individuazione del momento consumativo è di estrema importanza: • i reati ad evento naturalistico si consumano nel momento nel quale si realizza l’evento stesso. • Nel caso in cui vi sia una predisposizione della forza pubblica, il delitto è consumato, anche se il reo acquisisce denaro (caso di estorsione) momentaneamente. Teoria dell’accessorietà: la punibilità del contributo atipico (fatto accessorio) si giustifica in quanto eccede alla condotta dell’autore che pone in essere il fatto tipico (fatto principale). La dottrina tedesca ha esteso la figura dell’autore, sostenendo che non è solo autore chi realizza la condotta tipica, ma anche colui che si serve di altri per la commissione di un reato (autore mediato). La dottrina italiana con l’Art. 115 c.p. accoglie la teoria dell’accessorietà, a patto che però ad istigazione e accordo segua il fatto. In questo caso la teoria dell’accessorietà con si concilia con l’esecuzione frazionata, che si presenta nei casi in cui nessuno dei concorrenti pone in essere il fatto intero, ma ognuno ne realizza una parte. L’accessorietà inoltre non è in grado di giustificare il concorso di un reato proprio, quando a realizzare il fatto tipico non sia il titolare della qualifica personale richiesta dalla fattispecie incriminatrice, ma dal complice. Teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale: nel concorso di persone non deve essere ricercato il rapporto di accessorietà tra le condotte del partecipe e dell’autore, in quanto la tipicità dei contributi concorsuali deve essere valutata alla luce della fattispecie che nasce dall’incontro tra l’art. 110 c.p. e le singole fattispecie incriminatrici di parte speciale. Si parla di fattispecie plurisoggettiva eventuale perché la pluralità dei concorrenti costituisce solo una modalità eventuale di commissione di un reato che può essere realizzato anche in forma monosoggettiva. Teoria delle fattispecie plurisoggettive differenziate: il concorso di persone dà luogo ad una pluralità di reati, tanti quanto sono le condotte concorsuali. I requisiti strutturali del concorso di persone 1. La pluralità dei concorrenti: ne sono sufficienti due, non tutti devono essere anche punibili. 2. La commissione di un fatto di reato: è necessario che siano realizzati gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. Può trattarsi di un reato consumato o di un delitto tentato. È ammesso il concorso di un tentativo, mentre non è punibile il tentativo di concorso, ossia il fatto di tentare, senza riuscirci, di concorrere in un reato. 3. Il contributo concorsuale: per rispondere a titolo di concorso è indispensabile l’apporto di un contributo da parte di ciascun concorrente. Il codice non dà indicazione sui requisiti minimi di partecipazione, ma bisogna tener conto sia il principio di legalità che il principio di responsabilità per fatto proprio. Si può distinguere tra concorso materiale e concorso morale. • Contributo materiale distinguiamo diverse forme di contributo materiale: autore (chi realizza per intero il fatto), coautore (in caso di esecuzione frazionata), complice (da un contributo oggettivo in fase preparatoria o esecutiva). La causalità agevolatrice o di rinforzo attribuisce rilevanza concorsuale anche alle condotte che pure non essendo condicio sine qua non del reato, abbiano comunque agevolato o rafforzato la sua realizzazione. In ambito concorsuale è la causalità condizionalistica l’unico criterio in grado di garantire il rispetto dei principi di legalità e di responsabilità per il fatto proprio. Il secondo termine del rapporto causale non è l’evento, ma il fatto di reato, il quale deve essere inteso in concreto. Nei reati permanenti il contributo concorsuale può essere prestato anche in epoca successiva alla perfezione del reato, sino a che perdura la permanenza, sempre che il concorrente agisca con il dolo di partecipazione e non con il solo scopo di aiutare l’autore del reato ad eludere le investigazioni dell’autorità (in questo caso si parla di favoreggiamento). • Contributo morale consiste in un’influenza psichica e si presenta nella forma della determinazione o istigazione (compreso l’accordo e il consiglio). Il contributo morale richiede un accertamento rigoroso della causalità psichica: è necessario accertare che l’istigatore abbia influenzato la volontà dell’istigato, determinando o rafforzando il proposito criminoso concretamente. È necessario utilizzare massime di esperienza che indicano che certe condotte tenute in determinati contesti e nei confronti di certi soggetti, hanno efficacia istigatoria. L’istigazione non è causale se l’esecutore del reato era già risoluto nel commettere il reato (omnimodo facturus). La necessità di un nesso di causalità tra il contributo ed il reato esclude la rilevanza delle condotte intervenute dopo la consumazione del reato (in questo caso potrà esserci responsabilità per altri reati quali il favoreggiamento). Qualora intervenga, prima dell’esecuzione del reato, una promessa di aiuto per eludere le investigazioni dell’autorità o assicurare il profitto dell’azione criminosa, sussiste il concorso morale. A causa della difficoltà di accertamento della causalità psichica, la giurisprudenza ripiega su un giudizio di prognosi postuma giudizio ex ante a discrezione del giudice. • Concorso mediante omissione nei reati omissivi propri possono rispondere della condotta omissiva chiunque abbia l’obbligo di intervenire e non lo faccia. Negli altri reati, è possibile concorrere attraverso una condotta omissiva, solo se sussiste un obbligo giuridico di impedire che altri commettano il reato non impedire un reato che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a commetterlo. Il concorso mediante omissione va distinto dalla semplice connivenza consistente nella condotta di chi, non essendo titolare di una posizione di garanzia, non interviene dinanzi alla commissione di un reato. 4. Dolo di partecipazione: non è richiesto un previo accordo tra i concorrenti, ma il dolo di partecipazione richiede la sussistenza di due requisiti rappresentazione e volontà del fatto di reato, rappresentazione e volontà di concorrere con altri nella commissione del reato. Nei reati a dolo specifico non è necessario che tutti i concorrenti agiscano con la particolare finalità richiesta dalla fattispecie incriminatrice, ma è sufficiente ch un solo complice abbia tale finalità, purché gli altri ne siano consapevoli. L’agente provocatore è colui che induce taluno a commettere un reato al fine di assicurare il colpevole alla giustizia. La dottrina esclude la sua responsabilità concorsuale poiché l’agente agisce affinché il soggetto fosse bloccato (es. infiltrato durante operazioni sotto copertura). Le circostanze nel concorso di persone Spetta al giudice il compito di differenziare le pene tra i concorrenti in relazione alla tipologia del contributo di partecipazione attraverso la previsione di circostanze aggravanti e attenuanti. Costituiscono circostanze aggravanti (Art. 111-112 c.p.): determinare a commettere il reato ad una persona non punibile o non imputabile, a un minore, ad una persona in stato di infermità; promuovere organizzare e dirigere la cooperazione. Le circostanze attenuanti (Art. 114 c.p.) possono essere ad esempio quelle di aver rivestito un ruolo di minima importanza. L’importanza del contributo viene valutata nell’ambito della interazione tra le condotte dei concorrenti. L’Art. 118 c.p. disciplina l’estensione di aggravanti e attenuanti ai concorrenti: si applicano infatti solo al concorrente cui si riferiscono le determinate circostanze. Può accadere che il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti perché è intervenuta una variante. Il caso è descritto dall’Art. 116 c.p. reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti. Nel caso di questo concorso anomalo, viene applicata una circostanza attenuante obbligatoria se il reato commesso è più grave di quello voluto. Affinché il concorrente che non volle il reato diverso ne risponda, è necessario che vi fosse un accordo e che il reato diverso sia stato realizzato con dolo da parte di almeno uno dei concorrenti. Esiste quindi un nesso di causalità tra la condotta del concorrente e il reato diverso anche se è necessaria la non volizione del reato diverso. Con l’entrata in vigore della Costituzione, ci si rende conto del contrasto di questa disciplina con l’Art. 27 Cost., in quanto l’imputazione del reato diverso avveniva su basi meramente oggettive. Si parla allora di sviluppo logicamente prevedibile e si fa una distinzione tra la prevedibilità in astratto (valutare ciò che potrebbe accadere in astratto) e prevedibilità in concreto (valutare attraverso le circostanze concrete). Quest’ultimo costituisce l’unico requisito in grado di garantire il rispetto del principio di colpevolezza. Può concorrere in un reato proprio anche chi (extraneus) non possiede la qualifica personale richiesta dalla legge come elemento costitutivo del fatto tipico, a condizione che sia colpevole di concorrere con il soggetto titolare della qualifica (intraneus). Non è quindi necessario che sia l’intraneus a tenere la condotta tipica a meno che la fattispecie non lo preveda. Art. 117 c.p. disciplina una particolare ipotesi di concorso in un reato proprio, ossia nella quale la qualifica personale determina il mutamento del titolo di reato per taluno dei concorrenti. In questo caso anche il concorrente extraneus risponde dello stesso reato dell’intraneus. Art. 119 c.p. disciplina gli effetti delle “circostanze (o cause) di esclusione della pena” in caso di concorso di persone nel reato. Quest’articolo dispone che le cause soggettive escludono la pena solo alla persona cui si riferiscono, mentre le cause oggettive si riferiscono a tutti. Le cause oggettive che escludono la punibilità sono le cause di giustificazione ed operano nei confronti di tutti i concorrenti. Sono cause soggettive di esclusione della pena le scusanti, le cause che escludono l’imputabilità e le cause personali di non punibilità o cause sopravvenute. Desistenza e recesso attivo in ambito concorsuale Diversamente dal reato in forma monosoggettiva, in ambito concorsuale per far si che avvenga la desistenza è necessario che il concorrente annulli il suo contributo ed elimini le conseguenze prodotte. Cooperazione nel delitto colposo L’art 113 c.p. disciplina la cooperazione nel delitto colposo, stabilendo che “nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato della cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”. In questo caso i requisiti generali sono la pluralità degli agenti e la realizzazione del reato che deve essere un delitto colposo. È necessario inoltre che i concorrenti non vogliano il fatto di reato (altrimenti sarebbe doloso), ma abbiano la consapevolezza dell’altrui partecipazione, diversamente dal concorso di fattori colposi indipendenti nel quale gli autori non sono consapevoli dell’altrui partecipazione. Nel primo caso il reato è unico ed è realizzato in forma concorsuale, mentre nel secondo caso sussistono tanti reati quante sono le condotte colpose. Nella cooperazione del delitto colposo è necessario che il contributo di cooperazione sia causale rispetto al fatto di reato. L’Art. 113 c.p. svolge una funzione di disciplina e di incriminazione. In presenza di un concorso di persone in un reato nulla esclude che dello stesso i concorrenti rispondano dolosamente o colposamente a seconda che siano in dolo o in colpa rispetto al fatto. Possibilità di concorso doloso in un reato colposo o concorso colposo in reato doloso. Il concorso di persone è possibile non solo nei delitti, ma anche nelle contravvenzioni, ma in questo caso si può parlare solo di concorso doloso e non di concorso colposo. Il concorso di persone viene distinto in concorso eventuale e concorso necessario. Nel primo caso la realizzazione in forma plurisoggettiva costituisce solo un dato eventuale, ovvero il reato può essere compiuto anche da una sola persona, mentre nel caso secondo caso è la stessa legge a prevedere come elemento costitutivo di fattispecie la pluralità dei soggetti attivi (concorrenti necessari come nel caso della rissa, corruzione, ecc….). Nel momento della previsione della pena da parte del legislatore assume una funzione preminente la prevenzione generale, in quanto la sanzione penale si giustifica proprio in funzione della tutela dei beni giuridici e per prevenire punizioni arbitrarie dell’autore del reato. Spetta al legislatore valutare quale pena e quali limiti edittali siano adeguati rispetto all’interesse da tutelare. L’efficacia della risposta sanzionatoria non dipende necessariamente dall’aumento dei livelli edittali di pena, infatti l’efficacia preventiva generale e speciale della pena è condizionata dalla proporzione della sanzione. È difficile definire quale pena e quali limiti edittali siano in astratto proporzionati al precetto, in quanto il disvalore del fatto e la pena non sono commensurabili tra loro. A seconda della quantità e della qualità della pena, viene attribuito un valore differente ai beni giuridici offesi principio di proporzione come parametro di ragionevolezza. La funzione di prevenzione generale consente anche di delegittimare pene del tutto inefficaci o perché sproporzionate o perché in effettive. L’efficacia di prevenzione generale può variare in relazione ai soggetti destinatari, mentre per quanto riguarda la prevenzione speciale, questa deve avere un ruolo essenziale già in fase di comminatoria in astratto delle pene e non solo nella fase esecutiva. Commisurazione ed applicazione giudiziale Nella fase di commisurazione giudiziale della pena al caso concreto, non può rilevare la funzione di prevenzione generale (es. un giudice non può decidere, a causa di un aumento di furti, di punire in maniera esemplare l’autore di un furto, in quanto violerebbe il principio di uguaglianza). Il giudice deve comunque applicare concretamente la pena elaborata in astratto (funzione di asseverazione), e cercare di farlo velocemente (disciplina processuale). In sede di commisurazione della pena svolge un ruolo centrale il principio di proporzione rispetto alla gravità del fatto concreto ed alla colpevolezza del soggetto per quel fatto. Per quanto riguarda la prevenzione speciale, può essere applicata una pena inferiore a quella che appare proporzionata rispetto al fatto commesso, ma mai superiore. La pena proporzionata al reato in concreto commesso costituisce un limite invalicabile alle esigenze preventive della politica criminale. Fase esecutiva In fase esecutiva svolge un ruolo preminente la funzione rieducativa della pena. La Corte Costituzionale ha riconosciuto la rieducazione come “diritto per il condannato” è dovere dello Stato conformare l’esecuzione delle pene (specie di quella detentiva) al rispetto del dettato costituzionale. Per esigenze di prevenzione speciale la pena può subire in esecuzioni sospensioni o riduzioni, ma mai potrebbe essere aumentata al di là dei limiti fissati dal giudice in sede di commisurazione della pena. In fase esecutiva va favorita una valutazione individualizzata. In questa fase, la funzione di prevenzione generale, opera in quanto l’esecuzione della pena costituisce l’esito conclusivo della asseverazione della sanzione minacciata importanza della certezza della pena. La funzione socialpreventiva assume un significato centrale nell’ammodernamento del sistema sanzionatorio. Anche se viene sempre più sviluppata l’idea di rieducazione in quanto valorizzazione della dignità dell’uomo, la stessa idea rieducativa mostra segni di crisi si sviluppano così due indirizzi contrapposti. Le posizioni neoretributive sostengono che l’inflazione della pena nei confronti del reo serve a canalizzare l’aggressività dei consociati e ristabilizzare la loro fiducia nella salvaguardia dei valori tutelati dalle norme penali la pena da applicare è la pena giusta. In questo modo, però, le pene diventano relative al contesto sociale un sistema sanzionatorio razionale non può agganciare la pena all’allarme sociale, ma deve operare come filtro critico alle istanze sociali di punizione. Gli orientamenti del neopositivismo valorizzano l’autore del reato come soggetto pericoloso. Sistema sanzionatorio italiano profondamente in crisi problema del sovraffollamento carcerario. Per quanto riguarda le misure extracarcerarie, queste non vengono preferite al sistema carcerocentrico più carcere = più sicurezza. Nelle attuali condizioni dei penitenziari italiani non sussistono le condizioni per attuare al loro interno programmi di rieducazione ed il carcere si rivela uno strumento criminogeno. È per questo motivo che viene invocata l’amnistia, per liberare le carceri, ma è solo la riprova dell’inefficacia del nostro sistema sanzionatorio. Il sistema sanzionatorio italiano, a causa dell’amplia discrezionalità dei giudici e la sua flessibilità, si caratterizza per l’incertezza della pena la sanzione in astratto minacciata dalla legge non è poi la pena in concreto eseguita. Nel carcere stesso vi è una forte selezione sul piano sociale (distinzione tra colletti bianchi ed criminali comuni o extracomunitari che difficilmente avranno sanzioni alternative alla detenzione). La dottrina ha evidenziato la necessità di recuperare l’efficacia del sistema sanzionatorio bilanciandola con il rispetto della funzione rieducativa della pena. È necessario che il sistema sia sempre meno carcero centrico, sostituendo le pene detentive con pene accessorie (interdizione da pubblici uffici, sospensione o decadenza a svolgere determinate mansioni, ecc). Anche la pena pecuniaria si rileva inefficacie, in quanto le somme non vengono pagate. Il nostro sistema prevede un ordinamento a somma complessiva e non a tassi giornalieri come in altri paesi europei. Oggi ci troviamo di fronte ad un sistema penale ipertrofico, ossia che ricorre in modo eccessivamente ampio alla sanzione penale, divenuta facile strumento per appagare il senso di insicurezza sociale. Andiamo incontro ad una mancata realizzazione di ciò che è previsto, ad un sovraccarico del sistema processuale, un aumento dei casi in cui i reati si estinguono per prescrizione. È necessaria quindi una revisione del sistema penale basato sulla depenalizzazione. Capitolo 28: pene Sistema sanzionatorio codice Rocco: distinzione tra pene principali (pene previste per ciascun reato) consistenti in pene detentive (ergastolo,reclusione, arresto) e pene pecuniarie (multa e ammenda) e pene accessorie (hanno un ruolo ancillare rispetto a quelle principali). I reati posso essere sanzionati sia con la previsione esclusiva della pena detentiva o pecuniaria, sia con la pena congiunta (detentiva e pecuniaria) o alternativa (detentiva o pecuniaria). Le uniche manifestazioni di flessibilità del sistema sanzionatorio erano rappresentate dalla sospensione condizionale della pena o dalla liberazione condizionale. Il nuovo ordinamento penitenziario cambia nel 1975 ed è con esso compaiono le misure alternative alla detenzione (semilibertà, affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare). Nel 1981 vengono introdotte le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (semidetenzione, libertà controllata, lavoro sostitutivo), nel 2000 viene data maggiore importanza alla pena pecuniaria, alla permanenza domiciliare e al lavoro di pubblica utilità Pene principali Ergastolo La pena dell’ergastolo è perpetua. È prevista comunque la possibilità di usufruire della liberazione condizionale (dopo 26 anni di pena scontata o 45 giorni per ogni semestre), permessi premio (dopo 10 anni), semilibertà (dopo 20 anni). La pena dell’ergastolo è stata oggetto di dubbi di legittimità costituzionale poiché non appare compatibile con la funzione rieducativa della pena in quanto non è previsto il rientro in società. Pena detentiva: reclusione ed arresto Reclusione ed arresto si differenziano per la possibilità di accedere o meno a misure alternative di detenzione. La reclusione si estende dai 15 giorni ai 24 anni e vale per i delitti; l’arresto si estende da 5 giorni a 3 anni e vale per le contravvenzioni. La pena pecuniaria La pena pecuniaria per i delitti è la multa e per le contravvenzioni è l’ammenda. Consistono entrambe nel pagamento allo Stato di una somma di denaro, che può essere fissa o proporzionale entro i limiti stabiliti dalla legge (da 50 € a 50000 € per la multa e da 20€ a 25000 € per l’ammenda). Il sistema italiano non ha adottato il sistema dei tassi giornalieri, molto più razionali rispetto alla situazione economica del reo. Anche la pena pecuniaria svolge una funzione rieducativa. Il giudice può decidere di aggiungere una pena pecuniaria ai condannati per motivi di lucro. La pena pecuniaria può essere rateizzata o convertita, prima in reclusione o arresto, ora in libertà controllata e lavoro sostitutivo (25 € per un giorno di lavoro sostitutivo e 12€ per un giorno di libertà controllata) 250 € per un giorno di pena detentiva. Pene accessorie Le pene accessorie hanno solitamente carattere interdittivo, ovvero consistono nella privazione di determinati diritti o limitazioni nel loro esercizio. Sono previste pene accessorie specifiche per i delitti (interdizione da pubblici uffici, da professioni, ecc…) e per le contravvenzioni (sospensione dell’esercizio di una professione, ecc…). Le caratteristiche delle pene accessorie sono il collegamento con le pene principali e il loro automatismo ridotta discrezionalità del giudice. Diversamente da quanto accade per le pene accessorie, il giudice ha un’ampia discrezionalità nella commisurazione delle pene principali, ad eccezione dell’ergastolo e delle pene fisse. Negli altri casi il legislatore delinea una cornice edittale, fissando un minimo e un massimo, all’interno della quale il giudice può stabilire la pena. I criteri per l’esercizio del potere discrezionale da parte del giudice sono gravità del fatto (natura, specie, mezzi, oggetto, modalità d’azione, gravità del danno, intensità di dolo e grado di colpa) e capacità a delinquere (carattere del reo, precedenti penali, condizioni individuali, familiari e sociali del reo). Sanzioni sostitutive della pena detentive brevi La funzione delle sanzioni sostitutive è quella di evitare il contatto con l’ambiente carcerario per autori di reati di scarsa gravità. Ciò che distingue queste sanzioni dalle misure alternative alla detenzione è il fatto che sia il giudice stesso a pronunciare questa condanna (le misure alternative avvengono solo in fase esecutiva). Le sanzioni sostitutive sono la semidetenzione, la libertà controllata e la pena pecuniaria. La semidetenzione può sostituire le pene detentive fino a due anni e consiste nell’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno in un carcere, nel divieto di detenere armi, documenti per espatrio e patente. La libertà controllata può sostituire le pene detentive fino ad un anno e consiste nel divieto di allontanarsi dal comune di residenza e di presentarmi almeno una volta al giorno presso i Carabinieri e nel divieto di detenere armi, documenti per l’espatrio e patente. La pena pecuniaria può sostituire pene detentive fino a sei mesi multa al posto della reclusione e ammenda al posto dell’arresto. La pena detentiva non può essere sostituita: • Nei confronti di coloro che sono stati condannati più di due volte per reati della stessa indole; L’amnistia è stata utilizzata periodicamente come strumento di alleggerimento del carico giudiziario e del sovraffollamento carcerario. Dopo la riforma del 1992, è necessaria una maggioranza di due terzi di ciascuna Camera per deliberare la legge. C’è una distinzione tra amnistia propria, che opera prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, e amnistia impropria, applicabile dopo che la condanna è divenuta definitiva. In entrambi i casi l’amnistia estingue il reato e non è applicabile a recidivi e delinquenti abituali o professionisti qualora non espressamente indicato. Remissione della querela È riferita ai reati procedibili da querela. La querela va presentata entro tre mesi dal momento in cui il querelante è venuto a conoscenza del reato. Di regola la remissione della querela può avvenire solo prima della condanna. È possibile distinguere tra remissione processuale o extraprocessuale, inoltre può essere anche tacita (non presentarsi all’udienza). Ciò serve per una deflazione dei procedimenti penali. La remissione deve comunque essere accettata dal querelato e per alcuni reati non è prevista la remissione. La remissione della querela serve soprattutto a conciliare e mediare tra vittima e autore del reato. Prescrizione del reato Dipende da un fatto naturale, il decorso del tempo. Essendo causa estintiva del reato, ha una natura sostanziale e non processuale. la prescrizione non si concilia con la funzione retributiva della pena e con l’esigenza di prevenzione generale. La prescrizione potrebbe essere spiegata con l’attenuazione della funzione di prevenzione speciale della sanzione penale, ma il fondamento è ravvisabile in ragioni di opportunità, diversamente declinabili, che suggeriscono di rinunciare a perseguire reati risalenti nel tempo, ad eccezione di quelli talmente gravi da prevedere la pena dell’ergastolo. Il codice penale del 1930 prevedeva diverse classi con termini standardizzati a seconda della gravità del reato. La riforma del 2005 collega il tempo che determina la prescrizione del reato al “massimo della pena edittale stabilita dalla legge” e comunque non inferiore a 6 anni in caso di delitti e 4 anni in caso di contravvenzioni. L’Art. 157 c.p. prevede che il reato è estinto decorsi tre anni dalla consumazione del reato. Per alcuni reati il termine è raddoppiato, mentre i reati per cui è previsto l’ergastolo non possono cadere in prescrizione. Il termine decorre dal giorno della consumazione, in caso di incertezza, si va in favore dell’imputato. La prescrizione è rinunciabile da parte dell’imputato che aspiri ad un’assoluzione per merito. L’effettiva estensione del periodo prescrizionale è influenzato dalle cause di interruzione (il periodo viene azzerato) o sospensione (la prescrizione riprende il suo corso). Oblazione È una causa estintiva concernente soltanto le contravvenzioni. È definita ordinaria o automatica e consiste nel pagamento, prima dell’apertura del dibattimento o dell’emissione del decreto penale di condanna, di una “somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento”. Effetto deflattivo dell’istituto e vantaggio per l’autore del reato. Oblazione discrezionale nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. L’oblazione è definita discrezionale in quanto il giudice può respingere la domanda di ablazione. Sospensione condizionale della pena È una causa estintiva ad efficacia differita se il condannato non commette un delitto e adempie agli obblighi impostigli, il reato è estinto e non ha luogo l’esecuzione della pena. Consente quindi al giudice di bloccare l’esecuzione della pena individuando un percorso alternativo. Essa risponde all’esigenza di evitare l’applicazione di una sanzione quando l’effettiva esecuzione appaia eccessiva o controproducente viene valorizzata la funzione socialpreventiva della pena. Il codice penale del 1930 limitava il ricorso alla sospensione condizionale solo una volta e per condanne non superiori ad un anno di pena detentiva. Con le successive modifiche si richiede che: • La pena detentiva non sia superiore a due anni, il limite sale a tre per i minori di 18 anni e a due anni e sei mesi per chi ha tra i 18 e i 21 anni. • Il soggetto non sia delinquente o contravventore abituale o professionale. • La sospensione condizionale non può essere concessa per più di una volta. • Non sia stata pronunciata condanna immediata a pena detentiva non sospesa. Il giudice deve ritenere che il colpevole si asterrà dal compiere ulteriori reati prognosi di non recidiva. Il codice penale prevede che la sospensione condizionale possa essere corredata da obblighi sia di natura riparatoria, sia in senso lato. Con la concessione della sospensione condizionale si apre un “periodo di prova” (cinque anni) che si conclude con la declaratoria di estinzione del reato o con la revoca. La sospensione condizionale della pena è revocata quando: • venga commesso un nuovo reato e non sia possibile una seconda concessione; • sia riportata una condanna per un delitto commesso antecedentemente e che superi i limiti; • non vengano adempiuti gli obblighi imposti. Sospensione condizionale speciale se la condanna non è superiore ad un anno e vi è stata una condotta riparatoria, prima della pronuncia della sentenza, il giudice sospende l’esecuzione per un periodo più breve di quello ordinario (un anno anziché cinque). Cause di estinzione della pena Queste intervengono quando la vicenda processuale si è conclusa ed è in corso l’esecuzione della penale inflitta con la sentenza di condanna divenuta definitiva. Art. 171 c.p. la morte del reo estingue la pena. Ciò è ovvio per le pene detentive, ma secondo il principio di personalità della responsabilità penale, ciò vale anche per le pene pecuniarie. Art. 172-173 c.p. la prescrizione della pena avviene per il decorso del tempo. Il codice penale distingue le pene per i delitti da quelle per le contravvenzioni. La reclusione si estingue dopo un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta; la multa si estingue dopo 10 anni; arresto e ammenda dopo 5 anni. I recidivi e i delinquenti abituali e professionali sono esclusi dalla prescrizione. L’indulto consiste nel condono totale o parziale di una pena principale. La concessione avviene con legge che deve essere approvata dalla maggioranza qualificata. Non è automatica l’estinzione delle pene accessorie, a meno che la legge non disponga diversamente. Anche l’indulto, come l’amnistia, è un provvedimento di carattere generale. La grazia è invece un condono personalizzato, rimasto di competenza del Capo dello Stato. Presupposto per la concessione della grazia è una sentenza irrevocabile di condanna e può essere estesa anche alle pene accessorie. La riabilitazione estingue soltanto le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna. La riabilitazione può intervenire quando sono trascorsi almeno tre anni dal giorno in cui il condannato ha finito di scontare la pena principale, 8 anni per i casi di recidiva e 10 per i delinquenti abituali e professionali. Impedisce la riabilitazione la sottoposizione attuale a misure di sicurezza ed il non aver adempiuto alle obbligazioni civili nascenti dal reato. Art. 175 c.p. non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale. Il giudice può ordinare la non menzione nel caso di prima condanna a pena detentiva non superiore ad anni due o a pena pecuniaria non superiore a 516 €. Capitolo 30: misure di sicurezza Il codice penale prevede, accanto alle pene, misure di sicurezza in funzione di controllo e prevenzione della pericolosità dell’autore. Si parla di sistema sanzionatorio a doppio binario, che avrebbe dovuto contemperare le impostazioni teoriche della scuola classica e della scuola positiva. Il codice Rocco tentava di unire i principi delle due scuole: le pene, di durata determinata, sono destinate ai soggetti imputabili, le misure di sicurezza, di durata non predeterminata, sono destinate ai soggetti pericolosi, imputabili o non. Soggetti imputabili non pericolosi solo pena Soggetti non imputabili pericolosi solo misure di sicurezza Soggetti imputabili pericolosi pene e misure di sicurezza Soggetti semi-imputabili pericolosi pene e misure di sicurezza Accrescono il peso complessivo della risposta sanzionatoria altri elementi: • le presunzioni di pericolosità sociale: le misure di sicurezza si applicavano prescindendo dall’accertamento in concreto della pericolosità dell’autore. • La durata minima delle misure di sicurezza: il codice penale prevede una durata minima delle misure di sicurezza, che varia in base ai destinatari e ai reati. • Assenza di sistema vicariale tra pene e misure di sicurezza Sulla natura giuridica delle misure di sicurezza si è discusso: il codice penale le qualifica come “misure amministrative di sicurezza”, anche se viene riconosciuta solo una natura penale. Art. 25 Cost. nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Porre misure di sicurezza accanto alle pene comporta la costituzionalizzazione del doppio binario. Nella logica del codice Rocco, il sistema sanzionatorio a doppio binario si fonda su una rigida separazione tra le funzioni svolte da pene e misure di sicurezza: le prime hanno una funzione retributivo-punitiva e deterrente, mentre le seconde hanno come scopo la prevenzione sociale. Oggi questa dicotomia di funzioni si è affievolita, favorendone l’osmosi. Nella prospettiva costituzionale le misure di sicurezza si devono muovere nella duplice prospettiva della tutela della collettività e di supporto a favore della persona destinataria della misura. Un ulteriore elemento di omogeneità tra pene e misure di sicurezza sta nella loro afflittività. Le misure di sicurezza si dividono in personali e patrimoniali, a seconda dei beni, personali o patrimoniali, sui quali incidono. Quelle personali sono a loro volta divise in detentive e non detentive. Anche le misure di sicurezza sottostanno al principio di legalità. Principio di riserva di legge nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Principio di determinatezza presenta delle flessibilità a causa della durata non predeterminata. Mentre le pene sottostanno al principio di irretroattività, le misure di sicurezza invece sono rette dal principio di retroattività. La diversa disciplina della successione di leggi penali nel tempo tra pene e misure di sicurezza è stata giustificata in ragione della diversità di funzioni svolte dalle due sanzioni. Misure di sicurezza personali
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