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Riassunto Manuale di Filosofia: Filosofia. La Ricerca della Conoscenza 1A-1B (Chiaradonna), Appunti di Storia della filosofia antica

Riassunto discorsivo e dettagliato del manuale di storia della filosofia antica: "Filosofia. La Ricerca della Conoscenza" di Chiaradonna e Pecere, parte 1A e 1B. Il riassunto si ferma a Plotino (incluso). Ho seguito il corso di Storia della Filosofia Antica con il prof. Ademollo nell'anno 2022-2023.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 15/01/2024

emmacionini
emmacionini 🇮🇹

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Scarica Riassunto Manuale di Filosofia: Filosofia. La Ricerca della Conoscenza 1A-1B (Chiaradonna) e più Appunti in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! Le origini della filosofia nella Ionia Termine philosophia: usato a partire da Socrate e Platone per definire l’amore per la sapienza, una sapienza amata per sé stessa e in quanto tale. Logos: pensiero razionale Mythos: racconto poetico I primi pensatori greci dimostrano che i due erano intrecciati -> il sapere mitico è fonte di ispirazione per il sapere filosofico. I primi pensatori greci attinsero a un ricco patrimonio di saperi. - Importanza notevole ebbero i miti cosmogonici (racconti sulla nascita dell’universo), primo fra tutti la Teogonia di Esiodo (racconto sull’origine degli dei). Qui si individua come principio di tutte le cose il Caos, inteso come un indistinto iniziale da cui si sono formati tutti gli elementi, a cui poi si aggiunge un risolutivo intervento degli dei. Novità delle cosmologie di Talete, Anassimandro e Anassimene: il superamento del divino! Questo a causa di un atteggiamento critico, un’attenzione viva per l’osservazione e l’esperienza. + passaggio a una cultura fondata sulla scrittura = riflessione più rigorosa e sistematica Secondo Aristotele l’origine della filosofia andrebbe fatta risalire alla physiologia (discorso sulla natura) -> questi pensatori ricercano una archè, ovvero un principio primo assunto come origine di tutta la realtà. L’ archè era un principio eterno e non soggetto a corruzione e morte. TALETE Nulla di scritto conservato. Vive tra seconda metà del VII e prima metà del VI a Mileto. Considerato uno dei Sette Sapienti. Lui identifica il primo principio (archè) con l’acqua. -> elemento essenziale per la nascita e crescita delle cose viventi. Ha carattere fisico e non divino. La sua idea ha probabilmente origine mitica, in quanto per Omero ed Esiodo padre di tutte le cose è il divino Oceano. ANASSIMANDRO 610-545 a.C. a Millet. Esperto di astronomia, possedeva sapere tecnico e fu autore della prima carta geografica della Terra. Come per Talete, anche per Anassimandro l’umidità è all’origine della vita, e da essa avrebbero avuto origine gli animali e gli uomini = la nascita degli uomini si inserisce in un processo che esclude del tutto l’intervento degli dèi. Tesi sulla posizione della Terra: la Terra ha la forma di un largo cilindro, è sospesa in aria e rimane immobile in virtù della sua stessa posizione (è al centro dell’universo, equidistante dagli estremi). Per lui il principio di tutte le cose sarebbe l’illimitato (l’àpeiron) = un elemento illimitato, indefinito e indistinto che abbraccia tutto, non vuoto ma pieno. L’àpeiron si muove ruotando eternamente e da questo movimento dinamico si generano per separazione i contrari. Secondo Anassimandro, inizialmente dall’àpeiron si è distaccato un nucleo di caldo e freddo. Di Anassimandro possediamo un frammento (le prime parole della filosofia greca) tramandato da Simplicio. ANASSIMENE Per lui il principio si trova nell’aria, analizzata in ambito fisico e concreto. Ma anche l’aria di Anassimene, benché elemento fisico, è temporalmente eterna e spazialmente non definita. Novità: Anassimene si interroga sul MODO in cui l’aria genera le cose, ovvero il meccanismo materiale che consente all’aria, attraverso il processo di rarefazione e condensazione, di porsi come principio. I due contrari fondamentali per la generazione sono: il caldo e il freddo. -> connessione tra la temperatura e il grado di condensazione e rarefazione. L’anima è dunque psychè (soffio) inteso come soffio vitale, e l’universo stesso viene concepito come un complesso organismo vivente il cui respiro è vita e anima. SENOFANE Considerato maestro di Parmenide. Critica Omero e la teologia dei poeti, li critica per il carattere antropomorfico degli dei. Inoltre l’antropomorfismo sfocia in una posizione di relativismo circa le credenze sugli dei: ovvero che se ogni specie potesse disegnare gli dei a suo piacimento li farebbe simili a sé. Per Senofane, Dio e uomo sono presentati come del tutto incomparabili. Dio è presentato come unico, immobile, imperturbabile, incommensurabile. La conoscenza piena della physis è prerogativa solo degli dei, mentre all’uomo è concessa solo una credenza (che nasce dal contatto ingannevole con la realtà sensibile). PITAGORA E IL PRIMO PITAGORISMO Nato a Samo, si allontanò dalla madrepatria e viaggiò a lungo anche in Oriente, dove svolse un ruolo di primo piano come maestro, guida e anche come figura politicamente impegnata. La sua figura storica si mescola alla leggenda in quanto alcune fonti lo presentano addirittura come figlio di Apollo, autore di miracoli, profeta, guaritore e mago. E’ descritto dai suoi contemporanei come polymathos, ovvero accumulatore di conoscenza. Probabilmente non scrisse nulla e le sue stesse teorie geometriche-matematiche sono quasi certamente opera della sua scuola (i pitagorici). Dottrina della metempsicosi: Pitagora avrebbe professato la dottrina dell’immortalità dell’anima e della sua trasmigrazione, dopo la morte, i corpi umani o animali. Questa dottrina è probabilmente di origine sciamanica. I seguaci di Pitagora si dividevano in acusmatici e matematici: Si suppone che gli acusmatici fossero i discepoli che si riunivano ad ascoltare brevi sentenze, regole o divieti pronunciati dal maestro. I matematici invece erano coloro a cui il maestro rivelava le verità ultime della sua dottrina. Tuttavia potrebbe anche indicare la distinzione di due correnti del pitagorismo -> una di tipo maggiormente religioso e uno di tipo scientifico. Probabilmente i pitagorici ritenevano che i numeri fossero la vera natura delle cose e che la struttura profonda della realtà fosse di tipo numerico.y Da questa concezione si sviluppa l’interesse per la struttura dei suoni e il loro rapporto reciproco = l’armonia. Tra i successori di Pitagora spicca Filolao di Crotone, a cui si deve la riflessione più sistematica intorno alla matematica e all’armonia dei numeri: la dottrina che identifica i numeri con punti che occupano uno spazio. Base di ogni cosa = opposizione tra i principi del limite e dell’illimitato: questa opposizione dà luogo alla tavola pitagorica degli opposti (ovvero coppie di opposti che formano la struttura stessa della realtà). Limite: ciò che rimane identico a sé, il dispari Illimitato: ciò che muta, il pari (perché contiene in sé l’idea della duplicazione) L’armonia è il terzo principio che li tiene uniti. I pitagorici affermano che i principi sono dieci, così appaiati: limite illimitato, dispari pari, uno molteplicità, destra sinistra, maschio femmina, quiete movimento, retto curvo, luce tenebre, buono cattivo, quadrato oblungo. ERACLITO Nato a Efeso da famiglia aristocratica. Figura definita da Aristotele come “l’oscuro” per lo stile profetico e le sentenze di difficile interpretazione. E’ noto come il filosofo del divenire (panta rhei). Termine fondamentale del suo pensiero è logos: legge comune, principio di universale saggezza. Logos inteso come principio logico e discorsivo, è ragionamento e la sua traduzione in linguaggio. Introduce una novità alla tesi di Parmenide: l’infinità. Parmenide aveva affermato che l’essere è ingenerato, eterno presente, perché “non mai era né sarà”; Melisso invece afferma che esso “è, sempre è stato e sempre sarà”. A questo aggiunge anche la coincidenza tra eternità temporale (la premessa appena fatta) e infinità spaziale: Parmenide aveva descritto l’essere come finito, limitato; tuttavia l’esistenza di un limite metteva a rischio la sua perfezione stessa e quindi Melisso afferma che l’essere perfetto deve necessariamente essere àpeiron, privo di limite nello spazio e nel tempo. EMPEDOCLE Fa parte dei pluralisti, coloro che in linea con Parmenide ritengono che il mondo mutevole che appare ai sensi non sia quello vero, ma tuttavia non lo negano. Ritengono che si debbano salvare anche le apparenze e la molteplicità. Ciascuno dei pluralisti difende l’esistenza del molteplice e ritiene che vi siano molti principi della realtà (eterni e non soggetti a mutamento), anche se ciascun principio esemplifica alcune caratteristiche tipiche dell’essere parmenideo. Empedocle nacque ad Agrigento da una nobile famiglia di parte democratica. In lui troviamo aspetti sapienziali e mistici, insieme a interessi fisici e riflessione naturalistica. A lui sono attribuite due opere: Purificazioni (intento etico-prescrittivo) e Sulla natura (finalità descrittiva e intento fisico-cosmogonico). Scrive in esametro omerico. Le quattro radici: Empedocle recupera gli elementi materiali del monismo ionico e li combina in una visione pluralista. Per Empedocle sono 4 le sostanze originarie alla base della vita (aria, acqua, terra e fuoco) -> questi elementi generano le cose tramite la loro combinazione + per farlo le sostanze si aggregano e disgregano e quindi difende la realtà del movimento e dell’apparenza. Empedocle introduce poi il concetto di una causa motrice: causa responsabile del movimento degli elementi fisici -> questa corrisponde ai principi di Amore e Contesa, responsabili rispettivamente dell’aggregazione e separazione degli elementi. Amore provoca forza centripeta = figura dello Sfero, l’aggregato compatto di ogni cosa. Segue la fase del vortice, dominata da Contesa. Alle due fasi opposte seguono fasi di passaggio di 6000 anni, in cui si alternano le due forze e in cui si generano tutte le cose. Alla cosmologia di Empedocle è legata anche la sua concezione dei viventi e della loro evoluzione, un processo guidato da un caso dominato dalla necessità: inizialmente l’aggregazione degli elementi dà vita a composti eterogenei e mostruosi; poi si formano composti sempre più armoniosi e stabili. In tutto questo rimane ben saldo il principio parmenideo per cui nulla nasce e nulla muore: quello che gli uomini chiamato nascita e morte è solo un processo eterno di aggregazione e disgregazione. Teoria della conoscenza: Empedocle recupera il valore conoscitivo non solo della mente ma anche dei sensi. Dagli oggetti si distaccano flussi di particelle sensibili (effluvi) che vanno a colpire i singoli organi di senso attraverso i pori. I flussi si uniscono alle componenti affini all’interno del corpo (attrazione del simile con il simile): ad esempio il flusso del colore colpisce la vista. La conoscenza segue un procedimento analogico in grado di cogliere e mostrare le somiglianze tra i diversi livelli di realtà. Nelle Purificazioni, Empedocle narra di un’anima “divina” che dopo essere decaduta da una condizione di beatitudine, recupera infine quello stato ordinario di purezza attraverso pratiche catartiche. L’anima umana è divina e si contamina quando commette il male lasciandosi sopraffare da contesa; solo espiando la colpa e seguendo il principio di Amore potrà tornare alla beatitudine. ANASSAGORA Siamo nell’Atene del V sec., la cosiddetta “età di Pericle”. Probabilmente fu costretto all’esilio in seguito ad alcune tesi sui corpi celesti. La riflessione di Anassagora si inserisce nel cosiddetto razionalismo dell’età di Pericle, caratterizzato dallo sviluppo tecnico-scientifico e nel crescente contrasto con gli orientamenti più conservatori e tradizionalisti. Anche Anassagora sviluppa una teoria incentrata sulla fiducia nelle capacità dell’uomo di interrogare la realtà e sulla separazione tra sfera umana e divina. Socrate gli riconosce il merito di aver concepito una causa che dà ordine al cosmo, l’Intelletto (Noús). Come Empedocle, che aveva cercato di conciliare le caratteristiche dell’essere parmenideo con la pluralità delle radici materiali, così procede anche Anassagora. Per Anassagora, elementi alla base di tutto sono i semi (spermata): originariamente tutti i semi di trovano in una massa indistinta (in cui sono presenti tutti i semi e tutte le qualità) al cui interno si genera un movimento centrifugo che è responsabile della configurazione del cosmo. Dal vortice hanno origine due distinte regioni: una di materia rarefatta (etere) e una dominata dall’aria (acqua, nuvole, terra ecc.) Anassagora crede che la separazione originaria sia stata causata da un Intelletto, un Noùs, principio autonomo che ha avviato il movimento. La differenza tra le cose è garantita dalla diversa proporzione dei semi presenti degli aggregati: in ciascuna cosa prevale un tipo di seme, anche se tutto è in tutto. I semi di Anassagora sono indefinitamente presenti in tutte le cose, sempre uguali a se stessi, ma sono distribuiti in proporzioni diverse. Conoscenza: Anassagora riconosce il ruolo dei sensi, tramite cui cogliamo solo una parte della natura ma sono il primo passo per un processo di ricerca della verità, tramite la raccolta di indizi fisici grazie ai quali costruire ipotesi su ciò che sfugge al nostro sguardo. La forma più alta di sapere si trova nell’Intelletto, tramite il processo di lettura e decifrazione dei segni. L’Intelletto (il nous) -> Anassagora lo concepisce come un principio materiale, non divino, interno alla materia ma insieme distinto da essa. Inoltre, il nous non pianifica la struttura del mondo in modo finalistico (ovvero in funzione di un fine buono) ma dopo aver impresso la spinta iniziale al vortice, cede il posto alle forze meccaniche che determineranno le fasi successive. DEMOCRITO Nasce fra 470 e 460 a.C. nella colonia ionica di Abdera ed è contemporaneo di Socrate. A lui è legata un’enorme quantità di opre scritte, Diogene Laerzio ci tramanda una lista di circa 70 titoli che conferma l’ampiezza dei suoi studi. A Democrito si deve la diffusione dell’atomismo: in natura tutto è composto di atomi e vuoto, corrispondenti all’essere al non essere di Parmenide. A differenza di lui però, per Democrito esistono sia l’essere sia il non essere. L’esistenza del vuoto è garanzia dell’esistenza della materia stessa: senza il vuoto non sarebbero possibili né aggregazione né disgregazione degli atomi. Gli atomi sono indivisibili ed eterni, ovvero mai nati e mai destinati alla morte. Tuttavia, Democrito vuole recuperare il movimento, generazione e dissoluzione: nascita e morte sono il risultato dell’incontro e della successiva disgregazione degli atomi tra loro. Gli atomi non indivisibili ma ogni corpo formato da atomi è divisibile -> questo perché Democrito accetta il presupposto dell’infinità divisibilità dal punto di vista matematico, non fisico. Gli atomi si distinguono per forma, posizione e ordine. Inoltre sono in continuo movimento e grazie al vuoto che lo consente possono incontrarsi e aggregarsi. I composti atomici sono dotati di un peso che varia in rapporto alla maggiore o minore presenza del vuoto. Anche l’anima umana è composta di atomi = è un’anima-fuoco, leggerissima, in relazione sia con l’attività conoscitiva sia con le funzioni biologiche connesse a vita e morte. Come si aggregano gli atomi? Come per Empedocle ed Anassagora, anche Democrito sostiene l’esistenza di un vortice come causa della generazione. Però questo non è attivato da un principio esterno, è un movimento necessitato ma disordinato: l’incontro tra gli atomi avviene attraverso un movimento rotatorio che porta i corpuscoli ad incontrarsi e scontrarsi nello spazio vuoto, aggregandosi in base alle loro proprietà. La filosofia di Democrito costituisce un ambizioso tentativo di spiegare il mondo senza fare ricorso a nessuna causa divina o ordinatrice. Riguardo alla conoscenza, Democrito definisce “conoscenza oscura” la conoscenza sensibile, opponendola alla conoscenza intellettiva che, attraverso l’Intelletto, sa interpretare i segni della realtà sensibile. Gli atomi e il vuoto, nascosti ai sensi, sono oggetto della conoscenza autentica. Dagli oggetti sensibili si distaccano effluvi di atomi responsabili delle nostre percezioni: in realtà le qualità sensibili sono solo convenzioni, opinioni che non ci restituiscono la verità sugli enti. LA SOFISTICA E SOCRATE Dopo la vittoria delle guerre persiane, le città della Grecia acquisirono immenso prestigio. Atene dominò la scena politica, soprattutto sotto il governo di Pericle, in cui Atene era una democrazia diretta. Il rapporto di Atene con le altre città greche si basò su una spregiudicata politica di dominio che portò alla guerra del Peloponneso -> sconfitta ateniese -> governo dei Trenta Tiranni (404 a.C.) -> ripristino della democrazia dopo alcuni mesi ma ormai ad Atene tramontava l’egemonia del V sec. E’ in questo contesto che si sviluppa la sofistica: i sofisti erano intellettuali legati dalla prassi comune dell’insegnamento a pagamento e da una riflessione incentrata sul mondo degli uomini. Temi principali: linguaggio, morale e politica. I sofisti erano famosi perché promettevano ai loro discepoli di raggiungere il successo tramite la retorica (ovvero l’arte di comporre discorsi persuasivi) = considerata l’arte più importante di tutte. Nella città democratica, dove era indispensabile sappi convincere gli altri, l’arte di parlare in modo convincente era ritenuta la chiave del successo. PROTAGORA Viaggiò come maestro itinerante e, giunto ad Atene, strinse amicizia con Pericle. E’ difficile ricostruire la sua biografia perché di suoi scritti poco è rimasto e le testimonianze dirette sono spesso piegate a un intento polemico poco obiettivo. Il suo trattato più noto è la Verità dove si occupò della riflessione sulla verità. Posizione antiparmenidea: all’essere eleatico Protagora risponde con il relativismo: un processo di relativizzazione con l’uomo elevato a misura di tutte le cose. Si tratta di un relativismo sia gnoseologico (legato alla conoscenza) sia etico (azioni e valori morali). Uomo misura di tutte le cose = ciascuno è responsabile e arbitro dei propri giudizi. Mentre Parmenide aveva diviso nettamente il mondo dell’essere e quello dell’opinione, Protagora mira a ridare dignità all’uomo: ognuno all’interno della propria esperienza elabora una visione personale del mondo. Compito del sofista è aiutare il discepolo nella costruzione di un confronto più efficace con la realtà, basato sul principio di utilità = sapienza pratica, saper scegliere la via più utile in rapporto alle circostanze. Il principio non è più la verità ma l’utilità! Lo scritto L’accusa di Socrate di Policrate testimonia il clima di sospetto degli accusatori: dipinge Socrate come sprezzante delle leggi e della democrazia, maestro di politici dispotici e violenti. Nell’Apologia Platone riporta tre discorsi di Socrate. Socrate inizialmente presenta la propria difesa ripercorrendo le cause dell’accusa e poi propone una controproposta provocatoria (essere mantenuto a spese dello Stato). Infine dice che ovunque fosse andato lo avrebbero ascoltato come ad Atene. Fu condannato a morte con una maggioranza di 30. La filosofia Da una aporia (perplessità, dubbio, incertezza, è una situazione apparentemente senza via d’uscita) iniziale nasce la ricerca di Socrate: dal dubbio e l’incertezza cerca la verità tramite il dialogo e l’esame delle opinioni degli altri. Socrate sottopone a esame tutto coloro che hanno la fama di essere sapienti, come i politici, e smaschera la falsa sapienza degli interlocutori. Nemmeno i poeti superano l’esame, perché compongono belle opere ma non sanno come. Solo i più umili, gli artigiani, passano l’esame = la conoscenza tecnica è per Socrate un sapere definito e insegnabile, un principio di competenza. Questo manca alla democrazia di Atene, in cui tutti si ritengono capaci di prendere decisioni senza le necessarie conoscenze. Aspetto più importante dell’insegnamento socratico: èlenchos (esame, confutazione) Socrate interroga gli esperti di varie materie ponendo loro la solita domanda: “che cos’è”: in questo modo Socrate scoprì due teorie logiche, la teoria della definizione e quella del ragionamento induttivo (arrivare a una conclusione generale partendo da casi particolari) Attraverso un procedimento ironico, Socrate comincia elogiando chi sta discutendo con lui e celebrandone la sapienza, per poi iniziare a smontare le loro certezze fino a raggiungere una condizione di aporia. Questa tecnica del dialogo socratico viene definita maieutica, perché Socrate conduce gli interlocutori a generare la verità come se dovessero partorire dalla loro anima. La verità per Socrate non ha un significato preciso, ma rappresenta la ricerca stessa del vero, l’esame critico delle opinioni. La religione Un aspetto importante del pensiero socratico è il demone (daimon), una voce divina che consiglia a Socrate cosa fare. Il demone ha solo funzione negativa, ovvero si limita a distogliere il filosofo dal fare qualcosa che può essere male, ma non lo esorta mai. Socrate mantiene sempre un atteggiamento di rispetto verso la religione ma nell’Apologia enuncia una posizione agnostica sull’esistenza della vita dopo la morte: pensa che o si muoia senza provare più nulla, o che l’anima si trasferisca in un altro luogo. In ogni caso la morte non va temuta. L’etica La giustizia secondo i greci era alla base della stessa convivenza ed è grazie alla giustizia che le relazioni tra gli uomini sono favorevoli e non implicano lo sfruttamento. Tuttavia era ritenuto corretto “fare del bene agli amici e del male ai nemici” e quindi reagire al torto subito. La posizione di Socrate è diversa: non bisogna mai commettere ingiustizia e, se vittima di un torto, non bisogna restituire il male. = primo paradosso dell’etica di Socrate. Rende assoluta e universale l’idea di giustizia eliminando la possibilità di arrecare male gli altri. La posizione morale di Socrate dipende dal suo rigoroso intellettualismo (intelletto come fondamento di ogni conoscenza): l’uomo agisce in base a ciò che conosce. Se compiamo una certa azione è perché la riteniamo giusta = “attraenza del bene”, se conosco qualcosa come buono, autonomamente agisco di conseguenza; allo stesso modo se conosco qualcosa come cattivo non posso metterlo in pratica -> nessuno sbaglia volontariamente. L’errore nella morale dipende solo da ignoranza (ignoranza del bene). Dunque le virtù morali si riducono alla sola virtù, identica alla conoscenza. PLATONE Sicura è la sua data di morte, che diverse fonti collocano nel 348/347 a.C. Platone nasce nel cuore dell’aristocrazia ateniese: la madre discendeva da Solone, zio materno era Crizia e il padre discendeva dal mitico re ateniese Codro. Nella giovinezza vide susseguirsi gli eventi cruciali che segnarono la crisi della democrazia ad Atene: sconfitta contro Sparta, governo dei Trenta Tiranni, restaurazione democrazia e condanna di Socrate. Nel 387 a.C. è tradizionalmente fissata la data di fondazione dell’Accademia, una comunità di intellettuali con un vivace e libero scambio di idee. Gli scritti Platone è l’unico filosofo antico del quale ci siano pervenute tutte le opere. Si tratta principalmente di dialoghi in cui Socrate ha spesso ruolo centrale, mentre Platone non compare mai. Trasillo, un erudito del tempo di Tiberio, ordinò le opere di Platone in nove gruppi di quattro (detti tetralogie) per un totale di 36 opere. L’ordine delle opere secondo Trasillo è stabilito per argomento, come era solito nell’antichità. La critica moderna ha cercato invece di stabilire una cronologia dei dialoghi basata sull’evoluzione del pensiero platonico: si distinguono 3 periodi. 1) prima fase socratica, in cui è ancora decisiva l’influenza dell’insegnamento di Socrate (Apologia, Critone e i dialoghi aporetici). 2) seconda fase matura, in cui viene superato l’insegnamento socratico e lo stesso personaggio di Socrate difende le teorie platoniche: presentazione di dottrine ben definite (Fedone, Simposio, Fedro e Repubblica). 3) terza fase di revisione, con i dialoghi che contengono discussioni critiche o modifiche a dottrine difese nei dialoghi del secondo gruppo. Fra i dialoghi ce ne sono alcuni che causano dubbi perché presentano caratteristiche intermedie: probabilmente si tratta di dialoghi di passaggio. Inoltre le fonti antiche affermano che Platone rivedeva e rielaborava opere già scritte e quindi non è facile stabilire una cronologia troppo rigida. La forma del dialogo Le opere di Platone sono di complessa lettura e interpretazione soprattutto a causa della forma del dialogo: tutti i personaggi contribuiscono a delineare il contenuto filosofico negli scritti di Platone, che devono essere letti quasi come opere teatrali. In base alla situazione messa in scena, cambia il contenuto delle teorie dette da Socrate: quando Socrate si confronta con un interlocutore poco capace, non sviluppa fino u fondo gli argomenti discussi; se invece l’interlocutore è capace, Platone fa enunciare a Socrate teorie più approfondite. Diverse chiavi di lettura: come si sviluppa il pensiero platonico? La sua filosofia era già stata elaborata fin dall’inizio oppure evolve col tempo? Perché Platone adotta il dialogo? 1) tramite il dialogo Platone riproduceva il dialogo orale del suo maestro Socrate 2) Platone fu il primo vero scrittore filosofico dell’Occidente e doveva quindi definire una forma letteraria adatta ad esprimere la materia trattata. 3) Per Platone avrebbe avuto poco senso esporre le proprie tesi in modo scolastico. Il suo intento è portare i lettori a ricavare da sé le conclusioni ultime, e con il dialogo queste emergono solo implicitamente. Nella Settima Lettera, Platone espone le ragioni che lo condussero alla filosofia. Da giovane pensava di dedicarsi alla politica, ma il governo dei Trenta e successivamente l’accusa e condanna di Socrate segnarono la definitiva sfiducia nella politica del suo tempo = richiamo alla filosofia. Tutta l’opera di Platone si interroga su come conoscere ciò che è realmente giusto dalla falsa conoscenza che porta al male. Socrate è allo stesso tempo un maestro e un problema: è stato l’uomo più giusto ma ha fallito ed è rimasto vittima della città. Inoltre, il limite di Socrate è anche metodologico: le sue confutazioni non portavano a soluzioni condivise. Platone muove da questo: adesso vuole dimostrare che esiste una verità profonda, diversa da quella nota ai molti. Il filosofo quindi non deve solo dedicare la vita alla ricerca, ma dedicarla a un tipo di ricerca di un certo tipo di oggetto intrinsecamente vero (le Idee). Ma cos’è la filosofia per Platone? Nella Repubblica, la filosofia viene contrapposta alla cultura tipica della città greca, ovvero le manifestazioni cittadine e gli spettacoli teatrali. La filosofia per Platone non è solo amore del sapere (il sapere degli spettacoli visibili, ingannevoli) ma amore del sapere vero e proprio. Infatti per Platone la filosofia, ovvero la vera conoscenza, deve fare riferimento a un oggetto particolare e diverso dalle cose percepibili: le Idee o Forme. Per definire il suo concetto di filosofia, Platone nei suoi dialoghi chiama in causa la sofistica: ai sofisti tocca la parte dei falsi sapienti, i quali criticano la sapienza tradizionale senza proporre nessuna valida alternativa = ai sofisti manca il riferimento alla verità Le Idee Per Platone, la parola idèa (o éidos) può essere tradotta con “forma”: non si tratta delle forme percepibili dai sensi, ma sono l’oggetto della conoscenza intellettuale che avviene tramite l’occhio dell’anima (la facoltà di conoscenza più alta dell’anima). Idea = “ciò stesso che è” qualcosa -> ad esempio “ciò stesso che è il Bello” o “il Bello in sé” Altra espressione usata in rapporto alle Idee è quella di ousia (dal verbo “essere”) -> le Idee sono relative all’ambito dell’essere perché sono la rappresentazione perfetta e assoluta di ciò che si trova, in modo imperfetto e approssimato, nel mondo in cui viviamo. Caratteri delle Idee: - esistono sempre - sono invisibili e non percepibili - si trovano sempre nella stessa condizione - incorporee - separate dal mondo fisico Le Idee non sono accessibili a tutti, ma solo a chi ha compiuto un complesso percorso conoscitivo. Eros e natura della filosofia Nella cultura greca il termine eros unisce la dimensione sessuale a quella politica ed educativa. Platone dedica ad Eros il dialogo “Simposio”, in cui descrive i discorsi in onore della divinità Eros. Il simposio non era solo un luogo di festeggiamento ma anche un autentico esercizio intellettuale riservato agli uomini. Fra i partecipanti, oltre a Socrate, c’è anche il suo avversario Aristofane, il quale pronuncia il mito sulla natura dell’uomo: inizialmente l’uomo aveva forma sferica, con il doppio degli arti e due testi e due genitali (o due maschili, o due femminili, o uno maschile + uno femminile). Vi erano quindi 3 sessi. Narra che Zeus, temendo queste creature, le tagliò in due e queste iniziarono a cercare disperatamente la propria metà. Zeus per compassione spostò i genitali sul davanti e permise che la generazione si compisse attraverso di essi = ricerca dell’altra metà e unione sessuale divennero il mezzo della generazione. Questo mito narra la nascita sia dell’amore eterosessuale che si quello omosessuale. Quindi per Aristofane, l’amore è il desiderio di fondersi con l’amato, è nostalgia dolorosa di un’originaria unità. Il limite di Aristofane era però quello di essersi fermato alla dimensione sessuale dell’Eros, mentre Socrate farà emergere la vera forza della divinità, esaltandone l’aspetto intellettuale. Il raggiungimento della città modello, la cosiddetta kallìpolis, si raggiunge tramite la purificazione delle pratiche educative vigenti nella polis. Il rapporto di Platone con la città “di lusso” è controverso: lui parte da una critica della città opulenta, caratterizzata dagli elementi che Platone poteva osservare nella polis ateniese (tensioni interne, ingiustizie, avidità, banchetti ecc.), per poi proporre una sua trasformazione in senso filosofico. L’educazione dei guardiani (i guerrieri) deve comprendere sia corpo che anima -> fondata sulla ginnastica e sulla musica (intesa come tutte le arti in generale). Non tutte le arti però sono ammesse: nei libri II,III e X della Repubblica si trova una condanna della poesia. A poeti come Omero ed Esiodo si rimprovera di aver composto racconti falsi e profondamente diseducativi -> rappresentano dèi in balia di passioni violente, come se le divinità fossero la causa del male. Nel X libro c’è una critica dell’arte imitativa: questa imita l’apparenza, è una copia di una copia. Se esiste una Forma in sé, ovvero ciò che è vero e reale, sul piano sensibile c’è l’imitazione di questa Forma, e l’arte imitativa imita la realtà sensibile. Tuttavia, Platone non propone di sopprimere la poesia, ma di riformarla in senso filosofico: bisogna sostituire i racconti falsi con racconti destinati a trasmettere un contenuto profondamente vero. La menzogna non è esclusa, ma deve essere al servizio della verità -> come fa Platone attraverso i miti. Esempio più celebre di “nobile menzogna” è il mito delle stirpi, destinato a introdurre nell’animo dei cittadini (soprattutto dei guardiani) i valori fondanti della polis purificata: 1) tutti i cittadini sono nati dalla terra 2) Non tutti i cittadini sono uguali, perché il dio ha distinto 3 stirpi usando diversi metalli nell’anima di ciascuno: alle 3 stirpi corrispondo 3 classi. 1. Bronzo = contadini e artigiani 2. Argento = guardiani detti “ausiliari” 3. Oro = gruppo ristretto di guardiani dalla natura migliore con il compito di comandare, chiamati governanti. I governanti dovranno avere una specifica condotta che impedisca loro di corrompersi: non dovranno avere ricchezze personali, i loro beni saranno comuni, e dovranno vivere insieme. Il possesso di beni sarà consentito a contadini e artigiani, che provvederanno al sostentamento dei guardiani. Tutto questo ha la funzione di garantire la felicità dell’intera città e non di una singola parte di essa. Affinché la città sia buona, sono necessarie alcune virtù. Il termine greco areté = eccellenza nello svolgimento della funzione che ci è propria. Le quattro virtù principali: 1. Sapienza: permette di decidere il modo migliore di comportarsi della città. Tipica dei governanti. 2. Coraggio: proprio della classe dei guerrieri 3. Temperanza o moderazione: capacità di moderare i desideri. Si estende a tutte e tre le classi. 4. Giustizia: anche questa propri della città nel suo insieme. Questa virtù si identifica col fatto che ogni parte svolge il suo compito, garantendo unità e reciproco accordo. Per l’etica platonica quindi, nell’anima giusta i desideri sono sottomessi al comando della ragione. L’ingiustizia è data dal conflitto delle parti: nasce quando la parte desiderativa, destinata a servire, pretende di dominare sulle altre. Platone approfondisce l’analisi dell’ingiustizia analizzando le forma degenerare della città che si originano dalla corruzione della città ideale: alla fine di questo processo si ha il governo del tiranno. L’anima del tiranno è sconvolta da desideri violenti e la sua felicità è solo apparente: in realtà, il tiranno è sommamente infelice. Giustizia e felicità finiscono per convergere: per Platone infatti la natura coincide con la norma (giustizia) a cui dobbiamo adeguarci per conseguire l’autentica felicità, data dall’armonia tra le parti dell’anima. Il termine “natura” acquista un nuovo senso con Platone: non un senso descrittivo (come le cose vanno nella realtà che conosciamo) ma un senso regolativo. La città ideale Realizzare la città giusta implica un totale sconvolgimento della città ordinaria, che si realizza attraverso tre ondate (tsunami), ovvero condizioni difficili da accettare per la mentalità comune: 1. Le donne appartenenti alla classe dei guardiani devono poter svolgere le stesse funzioni degli uomini. 2. I figli dei guardiani saranno comuni e non potranno conoscere i loro genitori, per non creare legami personali che minaccino l’unità della città. La generazione inoltre va regolata secondo pratiche eugenetiche (nascita dei figli migliori dai genitori migliori). 3. I governanti della città dovranno essere filosofi. Da questo punto, la Repubblica passa a descrivere la natura della vera filosofia e il suo oggetto. La filosofia segna il distacco dalla mentalità comune e l’adesione a un sistema di conoscenze alternativo, tuttavia non deve rinnegare il mondo: al filosofo spetta di vivere nella realtà in cui si trova e trasformarla. La tensione fra queste due spinte contrastanti è evidente nell’analogia della caverna: illustra la possibilità di elevarsi verso la verità tramite un cammino morale e conoscitivo. Situazione di partenza: prigionieri in una caverna sotterranea, legati in modo da poter vedere solo davanti a loro. Dietro di loro vi è un fuoco e fra il fuoco e i prigionieri si trova un muretto da cui sporgono oggetti e statuette che, proiettati sul muro davanti ai prigionieri, rivelano solo ombre. Platone immagine che un prigioniero sia sciolto e costretto ad andare verso la luce, verso l’uscita -> inizialmente l’uomo prova dolore, viene accecato dalla luce e non potrà subito vedere gli oggetti. Si abituerebbe gradualmente e osserverebbe prima le ombre, poi i riflessi nell’acqua, poi il cielo e infine il Sole (Idea del Bene). Se dovesse a questo punto ridiscendere nella caverna sarebbe di nuovo accecato dall’oscurità e i prigionieri lo prenderebbero in giro per le sue difficoltà e se lui provasse a liberarli, questi lo ucciderebbero. Salita verso l’uscita = ascesa dell’anima verso la contemplazione delle realtà vere e intellegibili che culmina con la visione del Sole (che corrisponde all’Idea del Bene). Questa ascesa non è il risultato di una libera scelta ma di una costrizione -> pur essendo la prigionia uno stato innaturale dell’uomo, la natura autentica degli uomini migliori non può venire alla luce senza che essi siano indirizzati da una rigorosa educazione. Educazione dei guardiani migliori: prima un servizio militare, poi una formazione di tipo matematico e poi la dialettica (conoscenza delle Idee) Ridiscesa nella caverna = situazione dei filosofi che hanno conseguito la conoscenza del Bene: essi saranno costretti a diffondere in tutta la città la conoscenza e dovranno assumersi la cura degli altri. Il benessere conseguito dai filosofi deve essere rivolto al bene e all’unione della città, anche a prezzo della vita. Decadenza della città ideale Una volta instaurato il governo dei filosofi però, Platone descrive il suo progressivo declino (inevitabile perché tutto ciò che nasce deve perire) e dovuto ad una minore attenzione alle pratiche eugenetiche = progressiva degenerazione della natura dei guardiani. Alla decadenza dell’anima corrispondono forme di governo sempre peggiori, e ogni costituzione trae il proprio carattere peculiare dal tipo di anima che predomina in essa: 1. Quella aristocratica in cui domina la parte razionale 2. Quella “amante di onori” (timocratica) in cui domina la parte animosa Seguono poi 3 tipi di governo: oligarchia, democrazia e tirannide -> tutti questi sono dominati dall’elemento inferiore dell’anima, la parte desiderativa. Nella democrazia, l’anima del governatore è priva di unità e Platone la descrive come prologo della tirannide. Il tiranno è la vera antitesi del filosofo: entrambi sono governati da Eros, ma l’Eros del tiranno è negativo e lo rende schiavo di piaceri e desideri che ne causano l’autoannientamento. Etica e politica nell’ultimo Platone Ricerca morale e politica è affidata anche a dialoghi molto complessi: Filebo, Politico e Leggi. Caratteristiche dei dialoghi ultimi di Platone: - Socrate ha ruolo minore - Riferimento alle discipline matematiche diventa fondamentale, soprattutto il metodo della divisione - Maggiore interesse per il mondo sensibile: Platone appare più incline a investigare il mondo inferiore spiegandolo come un’approssimazione dei principi del mondo superiore. Concetti che garantiscono mediazione fra mondo intellegibile e mondo sensibile: il piacere (Filebo) e le leggi (Politico e Leggi) Filebo dedicato alla dottrina del piacere, la cui discussione è inserita in una concezione di tipo matematico sui generi in cui rientra tutto ciò che esiste: - limite (fornisce definizione e determinazione) - Illimitato (provoca disordine, assenza di misura) - Misto (mescolanza del limite e dell’illimitato) - Causa (provoca la mescolanza di limite e illimitato) Il piacere appartiene al genere dell’illimitato. Ma Platone isola anche un gruppi di piaceri “puri” appartenenti tanto al corpo quanto all’anima: ammettere l’esistenza di piaceri puri che riguardano il corpo è una novità, uno sforzo per individuare un ideale di vita buona “commisurato alle imperfezioni della natura umana” Nel Politico si ricerca la definizione di una scienza politica separata dalla filosofia: politico e filosofo non coincidono più. La specializzazione della politica è associata all’interesse per le leggi, che emerge soprattutto nelle Leggi: qui è narrata la conversazione fra un ateniese, uno spartano e un cretese riguardo le loro costituzioni. Ciò conduce a una dettagliata esposizione di un codice ideale di leggi e delle magistrature. Il centro della ricerca non è più costituito dall’eccellenza dei governanti, ma da un ideale di bontà relativa del quale sono responsabili tutti i cittadini. Le Idee L’enigma più grande dell’opera di Platone è la dottrina delle Idee. Senza Idee, la morale e la politica di Plafona non esisterebbero, perché esse forniscono il criterio in base a cui deve essere valutato ciò che è buono e giusto. Nonostante l’importanza di questa dottrina, i luoghi i cui se ne parla non sono molti. Perche? Varie ipotesi: - che spettasse al lettore filosofo trarre le conclusioni - che si trattasse di semplici allusioni a una dottrina spiegata in modo esauriente all’interno dell’Accademia - che le Idee fossero per sé stesse impossibili da conoscere a causa dei limiti del nostro intelletto. Uno dei dialoghi in cui le Idee sono maggiormente discusse è il Fedone. Qui Socrate, ormai vicinissimo alla morte, rievoca la sua vicenda intellettuale e spiega che dopo un iniziale interesse per le ricerche dei naturalisti era rimasto deluso dalla loro visione delle cause. Secondo Socrate, infatti, era assurdo che le cause potessero essere materiali. Le vere cause sono superiori a quelle materiali e introducono un punto di vista teleologico = si considera il fine per cui qualcosa avviene o è fatto, non ciò che lo rende materialmente possibile. Per conoscere le vere cause, Socrate ha dovuto intraprendere una “seconda navigazione” (la navigazione a remi quando il vento è calato) che lo ha condotto alle Idee. Il Sofista e il distacco da Parmenide Personaggio principale è lo Straniero di Elea, perché è legato alla città del filosofo Parmenide. Parmenide è importantissimo per Platone, infatti la distinzione fra Idee e realtà sensibili è molto influenzata dalla distinzione fra essere e apparenze di Parmenide. Tuttavia se Parmenide avesse ragione, le Idee sarebbero prive di relazioni fra loro e senza rapporti con il mondo sensibile. = necessario commettere un parricidio metaforico. La critica di Parmenide ha luogo in un dialogo dedicato alla definizione del sofista: questo perché proprio la figura del sofista rappresenta un’apparenza che è falsa ma, ciononostante, è reale. Il sofista è infatti un imitatore di scienza, privo della vera conoscenza. E’ necessario ammettere che ciò che non è, in qualche modo, è, e viceversa. Platone parte dal tentativo di definire il sofista tramite il metodo della divisione: consiste nel trovare la definizione di qualcosa individuando i concetto più generale (al cui interno rientra l’oggetto cercato) per poi dividere progressivamente il concetto generale in due. Questo metodo corrisponde con il metodo della dialettica, il quale si divide in: riduzione all’unità del molteplice + divisione dell’unità seguendo le articolazioni del reale. Il mondo delle Idee appare quindi come un insieme strutturato di Forme in relazione l’una con l’altra: ci sono Idee più generali e Idee più particolari e le Idee generali possono essere scomposte. Successivamente Platone individua cinque generi sommi: le Idee fondamentali e più generali. Queste sono: l’Essere (qualcosa di vivente provvisto di movimento e intelligenza), Movimento, Quiete, l’Identico e il Diverso, che coincide con il non essere. Ciascuna Idea partecipa del Diverso, perché ogni Idea è identica a sé e diversa da ciascuna delle altre = distacco da Parmenide. Il non essere (il Diverso) ammesso da Platone ha carattere relazionale: esso caratterizza la relazione di ciascuna Idea con tutte le altre. Abbiamo quindi visto che unità e molteplicità interagiscono e sono intrecciate. Il Mondo delle Idee emerge come una molteplicità interconnessa: le Idee hanno una mobilità interna come un organismo vivente pur presentando una stabilità e immutabilità di relazioni fra le sue parti = totalità dinamica. Sia nel Timeo che nel Sofista, le Idee appaiono come realtà dinamiche capaci di entrare in rapporto con qualcos’altro e collegarsi a ciò che è molteplice. Nel Timeo si parla del rapporto fra Idee e altri livelli di realtà: si ha una distinzione in più livelli in cui uno e molti, limitato e illimitato, determinazione e indeterminazione sono compresenti in proporzioni diverse -> nelle Idee prevalgono unità e limite, nel mondo sensibile prevalgono molteplicità e illimitatezza, ma non ci sono scissioni o separazioni. Il vero e il falso Le Idee svolgono una funzione centrale anche per spiegare la natura del nostro linguaggio. Nel Sofista, Platone riprende un problema dei sofisti: garantire che i nostri discorsi abbiano una relazione “oggettiva” con la realtà. Partiamo dalla riflessione di Platone sui singoli nomi nel Cratilo. Secondo Cratilo i nomi appartengono alle cose “per natura”, ovvero ne rispecchiano la natura. Secondo Ermogene, i nomi sono il risultato di una semplice convenzione arbitraria fra gli uomini. Secondo Socrate i nomi né rivelano la natura delle cose né sono una convezione, ma sono stati imposti originariamente guardando alle “verità delle cose”, ovvero alle Forme. A questo punto si analizziamo il vero e il falso. Nel Teeteto sono discusse tre definizioni sulla conoscenza: - conoscenza è sensazione - Conoscenza è opinione vera - Conoscenza è opinione vera con una ragione La prima definizione è collegata al relativismo di Protagora, ma il suo risultato è l’impossibilità di comunicare qualsiasi cosa attraverso il linguaggio. Nella seconda e terza definizione si fa riferimento a una capacità discorsiva dell’anima ma neanche questo basta. Nel Sofista invece, il vero e falso sono ricondotti alla connessione o intreccio delle Forme. Nella parte centrale del dialogo Platone elabora la concezione del non essere come diverso dall’essere. Tanto la realtà quanto il linguaggio che verte su di essa sono, per Platone, molteplici. Il discorso è costituito da: il nome (indica una cosa) e il verbo (indica un’azione) = è indispensabile stabilire il giusto collegamento tra nomi e verbi. Ad esempio dire “Teeteto vola” significa collage un nome e un verbo che non corrispondono ad alcuna connessione reale. Dunque “falso” non significa “non esistente”, bensì “diverso dal vero”. Vero e falso sono definiti dalla corrispondenza tra discorso e realtà. ARISTOTELE Il più grande allievo di Platone, ma anche colui che ha espresso una critica nei confronti di Platone stesso. Mentre quest’ultimo incarna la tensione verso un mondo ideale e perfetto lontano da quello fisico, Aristotele rappresenta invece la ricerca rivolta a questo mondo e trova nella natura, accessibile attraverso l’esperienza, una base sufficiente per la conoscenza. Nasce nel 384 a.C. a Stigira e poi si reca ad Atene per frequentare l’Accademia (367) fino alla morte di Platone. Successivamente torna in Macedonia dove è chiamato a corte come precettore del giovane Alessandro Magno. Torna ad Atene nel 335 per fondare una propria scuola presso il tempio di Apollo Licio (da qui il nome di Liceo). Muore nel 322 a Calcide. Gli scritti Fu autore di due tipi di scritti: - scritti acromatici, ovvero gli scritti destinati a essere letti all’interno della scuola - scritti essoterici, destinati a una circolazione più ampia esterna alla scuola Questi ultimi sono andati perduti. Classificazione sistematica degli scritti aristotelici: - scritti di logica: che costituiscono l’Organon - Scritti di fisica: filosofia naturale e biologia - Metafisica: opera in cui Aristotele parla dei principi supremi della realtà - Scritti di etica e politica - Poetica e Retorica Incerta appare anche la scelta di titoli dei trattati. Per quanto riguarda la Metafisica ad esempio, questo termine non appare mai negli scritti di Aristotele ed è probabile sia stato usato dall’editore dell’opera per indicare che a materia trattata andava oltre la fisica. Nei trattati etici Etica Nicomachea e Etica Eudemia, è probabile che i titoli indichino rispettivamente “Etica edita da Nicomaco” (figlio di Aristotele) e “Etica edita da Eudemio” (un suo discepolo). Nonostante gli scritti essoterici non siano pervenuti, ne possiamo ricostruire parzialmente il contesto a partire da citazioni di altri autori antichi. Lo studioso tedesco Jaeger (XX sec.) notò che in queste testimonianze sugli scritti essoterici vi erano molti punti in comune con la filosofia di Platone rispetto ai trattati. Elaborò quindi un’interpretazione evolutiva seconda la quale Aristotele avesse inizialmente aderito al platonismo e che se ne sarebbe poi gradualmente distaccato. Questa ipotesi è molto controversa e oggi non più accettata. Il progetto filosofico di Aristotele era quello di individuare forme diverse di sapere e ragionamento, capaci di spiegare i molteplici aspetti della nostra esperienza. Aristotele infatti rimproverava a Platone il fatto di aver ricondotto tutto il sapere umano a un unico tipo di sapere (le Idee). L’idea guida della filosofia aristotelica risiede nell’organizzazione del sapere come unità flessibile, non rigida e capace di includere la molteplicità. La critica di Platone In Aristotele coesistono il rispetto e la critica di Platone: disapprova alcune tesi centrale del suo maestro ma fa propri altri aspetti del suo pensiero. Esempi: - Entrambi ritengono che la conoscenza scientifica non possa basarsi su individui ma su nature o essenze universali che non cambiano. Tuttavia per Aristotele queste essenza non appartengono a un mondo separato da quello sensibile, ma sono aspetti stabili e universali presenti nel mondo fisico. - Entrambi ritengono che la natura sia organizzata secondo dei fini. Tuttavia mentre Platone fa risalire il fine all’azione del demiurgo, Aristotele spiega la finalità della natura attraverso i principi immanenti (principi che esistono nella natura e che ne formano la struttura interna). - In entrambi è centrale la nozione di forma (éidos), è l’essenza o sostanza di una cosa, è l’oggetto della definizione scientifica. Tuttavia mentre per Platone le forme sono soprattutto concetti morali o matematici, per Aristotele le forme sono forme di organismi naturali, sono principi interni del cambiamento naturale, il principio essenziale che esiste nei corpi. La divisione del sapere Mentre per Platone la conoscenza ha un carattere unitario (egli infatti attribuisce alla dialettica la funzione di dirigere l’insieme del sapere verso l’Idea del Bene), per Aristotele vi sono più tipi di conoscenza non assimilabili tra loro e differenti metodi di indagine. Nel VI libro della Metafisica, Aristotele propone una rigorosa divisione del sapere in 3 tipi di conoscenza: 1. Scienze teoretiche: il loro fine è la conoscenza della verità, riguardano oggetti a sé stanti che non possono essere cambiati da noi. Questi sono la fisica, la matematica e la scienza teologica. La fisica riguarda realtà a se stanti e in movimento. La matematica riguarda realtà non indipendenti e non in movimento -> la matematica infatti considera aspetti o proprietà dei corpi che possiamo isolare solo col pensiero (ad esempio il triangolo è la forma di un corpo ma non esiste in sé). La scienza teologica ha come oggetto dio, separato e immobile, e coincide con la “filosofia prima”. La scienza teologica è anche una scienza universale perché conoscendo dio conosciamo la causa prima del movimento dell’universo. 2. Scienze produttive: il loro fine è la produzione di qualcosa, ne fanno parte tutte le tecniche come l’architettura, medicina, musica, teatro e danza. 3. Scienze pratiche: il loro fine è l’azione morale. L’azione pratiche dipende da colui che sceglie di compierla ma non è volta alla produzione di qualcosa di esterno. Queste scienze sono l’etica e la politica. LA LOGICA La logica è la disciplina che studia le leggi universali del ragionamento, e solo con Aristotele diventa oggetto di studio. Perché la logica non è presente nella divisione aristotelica delle scienze? Perché la logica non è una scienza autonoma, ma studia le leggi a cui ogni scienza deve conformarsi, è lo strumento della scienza. Gli editori antichi riunirono quindi tutti gli scritti di logica all’inizio delle opere di Aristotele, dando a essi il titolo collettivo di Organon. Negli scritti di logica Aristotele non si occupa degli oggetti dei ragionamenti, ma chiarisce solo quale forma debbano avere gli argomenti per essere validi. Negli Analitici primi si distinguono tre figure (gruppi) di sillogismi, a seconda della posizione del termine medio: 1. Nella prima figura il medio è soggetto della premessa maggiore e predicato della premessa minore. 2. Nella seconda figura il medio è predicato sia nella premessa maggiore che in quella minore 3. Nella terza figura il medio è soggetto sia nella premessa maggiore che in quella minore Mentre negli Analitici primi Aristotele discute sillogismi senza occuparsi della verità delle premesse, negli Analitici Secondi prende in considerazione anche la verità delle premesse nel parlare della dimostrazione: il sillogismo usato nelle scienze. Una dimostrazione deve avere un oggetto unitario e delimitato. Similmente a Platone, le dimostrazioni riguardano essenze universali e definibili (ma non sono Idee separate dal mondo sensibile). Le premesse degli argomenti dimostrativi devono essere vere, immediate ed essere provviste di un’evidenza primaria: si tratta di assiomi (proposizioni accettate come indimostrabili). L’utilizzo degli assiomi è giustificato da Aristotele in quanto se nulla fosse di per sé dimostrato bisognerebbe procedere all’infinito, e questa non è un’opzione accettabile. Aristotele distingue due tipi di assiomi: quelli propri di ciascuna scienza e quelli comuni a tutte (fra questi vi è il principio di non contraddizione). La dimostrazione scientifica teorizzata da Aristotele causa un problema di coerenza interna alle opere aristoteliche. Negli scritti biologici infatti non troviamo sillogismi necessari ma trattazioni discorsive nelle quali si fa ricorso a osservazioni tratte dall’esperienza. Si può supporre che la scienza assiomatica sia una concezione idealizzata della scienza, il massimo modello di rigore in cui si può ordinare e sistematizzare una conoscenza che si possiede già. Altro problema: come si arriva a conoscere gli assiomi? Aristotele parla di argomenti induttivi: l’induzione è un tipo di ragionamento in cui si arriva a proporzioni universali partendo da casi particolari. Tuttavia il limite dell’induzione è che non si potranno mai esaminare tutti i casi esistenti che servirebbero a ricavare la certezza necessaria. Negli Analitici secondi quindi, Aristotele teorizza un tipo di conoscenza superiore detto intelletto o intellezione (nous): un tipo di apprensione intellettuale e non discorsiva, una specie di evidenza intellettuale infallibile e primitiva. Il sillogismo viene utilizzato anche nella dialettica. Mentre i sillogismi scientifici hanno premesse vere, i sillogismi della dialettica hanno premesse “probabili”: la dialettica infatti si occupa delle regole nelle dispute in cui sono difese posizioni diverse fra due interlocutori. Il probabile per Aristotele è ciò che appare degno di essere approvato in una disputa. Importanza della dialettica per la filosofia: la capacità di sottoporre a esame le varie posizioni aiuta a stabilire quale sia quella migliore. Ad esempio, in rapporto ai primi principi della conoscenza la dialettica consente di discutere su di essi mostrandone la necessità. LO STUDIO DELLA NATURA Secondo la classificazione aristotelica delle scienze teoretiche, la fisica si occupa degli oggetti che esistono come realtà a sé stanti e sono in movimento. Per Platone l’indagine sulla natura sensibile non può aspirare al rigore scientifico, che si ha solo nell’ambito delle Idee. Ancor prima gli eleati ritenevano che la verità si attribuisse solo all’essere immobile. Quindi grande cambiamento con Aristotele: la fisica diventa una scienza a tutti gli effetti. Aristotele apre la Fisica proprio confutando le tesi dei suoi predecessori eleati: le dottrine degli eleati riguardo ai fenomeni (ovvero ciò che appare all’esperienza) sono folli, perché distaccandosi dall’esperienza rinunciano all’unica base sicura per la conoscenza. Folle è anche chiedersi che cosa giustifichi ciò che è chiaro per esperienza: l’esistenza del movimento ad esempio non dovrebbe essere messa in dubbio ma dovrebbe essere il dato da cui partire. Con il termine movimento, Aristotele non intende solo il moto spaziale ma tutti i processi e cambiamenti che avvengono nel mondo fisico e li classifica in categorie: • Generazione e corruzione (cambiamento secondo la sostanza) • Alterazione (cambiamento secondo la qualità) • Aumento e diminuzione (cambiamento secondo la quantità) • Traslazione (cambiamento secondo il luogo) Tutto questo avviene per le realtà naturali, che hanno in sé stesse il principio del movimento. Principi del movimento Secondo Aristotele il movimento si genera a partire a contrari, ovvero privazione e forma. Movimento = passaggio dalla privazione di qualcosa al suo contrario, ossia la forma, che è quel “qualcosa di definito” di cui si era privi. La privazione non è un semplice “non essere”, ma è la mancanza di qualcosa che un oggetto può acquisire: ad esempio, l’uomo non può dirsi privo delle ali perché non è capace di acquistarle, ma può dirsi privo della scienza. Perché si passi dalla privazione alla forma c’è bisogno che ci sia qualcosa che subisce il cambiamento e permane attraverso di esso: per Aristotele la funzione di soggetto o sostrato del movimento è svolta dalla materia. Aristotele non identifica la materia attraverso specifiche “proprietà materiali” ma attraverso la funzione che svolge nelle cose. La materia è l’elemento che determina la possibilità di cambiare. Per definire il movimento, Aristotele utilizza i concetti di potenza e atto. La potenza indica la capacità di cambiare, mentre l’atto indica la meta del cambiamento. Una volta raggiunta la forma o atto a cui mirava il movimento, questo cessa di esistere = il movimento è ciò che sta tra la privazione e la forma, tra la potenza e l’atto. Per questo motivo il movimento è anche detto “atto incompleto”, perché è il processo attraverso cui l’oggetto passa dalla potenza all’atto, arrivando a quella meta. Passaggio dalla potenza all’atto presuppone l’esistenza di qualcosa già in atto da cui trae origine il processo. Il movimento è quindi caratterizzato da due “qualità”: finalità e durata. Innanzitutto è sempre diretto verso un fine, senza il quale non esisterebbe neanche il movimento (quindi per Aristotele non esiste il movimento di tipo caotico). In secondo luogo, il movimento si verifica sempre durante un tempo e implica una durata: si tratta di un processo ordinato con un prima e un dopo. Cause del movimento Per Aristotele la causa non è ciò che produce qualcosa, bensì ciò che lo spiega (il perché) Causa = spiegazione, ragione esplicativa. Più tipi di cause: • Causa materiale: ciò di cui la cosa è fatta, che permane come un soggetto del cambiamento • Causa formale: l’essenza della cosa, che si realizza con l’atto • Causa motrice: l’origine del movimento in questione • Causa finale: lo scopo verso cui è rivolto il processo di cambiamento Questo schema vale sia per gli enti tecnici/artistici sia per gli enti naturali; nel caso delle realtà naturali però, la forma assolve più funzioni causali ed è tanto causa formale (forma come natura essenziale di un organismo) quanto causa finale (generazione e sviluppo hanno come fine la costituzione dell’organismo). Aristotele ha una concezione finalistica (o teleologica) della natura: per lui tutto in natura ha uno scopo. Tuttavia questa concezione incontra delle obiezioni: se tutto in natura obbedisse a delle regole prestabilite, come spiegare l’esistenza dell’imperfezione in natura? Inoltre, vi sono eventi in natura che sembrano doversi condurre al caso. Aristotele sa bene che la regolarità della natura non è assoluta, ma le eccezioni hanno valore marginale. La finalità della natura poi, non dipende da un dio provvidente (come il demiurgo), ma è interna alla natura stessa e coincide con la struttura del mondo = finalismo intrinseco della natura. Ma Aristotele esclude quindi l’esistenza di un dio? Non proprio. Aristotele afferma l’esistenza di un principio primo immobile e immateriale che determina l’origine del movimento: se il principio primo fosse mobile, avrebbe a sua volta bisogno di un principio superiore). Il cosmo Il cosmo aristotelico è l’universo che comprende tutto ciò che esiste in natura. E’ limitato e sferico, con al centro la Terra. Tutto ciò che si trova al di sotto della Luna corrisponde al mondo sublunare, dove tutto ciò che esiste deriva dai quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) ciascuno dei quali ha due qualità percepibili e capaci di trasformarsi l’uno nell’altro. Anche il movimento degli elementi è improntato a una visione finalistica: ciascun elemento ha una sfera naturale alla quale tende a tornare con un moto rettilineo. Gli astri dalla Luna in su sono composti dall’etere, un particolare elemento perfetto e brillante incapace di alterarsi e corrompersi. Gli astri si muovono di moto circolare intorno alla Terra e la regolarità dei movimenti astrali è necessariamente perfetta. Gli astri sono trasportati da sfere trasparenti concentriche, e la sfera più esterna è quella delle stelle fisse al di fuori delle quali c’è solo il primo principio immobile (dio). Non vi è alcun luogo al di fuori del cosmo, perché secondo Aristotele un luogo presuppone l’esistenza di un corpo che ne contiene un altro (come un vaso con l’acqua). Il cosmo è anche perfettamente pieno (il vuoto comprometterebbe l’esistenza del movimento rendendolo disordinato), continuo ed eterno: non è generato e non si corrompe. Alterazione e corruzione nel mondo sublunare riguardano solo gli individui, non le specie eterne. L’anima: natura e conoscenza L’anima è il principio che spiega la proprietà fondamentale degli organismi, ossia la vita. Mentre per Platone l’anima è una sostanza a sé stante con una vita superiore rispetto a quella fisica, per Aristotele l’identificazione dell’anima con il principio di vita negli organismi sopprime la questione stessa dell’immortalità dell’anima: morto il corpo, anima scompare. L’anima sta al corpo come la forma sta alla materia: l’anima è la forma del corpo. Per Aristotele le sostanze naturali possiedono sempre un’organizzazione finalistica = per questo motivo l’anima è definita attualità o perfezione (entelécheia) -> perché è atto del corpo che ha la vita in potenza ed è perfezione a cui è diretto tutto lo sviluppo dell’organismo. Aristotele individua 3 funzioni dell’anima: • Nutrimento, a cui sono sono associati crescita e riproduzione -> anima vegetativa o nutritiva • Percezione e locomozione -> anima percettiva • Pensiero, proprio dell’uomo -> anima intellettuale Non bisogna a questi tipi come separati perché l’anima è sempre un principio unitario, anche se la sua complessità può essere maggiore o minore. Percezione: La percezione avviene attraverso due processi, quello fisico/corporeo e quello formale/ immateriale. Nel processo fisico, alla percezione di qualcosa avviene un cambiamento fisico (ad esempio un cambiamento nel mio occhio alla visione di un determinato colore); Successivamente al cambiamento corporeo si associa un cambiamento formale, ovvero un processo in base a cui l’anima percettiva esercita la sua funzione e riceve in sé la forma dell’oggetto percepito. Il motore immobile Abbiamo visto che la filosofia prima è la scienza teoretica più importante in quanto si occupa di dio (scienza teologica) = contrasto fra due concezioni della metafisica: Da un lato scienza universale dell’essere, dall’altro scienza di un oggetto ben definito che è dio. Per questo la tradizione successiva dividerà metafisica generale (essere) da metafisica speciale (dio). Tuttavia in Aristotele non sembra esserci alcun contrasto, perché? La sapienza si occupa dei principi e cause di tutta la realtà = prima ipotesi è che dio sia la causa di tutto, ma Aristotele nega: Dio NON è una causa formale o essenza delle cose. Non esistono principi universali ma ogni ente ha la sua essenza. Allo stesso tempo dio è causa del fenomeno naturale fondamentale, il movimento, ed è per questo chiamato “primo motore immobile”. Dio muove come l’oggetto d’amore attrae l’amante, ed è dunque causa finale del movimento del cosmo. Dio è puro atto, privo di materia. La sua attività è quella più perfetta, il pensiero (nous). Dio non può pensare a niente fuori di sé perché penserebbe a oggetti inferiori = Dio pensa sé stesso. Dio quindi non è causa formale di nulla, ma esemplifica in modo perfetto i caratteri propri di ciascun organismo vivente: è in atto ed è vita. I SAPERI PRATICI Scienze pratiche (etica e politica) e scienze produttive (poetica e retorica) sono tutte trattazioni che riguardano gli uomini, la loro educazione, la loro vita individuale e associata. Essendo materie che riguardano la vita dell’uomo, saranno per definizione imprecise e soggette a variazione. Aristotele sembra considerare l’etica come parte della politica: vigeva infatti la concezione per cui il vero politico è capace di rendere virtuosi i cittadini e deve quindi possedere competenze etico-morali. Per quanto riguarda poetica e retorica, sono precise tecniche che hanno nella città il loro campo di applicazione. La morale L’etica è un concetto fondamentale sia per Platone che per Aristotele: ma mentre per il primo la morale è al centro della filosofia e anche la dottrina delle Idee ha una chiara finalità etica; per Aristotele vi è una distinzione tra etica e conoscenza speculativa in quanto l’etica è rivolta alla condotta pratica e ha come scopo l’azione. L’oggetto dell’etica è l’azione degli uomini e la formazione del loro carattere = materia priva di stabilità. Il metodo dell’etica ha quindi carattere fallibile. Sia per Platone che per Aristotele al centro della ricerca etica c’è il concetto di bene: Aristotele però critica l’idea platonica dell’Idea del Bene in quanto separa il bene totalmente dalla vita umana. La definizione di bene aristotelica consiste nella felicità, fine ultimo delle azioni pratiche: il significato di felicità è quello di “vivere bene” e “autorealizzazione”, significa dunque dirigere le nostre azioni verso il fine con il quale identifichiamo la buona riuscita delle nostre azioni. Ma come si intende correttamente la felicità? Con l’esercizio della virtù, ovvero l’eccellenza nello svolgere la funzione che ci caratterizza, in particolare per l’uomo l’esercizio eccellente della ragione. Le virtù etiche L’anima dell’uomo aristotelico possiede anche una funzione desiderativa che partecipa della ragione: le virtù della parte desiderativa dell’anima sono chiamate virtù etiche. La virtù etica è uno stato o condizione durevole che coincide con la via di mezzo tra due eccessi (ad esempio la generosità è la via di mezzo fra avarizia e prodigalità). Tra le virtù etiche la principale è la giustizia, che ha due accezioni: • Significato generale: giustizia coincide con la virtù, ed è ciò che è conforme alla legge. • Seconda accezione divisa in: - giustizia distributiva: distribuzione dei beni in relazione al valore di ciascuno - giustizia correttiva: uguaglianza tra persona quando una ha fatto un torto all’altra Ma come si fa ad adottare comportamenti virtuosi? Per Aristotele la conoscenza del bene è insufficiente rispetto all’acquisizione della virtù, è possibile infatti conoscere il bene ma non saperlo mettere in pratica per debolezza di carattere. L’acquisizione della virtù si avrà allora attraverso l’esercizio e l’abitudine sotto impulso della famiglia e della città a cui si appartiene. La virtù aristotelica non è per tutti, ma è indirizzata ai cittadini maschi, adulti e liberi. Le virtù proprie della parte razionale dell’anima sono detto virtù dianoetiche, e si dividono in: • Sapienza: se la ragione è applicata alla conoscenza di realtà necessarie, di stampo prettamente teoretico. E’ quindi la contemplazione intellettuale (conoscenza invariabile). • Prudenza: se la ragione è applicata alla conoscenza di realtà contingenti, comportamenti pratici. La prudenza è quindi la virtù razionale in base a cui l’anima decide che cosa fare nelle singole situazioni della vita (conoscenza variabile) Nell’ambito della filosofia morale, ruolo importante è attribuito alla philia, tradotto come “amicizia” ma in realtà inteso come un’ampia gamma di fenomeni che riguardano le relazioni sociali. Aristotele vuole dimostrare la stretta connessione fra amicizia e virtù: solo una persona virtuosa può intrattenere relazioni positive e fruttuose con gli altri. Se due persone sono ugualmente virtuose, la loro amicizia è perfetta. Anche la philia intesa come amore di sé è legittimata e giustificata, purché si esprima in modo conforme a virtù e non nella semplice volontà di acquisire beni esteriori come ricchezza e potere. Piacere e conoscenza Aristotele distingue tre tipi di vita: una dedicata al piacere, una alla politica e una alla conoscenza. Il piacere è valutato positivamente da Aristotele, il quale concede che gli svaghi siano desiderabili e possano essere considerati come fine delle nostre azioni = una vita felice deve includere il piacere. Ovviamente nega il valore di una vita rivolta solo al piacere fisico, che non può essere il fine ultimo a cui tendiamo. Cos’è il piacere? Per Aristotele il piacere è un’attività completa in sé stessa, in quanto non è un processo o un movimento ma ha il fine in sé stessa e accompagna altre attività. Queste considerazioni portano Aristotele a sostenere che la vita dedicata alla conoscenza, intesa come contemplazione (theoria) è la più felice di tutte. Questa è la vita di chi ha già acquisito la sapienza teoretica e dei principi del mondo e ora può vivere nella loro piena contemplazione: Aristotele paragona questa vita alla vita di dio. Noi siamo simili a dio nell’esercizio della conoscenza. L’Etica si chiude quindi con la rivendicazione della superiorità di una vita completamente dedicata alla pura conoscenza. La politica In accordo con Platone, anche Aristotele ritiene che la vita associata rispecchi la natura dell’uomo: l’uomo è un “animale politico” e per natura si associa ai suoi simili. Ma mentre per Platone la “natura” è ricavata da una norma ideale non basata sull’esperienza, per Aristotele la natura coincide con i comportamenti e le istituzioni che regolano la vita associata. La famiglia è la prima forma di aggregazione, ed è composta da capofamiglia, donna, figli e schiavi. Questa forma di comunità è destinata alla sussistenza e alla sopravvivenza. Donne e schiavi sono estromessi dalla polis, la forma di associazione più complessa. Alla polis appartengono in senso vero e proprio sono i cittadini maschi adulti, provvisti di razionalità politica. Tesi centrale della filosofia politica aristotelica: la polis esiste per natura. Aristotele distingue poi tre forme di governo, descritte dalla coppia costituzione- corrispondente degenerazione: • Governo di uno: la monarchia, che degenera nella tirannide • Governo di pochi: aristocrazia, che degenera nell’oligarchia • Governo di molti: la politéia, che degenera nella democrazia In condizioni normali la forma migliore di governo è la politéia: tuttavia le cariche sono di fatto detenute dai migliori, per posizioni sociale e doti -> quindi serve un compromesso: La forma migliore di governo è quella controllata da una numerosa classe media, che si configura come il giusto mezzo tra gli estremi dell’oligarchia e della democrazia. Nel configurare la forma di governo perfetta, Aristotele riprende la concezione della giustizia distributiva, in questo caso la corretta assegnazione dei pieni diritti a coloro che contribuiscono pienamente alla comunità politica: i cittadini provvisti di virtù, proprietà e libertà. Teorizza poi la forma di governo perfetta: quella in cui ogni cittadino possiede la virtù morale e sia in grado di realizzarla nella pratica, quindi raggiungere la completa felicità. In una simile comunità politica tutti i cittadini parteciperebbero all’amministrazione della città. L’ETÀ ELLENISTICA Ellenismo: epoca compresa fra la morte di Alessandro Magno e Aristotele (323 a.C.) e la conquista romana del Medio Oriente e l’inizio dell’Impero di Augusto (30 a.C.). In questa fase le città greche sono soppiantate dalle grandi capitali come Alessandria, Pergamo e Antiochia; fa eccezione Atene che permane il fulcro del pensiero filosofico. Il popolo, asservito alle grandi monarchie, non trova più spazio di partecipazione politica e democratica = la filosofia ne risente e si concentra sempre di più sulla saggezza individuale, intesa come la capacità di condurre un’esistenza il più possibile serena. Il termine “ellenismo” indicava la diffusione della cultura e della lingua greca in Oriente. I regni ellenistici gareggiavano con la Grecia nello sfarzo e nella cultura: il caso più famoso fu quello di Alessandria che diventò uno straordinario centro di cultura grazie all’impulso della dinastia dei Tolemei. Nel IV secolo a.C. l’Accademia e il Liceo erano stati grandi centro filosofici e scientifici: durante l’ellenismo la filosofia rimase ad Atene, mentre la scienza si trasferì ad Alessandria. Ad Atene sorsero nuove scuole filosofiche: il Giardino (fondato da Epicuro nel 306 a.C.) e la Stoà (fondata da Zenone di Cizio pochi anni dopo). Il Liceo perse importanza, l’Accademia rimase un vivace centro intellettuale ma non trattava più di matematica e politica; l’Accademia ellenistica produsse molte argomentazioni di tipo scettico rivolte principalmente contro gli stoici. Stoici ed epicurei furono i veri protagonisti dei dibattiti filosofici ellenistici: sebbene due filosofie molto diverse, hanno dei punti in comune: - contestano gli assunti generali tipici del pensiero di Platone e Aristotele: il concetto di forma o essenza è soppiantato dalla teoria della conoscenza ellenistica, tutta basata sulla sensazione. - Riconoscono l’esistenza della divinità, ma ne fanno qualcosa di corporeo - Si confrontano con le obiezioni scettiche sulla possibilità della conoscenza L’aspetto più importante del nuovo clima filosofico è che tutta la riflessione sia finalizzata all’etica. È tipica delle scuole ellenistiche l’idea che la filosofia sia tutta rivolta al raggiungimento del fine della morale, ossia la liberazione dal turbamento, dalla paura, dalle sofferenze. LA SCIENZA NELL’ETÀ ELLENISTICA Nell’età ellenistica si assiste a un grande progresso nelle scienze matematiche. Proprio all’inizio di questo periodo si situa l’attività del matematico più famoso: EUCLIDE. Euclide era attivo ad Alessandria nella prima metà del III sec. a.C. Il suo testo capitale sono gli Elementi, il fondamento delle matematiche in Occidente: questo testo aveva l’intento di fornire un’esposizione comprensiva e sistematica del sapere in un certo ambito ed era diviso in 13 libri. filosofia è rivolto a tutti, non a una selezione delle nature filosofiche come Platone o all’uomo aristocratico di Aristotele. Scritti: - tre compendi in forma di lettere; uno dedicato alla fisica (Lettera a Erodoto), uno alle spiegazione dei fenomeni celesti (Lettera a Pitocle) e uno alla morale (Lettera a Meneceo) - Una raccolta di Sentenze dal carattere morale - Il trattato Sulla natura, in 37 libri Conoscenza e sensazione Nella filosofia di Epicuro c’è un’interessante dottrina della conoscenza detta canonica, ed è infatti esposta in un’opera chiamata Canone. In quest’opera egli cercava di individuare il criterio di verità, ovvero un’unità di misura in base a cui si può essere sicuri di quel che si conosce. Ammette tre criteri: sensazioni o percezioni, prolessi, passioni. 1) mentre per Platone e Aristotele la sensazione offre una conoscenza solo parziale e ingannatori, Epicuro afferma che è proprio la sensazione il principale criterio e che tutte le sensazioni sono vere. Questa affermazione è ricavata dal modo in cui Epicuro spiega la percezione: essa è causata dai simulacri (eidola), sottilissime immagini le quali continuamente si staccano dagli oggetti. I simulacri hanno in origine la stessa conformazione atomica degli oggetti. La percezione registra l’urto dei simulacri con gli organi di senso. 2) La prolessi (pre-comprensione) consiste in un concetto generale grazie a cui classifichiamo i dati della percezione, anticipandone il contenuto, e si forma attraverso la ripetizione delle percezioni e il loro accumulo nella memoria. 3) Le passioni principali, dolore e piacere, sono criteri fondamentali per decidere ciò che va seguito e ciò che va evitato. La fisica atomistica Il centro della riflessione di Epicuro è la fisica. La fisica non è per Epicuro una disciplina fine a se stessa ma il suo studio è rivolto all’etica: è proprio la fisica (in base alla concezione della natura) a fornire le basi per la morale. L’opera che si occupava di questo, il trattato Sulla natura, è andato perduto ma ne abbiamo una fonte in Lucrezio. Nella sua dottrina, Epicuro si inspira sicuramente a Democrito e l’impostazione stessa della fisica epicurea è, per così dire, arcaica. Nella Lettera a Erodoto sono esposti i principi in base a cui è costituito il mondo ed è evidente la somiglianza con le posizioni degli eleati: niente nasce da ciò che non è, niente di distrugge in ciò che non è. Il tutto è un mondo immutabile che rimane identico a sé stesso ed è formato da una pluralità di corpi. I corpi si muovono nel vuoto: il vuoto è una una natura non tangibile che però esiste e permette il movimento dei corpi. Come sono fatti i corpi? Alla base di tutto ci sono corpi indivisibili, gli atomi, che formano le cose attraverso processi di aggregazione e separazione, che noi identifichiamo con generazione e corruzione. Atomi e vuoto sono eterni. Gli atomi hanno proprietà di tipo quantitativo: forma, grandezza e peso. Abbiamo detto che l’atomo è indivisibile. Tuttavia Aristotele nella Fisica aveva detto che ciò che non è divisibile ed è privo di estensione non si può muovere = Epicuro per non ricevere possibili attacchi ammette che gli atomi, pur essendo indivisibili, abbiano comunque delle parti: i “minimi”, unità di misura degli atomi. La disposizione dei minimi fa sì che l’atomo abbia una certa forma e peso. La presenza di minimi garantisce che l’atomo possa muoversi. Gli atomi si muovono per caduta nel vuoto: da qui deriva l’importanza del peso degli atomi nella sua dottrina. Esistono altri tipi di movimento che sono l’urto e il rimbalzo: si potrebbe pensare che gli atomi, avendo peso diverso, si urtano cadendo in base a chi va più veloce e chi più lento MA non è esatto, infatti cadendo nel vuoto gli atomi hanno tutti la stessa velocità. Quindi Epicuro aggiunge un terzo tipo di movimento, declinazione o clinamen: movimento che porta gli atomi in caduta a compiere della deviazioni che non dipendono da nessun nesso causale e che porta gli atomi a incontrarsi fra loro = aspetto di spontaneità o indeterminazione. Questo movimento spontaneo rende inoltre possibile la libertà delle decisioni dell’uomo. Nel cosmo di Epicuro tutto è fatto di atomi, anche l’anima = l’anima è destinata a disgregarsi insieme al corpo e cessa di esistere con la morte. Questa concezione materialista è lontanissima dal pensiero di Platone e anche di Aristotele, il quale riteneva l’intelletto agente una sostanza immortale. Per Epicuro anche la libertà dell’uomo dipende da cause fisiche e materiali. Essendoci infiniti atomi ci saranno di conseguenza infiniti mondi da essi formati. La stessa generazione dei mondi non avviene per intervento divino ma per ragioni fisiche legate al movimento degli atomi = si ha un mondo infinito dove l’uomo non ha nessun posto privilegiato e nel quale gli dei non intervengono con un disegno finalistico. Tuttavia, non è vero che Epicuro era un filosofo ateo: per lui esistono gli dèi ma non intervengono nelle vicende del mondo -> gli dèi sono aggregati atomici particolari che non si disgregano né muoiono + si trovano negli spazi tra un cosmo e un’altro (intermundia). Loro sono modelli di saggezza morale. L’etica del piacere Il fine della filosofia epicurea è raggiungere la felicità, che consiste nella liberazione dal dolore e dal turbamento, quindi nel seguire le passioni basilari: fuggire il dolore, seguire il piacere. Nella Lettera a Meneceo Epicuro dice che “consideriamo un gran bene l’indipendenza dai desideri […] quando diciamo che il piacere è un bene non intendiamo i piaceri dei dissoluti, ma il non aver dolore nel corpo né turbamento nell’anima”. Cosa intende per piacere? Bisogna distinguere il vero piacere da quelli falsi (quelli dei sensi), e bisogna soddisfare solo i piacere naturali e necessari, che liberano dai dolori del corpo e dell’anima. La felicità è assenza di dolore nel corpo (aponia) e assenza di turbamento nell’anima (atarassia). Il piacere epicureo è catastematico = durevole, stabile e compiuto in sé stesso -> la formula oraziana “carpe diem” esprime proprio la consapevolezza che il piacere è completo nell’istante in cui è raggiunto e non può essere accresciuto, questo è il limite massimo del piacere. Sono proprio i principi della fisica epicurea che liberano l’uomo dalle paure più forti che tormentano la vita: gli dèi e la morte. Gli dèi come abbiamo visto sono imperturbabili e non intervengono; la morte non è altro che dissoluzione del composto atomico. = chi vivrà con questa consapevolezza, vivrà “come un dio tra gli uomini”. Nella dottrina epicurea non trova posto l’impegno politico: la comunità infatti aspirava a una vita imperturbabile nella cerchia degli amici (“vivi nascosto”). LO STOICISMO La scuola stoica fu fondata attorno al 300 a.C. dal filosofo Zenone di Cizio: Stoà vuol dire ‘portico’, infatti era situata in un portico presso l’Agorà di Atene. A Zenone seguirono Cleante e Crisippo di Soli. Lo stoicismo fu una corrente molto influente che continuò a esistere come corrente filosofica anche dopo la chiusura della Stoà, tanto che anche l’imperatore Marco Aurelio vi aderì. Se Epicuro si rifà a Democrito, gli stoici si rifanno a Eraclito: da lui mutuano il concetto del logos (che per gli stoici è la divinità che regola ogni cosa dall’interno) e del fuoco (principio divino). Come la filosofia epicurea, quella stoica è materialistica o corporalistica: tutto ciò che esiste, per gli stoici, è un corpo (inclusa la divinità). L’universo degli stoici è una totalità organizzata e coesa per operare di un principio divino che si trova in ogni cosa e regola tutto in modo finalistico. Etica stoica è fondata sul rigore e sulla virtù. Inoltre gli stoici predicano l’importanza dell’impegno politico. La logica Come gli epicurei, gli storici ritenevano che la filosofia avesse 3 parti: logica, fisica e etica. La saggezza era definita “scienza delle cose divine e umane”, in cui “scienza” era intesa come una condizione perfettamente sicura e infallibile di padronanza sull’oggetto del sapere. La filosofia è quindi una scienza perfetta che ci permette di acquisire la virtù. Alla base di tutto c’è il logos, cioè la ragione divina che regola l’universo dall’interno. Anche gli stoici si confrontano con il criterio di verità e anche loro riconoscono l’importanza basilare della sensazione. Fondamento di tutto sono le impressioni che subiamo: tutto ciò che si conosce proviene dall’esterno. Queste impressioni sono dette rappresentazioni e spetta a noi accogliere o meno una rappresentazione come vera o falso (e quindi prenderla come credenza o meno). Solo la rappresentazione catalettica è garanzia di verità: è un tipo di rappresentazione che riproduce tutti i caratteri dell’oggetto da cui proviene e permette al soggetto di ottenere un’esatta conoscenza della realtà esistente. Il logos è un nesso di conoscenze. A studiare questi nessi è la logica o dialettica, definita come “la scienza di ciò che è vero, di già che è falso e di ciò che non è né vero né falso”. Per gli stoici, a differenza di Aristotele, la logica è una scienza a tutti gli effetti: è la scienza dei nessi che regolano la ragione e lo stesso universo. Mentre la logica di Aristotele è una logica di termini, quella degli stoici è una “logica proposizionale” ovvero che studia le relazioni tra proposizioni. L’unità base è la proposizione, che si analizza secondo un soggetto e un predicato. Esempi di sillogismi stoici sono gli “indimostrabili”. Ma qual’è l’oggetto studiato dalla logica? Abbiamo detto che è “ciò che vero e ciò che è falso” ma a cosa si riferisce? Le cose non sono vere o false, ma reali o non reali; i nostri discorsi non sono veri o falsi, ma il significato è ciò che propriamente può essere vero o falso. Gli stoici denominavano i significati “dicibili”: sono incorporei, delle entità astratte. La fisica e il cosmo Il mondo stoico, a differenza di quello epicureo, è una totalità limitata e ordinata da un principio divino corporeo interno ad ogni cosa, il logos, tramite un ferreo legame finalistico. Per questo motivo il cosmo è un essere vivente, razionale, animato. Gli stoici definiscono il corpo in modo particolare: ciò che è corporeo capace di agire e patire. 20/11/23, 12:44Lo Stoicismo Page 20 of 52https://stefanomilizia.altervista.org/stoicismo/stoicismo.html#20 I ra ionamenti Gli indimostrabili secondo Crisippo I nomi latini presenti nella tabella sono stati assegnati agli indimostrabili in epoca medievale 20/52 I neoplatonici inoltre rivolgono una forte attenzione alle pratiche religiose: essi furono gli ultimi filosofi pagani. La religiosità di Plotino è di tipo razionale, mentre quelle dei suoi successori furono già rivolte a culti e pratiche teurgiche. Neoplatonici e cristiani furono sicuramente gruppi avversi, come è evidente da vari conflitti, tuttavia fu proprio il neoplatonismo a fornire ai cristiani gli strumenti filosofici e concettuali che essi usarono per elaborare la loro teologia. La filosofia di Plotino Come era solito alla sua epoca, il pensiero di Plotino si presenta come un’interpretazione di Platone: tuttavia è l’esempio che anche l’esegesi poteva essere profondamente innovativa. La teoria più interessante è quella che riguarda la dottrina delle cause: per Platone le Idee sono le cause autentiche, presupposti per spiegare i fenomeni corporei. Aristotele lo aveva criticato dicendo che le Idee erano un inutile doppione delle realtà sensibili e che creavano solo un altro mondo parallelo al sensibile. Plotino a sua volta critica Aristotele: secondo lui ammettere cause di tipo platonico, ossia esterne al mondo sensibile, è necessario per comprendere la realtà -> da sole le realtà corporee non possono essere spiegate. L’anima come concepita da Aristotele (concepita come struttura che organizza il corpo, principio di vita) finisce per ridursi a un aspetto dei corpi, e perde dunque la sua funzione di principio di vita. Plotino è consapevole delle critiche mosse contro Platone, soprattutto nei confronti delle Idee: queste critiche partivano dal presupposto che le Idee fossero ‘cose’ esattamente come gli oggetti che ne partecipano. Plotino quindi ammette l’esistenza di cause platoniche, separate dal mondo sensibile, ma che devono essere del tutto diverse dalle realtà che dipendono da esse. Da qui deriva la sua tesi più famosa: all’origine di ogni cosa, anche del mondo delle Idee, si trova l’Uno: un principio assolutamente semplice che genera tutto, proprio perché non è niente di ciò che deriva da esso. L’Uno è superiore all’essere; è indicibile, poiché di esso non si può affermare nessun contenuto in termini positivi ma solo dire ciò che non è (teologia negativa). Plotino identifica l’Uno con il Bene (idea ripresa dalla definizione platonica di “idea del Bene al di là dell’essenza): ovviamente dicendo che l’Uno è il Bene non stiamo definendo l’Uno in sé ma ciò che l’Uno è per noi. L’Uno non ha pensiero né coscienza di sé. Come spiegare il processo di generazione dall’Uno? Plotino usa il termine derivazione: dalla natura stessa dei principi procede ciò che dipende da essi. Essi non possono non generare. É quindi una generazione non per atto volontario, ma per la stessa natura dell’Uno. Per spiegare questo processo Plotino usa l’analogia della luce che si propaga. Le tre ipostasi L’Uno è caratterizzato come la prima ipostasi nella filosofia di Plotino, ossia il primo dei principi metafisici che compongono la realtà. Vi sono altre due ipostasi: Intelletto e Anima. Insieme sono dette le tre ipostasi, tre gradi diversi di unità e molteplicità. Dall’Uno si genera l’Intelletto (o Nous, o Essere) che non è più solo “uno” ma “uno-molti” perché contiene in sé, perfettamente unificata, la molteplicità delle Idee. Dall’Intelletto si genera l’Anima, detta “uno e molti”, che genera i corpi dando forma alla materia. Plotino presenta questi tre principi come se corrispondessero alle prime tre ipotesi sull’Uno formulate nella seconda parte del Parmenide di Platone: 1. L'uno in sé. Se l'uno è uno, non ammetterà nessuna forma pluralità, sia essa interna o esterna. L'uno quindi non è composto di parti, non è in nessun luogo, e non è né in movimento né in quiete, ed è esterno al tempo. Tuttavia in questo modo, nessun altro ente potrà esistere all'infuori dell'uno, nemmeno l'essere stesso. Ma non esistendo l'essere, nemmeno l'uno sarà (137c4-142a8). 2. L'uno in rapporto agli altri dall'uno. Se l'uno è, dovrà partecipare dell'essere. Ma non coincidendo, l'uno e l'essere costituiranno due parti di un tutto, e per renderli fra loro diversi, si dovrà introdurre anche il diverso. Viene introdotto il due, e di conseguenza anche il numero. Pertanto l'uno non è uno, ma un insieme di parti: l'uno contiene in sé la molteplicità (142b1-157b5). 3. Gli altri dall'uno in rapporto all'uno. Se l'uno è, gli altri dall'uno, in quanto ad esso partecipi, cioè in quanto parti del Tutto, si troveranno ad essere allo stesso tempo infiniti (in quanto molteplici) e limitati (in quanto parti). Essi cioè saranno un insieme molteplice composto di unità, trovandosi ad essere tra di loro simili e dissimili (157b6-159b1). Importante il concetto di “vita” riguardo le ipostasi: La vita dell’Intelletto è situata nell’eternità, fuori del tempo e della durata. La vita dell’Anima è associata al tempo e alla transizione, infatti il pensiero dell’Anima implica il passaggio da un contenuto all’altro. L’Anima include molteplici livelli: in primo luogo si ha l’Anima-ipostasi, ossia il principio universale che deriva dall’intelletto. In secondo luogo ci sono le anime individuali che si prendono cura dei corpi (li formano e li governano), e, poiché il cosmo nel suo insieme è un individuo, il grado più elevato di anima individuale è l’anima cosmica: tutti i corpi hanno vita in virtù dell’anima cosmica. Il mondo dei corpi si genera quando l’anima introduce le forme nella materia. La materia è per Plotino l’ultimo livello di derivazione: informe, inerte, indeterminata e indeterminabile -> si identifica con la completa privazione dell’essere ed è concepita come “male in sé”, essenza del male. Concezione dell’uomo Nella filosofia di Plotino l’uomo ha una condizione duplice: il corpo lo lega al mondo sensibile e materiale; l’anima lo collega al mondo intellegibile. Anche nei dialoghi platonici si affermava un’affinità tra anima umana e cosmo intellegibile, ma Plotino non si limita a questo e afferma che si devono porre due livelli distinti nell’anima: Il livello più basso è quello dell’anima discesa nel corpo. Tuttavia l’anima di ciascuno non è discesa nella sua interezza nel corpo, ma qualcosa di essa non abbandona mai l’Intelletto e condivide il suo tipo perfetto di conoscenza. Questa parte è in perenne contemplazione delle forme intellegibili. Attraverso la filosofia e l’ascesa intellettuale, l’anima umana può ricongiungersi anche quaggiù alla sua parte superiore e condividerne l’attività: l’uomo può quindi “diventare dio” e riattivare la sua conoscenza intellettuale superiore di cui non è solito consapevole. Vi è un livello ancora superiore a questo: l’esperienza diretta dell’Uno, a cui l’anima può attingere sono in un’estasi superiore al pensiero. L’estasi mistica è quindi l’esito estremo dell’intellettualismo di Plotino: tutto ciò che esiste deve essere conosciuto col l’intelletto, ma essere e conoscenza rimandano a un principio più alto che non può essere colto se non superando il pensiero.
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