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Riassunto Manuale di Diritto Penale Parte generale Grosso, Pelissero, Petrini, Pisa, Appunti di Diritto Penale

Descrizione dettagliata integrata da appunti completi su ogni argomento del Manuale di Diritto penale Parte generale, utilizzati per preparare l'esame della Professoressa Annamaria Peccioli.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 13/05/2021

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Scarica Riassunto Manuale di Diritto Penale Parte generale Grosso, Pelissero, Petrini, Pisa e più Appunti in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! Capitolo 1 – diritto penale, reato, pena Il diritto penale disciplina i fatti che costituiscono reato e le relative sanzioni (diritto civile: regola i diritti dei cittadini ed i rapporti fra privati, diritto amministrativo: disciplina l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche e rapporti fra pubbliche amministrazioni e cittadini). La funzione del diritto penale è tutelare gli interessi umani, quindi con una concezione utilitaristica elaborata a fine 700 ed arricchita nell’800 con la convinzione secondo cui il diritto penale dovrebbe essere interpretato come extrema ratio di protezione giuridica. Accanto a questa concezione si sono sviluppati altri orientamenti che hanno individuato nel diritto penale concetti etico morali e retribuzionistici. Si è quindi aperta la strada a concezioni autoritarie del diritto penale che individuano nella commissione del reato un attentato all’autorità dello Stato che giustificava l’intervento penale contro il colpevole. Intorno al 1960 nasce la concezione del diritto penale inteso come protezione degli interessi con l’interesse di ripristinare un rapporto corretto fra i concetti di autorità e libertà: questo ritorno alle origini illuministiche del diritto penale ha permesso di mettere basi salde per impostare il dibattito ottocentesco sui beni giuridici, concetto che ha preso vigore dalla seconda metà dell’800. Divenne evidente anche il concetto di offesa dell’interesse che la norma penale mira a proteggere: un fatto inoffensivo doveva essere considerato penalmente irrilevante (non reato). Il reato è punito con sanzioni che consistono in pene e misure di sicurezza, queste sono attribuite dai giudici penali, imparziali ed indipendenti; giudicano nel rispetto delle garanzie degli imputati (illecito civile: sanzionato con risarcimento del danno e restituzioni normalmente valutate dal giudice civile, illecito amministrativo: punito con sanzioni amministrative come sanzioni pecuniarie, interdizioni, prescrizioni e obblighi di ripristino applicate di solito dalla stessa pubblica amministrazione); il reato si distingue dall’illecito civile in quanto è caratterizzato dalla specifica tipizzazione di ciascun illecito. Dal punto di vista formale, il reato è un fatto vietato dalla legge penale la cui commissione comporta l’applicazione di una sanzione penale; questa è una definizione formale perché si limita a disciplinare il modo con il quale orientamento reagisce al compimento di quei fatti, non la loro natura. Le pene principali sono elencate tassativamente nel codice (ergastolo, reclusione e multa per i diritti, arresto e ammenda per le contravvenzioni). Dal punto di vista sostanziale, in materia positivistica o sociologica, si è sostenuto che i delitti sarebbero mala in sé, reato è ciò che turba gravemente l’ordine etico, ciò che urta la moralità media di un popolo in un determinato momento storico. Antolisei sostenne che il reato è il comportamento umano che contrasta con i fini dello Stato ed esige come sanzione una pena criminale. Bricola sostiene, in chiave più moderna, che ciò che deve essere considerato reato e cosa non si può trovare nella Costituzione che fornisce il catalogo dei valori fondamentali: su questa base il reato si potrebbe definire come “illecito che offende beni che, alla luce dei valori costituzionali, devono essere considerati di maggiore importanza e meritevoli di essere protetti sul terreno del diritto penale”. Sempre dal punto di vista sostanziale, è possibile individuare altre “spinte” nella giurisprudenza della CEDU (art. 6-7 prevedono garanzie sostanziali quali irretroattività, determinatezza, divieto di analogia, colpevolezza. Art. 6: garanzie relative alla materia penale; art. 7: garanzie soprattutto procedurali): l’approccio della Cedu mira ad evitare la truffa delle etichette (uno Stato che qualifica come non penale una certa infrazione, sottrae quel fatto e la relativa sanzione alle più elevate garanzie riservate dalla Cedu alla materia penale). Questa è una giurisprudenza diffusa in modo non sempre coerente e lineare e sviluppata dal caso Engel vs Paesi Bassi 1976 (sanzioni disciplinari militari in relazione alla libertà personale), caso Sud Fondi vs Italia 2009 (si riconosce la natura penale alla confisca urbanistica, art. 44 c. 2 dpr 2001) e più recentemente caso Grande Stevens vs Italia (alla materia penale viene ricondotta una sanzione pecuniaria come sanzione amministrativa inflitta alla Consob per manipolazione del mercato che costituirebbe allo stesso tempo, appunto, sia un illecito penale che amministrativo con relative sanzioni. Però l’art. 4 protocollo 7 Cedu dice che non si può essere giudicati, assolti o puniti due volte per lo stesso reato, è stato quindi punito con sanzioni amministrative ma non sottoposto a processo penale). Questa giurisprudenza tende a considerare materia penale ogni illecito al quale l’ordinamento reagisce con una sanzione caratterizzata da un contenuto sostanzialmente punitivo e/o da una dimensione intrinsecamente afflittiva. Criteri sostanziali applicabili sono: natura dell’infrazione o dell’illecito, natura e gravità della sanzione. Il codice vigente prevede due specie di sanzioni penali (entrambe sono tassativamente elencate nella parte generale del cp ed entrambe vengono applicate dal giudice penale nel corso di un processo con le caratteristiche garantiste del processo penale): □ misure di sicurezza: destinate a recuperare alla società (reintrodurre) gli autori del reato socialmente pericolosi attraverso la rimozione delle cause della loro pericolosità sociale (sistema del doppio binario); sono indeterminate nella loro durata perché si protraggono fino a quando perdura la pericolosità sociale del soggetto, vengono inflitte dal giudice di cognizione ma sono eseguite da un giudice diverso a cui compete ogni valutazione in ordine alla cessazione dei presupposti della loro applicazione □ pene: destinate ad assicurare la prevenzione generale; sono individuate in astratto dal legislatore fra un minimo ed un massimo edittale secondo un rapporto di proporzionalità con la gravità del reato e in concreto dal giudice in sede di giudizio Funzione della pena: in relazione alla funzione del diritto penale intesa come protezione di interessi meritevoli di tutela incisiva, la funzione principale della pena deve essere la prevenzione generale, infatti, la minaccia di una sanzione disincentiva il delinquere. La prevenzione per essere efficace prevede che la pena sia applicata rapidamente ed inflessibilmente. La Costituzione (art. 27 c. 3) stabilisce che le pene non devono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere (possono anche non riuscire) alla rieducazione del condannato: altra funzione della pena è allora quella rieducativa - Idea e presupposti della responsabilità penale: i positivisti negano l’esistenza del libero arbitrio poiché il commettere un reato è sintomo di devianza, il suo autore è anormale; deve quindi essere rieducato, curato e aiutato (i classici invece sostenevano che il reo fosse libero di scegliere fra osservanza e violazione) - Concetto di sanzione penale: se il reo è considerato anormale, che senso ha punire un soggetto in modo proporzionato alla sua azione che non è moralmente/lucidamente responsabile delle sue azioni? Allora la pena è stata sostituita da una misura di natura preventivo-sociale, di difesa sociale, destinata a rimuovere le cause della devianza con durata indeterminata (in base alle terapie per il soggetto e la cessazione della sua pericolosità sociale) Sviluppi della Scuola: si è sviluppata troppo tardi per poter incidere sul Codice penale unitario 1889 (Zanardelli) ma nel 900 è imposta come scuola vincente tanto che Enrico Ferri negli anni 20 è stato incaricato di elaborare un progetto di codice penale basato sulla protezione della società e principi offerti dalla scuola positiva (evoluti e rielaborati). Questo progetto di codice fu pubblicato nel 1921 ma non ebbe seguito a causa degli eventi politici italiani subito seguenti come la marcia su Roma del 1922 e l’avvento del fascismo; qualche principio in tema di protezione sociale penetrò tuttavia anche nel codice penale Rocco 1930. Nella prima decade del 900, quando il dibattito tra le due scuole, classica e positiva, era al suo culmine, inizia a manifestarsi in Italia una reazione ad entrambe: ciò trovò applicazione nella prolusione all’Università di Sassari per mano di Arturo Rocco (1910). Rocco crede che il diritto penale sia in crisi a causa della sovrapposizione tra diritto, antropologia, psicologia, statistica, sociologia, sociologia del diritto e politica. Entrambe le scuole sono inaccettabili: quella classica per aver preteso l’elaborazione di un diritto penale assoluto, immutabile, universale e lontano dalla realtà delle legislazioni (c’è tuttavia qualche elemento di continuità con la scuola classica, es. elementi di reato, funzione retributiva della pena) e quella positiva per aver affermato che il diritto penale non è altro che un capitolo della sociologia, inoltre, per lui, esagerare con la protezione della società avrebbe contrastato il diritto di libertà del cittadino. Cosa bisogna fare? Restare attaccati allo studio del diritto vigente, l’unico che può essere oggetto della scienza giuridica penale che deve essere circoscritta ad un sistema di principi di diritto, una teoria giuridica, una coscienza scientifica della disciplina giuridica dei delitti e delle pene → indirizzo tecnico giuridico. Tecnicismo giuridico: compito del giurista è solo interpretare correttamente le leggi e costruire dogmaticamente gli istituti giuridici in conformità al diritto positivo; filosofia, sociologia criminale, politica criminale ed antropologia sono solo un ostacolo alla purezza della ricerca scientifica. Allora, scienza giuridica e politica criminale diventano mondi separati (rette parallele): la prima si deve occupare della realtà normativa scelta dal legislatore, la seconda è esclusivamente praticata da politici, politologi e sociologi. Questo approccio di Rocco divenne metodo di lavoro dei giuristi italiani dell’epoca, insegnamento universitario e prassi giuridica. Con l’affermarsi della dittatura nel nostro Paese, e quindi del no al libero dibattito di idee o alla critica del potere, il tecnicismo giuridico sarebbe diventato ottimo strumento di rifugio per i giuristi, il modo più tranquillo di esprimersi ed insegnare diritto. Diritto penale: è nell’ambito del diritto pubblico (un sottosettore del diritto pubblico), non regola infatti rapporti fra privati, ma fra cittadini e Stato; si può dire che è l’insieme di quegli istituti e norme incriminatrici che disciplinano i fatti che costituiscono reati, disciplina ed indica inoltre le sanzioni applicabili ai soggetti che realizzano queste fattispecie incriminatrici. Reato: definizione formale - fatto tipico antigiuridico colpevole (sono gli elementi del reato che devono essere presenti congiuntamente ed in ordine, poiché questi tre elementi tipicità, antigiuridicità e colpevolezza rispecchiano l’ordine con cui un giudice deve accertare la sussistenza del reato: prima accerta la tipicità, poi l’antigiuridicità in negativo ed infine si occupa della colpevolezza, dell’elemento oggettivo). Se manca uno degli elementi costitutivi del reato, non esiste reato, il fatto non è punibile “in senso atecnico”. Il reato è quel fatto vietato dalla legge penale la cui commissione comporta l’applicazione di una sanzione di carattere penale, questa è una nozione di carattere formale, non sostanziale. Qual è la funzione della sanzione? Cosa legittima il ricorso dello Stato alla sanzione penale? La sanzione può assolvere a 3 diverse funzioni in base al momento/contesto che si prende in considerazione: 1. Funzione retributiva: idea tradizionale e storica, tipica di concezioni autoritarie di cui il nostro cp è figlio (1930); la pena si legittima perché va intesa come un male inflitto dallo Stato per compensare/ retribuire il male che il soggetto autore del reato ha inflitto ad una vittima o allo Stato commettendolo (teoria retributiva). sono estranei alla funzione della pena gli effetti, è indifferente la finalità per cui viene applicata una pena, l’importante è la funzione retributiva. Questa è l’idea più tradizionale della funzione della pena, tipica delle concezioni autoritarie di cui il nostro Codice penale è figlio. Il nostro cp è del 1930, è stato adottato in piena epoca fascista: in alcune sue parti ancora oggi risente dell’ideologia autoritaria di quell’epoca. Alcuni istituti sono stati ovviamente modificati grazie all’avvento della Carta costituzionale e quindi poi al ruolo fondamentale della Corte costituzionale, però ancora oggi il Codice penale risente di questa ideologia. Sono estranei alla funzione della pena gli effetti, è indifferente la finalità per cui viene applicata una pena, l’importante è la funzione retributiva. 2. Funzione general preventiva: il ricorso alla pena è legittimato perchè la sanzione è uno strumento in grado di orientare le scelte di comportamento della generalità dei consociati; fa quindi leva sull’intimidazione grazie al lato afflittivo della pena. Dovrebbe allora poter neutralizzare le spinte a delinquere dei consociati 3. Funzione special preventiva: il ricorso alla pena è legittimato dal fatto che è in grado di prevenire che quel singolo soggetto a cui la sanzione viene applicata commetta nuovi fatti di reato, sempre facendo leva sull’intimidazione ma in un’ottica di risocializzazione del soggetto Il diritto penale moderno è legato ad un’idea a cavallo tra 700 e 800, ovvero che il diritto penale e il ricorso alla sanzione penale, dato il suo carattere afflittivo, doveva essere usato in extrema ratio; la sua funzione era quella di proteggere determinati interessi meritevoli di tutela; Bricola, scuola modenese, aveva annunciato negli anni 70 la “teoria dei beni giuridici di rilevanza costituzionale” intendendo che il diritto penale è ammissibile solo dove vi è un bene di rilievo costituzionale da tutelare. Codice penale (i reati non si esauriscono qui: diritto internazionale, diritto amministrativo, ecc.…) è diviso in tre libri: Libro 1: “parte generale”, quindi istituti e analisi delle norme tendenzialmente applicabili a tutte le fattispecie di reato. Tratta il principio di legalità nelle sue varianti e corollari, il fatto tipico, la colpevolezza, l’antigiuridicità e di come il reato si può manifestare (in concorso, in tentativo), del sistema sanzionatorio e quant’altro. Libro 2: (norme incriminatrici) delitti; qui il catalogo dei reati di parte speciale ha inizio con l’individuazione dei reati contro la personalità dello Stato, mentre i reati contro la persona che in un’ottica costituzionale art.2 Cost. iniziano dagli art. 575 in avanti. Quindi, questa centralità dei reati contro lo Stato a discapito dei reati contro la persona che caratterizza le norme di parte speciale è già indicativa della concezione autoritaria del 1930 del nostro Codice. Altro esempio sono le ipotesi di responsabilità oggettiva, che vedremo assieme, ossia l’imputazione di un reato a un soggetto sulla base del semplice rapporto causa- effetto o le molteplici responsabilità di posizione. Libro 3: (norme incriminatrici) contravvenzioni L’avvento della Costituzione del 1948 è fondamentale grazie ai principi di civiltà giuridica che hanno consentito l’intervento della Corte costituzionale che ha reso incostituzionali o reinterpretato alcune norme del 1930, piena epoca fascista In realtà, il catalogo dei reati non si esaurisce nel nostro codice nonostante l’ art. 3 bis parli di riserva di codice. Ci sono alcune norme di parte speciale che sono previste in leggi ad hoc, in Testi Unici separati o addirittura nel Codice civile penso ad esempio ai reati societari, penso al Testo Unico in materia edilizia o al Testo Unico in materia ambientale o al Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti… Vediamo alcuni articoli della nostra Costituzione in tema di diritto penale:  Art. 2  Art. 3: il principio di ragionevolezza e uguaglianza riconducibile al principio di retroattività favorevole della legge penale  Art. 10: comma 1 in tema di conformità dell’ordinamento giuridico alle norme del diritto internazionale (legate al diritto penale)  Art. 13: forse il più importante (comma 2 – limitazioni imposte se previste dalla legge)  Art. 14: domicilio; sequestri e perquisizioni  Art. 15: segretezza e libertà di corrispondenza  Art. 18  Art. 21  Art. 24: diritto alla difesa  Art. 25: ha rilievo penale in tutti i suoi commi (comma 2 in particolare, di ispirazione illuminista e con collegamento all’art. 49 della Carta dei diritti UE e art. 7 della CEDU); principio di legalità, riserva di legge, tassatività, ecc.  Art. 25: comma 3 parla delle misure di sicurezza  Art. 26: estradizione; prevede collaborazione tra Stati  Art. 27: principio di colpevolezza, uno dei criteri giuda per selezionare i fatti penalmente rilevanti, un altro es. è il principio di offensività (non vi può essere reato senza un'offesa a un bene giuridico)  Art. 27 comma 3: le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato  Art. 68: immunità parlamentari  Art. 90: immunità del Presidente della Repubblica  Art. 111: giusto processo relativamente al principio di giusta durata  Art 112: PM con obbligo di esercizio penale  Art. 117 L: riparto competenze stato-regioni; solo lo stato può legiferare in materia penale (non le regioni) Al loro interno, i reati possono essere suddivisi, secondo il criterio formale della pena principale per essi prevista, in (norma 39 cp: i reati si distinguono in base alla sanzione prevista dal cp per qualità e quantità, NON riferendosi alla divisione tra libro 2 e 3 poiché i reati sono sparsi anche in altri codici): Il diritto penale d’autore e diritto penale e morale sono entrambe categorie che si escludono per via dell’applicazione del principio di offensività: Diritto penale d’autore: non si ritiene ammissibile che ciò che rileva non sia il fatto me le qualità personali dell’autore del fatto Diritto penale e morale: riguarda i fatti che vengono considerati moralmente riprovevoli; questi, infatti, non possono considerarsi a prescindere costituenti reati in ragione del pluralismo delle società contemporanee. A riguardo vi è un acceso dibattito tra due scuole: o Paternalismo penale : afferma che ciò che rileva è il bene della persona stessa, quindi deve essere tutelato a prescindere, anche qualora sia lo stesso proprietario a lederlo o Liberalismo penale : ritiene che l’ordinamento debba limitarsi a tutelare i terzi Al di là di questi limiti, non v’è dubbio che la nozione di bene giuridico abbia permesso un’interpretazione evolutiva degli interessi tutelati, interpretazione favorita dall’influenza della Costituzione e dal mutamento continuo del contesto socioculturale. L’individuazione del bene giuridico è rimessa di volta in volta all’interprete che, al fine di tutelare ulteriori posizioni spesso di interesse pubblico, ha elaborato la categoria dei beni strumentali, cioè di beni da tutelare per garantire i beni finali. Oltre a questi, parte della dottrina ha anche evidenziato la fattispecie posta a tutela di funzioni (non di beni) che si verifica nelle attività sottoposte ad autorizzazione, come ad esempio l’attività bancaria; la distinzione è stata elaborata al fine di restringere il campo di applicazione del diritto penale, ma su questo punto non tutti sono d’accordo nel ritenere corretto escludere dal campo del diritto penale questi ambiti, anche perché le autorizzazioni esistono a garanzia di interessi in linea di massima rilevanti. Principio di proporzionalità o meritevolezza: esprime la necessità che la sanzione penale (la più grave sanzione dell’ordinamento) sia proporzionale alla tutela del bene. Nel giudicare la proporzionalità della reazione penale va tenuto in considerazione il tipo di bene offeso e le modalità di aggressione. Il principio di proporzionalità trova fondamento costituzionale all’art. 27, perché una pena non può dirsi proporzionata se ricorre alla detenzione e quindi alla privazione della libertà personale sancita come inviolabile all’art. 13. Un bene può quindi essere meritevole di tutela penale qualora sia ad esempio garantito nella costituzione, oppure lo possono essere gli interessi che godono di riconoscimento nel contesto sociale: in particolare questo implica che tali interessi devono essere sempre valutati alla luce dei rapporti sociali nei quali si inseriscono (e il legislatore in questo caso si pone come ruolo di filtro al fine di razionalizzare le istanze punitive) e implica inoltre che il legislatore non può inculcare il rispetto di valori nei quali la comunità non crede attraverso la sanzione penale. Principio di sussidiarietà o di bisogno della pena: afferma che la sanzione penale va applicata solo qualora ci sia un effettivo bisogno di pena, cioè quando gli altri strumenti dell’ordinamento risultano non idonei: in tal senso quindi la sanzione penale è l’extrema ratio a disposizione dell’ordinamento. Sia il principio di meritevolezza (o di proporzionalità) che quello di bisogno della pena (o sussidiarietà) servono come direttive di politica criminale per il legislatore al fine di andare verso un diritto penale tendenzialmente minimo che agisca in modo frammentario, cioè solo per le offese che paiono più gravi. Principio di efficacia della tutela: afferma che la pena deve essere uno strumento efficace per la tutela del bene e non un puro intervento simbolico. Anche questo principio ha copertura costituzionale agli art. 13 e 27 comma 3. Nella prassi il principio è stato spesso poco considerato, emblematico l’introduzione del reato di immigrazione clandestina (art. 10-bis del testo unico sull’immigrazione introdotto con l.94/2009) che non ha in alcun modo tutelato i flussi migratori né ha affrontato in modo efficace il problema delle migrazioni, ma al massimo ha fomentato il clima di intolleranza verso la “diversità” dell’immigrato. Obblighi di tutela penale □ Obblighi espliciti : art. 13 comma 4, è punita ogni violenza sulle persone sottoposte a restrizione di libertà □ Obblighi impliciti : la Costituzione non prevede obblighi impliciti di tutela penale, al massimo stabilisce alcuni limiti (come abbiamo appena visto) □ Obblighi sovranazionali : tali obblighi possono derivare sia da fonti europee (direttive), sia dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e sono tradotte in un vincolo costituzionale con l’art. 117 della Costituzione La giustiziabilità davanti alla Corte costituzionale di un obbligo di incriminazione è giustificata nel solo caso in cui il reato sia stato codificato e successivamente depenalizzato, mentre una mancata recezione costituisce piuttosto la possibilità di ricorso alla procedura di infrazione presso gli organi UE. Principio di colpevolezza: afferma che non si accetta che la responsabilità penale si basi esclusivamente in modo oggettivo, bisogna piuttosto che dolo e colpa rivestano gli elementi più significativi della fattispecie incriminatrice. Tendenze: ipertrofia (sviluppo eccessivo) penale, populismo penale e diritto penale della prevenzione L’ordinamento italiano ha tentato a più riprese di adeguare e diminuire gli ambiti della repressione penale: un primo, se vogliamo “ostacolo” è rappresentato dall’art. 112 della Costituzione che sancisce l’obbligo di esercitare l’azione penale (obbligatorietà dell’azione penale), obbligo necessario per completare il principio di legalità sostanziale. Il primo filtro operato dal legislatore è la depenalizzazione dei cd reati bagatellari, cioè le fattispecie che risultano del tutto marginali per qualsivoglia motivo. Alcuni reati sono stati quindi depenalizzati in quanto minori, trasformando delitti e contravvenzioni in illeciti amministrativi. In generale però gli interventi sono stati tutti alquanto timidi perché hanno solo toccato reati che già prevedevano una sola pena pecuniaria, mentre sono stati più efficaci gli istituti introdotti nel 2014 (l.67/2014) per cui alcuni casi, pur costituendo reato, non sono puniti se sussistono particolari condizioni. È allo stesso tempo vero però che il legislatore ha anche perseguito una politica criminale basata sulla prevenzione, permettendo la proliferazione de reati di pericolo, l’introduzione di beni giuridici strumentali e di misure di sicurezza. Ciò che preoccupa inoltre è il cd populismo penale, cioè l’utilizzo dello strumento penale al fine di favorire la propria comunicazione politica, portando anche a risulti controproducenti o del tutto inutili (esempio è la “legge sulla legittima difesa” 2019 e i “decreti sicurezza” 2018 e 2019). CAPITOLO 4 (16/17.02.2021) Analizziamo i principi generali e fondamentali di garanzia del diritto penale che trovano enunciazione nel cp e in alcuni casi anche nella Carta costituzionale. Principio di legalità Individua nella legge e nelle sanzioni una garanzia della potestà punitiva dello Stato. Trova la sua genesi durante l’Illuminismo ed in particolare dall’opera di Cesare Beccaria “De i delitti e delle pene”; si ispira alla teoria della separazione dei poteri di Montesquieu e la previsione legislativa di ciò che assume rilevanza penale è a garanzia dal potere esecutivo e giudiziario. Trova una sua enunciazione, prima del nostro cp, nella Carte dei diritti del 74 e nella Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e cittadino dell’89; la motivazione giuridica alla base è la cd prevenzione generale. Il principio di legalità dell’ordinamento si basa sull’assunto per cui le leggi penali devono essere emanate da un Parlamento democraticamente eletto (art. 25 Cost.). Feuerbach, penalista tedesco scrive “nullum crimen sine poena, nulla poena sine lege” ovvero, in un’ottica di prevenzione generale, l’inflizione di una pena deriva dalla prevenzione di una legge (dalla minaccia/violazione di una legge). Questo principio di garanzia viene poi ripreso nel Codice Zanardelli 1889 (impronta liberale) e nel Codice Rocco (risente dell’ideologia fascista) che si apre all’art. 1 proprio con il principio di legalità: nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto dalla legge (centralità della legge) e all’art. 199 (ratio: certezza del diritto e garanzia per il cittadino che così è in grado di prevedere la rilevanza penale del proprio comportamento). SI articola in una serie di sotto principi interdipendenti fra loro:  Principio di riserva di legge: attiene alle fonti del diritto penale  Principio di determinatezza o precisione: attiene alle tecniche di redazione normativa della fattispecie  Principio di tassatività: aspetto che attiene all’interpretazione delle norme  Principio di irretroattività e di successione di leggi penali nel tempo: al governo l’applicazione della legge penale nel tempo Principio di riserva di legge: attiene alle fonti del diritto penale (chi e che cosa può dare ad una condotta carattere penale); parlarne comporta parlare di fonti, chi e cosa può introdurre una norma penale, dare rilevanza penale a una certa condotta e introdurre sanzioni. Nel nostro ordinamento non esiste un sistema a legalità sostanziale, in cui è considerato reato il fatto socialmente pericoloso, ma un sistema a legalità formale in cui è considerato reato il fatto previsto come tale dalla legge (si tende a ritenere reato ciò che è potenzialmente pericoloso per la collettività anche se la Corte costituzionale ha cercato di dare una connotazione più precisa). La riserva di legge è prevista nel codice Zanardelli e Rocco, in quest’ultimo nell’art. 1 e nell’art. 109. La ratio del principio di riserva di legge è una ratio di certezza, di garanzia del cittadino. Il termine legge ad una prima interpretazione letterale va inteso in senso formale. Questo principio trova enunciazione anche nella Costituzione all’art. 25 al comma 2, ed il fatto che il principio abbia copertura costituzionale è importante perché questo gli garantisce totale garanzia, una garanzia ulteriore (se un principio è costituzionale non può essere scavalcato da altre leggi come invece accade per le leggi ordinarie e per modificarlo sarebbe necessario un processo aggravato di modifica della Costituzione). Oggi si ritiene che la riserva di legge sulla materia penale sia da intendersi assoluta. È però accettato il cd rinvio recettizio, cioè il rinvio da parte di una norma ad un precedente regolamento non più modificabile, mentre non è ammissibile il rinvio mobile, cioè un rinvio ad un regolamento modificabile. Diversa invece è il caso di integrazione di carattere tecnico, cioè l’ipotesi in cui una norma venga integrata da una fonte subordinata in ragione del carattere tecnico della materia, come è il caso dell’individuazione delle sostanze psicotrope, periodicamente aggiornata dal Ministero della Salute mediante decreto ministeriale. Ulteriore questione sono le norme penali in bianco, cioè le fattispecie che richiamano un provvedimento amministrativo. Tipico esempio è la contravvenzione prevista per chi non osserva un provvedimento dato dall’autorità per ragioni di sicurezza pubblica (art. 650 c.p.). Perché una norma del genere risulti costituzionalmente legittima, è necessario che vi sia una sufficiente specificazione del precetto da parte della norma di legge e che si riferisca in ogni caso ad un provvedimento amministrativo di carattere specifico e non generale. Il principio della riserva di legge è espresso anche all’art. 1 del Codice penale, ed esprime un principio consolidato nel modello di legalità formale al quale l’ordinamento italiano si ispira, si impone cioè che il giudice consideri reato solo ciò che è previsto come tale dalla legge. Più precisamente ad oggi si considerano “legge” in tal senso le leggi costituzionali, le leggi ordinarie, i decreti governativi in tempo di guerra e, secondo l’opinione dominante, anche i decreti-legge e i decreti governativi. Quando parliamo di legge si fa riferimento alla legge del Parlamento, altre leggi in senso formale sono le leggi costituzionali (anche se in materia penale non sono molte; esempio: legge costituzionale n. 1 del 1989 che prevede ipotesi di reato ministeriale). In senso materiale abbiamo invece il decreto-legge ed il decreto legislativo: possono introdurre norme penali? Si, ma con dei limiti forti in quanto espressione del potere esecutivo relazione alla tutela dell’ambiente impone agli Stati membri di prevedere norme penali efficaci, proporzionate e dissuasive – per la prima volta - verso atti contro l’ambiente) e atti riconducibili al terzo pilastro dell’UE (convenzioni, decisioni quadro: questi atti non imponevano alcun obbligo verso gli Stati che non si adeguavano, erano finalizzate alla armonizzazione delle legislazioni penali dei membri). Negli anni precedenti al 2008 il legislatore comunitario approva delle decisioni quadro in materia penale individuando gli elementi minimi comuni di alcune fattispecie penali gravi a cui gli stati avrebbero dovuto armonizzare i loro ordinamenti – esempio: sfrutta mento dei minori, tratte, terrorismo. Nel 2005, la Corte di giustizia nella sentenza Pupino stabilisce che le decisioni quadro potevano essere utilizzate anche a fini interpretativi: ovvero per interpretare degli elementi oscuri, indeterminati nelle fattispecie penali interne senza necessità di andare a modificarle. Trattato di Lisbona: approvato nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009 (art. 83 – 86) – trattato di funzionamento dell’UE abolisce i pilastri e nell’art 83 inserisce le coordinate/linee guida dell’intervento dell’UE in materia penale.  Art 83 paragrafo 1 : parlamento e consiglio mediante direttive possono individuare norme minime relative alla definizione di reati e sanzioni in relazione a sfere di criminalità particolarmente grave e con dimensione transnazionale e comune (criminalità organizzata, terrorismo, traffico esseri umani, abusi sui minori, traffico di sostanze stupefacenti)  Art. 83 paragrafo 2 : stabilisce che Parlamento e Consiglio, attraverso direttive, possano introdurre norme minime comuni in relazione a fattispecie incriminatrici e sanzioni in relazione a materie gravi quando l’armonizzazione/ravvicinamento delle disposizioni nazionali sia indispensabile per un’attuazione efficace della politica dell’UE (la competenza dell’UE in materia penale rimane sempre e soltanto una competenza indiretta: richiedere agli stati membri l’adozione di nome regolatrici necessarie per tutelare interessi dell’UE o interessi riconducibili a più stati di sicurezza e giustizia) Le fonti comunitarie possono però imporre – sulla base dei tre Trattati - agli Stati membri l’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici a tutela degli interessi comunitari o di particolare rilievo sovranazionale: dopo il 2007, l’art. 83 del Trattato di funzionamento dell’UE (TFUE) – (e già precedentemente dal Trattato di Lisbona) prevede che Parlamento e Consiglio possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia criminale grave con dimensione transnazionale con necessità di essere affrontate su basi comuni oppure di norme minime su reati e sanzioni che garantiscono l’attuazione efficace della politica dell’UE (tutela mediata o indiretta). Già prima del Trattato di Lisbona, l’UE con riguardo alla lotta alla criminalità aveva emanato direttive che chiedevano agli Stati membri che questa venisse combattuta con sanzioni efficaci e dissuasive. Col tempo l'influenza dell’UE si è fatta sempre più pressante. Fino al 2006 la nostra Corte di cassazione applica questo concetto in relazione al termine “finalità di terrorismo”, contenuto in una decisone quadro dell’UE del 2001. D.lgs. 70 del 2003 → provider; sono previste sanzioni amministrative riguardo gli obblighi di informazione e uso delle comunicazioni commerciali nel mercato interno (reali online: basta la responsabilità civile) Art. 5 Decisione Quadro 2004 → ogni Stato membro può adottare le misure necessarie per punire reati di sfruttamento sessuale e pornografia infantile con sanzioni penali (con privazione della libertà da 1 a 3 anni) Ricordiamo sempre la preminenza del diritto comunitario, ovvero ogni volta che c’è contrasto tra norme interne e norme europee, queste ultime devono prevalere sul diritto nazionale (ruolo chiave della Corte di Giustizia delle Comunità Europee) ma, per rendere questo principio reale dobbiamo chiederci: attraverso quali strumenti/mezzi i Paesi membri recepiscono le direttive europee ed introducono nei loro ordinamenti delle nuove fattispecie incriminatrici? → Unificazione: individuazione di un unico strumento penale vigente in tutti gli ordinamenti degli Stati membri, tuttavia giustamente non tutti sono disposti a rinunciare alla propria tradizione penalistica → Assimilazione: l’UE invita i Paesi membri ad estendere la tutela penale a specifici interessi rilevanti per tutta l’Unione → Armonizzazione: gli Stati membri introducono nuove fattispecie incriminatrici sulla base delle indicazioni delle direttive dell’UE L’unificazione è sicuramente il modello meno utilizzato perché può condurre a sostanziali disparità di trattamento tra i diversi paesi, infatti le fattispecie penali sono ricalcate su ipotesi delittuose già esistenti nei diversi codici penali, e quindi potenzialmente molto differenti tra loro. Anche per questo motivo si tende ad utilizzare il modello dell’armonizzazione, che però ha come difetto la possibilità che un paese non recepisca la direttiva: un’ipotesi, tuttavia, che deve fare i conti con lo strumento che l’Unione Europea ha a disposizione per contrastarla, cioè la procedura di infrazione, che può portare al pagamento di ingenti somme di denaro. Bisogna precisare che il nostro ordinamento mantiene comunque un’ampia autonomia lasciata dallo strumento delle direttive europee, autonomia che però non sempre è stata a pieno sfruttata (emblematico il reato di pedopornografia virtuale, cioè che ha come oggetto minori interamente ricreati al computer, e che quindi la dottrina ha criticato per mancanza di lesione di un bene giuridico; perciò il legislatore avrebbe potuto benissimo decidere di non usare la sanzione penale, cosa che non ha fatto). Contrasti tra norma penale interna e normativa comunitaria Come si deve porre il giudice nell’applicazione delle norme comunitarie – soprattutto se in contrasto con quelle nazionali? (documento) Alcune norme UE dotate di efficacia diretta, contrastanti con norme penali statali, possono paralizzare in tutto o in parte l’applicabilità del diritto interno in forza del principio del primato del diritto UE sul diritto nazionale. Infatti, ai sensi degli art. 11 e 117 Cost., la Corte costituzionale ha ribadito il principio di preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, e perciò il giudice italiano deve tenere conto della disciplina europea in caso di contrasto tra le due. Quali sono le norme UE con efficacia diretta? Trattati, regolamenti e direttive (se dettagliate e se è decorso il termine per l’attuazione della direttiva). La nostra normativa può risultare incompatibile con le norme Ue; possiamo parlare di incompatibilità totale o parziale Incompatibilità totale: quando la norma UE rende totalmente incompatibile la norma penale nazionale (la paralizza) nella sua totalità Esempio 1: Corte giustizia Taricco in tema di prescrizione del reato (2015) Esempio 2: Corte Giustizia EL Dridi 2011 in tema di immigrazione È possibile per il giudice nazionale invocare i cd. “contro limiti”? L’obbligo di disapplicazione per il giudice italiano di normativa nazionale incompatibile con norma UE sussiste comunque se si pone in contrasto con un principio cardine dell’ordinamento giuridico (contro limiti); si, è possibile (ce lo dimostra la vicenda Taricco). Contro limiti: principi generali invocabili dalla corte in caso di incompatibilità tra norme nazionali e UE (principio di legalità, irretroattività e determinatezza). La preminenza del diritto UE rispetto alla legge nazionale ha un limite: è possibile richiamare i contro limiti, ovvero principi generali comuni agli Stati membri (legalità, irretroattività e determinatezza); la Corte costituzionale (24/2017), chiamata ad applicare i contro limiti per escludere la disapplicazione della disciplina dell’interruzione della prescrizione, partendo le mosse dalla logica e prevedibile premessa che nell'ordinamento giuridico italiano la prescrizione sia un istituto di natura sostanziale e che il suo regime sia soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall'art. 25 comma 2, Cost. sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 tfUe, una serie di questioni di interpretazione dell'art. 325, paragrafi 1 e 2, del medesimo trattato. Effetti nei casi pratici (in particolare in caso di sentenza definitiva di condanna):  Cessa l’esecuzione della sentenza di condanna e ne vengono meno gli effetti penali; si ha un’applicazione analogica dell’art. 673 del codice di procedura penale che prevede la revoca della sentenza in caso di abrogazione o dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice Ai sensi degli art. 11 e 117 Cost., la Corte costituzionale ha ribadito il principio di preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, e perciò il giudice italiano deve tenere conto della disciplina europea in caso di contrasto tra le due → Disapplicazione della norma penale interna: se il contrasto avviene tra l’ordinamento interno e una norma di un Trattato, un regolamento o una direttiva, il giudice è tenuto a disapplicare la normativa interna (esempio: 2012, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee dichiarò che la pena detentiva nei confronti dello straniero che non ha ottemperato all’obbligo espresso dal giudice di lasciare il suolo italiano fosse contraria ai principi dettati da una direttiva comunitaria - 2008/115/CE) → Disapplicazione di norme penali interne di favore: anche nel caso di norme penali di favore deve avvenire la contestuale disapplicazione da parte del giudice. L’aspetto più problematico è rappresentato dal dovere di disapplicazione da parte del giudice italiano delle norme penali interne di favore a seguito di una pronuncia della Corte europea di giustizia, questione che è stata oggetto nella vicenda Taricco, un caso di gravi frodi fiscali in materia di IVA. Il problema è sorto riguardo ai termini di prescrizione del reato (art. 160-161 cp), che secondo la Corte di Lussemburgo sarebbero andati contro il dovere di tutelare l’interesse economico dell’UE, e pertanto il giudice interno avrebbe dovuto disapplicare la legge italiana in favore di quella UE (art. 325 TFUE). Questa soluzione però violerebbe su due aspetti il principio di legalità: innanzitutto vi sarebbe un illegittimo rovesciamento dei rapporti tra legge e giudice penale, perché quest’ultimo dovrebbe applicare una norma sfavorevole di creazione giurisprudenziale, inoltre sarebbe violato il principio di irretroattività della legge penale, perché si applicherebbe una disciplina più sfavorevole che non era in vigore al momento del compimento del fatto. Il problema è stato infine risolto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 115/2018), che ha ritenuto che il giudice non dovesse disapplicare la normativa interna in favore di quella comunitaria qualora questo significhi andare contro il principio di legalità Ulteriori vincoli: obbligo di interpretazione conforme e divieto di analogia Tra le diverse interpretazioni il giudice deve scegliere quella più conforme ai principi del diritto comunitario; vi sono però due limiti  Divieto di analogia in malam partem: il giudice non può legittimare l’integrazione della norma penale interna con quella comunitaria quando questa si traduce in una interpretazione sfavorevole  Secondo la giurisprudenza della Corte europea di giustizia, l’interpretazione del diritto nazionale alla luce del diritto comunitario non può in ogni caso derogare al principio di legalità Sul piano qualitativo troviamo effetti di carattere riduttivo (es. art 14 TER) o espansivo (richieste di penalizzazione di condotte per la tutela dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia richieste dall’UE come direttive in materia ambientale) del penalmente rilevante o dell’afflittività della sanzione penale.  Qual è il rapporto tra Cedu e diritto penale interno?  Art. 11 Disposizioni sulle leggi in generale  Art. 2 comma 1 Codice penale: ha una struttura molto dettagliata e complessa; “nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui il reato viene commesso non era considerato reato”  Art. 25 comma 2 Costituzione: qui vi è un riconoscimento normativo espresso “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. È importante la copertura costituzionale che rende il principio quasi inamovibile  Art. 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo : la Corte Europea ha precisato che il divieto di applicare retroattivamente si esercita sia nei confronti della legge che nei nuovi orientamenti giurisprudenziali, perché anche questi non prevedibili dall’imputato al momento del compimento dei fatti (nulla poena sine lege) – non può essere inflitta una pena più grave di quella prevista al tempo della commissione del reato Ratio: certezza e garanzia; la Corte costituzionale ha giudicato il principio inderogabile: è uno strumento di garanzia dall’arbitrio delle decisioni giudiziarie in quanto espressione della conoscibilità, calcolabilità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie (per garantire l’autodeterminazione individuale nelle scelte del soggetto). Il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole opera per tutti gli istituti di diritto penale sostanziale che determinano in senso sfavorevole al reo l’area della tipicità penale della fattispecie; sono comprese nelle parti coperte da questo principio anche le sanzioni. In relazione al diritto processuale penale vige il principio secondo cui gli atti processuali conservano la loro validità anche dopo un cambiamento delle norme, mentre i nuovi atti sono regolati dalla legge vigente – tempus regit actum. Esistono però degli istituti “ibridi”, di confine su cui si discute e si pone un problema di confine tra diritto penale e diritto processuale penale:  Prescrizione del reato: c’è sempre stato un dibattito sulla sua natura sostanziale o processuale anche a causa delle numerose modifiche del legislatore (sentenza Corte costituzionale 115 del 2018: ha qualificato la prescrizione come istituto di natura sostanziale e quindi come tale applicabile il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole – Taricco e Taricco bis la hanno qualificata invece come istituto di natura processuale e quindi che non godeva della tutela del principio → “vince” sentenza del 2018)  Misure alternative alla detenzione: applicate a soggetti già condannati dal giudice dell’esecuzione e Tribunale di sorveglianza; oltre che una funzione deflattiva, hanno anche funzione rieducativa (esempio: liberazione anticipata); queste sono norme sostanziali o processuali? Il problema si è posto in merito alla restrizione all’accesso alle misure alternative per i soggetti condannati per reati contro la pubblica amministrazione (cd legge “spazza corrotti” n.3 del 2019). Ci sono due orientamenti a riguardo: → Orientamento prevalente: di carattere formalistico; riteneva operante per quanto riguarda le misure alternative il principio processuale del tempus regit actum → Orientamento minoritario: le modifiche normative, se sono tali da incidere sul trattamento sanzionatorio in concreto (es. lunghezza della pena) dovrebbero ricadere nella garanzia del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole (Sentenza 32 Corte costituzionale 2020: la Corte ha dichiarato incostituzionale la legge 3 del 2019 quando trova applicazione ai condannati che abbiano commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della legge)  Relazione tra irretroattività e misure di sicurezza: il legislatore all’art. 200 cp non prevede l’operatività del principio di irretroattività e questo ha portato particolari problemi (es. confisca – Caso Varvara)  Rapporto tra irretroattività e mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale: il principio opera anche in caso di mutamento di interpretazione giudiziale? Dipende dal tipo di mutamento → Mutamento in senso sfavorevole: si dà della norma un’interpretazione sfavorevole per il soggetto → Mutamento in senso favorevole Le Sezioni Unite e la giurisprudenza successiva hanno ribadito che non è consentita l’interpretazione successiva (retroattiva) in malam partem a meno che non fosse ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa (Corte Edu: conoscibilità e prevedibilità, corollari da rispettare – Vicenda Contrada: la Corte Edu nel 2015 aveva ravvisato una violazione dell’art. 7 Cedu nella sentenza con la quale l’Italia aveva condannato Contrada per concorso esterno per associazione mafiosa. All’epoca, la figura del concorso esterno non era stata sufficientemente definita dalla giurisprudenza e quindi la condanna non poteva essere prevedibile). Principio di retroattività della legge penale più favorevole: (norma più favorevole per il reo) trova la sua disciplina all’art. 2 del cp (comma 2-4) introduce anche la regola dell’applicazione retroattiva di una legge più favorevole al reo. La giurisprudenza costituzionale ha individuato nel principio di uguaglianza (art. 3, più in particolare sul profilo della ragionevolezza; perché? La ratio del principio di uguaglianza si oppone all’applicazione della legge penale per un fatto da non considerarsi più reato) il riconoscimento costituzionale di questa norma (anche senza enunciazione espressa), e allo stesso modo la Corte Europea dei diritti dell’uomo (art. 7 comma 1 CEDU) si è pronunciata a favore (sentenza Scoppola 2009: la Corte ha stabilito che l’art. 7 da riconoscimento anche al principio di retroattività della legge penale piu favorevole - rif. art. 117 Cost.) → (Scoppola) sentenza 236 del 2011 CEDU: lex mitior; è riconosciuto il principio di retroattività della legge penale più favorevole, in mitius. Bisogna precisare però che, sebbene la Costituzione ammetta la retroattività della legge penale più favorevole, non è escluso che non vi possano essere delle deroghe imposte dal legislatore, ma queste devono essere in ogni caso giustificate da una qualche ragionevolezza, ad esempio un motivo potrebbe essere costituito dalla necessità di bilanciare due interessi contrapposti. Questo principio non trova enunciazione espressa nell’art. 25. Sentenza 394 del 2006 Corte costituzionale: fissa alcuni paletti, ovvero: l’applicazione retroattiva della legge penale piu favorevole non è priva di limiti. Infatti, può operare solo nel caso in cui non contrasti con altri valori di rilevanza costituzionale, può essere derogato diversamente da quello di irretroattività se con ragionevoli motivi e con necessità di tutelare interessi costituzionali rilevanti. Ciò è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione che ha ammesso, ad esempio, che l’applicazione retroattiva di una norma sia ammissibile per un più favorevole termine di prescrizione, coerentemente con la ratio sottesa alla disciplina (cioè quella di soddisfare l’efficienza del processo e la salvaguardia dei diritti dei soggetti destinatari della funzione giurisdizionale). Cosa si intende per legge penale più favorevole? Ciò dipende dall’interpretazione che ne viene data, in astratto o in concreto - in astratto: si guarda unicamente se la nuova disposizione rispetto a quella precedente è più favorevole (esempio: viene abbassato il limite massimo edittale) - in concreto: si deve ponderare l’intero contesto in cui si inserisce la disposizione e scegliere quale applicare (non per forza la più favorevole è la più recente, può essere sia anteriore che posteriore) Quale sia la norma “più favorevole al reo” dovrà valutarlo in concreto il giudice, che tuttavia non potrà per nessun motivo prendere parte di una norma e parte di un’altra (perché violerebbe il principio di legalità) Art. 2 comma 2: disciplina l’abolitio criminis; è l’abrogazione di una fattispecie incriminatrice attraverso una legge successiva: in questo caso l’ordinamento prevede che siano cessati tutti gli effetti delle sentenze di condanna, perché non avrebbe senso continuare a far espiare una sanzione detentiva a colui il quale ha commesso un fatto che non viene più considerato meritevole di pena. È l’ipotesi di legge penale favorevole per eccellenza perché viene meno ogni profilo della condanna e degli effetti penali che ne conseguono e può essere retroattiva. Art. 2 comma 4: l’ordinamento considera l’ipotesi in cui una stessa fattispecie venga regolata attraverso più leggi penali succedutesi nel tempo, e in tal caso si prevede che venga applicata quella più favorevole al reo, salvo che sia stata pronunciata una sentenza definitiva di condanna – successione nel tempo. Abbiamo una successione di leggi penali modificatrici (non abrogatrici) di una disciplina; diversamente dall’abolitio criminis, qui permane la rilevanza penale del fatto e non viene travolto il giudicato. Dal momento che non è sempre agevole distinguere fra le due ipotesi, si suole dire che l’abolitio criminis sussista quando il fatto incriminato nella norma previgente non sia previsto in concreto nella nuova fattispecie. Se però il raffronto strutturale fra le due norme mostra che il fatto in concreto si ritrova in entrambe le discipline, allora si dovrà ritenere che vi sia una successione di leggi (è il cd. criterio strutturale). Bisogna però specificare ulteriori questioni:  il criterio strutturale non si applica qualora la volontà del legislatore sia da intendersi nel senso dell’abolitio criminis (come, ad esempio, è stato sulla legge in materia di gravidanza 194/1984, nel quale si abrogava esplicitamente la disciplina previgente, art. 552 cp)  esiste il caso di abolitio criminis parziale, cioè la possibilità solo alcune delle condotte precedentemente incriminate abbiano mantenuto rilevanza penale  nel caso di successione di più leggi penali nel trascorrere del tempo fra il fatto e la sentenza del giudice, il giudice è tenuto ad applicare la disciplina più favorevole che si è succeduta Vi è un importante differenza fra abolitio criminis e successione di legge, che consiste nel fatto che la prima spiega i suoi effetti positivi anche se vi è stata una sentenza definitiva di condanna, mentre la legge penale successiva più favorevole trova un limite nel giudicato. Applichiamo l’art. 2 comma 2 quando tra la norma abrogata e quella nuova troviamo elementi totalmente diversi ed eterogenei; quando invece ad una norma generale viene introdotta una norma speciale, applichiamo una successione, art. 2 comma 4. Art. 323: abuso di ufficio in merito alla violazione di norme di legge o di regolamento; nelle nuove disposizioni non si fa più riferimento ai “regolamenti”; siamo di fronte ad un abolitio criminis. Nel vecchio testo si faceva riferimento ad una violazione “di legge”, mentre adesso “specifiche ipotesi previste da legge” (quindi passiamo da una legge generale ad una speciale); siamo davanti ad un’abolitio criminis parziale. Modifiche mediate: problema che si pone riguardo l’intreccio tra successione di leggi penali ed elementi normativi; ci si è chiesto se l’abolizione del reato può essere la conseguenza di modifiche che non riguardano la norma incriminatrice, bensì che intervenivano in maniera mediata (indiretta) sulla norma perchè riguardavano una norma giuridica o extragiuridica richiamata dalla norma incriminatrice in qualche modo. Esempio: art. 368 cp abolitio criminis del reato oggetto di falsa incolpazione del delitto di calunnia o art. 416 cp associazione a delinquere - prima impostazione: in caso di modifica mediata si avrebbe un’abolitio criminis (comma 2) perche il fatto non è piu previsto dalla legge come reato; ci troviamo di fronte ad una restrizione della portata incriminatrice dalla calunnia - seconda impostazione (preferibile in questo ambito): bisogna verificare caso per caso se permane comunque la responsabilità a titolo di calunnia Soluzione: nel 2008 le Sezioni Unite (in materia di immigrazione) per rispondere all’interrogativo (siamo di fronte ad un abolitio criminis o ad una successione?) dice che bisogna valutare a seconda che la norma CAPITOLO 6 (17.02.2021) Principio di determinatezza (o precisione): attiene alla formulazione della norma; cosa significa che una norma deve essere precisa e determinata? Significa che deve emergere con precisone e chiarezza il precetto e la sanzione derivanti dalla norma; il cittadino ed il giudice devono essere in grado di individuare il tipo di fatto disciplinato dalla norma in tutti i suoi elementi costitutivi e la sanzione applicabile; altro destinatario è il legislatore che dovrebbe formulare le fattispecie in modo chiaro e preciso. Ratio: certezza in ottica di prevenzione generale e garanzia contro gli abusi del legislatore e del giudice. Il principio di determinatezza trova il suo fondamento normativo nell’art. 1 e un fondamento costituzionale (art. 25); come dimostra la vicenda Taricco, è uno dei principi indicati dai contro limiti il caso di incompatibilità tra normativa interna ed europea. Quali tecniche sono utilizzate dal legislatore per formulare le norme?  Clausole generali: troppo generiche e dilatano la portata normativa di alcune fattispecie; qui emerge un ruolo fondamentale dell’interpretazione giurisprudenziale che le concretizza (esempio: le norme relative ai reati sessuali – art. 609 – “atto sessuale” è troppo generale, cosa intendiamo precisamente? È da interpretare dalla Corte di cassazione)  Tecnica casistica: nelle norme di parte speciale a volte il legislatore da una concretizzazione normativa espressa per le più frequenti realizzazioni di quel fatto di reato (esempio: art. 625 – 628 che contengono elenchi di circostanze aggravanti riguardo furto e rapina). Questo sistema va in contro sia ad un eccesso di legislazione con il rischio di lacune e trattamento differenziato all’interno dello stesso reato  Normazione sintetica: l’oggetto giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice è ben definito, deve essere oggetto di “verificabilità empirica” per individuarne concretamente il contenuto – verificabili in concreto (art. 600 sul materiale pornografico minorile)  Elementi descritti: possono essere elementi numerici o quantitativi e sono concetti descrittivi tratti dall’esperienza  Elementi normativi di carattere giuridico: garantiscono elevati livelli di determinatezza (es. art. 641 cp fa uso del termine “obbligazione”, noto e sufficientemente chiarificato dal Codice civile  Elementi normativi extragiuridici: riguarda concetti già rielaborati ed evoluti tramite interpretazione; esempio: art. 529 in merito al concetto di “osceno” che ha cambiato peso ed essenza nel corso del tempo Alcuni esempi di norme definitorie (che non brillano per determinatezza) Art. 600 TER: pornografia minorile; all’ultimo comma contiene una definizione specifica Art. 270 sexies: contiene una definizione delle condotte con fine terroristico (danno ad un paese: che tipo di danno? In quali modalità) Tradizionalmente la Corte costituzionale è stata molte volte chiamata a giudicare in merito al rispetto o mancato rispetto del parametro della determinatezza ex art. 25: la posizione della Corte è stata “di resistenza”, “di conservazione”; ha sempre salvaguardato le norme per tutelare la completezza delle fattispecie ed evitare lacune attraverso le cd sentenze interpretative di rigetto (prima di dichiarare l’illegittimità costituzionale di una norma per violazione al principio di determinatezza ha sempre cercato di trovare un’interpretazione che potesse conformare la norma - se ne respingesse troppe creerebbe troppe lacune nel diritto). Ha sempre tentato di individuare interpretazioni costituzionalmente orientate. Come?  Rinvio al significato semantico del termine  Cd diritto vivente: formante giurisprudenziale (interpretazione) della Cassazione (es. 2014: norma sullo stalking) Esempio 1: pronuncia della Corte costituzionale sull’art. 434 cp - Sentenza 327 del 2008; l’art. 434 è una norma di chiusura dei reati contro l’incolumità pubblica ed è stata ampiamente utilizzata dalla giurisprudenza per dare rilevanza penale ai fenomeni di inquinamento e disastri ambientali prima della creazione di un articolo apposito (Caso eternit) “chiunque fuori dal caso degli art. precedenti commette un fatto che causa un crollo, ovvero un altro disastro”. La Corte costituzionale era stata chiamata a giudicare la compatibilità del principio di determinatezza in merito a quest’ultima parte. Cosa significa “altro disastro”? Si è analizzato il Significato semantico: va inteso come un evento calamitoso su base violenta, di durata anche prolungata, di difficile contenimento e con effetti disastrosi. La Corte ha aggiunto un elemento in più: questa norma è di chiusura (intesa così anche dalla Corte di cassazione) per cui si dà rilevanza ad un disastro non già tipizzato dalle norme incriminatrici precedenti. La Corte fa riferimento alla giurisprudenza della legittimità; nella parte finale si rivolge al legislatore ricordandogli di avviare un percorso di riforma del codice volto a costruire una norma riguardo il disastro ambientale che fosse più dettagliata (accolta nel 2015). Esempio 2: Sentenza del 2014 n. 172 sull’art. 612 bis, norma che incrimina gli atti di persecuzione; è un chiaro esempio di norma incriminatrice in cui il legislatore ha utilizzato la tecnica casistica specificando le fattispecie concrete ma in termini molto ampi: “alterazione dell’abitudine di vita”, “timore”, ecc. La Corte è stata chiamata a giudicare il rispetto di queste norme del principio di determinatezza: la norma non definiva con sufficiente precisione cosa si intendesse per “fondato timore”, “stato di timore”, “alterazione dell’abitudine di vita” poiché concetti ampi e troppo elastici. La Corte, nel salvare questo articolo, utilizza nuovamente i due criteri che abbiamo visto (argomento sistematico, significato semantico e diritto vivente). Stato di ansia: si escludono eventi passeggeri ad esempio; per valutare il contenuto di questi parametri e renderli oggettivi, bisogna analizzare la situazione della vittima prima dell’evento e post. Esempio 3: Sentenza 96 del 1981, sentenza di accoglimento; la Corte dichiara l’incompatibilità con il principio di determinatezza dell’art. 603 cp che incriminava il plagio. Il plagio incriminava la condotta del soggetto che sottoponeva una persona al proprio potere in modo da ridurla in stato di soggezione. Secondo la Corte una norma penale è determinata quando rispetta il criterio della “verificabilità empirica” della fattispecie; in questo caso non era così, quindi la norma venne eliminata creando una lacuna nel diritto; infatti, per qualche anno, il plagio non fu quasi disciplinato o viene fatto rientrare in altre norme indeterminate come l’art. 600 in merito alla schiavitù. La lacuna è stata colmata nel 2003 con la legge 228 con cui il legislatore ha riscritto l’art. 600 rendendolo più determinato e chiaro. Nel 2019, con alcune sentenze importanti della Corte (24 e 25 del 2019) - pag. 785 libro di testo – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma contenuta nel codice antimafia nella parte in cui punisce la violazione della situazione “del vivere correttamente rispettando la legge da parte del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno” (collegata con una sentenza della Corte Europea che ha condannato l’Italia per la violazione della libertà di circolazione). CAPITOLO 7 (22/23.02.21) Principio di tassatività che attiene all’interpretazione delle norme; non è altro che il cosiddetto “divieto di analogia” in materia penale che trova fondamento nell’art. 1 cp, nell’art. 14 Preleggi cc e art. 25 e 13 della Costituzione. Chi è il destinatario del principio di tassatività? Il giudice o il legislatore (analogia interna alla norma penale: il legislatore nel formulare le fattispecie ha dei vincoli, tra i quali il rispetto del principio di tassatività). Ratio: certezza e garanzia Per quanto il legislatore cerchi di scrivere norme chiare e precise (rispettose del principio di determinatezza), sarà sempre necessario interpretarle per rendere possibile quel parallelo tra fatto storico e fattispecie astratta (paradigma dell’attività giudiziaria). Questa attività di interpretazione è detta  autentica: se promana dallo stesso legislatore che interviene per chiarire il senso di una norma  ufficiale: se proviene dall’autorità amministrativa o dagli organi dello Stato competenti (es. circolari esplicative, pareri)  giudiziale: se operata dalla magistratura (di merito e di legittimità) nel concreto svolgersi dei processi penali  dottrinale: se frutto della riflessione e del confronto scientifico tra giuristi che studiano ed interpretano Nel nostro ordinamento (al contrario di common law), il precedente giudiziario non vincola l’interprete; questo perché il cd “diritto penale vivente” (quello che vive nelle decisioni dei giudici) si evolve e muta in continuazione. L’idea sorta durante l’illuminismo che prevedeva i giudici come meri esecutori della legge è stata ormai abbandonata grazie alla convinzione che il dettato normativo necessiti sempre di essere interpretato per l’inevitabile ambiguità del linguaggio umano e per la non riconducibilità della realtà storica a schemi preordinati e omnicomprensivi: infatti, i fatti che il giudice si trova davanti non sono mai agevolmente riconducibili alla fattispecie astratta tramite una mera attività di sovrapposizione (more geometrico: metodo filosofico di deduzione di frasi da principi e assiomi secondo la natura della matematica). Quindi? Il sistema penale deve tendere ad un potenziale punto di equilibrio tra rispetto e legalità. L’art. 1 delle Disposizioni sulle leggi in generale dispone che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”: i due criteri di rifermento sono allora il significato letterale delle parole e l’intenzione del legislatore (la finalità di tutela della norma da interpretare). Può capitare però che questi canoni siano in contrasto fra loro (esempio: una carta di credito falsa viene utilizzata per pagare il pedaggio autostradale: è da escludere il delitto di truffa, art. 640 cp, perché manca un soggetto fisico da indurre in errore e, a seguito di quell’errore determinare un atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole. Ma, dal punto di vista delle esigenze di tutela, è indubbio che il patrimonio dell'ente autostradale viene significativamente danneggiato da condotte truffaldine come quella descritta). In casi come questi virgola non basta risolvere il dilemma interpretativo utilizzando l'art. 12 Preleggi, è indispensabile una riflessione più ampia che include l'utilizzo di canoni interpretativi armonizzati fra loro: □ Criterio semantico: il primo sforzo dell'interprete deve essere quello di chiarire il senso lessicale dei termini utilizzati dal legislatore; si tratta di un passaggio necessario ma insufficiente visto che alcuni aspetti della fattispecie incriminatrice sono caratterizzati da un’ambiguità tale che richiede ulteriori approfondimenti interpretativi Esempio: pensiamo al concetto di prostituzione (Legge Merlin 1958 contro sfruttamento, induzione o favoreggiamento della prostituzione e art. 600 bis cp contro la prostituzione minorile): dal punto di vista strettamente lessicale il termine prostituzione è molto vago poiché è impossibile dire quali specifici atti rientrano e quali no □ Criterio storico: riguarda la necessità di rifarsi alla volontà del legislatore, non tanto intesa soggettivamente, quanto piuttosto come l’oggettivazione nel testo di legge di una volontà storica espressa dal Parlamento attraverso l'esercizio del proprio potere legislativo; questo criterio è stato necessità) o imporre (adempimento di un dovere) un fatto che, in loro assenza, costituirebbe reato. Secondo la concezione bipartita, le scriminanti costituiscono elementi negativi del fatto, non devono sussistere perché vi sia un reato (di natura oggettiva) → Elemento soggettivo : è la coscienza e volontà dell’azione o omissione, dolo o colpa; questo perché la responsabilità penale deve essere fondata su elementi soggettivi/personali Secondo i sostenitori della concezione bipartita, questa corrisponde alla disciplina del cp come emergerebbe dal raffronto fra gli art. 47 e 59 ultimo comma cp: - Art. 47 : l’errore sul fatto esclude la punibilità per assenza di dolo ma, se si tratta di errore commesso con colpa (non apposta) residua comunque una responsabilità colposa (se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo). Quindi, qui il soggetto si rappresenta erroneamente un elemento positivo del fatto - Art. 59 : disciplina l’errore sull’esistenza di una causa di giustificazione; il soggetto crede erroneamente di trovarsi in una situazione che, se presente, sarebbe luogo all’applicazione di una scriminante. L’errore esclude la responsabilità del soggetto per assenza di dolo ma residua una responsabilità colposa (se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo) Esempio: il soggetto crede erroneamente di essere aggredito ed invoca la legittima difesa Quindi, qui il soggetto si rappresenta erroneamente l’esistenza di un elemento negativo che deve mancare affinché il fatto costituisca reato. □ Concezione tripartita: gli elementi costitutivi del reato (fatto tipico, antigiuridico e colpevole) vanno ricondotti a 3 categorie → Fatto tipico : include gli elementi oggettivi del reato Funzione: permette di individuare la modalità di offesa del bene giuridico → Antigiuridicità : include le cause di giustificazione/scriminanti/esimenti Funzione: non hanno natura strettamente penale ma sono norme generali dell’intero ordinamento giuridico che rendono legittimo il fatto in qualsiasi settore dell’ordinamento → Colpevolezza : identifica gli elementi soggettivi che consentono di muovere al soggetto un rimprovero personale per il fatto commesso Funzione: esprime l’esigenza di un giudizio di rimproverabilità soggettiva per il fatto commesso Secondo i suoi sostenitori, questa concezione offrirebbe 2 vantaggi (è la concezione più sostenuta) - Si adegua meglio al procedimento di accertamento giudiziale del reato poiché il giudice accerta prima l’elemento oggettivo (Caio ha ucciso Tizio), poi l’assenza della scriminante (mancanza di legittima difesa, stato di necessità o uso legittimo delle armi) ed infine l’elemento soggettivo (Caio ha agito con dolo o colpa) - Fa emergere specifiche funzioni a cui rispondono le tre categorie (vedi sopra) La teoria bipartita critica quella tripartita sostenendo che l’antigiuridicità non dovrebbe costituire una categoria autonoma, bensì integrare l’essenza stessa del reato che esprime, in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, contrarietà all’ordinamento giuridico. □ Concezione quadripartita: utilizza le categorie precedenti + una quarta → Fatto tipico → Antigiuridicità → Colpevolezza → Punibilità : comprende particolari situazioni che, per esigenze di politica criminale, escludono l’applicazione della pena pur in presenza degli altri elementi costitutivi del reato; si tratta delle cd cause personali di non punibilità (immunità: per ragioni politiche escludono la punibilità dell’autore per alcuni reati, es. immunità parlamentari art. 68 Cost.) e cause sopravvenute di non punibilità, per le quali la ragione del “non punire” risiede nell’incentivare una condotta antitetica a quella diretta a produrre l’offesa (es. desistenza volontaria nella disciplina del tentativo) Secondo questa teoria, se un fatto non è punibile, allora il reato non sussiste (questione dibattuta e criticata dalla dottrina prevalente considerando l’importanza della punibilità nelle scelte di politica criminale). CAPITOLO 10 (24.02.2021) Chi è il soggetto attivo o autore del reato? Colui che realizza il fatto tipico antigiuridico e colpevole descritto dalla singola fattispecie; solo la persona umana può esserlo in relazione all’art. 27 (solo l’essere umano può assolvere alla funzione rieducativa della pena). Alcuni reati possono essere commessi da una sola persona (es. omicidio), altri invece prevedono la presenza di più soggetti (es. rissa). Tradizionalmente gli enti collettivi sono esclusi dalla responsabilità penale Argomenti contrari all’introduzione della responsabilità penale degli enti (ci sono anche argomenti a favore all’introduzione della responsabilità penale degli enti) □ Art. 197 cp : obbligazioni civili delle persone giuridiche per il pagamento di multe e ammende; unica norma in relazione agli enti □ Art. 27 comma 1 -3 : responsabilità penale personale In relazione al soggetto attivo, i reati di parte speciale (vi fanno parte tutti quei reati che ostacolano o turbano il normale ed efficace svolgimento dell'attività giudiziaria) possono essere suddivisi in due tipologie (questa distinzione ci servirà in relazione al concorso di persone che è disciplinato diversamente a seconda del reato): 1. Reati comuni: possono essere realizzati da chiunque (esempio: reato di omicidio; chiunque può commetterlo. Però attenzione: non sempre il “chiunque” è segno di un reato comune perche per individuare il soggetto attivo bisogna sempre considerare la norma nella sua complessità e nella sua applicazione sistematica) 2. Reati propri: possono essre commessi solo da soggetti che hanno una qualifica giuridica o naturalistica. La qualifica costituisce elemento essenziale di fattispecie; qui il legislatore qualifica in maniera specifica la tipologia soggettiva del soggetto attivo, limita la rilevanza penale di quel comportamento solo ai soggetti qualificati. Esempi: □ molti reati contro la pubblica amministrazione poiché possono essere commessi solo da un pubblico ufficiale o soggetto in pubblico servizio; es. abuso di ufficio □ infanticidio: art. 578 può essere commesso solo dalla madre; senza qualificazione sarebbe omicidio doloso □ falsa testimonianza: art. 372 inizia con “chiunque” ma non è un reato comune; lo può infatti commettere solo un testimone (come abbiamo detto prima, per distinguere la tipologia di reato bisogna analizzare la norma nel suo complesso, contestualizzandola) □ abbandono di minori: “chiunque” ma in realtà la norma specifica “chiunque ne abbia custodia/tutela” La qualifica, in relazione ai reati propri, può essere naturalistica (es. madre nel delitto di infanticidio art. 578 cp) o giuridica (pubblico ufficiale, amministratore) I reati propri possono essere suddivisi in sottocategorie → Reati propri non esclusivi : quei reati con che senza qualifica giuridica o naturalistica costituiscono reati comuni (esempio: 314 cp incrimina il peculato, ovvero quando un pubblico ufficiale con disponibilità di denaro per lo svolgimento delle sue funzioni se ne appropria. Non è esclusivo perchè un soggetto non qualificato che commette il peculato sarebbe accusato di appropriazione indebita → 146 cp) – vedi anche infanticidio (omicidio doloso, art. 575 cp) → Reati di mano propria : in questo ultimi la condotta del fatto tipico deve essere realizzata unicamente dal soggetto indicato della norma, se sono coinvolti altri soggetti devono avere un ruolo nella fattispecie marginale o perlomeno diverso (es. delitto di incesto). La responsabilità degli enti (commesso proprio da x persona e non per mano di terzi) Immunità Art. 3 cp: la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano sul territorio dello Stato, salve limitazioni stabilite dal diritto pubblico o internazionale → carattere obbligatorio della legge penale. Le eccezioni all’articolo fa riferimento sono le cd immunità: sono cause di non punibilità; a seguito della commissione di un reato non segue l’applicazione della pena in quanto prevalgono ragioni di politica criminale (e scelte di opportunità) che ne giustificano la rinuncia (quindi non sono limiti all’obbligatorietà della legge penale perché anche i soggetti che ne godono sono obbligati a rispettarla). Le immunità hanno dunque natura giuridica di cause personali di esenzione dalla pena, in quanto escludono la punibilità del soggetto; trattandosi di cause di non punibilità di natura personale, la loro applicazione è limitata al soggetto a cui si riferiscono, non si estende ai concorrenti. Possono essere immunità:  di diritto pubblico interno: alcune sono espressivamente previste dalla Costituzione/leggi costituzionali (quindi non sollevano problemi di copertura costituzionale □ Presidente della Repubblica (art. 90 Cost.) non risponde per gli atti commessi nell’esercizio delle sue funzioni (funzionale), tranne per alto tradimento e attentato alla Costituzione (si richiama il cp); questo spetta anche al Presidente del Senato quando fa le veci del PdR □ Parlamentari: godono di un’immunità sostanziale e processuale (art. 68 comma 2-3) per consentire loro l’esercizio delle funzioni parlamentari al di fuori di condizionamenti interni; l’immunità sostanziale interessa le opinioni espresse ed i voti dati in Parlamento (opinioni espresse e funzioni parlamentari sono legati da un nesso funzionale all’art. 68 comma 1 Cost.); l’immunità dei parlamentari copre anche le opinioni espresse al di fuori del Parlamento purché mantenga il nesso funzionale evitando che qualsiasi attività politica del parlamentare fuori dal Parlamento rientri nella prerogativa costituzionale (immunità sostanziale). La Corte costituzionale con la sentenza n. 34/2004 stabilisce la necessità del nesso funzionale della dichiarazione con atti tipici della funzione parlamentare già compiuti, non è coperta da insindacabilità la mera attività politica. □ Consiglieri regionali: immunità analoga a quella dei parlamentari (art. 122 comma 4 Cost. - immunità sostanziale); parliamo delle immunità processuale per le alte cariche dello Stato prevista dalla l. 124/2008 c.d. Lodo Alfano: le cariche interessate sono il Presidente della Repubblica (limite art. 90 Cost.), Presidente del Senato e Presidente della Camera dei deputati, Presidente del Consiglio dei ministri. □ Giudici della Corte costituzionale: godono di immunità sostanziale per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (art. 3 l. Cost. 1948) diritto penale italiano. Individuare una condotta è quindi necessario perché il diritto penale è finalizzato a reprimere la lesione a beni giuridici e non la mera volontà di offenderli, nel rispetto del diritto di materialità → art. 42 comma 1 (funzione limitativa della condotta) □ attiva: è detta anche “azione”; quando la condotta si estrinseca in un movimento muscolare (es. sottrazione, pugnalata) es. norma sul furto □ omissiva: è detta anche “omissione”; presuppone una norma comando, consiste in un non facere (es. omissione di soccorso) L’idea della condotta come elemento necessario è contestata da chi ritiene che possano esservi reati di sospetto o di posizione; (reati di sospetto: sono reati senza condotta, es. art. 707 cp possesso ingiustificato di chiavi; non si incrimina il reato contro il patrimonio ma elementi da cui si può sospettare un’eventuale futura commissione del reato – reati di detenzione: es. art. 600 quater detenzione materiale pedopornografico o art. 73 comma 1 bis detenzione sostanze stupefacenti o psicotrope). Il concetto di possesso sta ad indicare la disponibilità di un bene, la concreta possibilità di farne uso n un secondo momento; la ratio di punibilità di queste fattispecie è il pericolo di questa ipotesi. Coscienza o volontà della condotta (suitas): non sono elementi soggettivi del reato come dolo e colpa; qui siamo in ambito oggettivo, riguarda la condotta: io posso rispondere solo delle condotte da me gestibili e controllabili. Questo elemento influenza la fase processuale. Ci sono però atti che non attengono alla parte lucida della coscienza: atti istintivi (es. se butto le braccia in avanti inciampando per strada e ferisco una persona davanti a me; non rispondo perché non ho avuto controllo di quel gesto), di riflesso (non c’è coscienza e volontà perche non ho sfera di controllo reale o potenziale) e poi atti automatici (controllo potenziale, non reale) o abituali (butto per abitudine una sigaretta accesa a terra; in questi casi non ho controllo reale ma potenziale si). Questo elemento è così connesso all’azione o all’omissione che, se manca la suitas, manca l’elemento oggettivo del reato, che quindi non sussiste. Poi, per cause di forza maggiore → art. 45, es. marito non adempie gli obblighi familiari perchè si trova in stato di detenzione/ art. 46 non è punibile un soggetto che commette un fatto sotto costrizione fisica/ art. 42 comma 1 incoscienza indipendente dalla volontà, es. malore improvviso in auto È il nesso eziologico, o rapporto di causalità che collega la condotta all’evento. * Sezioni unite Franzese 2005 In base alla condotta, possiamo distinguere i reati 1. reati di azione: es. 609 bis o furto 2. reati di omissione: la condotta è un non fare; questi sono a loro volta distinguibili in reati propri ed impropri 3. reati a forma libera : es. omicidio “chiunque cagioni la morte di un uomo”, non importa come 4. reati a forma vincolata: la modalità di realizzazione della condotta è vincolata dalla descrizione interna alla norma → collegamento al principio di frammentarietà 5. reati istantanei: la condotta si realizza in un solo istante; il reato si consuma in un momento specifico es. furto art. 624 o omicidio 6. reati permanenti: la condotta non si realizza in un solo istante ma pemane nel tempo, così come permane l’offesa al bene e la volontà es. sequestro di persona art. 605; il momento perfezionativo è quando si realizza quel minimum di condotta che qualifica l’azione come reato, il momento consumativo è quando si esaurisce la condotta. 7. reati abituali : è già la norma di parte speciale che descrive la condotta in termini di abitualità; descrive come condotta unitaria la reiterazione di specifiche condotte. Esempio: maltrattamenti contro familiari e conviventi art. 572 o stalking e persecuzione. CAPITOLO 12 Reati omissivi Reati omissivi propri : è già la norma di parte speciale che prevede la punibilità della condotta omissiva (es. art. 593 - 361); sono quei reati in cui l’omissione emerge già dalla norma. Quali sono gli elementi del fatto tipico di questa tipologia di reato? Situazione tipica che giustifica la punibilità e la sua ratio, la possibilità ad agire ed il termine di adempimento. □ Situazione tipica: si ricava o attraverso elementi descrittivi (es. omissione soccorso; la situazione tipica è il fatto di aver trovato una persona in pericolo; è descritta con elementi descrittivi) o elementi di carattere giuridico ( es. omessa denuncia: qui la situazione è descritta in termini giuridici) □ Possibilità di agire: il soggetto potrà rispondere solo se aveva la capacità, la possibilità di adempiere, di agire (es. soccorso: il soggetto deve avere le attitudini, la capacità materiale o fisica di intervenire) □ Termine di adempimento: entro il quale il soggetto deve adempiere all’obbligo; non è quasi mai espresso in maniera espressa e si ricava in termini interpretativi, in alcune norme invece è espresso (es. art. 361 – art. 593 “immediato” – art. 328 comma 2 “30 giorni”) Reati omissivi impropri : hanno una struttura diversa rispetto a quelli propri perchè non trovano una previsione espressa nei reati della parte speciale; la punibilità dell’omissione non emerge espressamente dalla norma ma deriva dal combinato disposto di due norme, una di parte e speciale e l’art. 40 comma 2 che contiene la clausola di equivalenza (ometto un comportamento imposto da un obbligo, non lo faccio e rispondo). Esempio: art. 575 la mamma non allatta il neonato che muore. Clausola di equivalenza: equipara l’omettere all’agire e consente di ampliare l’area di tipicità penale delle norme; l’azione è equivalente all’omissione quando vi sia un obbligo giuridico a monte; il presupposto di operatività della clausola è l’esistenza di un obbligo giuridico (“non impedire un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire costituisce reato"). Tutti i reati possono essere trasformati in reati omissivi propri? L’omissione può sempre assumere carattere penale? No (es. abbandono di minore o incapace: l’omissione non è reato per chi non ha l’obbligo giuridico di tutela di quel soggetto); opera poi esclusivamente nell’ambito dei reati ad evento naturalistico, non è applicabile ai reati di pura condotta. Non opera poi nei reati a condotta vincolata (es. truffa). Presupposti della condotta: rilevanti agli effetti del dolo La rilevanza penale del fatto come offesa ad un bene giuridico è subordinata al fatto che l’azione venga compiuta in presenza di determinate situazioni di carattere naturalistico o giuridico che devono preesistere all’azione e accompagnarne l’esecuzione (es. art. 593 ter: incrimina l’interruzione non consensuale di gravidanza; il presupposto della condotta è la gravidanza; in assenza di questa non è possibile la realizzazione dell’azione tipica). IN altri casi, in assenza del presupposto, il comportamento è possibile ma non ha rilevanza penale, è lecita (es. art. 556: incrimina la bigamia; il presupposto è il fatto che chi contrae matrimonio sia già legata ad un’altra persona. Il presupposto rende illecito ciò che normalmente sarebbe lecito, ovvero contrarre matrimonio) – es. art. 648: incrimina la ricettazione; al fine di fare profitto un soggetto acquista o occulta cose di provenienza illecita o denaro preveniente da altro delitto. Il presupposto è altro delitto perché senza l’azione sarebbe lecita. Obbligo giuridico di impedire l’evento L’art. 40 comma 2 è molto limitato su questo aspetto perché si limita a richiamare un “obbligo giuridico” escludendo quelli morali e sociali. Si sono succedute nel tempo diverse impostazioni in relazione alle modalità di individuazione degli obblighi giuridici → Teoria formale o del trifoglio: le fonti di un obbligo giuridico sono 3 □ legge: es. ambito rapporto genitore-figlio □ contratto: es. che lega la babysitter ed i genitori del minore □ precedente attività pericolosa: es. soggetti che aprono una buca in strada per lavori ed omettono di avvertire ed un passante cade dentro e si rompe una gamba Questa teoria si limita a trovare la fonte senza valorizzare i contenuti specifici ed è stata per questo criticata: in particolare in merito al contratto e la precedente attività pericolosa poiché, in caso di contratto invalido, la fonte verrebbe meno e l’obbligo giuridico di impedire l’evento non ci sarebbe. Lo stesso problema l’ha posto l’ultimo punto: se richiediamo un fondamento normativo con forza di legge tra le parti come un contratto, qui, nella precedente attività pericolosa, dov’è il contratto? (es. caso Vannini) A fronte di queste critiche, la teoria formale, se da una parte è molto ridia e dall’altra richiedendo sempre una fonte formale pone i rischi di ampliare troppo il profilo della rilevanza penale; viene allora elaborata la seconda teoria. → Teoria funzionale o sostanziale: non si focalizza tanto sulla fonte formale ma sulla posizione di garanzia, cioè l’individuazione in concreto dei soggetti obbligati ad impedire l’evento attraverso le cd posizioni di garanzia. Considerando i casi in cui il titolare del bene giuridico non è in grado di tutelarlo adeguatamente, l’ordinamento individua la figura di un garante per offrire tutela al bene. La garanzia deve essere precostituita alla situazione di pericolo, non deve sorgere in contemporanea e la posizione di garanzia deve avere carattere specifico. Questo garante deve essere titolare di □ poteri impeditivi e capacità di esercitarli, quindi anche poteri fattuali (non obblighi di mera sorveglianza) □ poteri di natura sollecitatoria all’impedimento dell’evento (non è richiesto il potere di impedire l’evento) es. Amministratori delegati per i reati commessi (art. 2392) → Teoria mista: origine tedesca; prende ciò che di buono c’è della teoria formale e sostanziale ma richiede una base legale delle posizioni di garanzia. È sempre necessaria quindi la presenza di una legge che fissi la posizione del garante originario a cui ancorare la responsabilità per il mancato impedimento dell’evento. Spetta allora alla legge individuare le posizioni di garanzia Tipologia delle posizioni di garanzia → regresso all’infinito: rischio di esenzione eccessiva della responsabilità penale; se causali sono tutte le condizioni dell’evento, saranno a loro volta causali anche le condizioni delle condizioni così via → causalità alternativa ipotetica: prendo in considerazione l'intervento di un fattore causale che avrebbe prodotto l'evento all'incirca nello stesso momento in cui è intervenuta la condotta rispetto alla quale va accertata la causalità; questa critica riguarda quindi l’intervento di un fattore causale che avrebbe comunque prodotto l’evento, nello stesso momento in cui si è configurata la condotta in esame → (es: Tizio incendia la casa per lucrare il premio dell’assicurazione, si accerta però che la casa sarebbe andato ugualmente distrutta per effetto di un incendio che si è sviluppato nel medesimo tempo nel bosco vicino alla casa) es. eutanasia: la morte sarebbe avvenuta lo stesso anche senza iniezione da lì a poco; ha però alterato l’evento quindi risponde → causalità addizionale: quando l'evento deriva da azioni congiunte tali che, se anche una venisse meno, non verrebbe meno l'evento; il procedimento di eliminazione mentale dovrebbe condurre ad escludere il nesso di causalità Correttivi elaborati dalla giurisprudenza: □ Teoria della causalità adeguata: accoglie i principi della teoria precedente secondo cui la condotta umana deve costituire condizione dell’evento ma limita la responsabilità penale esclusivamente alle condotte idonee a produrlo: il valore di idoneità va effettuata secondo un giudizio ex ante, cioè accertando se, al momento della condotta, quest’ultima costituiva, in base alle massime di esperienza, un fattore probabile di causazione dell’evento Critiche: non vi è riconoscimento normativo espresso in quanto l’idoneità non connota né l’azione/ omissione causativa dell’evento art. 40, né le cause art. 41; questa teoria però rischia di restringere eccessivamente la responsabilità penale che dovrebbe essere esclusa quando una condotta, che appariva ex ante inidonea a produrne un certo evento, lo abbia poi di fatto prodotto. □ Teoria della causalità umana: elaborata dal F. Antolisei, Torino. La condotta, per essere causa di quell’evento dannoso deve essere la conditio sine qua non e non devono intervenire fattori eccezionali che interrompono il nesso di causalità (es. sparo a Tizio che viene ricoverato in condizioni gravi ma muore in ospedale, non a causa della mia azione ma per un incendio del suo reparto). Il professore individua anche un fondamento normativo della teoria: art. 41 (comma 1 e 3 rappresentano il fondamento della teoria condizionalistica - conditio sine qua non – perché nel comma 1 è previsto che il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità fra condotta e azione anche se indipendenti dall’azione/omissione; comma 3 ribadisce). Come capiamo se i fattori eccezionali (art. 42 comma 2) sono fattori antecedenti o concomitanti? Soluzione: si applica l’analogia in bonam partem dell’art. 41 comma 2 oppure riconduciamo la disciplina all’ipotesi di caso fortuito, coscienza e volontà della condotta ex art. 45 □ Teoria di imputazione oggettiva/obiettiva dell’evento o teoria dell’aumento del rischio: ha origine tedesca ma con l’appoggio di dottrina e giurisprudenza italiane (impiegata nel settore della sicurezza sul lavoro); introduce di criterio dell’aumento del rischio in funzione di restrizione dell’imputazione penale dell’evento. Affinché un evento possa essere imputato ad una condotta è necessario che a) La condotta deve essere condizione dell’evento b) La condotta deve aver creato un pericolo riprovato dall’ordinamento c) L’evento deve essere la realizzazione del rischio non consentito Es. il nipote vuole l’eredità dello zio e gli propone un viaggio in aereo sperando che precipiti e questo accade. Il nipote risponde? La condizione a) sussiste perché se il nipote non avesse forzato lo zio ad intraprendere il viaggio questo non sarebbe morto; la questione si risolve con il riferimento all’elemento soggettivo: se il nipote fosse stato a conoscenza di un’anomalia del mezzo di trasporto (dolo) allora risponderebbe Critiche: confonde il piano oggettivo con quello soggettivo e può condurre ad un allentamento dell’accertamento del nesso ci causalità; lo agevola ma ciò comporta una dilatazione forse eccessiva dell’area del penalmente rilevante. In merito al campo della sicurezza sul lavoro, una parte della giurisprudenza ha preferito, invece di richiamare il fattore eccezionale, parlare di evento non riconducibile all’area di rischio. La teoria condizionalistica con i correttivi sono la base del rapporto di causalità nel diritto penale, ma non basta: è necessario che il procedimento di carattere logico di eliminazione mentale della condotta del giudice, può funzionare solo se è possibile individuare la cd sussunzione sotto leggi scientifiche: si dimostra l’esistenza di una legge di copertura secondo la quale ad un determinato fattore ne segue un altro (es. lancio un sasso da un balcone e colpisco una persona che muore; legge scientifica di copertura: forza di gravità). Nella spiegazione del nesso causale, il giudice deve passare da un metodo individualizzante ad un metodo generalizzante: deve partire da un fatto concreto realizzato e valutare se può essere descritto in termini generali e possa rientrare tra quegli eventi che, coperti da una legge scientifica, sono classificabili in una categoria. Il giudice è fruitore, non creatore delle leggi scientifiche che possono essere □ Universali: quando affermano che ad un determinato fattore, nel 100% dei casi, deriva un determinato evento □ Probabilistiche o statistiche: dalla condotta A deriva l’evento B in una certa % dei casi Quali sono le leggi scientifiche di copertura che il giudice può utilizzare? Agli effetti del nesso di causalità, il giudice deve considerare sempre lo stato delle conoscenze presenti al momento del giudizio poiché il giudizio di causalità è sempre ex post. Dovrà poi accertare il profilo soggettivo ponendosi al momento della verificazione della condotta (ex ante) tramite un criterio di cd prognosi postuma. Causalità omissiva: ha posto qualche problema; quando il soggetto agisce, il procedimento è logico e concreto ma quando omette di intervenire, gli eventi si sviluppano secondo un decorso naturale e l’evento è l’effetto di una serie di fattori, tra i quali non rientra la condotta omissiva. Solo dopo aver accertato l’efficacia causale di questi fattori ci si potrà interrogare sull’omissione della condotta doverosa Art. 40 comma 2: non impedire un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Si sostiene che la causalità omissiva abbia natura ipotetico-normativa, quindi il giudice deve ragionare per ipotesi. Qual è il grado di certezza di impedimento dell’evento necessario? Ci si può accontentare di qualcosa di meno? □ Prima interpretazione, tesi di grado inferiore: la giurisprudenza (in particolare nell’ambito della responsabilità del sanitario) si accontentava di gradi bassi di probabilità che la condotta doverosa avrebbe impedimento l’evento (anche 30%), sufficienti a ritenere la condotta omessa come causale Critica: trasforma gli illeciti d’evento □ Seconda interpretazione: in relazione all’accertamento della responsabilità viene chiesto che l’accertamento della causalità omissiva abbia la stessa % di quella attiva, vicina al 100%, alla certezza Lo si ritiene a partire dal 2000 con le sentenze Battisti chiamata sentenze gemelle in ambito di responsabilità processuale Le Sezioni unite, nella sentenza Franzese 2005 critica entrambe le impostazioni ed inaugura una terzia via interpretativa: ai fini dell’accertamento del rapporto di causalità vanno distinte due diverse nozioni di probabilità, in quanto il ragionamento logico è bifasico: 1. Probabilità statistica: il giudice deve individuare una legge scientifica di copertura 2. Probabilità logica: il giudice dovrà procedere ad una verifica aggiuntiva valutando caso per caso che l’evento realizzato in concreto è derivato in maniera causale dalla condotta o dall’omessa condotta (non l’evento astratto, ma il caso concreto: si passa da un piano statistico ad un piano logico). L’accertamento del giudizio di probabilità logica porta a ritenere sussistente il rapporto di causalità tra condotta ed evento concreto e affermare che al di là di ogni ragionevole dubbio, quella condotta è causa di quel determinato evento Come ha ribadito la Cassazione, diventa centrale il momento dell’accertamento processuale perché la probabilità logica altro non è che il momento di verifica della corroborazione dell’ipotesi astratta indicata dalla legge scientifica di copertura Posizione della giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni unite: nei contesti in cui intervengono più fattori in relazione alla verificazione di un evento (es. settore sanitario), la giurisprudenza ha richiamato in maniera un po’ scolastica la massima delle Sezioni unite CAPITOLO 14 Fatto tipico e offensività Principio di offensività: può essere inteso □ In astratto : si valorizza se la norma incriminatrice è offensiva di un determinato bene giuridico; considera la previsione normativa. Ogni fattispecie incriminatrice per essere considerata conforme al canone dell’offensività deve presentare un contenuto di offesa verso interessi o beni meritevoli di protezione. Il legislatore è invitato a strutturare ogni fattispecie in modo che emerga con chiarezza il profilo dell’offensività; si rivolge sia al legislatore che deve descrivere le fattispecie incriminatrici a tutela dei beni giuridici, sia all’interprete e al giudice che devono interpretare le norme per garantire il rispetto del principio di offensività in astratto □ In concreto : qui, il principio, diretto al giudice, opera come criterio interpretativo/applicativo. La giurisprudenza verifica se effettivamente quell’evento ha offeso quel bene; un soggetto ha realizzato tutti gli elementi del fatto tipico, ma ha concretamente realizzato una condotta offensiva? (es. furto di un acino d’uva) IN ASTRATTO Il comportamento è abituale quando l'autore è dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva (comma 1) non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69 . La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante. Sezioni unite 2016: possibilità di applicare il 131 bis ai reati per cui è prevista una soglia di punibilità. Soglia di punibilità: reati in cui la punibilità è condizionata al superamento di una soglia quantitativa o qualitativa (es. art. 186 codice della strada, guida in stato di ebrezza – art. 316 TER). Quali sono i margini di compatibilità tra reato a soglia e 131 bis? Una volta superata la soglia si può ancora parlare di non punibilità? Le Sezioni Unite sono intervenite sull’art 186 codice strada e dice che c’è piena compatibilità al momento del superamento di una certa soglia. Soglie di punibilità: vi sono reati tendenzialmente previsti (non nel cp) in corpus normativi autonomi e separati (es. reati tributari in materia di inquinamento) per i quali il legislatore prevede la punibilità quando viene superata una determinata soglia di punibilità - es. art. 316, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. La Corte definisce le condizioni obiettive di punibilità degli elementi costitutivi della fattispecie e sorrette da dolo o quantomeno da colpa; le soglie sono quindi assimilabili alle condizioni obiettive di punibilità intrinseche era perché attengono all'area della dimensione offensiva. Sentenza 156/2020: riguarda una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma ove non prevede l’applicazione del 131 bis per i reati per cui non è previsto un minimo edittale di pena. La questione è stata posta in relazione a questo “l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L'offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni”. Secondo la corte ciò corrisponde ad un bene effettivamente meritevole di tutela, quindi rispettoso in pieno del principio di offensività. Tecnica di anticipazione della tutela penale: non si attende che il bene giuridico sia leso ma si anticipa la soglia di punibilità già alla sola messa in pericolo del bene al fine di prevenirne la lesione. Come dicevamo, l’offesa può essere intesa come o Reato di danno: il bene giuridico è, in tutto o in parte, pregiudicato nella sua consistenza (es. omicidio art. 575 perché c’è una lesione della vita) o Reato di pericolo: questo prevede una certa probabilità della verificazione del danno, si ha un’anticipazione della tutela rispetto al reato di danno. Questi hanno assunto grande rilevanza a seguito di eventi naturali catastrofici avvenuti degli ultimi decenni. A seconda della modalità di tipizzazione della fattispecie, possiamo distinguere i reati di pericolo in - Reati di pericolo concreto: la punibilità è condizionata dalla verifica in concreto da parte del giudice della messa in pericolo dell’interesse tutelato; ai fini della loro configurabilità è necessario l’accertamento in concreto della messa in pericolo del bene. Qui, il pericolo è elemento costitutivo espresso di fattispecie; il giudice dovrà accertare in concreto la presenza di questo elemento con una valutazione ex ante secondo il cd giudizio di prognosi postuma, mai ex post, con giudizio a base parziale o totale; il metro di giudizio è rappresentato dalle leggi di copertura e le massime di esperienza disponibili al momento del giudizio - Reati di pericolo presunto o astratto: il pericolo non compare come elemento costitutivo di fattispecie ma costituisce la ratio della norma: qui il giudice non dovrebbe intervenire perché è già la norma che definisce una condotta pericolosa (es. incendio art. 423 comma 1, norma astratta; comma 2 “se dal fatto deriva”, l’incendio ha rilevanza penale non ex lege ma caso per caso); la Corte costituzionale ha tentato di riavvicinare questo tipo di reati a quelli di pericolo concreto; nel 1974 era stata chiamata nel valutare la compatibilità con il principi di offensività della norma sull’incendio di cosa altrui (e precedentemente in merito all’art. 428). La corte ha richiamato infondata la questione offrendo però un’interpretazione costituzionalmente orientata dicendo che è vero che nei reati di pericolo astratto non è previsto l’accertamento del giudice ma questo dovrà in ogni caso valutare se si è effettivamente riverificato un incendio (incendio: non un qualsiasi appiccamento di fuoco, bensì un evento disastroso che può ledere incolumità della collettività) La distinzione tra le due categorie di reato è agevole in presenza di beni tangibili (es. vita, patrimonio, integrità fisica, ecc.); è meno netta in presenza di fattispecie poste a tutela di beni giuridici dotati di un maggior grado di astrazione (es. art. 416, associazione a delinquere). Tra le due categorie quella che pone più problemi è quella la cui definizione è rimessa al legislatore, ovvero i reati di pericolo astratto. I reati di pericolo concreto vanno verificati a base parziale, ex ante, e tramite leggi scientifiche di copertura. Data la difficoltà, la giurisprudenza ha convertito in via interpretativa alcuni reati di pericolo astratto in concreto. Negli ultimi anni, tramite il testo unico per l’ambiente e codice della strada, in un’ottica di precauzione, è proliferato il fenomeno dei reati di pericolo e dell’attribuzione di soglie di punibilità (e possibilità di eliminare la punibilità in caso di superamento minimo della soglia). CAPITOLO 15 Cause di giustificazione L’antigiuridicità Nel nostro codice, dall’art. 50 al 55 (art. 55 detta una disposizione in termini di disciplina generale) troviamo un elenco di situazioni (in senso atecnico) in presenza delle quali può esser esclusa l’antigiuridicità, quando un fatto è antigiuridico. L’antigiuridicità è un concetto con cui si esprime un rapporto di contraddizione tra il fatto tipico realizzato e l’intero ordinamento; il giudice deve allora valutare se esistono delle norme che autorizzano/impongono quel determinato fatto tipico per salvaguardare un altro interesse ritenuto più meritevole di tutela. Queste norme che autorizzano/impongono non sono strettamente penalistiche (es. possiamo trovarle anche tra i regolamenti regionali) → efficacia intra sistematica. Queste sono dette scriminanti o cause di giustificazione, considerate elementi negativi del fatto in quanto la loro presenza fa sì che il fatto, pur integrando astrattamente gli estremi di una fattispecie incriminatrice, non possa essere considerato tale. Fondamento delle cdg: sul piano formale è riconducibile al principio di non contraddizione. Devono rispettare poi il principio di riserva di legge. Art. 59 comma 4: errore di fatto; se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui (l’erronea credenza sull’esistenza di una cdg è detta invece errore di diritto). PS: in presenza di scriminanti in bianco, l’errore sulla norma che delinea il diritto/dovere non è errore sulla legge extra-penale in quanto essa costituisce il nucleo essenziale della cdg (norme in bianco: tutte le norme che prevedono le cause di giustificazione generali - artt. 50-54 - e che non autorizzano o impongono specifici comportamenti, ma si avvalgono di clausole generali per individuare i fatti autorizzati). Il cp, per indicare le scriminanti, utilizza una locuzione atecnica (es. art. 52: legittima difesa) “non è punibile” che significa in realtà, non che sia esclusa la punibilità, ma va intesa in senso atecnico perche le scriminanti non rendono il fatto non punibile, lo rendono lecito (rendono lecito ciò che non lo è). Il fatto tipico diventa antigiuridico quando non esiste una norma che impone di compiere quel fatto. Quali sono le scriminanti/cause di giustificazione? Nella parte generale - Art. 50 : consenso dell’avente diritto - Art. 51 : esercizio di un diritto e adempimento di un dovere - Art. 52 : contempla le varie ipotesi di legittima difesa - Art. 53 : uso legittimo delle armi - Art. 54 : stato di necessità Nella parte speciale - Art. 384 : stato di necessità speciale - Operazione sotto copertura Elementi generali applicabili a tutte le cause di giustificazione della parte generale  Carattere oggettivo: hanno efficacia universale, rilevanza oggettiva; si applicano oggettivamente. In via eccezionale può assumere rilevanza anche il carattere soggettivo (es. soggetti infiltrati in merito all’operazione sotto copertura)  Scriminante putativa: rilevanza del putativo: supposizione errorea dell’esistenza della scriminante; se credo di agire in presenza di una scriminante che però in realtà non c’è, posso beneficiarne lo stesso? La legge “scusa” colui che ha commesso un fatto punito dalla legge come reato se lo ha compiuto ritenendo erroneamente di essere giustificato. Deve essere però un errore determinato da colpa, non da dolo  Eccesso colposo (art. 55 comma 1 – i commi 2, 3 e 4 parlano di legittima difesa domiciliare): nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli art. 51-52-53-54 si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo (esiste anche l’eccesso doloso - es. Tizio viene aggredito con uno spintone ed estrae una pistola - e l’eccesso incolpevole - es. aggressione con arma giocattolo) Legittima difesa un’interpretazione ancora più rigida rispetto a quella preista per la legittima difesa considerando che l’interesse leso deve essere di un terzo estraneo L’art. 54 comma 3: la disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo. Questo comma attiene al piano della colpevolezza perché il fondamento della legittimità è data dall’inesigibilità. Consenso Può essere elemento scriminante o elemento costitutivo della fattispecie in quanto elemento negativo; parlare di consenso in ambito penalistico porta a tracciare rapidamente anche l’intreccio tra consenso ed attività medica, in particolare al recente problema del suicidio assistito, vicenda Cappato. Art. 50: non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne; il legislatore parla generalmente di disponibilità e l’individuazione dei diritti disponibili ed indisponibili è rimessa a dottrina e giurisprudenza Diritti disponibili: quelli dei quali il titolare può disporre. Nei diritti disponibili rientrano quelli che possono essere oggetto di un'azione giuridica, ad esempio, vendita, permuta, locazione, ecc. Diritti indisponibili: non consentono al titolare compiere atti o negozi giuridici che li abbiano in oggetto. Di solito, sono quelli che non hanno un contenuto patrimoniale, come il diritto alla vita oppure al nome. Quindi il bene vita, che è sempre stato considerato indisponibile, in realtà è diventato parzialmente disponibile nei limiti del legittimo esercizio della libertà di rifiutare delle cure. ( art. 579-580) Diritti con posizioni problematiche: incolumità fisica, beni patrimoniali Il consenso può essere espresso o tacito, putativo - se il consenso non viene dato ma chi lede il bene ritiene che lo stesso sia stato prestato - (art. 59 comma 4) o presunto - chi lede il bene sa che il consenso non è stato dato ma presume che lo avrebbe ottenuto se lo avesse richiesto; non deve essere viziato. Vediamo due settori in cui si è posto problema di compatibilità della scriminante - reati colposi: la giurisprudenza ha negato l’applicazione della scriminante degli aventi diritto La Corte costituzionale è intervenuta in merito al caso Cappato (eutanasia in Svizzera di dj Fabo) con la cosiddetta tecnica della doppia pronuncia - qui il consenso può essere inteso come condizione di liceità dell’intervento del medico; il consenso deve essere informato, cioè il paziente deve essere istruito sul trattamento a cui sarà sottoposto, ecc. Collegato al consenso informato è anche il cd diritto di rifiutare le cure: nel provvedimento del 2017 ha avuto un riconoscimento normativo espresso, quando abbiamo parlato dell’oggetto del consenso abbiamo detto beni e diritti di carattere disponibili, e abbiamo detto che per tradizione il bene vita è un bene indisponibile. In realtà, prima ad opera della giurisprudenza e poi del provvedimento del 2017 il bene vita è diventato parzialmente disponibile nel limite dell’esercizio della propria libertà a rifiutare le cure. Questo diritto prima riconosciuto solo a livello giurisprudenziale riceve un fondamento normativo espresso. Quando il paziente esercita questo diritto, si esaurisce la posizione di garanzia del sanitario e decade la responsabilità penale del medico. Si inserisce qui il problema del cd suicidio assistito, quindi il collegamento con il caso Cappato. Problema della responsabilità del soggetto che accompagna un soggetto affetto da malattia incurabile in una clinica svizzera dove viene applicato il suicidio assistito. La condotta di Cappato rientrerebbe nella norma 580 che sancisce la responsabilità di aiuto al suicidio, ma questa norma possiamo collegarla con il diritto di rifiutare le cure. L’istigazione è una condotta più insidiosa rispetto all’aiuto, è un intervento di un terzo sulla decisione, sul processo volitivo, mentre l’aiuto è una condotta materiale. È intervenuta la Corte costituzionale con la tecnica della doppia pronuncia: sentenza n. 242/2019. La Corte interviene inizialmente con un’ordinanza n. 207/2018, e nello specifico nella vicenda Cappato, in cui la Corte ha evidenziato un profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 580 nella parte in cui prevede l’illegittimità della condotta di aiuto al suicidio, e la Corte offre una interpretazione costituzionalmente orientata di questo articolo e individua una particolare procedura da seguire per rendere il fatto non punibile. Se il soggetto che aiuta un altro al processo di suicidio segue il preciso iter procedurale non c’è responsabilità penale. Quindi doppia pronuncia perché emana una prima ordinanza con interpretazione costituzionalmente orientata in cui esorta il legislatore a intervenire e modificare il dato normativo, in assenza di questo intervento con una successiva pronuncia la Corte dichiara l’illegittimità della specie. Secondo la Corte costituzionale la punibilità della condotta di istigazione e aiuto al suicidio non sono la stessa cosa. La punibilità della condotta di istigazione è finalizzata a una tutela rafforzata di soggetti vulnerabili che possono subire una coartazione nel loro processo di decisione. La condotta di aiuto è solo la fase materiale, nell’ambito di questa condotta secondo la Corte la punibilità dev’essere limitata a eventi eccezionali, in presenza di condizioni eccezionali e accertate con molto rigore. Questa scriminante procedurale, questi elementi quali sono? La Corte individua una circoscritta area di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa, corrispondente segnatamente ai casi in cui l’aspirante suicida si identifichi in una persona - affetta da una patologia irreversibile - fonte di sofferenze fisiche/psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia - tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti 4) capace di prendere decisioni libere e consapevoli Questi requisiti devono essere presenti tutti contemporaneamente. L’introduzione di questa scriminante è giustificata dalla Corte in relazione al fatto che la norma 580 non la contemplava espressamente perché all’epoca del 1930 le vicende come quella Cappato non erano ancora immaginabili, si sono presentate con lo sviluppo della scienza e medicina. Diritto di rifiutare le cure (art. 32 Cost). La Corte specifica che questi requisiti vanno accertati minuziosamente da una struttura pubblica, sentito il parere di un comitato etico competente. Un altro problema è relativo ai fatti come la vicenda Cappato realizzati prima della pronuncia della Corte: si applicano questi requisiti? Sì, i fatti di aiuto al suicidio realizzati prima della pronuncia possono beneficiare della scriminante procedurale a condizione che ci si accerti siano stati rispettati tutti i requisiti. Scriminante procedurale: è esclusa la punibilità se si segue un determinato iter procedurale. L’art. 51 prevede al suo interno due cause di giustificazione: da una parte l’esercizio di un diritto, e dall’altra l’adempimento di un dovere. Adempimento di un dovere Caso Welby ed Englaro: paziente affetto da sclerosi multipla chiede di essere distaccato dal respiratore che lo tiene in vita; il medico anestetizza il paziente e attua la volontà del malato staccando il respiratore con conseguente decesso del paziente. Il procedimento penale a carico del medico per omicidio del consenziente si è concluso con un decreto di archiviazione poiché il giudice ha applicato la scriminante dell'adempimento di un dovere essendo dovere del medico dare attuazione alla volontà del malato. La ratio di questa causa di giustificazione è sempre l’art. 51, il principio di non contraddizione, non dobbiamo mettere in contraddizione due doveri. Le fonti del dovere sono due: o norma giuridica, o un ordine legittimo della pubblica autorità (decreto-legge, decreto legislativo, regolamento). Più complicato è quando il dovere è posto da un provvedimento di una pubblica autorità: rilevano solo i rapporti di diritto pubblico, non di diritto privato. Ai fini della possibilità della scriminante rilevano solo i rapporti di subordinazione di diritto pubblico. L’art. 51 distingue poi che l’ordine sia legittimo o illegittimo. Il primo comma dell’articolo detta la disciplina dell’ordine legittimo: l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o ordine legittimo esclude la punibilità. Cosa vuol dire legittimità sostanziale e legittimità formale? Un ordine è formalmente legittimo quando proviene correttamente dall’organo che ha la competenza in quella materia, competenza del destinatario ad eseguire quell’ordine, e rispetto delle forme scritte per la validità. L’ordine è sostanzialmente legittimo invece quando esistono i presupposti per emanarlo. L’ordine illegittimo può scriminare? Comma 2 e 3 dell’art. 51. Chi emana l’ordine illegittimo è sempre responsabile e punibile. Colui che segue l’ordine del fatto è punibile salvo determinate condizioni: nel caso dell’art. 51 comma 3 siamo in un’ipotesi di esclusione del dolo, il quarto invece prevede un’ipotesi di esclusione di giustificazione personale, non è punibile chi segue un ordine illegittimo quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità. Ma la punibilità sussiste comunque se l’ordine è palesemente criminoso o il soggetto era a conoscenza dell’illegittimità. Quindi, l’art. 51 riconosce in via generale efficacia scriminante solo agli ordini legittimi; per quanto riguarda quelli illegittimi, il cp italiano punisce sia il superiore gerarchico che ha istigato il reato ma anche l’esecutore. Esercizio di un diritto La ratio dell’efficacia scriminante dell’esercizio di un diritto è il principio di non contraddizione. Se c’è una norma che prevede che quella facoltà è un diritto non può esserci una norma che lo punisce. L’art. 51 si limita a indicare l’esercizio di un diritto ma senza indicare i limiti e il contenuto. Per diritto si intende un’espressione intesa in senso lato non comprensiva solo di diritti di carattere personale in senso stretto, ma anche il diritto di agire. I limiti della scriminante è una operatività condizionata al rispetto di alcuni requisiti. Es. esercizio del diritto di cronaca e esercizio del diritto di critica: bilanciamento di due interessi da un lato libertà di manifestare il pensiero, dall’altro tutela dell’onore del soggetto diffamato. Questi non hanno efficacia scriminante assoluta ma hanno alcuni limiti non indicati dal Costituzione o codice, ma sono requisiti indicati dalla Cassazione, pronuncia molto risalente del 1994 viene ricordata come la pronuncia che contiene il cd decalogo dei giornalisti. Cioè secondo le Sezioni Unite l’esercizio del diritto di critica o cronaca scrimina in presenza di tre requisiti: 1. verità 2. interesse pubblico 3. continenza, ovvero la correttezza espositiva Offendicula: mezzi predisposti a difesa della proprietà, come ad es. il filo spinato, le trappole, i congegni esplosivi, le barriere elettriche, ecc.; leciti nell’applicazione della legittima difesa o della necessità. Uso legittimo delle armi elementi, come i presupposti della condotta e qualifiche personali possono essere oggetto di sola rappresentazione). Il momento in cui bisogna valutare la presenza del dolo è la condotta o meglio il momento in cui l’agente compie l’ultimo atto di dominio sullo svolgimento del fatto; il dolo deve essere quindi concomitante alla condotta. Allora, non rileva il dolo antecedente (es. Tizio vuole uccidere la sua fidanzata e la conduce in auto nel luogo del delitto programmato ma durante il percorso l’auto esce di strada per eccesso di velocità e la ragazza muore a seguito dell’incidente: omicidio colposo, non doloso) né il dolo susseguente (es. Tizio prende per sbaglio dal ristorante un ombrello che non è il suo e, una volta a casa, ne se accorge e decide di tenerlo: non c’è reato perché manca il dolo al momento dell’impossessamento). Altra ipotesi relativa all’errore riguarda il dolo generale (es. Tizio ferisce a bastonate X e lo crede morto, gli da fuoco. Poi, è accertato che X non è morto per le ferite ma per il fumo; Tizio non è accusato di omicidio doloso e distruzione di cadavere perché manca il dolo al momento del cagionamento della morte, ma di tentato omicidio e omicidio colposo). L'oggetto del dolo si esaurisce nella rappresentazione nella volizione o deve essere arricchito anche dalla coscienza dell' offesa all' interesse tutelato? Consapevolezza del carattere antisociale del fatto → è intesa come coscienza che il proprio comportamento sia in contrasto con valori fondamentali della società civile, in un dato momento storico, in quanto si sta offendendo un bene/interesse rilevante e meritevole di protezione. Coscienza dell’offesa → più complesso, la giurisprudenza si è espressa poco a riguardo dicendo che in qualche modo questa andrebbe valorizzata. Forme di dolo Le norme di parte speciale possono essere classificate a seconda del tipo di dolo; alcune forme emergono già dalla norma speciale (reati a dolo generico e reati a dolo specifico), altri invece sono classificati in base alla componente volitiva: dolo intenzionale, dolo diretto e dolo eventuale.  Norme a dolo generico: per i reati a dolo generico è sufficiente la generica rappresentazione dell’atto tipico; qui, la finalità perseguita dall’agente è irrilevante sotto il profilo oggettivo. Il dolo è integrato indipendentemente dall’obiettivo che muove il colpevole. Es: omicidio (e furto); il dolo dell’omicidio è integrato indipendentemente dal fatto che l’obiettivo sia la vendetta, il lucro, ecc.  Norme a dolo specifico: per i reati a dolo specifico, la norma stessa specifica la finalità della condotta (essenziale per la punibilità). Questa finalità non corrisponde al movente. Questi reati hanno posto diverse questioni di carattere interpretativo: perché il legislatore comprende in alcune norme il dolo specifico? Il dolo specifico può avere una funzione di incriminazione (rendere lecito ciò che normalmente non lo è; es. associazione a delinquere, associarsi è un diritto) o di delimitazione dell’area del penalmente rilevante (es. furto, rilevante solo se a scopo di trarne profitto)? I reati a dolo specifico si caratterizzano per il fatto che la norma incriminatrice utilizza formule “allo scopo di, al fine” e richiede che l’agente si rappresenti e voglia la realizzazione di un fatto con lo scopo di realizzare un evento ulteriore, che però non è necessario ai fini della consumazione del reato. In alcuni contesti la norma di parte speciale prevede una circostanza aggravante:  art. 427 : lo scopo coincide con la condotta stessa, non costituisce un elemento ulteriore, per questo non costituisce dolo specifico  art. 431 : il reato non è specifico ma si parla del movente del reato Problema di compatibilità con il principio dell’offensività: dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato come con questo tipo di reati ci sia il rischio di estrema soggettivizzazione. Il legame fra il fatto e il bene giuridico tutelato parrebbe solamente o prevalentemente di natura soggettiva. Un fatto psichico però non può incidere sulla realtà e non può influire sull’integrità dei beni giuridici: la giurisprudenza, dunque, ha assimilato i reati a dolo specifico al tentativo, o i reati a dolo concreto o i reati di danno. Di solito nei reati a dolo specifico si ha una anticipazione della tutela penale analoga a quella che si verifica nel tentativo e nei reati di pericolo. Questa analogia strutturale comporta la necessità che anche per quanto riguarda i reati a dolo specifico venga considerato un elemento di natura oggettiva: requisito della idoneità causale. Quindi secondo la giurisprudenza nei reati a dolo specifico non va accertata solo la componente volitiva, ma anche la sua oggettiva idoneità a cagionare l’offesa perseguita dall’agente. Possiamo operare una seconda classificazione - non disciplinata dal nostro cp - in base all’intensità della componente volitiva (uno dei parametri che usa il giudice per dosare la sanzione applicabile)  Dolo intenzionale o di primo grado: è la forma più forte di volontà, l’agente voleva quel fatto, l’evento è l’intenzione, finalità. Non va confuso con il movente (es. voglio uccidere mia suocera per vendetta: il dolo intenzionale è l’omicidio, la vendetta è il movente). Ci sono due norme che fanno eccezione: norma sull’abuso di ufficio, art. 323 per forza intenzionale e mai eventuale e art. 600 quater, detenzione consapevole di materiale pedopornografico  Dolo diretto: il soggetto agisce con la rappresentazione della verificazione di questo evento in termini di quasi certezza o elevata probabilità (es. uccisione da parte di un killer del magistrato sotto scorta); abbiamo un dolo intenzionale per la morte del magistrato, e per la scorta invece dolo diretto, perché è un “effetto collaterale” e strumentale per la volontà di uccidere il magistrato.  Dolo eventuale: è la figura più controversa e problematica; qui non c’è volontà, il soggetto non vuole che quell’evento si realizzi, non se lo rappresenta in termini di certezza o elevate probabilità, ma si configura solo come possibile il verificarsi di un reato e agisce nonostante questa possibilità a costo di cagionarlo. Quindi non c’è volontà, ma accettazione del rischio, il problema del dolo eventuale che diventa rilevante è la differenza con la colpa cosciente, forma di colpa con previsione dell’evento. Il dolo eventuale va distinto anche dalla preterintenzione. Penalista tedesco Frank Sentenza ThyssenKrupp 2014: la Corte Suprema ha chiarito il sottile confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, evidenziando che ai fini dell’individuazione della responsabilità dell’agente, a titolo di dolo o colpa, è necessaria la valutazione di una serie di indici sintomatici in grado di ricostruire la volontà interiore dell’agente. In tale sede i giudici richiamano la prima formula di Frank → il dolo eventuale si realizza quando “la previsione di tale evento in termini di certezza non avrebbe trattenuto l’agente dal compiere l’azione illecita”. Di fatti se l’agente, nell’avere certezza che l’evento si fosse sicuramente realizzato, avrebbe rinunciato ad agire, si configura in tale caso l’ipotesi di colpa cosciente. Frank, nei primi anni del Novecento, formulò la seconda formula di Frank → si sostanzia nel ragionamento posto in essere dall’agente prima di agire: “nonostante sia presente o meno quella circostanza, avvenga questo o quell’altro, io agisco”. Con riguardo al dolo eventuale, un cospicuo orientamento giurisprudenziale afferma che si può parlare di accettazione del rischio e adesione psicologica all’evento da parte dell’agente (a detta di altri, questa interpretazione appare fallace oltre e contra legem perché ciò che l’agente andrebbe ad accettare è il pericolo della realizzazione di quell’evento e non già l’evento) ma ai fini della configurazione del dolo eventuale è necessario il soggetto abbia agito accettando il realizzarsi dell’evento, di guisa risulta preferibile parlare del dolo eventuale come adesione all’evento. Intensità del dolo → secondo l'art. 133, il giudice deve tenerne conto per graduare la pena fra il minimo e il massimo previsti a livello edittale; oltre alle distinzioni che abbiamo già fatto, acquista rilevanza allora anche la distinzione fra dolo d’impeto (il soggetto agisce in un momento immediatamente successivo a quello in cui prende la decisione) e dolo di proposito (tra determinazione ed esecuzione trascorre un certo lasso di tempo). Dunque, per alcuni reati, ex art. 577, costituisce un’aggravante speciale: il decorrere di un certo lasso di tempo tra ideazione ed esecuzione del reato, la cd premeditazione. Accertamento del dolo → deve essere provato con un grado di certezza che superi ogni ragionevole dubbio ma, trattandosi di valutare un processo psicologico interno al soggetto, troviamo delle difficoltà risolvibili in parte solo ricorrendo a massime di esperienza (es. vedo uno stimato e ricco avvocato che armeggia con una chiave vicino alla serratura di una macchina di lusso identica alla sua, parcheggiata 100 m dopo: ci porta a pensare che manchi dolo del furto). CAPITOLO 18 Colpa La responsabilità colposa è sussidiaria, cioè viene applicata solo per i delitti per i quali sia espressamente prevista dal legislatore; è la causazione di un fatto vietato dalla legge penale per violazione di regole cautelari, codificate o meno; per la sua natura, l’illecito colposo assume gravità minore rispetto a quello doloso (es. omicidio: il danno è lo stesso ma la rimproverabilità è diversa). Questa questione è stata posta in discussione a partire dall’introduzione, con la legge 41/2016 Gelli Bianco sull’omicidio/lesioni stradale, dell’art. 589 ter cp - chi uccide violando il codice della strada può giungere fino a 18 anni di reclusione (30 anni se c’è l’aggravante della fuga). Art. 43: il delitto è colposo quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Elementi strutturali della colpa: individuabili dall’art. 43 (ultimo individuato in via interpretativa dalla dottrina), sono:  Mancanza di volontà del fatto (elemento negativo): questo è l’elemento che ci aiuta a distinguere la colpa dal dolo. Art. 59, chi crede per errore - per colpa - di essere aggredito, risponde delle lesioni che provoca; la mancanza di volontà del fatto non esclude che l’agente del delitto colposo possa prevedere l’evento (art. 43: “preveduto”). Quindi possono esserci ipotesi di colpa in cui il soggetto agente si rappresenta come possibile la verificazione del fatto tipico ma si deve trattare di rappresentazione a contenuto negativo, cioè egli deve escludere che il fatto si verificherà facendo leva sulle sue capacità o altri elementi (risponde allora, ad esempio, il tassista che, per accompagnare in tempo il suo cliente in aeroporto, supera i limiti di velocità ed uccide un pedone)  Inosservanza di regole cautelari (elemento positivo oggettivo) parametri? Sicuramente non si può fare riferimento a quella che viene definita la “migliore scienza ed esperienza” perché sì richiederebbe uno sforzo inadeguato ed anche il riferimento al cd “uomo medio”, un soggetto né troppo accorto né troppo poco accorto sarebbe perché significherebbe richiedere poco; ecco perché giurisprudenza e dottrina fanno riferimento, per valutare prevedibilità ed evitabilità del fatto, al cd “agente modello”, cioè il soggetto che svolgendo un tipo di attività professionale (o non) utilizza tutte le cautele possibili, quelle che l'ordinamento prevede in un determinato contesto. Esiste una pluralità di agenti modello e ognuno, anche all'interno di una stessa professione, viene preso a riferimento per la valutazione del livello di prevedibilità e di evitabilità a seconda del contesto di riferimento. Ovviamente il giudice dovrà anche tenere conto nella valutazione della prevedibilità ed evitabilità delle specifiche conoscenze ed abilità del soggetto agente. Nell'ambito della colpa specifica abbiamo detto che la fonte scritta, cioè le regole cautelari, sono individuate attraverso un dato normativo: leggi regolamenti, ordini o discipline; quindi, le fonti nella colpa specifica sono scritte e fissano, cristallizzano a livello normativo il parametro di prevedibilità ed evitabilità dell'evento. Per imputare un fatto tipico dannoso/pericoloso ad un soggetto è sufficiente che il giudice si limiti a valutare la violazione della regola cautelare oppure è necessario che proceda ad un giudizio di accertamento della prevedibilità e dell’evitabilità? La colpa è un elemento soggettivo e ritenere che la colpa presente basti rischia di trasformare la colpa in elemento oggettivo, inoltre, negli ultimi anni nel nostro ordinamento sono aumentate le ipotesi di colpa specifica perché il legislatore tende a e prevedere in relazione anche al progresso tecnologico della scienza medica regole cautelari in grado di aumentare le ipotesi di colpa specifica (quindi attenzione a dire che è sufficiente l'accertamento della regola cautelare); è necessario tenere conto di alcuni elementi: 1. distinzione tra regole cautelari a contenuto rigido e regole cautelari a contenuto elastico. A contenuto rigido significa che non c'è margine, viene descritto in maniera dettagliata e analitica il contenuto della regola cautelare (es. norma del d.lgs. 80108 che impone al datore di lavoro di non esporre i lavoratori a limiti di rumore superiori a 87 decibel oppure es. norma del codice della strada che impone il divieto di sorpasso a destra). A contenuto elastico impongono determinati comportamenti descritti in maniera generica, non specifica, analitica (es. la norma che impone di tenere una distanza di sicurezza rapportata alle condizioni di tempo, luogo, tipo di strada, ecc.). Necessario è poi l'accertamento la regola cautelare scritta e esaurisce la misura della diligenza richiesta perché potrebbe residuare in capo al soggetto un profilo di colpa di carattere generico (ho rispettato la regola scritta ma comunque ho tenuto un comportamento imprudente) 2. una volta che si accerta da parte del giudice che il soggetto ha rispettato la regola cautelare scritta è necessario egli proceda a verificare se la regola esaurisca o meno la misura di diligenza richiesta nel caso concreto 3. siamo sempre nel contesto di chi ha rispettato la regola cautelare ma è da verificare che questo non abbia aumentato il rischio di realizzazione del fatto tipico (es. in ambito di circolazione stradale nel contesto delle cd manovre di emergenza) Attività rischiose/pericolose È possibile che una regola cautelare che fonda una colpa specifica possa avere come oggetto un obbligo di prevenzione del comportamento di terzi (riguarda il problema di concorso di persone perché essendo una regola cautelare a contenuto specifico con oggetto la prevenzione del comportamento di terzi, è molto più complessa la risposta in relazione alla possibilità di fondare un addebito col di colpa generica sono messo impedimento del fatto di 1/un terzo) - principio di affidamento. Altra problematica è il rapporto tra regole cautelari e attività pericolose/rischiose. Cosa vuol dire? Quali sono i limiti dei parametri di prevedibilità ed evitabilità rispetto alle attività pericolose/rischiose ma socialmente utili? (es. attività industriali: in sé comportano un rischio ed essendo socialmente utili pongono sempre un problema di responsabilità colposa di prevedibilità); è necessario che queste attività si mantengano nei limiti del rischio consentito, se l'attività li supera allora è possibile un addebito a titolo di colpa e problematica è l’accertamento da parte del giudice del superamento di questa soglia. Il giudice deve procedere ad effettuare un bilanciamento tra l'esercizio di questa attività e la tutela degli interessi che potrebbero essere pregiudicati e quindi dovrà tener conto, oltre che dell'importanza dell'attività, dei rischi connessi e della tipologia/caratteristiche, anche degli interessi che devono essere sacrificati. L’art. 43 definisce il delitto colposo: quando l'evento anche se preveduto non è voluto dall'agente; è indicativo dello stretto collegamento alla violazione della regola cautelare. L'evento concreto rappresenta la concretizzazione del rischio creato dalla violazione della regola cautelare. Il libro fa l’esempio del caso del datore di lavoro fornisce caschi protettivi ai propri lavoratori e uno di loro viene punto da un'ape sul collo. Risponde il datore? No: se ci fosse stato il rispetto della regola cautelare, l’evento non sarebbe comunque stato previsto/evitato, sarebbe potuto capitare lo stesso. È diverso dal caso del lavoratore che, privo di casco, subisce una lesione derivante dalla caduta di un muro. 4. Eleggibilità del comportamento rispettoso delle regole di diligenza o misura oggettiva della colpa: è un requisito che emerge sul piano pratico a livello giurisprudenziale, attiene alla colpa proprio della sua dimensione più tipica di responsabilità colpevole; è inoltre elaborato. La tematica penalistica individua due livelli secondo la cd teoria della doppia misura della colpa (o del doppio livello): la colpa dovrebbe avere due misure, quella oggettiva rappresentata dalla violazione della regola cautelare da parte dell’agente modello e una seconda misura per la quale deve essere accertata anche l'esigibilità del rispetto di questa regola cautelare nel soggetto. Questo secondo requisito porta alla personalizzazione del giudizio, cioè, perché sia esclusa la rimproverabilità per quel fatto dannoso-pericoloso a titolo di colpa è necessario che sia esigibile da parte del soggetto il rispetto della regola cautelare: non è esigibile soltanto in presenza di deficit di natura fisica o psichica o di deficit di socializzazione che portano a non rendere esigibile il rispetto della regola cautelare da parte del soggetto (non è che si deve tenere conto di tutte le caratteristiche del soggetto perché altrimenti si andrebbe incontro ad un rischio di eccessiva assunzione, ma soltanto di quelle caratteristiche fisiche intellettuali-psichiche o di socializzazione che non rendono esigibile il rispetto della regola cautelare). Questa tematica assume rilevanza sul piano della parte speciale più che della parte generale. Tra i parametri di riferimento della gravità del reato abbiamo l'intensità, il grado della colpa: facciamo riferimento ad una norma nel cp parte speciale, l'art. 590 sexies che riguarda la responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario; in ambito di grado della colpa, non assume una rilevanza sul piano della misura sanzionatoria, della tipicità penale e dell’esclusione della punibilità. Infatti, l’art. 590 sexies dice che, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. La distinzione tra colpa lieve e colpa grave che riemerge però sul piano interpretativo si applica anche attraverso un intervento legislativo Sezioni Unite 2017: introduce il riferimento all’errore che può essere classificato quasi universalmente; la prima classificazione attiene al momento in cui il soggetto versa in errore o meglio l'errore può incidere sulla volontà del soggetto, sul segmento psichico oppure può essere un errore di inabilità, cioè, un errore nella fase di esecuzione del reato che può andare o meno ad escludere la colpevolezza. Concludiamo l'analisi di tutti gli elementi soggettivi, finora abbiamo visto dolo e colpa (per cui è garantito appieno il rispetto del principio costituzionale di colpevolezza, l’art. 27, giudizio di rimproverabilità). La soglia minima di colpevolezza fonda quel giudizio di rimproverabilità così ben dettagliato da due sentenze Corte costituzionale 1988. Il terzo elemento soggettivo è rappresentato dalla preterintenzione (preterintenzionale o oltre l’intenzione): art. 43; quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente. Quali sono le figure di delitto per intenzionale previste nel nostro ordinamento? Ci sono solo due ipotesi qualificate come tali e solo una è contenuta in legge speciale: l. 194/1988 sull’aborto e aborto preterintenzionale e la norma sull’omicidio preterintenzionale ex art. 584, chiunque con atti diretti a ledere o percuotere cagiona quale conseguenza non voluta la morte di un uomo, è punito con la reclusione da 10 a 18 anni. Varie posizioni della giurisprudenza e critiche: la prima impostazione fa leva sull’interpretazione meramente letterale dell'art. 584; la seconda dice che l'art. 84 sarebbe un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ipotesi che però si pone in netto contrasto con l'art. 27 comma 1 e con il giudizio di rimproverabilità. Nel secolo scorso, tra gli anni 80 e 90, la questione è sottoposta a vaglio critico dalla giurisprudenza perché proprio in quegli anni la Corte costituzionale è intervenuta dicendo che gli elementi più indicativi della fattispecie devono essere imputati quantomeno a titolo di colpa - avvallo dalle Sezioni Unite, non in relazione al 54, ma alla norma “gemella”. Altro orientamento (oggi prevalente - non proprio in linea con l'art. 27 comma 1 Cost.); è sufficiente il dolo delle lesioni… Pronuncia Cassazione 2018: prende le distanze chiedendo l'accertamento del profilo della colpa generica in concreto; può essere utilizzata per interpretare l'art. 584, presenta una struttura completamente diversa. La questione è stata ancora oggetto di interventi della Corte per renderla maggiormente compatibile con l'art. 27 comma 1 Cost. in merito alla stampa periodica. Pronuncia Corte costituzionale 1956: interpretazione conforme all'art. 27 comma 1. CAPITOLO 19 Disciplina dell’errore L’errore consiste in una falsata percezione della realtà o della normativa vigente. Prima distinzione da operare: □ Errore-motivo: incide sul percorso formativo della volontà e quindi sulla colpevolezza; è disciplinato dall'art. 47 e 5. A sua volta si divide in:  Errore sul fatto: errore sul fatto tipico; investe quindi uno degli elementi costitutivi della fattispecie. È disciplinato dall’art. 47 comma 1  Errore sul precetto: deriva da ignoranza o erronea interpretazione della legge penale (es. musulmano che vuole contrarre un secondo matrimonio senza sapere c) L’agente crede per errore che nella situazione concreta sia integrato un elemento che degrada la punibilità, cioè lo porterebbe a realizzare una fattispecie di reato meno grave (es. Tizio crede per errore che vi sia consenso della vittima alla propria uccisione: risponderà di omicidio comune omicidio del consenziente?) In merito alla domanda appena posta, un primo orientamento sostiene che l'errore sull’elemento differenziale si risolverebbe sempre in un errore sulla legge penale - precetto e quindi si dovrebbe applicare l'art. 5, escludendo rilevanza all'errore stesso (sempre che non sia inevitabile). Quindi, nell'esempio sopra citato si tratterebbe di omicidio comune e non del consenziente. Pare però preferibile la tesi opposta, secondo la quale dovrebbe valere, in via di interpretazione analogica in bonam partem, la regola dettata dal codice all'art. 59 comma 4 in materia di erronea supposizione di una causa di esclusione della pena (questa soluzione consentirebbe di rispettare il principio di colpevolezza perché tiene conto dell'esigenza di punire in base a un rimprovero del disvalore del fatto che sia proporzionato al concreto atteggiamento doloso della gente). Errore determinato dall’altrui inganno Facciamo un esempio in cui l'errore sul fatto è frutto dell'inganno di una terza persona: un pubblico ufficiale redige un atto pubblico con false attestazioni poiché tratto in inganno dal privato che allega documenti falsificati; in questo caso, l'autore materiale del falso non potrà essere punito ex articolo 47 bensì risponderà chi ha determinato l'inganno e spinto l'autore a commetterlo ex articolo 48: nell'esempio pratico dunque risponderà il privato, non il pubblico ufficiale. Inganno: si intende qualsiasi condotta che abbia concretamente tratto in errore l'autore materiale del reato (menzogne, documenti falsi, altri artifici). Attenzione: qualora il soggetto ingannato abbia tenuto la condotta criminosa per essere stato tratto in inganno ma gli si possa rimproverare di non avere utilizzato tutta la diligenza che l'ordinamento impone ai soggetti che svolgono quel tipo di attività, egli risponderà a titolo di colpa sempre che tale imputazione soggettiva sia prevista per quel delitto (es. Tizio ha volontà omicida, trae in inganno Caio facendogli credere che dietro il cespuglio vi sia una preda e non un uomo; Caio spara e uccide in una situazione nella quale la presenza di un uomo dietro il cespuglio poteva essere prevedibile: o Tizio risponde di omicidio doloso e Caio di omicidio colposo visto che il suo errore, anche se ingenerato dall’inganno altrui, è dovuto a colpa). Casi come questo sono particolarmente rilevanti in merito ai delitti contro la fede pubblica e di calunnia. Reato putativo Art. 49 comma 1: non è punibile chi commette un fatto non costituente reato nella supposizione erronea che sto costituisca reato (errore inverso a quello degli ex art. 5 e 47 commi 1 e 3). Anche in caso di reato putativo l'errore può essere sul fatto (es. Tizio crede di sottrarre una cosa altrui che in realtà già gli appartiene) oppure di diritto (es. Tizio ritiene di non aver ancora acquisito il possesso di un immobile preso in locazione e pensa erroneamente che occupandolo compirà il delitto di usurpazione di edifici). Altri casi sono i reati putativi per errore sulla legge penale (es. Tizio, proferendo parole oltraggiose contro la divinità, pensa di commettere il delitto di bestemmia che invece è stato depenalizzato con la legge 507/1999) e i reati putativi di chi, pur agendo in presenza di una causa di giustificazione, pensa erroneamente di essere punibile (es. Tizio uccide l'aggressore armato e crede di aver commesso un omicidio doloso punibile). Altro punto sottolineato dall'art. 49 comma 3 è che se la gente ha integrato gli estremi di un reato diverso da quello putativo egli ne risponda (es. Tizio crede di commettere reato di adulterio poiché tradisce la moglie con la sorella della moglie, minore di anni 14: risponderà del delitto di atti sessuali con minore). Ignoranza o errore sulla legge penale L'art. 5 prevedeva un'assoluta ed invincibile presunzione di conoscenza (conoscibilità) della legge penale in virtù della quale nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza e la legge penale. La ratio di tanta severità è l'assoluta prevalenza delle esigenze di prevenzione generale e difesa sociale. A riguardo si sosteneva che vi è per tutti coloro che si trovano nel territorio di uno Stato, cittadini o meno, una sorta di obbligo di conoscere la legge penale in virtù della sua pubblicazione sulla Gazzetta (che ne consentirebbe sempre anche solo in astratto la conoscibilità da parte di tutti); questo poteva essere tollerato all'interno della logica repressiva del Cp del 1930 ma, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e l'affermarsi del principio di colpevolezza, si è manifestata l'esigenza di contemperare il principio ignorantia legis non excusat con la necessità di non punire soggetti nei confronti dei quali non è possibile muovere alcun rimprovero in virtù dell’impossibilità di conoscere il precetto penale. Si parla a riguardo di buona fede nelle contravvenzioni, quell’atteggiamento psicologico in virtù del quale il soggetto agente ha violato la norma penale ma con la verosimile e non rimproverabile consapevolezza di agire in maniera lecita. La ricerca di un punto di equilibrio coerente è stato oggetto di interventi della Corte costituzionale che, con la sentenza 364/1988, ha affermato esplicitamente la rilevanza costituzionale del principio di colpevolezza stabilendo che: se la conoscibilità della legge penale nel caso concreto è impedita, allora l'ignoranza o l'errore in merito rivestono quel carattere di inevitabilità che esclude la colpevolezza del soggetto e non consente di punirlo; se invece l’agente ignora la norma ma avrebbe potuto conoscerla (cd ignoranza evitabile), allora, in quanto rimproverabile, deve essere punito. Corte costituzionale 1988: richiama il principio di continuità del collegamento funzionale tra i commi 1 e 3 dell'art. 27 e richiama anche l'articolo 2 sul principio della solidarietà sociale la parte del cittadino rispetto al dovere di informazione dello Stato. Cerca poi di individuare dei criteri per potere valutare quando un errore è invitabile e quindi quando si può parlare di non conoscibilità: criteri oggettivi puri che rendono impossibile la conoscenza della norma penale per tutti i consociati (assoluta oscurità del testo legislativo, marasma interpretativo da parte degli organi giudiziari), i cd criteri misti cioè assicurazioni erronee di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare (precedenti, varie assoluzioni dell’agente per lo stesso fatto) ed infine criteri soggettivi puri che prendono in considerazione solo ed esclusivamente le caratteristiche dell’agente e non possono essere considerati (a meno che non si tratti di reati di pura creazione legislativa in cui il soggetto abbia un'assoluta carenza di socializzazione come in materia fiscale). La Corte parla anche del cd errore qualificato. La Corte tenta quindi di mitigare il rigore dell'art. 5 dichiarandone l'incostituzionalità nella parte in cui non prevede la scusabilità dell'errore inevitabile sulla base del ragionamento del conoscibilità della legge penale. Posizione della giurisprudenza della Cassazione: difficilmente riconosce una efficacia din grado di escludere il dolo ad un errore sul precetto; ci sono margini di maggior apertura della giurisprudenza di merito ma in Cassazione ritengono che l'ignoranza sia sempre evitabile. Occorre precisare che l'ignoranza o l’errore inevitabile sulla legge penale non possono mai consistere nel dubbio sulla liceità dei propri comportamenti proprio perché, caratterizzato da una sorta di incertezza, il dubbio impone sempre al soggetto di andare a verificare l'eventuale rilevanza penale della propria condotta. CAPITOLO 20 Ipotesi di responsabilità anomala Responsabilità oggettiva: la legge determina i casi in cui l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua azione/omissione; art. 42 comma 3. Per responsabilità oggettiva si intende una responsabilità in assenza di dolo o colpo fondata sul semplice nesso causale tra condotta ed evento. Nell’ottica del legislatore del 1930, i casi di responsabilità oggettiva erano numerosi: responsabilità del direttore in ambito di stampa periodica, aberratio, evento preterintenzionale, delitti aggravati dall’evento, responsabilità del concorrente per evento diverso da quello voluto e condizioni obiettive di punibilità. Il punto comune (tranne per la responsabilità del direttore) di queste forme di responsabilità oggettiva è costituito dalla presenza di una volontà criminosa di partenza con uno sviluppo successivo causalmente collegato al reato voluto; il meccanismo di imputazione costruito su base oggettiva e stato molto criticato dalla dottrina. Con l'arrivo della Costituzione, si afferma la convinzione che in campo penale la responsabilità oggettiva crea problemi di legittimità costituzionale e la norma fondamentale da cui muove questa corrente di opinione è l'art. 27 comma 1 (la responsabilità penale è personale), analizziamo il significato di questa norma: - primo significato: non è ammessa nessuna forma di responsabilità per fatto altrui - secondo significato: “responsabilità penale” non significa soltanto rispondere per fatto proprio ma implica che l'intervento della sanzione penale sia giustificato solo se nei confronti del fatto vi è colpevolezza (cd rimproverabilità sulla base di un coefficiente psicologico) Anche se la dottrina è quasi unanime nel cogliere questo ampio significato del principio di personalità della responsabilità penale, per alcuni decenni la Corte costituzionale rimane ferma sull’interpretazione più limitata del principio: la Costituzione vieta forme di responsabilità per fatto altrui ma non esclude la responsabilità oggettiva. Una svolta nella giurisprudenza della Corte costituzionale si ha con la sentenza 364/1988: il problema riguardava inescusabilità assoluta dell’ignoranza della legge penale ex art. 5; la Corte riconosce che la responsabilità oggettiva è incostituzionale quando investe elementi più significativi della fattispecie → la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile; ciò significa che il soggetto può considerarsi colpevole solo ove la conoscenza della norma penale fosse possibile, ovviamente fermo restando il generale principio di solidarietà sancito nell'art. 2 Cost.. Inoltre, se da una parte il cittadino è tenuto a rispettare le norme previste dall'ordinamento giuridico, quest'ultimo dovrebbe permettere ai privati di comprenderlo a pieno (Gazzetta), senza chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate. Allora, il principio di colpevolezza rappresenta il secondo aspetto del principio (garantistico) di legalità e pone un limite alla discrezionalità del legislatore ordinario. □ Aberratio ictus: art. 82; l'autore di un reato realizza il fatto che voleva realmente compiere ma, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato/ altra causa, colpisce una vittima diversa da quella designata. Es. killer spara per strada verso un soggetto da eliminare ma uccide un'altra persona perché sbaglia mira o perché la vittima riesce ad evitare i colpi d'arma da fuoco. La principale differenza rispetto all’aberratio delicti è che qui il reato realizzato è effettivamente quello che il reo voleva compiere ma la vittima ha un' identità diversa (inoltre è anche diverso dal cd error in persona - ex art. 60 - poiché la divergenza tra vittima reale e quella designata discende da un difetto di rappresentazione, mentre nell’aberratio ictus la divergenza deriva da un errore nell’esecuzione, in un contesto in cui l'autore conosce benissimo l'identità del vero bersaglio e non vuole colpire la vittima effettiva. L'art. 82 comma 1 precisa che il reo risponde come se avesse commesso il reato in danno alla persona che voleva realmente offendere (salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti ed attenuanti, le disposizioni dell'art. 60); il significato di questa norma è controverso. Secondo un orientamento molto condiviso in dottrina siamo davanti a una norma che stabilisce una disciplina profondamente divergente dai principi generali in materia di elemento soggettivo: l'autore dell’aberratio ictus sarebbe chiamato a rispondere con le pene dei delitti dolosi per un fatto che non è doloso; l' art. 82 avrebbe quindi la funzione di sanzionare, con le pene dei reati dolosi, fatti che sarebbero realizzati solamente per colpa o in presenza di un mero rapporto di causalità materiale responsabilità oggettiva. Si propone in via interpretativa, però, di subordinare l'operatività dell'art. 82 comma 1 all'individuazione di un coefficiente colposo per evitare problemi di legittimità costituzionale (escamotages interpretativo) per contrasto all'art. 27 comma 1: si tratterebbe comunque di responsabilità anomala, il reato sarebbe sostanzialmente colposo ma verrebbe punito con le pene del delitto doloso. Critiche: in linea di principio, l’identità della vittima di un reato non è elemento costitutivo dello stesso, quindi non rientra nell’oggetto del dolo. L’irrilevanza dell’identità della vittima è dimostrata dalla disciplina dell’ error in persona: se un soggetto che vuole uccidere A, uccide B (vicino di casa della vittima) perché lo scambia per A, non si dubita della sua responsabilità per omicidio doloso, quindi, per quale ragione, in assenza all'art. 82, il soggetto che volendo uccidere A, ammazza B perché sbaglia mira, dovrebbe sfuggire alle pene del delitto doloso? L'art. 575 offre una tutela impersonale della vita umana e chi cagiona con dolo la morte di un uomo deve rispondere di tale reato anche se non volevo uccidere quell'uomo ma un altro. La situazione descritta dall'art. 82 è sotto alcuni aspetti molto simile allo scambio di persone però c'è una differenza: nello scambio di persona non si pone un problema di titolo di responsabilità, non si dà peso all'identità della persona che viene scambiata. Aberratio ictus bioffensiva (o plurilesiva): l'autore del fatto realizza il reato dovuto voluto nei confronti della vittima voluta ma concretizza anche un altro delitto identico per titolo nei confronti di un altro soggetto (es. killer spara più colpi, uccide il bersaglio dell'agguato ma determina la morte anche di un altro passante); cosa succede? La norma stabilisce l'applicazione della pena per delitto doloso aumentata fino alla metà; va precisato però che l'evento ulteriore non deve essere investito da dolo in quanto altrimenti si avrebbe un normale concorso di due delitti dolosi. L'aumento della pena fino alla metà della pena dal delitto doloso può essere effettuato solo per l'evento colposo immediatamente collegato; gli ulteriori eventi, se addebitati per colpa, devono essere puniti come delitti colposi in concorso formale. Le due ipotesi, art. 82 e 83, presentano un presupposto comune poiché rappresentano casi di divergenza tra voluto e realizzato, un po' come anche la preterintenzione (art. 116 in modo particolare): il soggetto vuole un qualcosa ma in concreto si realizza qualcosa di diverso. Queste ipotesi pongono dei problemi di imputazione. La divergenza tra voluto e realizzato degli art. 82 e 83 è data da un errore in abilità, nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa. □ Aberratio causae: non trova un’espressa previsione a livello codicistico; si fa riferimento ad una particolare divergenza fra voluto e realizzato: un soggetto vuole realizzare un determinato evento ed effettivamente lo cagiona ma attraverso un iter causale diverso da quello immaginato. Es. Tizio, volendo uccidere, getta la vittima in un fiume ma la morte non deriva dal progettato annegamento bensì dai traumi subiti per l'impatto sulla base di un pilone del ponte da cui la persona è stata fatta cadere. Dal momento che di regola le norme incriminatrici non tipicizzano l'iter causale che determina l'evento, si ritiene che questa forma di errore nell’esecuzione non incida sull’elemento soggettivo e quindi la responsabilità è comunque dolosa essendo irrilevante che la causa dell'evento sia diversa da quella programmata. (Mario Rossi andrà a rispondere sì della morte ma anche della prima condotta, quindi tentato omicidio e omicidio colposo perché realizzato in assenza di dolo nell’errata convinzione di aver già cagionato la morte della vittima). Diversa la situazione di chi, volendo uccidere, fa susseguire una serie di eventi di cui solo l'ultimo è quello che causa la morte della vittima. Es. killer tenta di uccidere la vittima e, convinto che sia morta, le dà fuoco; in realtà però si scopre che la morte è stata determinata da quest'ultima condotta compiuta sulla vittima ancora in vita. A volte la giurisprudenza ritiene di separare la valutazione dell’episodio ravvisando tentato omicidio per la prima parte ed omicidio colposo per la second; altre volte ha ritenuto ravvisabile l'omicidio doloso perché l'ultima parte della condotta appariva sorretta dal dolo diretto o eventuale. Responsabilità per reati commessi a mezzo stampa Il legislatore italiano ha sempre percepito la stampa come strumento pericoloso di commissione di reati e vi ha dedicato particolare attenzione; il codice penale 1930 conteneva una rigida impostazione in relazione alla stampa periodica: era stato infatti stabilito che per ogni periodico dovesse esistere un direttore, responsabile per i reati commessi sul periodico da lui diretto - ex art. 57 - senza alcuna indagine sulla rimproverabilità del suo comportamento; si era di fronte ad un caso di responsabilità oggettiva. Nel 1958, l'art. 57 viene riscritto con un esplicito riferimento alla colpa del direttore: si delinea pertanto una figura di reato autonoma di agevolazione colposa di un delitto doloso commesso da altri non impedito dal soggetto garante della conformità alla legge del contenuto del periodico, divenendo compatibile con il principio di colpevolezza. → Inapplicabilità dell’art. 57 ai periodici online: l'art. 57 si riferisce anche ai periodici online? La legge 47/1948 definisce la stampa come “riproduzione tipografica o ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici destinata alla pubblicazione”; con la legge 62/2001 è stato introdotto il concetto di prodotto editoriale, comprendente anche quel prodotto realizzato su supporto informatico e destinato alla pubblicazione/diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo. Si stabilisce anche che al prodotto editoriale si applicano le disposizioni dell'art. 2 della legge 47/1948 in base alla quale i giornali periodici devono recare l'indicazione del nome del proprietario e del direttore/vicedirettore responsabili. Dottrina e giurisprudenza di Cassazione non sono d'accordo: al direttore di un periodico online non è estendibile la disciplina dell’art. 57 in quanto limitato alla stampa e concetto insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica (trattandosi di analogia in malam partem). La responsabilità penale del direttore di un periodico telematico è affidata ai principi generali: se viene commesso un reato doloso (es. diffamazione), la responsabilità penale riguarda l'autore del messaggio online ed il direttore risponde penalmente solo se si dimostra essere l'autore del fatto o concorrente doloso nel medesimo - ex art. 110; la responsabilità per colpa è limitata ai rari casi di reato punti a titolo colposo (es. rivelazione colposa di segreti di Stato o violazione colposa del segreto d'ufficio). → Reati commessi col mezzo radiotelevisivo : la Corte costituzionale viene interrogata più volte a riguardo; a questa si è richiesto, visto che i direttori di telegiornali e radiogiornali non rispondono ex art. 57, di dichiarare l'incostituzionalità di questa norma per violazione dell'art. 3 Cost. con lo scopo di cancellare la più gravosa responsabilità del direttore di un periodico di carta stampata: la Corte deve effettuare un faticoso salvataggio dell'art. 57 attraverso una declaratoria di maggior pericolosità dei giornali rispetto alle trasmissioni via etere. Il legislatore interviene poi con la legge 223/1990 in cui si stabilisce che i soggetti che per colpa omettono di esercitare sul contenuto delle trasmissioni il controllo necessario/impedire la commissione dei reati dei commi 1 e 3 sono puniti se nelle trasmissioni in oggetto è commesso un reato con la pena stabilita per tale reato diminuita in misura non eccedente a 1/3. Successivamente sono stati oggetto di discussione disegni di legge volti ad ampliare l’ambito dell’art. 57 ai reati commessi col mezzo radiotelevisivo o via internet ma il loro iter non è mai giunto a conclusioni finora. → Reati commessi a mezzo stampa non periodica (libri, manifesti, volantini); art. 57 bis. Rispetto alla stampa periodica troviamo alcune differenze: i soggetti collocati in posizione di garanzia per prevenire i reati sono diversi in quanto, mentre per la stampa parlavamo di direttore, qui parliamo di editore e stampatore; in secondo luogo il modello di responsabilità è diverso poiché, mentre per la stampa il direttore risponde insieme all'autore del reato, nella stampa non periodica viene delineata una responsabilità sussidiaria (cd a cascata) - al di fuori dei casi di concorso doloso nel reato. Infatti, l'editore risponde se l'autore della pubblicazione resta ignoto o non imputabile (es. scrittore anonimo) ed a sua volta lo stampatore risponde se omette di indicare l’editore o se quest'ultimo non è imputabile. Al di là di queste differenze, l'art. 57 bis stabilisce che si applicano le disposizioni dell'articolo 57: i soggetti in questione rispondono a titolo di colpa per avere omesso di esercitare sul contenuto della pubblicazione il controllo necessario ad impedire la commissione di reati → siamo di fronte ad una condotta di agevolazione colposa di delitto doloso + diminuzione fino a 1/3 della pena prevista per il delitto commesso e quindi ad una forma anomala di responsabilità. Condizioni obiettive di punibilità Le condizioni obiettive di punibilità sono previste nella parte generale all'art. 44 che prevede che al verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato anche se l'evento che dipende dal verificarsi di questa condizione non è da lui voluto. Quindi, in alcune norme di parte speciale il legislatore prevede, in presenza di una determinata condizione (punibilità condizionata), la punibilità del reato ed il soggetto risponde anche in assenza di un legame psicologico tra la condizione ed il reato che è andato a realizzare. Capacità di intendere e di volere → la capacità di intendere coincide con la corretta rappresentazione della realtà esterna e con la consapevolezza delle conseguenze dei propri atti. La capacità di volere è l'attitudine ad autodeterminarsi, indirizzando i propri comportamenti verso fini e obiettivi scelti consapevolmente; è quella relativa libertà di scegliere come agire e comportarsi che consente di controllare passioni ed impulsi. Entrambi i requisiti devono essere presenti perché un soggetto possa essere ritenuto imputabile visto che la mancanza di anche solo uno dei due renderebbe non rimproverabile il fatto commesso: non si deve punire chi non può comprendere correttamente la realtà esterna o non è in grado di compiere scelte autodeterminate. Imputabilità al momento del fatto → l'art. 85 dice esplicitamente che la capacità di intendere e di volere deve essere presente al momento del compimento del fatto (esistono alcune eccezioni in virtù delle quali il rimprovero viene fatto retroagire al momento in cui il soggetto si è consapevolmente posto in una situazione di incapacità all'esito della quale compie un reato - es. ubriachezza volontaria) Ci sono situazioni in presenza delle quali l'imputabilità era esclusa o è grandemente scemata per riprendere l'espressione utilizzata dal cp; la norma ha posto dei problemi interpretativi per quanto riguarda l'inquadramento dogmatico giuridico dell'imputabilità ed in molto particolare il rapporto imputabilità e colpevolezza. Sono elementi distinti? Diverse interpretazioni: la prima interpretazione quella più storica per inquadrare l'imputabilità e il rapporto tra imputabilità e colpevolezza faceva riferimento tra le altre cose anche alla collocazione topografica all'interno del codice dov'è collocata la norma dell'articolo 85 che apre il titolo quarto del libro secondo del codice intitolato “del reato e della persona offesa dal reato”. La capacità di intendere e di volere/imputabilità erano da intendersi come uno status soggettivo, condizione personale: un soggetto imputabile era un soggetto capace penalmente, potenziale destinatario di applicazione la pena. Secondo un altro orientamento che ha ricevuto adesso un importantissimo avvallo dalla pronuncia delle sezioni unite 2005 anche in relazione a una delle cause di esclusione della capacità di intendere e di volere: per la prima volta hanno il dato una veste nuova all' inquadramento dogmatico dell’imputabilità vista non come mera condizione personale. L'imputabilità è un presupposto della colpevolezza è il primo passaggio che va accertato per poi procedere al giudizio di rimproverabilità: se non sono imputabili non sono nemmeno rimproverabile. Imputabilità e fatto commesso → l'imputabilità deve essere accertata proprio con riferimento al reato con me con messo; può accadere che nel medesimo istante un soggetto sia in grado di percepire il disvalore del proprio comportamento rispetto ad un fatto e non ad un altro (es. ragazzo non invitato ad una festa di compleanno, si presenta comunque e per ripicca sottrae uno dei regali fatti dagli altri invitati - di valore molto modesto - e contestualmente compie un episodio di violenza sessuale verso la sorella della festeggiata: non imputabile rispetto al furto, imputabile per stupro). Al contrario invece il soggetto può non essere in grado di resistere ad un impulso di natura patologica ma riuscire a determinarsi consapevolmente verso un diverso obiettivo (es. cleptomane sottrae un bene da un supermercato spinto da un incontenibile - non punibile - impulso a rubare ma contestualmente ferisce a morte una cassiera che si accorge del suo comportamento). Esistono alcune cause che escludono la capacità di intendere e volere: tra esse alcune situazioni patologiche o di disabilità sensoriale (es. vizio di mente, intossicazione cronica, sordomutismo) oppure minore età. Il giudice, quando si trova in presenza di un soggetto che, pur non rientrando in alcuna delle situazioni appena descritte, non fosse al momento del fatto capace di intendere e volere per altra causa, deve comunque dichiararlo non imputabile? Generalmente si tende a rispondere positivamente per garantire il massimo grado di rispetto del principio di consapevolezza, inoltre, la regola secondo cui non è imputabile chi difetta della capacità di intendere e di volere al momento del fatto dovrebbe avere valore generale (Sezioni Unite 2005). Minore età a. Sotto i 14 anni: art. 97; vige una presunzione assoluta ed invincibile di non imputabilità b. Tra 14 e 18 anni: art. 98; il giudice deve valutare caso per caso, al di fuori di qualsiasi presunzione, la capacità di intendere e di volere di colui che commetta un reato. Se il minore viene ritenuto imputabile potrà essere sottoposto a pena diminuita sino a 1/3: la minore età costituisce infatti una sorta di circostanza attenuante c. Sopra i 18 anni: il maggiorenne è sempre imputabile e considerato capace di intendere e di volere; ciò potrà essere escluso solo alla presenza di una delle cause indicate dall’ordinamento Inoltre, il codice prevede che se un minore non è imputabile (perché non ha ancora compiuto 14 anni o perché 18enne di ma ritenuto incapace di intendere e di volere) non è punibile ma, se socialmente pericoloso, può essere sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata o del riformatorio giudiziario. Critiche: riguardano il limite dei 14 anni al di sotto del quale l'imputabilità è sempre esclusa; sulla base delle esperienze inglesi si propone di scendere a 12 anni (in USA i minorenni si possono processare quasi come gli adulti con procedimento ad hoc del tribunale dei minori e con istituti applicabili unicamente ai minori). Vizi di mente L'infermità di mente può consistere anche in uno stato patologico di tipo fisico (es. delirio febbrile), inoltre, può essere anche non permanente. Art. 88: chi si trovi per infermità in uno stato di mente (deve essere presente al momento del compimento del fatto) tale da escludere la sua capacità di intendere e di volere non è imputabile Art. 89: se l’infermità produce uno stato mentale che non esclude del tutto ma riduce la capacità di intendere e di volere, il reo risponde del reato con pena diminuita (semi infermità di mente) Vizio di mente, malattia mentale, disturbi della personalità → il concetto di vizio di mente è stato oggetto di discussione in dottrina e in giurisprudenza: secondo una prima impostazione, nel concetto di vizio di mente possono rientrare solo le malattie mentali a base organica riconosciute dalla nosografia psichiatrica ufficiale; l'orientamento opposto sostiene che, anche situazioni diverse dalle tradizionali malattie riconosciute dalla nosografia psichiatrica, possono avere effetto sull’imputabilità. Entra qui in gioco l'intervento della sentenza Sezioni Unite della Corte di Cassazione 2005 che afferma che anche i disturbi della personalità che abbiano realmente inciso sulla capacità di intendere e di volere della gente possono escludere/diminuire l'imputabilità, fissa anche i criteri in base ai quali il disturbo della personalità incide sull’imputabilità. Ha escluso che possano incidere sull’imputabilità: il vizio del gioco d'azzardo, il mero dato anagrafico dell’età avanzata, la presenza di momentanei deficit mnemonici e la pedofilia, chiedendo inoltre ai giudici di merito di valutare la possibile rilevanza di una parafilia. Stati emotivi e passionali → art. 90; non escludono o diminuiscono la capacità di intendere o di volere se non dipendenti da un grave stato patologico comprovato (eccezione: reazioni a corto circuito: fenomeni psichici che, anche se con natura transitoria, escludono la capacità di intendere o di volere). Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti → sono eccezioni all’art. 85, quindi, in questo caso la punibilità non è esclusa.  Ubriachezza involontaria/caso fortuito/forza maggiore: esclude la punibilità e l'applicazione di misure di sicurezza (Cass. 1986); es. soggetto lavora in una distilleria, si ubriaca per i vapori della sostanza alcolica lavorata e commette un reato. Il giudice dovrà accertare caso per caso se la capacità intendere e di volere è del tutto esclusa (avremo un soggetto non imputabile) o se la capacità è solo grandemente scemata (applicazione della costanza attenuante).  Ubriachezza volontaria o colposa: il soggetto è imputabile in entrambi i casi (per dolo, colpa, preterintenzione)  Ubriachezza preordinata (art. 92 comma 2; ubriachezza finalizzata al compimento di un reato) o abituale (art. 93): il soggetto è imputabile con pena aggravata e possibile applicazione di misure di sicurezza  Cronica intossicazione da sostanze alcoliche o stupefacenti: art. 95; si può ritenere esclusa/diminuita l’imputabilità dell’agente se la situazione di tossicodipendenza che influisce sulla capacità di intendere e di volere, è quella che per il fatto di essere ineliminabile (impossibilità di guarigione) causano patologie permanenti a livello celebrale indipendentemente dal fatto che il soggetto assuma ancora sostanze/alcool; non si è mai scusati - se la capacità di intendere e di volere è grandemente scemata la pena può essere diminuita. Cass. 1960 e 33/1970  Sordomutismo: art. 96; non è imputabile il soggetto affetto da sordomutismo che abbia compromesso la sua capacità di intendere o volere al momento del compimento del fatto. Se la capacità di intendere e di volere è grandemente scemata la pena può essere diminuita. Cass. 2013: l’incapacità del soggetto va valutata caso per caso e la disciplina è simile a quella prevista per il vizio di mente sia per quanto riguarda la punibilità sia per le misure di sicurezza. Non si fa distinzione fra sordomutismo congenito o acquisito e l.95/2006: in tutte le diposizioni vigenti, il temine sordomuto va sostituito con “sordo”. Actio libera in causa → art. 86; se un soggetto si pone in stato di incapacità al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa egli viene ritenuto pienamente imputabile Nel caso di concorso omogeneo, è necessario escludere i presupposti degli art. 15 e 68; fatto ciò bisogna distinguere tra concorso di circostanze ad effetto comune, per le quali si applica la regola dell’art. 63 comma 2 (l’aumento o diminuzione di pena va operata sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente), circostanze ad efficacia speciale, per le quali si applica la regola dell’art. 63 comma 4 (si applica solo la pena stabilita per la circostanza più grave con la facoltà del giudice di aumentala fino ad 1/3 nel rispetto dei limiti dell’art. 64) ed in caso di circostanze ad efficacia comune e speciale opera la regola indicata dall’art. 63 comma 3 (l’aumento o diminuzione operano sulla pena stabilita per la circostanza ad efficacia speciale). Limiti degli aumenti di pena in caso di concorso di circostanze aggravanti: art. 66; la pena non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge (salvo alcune eccezioni) o eccedere i 30 anni in caso di reclusione o 5 se si tratta di arresto, 10329 euro e 2065 se si tratta di multa e ammenda. Limiti delle diminuzioni di pena in caso di concorso di più circostanze attenuanti: art. 67; la pena non può essere inferiore a 10 anni di reclusione se per quel delitto la legge stabilisce l’ergastolo. Per le altre pene, salve eccezioni, non possono essere applicate in misura inferiore a ¼. Concorso eterogeneo e giudizio di bilanciamento Originariamente nel codice Rocco era previsto che il giudice procedesse al giudizio di bilanciamento attraverso una valutazione qualitativa del peso delle diverse circostanze con la possibilità della dichiarazione di prevalenza delle aggravanti o delle attenuanti o della loro equivalenza; rimanevano escluse dal giudizio di bilanciamento le circostanze ad effetto speciale e le circostanze inerenti alla persona del colpevole. Ciò era giustificato dall’eterogeneità delle ipotesi rispetto alle circostanze comuni e speciali (ciò sembrava contraddire la funzione del giudizio di bilanciamento) ma l’esclusione dal giudizio di bilanciamento trovava giustificazione nel fatto che in alcuni ipotesi di r4eato circostanziato corrispondeva una valutazione della rilevanza del fatto del tutto analoga a quella degli elementi costitutivi di un’autonoma fattispecie penale. Riforma 1974 dl 99: innovazione radicale della funzione del giudizio di prevalenza o equivalenza attraverso l’estensione della disciplina del giudizio di bilanciamento anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e alle circostanze ad effetto speciale; il legislatore voleva porre rimedio al rigorismo sanzionatorio che caratterizzava alcune fattispecie di frequente verificazione in cui la pena appariva sproporzionata rispetto all’entità dei fatti e alla personalità del colpevole (es. furto aggravato, resistenza al pubblico ufficiale). Con l’eliminazione delle deroghe della disciplina dell’art. 69 comma 4 il giudizio di bilanciamento poteva svolgere appieno la funzione, riconosciuta anche dalla Relazione ministeriale, di adeguamento della pena al fatto concreto attraverso un giudizio complessivo ed unitario del fatto e della personalità del reo. Critiche: riguardo l’ampliamento del potere discrezionale del giudice che viene reso ancora più esasperato dall’assenza di criteri normativi per distinguere le circostanze aggravanti ed i reati autonomi e per l’assenza di criteri guida, per la comparazione delle circostanze. Con l’estensione del giudizio di bilanciamento si verifica concretamente il rischio di vedere vanificare tale valutazione legislativa a cui si sostituisce una valutazione discrezionale del giudice. A seguito della riforma, il giudizio di bilanciamento conserva il carattere dell’obbligatorietà e la sua funzione di adeguamento della pena al caso concreto attraverso una valutazione qualitativa del fatto di reato e della personalità del reo. Le circostanze blindate A queste, il legislatore ha concesso un particolare privilegio nel giudizio di bilanciamento. La blindatura può avere due contenuti alternativi:  A base totale: si verifica l’esclusione della dichiarazione di prevalenza o equivalenza delle circostanze attenuanti  A base parziale: viene preclusa al giudice la sola dichiarazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, rimanendo impregiudicata la possibilità che le stesse siano valutate equivalenti, con la conseguenza della vanificazione dell’aumento di pena riconnesso alla contestazione dell’aggravante Problemi interpretativi: nelle ipotesi a base totale, alla possibilità o meno di una residua applicazione delle diminuzioni di pena per le circostanze attenuanti e, nell’ipotesi parziale, al fondamento del privilegio nell’applicazione della circostanza aggravante. A ciò ha cercato di porre rimedio la Corte costituzionale con le sentenze del 1985 e 2007: nel primo caso si tratta della possibilità o meno per il giudice di procedere al giudizio di bilanciamento e nell’altro caso parliamo del profilo della stessa contestazione della circostanza aggravante della recidiva reiterata. Per capire meglio la blindatura a base totale prendiamo in esame la circostanza aggravante della finalità di terrorismo ed eversione; la formulazione della circostanza aggravante suscitò alcuni interrogativi riguardo la posizione delle circostanze attenuanti concorrenti: la norma non prevede la possibilità che le diminuzioni di pena operino sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguenze alle predetti aggravanti. il risultato fu una rigida interpretazione secondo cui doveva essere dichiarata in ogni caso la soccombenza delle circostanze attenuanti, altri invece ammettevano la possibilità dell'applicazione della diminuzione di pena relativa alle circostanze attenuanti. Sentenza 1985: la Corte costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 3 l. 15/1980 e art. 280 ultimo comma sollevata in relazione al principio di uguaglianza e offre un'interpretazione correttiva per individuare un eventuale spazio di applicazione anche per le circostanze attenuanti; la Corte non esclude la possibilità che queste siano applicate ma pone il giudice di merito di fronte a un'alternativa: può procedere alla valutazione comparativa il cui esito è però vincolato alla dichiarazione di prevalenza delle circostanze aggravanti oppure può non effettuare il giudizio di bilanciamento e applicare congiuntamente gli aumenti e le diminuzioni di pena ex art. 63. A distanza di 7 anni, il legislatore ha previsto per la circostanza del metodo e dell'agevolazione mafiosi un privilegio e nel giudizio di bilanciamento strutturato sulla falsariga dell'aggravante terroristica e viene ribadito che le circostanze attenuanti nel caso di concorso con l'aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa non possono essere ritenute né prevalenti in equivalenti con l'aggiunta del fatto che le diminuzioni possono operare sulla quantità di pena risultante dall’applicazione dell’aggravante. Circostanza blindata della minore età Fra le circostanze blindate vi è anche l'ipotesi della minore età: il privilegio però opera solo quando l'attenuante concorra con aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo o con circostanze che accedano ad un reato che prevede nella forma base la pena dell' ergastolo. Questo privilegio opera per una circostanza attenuante e non deriva da una particolare disposizione di legge ma da una sentenza della Corte costituzionale 168/1994. La Corte era stata investita della questione della legittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 in relazione alla possibilità che nel caso di concorso tra l'attenuante dell'art. 98 ed una circostanza aggravante, al minore imputabile potesse trovare applicazione la pena dell'ergastolo; tale possibilità appariva in contrasto con gli art. 2, 3 comma 1, 27 comma 3 (principio della funzione rieducativa della pena) e 10 Cost. La Corte ha dichiarato le questioni inammissibili poiché il quesito posto alla base dell’ordinanza di rimessione poteva essere risolto solo attraverso un intervento legislativo; quindi, anche se c'era necessità di garantire un sistema punitivo differenziato sul piano processuale e sostanziale per i minori, la Corte rigetta i ricorsi poiché, nel caso di specie, la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata al fine di consentire ai minori di usufruire dei benefici del rito alternativo del giudizio abbreviato cosa fattibile solo con un intervento legislativo. Sentenza 168/1994: la Corte, dopo aver dichiarato l'illegittimità degli art. 17 e 22 cp nella parte in cui non escludono l'applicabilità al minore della pena dell'ergastolo, dichiara anche l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 comma 4 nella parte in cui prevede l'applicabilità del comma 1 dell'art. 69 in caso di concorso fra l'art. 98 e una o più aggravanti che comportino la pena dell'ergastolo e dell'art. 69 commi 1 e 3 nel caso di concorso fra attenuante della minore età e uno più aggravanti relative ad una fattispecie di reato per cui è prevista la pena base nell’ergastolo. Nella prima ipotesi della circostanza aggravante per cui è prevista la pena dell'ergastolo, non potrà essere mai dichiarata prevalente ma al più solo equivalente all'attenuante (art. 98); nella seconda ipotesi in cui l'ergastolo è previsto quale pena base, la Corte non consente che le circostanze aggravanti possano essere ritenute prevalenti o equivalenti con l'attenuante suddetta a garanzia del riconoscimento della diminuzione della minore età. In conclusione, la Corte non ha voluto escludere in ogni caso la diminuente dell'art. 98 dal giudizio di bilanciamento ma si è limitata a stabilire che debba essere garantita la diminuzione della pena nel caso in cui si verifichi un concorso con circostanze che prevedono direttamente la pena dell'ergastolo. Circostanze attenuanti generiche Art. 62 bis: il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Sono considerate in ogni caso come una sola circostanza che può concorrere con una o più delle circostanze indicate dall’art. 62; nel loro riconoscimento riveste un ruolo di primo piano la discrezionalità del giudice anche se il legislatore è intervenuto a limitarla con due interventi di riforma: legge ex Cirielli introduce limitazioni al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per alcune ipotesi di recidiva reiterata e il decreto legge 92/2008 stabilisce che l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma. Sentenza 183/2011: Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale del comma nella parte in cui stabilisce che ai fini dell'applicazione del primo comma dello stesso articolo non si possa tenere conto della condotta del reo susseguente al reato. La recidiva È inclusa tra le circostanze inerenti alla persona del colpevole nell'art. 70 ed è stata oggetto di profonde riforme con la legge 251/2005 (ex Cirielli). La Corte costituzionale si sofferma poi sul particolari rilievo che può assumere la circostanza premiale del ravvedimento poste delittuoso. Criteri per distinguere gli elementi costitutivi dagli elementi circostanziali Differenza di disciplina: per quanto riguarda il regime di imputazione soggettiva gli elementi costitutivi della fattispecie sono imputati di regola a titolo di dolo (salva espressa previsione di colpa) mentre gli elementi circostanziali sono imputati indifferentemente a titolo di dolo o di colpa dopo la riforma della l. 59/1990. In relazione all'applicabilità della procedura di valutazione comparativa, in caso di concorso di circostanze eterogenee la compresenza di circostanze attenuanti aggravanti comporta l'applicazione del giudizio di bilanciamento disciplinato dall' art. 69; la divergenza che ciò comporta non è presente nell’ipotesi circostanziali blindate sottratte al giudizio di bilanciamento. Le circostanze, a differenza degli elementi costitutivi, non incidono su tempus/locus commissi delicti. In tema di prescrizioni, la qualificazione di un elemento costitutivo o circostanza incide sul computo del tempo necessario alla prescrizione del reato. C’è diversità di disciplina anche in merito agli effetti del concorso di persone nel reato ed alla depenalizzazione Non vi sono elementi ontologicamente circostanziali o costitutivi in ragione delle loro caratteristiche strutturali: uno stesso elemento circostanziale può essere trasformato in un titolo diverso di reato (es. l.128/2001: il legislatore ha trasformato le previgenti circostanze aggravanti del furto in abitazione e del furto con strappo contenute ex art. 625 in reati autonomi ex art. 624 bis). Non esiste un criterio normativo in base al quale possa essere stabilito con certezza quando ci si trovi in presenza di una circostanza quando invece ad un vero e proprio elemento costitutivo: l'unico criterio che talvolta può dirsi decisivo è quello del rapporto di specialità: se tra due fattispecie non vi è un rapporto di genere a specie ma di incompatibilità-alternatività o sostituzione di un elemento con un altro sono certa di avere di fronte un reato autonomo e non a una circostanza; questo principio opera come criterio decisivo ai fini della distinzione fra reato autonomi circostanza solo in negativo dal momento che in sua presenza rimangono valide entrambe le soluzioni. In sintesi, il rapporto di specialità è necessario ma non sufficiente ad individuare un'ipotesi circostanziale: è necessario ricorrere ai criteri suppletivi in cui il valore meramente indiziario. - criterio letterale: ci si può affidare alle indicazioni ricavabili dal testo di legge - rubrica: ove la fattispecie espressamente qualificata come circostanza - criterio topografico: secondo il quale sono di fronte ad una circostanza nel caso in cui l'ipotesi sia collegata nella medesima norma; è un reato autonomo nel caso opposto - formulazione: criterio strutturale inerenti alla tecnica di formulazione di indicazione nella sanzione del precetto nel primo caso si afferma che quando la fattispecie descritta attraverso un mero rinvio al fatto reato tipizzato in un’altra disposizione di legge ci si trova in presenza di una circostanza aggravante o attenuante - determinazione della pena: criterio strutturale rappresentato dalla modalità di determinazione della pena; in alcuni casi legislatore individua la cornice sanzionatoria richiamando quella prevista in un'altra norma, in altri determina la pena modificando nella specie in mutande nella cornice edittale rispetto alla pena di riferimento - criteri teologici: la fattispecie penale tutela un bene giuridico diverso rispetto a quello tutelato dalla fattispecie penale di riferimento siamo di fronte a un autonoma figura di reato e non una circostanza aggravante Appunti: criteri di distinzione tra reato autonomo o circostanza: la differenza riguarda l’imputazione, gli effetti in punto di prescrizione, gli effetti per quanto riguarda l’ambito processuale. Il nostro codice fissa un criterio? Si è discusso su 2 norme: art. 643 e 640 bis. Esiste un criterio per distinguere che è il principio di specialità che però opera in negativo: se due norme non sono in rapporto di specialità (generale-speciale), siamo sicuramente di fronte a due reati autonomi. Quando invece c’è il rapporto, quello può essere un indizio della natura circostanziale, che però va accertata da altri criteri (es. criterio della definizione legislativa, vedere se il legislatore ha definito già la fattispecie. Reati aggravati dall'evento Sono quei delitti che subiscono un aumento della pena quando si verifica un ulteriore evento dannoso/pericoloso oltre a quello che è richiesto per la loro esistenza; tre tipologie: □ Evento aggravatore voluto: costituisce la realizzazione dello scopo oggetto del dolo specifico del reato base □ Evento aggravatore indifferente: non cambia che l'evento sia voluto o no dal momento che anche quando sia richiesta all' effettiva abolizione dell'evento essa non produce conseguenze penalmente rilevanti □ Evento aggravatore non voluto : se fosse voluto troverebbe applicazione la corrispondente ipotesi dolosa Ciò causa due ordini problemi: il titolo di imputazione dell'evento non voluto e la natura giuridica; possono essere qualificati come reati autonomi o si tratta di reati circostanziati? Una parte della dottrina inquadra le fattispecie nei delitti preterintenzionali, un'altra parte e la giurisprudenza invece ritiene che anche i delitti aggravati dall'evento siano ipotesi circostanziate di reato con tutte le conseguenze in punto di disciplina. CAPITOLO 23 Delitto tentato Normalmente l’agente porta a termine l'iter criminis realizzando tutti gli elementi costitutivi della norma incriminatrice: si parla di reato consumato quando la fattispecie concreta corrisponde perfettamente a quella astratta. È di estrema importanza l'individuazione del momento consumativo che varia a seconda delle diverse categorie di reati: → reati ad evento naturalistico: si consumano nel momento in cui si realizza l'evento stesso (non è sempre agevole distinguere fra consumazione e tentativo) → reati di mera condotta istantanei : si consumano quando si esaurisce la condotta tipica, quando l’agente compie l'ultimo atto che la realizza → reati permanenti : giungono a compimento quando cessa la condotta criminosa descritta dalla fattispecie es. sequestro di persona → reati abituali : la consumazione coincide con il compimento dell'ultimo fatto che, unitariamente considerato con quelli che precedono, qualifica come criminoso il comportamento dell’agente Può succedere che lo svolgimento dell'attività criminosa non giunga a compimento; si dice delitto tentato quando non è portato a termine, non è giunto a consumazione per ragioni che prescindono dalla volontà del colpevole. Anche in questo caso, l'ordinamento penale reagisce con una sanzione dal momento che il fatto, pure se non consumato, è rilevante sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo; il tentativo è sanzionato con una pena significativamente ridotta rispetto alla corrispettiva ipotesi consumata (l'ergastolo è sostituito con la reclusione non inferiore a 12 anni e le altre pene sono ridotte da 1/3 alla metà). Dal momento che il nostro sistema è improntato al principio di legalità si pone un problema: è legittima l'inflizione di una pena a colui che non abbia portato a termine la condotta o non abbia comunque realizzato l'evento? In teoria è possibile punire chi ha concretamente messo in pericolo la vita di una terza persona anche se la morte non si è verificata. Astrattamente si potrebbe immaginare di affiancare ad ogni fattispecie di reato la corrispondente ipotesi tentata (metodo tedesco) ma ne deriverebbe un appesantimento della parte speciale; nell'ordinamento italiano abbiamo trovato opportuno introdurre in parte generale l'art. 56, un'unica norma che, combinandosi con le singole fattispecie incriminatrici, da origine ad una nuova autonoma fattispecie criminosa appunto il delitto tentato. Qual è il momento dal quale è legittimo e doveroso punire il colpevole per un fatto che non è giunto a compimento? Ci interroghiamo nella prospettiva di trovare un coerente e ragionevole punto di equilibrio fra la tentazione di anticipare al massimo l'individuazione dell'inizio dell'attività punibile ed il rischio di violare il principio di offensività sanzionando condotte che non hanno arrecato un pregiudizio reale/pericolo al bene meritevoli di tutela. Nel codice Zanardelli (1889) si distingueva fra atti esecutivi con i quali l'autore iniziava a tenere la condotta tipica e atti meramente preparatori cioè quelli precedenti all'inizio dell'esecuzione; questa soluzione poneva alcuni problemi di individuazione del compimento del primo atto esecutivo, motivo per cui con il codice Rocco la situazione muta: nel 1930 viene modificata la disciplina del tentativo anticipandone significativamente la soglia di punibilità in una prospettiva che tende a far prevalere le esigenze repressive e di prevenzione generale sui principi di garanzia. Vicenda Tito Zaniboni: socialista che nel 1925 affitta una stanza di fronte a Palazzo Chigi con l'intenzione di uccidere Mussolini; poche ore prima, per opera di una spia, Zaniboni viene arrestato e nel suo armadio viene trovato un fucile di precisione. Egli stesso ammette la sua intenzione di compiere l'attentato ma, alla stregua della disciplina del codice Zanardelli, non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile di tentativo non avendo ancora compiuto alcun atto esecutivo del delitto di omicidio ma con buona pace del principio di legalità viene condannato a 25 anni grazie all'applicazione retroattiva di una legge speciale del 1926 che puniva il compimento di fatti diretti contro la vita del capo dello Stato. Si inizia a considerare di punire chi, pur non avendo ancora preso la mira, si è appostato armato con l'intenzione di uccidere. Elementi oggettivi del tentativo solo e sempre a titolo di dolo ed un’eventuale colpa deve essere espressamente prevista dalla legge; la seconda discende dal fatto che sia difficile prevedere una responsabilità penale per colpa quando l'iter criminis non giunge a compimento, la direzione non equivoca degli atti pare incompatibile con un atteggiamento meramente colposo. Il tentativo è compatibile con il dolo eventuale? Es. Datore di lavoro non mette in sicurezza una linea di produzione di acciaio a forte rischio di incendio per evitare spese e agisce nella consapevolezza che in passato si sono sviluppati incendi che non hanno prodotto vittime solo per una fortunata causalità: se si verifica un incendio ma i lavoratori coinvolti riportano solo lesioni, il datore dovrà rispondere dei delitti di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche e di lesioni personali o anche di tentato omicidio? Una prima tesi ritiene che vi sia sostanziale identità dal punto di vista soggettivo tra delitto consumato e tentato, peraltro il dolo del delitto tentato deve coincidere con quello del delitto consumato anche sotto il profilo della rilevanza del dolo eventuale; la tesi contraria, oggi prevalentemente seguita dalla giurisprudenza, afferma che il delitto tentato ha piena e totale autonomia rispetto alla corrispondente fattispecie consumata, rendendo del tutto verosimile che possano valere regole diverse anche dal punto di vista dell'imputazione soggettiva. Che rilevanza assume requisito della direzione non equivoca degli atti nella struttura del tentativo? Oggi è pacifico che tale elemento debba essere letto in termini oggettivi ma ci si chiede se possa in qualche misura influenzare anche l'imputazione soggettiva del tentativo: alcuni sostengono che la non equivocità degli atti coincida con il compimento di atti esecutivi in una prospettiva esclusivamente oggettiva, altri, al contrario ritengono che non possa definirsi “univoco” ciò che non sia voluto intenzionalmente o rappresentato come conseguenza certa della commissione del delitto stesso (nonostante riconoscano che l'atto non equivoco è solo quello che dimostra oggettivamente la volontà del colpevole). In altre parole, univocamente diretto a commettere un omicidio potrebbe essere solo un atto anche soggettivamente finalizzato alla realizzazione del delitto e cioè sorretto dal dolo intenzionale o diretto. Questa tesi restrittiva che identifica l'atto inequivoco con quello anche soggettivamente finalizzato alla realizzazione del delitto pare preferibile alla luce del disposto normativo che non richiede un comportamento oggettivamente indirizzato al compimento nel diritto ma richiama la “direzione” degli atti introducendo una chiara finalizzazione allo scopo, poco compatibile con la mera eccezione del rischio accettazione del rischio del verificarsi di un evento pur rappresentato nella mente dell’agente. L'attuale orientamento giurisprudenziale salvaguarda le esigenze di prevenzione generali allargando la sfera di operatività del dolo diretto facendovi rientrare comportamenti nei quali si stenta a trovare quella certezza della realizzazione dell'evento imposta da una corretta ricostruzione dell'elemento soggettivo e aggiungendo il dolo alternativo, forma di dolo diretto che si manifesta quando l’agente si rappresenta come certo di realizzazione di uno dei due eventi astrattamente possibili e agisce quindi nella consapevolezza di ledere l'uno o l'altro dei due beni tutelati. Come in ogni delitto doloso anche per il tentativo si pongono problemi di accertamento e di prova che divengono molto rilevanti quando si tratta di distinguere se, a seguito di un'aggressione contro l'integrità fisica della vittima, si debba ritenere consumato il delitto di lesioni personali dolosi o di tentato omicidio. La nostra giurisprudenza ha elaborato una serie di criteri che permettono, attraverso il ricorso a massime di esperienza, di ricostruire la reale intenzione dell’agente: il giudice dovrà prendere in considerazione il tipo di arma utilizzato, il numero e la forza dei colpi in feriti in feriti e le zone del corpo della vittima attinte (Cass. 30466/2011). Compatibilità del tentativo con diverse fattispecie di reato Abbiamo già detto che il nostro ordinamento prevede e punisce solo il tentativo di delitto; sono quindi esclusi i delitti colposi poiché non vi è la previsione normativa espressa e manca la possibilità di individuare la finalizzazione della condotta implicita nel concetto di direzione non equivoca degli atti, nonché le contravvenzioni (queste ultime, nell’ipotesi di commissione dolosa, potrebbero essere in astratto oggetto di imputazione a titolo di tentativo). Per quanto riguarda le diverse categorie di delitti dolosi, la compatibilità del tentativo è subordinata alla descrizione, nella fattispecie incriminatrice, di una condotta delittuosa suscettibile di interruzione o alla presenza di un evento naturalistico, vediamo: → Delitti omissivi impropri: colui che, gravato da un obbligo giuridico, pur potendo agire non si attivi per impedire il realizzarsi di un evento ne risponderà a titolo di tentativo a partire dal momento nel quale ha violato l'obbligo di agire qualora l'evento venga evitato dall’intervento di una terza persona o da altri fattori indipendenti dalla sua volontà → Delitti omissivi propri: una prima posizione tradizionale esclude la possibilità di integrare il tentativo in questi casi visto che il reato omissivo prevede sempre un termine prima dello spirare del quale sarebbe sempre possibile che il soggetto tenga la condotta omessa e quindi non si potrebbe ancora parlare di tentativo (dopo lo scadere del termine invece il delitto sarebbe consumato); altri autori ritengono invece che il soggetto gravato dall’obbligo di agire possa rispondere a titolo di tentativo se, pur non essendo ancora spirato il termine per adempiere, abbia tenuto una condotta idonea e diretta in modo non equivoco a porsi nell’impossibilità di adempiere (es. per non adempiere, prenoto una vacanza che finisce dopo lo scadere del termine). Ciò è proponibile solo quando la fattispecie incriminatrice descrive un termine temporale di durata; nei casi in cui il termine è descritto con formule come “immediatamente” oppure è implicito (e coincide con il primo momento utile dopo il realizzarsi della situazione tipica descritta dalla fattispecie) pare difficile immaginare un interruzione dell'iter criminis che sola renderebbe il fatto punibile a titolo di tentativo. → Reati di pericolo: secondo alcuni essendo già il delitto tentato una fattispecie di pericolo, non avrebbe senso punire il pericolo di un pericolo, si realizzerebbe un eccessiva anticipazione della tutela. Secondo altri occorre distinguere: per i reati di pericolo astratto non pare legittimo alla luce del principio di offensività anticipare in maniera tanto rilevante la punibilità; per le fattispecie di pericolo concreto in cui il pericolo è l’evento del delitto, caratterizzate da un evento intermedio non paiono ravvisarsi ostacoli di ordine strutturale a punire per tentativo. Tentativo e circostanze Le circostanze previste dalla legge per il delitto consumato si applicano anche alle ipotesi di tentativo? Quando la legge prevede che la pena sia aumentata slash diminuita in presenza di un certo fatto intende il fatto storico penalmente rilevante sia consumato che tentato dobbiamo allora operare un'ulteriore distinzione □ Delitto tentato circostanziato: alcune circostanze, attenuanti o aggravanti, preesistono al compimento del fatto (es. rapporto di parentela che aggrava l'omicidio doloso importando la pena dell'ergastolo per chi cagiona la morte di ascendente o discendente ex art. 577 comma 1); in questi casi se l’agente risponde a titolo di tentativo le circostanze già presenti al momento del fatto produrranno un effetto - aggravante o attenuante - sulla pena che in concreto il giudice infliggerà al reo □ Delitto circostanziato tentato: la circostanza viene ad esistenza solo se il reato giunge a compimento; in questi casi il rispetto del principio di legalità imporrebbe di non tener conto della circostanza visto che essa non si è ancora realizzata quando l’iter criminis si interrompe (es. tento di compiere un fatto di minore gravità e prenderei l’attenuante del delitto di violenza sessuale; se non riesco a compierlo la circostanza non rileva). Desistenza e recesso attivo Finora abbiamo visto circostanze in cui l'interruzione dell'iter criminis è dovuta a circostanze indipendenti dalla volontà del colpevole (es. sbaglio di mira, intervento dei vigili del fuoco, ecc.); cosa avviene quando l'interruzione dipende da una scelta volontaria dell’agente? In una prospettiva tesa ad incentivare il reo ad interrompere la condotta criminosa/eliminarne gli effetti dannosi, gli ultimi commi dell'art. 56 prevedono: □ Desistenza volontaria: comma 3; è una causa personale e sopravvenuta di non punibilità in senso stretto, cioè motivata da ragioni di opportunità in virtù della quale colui che intraprende la commissione di un reato ed avendo già integrato la soglia degli atti idonei e diretti in modo non equivoco desiste volontariamente dalla sua azione, va esente da pena; qui, il colpevole arresta l'iter criminis quando ancora la condotta non è giunta a termine, ha ancora un dominio sulla situazione tale da poter impedire che il delitto giunga a consumazione. Riguardo la volontarietà, l’ordinamento non richiede una qualche forma di pentimento morale quindi, la causa di non punibilità si applica anche se la gente ritorna sui suoi passi solo perché reputa più conveniente tornare a compiere il delitto programmato in un momento più opportuno. Nel caso in cui l’agente si arresti per fattori di allarme o rischio (es. udire la sirena della polizia) non si tratta di desistenza volontaria. □ Recesso attivo: ultimo comma; colui che volontariamente impedisce l'evento è soggetto alla pena del delitto tentato significativamente ridotta (da 1/3 alla metà); qui, l'azione ha esaurito i suoi effetti, è giunta a compimento e l’agente non ha più alcun dominio diretto sulla situazione che possa consentirgli di paralizzarne gli effetti ma si attiva positivamente per impedire che tali effetti si realizzino (es. Tizio spinge Caio in un fiume turbinoso per ucciderlo ma poi si getta in acqua e lo trae in salvo). Non è sufficiente però che il reo si attivi con ogni mezzo e forza per impedire l'evento: la circostanza attenuante può essere applicata solo se l'evento non si verifica (es. l'evento viene evitato anche grazie all'intervento di un medico); c'è recesso attivo quando l’agente abbia offerto un contributo decisivo all'azione salvifica (es. chiamando l'ambulanza o trasportando il ferito in ospedale). equivalenti sul piano della risposta sanzionatoria; infatti, l'art. 110 fa salve alcune disposizioni degli art. seguenti che considerano il diverso apporto dato alla commissione del reato tramite il meccanismo delle circostanze aggravanti o attenuanti. Possiamo dire che il codice sposta la differenziazione dei contributi dalla sede della tipizzazione legislativa a quella della commisurazione giudiziale della pena: è un' opzione di politica criminale che attribuisce al giudice un ampio potere discrezionale sia nella determinazione dei requisiti del contributo di partecipazione sia nella quantificazione della sanzione. Fondamento dogmatico della punibilità del contributo atipico di partecipazione Come è giustificata sul piano dogmatico la punibilità dei contributi concorsuali atipici? Teoria dell’accessorietà: parte della dottrina tedesca sostiene che la punibilità del contributo atipico o fatto accessorio si giustifica in quanto accede alla condotta dell'autore che pone in essere il fatto tipico o fatto principale. Di questa teoria sono state proposte diverse varianti a seconda degli elementi che devono connotare il fatto principale e, al fine di evitare lacune di tutela che altri casi possono porre, la dottrina ha esteso la figura dell'autore sostenendo che è autore, non solo chi realizza la condotta tipica (autore immediato), ma anche colui che si serve di altri per la commissione del reato (autore mediato) - es. è autore mediato dell'omicidio chi induce in errore un cacciatore facendogli credere che nel bosco ci sia una preda e non un uomo; è autore mediato dal reato commesso da un soggetto in stato di capacità di intendere e di volere chi lo ha posto in quello stato per fargli commettere il reato. Critiche: in primo luogo la teoria dell'accessorietà non si concilia con la cd esecuzione frazionata che si presenta quando nessuno dei concorrenti pone in essere per intero il fatto tipico ma ne realizza solo una parte; in secondo luogo, l'accessorietà non è in grado di giustificare il concorso in un reato proprio cioè quando a realizzare il fatto tipico e l'extraneus e non il titolare della qualifica personale richiesta dalla fattispecie incriminatrice. Infine, parte di dottrina dubita che l'art. 115 possa costituire una valida base normativa sostegno dell'accessorietà del contributo di partecipazione poiché la norma, più che giustificare un certo modello dogmatico, è espressione di un ordinamento penale a base oggettiva che richiede, anche in ambito concorsuale, il rispetto dei principi di materialità e offensività: punire l'accordo e l'istigazione non seguiti dalla commissione del reato significherebbe punire un autore pericoloso più che un fatto offensivo di un bene giuridico; non a caso il codice Rocco ha previsto all'art. 115 la possibilità di applicare una misura di sicurezza. Teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale: nel concorso di persone non deve essere ricercato il rapporto di accessorietà fra le condotte del partecipe e dell’autore in quanto la tipicità dei contributi concorsuali deve essere valutata alla luce della fattispecie che nasce dall’incontro fra l'art. 110 e le singole fattispecie incriminatrici di parte speciale (624 concorso furto, 575 concorso omicidio): la combinazione di queste due norme dà origine ad una nuova fattispecie ed è rispetto a questa, e non a quella mono soggettiva, che va valutata la rilevanza penale delle condotte concorsuali. La pluralità dei concorrenti costituisce solo una modalità eventuale di commissione di un reato che può essere realizzato anche in forma monosoggettiva; questa teoria supera le obiezioni mosse a quella precedente: in caso di esecuzione frazionata, le condotte parzialmente tipiche contribuiscono a comporre gli elementi della fattispecie plurisoggettiva eventuale e allo stesso modo nel concorso di reato proprio non è necessario che sia il titolare della qualifica a tenere la condotta tipica, è sufficiente che un concorrente contribuisca con la propria qualifica personale e un altro con la condotta così che l'insieme realizzi tutti gli elementi costitutivi della fattispecie. Teoria delle fattispecie plurisoggettiva differenziata: il concorso di persone dà luogo ad una pluralità di reati tanti quante sono le condotte concorsuali. I problemi che oggi affliggono la disciplina del concorso stanno nell’indeterminatezza dell'art. 110 che non fissa i criteri di tipizzazione del contributo concorsuale; il punto dolente sta nell’assenza di una disciplina normativa che garantisca il rispetto del principio di legalità anche laddove le esigenze di politica criminale impongono di attribuire rilevanza penale a condotte non sussumibili nelle singole fattispecie incriminatrici. Requisiti strutturali del concorso di persone I problemi che ha sollevato in giurisprudenza il concorso di persone non attengono tanto al fondamento teorico dogmatico, quanto agli elementi della struttura: pluralità di agenti, realizzazione di una fattispecie di reato, contributo concorsuale ed elemento soggettivo. 1. Pluralità degli agenti: uno dei requisiti essenziali della struttura del concorso di persone, elemento che distingue più la realizzazione del reato nella forma mono soggettiva da quella plurisoggettiva. ne sono sufficienti due ma non tutti devono essere anche punibili; l'art. 112 ultimo comma prevede che le circostanze aggravanti previste si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile, risponde colui che ha determinato il soggetto a compiere il reato e queste, diversamente da come sono state ricostruite dalla dottrina tedesca, non sono ipotesi di autore mediato, ma ipotesi specifiche di concorso di persone nel reato. 2. Realizzazione di una fattispecie di reato: devono essere realizzati gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e poco importa che sia un solo concorrente o più di uno a realizzare per intero il fatto tipico; è quindi sufficiente che attraverso la cooperazione plurisoggettiva il fatto concreto riproduca tutti gli elementi della fattispecie astratta. Può trattarsi di un reato consumato o di un delitto tentato: e quindi ammesso il concorso in un tentativo, mentre non è punibile il tentativo di concorso cioè il fatto di tentare senza riuscirci di concorrere in un reato (art. 115) 3. Particolare elemento soggettivo: dolo, colpa… 4. Contributo concorsuale: è necessario, per rispondere a titolo di concorso, un contributo da parte di ciascun concorrente e per determinarlo facciamo riferimento a due principi costituzionali che giocano un ruolo in ambito concorsuale: principio di legalità (art. 25 C.), in quanto se non sono definiti gli elementi del contributo concorsuale, sono pregiudicati i sottoprincipi di riserva di legge e determinatezza e principio di responsabilità per fatto proprio (art. 27 comma 1), in quanto la funzione estensiva delle norme sul concorso di persone trova un limite nel divieto di responsabilità per fatto altrui in relazione al tipo di contributo. Distinguiamo allora: o Concorso materiale: si esplica sul piano oggettivo nell'aiuto prestato in fase di preparazione/esecuzione del reato; il contributo materiale può essere  Autore: realizza per intero il fatto tipico  Coautore: realizza con altri gli elementi della fattispecie incriminatrice sia quando ognuno realizza per intero il fatto, sia in presenza dell’esecuzione frazionata  Complice: dà un contributo oggettivo alla realizzazione del reato in fase preparatoria/esecutiva I contributi che si traducono in condotte che integrano (totalmente o parzialmente) il fatto tipico non danno problemi poiché la rilevanza del contributo concorsuale risiede nella sua conformità alla fattispecie incriminatrice. I problemi nascono in relazione al contributo materiale atipico del complice: si è obiettato che il criterio della conditio sine qua non, che nell'ambito della causalità rischia di estendere troppo la responsabilità penale, in ambito concorsuale causerebbe l'effetto opposto, restringere irragionevolmente la punibilità escludendo la rilevanza di condotte meritevoli di pena. Per superare le obiezioni sono stati proposti criteri alternativi alla causalità condizionalistica: il primo è la causalità agevolatrice o di rinforzo che attribuisce rilevanza concorsuale anche alle condotte che, pur non essendo conditio sine qua non del reato, abbiano agevolato o rafforzato la sua realizzazione; l'altro è accertare l'agevolazione sulla base di un giudizio di prognosi postuma (non ex post) cioè valutando se il contributo, nel momento in cui è stato prestato, abbia aumentato il rischio di realizzazione del reato, ciò significa dare rilevanza a condotte di aumento del rischio di realizzazione del reato. In ambito concorsuale à la causalità condizionalistica l'unico criterio in grado di garantire il rispetto dei principi di legalità e responsabilità per il fatto proprio. Il secondo termine del rapporto causale non è l'evento (come nella causalità) ma il fatto di reato poiché il concorso di persone è ipotizzabile rispetto a qualsiasi reato, evento o di pura condotta. Il reato deve poi essere inteso in termini concreti, prendendo cioè in considerazione le modalità specifiche di realizzazione. La Cassazione pone l'accento sulla necessità di considerare le caratteristiche essenziali del fatto concreto per escludere la rilevanza concorsuale dei contributi che abbiano inciso solo su modalità marginali della vicenda concreta; l'accertamento è rimesso al giudice. Nei reati permanenti, il contributo concorsuale può essere prestato anche in epoca successiva al momento iniziale del reato, fino a che perdura la permanenza; una conclusione analoga va estesa anche ai reati a duplice schema, cioè che possono essere realizzati attraverso condotte alternative. In conclusione, la casualità condizionalistica va mantenuta fermamente come unico criterio in grado di delimitare il contributo concorsuale materiale atipico e svolge in ambito concorsuale una duplice funzione: criterio di imputazione del fatto (per garantire il rispetto del principio di responsabilità per fatto proprio) e funzione di tipizzazione del contributo di partecipazione (in assenza di indicazioni legislative, contribuisce a garantire in ambito concorsuale il rispetto dei principi di riserva di legge e determinatezza della fattispecie penale)
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