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Riassunto Diritto amministrativo 2 Marcello Clarich , Sbobinature di Diritto Processuale Amministrativo

Riassunto completo del manuale “Giustizia amministrativa“, diviso in capitoli e paragrafi cosi come nel libro. Discorsivo e comprensivo di tutto compresi esempi. Testati con ottimi risultati.

Tipologia: Sbobinature

2023/2024

In vendita dal 26/10/2023

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Scarica Riassunto Diritto amministrativo 2 Marcello Clarich e più Sbobinature in PDF di Diritto Processuale Amministrativo solo su Docsity! MANUALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA (Marcello Clarich Anno 2021) PREMESSA Con la codificazione, il processo amministrativo si emancipa da una situazione di minorità rispetto al processo civile. Dottrina e giurisprudenza amministrativa hanno la possibilità di costruire modelli più perfezionati di tutela del cittadino nelle controversie instaurate contro la pubblica amministrazione. Il codice, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010 numero 104, in continuità con un'evoluzione ultra secolare, razionalizza molte novità legislative e giurisprudenziali dell'ultimo ventennio. All'evoluzione del diritto amministrativo sostanziale, dovuta soprattutto alla legge 7 agosto 1990 numero 241 sul procedimento amministrativo, doveva seguire un adattamento delle forme di tutela e degli istituti processuali, che sono infatti racchiusi nel codice. Il manuale si propone di esporre le linee generali del sistema della giustizia amministrativa. le chiavi di lettura principali saranno l'autonomia del diritto processuale dal diritto sostanziale, la concezione soggettiva della tutela nonché il principio di effettività della tutela. CAPITOLO 1 DALLE ORIGINI AL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E STATO DI DIRITTO La giustizia amministrativa può essere definita come l'insieme dei rimedi giurisdizionali e non giurisdizionali che possono essere esperiti dai soggetti titolari di diritti soggettivi o di interessi legittimi lesi da atti o da comportamenti della pubblica amministrazione. In Italia la giustizia amministrativa si è sviluppata in modo empirico e graduale, grazie all'opera del legislatore e della giurisprudenza che hanno accresciuto il livello di tutela del cittadino nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione. Vi è una linea di continuità che lega le origini della giustizia amministrativa agli sviluppi più recenti, culminati nella codificazione della disciplina del processo amministrativo. Bisogna pertanto partire dalla affermazione dello stato di diritto in Europa e nel mondo occidentale a partire dal XVIII secolo. Pagina di 1 114 Lo stato di diritto - assieme ai principi di dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani - è uno dei principi fondanti dell'Unione Europea e si regge su alcuni elementi strutturali: 1. presuppone il trasferimento della titolarità della sovranità da Rex legibus solutus a un parlamento eletto da un corpo elettorale; 2. si fonda sul principio della separazione dei poteri, necessaria per rompere il monopolio del potere in capo al sovrano assoluto, unita alla previsione di un sistema o divise e contrappesi, volti ad evitare abusi a danno dei cittadini, cui sono riconosciuti e garantiti i diritti fondamentali. Il principio della separazione dei poteri è inoltre alla base di numerose regole processuali finalizzate ad evitare che le pronunce del giudice ordinario o del giudice amministrativo costituiscano un’ingerenza indebita nel potere amministrativo; 3. lo stato di diritto si basa Inoltre sull'inserimento nelle costituzioni di riserve di legge, che escludono (riserva di legge assoluta) o limitano (riserva di leggere relativa) il potere normativo del governo. Anche i poteri dell'amministrazione - quali provvedimenti che incidono su diritti dei cittadini -devono trovare un fondamento nella legge; 4. perché siano effettive la sottoposizione del potere esecutivo alla legge e la garanzia dei diritti di libertà, è necessario, inoltre, che al cittadino sia data la possibilità di ottenere la tutela delle proprie ragioni innanzi a un giudice imparziale e indipendente dal potere esecutivo. quest'ultimo elemento può essere visto come una forma di saldatura di tutti gli altri elementi: dal momento che l'ordinamento prevede rimedi volti a prevenire e contrastare l'illegittimità, i principi di sottoposizione del governo e degli apparati da esso dipendenti, alla signoria della legge e del diritto non restano una mera affermazione di principio. la previsione inoltre di una tutela piena e tempestiva delle ragioni dei soggetti privati, nonché la garanzia della certezza del diritto, costituiscono oggi un fattore di competitività, di attrattività degli investimenti e di crescita economica degli Stati. La giustizia amministrativa è organizzata in organici dei magistrati e di personale amministrativo, distribuzione dei carichi di lavoro tra collegi giudicanti e, all'interno di questi, tra singoli magistrati, informatizzazione degli uffici e degli adempimenti processuali, governo del personale e disciplina delle carriere, assegnazione di risorse per le spese di funzionamento. la dimensione organizzativa condiziona la capacità della Giustizia di offrire risposte adeguate alla domanda di giustizia in termini di tempi e di qualità delle decisioni; la giustizia deve essere pertanto organizzata in modo da assicurare livelli elevati di efficienza e di efficacia delle prestazioni. Pagina di 2 114 fino alla costituzione nel 1948, l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali nel 1971, il codice del processo amministrativo del 2010. Il contenzioso amministrativo era affidato ad organi amministrativi formalmente dipendenti dal sovrano per risolvere, in relazione a determinate materie, le controversie in cui fosse interessato il potere esecutivo. In Francia, un sistema simile venne introdotto in epoca antecedente la rivoluzione francese e si sviluppò specialmente sotto il regno di Luigi XVI. il contenzioso amministrativo all'epoca sembrava adeguato a soddisfare l'esigenza della legalità, perché faceva perno sull'idea del potere esecutivo Che dispone al proprio interno di meccanismi e di organismi per tutelare i cittadini contro gli errori e legittimità dell'amministrazione. Nell'esperienza francese, il contenzioso amministrativo sfociò nell'istituzione di una giurisdizione amministrativa parallela e separata dalla giurisdizione ordinaria. Questo modello fu peraltro adottato in numerosi stati europei, tra i quali l'Italia. In Italia, il contenzioso amministrativo modellato sull'esperienza francese venne Imposto con l'occupazione Napoleonica e con l'installazione del Regno d'Italia, in quasi tutti gli stati preunitari. Nel Regno di Sardegna, in particolare, un editto di Carlo Alberto istituì nel 1831 un consiglio di stato e negli anni successivi fu introdotto un sistema articolato di contenzioso amministrativo affidata giudici ordinari e giudici speciali. Con l'unificazione del 1861, si pose il problema di riordinare uniformare anche la materia della giustizia amministrativa. i modelli di riferimento erano essenzialmente due: il contenzioso amministrativo francese, da una parte, e la devoluzione al giudice ordinario delle controversie tra cittadino e pubblica amministrazione, basato sul modello della Common Law, dall'altra. La Common Law infatti non ammette di un diritto né un giudice speciale per la pubblica amministrazione, poiché, sulla base del principio della rule of Law, l'amministrazione - non potendo godere di alcun privilegio - doveva essere sottoposta alla Ordinary Law Of The land e, inoltre, il giudice cui il cittadino poteva rivolgersi doveva essere quello ordinario. All'indomani dell'unificazione sorsero in merito due schieramenti: il primo, che volevo una continuità del sistema del contenzioso amministrativo opportunamente perfezionato, e il secondo, che invece era a favore dell'abolizione integrale del precedente sistema. questo secondo schieramento prevalse e confluì nella legge numero 2248 / 1865, All. E. La legge numero 2248 / 1865, All. E fissò un punto di equilibrio fra la libertà del cittadino, e cioè le esigenze del garantismo, e le prerogative dell'amministrazione, e cioè l'esigenza dell'efficienza dell'azione amministrativa. questa impostazione condiziona ancora il nostro sistema di giustizia amministrativa. Pagina di 5 114 la legge n. 2248 / 1865, All. E contiene una parte destruens, cioè l'abolizione del sistema del contenzioso amministrativo, di cui però conserva alcune giurisdizioni speciali, in particolare quella della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato in materia di contabilità e pensioni. quindi, stabilisce che le controversie attribuite al contenzioso amministrativo vengano devolute alla giurisdizione ordinaria o all'autorità amministrativa, secondo le norme dichiarate dalla legge stessa (art. 1). l'articolo 2, ancora in vigore, traccia i limiti esterni della giurisdizione ordinaria Sulla base del criterio della titolarità di un diritto soggettivo. l'articolo 3, rimasto inattuato, aggiungeva regole procedimentali finalizzate a ridurre l’arbitrarietà dei provvedimenti emanati dall'amministrazione attiva, quali la previsione di necessità del contraddittorio sotto forma di deduzioni e osservazioni scritte le parti interessate, l'acquisizione dei pareri dei consigli amministrativi nei casi previsti dalla legge, la motivazione i decreti emanati all'amministrazione, il rimedio del ricorso gerarchico. Gli articoli 4 e 5 tracciano i limiti interni della giurisdizione, quali i tipi di sentenze che il giudice ordinario può emanare in presenza di un atto emanato dalla pubblica amministrazione. Nello specifico, ai sensi dell'art. 4 oggetto della cognizione del giudice ordinario sono solo gli effetti prodotti dall'atto sul diritto soggettivo dei dotti in giudizio, al fine di reintegrarlo nel caso in cui venga accertata una violazione. La sentenza quindi non investe l'atto, né gli effetti da esso prodotti nei confronti di altri soggetti, e soprattutto non può dichiarare a valenza generale l'atto illegittimo. Medesimo articolo al secondo comma stabilisce che l'atto amministrativo potrà essere revocato o modificato solo dalle competenti autorità amministrative, le quali quindi hanno il potere di rimuovere l'atto con effetti nei confronti di tutti i destinatari. allo stesso modo però il medesimo comma pone un obbligo in capo all'amministrazione di conformarsi al giudicato, obbligo per cui, però, non è previsto alcuno strumento esecutivo atto a garantirne l'osservanza effettiva. articolo 5 stabilisce invece che le autorità giudiziaria applicheranno gli atti amministrativi e regolamenti generali e locali in quanto conforme alle leggi. La norma consente pertanto ai giudici disapplicare il provvedimento illegittimo e lesivo del diritto soggettivo, cioè di decidere la controversia senza del conto di esso. L’ISTITUZIONE DELLA IV SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO In Italia l'istituzione di un giudice speciale avviene solo nel 1889, con il condizionamento di alcune scelte fondamentali operati in occasione della legge del 1865. Pagina di 6 114 Questa legge determinò una situazione nella quale il cittadino si trova ancor meno tutelato nei suoi rapporti con l'amministrazione. A questo risultato paradossale concorsero più fattori: l'incerta determinazione dell'ambito di giurisdizione del giudice ordinario ; la mancanza di strumenti efficaci per indurre l'amministrazione a conformarsi al giudicato del giudice ordinario ; l'assenza di strumenti di tutela giurisdizionale per interessi individuali diversi dai diritti soggettivi, che in precedenza potevano essere fatti valere almeno in parte all'interno del sistema del contenzioso amministrativo. L'ampiezza della giurisdizione del giudice ordinario era condizionata da un punto non chiarito dal legislatore: il rapporto tra provvedimento amministrativo illegittimo e diritto soggettivo inciso dal provvedimento. 
 Le interpretazioni in merito potevano essere due: la prima, che riserva al giudice ordinario un ampio spazio di intervento, e la seconda - tramandata inalterata fino ai nostri giorni - che restringeva il perimetro della giurisdizione e che determinò l'insuccesso della riforma. 
 In base alla prima interpretazione, il provvedimento non conforme alla legge non è in grado di produrre alcun effetto costitutivo, modificativo o estintivo delle situazioni giuridiche delle quali è titolare il soggetto destinatario del provvedimento. Il diritto soggettivo, pertanto, rimaneva impermeabile di fronte al provvedimento illegittimo, di conseguenza il giudice ordinario, accertata la non conformità del provvedimento alla legge, lo disapplicava. 
 La seconda interpretazione opera invece una equiparazione tra provvedimenti invalido e provvedimento valido: il provvedimento invalido, quindi, finché non viene annullato da un giudice o dalla stessa amministrazione, è in grado di produrre tutti i suoi effetti al pari di un provvedimento conforme alla legge, essendo quindi in grado di travolgere i diritti soggettivi con i quali entra in contratto. Secondo questa interpretazione, quindi, la presenza di un provvedimento amministrativo invalido ma dotato di forza imperativa esclude la possibilità di configurare in capo al soggetto privato la titolarità di un diritto soggettivo, venendo conseguentemente meno il presupposto stabilito dall'articolo 2 della legge n. 2248/1865 All. E per incardinare la giurisdizione del giudice ordinario, cioè la titolarità di un diritto soggettivo. 
 Il giudice ordinario adottò, come criterio per incardinare la propria giurisdizione, la distinzione tra atti amministrativi emanati iure imperii e atti emanati iure gestionis, affermando la propria giurisdizione soltanto in Pagina di 7 114 oppure se farlo valere come interesse legittimo innanzi alla IV sezione allo scopo di ottenere l'annullamento del provvedimento illegittimo. Questa teoria individuava nel petitum il criterio esclusivo per la determinazione del riparto di giurisdizione. Al riguardo intervennero le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali introdussero il criterio della causa petendi, cui giudice ordinario continua ad attenersi fino ai giorni nostri. Un'altra questione riguardava la distinzione fra giudizio di legittimità e giudizio estesa al merito, il quale era riferito ad un elenco tassativo di materie ed era caratterizzato da poteri di cognizione e decisione più ampi. Tracciare una linea di confine tra i due significava definire l'estensione della competenza generale della IV sezione. Ampliare eccessivamente la nozione di merito avrebbe ampliato conseguentemente l'area del insindacabilità degli atti amministrativi, riducendo la portata innovativa della legge del 1889. 
 Una seconda questione atteneva alla tripartizione dei vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge), deducibili dinanzi alla quarta sezione, dal momento che, nel corso dell'iter parlamentare di approvazione della legge, erano stati espulsi due vizi, facendo sorgere pertanto il dubbio che il sindacato di legittimità non abbracciasse tutte le possibili configurazioni dell'illegittimità. Per quanto riguarda la competenza della IV sezione estesa al merito, questa venne intesa come una giurisdizione piena che muove da un accertamento diretto del fatto, contrapposta alla competenza generale di legittimità che veniva riconosciuta secondo il modello del giudizio di Cassazione, nel quale il sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata è sempre indiretto. La giurisdizione di merito consentiva, inoltre, al giudice di valutare le determinazioni dell'amministrazione anche sotto il profilo delle opportunità e della convenienza economica amministrativa. Venne stabilito che l'atto politico non poteva essere oggetto di impugnazione innanzi alla IV sezione. La IV sezione, in merito, assunse un atteggiamento restrittivo per evitare erosioni del proprio ambito di cognizione, a fronte delle frequenti eccezioni di incompetenza sollevate dalle amministrazioni costituitesi in giudizio in relazione alla natura di atto politico dell'atto impugnato. 
 Il processo amministrativo si è andato consolidando, con riferimento alla competenza generale di legittimità attribuita alla IV sezione, come un processo da ricorso di tipo cassatorio, cioè di caducazione di provvedimento amministrativi illegittimi. Il processo delineato dalla legge n. 5992 / 1889 Pagina di 10 114 assunse una configurazione di giurisdizione di tipo prevalentemente soggettivo, a scapito della connotazione oggettiva. Sintomatica di questa evoluzione fu l'affermarsi del vincolo del giudice ai motivi di ricorso, nonché la progressiva caratterizzazione del processo amministrativo come processo di parti poste su un piano di tendenziale parità. L’EVOLUZIONE FINO ALLA COSTITUZIONE Per quasi un ventennio dopo l'istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato il legislatore si astenne dall'intervenire in materia di giustizia amministrativa. 
 Una riforma legislativa venne realizzata con il r.d. 30 dicembre 1923, n. 2840. 
 L'innovazione più significativa fu l'attribuzione al giudice amministrativo della cosiddetta giurisdizione esclusiva per le controversie relative ad alcune materie tassativamente indicate, nelle quali l'intreccio tra diritti soggettivi e interessi legittimi creava una situazione di incertezza tale da rendere preferibile la concentrazione della tutela di entrambe le situazioni giuridiche innanzi al giudice amministrativo. La cognizione di alcuni diritti soggettivi veniva così sottratta al giudice ordinario. La tutela offerta dal giudice amministrativo, inoltre, non era equiparata a quella offerta dal giudice ordinario, perché il giudice amministrativo non aveva la possibilità di esperire mezzi di prova aggiuntivi rispetto a quelli previsti per la competenza generale di legittimità e, inoltre, la tutela stessa dei diritti soggettivi era sottoposta al termine di decadenza anziché al più favorevole regime della prescrizione. Negli anni '30, la giurisprudenza ha attenuato alcune rigidità tracciando la distinzione tra atti amministrativi autoritari e atti paritetici. Questi ultimi vennero ritenuti meramente ricognitivi di diritti e obblighi discendenti direttamente dalla legge e, dunque, emanati dall'amministrazione non in veste di autorità ma su base paritaria. Potevano pertanto essere fatti valere innanzi al giudice amministrativo senza necessità di impugnare l'atto e senza dover rispettare il termine di decadenza. La giustizia amministrativa non fu oggetto di particolare attenzione in sede di Assemblea Costituente e a riguardo prevale il giudizio secondo cui la Costituzione ha confermato il sistema vigente limitandosi ad elevare i suoi principi a norme di ordine costituzionale. Pagina di 11 114 GLI SVILUPPI FINO AL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO La sentenza 22 marzo 1967, n. 30 della Corte Costituzionale dichiara incostituzionale le disposizioni relative alla composizione delle giunte provinciali amministrative, creando così un vuoto normativo da cui trasse origine la legge n. 1034/1971, che istituì i tribunali amministrativi regionali e che rimase in vigore fino al codice del processo amministrativo. 
 I TAR furono qualificati come organi generali di giustizia amministrativa di primo grado, superando il principio dell'enumerazione delle materie e, di conseguenza, il Consiglio di Stato assunse la configurazione di giudice essenzialmente d'Appello. La legge n. 1034 / 1971 ampliò le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, includendo quelle relativa ai rapporti di concessione di beni o servizi pubblici (eccezion fatta per le controversie inerenti le indennità e i canoni di concessione, che rimasero attribuite alla competenza del giudice ordinario, nonché le controversie dei Tribunali delle acque pubbliche). L'articolo 20, inoltre, pose il principio della facoltatività del previo esperimento del ricorso gerarchico e confermò la regola dell'alternatività tra ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e ricorso giurisdizionale. 
 Il legislatore, successivamente, operò una serie di interventi settoriali ampliando le materie attribuite alla competenza esclusiva del giudice amministrativo. Tuttavia, alcuni tipi di controversie vennero attribuiti alla cognizione del giudice ordinario. In particolare, il decreto legislativo 3 febbraio 1993 numero 29 fece venire meno la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie riguardanti i rapporti di lavoro assoggettati al regime privatistico, che vennero devolute al giudice ordinario. Rimasero invece attribuite al giudice amministrativo le controversie riguardanti i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni esclusi dall'ambito della privatizzazione, nonché le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione, senza alcuna distinzione in funzione della natura pubblica o privata del rapporto. 
 La legge 21 luglio 2000, n. 205 introdusse una serie di novità, poi confluite nel codice del 2010, con l'obiettivo di accrescere l'effettività della tutela offerta dal giudice amministrativo. Furono ampliate le azioni che potevano essere esperite nell'ambito della competenza generale di legittimità, prevedendo che poteva essere proposta, in aggiunta alla tradizionale azione Pagina di 12 114 Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, le garanzie poste dall'articolo 6 della CEDU possono essere soddisfatte anche da autorità amministrative dotate di carattere di indipendenza e che decidono i casi sulla base di procedure che garantiscono contraddittorio pieno. Alcuni regolamenti e direttive europei settoriali, Infatti, rimettono agli Stati membri la decisione se affidare la tutela ad un giudice in senso proprio o ad autorità amministrative di tipo paragiudiziale. sempre suddetta giurisprudenza richiede che l'organo giudicante abbia requisiti di indipendenza e di imparzialità. Fondamentale è, inoltre, il cosiddetto dialogo verticale tra le corti nazionali e le corti europee, il quale si svolge in direzione ascendente (consentendo alle Corti europee di individuare e recepire i principi giudici che derivano dalle tradizioni dei singoli ordinamenti giuridici nazionali) e in direzione discendente (che consente invece alle Corti europei di influenzare i diritti nazionali e di armonizzare l'applicazione da parte di giudici nazionali del diritto europeo). Questo dialogo è promosso dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Nello specifico, è disposto dal giudice nazionale quando sorge un dubbio sul interpretazione delle norme europee da applicare. In questi casi, la Corte di Giustizia pronuncia sul significato da attribuire alle norme europee (suddetta pronuncia è vincolante); il giudice Nazionale deciderà quindi sul caso concreto alla luce dell'interpretazione della Corte di Giustizia. Il richiamo ai principi del diritto europeo operato all'articolo 1 del codice consente al giudice amministrativo di attingere a regole processuali non espressamente previste dal diritto nazionale. SITUAZIONI SOGGETTIVE ED EFFETTIVITA’ DELLA TUTELA La Costituzione, nel confermare la duplicità delle situazioni giuridiche di cui possono essere titolari i soggetti privati, ha costituzionalizzato la struttura dualistica della giurisdizione. I diritti soggettivi e interessi legittimi hanno rilievo parallelo e paritario negli articoli 24 e 113 della Costituzione: il primo, Infatti, prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, mentre il secondo precisa che contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria o amministrativa. Per entrambe gli art. 24 e 113 enunciano il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale. in forza di questo principio, La Corte Costituzionale ha integrato disposizioni legislative processuali lacunose e ampliato i livelli di tutela offerti al cittadino nelle controversie con la pubblica amministrazione. Pagina di 15 114 Al comma 2, l'articolo 113 prevede che la tutela giurisdizionale non possa essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. questo per reagire alla tendenza manifestatasi nei periodi precedenti di sottrarre per legge intere materie e tipologie di atti al controllo giurisdizionale (per esempio, l'esclusione della possibilità di dedurre il vizio di eccesso di potere). il comma 2 dell'articolo 113 è compatibile con l'esclusione della tutela giurisdizionale contro gli atti politici, prevista dall'articolo 7 del codice, nella misura in cui di tale categoria di atti venga data un'interpretazione restrittiva di tipo oggettivo. GIURISDIZIONE ORDINARIA E GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA La Costituzione contiene anche disposizioni che definiscono l'ambito della giurisdizione ordinaria e amministrativa e i rapporti tra esse. L'articolo 103 comma 1 stabilisce che il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione e degli interessi legittimi e, limitatamente alle materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. Il giudice amministrativo è quindi il giudice naturale degli interessi legittimi e della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica. Il giudice civile invece è il giudice naturale dei diritti soggettivi, malgrado l'articolo 103 attribuisce al giudice amministrativo la cognizione dei diritti soggettivi in particolari materie (c.d. giurisdizione esclusiva). Nella sentenza 204 del 2004, La Corte Costituzionale ha chiarito che questa espressione si riferisce a materie nelle quali la pubblica amministrazione agisce come autorità, cioè come titolare di un potere amministrativo in senso proprio, e nelle quali la tutela dei diritti soggettivi è ancillare rispetto a quella degli interessi legittimi. l'articolo 113 comma 3 Inoltre prevede che sarà la legge a determinare quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione, nei casi e con gli effetti previsti dalla legge. Il legislatore ordinario ha spesso attribuito al giudice ordinario il potere di emanare sentenze di annullamento di atti amministrativi. L'articolo 113 comma 3 conferisce al legislatore ordinario un ampio spazio per modellare il sistema della giustizia amministrativa poiché non va a cristallizzare l'impostazione tradizionale secondo cui il giudice amministrativo è il giudice dell’annullamento dei provvedimenti legittimi, mentre il giudice ordinario è principalmente il giudice del risarcimento del danno. l'articolo 111, ultimo comma, della Costituzione Inoltre stabilisce che il ricorso in Cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Il ricorso in Cassazione quindi non può essere proposto per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, venendo meno pertanto la funzione di quest'ultima nell'interpretazione delle leggi applicate Pagina di 16 114 al giudice amministrativo e nell'esercizio della funzione nomofilattica. L’articolo 11 ultimo comma della Costituzione conferma che il dualismo del sistema di giustizia amministrativa non è perfettamente paritario, prevalendo bensì il giudice ordinario, dal momento che i limiti alla giurisdizione del giudice amministrativo sono stabiliti dalla Corte di Cassazione. GLI ASPETTI ORGANIZZATIVI DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA La Costituzione regola alcuni aspetti organizzativi della giustizia amministrativa: 1. il comma 1 dell'articolo 100 definisce il Consiglio di Stato Come un organo di consulenza giuridico - amministrativa e di tutela della Giustizia nell'amministrazione, ed è annoverato insieme al CNEL e alla Corte dei Conti tra gli organi ausiliari del governo; 2. articolo 125 comma 2 prevede invece che in ciascuna regione siano istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito dalla legge della Repubblica, andando così a perfezionare il principio del doppio grado di giudizio. istituzione dei Tribunali amministrativi regionali ha avvicinato notevolmente il cittadino alla giustizia amministrativa. Bisogna considerare inoltre che il giudice di primo grado soddisfa la domanda di tutela pronunciando sentenze che in massima parte diventano definitive, o perché non appellate o perché confermate dal Consiglio di Stato (il secondo grado di giudizio è costituzionalmente garantito solo nei confronti delle pronunce degli organi di giustizia amministrativa di primo grado, tuttavia non è esclusa la possibilità che il legislatore ordinario possa prevedere ipotesi di competenza in unico grado attribuito al Consiglio di Stato); 3. articolo 100 comma 3 stabilisce che la legge assicura l'indipendenza del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei loro componenti dal governo; 4. articolo 108 comma 2 estende tale principio di indipendenza a tutti i giudici delle giurisdizioni speciali; 5. la legge 27 aprile 1982 numero 186 disciplina il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, organo di autogoverno posto a presidio dell'indipendenza del giudice amministrativo (separato dal Consiglio Superiore della Magistratura) che ha il compito di assumere i provvedimenti relativi allo status dei magistrati amministrativi; 6. l'articolo 102 comma 2 della Costituzione vieta l'istituzione di giudici straordinari o speciali. nasce come reazione alla tendenza emersa durante il regime autoritario a moltiplicare le magistrature speciali per ridurre l'ambito della tutela dei cittadini. Pagina di 17 114 potestativo, cioè il potere attribuito ad un soggetto di produrre nella sfera giuridica altrui un effetto giuridico - costitutivo, modificativo o estintivo - con una manifestazione unilaterale di volontà, sulla base di una prevalenza che la norma attribuisce all’interesse del titolare del potere rispetto a quello del soggetto che subisce una modificazione della propria sfera giuridica, il quale si trova in uno stato di soggezione. Il diritto potestativo è una particolare modalità di produzione degli effetti giuridici nei rapporti intersoggettivi che vale anche per il potere amministrativo. La produzione degli effetti giuridici segue lo schema : norma - fatto - effetto giuridico. La norma definisce gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico ad essa ricollegato, cosicché ogni volta che si verifica fatto concreto sussumibile nella fattispecie normativa si produce l’effetto giuridico. Le norme attributive di potere seguono invece lo schema norma - fatto - potere - effetto giuridico. In questo caso, viene meno l’automatismo nella produzione dell’effetto giuridico. Al verificarsi di un fatto concreto conforme alla norma attributiva del potere, si determina in capo al soggetto titolare del potere la possibilità di produrre l’effetto giuridico attraverso una propria dichiarazione unilaterale di volontà. Tra fatto ed effetto giuridico si interpone il potere e il titolare di quest’ultimo decide se provocare l’effetto giuridico tipizzato dalla norma. Questo è lo schema tipico del diritto potestativo. La tutela giurisdizionale si distingue in costitutiva, di accertamento e di condanna e distingue i diritti potestativi stragiudiziali dai diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale. Nel primo caso, la produzione dell’effetto giuridico discende dalla manifestazione di volontà del titolare del potere, che quindi si configura come potere unilaterale e autosufficiente. Nel secondo caso, affinché si produca l'effetto giuridico, oltre alla dichiarazione di volontà del titolare del potere, è necessario un previo accertamento giudiziale che verifichi la sussistenza nella fattispecie concreta degli elementi previsti in astratto a livello di fattispecie normativa. l'articolo 2908 del codice civile fa riferimento a queste situazioni. L'articolo è dedicato alla tutela costitutiva, secondo cui, nei casi previsti dalla legge, l'autorità giudiziaria può emanare una sentenza che vada a costituire, modificare o estinguere i rapporti giuridici con effetto fra le parti. Il potere amministrativo può essere ricondotto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale, poiché la produzione dell'effetto giuridico Pagina di 20 114 discende in modo immediato dalla dichiarazione di volontà dell'amministrazione che emana il provvedimento. la tutela giurisdizionale può avvenire solo in via posticipata, cioè in seguito alla proposizione di un ricorso giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo su istanza del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto impugnato ha prodotto l'effetto. Lo schema del diritto potestativo stragiudiziale risponde all'esigenza di garantire la realizzazione immediata dell'interesse pubblico. Inoltre, poiché la pubblica amministrazione, in base alla Legge 241 del 1990, è tenuta ispirare la propria attività ai criteri di correttezza, imparzialità e trasparenza nonché al principio di partecipazione, la posizione dei soggetti destinatari del provvedimento trova una forma di tutela già nella fase procedimentale, cioè prima che l'effetto giuridico si sia prodotto. Il potere amministrativo trova fondamento nella norma di conferimento del potere, senza che sussista un rapporto giuridico preesistente tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione. In attuazione del principio di legalità, che costituisce il principio cardine nella teoria dell'atto e del procedimento amministrativo, la norma attributiva del potere Individua strettamente gli elementi che caratterizzano il potere attribuito a un apparato pubblico, e cioè il soggetto competente, il fine pubblico, i presupposti e i requisiti, le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma, gli effetti giuridici. L’INTERESSE LEGITTIMO L'interesse legittimo costituisce il termine passivo del rapporto giuridico amministrativo. L'interesse legittimo trova un riconoscimento costituzionale nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale, cioè agli articoli 24,103,113 della Costituzione, ed è dunque una situazione giuridica soggettiva dalla quale non si può prescindere. La distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo viene utilizzata come criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, poiché delimita l'ambito della responsabilità civile della pubblica amministrazione che non includeva il danno derivante da lesione di interesse legittimo. La Corte Costituzionale, con la sentenza 6 luglio 2004 numero 204, ha sconfessato il tentativo del legislatore di superare la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi come criterio di riparto della giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, introducendo il criterio dei blocchi di materie omogenee. La Corte ha infatti affermato che la giurisdizione amministrativa ha al suo centro il potere amministrativo Pagina di 21 114 correlato a situazioni giuridiche di interesse legittimo, mentre la cognizione dei diritti soggettivi spetta al giudice ordinario. La sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 500 del 1999 ha superato la rilevanza della distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi in merito alla risarcibilità del danno causato dalla pubblica amministrazione. La risarcibilità, in riferimento all'interesse legittimo, si deve basare sulla rilevabilità nella situazione concreta di una lesione del bene della vita già ascrivibile alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell'interesse legittimo. Qualora dalla ricostruzione della fattispecie dovesse emergere che il titolare dell'interesse legittimo non aveva una ragionevole aspettativa di poter acquisire o conservare un bene della vita, non vi sarà spazio per una tutela risarcitoria. La connotazione sostanziale dell'interesse legittimo emerge anche da come la giurisprudenza ha inquadrato la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo, devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo. Nella sentenza 204 del 2004 della Corte Costituzionale, quest'ultima ha inteso l'azione risarcitoria non come volta a tutelare un diritto soggettivo autonomo, bensì in funzione rimediale, cioè come tecnica di tutela dell'interesse legittimo, da affiancarsi alla tecnica di tutela costituita dall'annullamento. Se l'interesse legittimo incorpora anche la pretesa risarcitoria, è evidente come questo abbia per oggetto un bene della vita che il titolare dell'interesse medesimo di mira ad acquisire o a conservare e che è suscettibile di essere leso da un provvedimento illegittimo. L'interesse legittimo viene così collegato al bene della vita che il soggetto titolare dell'interesse legittimo stesso mira a conservare o ad acquisire. La norma di conferimento del potere assolve quindi alla doppia funzione di tutelare l'interesse pubblico e l'interesse privato. I vincoli posti dalla norma attributiva del potere, quindi, hanno sia la funzione di guida e di vincolo per l'amministrazione nella realizzazione dell'interesse pubblico, sia la funzione di garanzia della situazione giuridica soggettiva del privato. L'interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva correlata al potere della pubblica amministrazione e tutelata direttamente dalla norma attributiva del potere. L'interesse legittimo attribuisce al suo titolare poteri e facoltà che influiscono sull'esercizio del potere amministrativo allo scopo di acquistare o conservare un bene della vita. Tali poteri e facoltà tendono a riequilibrare in parte la posizione di soggezione nei confronti del titolare del potere. In questo modo, l'interesse legittimo acquista una dimensione attiva. L'interesse legittimo ha sia una dimensione passiva - la soggezione rispetto alla produzione degli effetti - sia una dimensione attiva - pretesa ad un esercizio corretto del potere. Allo stesso modo, anche il potere ha una Pagina di 22 114 pregiudizio indiretto da queste attività vantano solo un interesse di mero fatto, a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio di tipo giurisdizionale. Esistono due criteri per distinguere gli interessi legittimi dagli interessi di fatto. Innanzitutto, perché possa configurarsi l'esistenza di un interesse giuridicamente protetto occorre che la posizione in cui si trova il soggetto privato, rispetto all'amministrazione che esercita il potere, sia differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell'ordinamento. Appurato il carattere differenziato dell'interesse rispetto a quello della generalità dei soggetti, occorre appurare se questo interesse rientri in qualche modo nel perimetro della tutela offerta dalle norme attributive del potere. Nella casistica giurisprudenziale, questi criteri appaiono strettamente collegati perché quanto più differenziato risulta essere un interesse, tanto più è probabile che esso venga ritenuto oggetto di una tutela giuridica da parte dell’ordinamento. Gli interessi di fatto possono avere una dimensione individuale o superindividuale. E' emersa pertanto in giurisprudenza la nozione di interessi collettivi e di interessi diffusi. Gli interessi collettivi sono riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati. Agli organismi che rappresentano la categoria o il gruppo è stata riconosciuta in giurisprudenza una legittimazione processuale autonoma, collegata a una situazione di interesse legittimo distinto da quello dei singoli appartenenti alla categoria. Gli interessi diffusi, invece, sono interessi non personalizzati, riferibili in modo indistinto alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti. L'ordinamento prende in particolare considerazione gli interessi diffusi, della cui tutela si fanno carico associazioni e altre organizzazioni del terzo settore, attribuendo ad essi una certa rilevanza sia in sede procedimentale che in sede processuale. L'articolo 9 della legge numero 241 del 1990 attribuisce la facoltà di intervenire nel procedimento a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati nonché ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. La giurisprudenza più recente ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere ad associazioni e altre organizzazioni che si fanno portatrici di interessi diffusi facendo valere un interesse distinto da quello dei singoli individui, inteso come sintesi e non sommatoria di tutti gli appartenenti alla collettività. In settori particolari, il legislatore ha attribuito a determinati soggetti, istituiti Pagina di 25 114 per la cura di interessi diffusi, una legittimazione speciale a ricorrere non collegata ad alcuna situazione giuridica sostanziale. Vi sono anche i cosiddetti interessi individuali omogenei o isomorfi, che vanno distinti dagli interessi diffusi e collettivi, poiché gli interessi isomorfi mantengo una natura individuale ma acquistano una dimensione collettiva solo per il fatto di essere comune a una pluralità o molteplicità di soggetti. in questi casi l'interesse leso resta un interesse individuale e l'elemento di comunanza consiste nel fatto che la lesione deriva da una condotta illecita plurioffensiva. La tutela di questo tipo di interessi individuali non è diversa, in linea di principio, da quella prevista per ciascun diritto soggettivo e interesse legittimo di cui sono titolari soggetti coinvolti, i quali possono agire in giudizio autonomamente per il ristoro del loro specifico danno. RAPPORTO GIURIDICO SOSTANZIALE E RAPPORTO GIURIDICO PROCESSUALE Nel processo amministrativo, soprattutto nell'azione di annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo lesivo di un interesse legittimo, si registra un'inversione tra posizione sostanziale e posizione processuale delle due parti. Sul piano sostanziale, infatti, la pubblica amministrazione è parte attiva del rapporto giuridico che si instaura con il titolare dell'interesse legittimo, il quale è invece collocato in una posizione di soggezione. Sul piano processuale, invece, il titolare dell'interesse legittimo, nel momento in cui propone il ricorso giurisdizionale, esercita un potere (cioè il diritto all'azione) rispetto al quale l'amministrazione resistente in giudizio si trova in una posizione di soggezione. La posizione di disparità sul piano dei rapporti sostanziali e l'inversione tra posizione sostanziale e posizione processuale delle parti condizionano la struttura e la dinamica del processo amministrativo. Il processo amministrativo è un processo da ricorso e non da citazione, instaurato quindi non sulla base di una vocatio in jus bensì su una vocatio judicis. Si configura cioè come una reazione di un soggetto nei confronti di un atto di esercizio del potere. il ricorrente deve instaurare il giudizio di impugnazione entro il termine perentorio di sessanta giorni previsto dall'articolo 29 del codice. I termini brevi e la perentorietà del termine di impugnazione sono correlate all'esigenza di certezza dell'assetto degli interessi determinato dal provvedimento impugnato. La sospensione dell'efficacia del provvedimento Pagina di 26 114 impugnato non è determinata automaticamente dalla proposizione del ricorso, bensì deve essere richiesta dal ricorrente con apposita istanza cautelare e verrà concessa dal giudice se in presenza di un danno grave e irreparabile. La mancata costituzione in giudizio dell'amministrazione cui è stato notificato il ricorso non fa scattare l'istituto della contumacia, perché l'amministrazione ha già rappresentato e concretizzato il proprio punto di vista e le proprie ragioni nel provvedimento impugnato. Il ricorrente, sul piano processuale, ha la piena disponibilità dell'oggetto del processo (cioè della scelta dei motivi di ricorso da proporre) nonché del processo in quanto tale: differentemente dal processo civile, infatti, la rinuncia al ricorso non presuppone l'accettazione dell'amministrazione resistente, anche se il codice prevede che le parti interessate alla prosecuzione del processo possano opporsi alla rinuncia e alla conseguente estinzione del processo (art. 84). Lo squilibrio che esiste fra le parti nel rapporto sostanziale viene superato nel processo, ove vigono i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo. CAPITOLO 4 LA GIURISDIZIONE, I CRITERI DI RIPARTO, LE TUTELE LA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO E DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO La giurisdizione del giudice ordinario è definita in termini generali dalla Costituzione all’art. 102 nonché dal codice di procedura civile, che all’art. 1 stabilisce che la giurisdizione civile è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme dello stesso codice, salvo speciali disposizioni di legge. L’art. 37 del codice di procedura civile stabilisce che il difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. In merito alle controversie con la pubblica amministrazione, l’art. 2 della legge n. 2248 / 1865 All. E devolve alla giurisdizione ordinaria tutte le contravvenzioni e tutte le materie per le quali si faccia questione di un diritto civile o politico. La giurisdizione ordinaria, pertanto, è una giurisdizione su diritti soggettivi. Alcune tipologie di controversie sono quindi devolute al giudice ordinario per legge (es. immigrazione, protezione dei dati personali, rapporto di pubblico impiego privatizzato, sanzioni pecuniarie). Pagina di 27 114 A seguito di tale evoluzione, la tutela dei diritti soggettivi davanti al giudice amministrativo nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva può essere considerata equivalente a quella offerta dal giudice ordinario. La sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 ha dichiarato incostituzionali gli articoli 33 e 34 del decreto legislativo 80/1998 ed ha interpretato rigorosamente l'articolo 103 della Costituzione, in base al quale il giudice amministrativo può conoscere i diritti soggettivi in particolari materie. La corte ha specificato che queste materie si identificano con quelle nelle quali la pubblica amministrazione agisce in veste di autorità e risultano comunque prevalenti le situazioni giuridiche di interesse legittimo. Non basta, pertanto, che si tratti di controversie nelle quali parte del giudizio è una pubblica amministrazione, né che sia presente un generico coinvolgimento di interesse pubblico. La Corte Costituzionale ha quindi riaffermato il ruolo del giudice amministrativo come giudice naturale di situazioni soggettive collegate al potere amministrativo. Ha, inoltre, ritenuto insuperabile il criterio di riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, che il decreto legislativo n. 80/1998 tendeva a sostituire con il criterio dei blocchi di materie. La condizione dei diritti soggettivi è aggiuntiva rispetto a quella degli interessi legittimi. La giurisdizione esclusiva finisce, pertanto, per avere un carattere composito. Se il ricorrente farà valere nel ricorso solo un interesse legittimo, il processo seguirà le regole della giurisdizione generale di legittimità. Se invece fa valere un diritto soggettivo, cambiano sia la causa petendi sia il termine per proporre l'azione, che sarà quello relativo alla prescrizione del diritto e non il termine decadenziale di 60 giorni previsto per l'azione di annullamento degli atti amministrativi illegittimi. Cambieranno inoltre le azioni proponibili, che saranno tutte quelle necessarie per tutelare in modo pieno il diritto soggettivo. Il giudice amministrativo non soggiace ai limiti posti dagli articoli 4 e 5 della legge numero 2248/1865 All. E per il giudice ordinario e pertanto, in relazione a una controversia avente per oggetto un diritto soggettivo, potrà annullare l'atto amministrativo ritenuto illegittimo qualora il ricorrente lo abbia tempestivamente impugnato. Nella giurisdizione esclusiva, con riguardo ad alcune materie, il processo può essere instaurato dalla pubblica amministrazione nella veste di ricorrente contro un soggetto privato, evenienza esclusa nella giurisdizione generale di legittimità. Pagina di 30 114 L'articolo 103 del codice contiene un elenco ampio di materie devolute alla giurisdizione esclusiva e rinvia, inoltre, anche a casi previsti da ulteriori previsioni di legge. Le fattispecie richiamate dall'articolo non si prestano ad un'interpretazione estensiva. Secondo la giurisprudenza, inoltre, l'elenco delle materie di cui all'art. 103 del codice non si estende a tutte le controversie, bensì solo alle controversie che abbiano ad oggetto in concreto la valutazione di legittimità dei provvedimenti amministrativi espressione di pubblici poteri e vengano pertanto richieste verifiche o controlli riconducibili all'amministrazione autorità. L'articolo 103 introduce anche alcune eccezioni, riservando al giudice ordinario alcuni profili specifici. L'articolo 7 comma 6 richiama la giurisdizione di merito ed effettua un rinvio all'articolo 134, il quale elenca cinque casi tassativi in cui essa è prevista e chiarisce che, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice amministrativo può sostituirsi all'amministrazione. La giurisdizione di merito appare recessiva, perché poco coerente con il principio della separazione dei poteri. La specificità di questo tipo di giurisdizione consiste nel fatto che il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione. IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si fonda sul criterio della causa petendi. Anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritiene che la giurisdizione vada determinata sulla base dell’oggetto della domanda. Il giudice dovrà quindi valutare, sul piano oggettivo, il petitum sostanziale, non rilevando la prospettazione delle parti in merito alla propria presunta titolarità di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. Il petitum sostanziale deve essere identificato in funzione della causa petendi, intesa come natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati. La giurisprudenza ha individuato alcuni criteri per distinguere fra diritti soggettivi e interessi legittimi. I criteri non vertono sulle materie attribuite dalla legge alla giurisdizione dell’uno o dell’altro giudice, perché in quest’ultimo caso il riparto è operato dalla legge e eventuali incertezze possono sorgere in relazione all’interpretazione delle singole disposizioni che definiscono il confine della materia. Pagina di 31 114 I criteri (spesso applicati cumulativamente) sono riconducibili a tre tipologie: la distinzione tra norma di relazione e norma di azione, tra potere vincolato e potere discrezionale, tra carenza di potere e cattivo esercizio del potere. La norma di relazione è volta a disciplinare il rapporto giuridico che intercorre tra pubblica amministrazione e cittadino, delimitando le rispettive sfere giuridiche, e ad esse è correlato il diritto soggettivo. La norma d'azione è volta a disciplinare l'attività dell'amministrazione ai fini di tutela dell'interesse pubblico e a essa è correlato di interesse legittimo. La violazione di una norma di relazione avviene solitamente ad opera di comportamenti dell'amministrazione qualificati come illecito ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile o assunti in violazione di obblighi contrattuali o, ancora, attraverso l'emanazione di un atto da parte dell'amministrazione ricognitivo dei diritti e degli obblighi posti in capo alle parti direttamente dalla norma medesima, che non può essere considerato come espressione di potere pubblicistici in senso proprio (cosiddetti atti paritetici). La distinzione tra norma di relazione e norma di azione tuttavia non è agevole. Quando si parla di potere discrezionale, la situazione giuridica di cui è titolare il privato è sempre l'interesse legittimo, poiché la conservazione o l'acquisizione del bene della vita in capo al soggetto privato è rimessa alla valutazione dell'amministrazione titolare del potere e l'atto emanato ha natura propriamente autoritativa. Il privato, infatti, non sarà in grado di prevedere con certezza se la sua pretesa verrà soddisfatta dall'amministrazione all'esito del procedimento. Nel caso, invece, di un potere vincolato, il soggetto privato, valutando autonomamente la situazione concreta in cui si trova, è in grado di prevedere con certezza ex- ante se l'amministrazione riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. In questo caso, il cosiddetto giudizio di spettanza, operato in prima battuta dall'amministrazione nell'ambito del procedimento e poi dal giudice, ha un carattere univoco, ove la situazione di fatto e di diritto venga ricostruita in modo corretto. Le norme attributive del potere pongono vincoli all'amministrazione anzitutto allo scopo di consentire uno svolgimento ordinato e misurabile in modo oggettivo, cioè sulla base di parametri certi, dell'attività amministrativa. Il dovere di agire nel rispetto delle norme che grava sulla amministrazione non svolge sempre necessariamente in modo diretto una funzione di garanzia della posizione soggettiva dei privati. In questi casi l'atto emanato soggiace al regime proprio del provvedimento amministrativo e i vizi denunciabili davanti al giudice amministrativo sono solo quelli di violazione di legge e di Pagina di 32 114 contenuto della sentenza. 
 L'azione di condanna mira a indurre la parte soccombente a porre in essere un'attività volta a rimuovere una difformità tra situazione di fatto e situazione di diritto accertata dal giudice. La parte soccombente, dopo l'emissione della sentenza, sarà tenuta a porre in essere le attività necessarie per conformare la situazione di fatto alla situazione di diritto accertata dalla sentenza. Qualora si astenga dal farlo, l'altra parte potrà attivare la tutela esecutiva. 
 L'azione costitutiva, che nel processo civile è ammessa solo nei casi tassativamente indicati dall'art. 2908 del codice civile, è volta a modificare, costituire o estinguere le situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari le parti. La sentenza costitutiva opera una modifica nella configurazione del rapporto giuridico che intercorre tra le parti. 
 Vi sono, infine, le azioni sommarie, cioè procedimenti speciali che danno luogo a una definizione rapida della lite che acquistano subito efficacia esecutiva (es. il decreto ingiuntivo). Il processo amministrativo ha tradizionalmente avuto al centro la tutela costitutiva, nel senso che l'azione proposta è tipicamente un'azione di annullamento di provvedimenti amministrativi illegittimi. CAPITOLO 5 INTRODUZIONE PREMESSA Il processo amministrativo è nato come un processo di impugnazione e di annullamento di provvedimenti amministrativi illegittimi lesivi di interessi legittimi, ma ha subito nel corso del tempo un'evoluzione in due direzioni. 
 Da un lato, ha trovato spazio anche la tutela dei diritti soggettivi nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Dall'altro, il processo amministrativo si è aperto a forme di tutela aggiuntive rispetto a quella di annullamento, volte ad attuare il principio di effettività della tutela giurisdizionale. Ciò è avvenuto anche perché è mutata la fisionomia dell'interesse legittimo, che adesso ha al suo centro un bene della vita. 
 Pagina di 35 114 Oggi il processo amministrativo può essere considerato come una sorta di contenitore unitario nel quale, sul piano sostanziale, troviamo situazioni giuridiche di interesse legittimo e diritto soggettivo e, sul piano processuale, una gamma completa di azioni. La giurisdizione amministrativa, inoltre, si connota ancora come una giurisdizione sul potere amministrativo. Per questo motivo il processo amministrativo, nella prassi del contenzioso, continua a essere nella maggior parte dei casi la sede nella quale il soggetto titolare di un interesse legittimo propone un ricorso avverso un provvedimento amministrativo ai fini dell'annullamento. L'evoluzione del processo amministrativo ha poi portato ad abbandonare progressivamente la concezione oggettiva della tutela che poneva in primo piano l'interesse pubblico a garantire la legittimità degli atti amministrativi, che adesso assume rilievo come mero riflesso della tutela offerta alle situazioni giuridiche soggettive. Il codice ha completato questo percorso abbracciando la concezione soggettiva che pone al centro le situazioni giuridiche soggettive e le azioni proponibili in modo da assicurare ad esso una tutela piena ed effettiva. I PRINCIPI GENERALI Il processo amministrativo è informato da vari principi. Il primo principio è quello dell'effettività della tutela giurisdizionale, espresso dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e dall'articolo 1 del codice, secondo il quale la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della costituzione e del diritto europeo. Il principio dell'effettività della tutela è richiamato anche dall'articolo 7 comma 7 del Codice, secondo il quale esso è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nell'ambito della giurisdizione esclusiva, dei diritti soggettivi. 
 Il Codice, all'articolo 2, enuncia i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo, in conformità all'articolo 111 comma 2 della Costituzione e all'articolo 101 del codice di procedura civile. All'interno del processo le parti sono poste su un piano di parità, poiché ad esse sono riconosciute le medesime garanzie. L'articolo 2 comma 2 del codice richiama il principio della ragionevole durata del processo, enunciato Pagina di 36 114 dall'articolo 111 comma 2 della Costituzione e dal diritto europeo e ad esso si ispirano alcuni istituti processuali accessori. Anche il giudice concorre all'obiettivo della ragionevole durata del processo, applicando il principio di economia processuale, in base al quale il giudizio può essere concluso in particolare ponendo alla base della decisione la ragione più liquida, cioè quella più facile da accertare e meno dispendiosa sotto il profilo istruttorio, anche se ciò comporta un’alterazione dell'ordine logico delle questioni. 
 L'articolo 3 comma 1 del codice pone, inoltre, il principio secondo cui i provvedimenti decisori del giudice devono essere motivati, come enunciato dall'articolo 111 comma 6 della Costituzione, dal diritto europeo e dagli articoli 132 e 134 del Codice Procedura Civile. Secondo l'articolo 74 del Codice, nel caso di sentenza in forma semplificata, la motivazione può consistere in un sintetico riferimento a un punto di fatto o di diritto risolutivo o ad un precedente conforme. La motivazione delle sentenze consente un controllo della sentenza stessa in vista delle impugnazioni, opera come strumento di controllo diffuso per verificare che la decisione non sia il frutto di scelte arbitrarie, tutela il diritto di difesa poiché permette di verificare se siano stati ignorati gli argomenti avanzati dalle parti. 
 Gli articoli 3 comma 2 e 120 comma 10 del Codice stabilisco il principio della sinteticità degli atti, sia del giudice amministrativo sia delle parti. 
 In accordo con quanto stabilito dall'articolo 99 del codice di procedura civile, il processo amministrativo è promosso su impulso esclusivo della parte stessa. Vige cioè il principio della domanda, nemo iudex sine actore. Il principio è richiamato dall'articolo 34 comma 1 del codice, il quale stabilisce che in caso di accoglimento del ricorso il giudice emana la sentenza nei limiti della domanda. In applicazione di questo principio, rientra tra le prerogative del ricorrente non solo l'impulso processuale ma anche l'indicazione dell'oggetto della domanda, ivi incluso il provvedimento eventualmente impugnato. 
 Vale inoltre il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall'articolo 112 del codice di procedura civile. Questo principio preclude al giudice di pronunciarsi oltre il limite della domanda, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 162 del Codice Procedura Civile. Questo principio non impedisce al giudice di operare una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o di applicare una norma diversa da quella da esse invocata, sempre che restino Pagina di 37 114 I criteri stabiliti per la ripartizione della competenza tra i vari TAR tendono a promuovere la prossimità del giudice rispetto alle parti del giudizio, per rendere più agevole instaurare la controversia e svolgere le difese. Il primo criterio (c.d criterio di sede) si riferisce alla sede dell'amministrazione che ha emanato l'atto: è competente a conoscere la controversia il TAR nella cui circoscrizione è stabilita tale sede. Il secondo criterio (cosiddetto criterio dell'efficacia dell'atto) è quello degli effetti diretti del provvedimento: se questi sono limitati all'ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede, la competenza si radica in capo a quest'ultimo, anche se si tratta di atti statali. Questo criterio, che deroga al primo, realizza l'obiettivo del decentramento. Per gli atti statali con efficacia ultra-regionale è competente il TAR del Lazio. Il terzo criterio (cosiddetto criterio del foro del pubblico impiego) si applica solo alle controversie che riguardano i dipendenti pubblici non sottoposti al regime della privatizzazione; è competente il TAR nella cui circoscrizione è situata la sede di servizio, al fine di rendere più agevole l'accesso alla giustizia. Il TAR del Lazio ha un ruolo preminente a livello nazionale perché è investito in via esclusiva di una serie di controversie indicate tassativamente dall'articolo 135 del Codice e da altre disposizioni di legge. Si tratta della competenza cosiddetta funzionale, di cui all'articolo 14 del Codice, anch'essa inderogabile. La logica posta alla base del principio della inderogabilità della competenza del giudice di primo grado è che la questione di competenza deve essere sollevata e decisa nei tempi più celeri, al fine di non ritardare la conclusione del giudizio con una sentenza definitiva. A questo fine, la parte interessata deve eccepire l'incompetenza immediatamente, cioè entro il termine per la costituzione in giudizio, mentre il giudice può sollevarla d'ufficio finché la causa non è decisa in primo grado (non può dunque sollevarla in sede di appello). In secondo luogo, è previsto un procedimento speciale accelerato, il regolamento di competenza, che provoca una decisione del Consiglio di Stato vincolante per il TAR. Inoltre, per precludere il cosiddetto forum shopping, il TAR dinanzi al quale è stato proposto il ricorso non può pronunciarsi sulla domanda cautelare prima di aver deciso sulla questione della competenza. Se si ritiene incompetente, indica con ordinanza il TAR ritenuto competente innanzi al quale la causa Pagina di 40 114 dovrà essere riassunta e che dovrà pronunciarsi sulla domanda cautelare, anche nel caso in cui il secondo TAR adito si ritenga incompetente e richieda d'ufficio il regolamento di competenza. Il regolamento di competenza può essere chiesto d'ufficio oppure dalle parti del giudizio, che lo promuovono dopo l'emanazione dell'ordinanza che pronuncia sulla competenza. La decisione spetterà al Consiglio di Stato, verrà presa in camera di consiglio in contraddittorio con le parti e avrà la forma di ordinanza. Se viene indicato competente un TAR diverso da quello adito, il giudizio deve essere riassunto entro 30 giorni innanzi al TAR ritenuto competente. Il Consiglio di Stato è definito come organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa. I collegi che compongono le sezioni giurisdizionali decidono con l'intervento di 5 magistrati, tra i quali un presidente di sezione. Vi è, poi, l'Adunanza Plenaria, la quale è un tipo di adunanza nella quale si riunisce il Consiglio di Stato italiano, quando siede in veste giurisdizionale. É composta dal Presidente del Consiglio di Stato e da 12 magistrati provenienti da tutte le sezioni. Svolge una funzione nomofilattica, volta a favorire cioè l'applicazione uniforme del diritto da parte dei giudici amministrativi, e, pertanto, indirettamente volta a deflazionare il contenzioso alimentato anche da orientamenti giurisprudenziali difformi. Il deferimento del ricorso all'Adunanza Plenaria può avvenire con 3 modalità alternative: 1. deferimento su impulso di una sezione, allorché rilevi - d'ufficio o su istanza di parte - che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali. L'Adunanza in questo caso non è tenuta a decidere e può restituire, per ragioni di opportunità, gli atti alla sezione; 2. deferimento su impulso del Presidente del Consiglio di Stato, d'ufficio o su istanza di parte, quando ritenga che la questione da risolvere riguardi questioni di massima di particolare importanza ovvero possa essere opportuno per dirimere contrasti giurisprudenziali; 3. deferimento, cosiddetto obbligatorio, su impulso di una sezione allorché non condivida un principio di diritto enunciato dall'Adunanza Plenaria. L'Adunanza Plenaria decide l'intera controversia, ma può anche limitarsi ad enunciare il principio di diritto, restituendo per il resto il giudizio alla sezione remittente. In quest'ultimo caso, la statuizione dell'Adunanza Plenaria non Pagina di 41 114 ha carattere nemmeno parzialmente decisorio o definitorio della controversia, pertanto non può essere oggetto di un ricorso per Cassazione. Alle pronunce dell'Adunanza Plenaria che enunciano un principio di diritto è riconosciuta una natura essenzialmente interpretativa, tesa ad orientare i giudici amministrativi soprattutto per i casi futuri. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto di poter limitare al futuro l'applicazione del principio di diritto, derogando alla regola della retroattività, in presenza di alcune condizioni, quali: la presenza di un orientamento interpretativo consolidato, costituente diritto vivente, imprevedibilmente modificato dall'interpretazione fatta propria dell'Adunanza Plenaria; la necessità di evitare gravi ripercussioni socio- economiche derivanti dall'applicazione retroattiva e una lesione del principio di certezza del diritto a danno dei destinatari di un precetto normativo. In merito all'astensione, l'articolo 17 del Codice effettua un rinvio al codice di procedura civile, che all'articolo 51 individua i casi di sospensione obbligatoria e prevede che il giudice possa chiedere al capo dell'ufficio di astenersi per gravi ragioni di convenienza. In merito alla ricusazione, l'articolo 18 effettua un invio generale al Codice di Procedura Civile. Risulta così applicabile l'articolo 52, secondo il quale le parti possono proporre la ricusazione nei casi in cui il giudice ha l'obbligo di astenersi. LE PARTI Il processo amministrativo è un processo di parti poiché, in base al principio dispositivo, la sua instaurazione e la sua conclusione, nonché la definizione del perimetro del giudizio, sono rimesse alle iniziative delle parti. Le parti si distinguono in parti necessarie e parti eventuali. Le parti necessarie, che devono essere evocati in giudizio in modo che la sentenza sia emanata a contraddittorio integro, sono il ricorrente, l'amministrazione resistente e il controinteressato. Le parti eventuali sono gli intervenienti volontari ad adiuvandum e ad opponendum. Le parti hanno ruoli fissi: Pagina di 42 114 La legittimazione ed interesse ad agire devono essere accertati dal giudice prima dell'esame del merito della controversia, e attengono alla titolarità del diritto di azione in senso formale e astratto (legittimazione a ricorrere) e in senso concreto (interesse a ricorrere). La legittimazione ad agire trova un fondamento normativo nell'Articolo 81 del codice di procedura civile, il quale stabilisce che nessuno può far valere nel processo in nome proprio un interesse altrui, al di fuori dei casi tassativamente stabiliti dalla legge. Il processo deve cioè svolgersi tra le giuste parti o parti legittime, che sono quella che promuove il giudizio (legittimata attiva) e quella nei cui confronti è promosso (legittimata passiva). L'articolo 100 del codice di procedura civile, in merito all'interesse ad agire, stabilisce che per proporre una domanda o per contraddire la stessa è necessario avervi interesse. L'interesse ad agire tende ad evitare che possano essere proposte domande giudiziali quando il loro accoglimento non produce alcun effetto utile della sfera giuridica di chi le ha proposte; l'interesse ad agire deve essere concreto e attuale, perché il giudice non può risolvere questioni puramente astratte o accademiche. L'interesse ad agire risponde quindi a un'esigenza di economia processuale. L'interesse ad agire deve essere distinto dalla legittimazione ad agire: la legittimazione ad agire attiene alla relazione del soggetto con il diritto sostanziale dedotto in giudizio, mentre l'interesse ad agire indica una situazione di fatto in cui versa il diritto. L'accertamento della legittimazione ad agire è logicamente antecedente all'accertamento dell'interesse ad agire. L'interesse ad agire deve essere tenuto distinto anche dalla situazione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio, poiché l'accertamento della lesione della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio attiene maggiormente al merito della controversia. La verifica, ad opera del giudice, della legittimazione ad agire e dell'interesse ad agire, deve essere effettuata in astratto, cioè sulla base di quanto affermato dalla parte che propone il giudizio. La legittimazione ad agire e l'interesse ad agire devono sussistere al momento della presentazione della domanda e devono permanere per tutta la durata del giudizio. La legittimazione e l'interesse a ricorrere costituiscono i due filtri processuali principali, in presenza dei quali il giudice può decidere nel merito della controversia. Per quanto riguarda legittimazione a ricorrere, occorre distinguere tra legittimazione cosiddetta ordinaria, collegata alla titolarità di una situazione Pagina di 45 114 giuridica soggettiva, e legittimazione straordinaria o ex lege. La dottrina e la giurisprudenza tradizionali intendo la legittimazione ordinaria come effettiva titolarità della situazione giuridica dedotta in processo, da accertare in limine litis. Questa tesi ingloba nell'accertamento della legittimazione a ricorrere anche la sussistenza della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio. Suddetta tesi trova una giustificazione teorica nell'opinione secondo cui il processo amministrativo verte essenzialmente sulla legittimità del provvedimento impugnato. L'esito del processo, pertanto, è determinato dal illegittimità del provvedimento impugnato. L'accertamento della sussistenza della situazione giuridica sostanziale va operato quindi in sede di valutazione della legittimazione a ricorrere, prima dell'esame del merito della controversia. La dottrina e la giurisprudenza più recenti sono propensi ad abbandonare questa tesi tradizionale e andare ad allineare il processo amministrativo al modello del processo civile, poiché l'interesse legittimo va considerato come una situazione giuridica soggettiva autonoma dal processo. Inoltre, solo così la legittimazione a ricorrere può mantenere un carattere unitario nel processo amministrativo. Quest'ultima, infatti, può essere instaurato anche per la tutela di diritti soggettivi. Sarebbe dunque disarmonico attribuire alla legittimazione a ricorrere una configurazione a geometria variabile, nel senso che essa possa essere intesa a seconda della situazione giuridica soggettiva come titolarità effettiva, nel caso dell'interesse legittimo, o solo affermata, nel caso del diritto soggettivo. In ambiti particolari, il legislatore ha attribuito a determinati soggetti una legittimazione straordinaria che prescinde dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva; si devono distinguere due gruppi di casi: il primo, riguardanti soggetti portatori di interessi diffusi, e il secondo, che riguarda invece alcuni enti e apparati pubblici. L’INTERESSE A RICORRERE L'interesse a ricorrere conferma la concezione soggettiva della tutela propria anche nel processo amministrativo. L'interesse a ricorrere risponde a ragioni di economia processuale ed è utilizzato dalla giurisprudenza come filtro processuale. Non è un fattore che fonda in positivo l'azione, bensì un fattore la cui mancanza preclude la pronuncia sul merito del ricorso. In virtù del rinvio esterno di cui all'articolo 39, al processo amministrativo viene applicato l'articolo 100 del codice di procedura civile in tema di interesse ad agire. L'articolo 35, inoltre, prevede che il giudice possa dichiarare anche d'ufficio il ricorso inammissibile qualora Pagina di 46 114 carente di interesse, oppure improcedibile quando nel corso del giudizio sopravvenga il difetto di interesse delle parti alla decisione. L'articolo 34 prevede l'ipotesi che, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento non risulti più utile per il ricorrente, enucleando implicitamente il concetto di utilità concreta della sentenza del giudice amministrativo. Pertanto, qualora dovesse accadere, il giudice dovrebbe accertare l'illegittimità dell'atto qualora sussistesse l'interesse a fini risarcitori. L'interesse a ricorrere deve sussistere al momento in cui viene proposto il ricorso e deve perdurare fino alla sentenza. L'interesse a ricorrere viene generalmente definito come la prospettazione di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente, nonché l'effettiva utilità che potrebbe derivare al ricorrente dall'annullamento dell'atto impugnato. Il beneficio e l'utilità della sentenza devono riferirsi al ricorrente e devono essere effettivi. La verifica di tale interesse va operata sulla base degli elementi desumibili dal ricorso introduttivo del giudizio, dalle domande in esso formulate e dai motivi dedotti. La verifica prescinde dunque dall'accertamento effettivo della sussistenza della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e della lesione che il ricorrente afferma di aver subito ad opera di un provvedimento illegittimo, questioni entrambe che attengono al merito. Nel caso si tratti di regolamenti e atti amministrativi generali illegittimi, l'interesse al ricorso sorge solo nel momento in cui viene emanato un atto applicativo che rende concreta e attuale la lesione. L'impugnazione del regolamento dell'atto generale è necessaria una volta adottato l'atto applicativo, atteso che se fosse impugnato solo quest'ultimo il ricorso sarebbe inammissibile per mancata impugnazione dell'atto presupposto dalla cui legittimità discende l'illegittimità dell'atto applicativo. L'impugnazione dell'atto applicativo è necessaria anche nei casi in cui sia stata proposta l'impugnazione immediata del regolamento o dell'atto generale, perché in mancanza verrebbe meno l'interesse al loro annullamento. In merito alla concretezza dell'utilità o del beneficio derivante dall'accoglimento del ricorso, in molte fattispecie rileva la cosiddetta prova di resistenza. L'utilità e il beneficio possono consistere anche in un interesse morale. CAPITOLO 7 LE AZIONI L’EVOLUZIONE STORICA Come già detto più volte, il processo amministrativo ha avuto storicamente al suo centro il ricorso per l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo. Pagina di 47 114 L’IMPOSTAZIONE DEL CODICE Il Codice dedica alcuni articoli alle azioni esperibili nel processo di cognizione. Fin dall’inizio l’intenzione del legislatore codificante era peraltro quella di improntare il sistema delle azioni al principio della completezza dei mezzi di tutela e della strumentalità delle azioni rispetto ai bisogni di tutela correlati alle situazioni giuridiche. Il Capo II Azioni di cognizione inserito   nel Titolo III Azioni e domande individua così le seguenti azioni esperibili nell’ambito del processo di cognizione: - l’azione di annullamento (art. 29); - le azioni di condanna avente natura sostanzialmente atipica che razionalizza soprattutto l’evoluzione subita in seguito all’affermarsi del principio della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo (art. 30); - le azioni avverso il silenzio e per la declaratoria della nullità (art. 31). - L’azione cautelare - l’azione di ottemperanza L’azione di adempimento è stata, invece, recuperata da un decreto legislativo correttivo del Codice. Il Codice si ispira almeno in parte alla legge processuale tedesca che prevede le azioni di annullamento, di adempimento e di accertamento. Si differenzia invece dal codice di procedura civile nel quale manca una disciplina organica delle azioni e delle sentenze, la cui classificazione, già esaminata, è il frutto della elaborazione dottrinale. La questione della tipicità  o atipicità delle azioni si era posta in dottrina anche per il processo amministrativo prima dell’emanazione del Codice. La giurisprudenza si era orientata da ultimo nel riconoscere, sulla scorta del processo civile, il principio della atipicità, ammettendo in particolare l’azione di accertamento proposta dal terzo, volta a contestare una segnalazione certificata di inizio di attività. Questa impostazione è stata confermata dalla giurisprudenza dopo l’emanazione del Codice. In definitiva la disciplina del Codice in tema di azioni non introduce un principio di tassatività che la stessa giurisprudenza ora citata ha ritenuto di dubbia costituzionalità. Pagina di 50 114 In materia di azioni  , il Codice pone il principio del cumulo delle domande all’interno di un unico ricorso e il principio della conversione delle azioni (art. 32). - Quanto al cumulo delle domande, in alcuni casi esso è richiesto espressamente dal Codice o è comunque incentivato. In tema di cumulo, l’art. 31, comma 1, prevede che nel caso in cui le azioni proposte sono sottoposte a riti diversi, si applica in linea di principio il rito ordinario. - Quanto alla conversione delle azioni  , l’art. 31, comma 2, chiarisce anzitutto che spetta al giudice qualificare l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali. Questa regola è espressione del principio jura novit curia secondo il quale spetta al giudice individuare le norme di diritto. Il giudice amministrativo, al pari di quello civile, può dunque interpretare e qualificare la domanda senza essere condizionato dalla formula adottata dalla parte. Il giudice può anche riqualificare la domanda. Questo principio persegue anche la finalità di garantire la ragionevole durata del processo. - Un esempio di conversione può essere quello di un’azione di accertamento del diritto soggettivo al riconoscimento di una revisione del corrispettivo di un contratto di fornitura convertita, in un’azione avverso il silenzio. - È stata ritenuta ammissibile in giurisprudenza anche la conversione di un ricorso incidentale in una eccezione. L’AZIONE DI ANNULLAMENTO L’azione di annullamento rientra nel genere delle azioni costitutive ed è esperibile nelle ipotesi di: violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere entro un termine decadenziale di 60 giorni. La sua centralità nel sistema delle azioni emerge sotto più profili. - In primo luogo l’azione di annullamento costituisce la modalità principale e necessaria per sottoporre al giudice amministrativo la legittimità di un provvedimento. Solo l’azione risarcitoria autonoma o «pura» può essere esperita senza la proposizione contestuale dell’azione di annullamento ma, come si vedrà, essa è soggetta a regole tali da disincentivarla. A differenza del giudice civile, il giudice amministrativo non può accertare in via incidentale la legittimità di un provvedimento ai fini della disapplicazione. Un’eccezione è peraltro la disapplicazione dei regolamenti, nel caso in cui essi contrastino con norme di rango sovraordinato. Pertanto, così come il giudice amministrativo è tenuto a disapplicare leggi contrastanti con Pagina di 51 114 norme europee, allo stesso modo, nel contrasto (antinomia) tra norma regolamentare e norma legislativa in base al principio di gerarchia delle fonti, deve disapplicare la prima e applicare la seconda. Si tratta di un potere esercitabile d’ufficio anche in sede di appello. - In secondo luogo, l’azione di adempimento, deve essere proposta, nel caso in cui l’amministrazione emani un provvedimento di diniego, unitamente all’azione di annullamento indispensabile per accertare l’illegittimità e rimuovere quest’ultimo. - In terzo luogo, il giudice amministrativo non può pronunciarsi in via preventiva, su poteri non ancora esercitati. La nullità del provvedimento costituisce un’eccezione alla regola dell’annullabilità, in quanto l’azione di nullità nel processo amministrativo ha un ruolo marginale. L’azione di annullamento  può essere peraltro proposta, oltre che nei confronti di provvedimenti, anche in relazione agli accordi sostitutivi del provvedimento e al silenzio-assenso. - I primi costituiscono infatti, solo una modalità alternativa di esercizio del potere e di produzione degli effetti rispetto all’emanazione di un provvedimento. Sono dunque suscettibili di contestazione, da parte di soggetti terzi incisi negativamente nella propria sfera giuridica, legittimati a proporre un’azione di annullamento. - Il silenzio-assenso costituisce invece una modalità alternativa nella produzione degli effetti di un provvedimento espresso non emanato nel termine previsto. E anche in questo caso il terzo leso da tali effetti può attivare lo stesso rimedio impugnatorio che avrebbe potuto esperire nei confronti del provvedimento espresso. L’azione di annullamento non può essere esperita invece, contro lo strumento acceleratorio costituito dalla segnalazione certificata di inizio di attività che non ha natura provvedimentale. L’azione di annullamento mira a rimuovere il provvedimento impugnato con effetto retroattivo (ex tunc), nel senso che la sentenza di accoglimento elimina l’atto e tutti gli effetti da esso prodotti medio tempore, cioè dal momento in cui esso ha avuto efficacia.   Il principio della retroattività, peraltro, come già accennato appare ormai meno granitico. In una controversia relativa alla legittimità di un piano Pagina di 52 114 Iniziando dall’azione risarcitoria correlata all’emanazione di un provvedimento illegittimo, di essa conosce esclusivamente il giudice amministrativo, senza dunque alcuno spazio residuo per il giudice ordinario. Il Codice ha risolto il contrasto giurisprudenziale sorto all’indomani della sentenza n. 500/1999, in merito ai rapporti tra azione di annullamento e azione di risarcimento, la quale aprì la strada al risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo. Da un lato, la Corte di cassazione riteneva che il privato fosse pienamente libero di scegliere se proporre l’azione di risarcimento in modo autonomo entro il termine quinquennale di prescrizione o in connessione con l’azione di annullamento da proporre entro il termine di decadenza di 60 giorni. Dall’altro il giudice amministrativo negava questa possibilità di scelta affermando che potesse essere proposta l’azione di risarcimento solo se fosse stata tempestivamente proposta l’azione di annullamento (la cosiddetta pregiudizialità amministrativa). La tesi della pregiudizialità amministrativa, che assegnava una priorità alla tutela specifica rispetto alla tutela per equivalente, sia limitava gli esborsi a carico dello stato, sia era più conforme alla visione tradizionale dell’interesse legittimo, considerato quasi come servente rispetto all’interesse pubblico. Il Codice non accoglie il principio della pregiudizialità amministrativa, che imponeva al ricorrente di impugnare l’atto illegittimo anche nel caso in cui tale forma di tutela non fosse atta a soddisfare il suo interesse. Ammette infatti l’azione risarcitoria pura, ma le assegna, comunque, una funzione complementare rispetto all’azione di annullamento. L’azione risarcitoria può essere proposta con due modalità, cioè contestualmente ad altra azione, o «anche in via autonoma» - La prima modalità  si riferisce anzitutto all’ipotesi nella quale l’azione risarcitoria è proposta unitamente all’azione di annullamento collegata a un interesse legittimo oppositivo, o anche all’azione avverso il silenzio e all’azione di adempimento collegate a un interesse legittimo pretensivo. Anche in questo caso l’azione risarcitoria interviene per reintegrare in modo completo l’interesse legittimo leso. In definitiva, il carattere complementare dell’azione di risarcimento emerge per il fatto che il danno risarcibile è solo quello che non può essere ristorato attraverso l’altra azione proposta contestualmente. Pagina di 55 114 Da un punto di vista procedurale l’azione risarcitoria, se non è già inclusa nel ricorso introduttivo può essere formulata nel corso del giudizio o anche successivamente al passaggio in giudicato. La contestualità non va dunque intesa come coincidenza temporale. - La seconda modalità, cioè l’azione di risarcimento proposta in modo autonomo (azione risarcitoria «pura»), è sottoposta a due regole che la disincentivano e che anzi, secondo alcuni commentatori, introducono una sorta di «pregiudizialità mascherata». -La prima regola è che l’azione deve essere proposta entro un termine di 120 giorni dal fatto o dalla conoscenza del provvedimento che ha provocato il danno. -La seconda regola disincentivante  è che in sede di determinazione dell’ammontare del risarcimento, il giudice amministrativo deve escludere i danni «che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento dei mezzi di tutela previsti». Sotto il profilo procedurale, il ricorso con il quale si propone l’azione di condanna autonoma deve essere notificato anche agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo. L’obbligo di notifica può apparire poco giustificato. Infatti, l’azione risarcitoria autonoma attiene a un rapporto bilaterale tra soggetto danneggiato e amministrazione danneggiante e non incide direttamente nella sfera giuridica di altri soggetti. La questione di legittimità del provvedimento viene cioè conosciuta dal giudice in via incidentale e un siffatto accertamento può rivelarsi lesivo della posizione giuridica soggettiva del destinatario dell’atto a lui favorevole perché potrebbe, per esempio, indurre l’amministrazione ad annullare d’ufficio il provvedimento. Pertanto, la veste di litisconsorte necessario fa sì che l’accertamento dell’illegittimità faccia stato anche nei confronti del beneficiario dell’atto. La posizione di litisconsorte necessario è distinta da quella del controinteressato prevista nel giudizio di impugnazione che invece potrebbe subire una lesione diretta nella propria sfera giuridica in caso di accoglimento del ricorso. L’azione può essere finalizzata anche ad ottenere il risarcimento in forma specifica e, in riferimento agli interessi legittimi pretensivi, il risarcimento del danno in forma specifica non deve essere confuso con la condanna a conseguire il bene della vita a seguito dell’accoglimento dell’azione di Pagina di 56 114 adempimento, poiché quest’ultima non presuppone un illecito ad opera della pubblica amministrazione in violazione dell’art. 2043 c.c. Sotto il profilo probatorio, l’onere della prova grava sul ricorrente in particolare per quanto riguarda «la prova dell’esistenza del danno subito e della sua entità», altrimenti la domanda risarcitoria va considerata generica e pertanto inammissibile. Per completezza, va ricordato che il Codice prevede un’altra azione di condanna, cioè quella relativa al pagamento delle spese del giudizio. Queste sono poste in linea di principio a carico della parte soccombente, salva la possibilità per il giudice di compensarle tra le parti. La disciplina del Codice rinvia in gran parte al codice di procedura civile. L’AZIONE DI ADEMPIMENTO L’azione di condanna pubblicistica o azione di adempimento può essere esperita per ottenere il rilascio di un provvedimento favorevole. Essa costituisce lo strumento principale per tutelare gli interessi legittimi pretensivi in caso di inerzia della pubblica amministrazione o di diniego espresso del provvedimento richiesto. L’azione di adempimento deve essere proposta contestualmente all’azione avverso il silenzio o avverso il provvedimento di diniego. Infatti, da un lato, l’accertamento dell’illegittimità del silenzio costituisce il presupposto logico per la condanna dell’amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto (che non può essere ammessa qualora sia accertata l’assenza di un obblio di provvedere). Dall’altro lato, l’impugnazione e il successivo annullamento del provvedimento di diniego all’esito del giudizio di cognizione costituiscono condizioni necessarie per l’esperimento dell’azione di adempimento. Infatti, se il provvedimento non è impugnato, ammettere l’azione di adempimento significherebbe consentire «un surrettizio aggiramento dei termini perentori per l’impugnazione»; il mancato annullamento del provvedimento di diniego - perché esente da vizi - esclude, invece, in radice la spettanza del bene della vita e dunque preclude l’azione di adempimento. Il codice richiama, per l’azione di adempimento, una disposizione prevista per l’azione avverso il silenzio, che consente al giudice di accertare entro certi limiti la spettanza del bene della vita. In base a questa disposizione, se il giudice accerta che l’amministrazione non ha discrezionalità e che dunque l’emanazione dell’atto è dovuta, può Pagina di 57 114 In presenza di un potere qualificato come vincolato e verificata la sussistenza di tutti i presupposti di fatto, essa non potrà far altro, di regola, se non emanare il provvedimento richiesto. La differenza principale rispetto all’azione di adempimento, è che il giudice, accertata la fondatezza della pretesa, non può includere nel dispositivo della sentenza una condanna diretta dell’amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto. Può soltanto ordinare all’amministrazione di provvedere entro un termine di norma non superiore a 30 giorni. Il giudice può anche provvedere alla nomina di un commissario ad acta nel caso in cui l’amministrazione non adotti il provvedimento richiesto. All’atto pratico, la differenza tra azione avverso il silenzio e azione di adempimento è in molti casi minima. Infatti, tenuto conto che quest’ultima deve essere proposta sempre insieme alla prima nel caso di inerzia dell’amministrazione, la differenza consiste essenzialmente in un «petitum aggiuntivo» e cioè appunto la richiesta di condannare l’amministrazione all’emanazione del provvedimento favorevole. Un cenno finale  va dedicato all’azione avverso il silenzio espressamente prevista dalla legge, nel caso della segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA). La disposizione prevede che gli interessati, cioè i terzi che intendono contrastare l’avvio dell’attività da parte del soggetto che ha presentato la SCIA, possano sollecitare la verifica da parte dell’amministrazione circa l’esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge per l’avvio dell’attività. Dopo aver effettuato tale sollecito in caso di inerzia, può essere esperita «esclusivamente l’azione avverso il silenzio». In giurisprudenza erano state prospettate più interpretazioni. - Secondo una prima interpretazione (Consiglio di Stato), il terzo era legittimato a proporre un’azione di accertamento atipica volta a far dichiarare l’attività avviata come non conforme alle norme e di conseguenza a indurre l’amministrazione a esercitare i poteri repressivi e interdittivi, cioè il divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi entro 60 giorni. - Secondo un’altra interpretazione (Consiglio di Stato) la mancata emanazione del provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività nel termine previsto di 60 giorni veniva qualificata come provvedimento tacito impugnabile. L’azione avverso il silenzio  è stata oggetto di una pronuncia della Corte costituzionale che ha ritenuto costituzionalmente legittima la disposizione, Pagina di 60 114 pur mettendo in luce alcune imperfezioni del meccanismo complessivo della SCIA. Il difetto, secondo la Corte, è che, scaduto il termine, il terzo ha a disposizione rimedi poco efficaci come richiedere all’amministrazione di attivare i poteri di verifica di eventuali dichiarazioni mendaci o false, sollecitare i poteri generali di vigilanza e repressivi, far valere la responsabilità per i danni a carico dell’amministrazione e dei funzionari che non hanno agito tempestivamente. La tutela processuale del terzo non appare dunque risolta in modo soddisfacente. L’AZIONE DI NULLITA’ E L’AZIONE DI ACCERTAMENTO Come si è già accennato, l’azione di nullità è l’unica azione di accertamento tipizzata dal Codice. L’azione di nullità pone anzitutto un problema di giurisdizione risolto dal Codice soltanto nel caso citato della violazione o elusione del giudicato che rientra tra i casi di giurisdizione esclusiva. Di regola, l’azione volta ad accertare la nullità rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Ciò perché, l’atto nullo è privo del carattere di autoritarietà e non è in grado di incidere sulle situazioni giuridiche di diritto soggettivo. Infatti «il provvedimento nullo non produce l’effetto degradatorio e lascia sopravvivere intatto il diritto soggettivo, con conseguente attribuzione della controversia alla giurisdizione ordinaria». Le ipotesi di provvedimento nullo  che incidono su un interesse legittimo sono più difficili da configurare e riguardano essenzialmente gli interessi legittimi pretensivi. Il Codice disciplina l’azione di nullità  fissando anzitutto un termine decadenziale di 180 giorni per la sua proposizione. La disposizione prevede un’eccezione per l’azione di nullità per elusione o violazione del giudicato proposta nell’ambito del giudizio di ottemperanza per il quale è stabilito un termine di prescrizione di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza. Il termine di decadenza può apparire anomalo visto che in materia civile l’azione di nullità in particolare in materia di contratti è imprescrittibile. Il termine di 180 giorni è giustificato dall’esigenza di assicurare certezza ai rapporti di diritto pubblico. Il decorso del termine non determina una sorta di sanatoria del provvedimento nullo che continua a non produrre effetti. La Pagina di 61 114 nullità può essere anzi opposta senza limiti di tempo dalla parte resistente, ma anche dal controinteressato, o rilevata d’ufficio dal giudice. Tuttavia, come ha chiarito la giurisprudenza, ove il ricorrente abbia proposto l’azione di nullità senza rispettare il termine di 180 giorni, la nullità non può essere rilevata d’ufficio, perché ciò renderebbe vana la previsione del termine decadenziale. La rilevazione della nullità in via d’eccezione o d’ufficio da parte del giudice ha uno scopo funzionale all’esame della fondatezza della domanda giudiziale proposta. Nel caso in cui venga eccepita la nullità il giudice può valutare se limitarsi ad accogliere l’eccezione, ritenendo cioè l’atto affetto da nullità non rilevante nell’ambito del giudizio, oppure procedere a una declaratoria formale della nullità «producendo l’effetto della scomparsa dell’atto amministrativo dal mondo giuridico». Se la nullità viene rilevata d’ufficio, il giudice, in base alla regola generale deve avvertire le parti e darne atto nel verbale dell’udienza di discussione. In materia di contratti pubblici si è posta la questione se contro una clausola escludente di un bando di gara affetta da nullità sussista un onere per l’impresa di proporre subito il ricorso. La giurisprudenza ha chiarito che la clausola nulla è «inefficace e improduttiva di effetti» e «si deve considerare come non apposta», ciò che esclude la necessità di proporre l’azione di nullità nel termine di 180 giorni. Tuttavia, il provvedimento di esclusione conserva il suo carattere autoritativo e va impugnato «per aver fatto illegittima applicazione della clausola escludente nulla» nel termine ordinario (30 giorni, trattandosi di procedimento di aggiudicazione in materia di contratti pubblici). Azione di accertamento L’azione di mero accertamento non è espressamente prevista dal Codice. E’ ammessa sia per i diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sempre che sussista il requisito dell’interesse a ricorrere, sia per gli interessi legittimi, per i quali la giurisprudenza ha ammesso l’azione di accertamento in base al principio della atipicità delle azioni ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost. e art. 1 del Codice. Anche nel caso degli interessi legittimi è necessaria la dimostrazione dell’interesse ad agire. All’azione di accertamento si è ritenuta applicabile la regola prevista espressamente solo per l’azione di annullamento che onera il ricorrente a notificare il ricorso ad almeno un controinteressato. Pagina di 62 114 In realtà, come si vedrà, il Codice non consente la deduzione in giudizio e l’accertamento del rapporto giuridico amministrativo nella sua integralità, specie quando l’amministrazione è titolare di un potere discrezionale. Anche la giurisprudenza ha precisato che solo nei casi di poteri e provvedimenti vincolati il giudizio ha per oggetto direttamente il rapporto amministrativo controverso. Su queste basi l’oggetto del processo amministrativo è stato definito come «il potere amministrativo (inteso come situazione giuridica soggettiva) in funzione della tutela dell’interesse legittimo». Il baricentro della definizione si sposta dunque dal provvedimento amministrativo all’interesse legittimo fatto valere in giudizio e al bene della vita a questo collegato. Il provvedimento impugnato rileva in modo strumentale, cioè soltanto ai fini dell’accertamento della lesione dell’interesse legittimo. Nel caso in cui non sia stato emanato alcun provvedimento, cioè nel caso di azione avverso il silenzio, l’interesse legittimo pretensivo fatto valere nel giudizio subisce invece una lesione dal comportamento inerte dell’amministrazione. La rimozione della lesione avviene attraverso l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di provvedere e della fondatezza della pretesa. Il titolo o causa petendi della domanda si identifica, come si è detto, con il fatto costitutivo. Nel caso dell’interesse legittimo la causa petendi può essere desunta dalle posizioni legittimanti. Tra le principali, può essere indicata la titolarità di un diritto soggettivo inciso da un provvedimento restrittivo - la presentazione di una domanda o istanza volta al rilascio di un provvedimento amministrativo favorevole - la partecipazione a una procedura concorsuale. L’oggetto del giudizio è perimetrato dal ricorso, integrato dall’eventuale introduzione di motivi aggiunti. Ma anche l’amministrazione resistente e gli eventuali controinteressati, come si dirà, possono concorrere a definirlo. IL CONTENUTO DEL RICORSO. I MOTIVI Iniziando dal ricorso, il Codice indica il suo contenuto minimo. Rilevano soprattutto l’indicazione: - dell’oggetto della domanda - l’esposizione sommaria dei fatti - i motivi di ricorso - l’indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice Pagina di 65 114 - Quanto all’oggetto della domanda essa deve indicare anche l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato. Questa specificazione non è necessaria in particolare quando il ricorso è proposto avverso il silenzio dell’amministrazione o viene proposta un’azione risarcitoria autonoma. - Per quanto riguarda i fatti, essi vengono indicati nel ricorso, sono posti a fondamento delle domande e devono essere provati dal ricorrente. L’esposizione dei fatti deve essere «sommaria», ma comunque sufficientemente precisa. La narrazione dei fatti può essere più o meno sintetica anche in relazione alla complessità della vicenda. - I motivi  di ricorso consistono nei singoli vizi di legittimità (vizi-motivi) rientranti in una delle tipologie dell’incompetenza, della violazione di legge o dell’eccesso di potere. Si consideri per esempio un ricorso proposto contro un unico provvedimento in relazione al quale vengono denunciate una pluralità di violazioni di legge e alcuni profili di eccesso di potere. Ciascun vizio, rientrante in una delle tre fattispecie di vizi tipizzate, costituisce motivo autonomo e sufficiente a determinare l’annullamento del provvedimento impugnato. I motivi devono essere «specifici», nel senso che devono essere chiaramente enunciati e individuati nel ricorso. Motivi generici sono «inammissibili». Inoltre devono essere indicati in una parte del ricorso dedicata quindi separata da quella relativa al fatto. E’ stato precisato che la chiarezza e specificità «si riferiscono all’ordine delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato» e vanno evitati i cosiddetti «motivi intrusi», cioè inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto che generano il rischio di «sentenze che non esaminano tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco», con la conseguente possibilità che esse siano suscettibili di ricorso per revocazione. Solo nel caso già menzionato del ricorso «al buio», proposto in attesa di poter avere contezza piena del provvedimento impugnato, i vizi-motivi possono essere meno precisi. Nell’interpretazione giurisprudenziale si è affermata la tesi secondo la quale la domanda fondata su più ragioni (o motivi) è unica perché «ciò che conta è l’effetto cassatorio che è unico». Pagina di 66 114 I motivi di ricorso vanno inquadrati nel contesto dei principi della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In base a essi il giudice amministrativo è obbligato a «scrutinare, in caso di accoglimento del ricorso, tutti i vizi-motivi e le correlate domande di annullamento». Sempre in base ai principi sopra richiamati, il giudice non può porre alla base della sua decisione profili di illegittimità del provvedimento impugnato non dedotti nel ricorso, ampliando così d’ufficio l’oggetto del giudizio. La sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione. Per contro, in conformità alla regola del jura novit curia il giudice può invece riqualificare i motivi di ricorso. Espressione del principio della domanda  è la facoltà riconosciuta al ricorrente, di graduare i motivi enucleati nel ricorso, imponendo così al giudice l’ordine dei motivi da esaminare e decidere. Il ricorrente può cioè indicare nel ricorso il motivo dedotto in via principale e quelli dedotti in via subordinata. Se dal ricorso non emerge in modo chiaro e univoco la volontà di graduare i motivi, spetta al giudice decidere l’ordine dell’esame. La graduazione dei motivi da parte del ricorrente avviene generalmente in funzione della maggiore o minore utilità che egli ritiene di poter trarre dalla pronuncia di accoglimento.   Sempre in tema di ordine dei motivi, se il ricorso è rivolto contro un regolamento, un atto generale o un atto presupposto i vizi-motivi dedotti contro i primi vanno proposti anche «in via derivata» nei confronti dei secondi: dall’illegittimità di questi ultimi discende l’illegittimità dei primi che va accertata in via prioritaria. I secondi peraltro possono essere affetti da «vizi propri» deducibili sotto forma di motivi rivolti direttamente contro di essi. Così, per esempio, in un ricorso proposto dal proprietario di un terreno confinante nei confronti di un permesso a costruire conforme a norme tecniche di attuazione ritenute illegittime può essere dedotto un vizio- motivo in via derivata, ma anche un vizio-motivo «proprio», perché per esempio, il progetto non rispetta le distanze minime tra edifici. Il Codice prevede anche che dopo la proposizione del ricorso il ricorrente può introdurre con i motivi aggiunti «nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte» e «domande nuove purché connesse a quelle già proposte». Pagina di 67 114 incidentale è volto a dimostrare che il totale dei voti ottenuti è comunque superiore ai voti ottenuti dal secondo classificato. Il ricorso incidentale inoltre non mira all'annullamento dell’atto, bensì alla sua conservazione, paralizzando il ricorso principale. Il ricorso incidentale può essere proposto contro lo stesso atto impugnato con il ricorso principale ma anche contro atti diversi da quelli impugnati con quest’ultimo. Il ricorso incidentale si propone contro l'amministrazione che ha emanato l'atto già impugnato ed essa assume la posizione processuale di resistente e di conseguenza dovrà svolgere le proprie difese sia contro ricorso principale ma anche contro ricorso incidentale. Il ricorso incidentale può essere proposto dalla pubblica amministrazione resistente con riferimento all'impugnazione di atti presupposti adottati da altre autorità e che se non potrebbe autonomamente annullare d’ufficio. È discussa in dottrina e in giurisprudenza la natura del ricorso incidentale ma dopo l'emanazione del codice la giurisprudenza ha confermato che il ricorso incidentale costituisce forma di difesa attiva della parte che lo propone. Diversa dal ricorso incidentale è una domanda riconvenzionale che è prevista nelle controversie riguardanti diritti soggettivi attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. A differenza del ricorso incidentale la domanda riconvenzionale non ha carattere accessorio e il suo esame può avvenire anche se ricorso principale viene dichiarato inammissibile. PROFILI PROCEDURALI Sotto il profilo procedurale il ricorso deve essere sottoscritto da un avvocato sulla base di una procura alle liti. Il ricorso deve essere notificato entro il termine previsto per le singole azioni all'amministrazione resistente e agli eventuali contro interessati e deve essere depositato nella segreteria del giudice entro 30 giorni. È prevista la possibilità per la parte di proporre al giudice un'istanza di abbreviazione dei termini fino alla metà nei casi di urgenza e un'istanza di autorizzazione per il deposito tardivo di memorie e documenti. Vige inoltre il principio di sospensione feriale dei termini processuali. Un adempimento necessario è l'istanza di fissazione dell'udienza di discussione che va presentata entro il termine di un anno. Trascorso un certo lasso di tempo la parte può segnalare l'urgenza del ricorso depositando la cosiddetta istanza di prelievo che può consentire al giudice di definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata. Il ricorrente deve anche provvedere al pagamento del cosiddetto contributo unificato. Le parti alle quali è stato notificato il ricorso Pagina di 70 114 possono costituirsi nel giudizio e possono presentare memorie e formulare istanze e indicare i propri mezzi di prova. I difensori devono indicare un indirizzo di posta elettronica certificata e possono sottoscrivere gli atti con firma digitale. Ad oggi è previsto anche il cosiddetto processo telematico che ha eliminato e semplificato molti adempimenti. LA TUTELA CAUTELARE Una delle decisioni strategiche che il ricorrente deve prendere quando promuove il giudizio è se inserire nel ricorso anche una domanda cautelare al fine di attivare una forma di tutela che è funzionale all'adozione di misure urgenti provvisorie che hanno lo scopo di impedire il verificarsi di danni gravi e irreparabili in capo al ricorrente. La domanda cautelare introduce un vero giudizio incidentale di merito. Quest'ultima è stata ritenuta dalla corte costituzionale indefettibile e oggi sono state annullate molte leggi che la escludevano o la comprimevano. In origine la tutela cautelare era prevista con riferimento ai provvedimenti con effetti restrittivi della sfera giuridica del destinatario invece ad oggi la giurisprudenza amministrativa ha ampliato l'ambito di applicazione della tutela cautelare. Oggi è ammessa anche nei confronti di alcuni tipi di atti negativi come per esempio il diniego di rinnovo dei provvedimenti favorevoli precedentemente rilasciati. Anche altri atti con riferimento ad interessi legittimi pretensivi vennero ritenuti suscettibili di tutela cautelare come per esempio il diniego di ammissione alle prove di un concorso pubblico di un candidato ritenuto privo dei requisiti richiesti per la partecipazione ma sulla base della pronuncia cautelare positiva veniva ammesso con riserva. Nel silenzio della legge la giurisprudenza amministrativa ammise la possibilità di proporre appello avverso l'ordinanza cautelare emessa dal giudice di primo grado. L'articolo 55 del codice individua i requisiti per la concessione della misura cautelare e cioè il fumus boni juris e il periculum in mora. - Quanto al fumus boni juris, l'ordinanza cautelare deve motivare in ordine ai profili che ad un sommario esame inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso. La valutazione del fumus da parte del giudice non deve essere particolarmente approfondita. - Quanto al periculum in mora, il ricorrente può proporre la domanda cautelare allegando di subire un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso. La tutela cautelare ha carattere strumentale rispetto alla sentenza definitiva. Nel giudizio di merito la fase cautelare costituisce una sorta di incidente nel processo. Pagina di 71 114 L'articolo 55 del codice individua le misure cautelari che possono essere richieste. Esse non consistono soltanto nella sospensione degli effetti del provvedimento impugnato ma sono tutte quelle che appaiono più idonee ad assicurare gli effetti della decisione del ricorso inclusa l'ingiunzione a pagare una somma di denaro. L'istanza cautelare può essere proposta in tre momenti: - il ricorrente può proporre immediatamente inserendo la domanda cautelare nel ricorso introduttivo; - può essere proposta con ricorso autonomo notificato alle parti in un momento successivo, se nel corso del giudizio di merito si presentano circostanze nuove o se l'amministrazione assume iniziative che rendono concreto e attuale il danno; - può essere attivata ante causam, cioè prima della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio di cognizione. Quest'ultima può essere proposta solo in caso di eccezionale gravità e urgenza tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso. Il ricorso del giudice monocratico che accoglie l'istanza perde efficacia se entro 15 giorni il ricorrente non notifica il ricorso e l’istanza cautelare avviando così il giudizio di cognizione. Sull'istanza cautelare si pronuncia il collegio con ordinanza assunta nella prima camera di consiglio utile e all'esito di un contraddittorio scritto e orale. In caso di estrema gravità e urgenza le misure cautelari provvisorie possono essere concesse con decreto del presidente del collegio. Tale decreto generalmente viene emesso entro 12 giorni anche senza contraddittorio ed efficace solo fino alla prima camera di consiglio nella quale il collegio provvede con ordinanza. Sull'istanza cautelare si pronuncia il collegio il quale ha più opzioni: - può respingere o accogliere l'istanza (in questo secondo caso deve fissare la data di discussione del ricorso). Nel valutare se accogliere o respingere l'istanza il collegio opera una valutazione sommaria del fumus boni juris e del periculum in mora; - il collegio può anche subordinare la concessione del diniego della misura cautelare alla presentazione di una cauzione; - il collegio può fissare una data ravvicinata per l'udienza di merito al posto della misura cautelare nei casi in cui ritenga che l'esigenza del ricorrente possono essere tutelate con questa modalità. Talora è lo stesso ricorrente che richiede questa soluzione; - il collegio infine in sede di decisione della domanda cautelare può definire il giudizio con sentenza in forma semplificata compattando così la fase cautelare e di merito nei casi in cui ricorrano le condizioni per assumere Pagina di 72 114 Il processo amministrativo si ispira al principio dispositivo con metodo acquisitivo, in base al quale l'onere della prova che grava sul ricorrente è meno rigoroso, essendo sufficiente che egli fornisca solo un principio di prova. Soddisfatto quest'onere interviene il metodo acquisitivo, che consiste nell'esercizio da parte del giudice dei poteri istruttori d'ufficio per l'accertamento dei fatti allegati allo scopo di integrare la prova la dove essa non sia nella disponibilità del ricorrente. Nei casi in cui il ricorrente proponga un'azione risarcitoria a tutela del proprio interesse legittimo, è richiesta una prova rigorosa del danno subito. Anche nell'ambito dei giudizi che involgono diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, l'onere della prova non subisce attenuazione attraverso il metodo acquisitivo. Sulla base di ciò possiamo affermare che il principio dispositivo con metodo acquisitivo trova poco spazio nel processo amministrativo. Innanzitutto perché la pubblica amministrazione nel momento in cui si costituisce in giudizio deve produrre l'eventuale provvedimento impugnato e gli atti e i documenti in base ai quali l'atto è stato emanato. In secondo luogo anche i soggetti privati possono procurarsi prove esercitando il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Trova applicazione anche il principio di non contestazione previsto nel processo civile, in base al quale il giudice amministrativo può fondare la propria decisione oltre che sulle prove proposte dalle parti anche sui fatti non specificamente contestati dalle parti costituite. Questo principio non opera però se la parte non è costituita in giudizio. Il giudice può anche desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo. Per esempio può essere valutato il comportamento dell'amministrazione che non produce in giudizio un documento in suo possesso e che il giudice gli ha ordinato di esibire. Il giudice può porre a fondamento della sua decisione anche i cosiddetti fatti notori, ovvero quelli che rientrano nella comune esperienza. Il codice prevede un'ampia gamma di mezzi di prova che vanno anche oltre quelli espressamente elencati, con l'esclusione dell'interrogatorio formale e del giuramento. Questa esclusione è giustificata perché si ritiene che tali prove siano incompatibili con il processo amministrativo. I mezzi istruttori previsti sono: richiesta di chiarimenti, richiesta di documenti, verificazione, ispezioni, prova testimoniale, consulenza tecnica. Pagina di 75 114 Quanto all'acquisizione di documenti il giudice può rivolgere una richiesta anche d'ufficio alle parti o a soggetti terzi. Ove le parti non diano seguito la richiesta il giudice può trarre argomenti di prova passo amore della parte. La richiesta di chiarimenti può essere rivolta sia alla pubblica amministrazione sia alle parti private. La richiesta di chiarimenti alla pubblica amministrazione non può però costituire una modalità per consentire a quest'ultima di integrare la motivazione. La verificazione è prevista da sempre nel processo amministrativo mentre la consulenza tecnica è stata introdotta solo di recente. Entrambe possono essere disposte dal giudice quando sia necessario l'accertamento dei fatti o l'acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche. Il sindacato non è più soltanto formale ma va a verificare l'attendibilità della valutazione espressa dall’amministrazione. La verificazione e la consulenza tecnica sono strumenti fungibili ma con alcune specificità, anche se il codice indica un favor nei confronti della verificazione mentre la seconda può essere disposta solo se indispensabile. La diversità tra verificazione e consulenza tecnica consiste nel fatto che la prima è volta ad appurare la realtà oggettiva delle cose e a conseguire la conoscenza dei fatti la cui esistenza non è accertabile o desumibile con certezza dai documenti. La consulenza tecnica invece ha per oggetto una valutazione non meramente ricognitiva di questioni di fatto e fornisce al giudice gli elementi necessari per la valutazione. La consulenza tecnica e la verificazione non vanno considerati i mezzi di prova in senso proprio ma strumenti per consentire al giudice di poter operare un miglior apprezzamento dei fatti complessi. Del resto il verificatore e consulente tecnico sono qualificati come ausiliari del giudice. Il verificatore deve essere un soggetto terzo che non ha quindi alcun interesse proprio. Il consulente tecnico viene scelto dal giudice tra dipendenti pubblici e professionisti e nel momento in cui assume l'incarico il consulente deve prestare giuramento. È prevista la possibilità per le parti di nominare i propri consulenti tecnici che assisteranno tutte le operazioni del consulente nominato dal giudice. La prova testimoniale può essere disposta solo su istanza della parte assunta in forma scritta. Si tratta di una modalità non tipica poiché il modello classico di testimonianza prevede che il testimone compaia Pagina di 76 114 personalmente innanzi al giudice istruttore. Nel processo amministrativo invece la testimonianza scritta non viene disposta quasi mai nel processo. Per quanto riguarda le ispezioni queste possono essere disposte con le modalità previste dal codice di procedura civile. Sotto il profilo procedurale il codice non prevede una fase istruttoria autonoma affidata ad un giudice istruttore. L'istruttoria viene disposta dal collegio o dal presidente della sezione e se le parti ritengono necessaria l'acquisizione di prove devono formulare un'istanza motivata. LA FASE DECISORIA Il giudizio di primo grado innanzi al Tar si conclude con una sentenza che accoglie o respinge ricorso. L'udienza di discussione prima della decisione viene fissata in seguito alla presentazione della specifica istanza e nel corso dell'udienza le parti possono discutere sinteticamente, dopo aver potuto presentare documenti, memorie e repliche nei termini stabiliti. Le udienze sono pubbliche a pena di nullità ma nei casi tassativamente previsti dalla legge sono trattati in camera di consiglio in presenza dei difensori che ne facciano richiesta. Dopo la discussione la causa è trattenuta in decisione, la quale è presa in camera di consiglio a maggioranza dei voti espressi. La decisione può avere la forma della sentenza che definisce in tutto o in parte il giudizio, oppure la forma dell'ordinanza quando vengono assunte una serie di pronunce interlocutorie. Nei provvedimenti decisori sono inclusi anche i decreti monocratici emanati nei casi tassativamente indicati dalla legge (misure cautelari monocratiche). Quanto alle tipologie di ordinanze, conosciamo quelle cautelari e quelle istruttorie (es. quelle che dispongono la verificazione o la CTU). Sempre con ordinanza viene disposta la sospensione del processo nei casi previsti dal codice all’art. 79. Tra i casi di sospensione necessaria possono essere richiamati oltre all'incidente di falso anche la rimessione alla corte costituzionale di una questione di legittimità costituzionale e il rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia dell'Unione Europea di questioni interpretative di norme europee. - la rimessione alla corte costituzionale è funzionale a garantire la conformità della legge amministrativa alla costituzione e se la questione è rilevante e non manifestamente infondata il giudice con ordinanza dispone la rimessione che deve anche essere motivata. Pagina di 77 114 inammissibile o improcedibile e viene decisa con sentenza in forma semplificata. L'ordine della trattazione delle questioni è condizionato dalla facoltà concessa al ricorrente di proporre motivi di ricorso in via gradata. Il giudice incontra anche il principio secondo il quale non può pronunciarsi su poteri non ancora esercitati. Tale principio è espressione del principio della separazione dei poteri ed è applicabile anche in altri due casi: -nel caso in cui un provvedimento può essere emanato solo su proposta di un'altra amministrazione; -nel caso in cui un provvedimento emanato senza l'acquisizione di un parere obbligatorio per legge. Qualora sussistano questi vizi il giudice amministrativo non deve ritenersi vincolato. Se il ricorrente non propone i motivi in via gradata si espande il potere del giudice di stabilire l'ordine della trattazione delle questioni. Due possono essere i criteri alternativi per stabilire l'ordine della trattazione: - quello del soddisfacimento del massimo interesse della parte; - Quello della radicalità del vizio. Nella fase decisionale si pone anche la questione se accolto motivo di ricorso idoneo a giustificare l'annullamento del provvedimento impugnato, il giudice sia tenuto ad esaminare ulteriori motivi anche se tali da determinare l’annullamento. Un'applicazione rigorosa del principio della domanda richiede che il giudice esami tutti i motivi proposti ad eccezione di quelli da cui esame non possa derivare alcuna ulteriore utilità al ricorrente. Si pensi ad esempio ad un ricorso articolato in due motivi, il primo contenente una censura di eccesso di potere e il secondo difetto di motivazione. Ove il giudice accogliesse il motivo di difetto di motivazione e dichiarasse assorbiti gli altri motivi, opererebbe quello che viene definito come assorbimento improprio che restringe il cosiddetto effetto conformativo della sentenza di accoglimento e che può anche pregiudicare l'eventuale azione risarcitoria che il ricorrente potrebbe proporre una volta concluso il giudizio di annullamento. In linea di principio l'assorbimento dei motivi è vietato ma è consentito quando è giustificato da ragioni di ordine logico pregiudiziale (assorbimento proprio). Per esempio se un ricorso proposto in via principale viene rigettato, il ricorso incidentale non richiede di essere esaminato poiché l'accoglimento di quest'ultimo è legato all'accoglimento del ricorso principale. Il ricorso incidentale dipende dal ricorso principale. Pagina di 80 114 Diverso è il caso dei ricorsi incrociati reciprocamente escludenti. In questo caso favorendo un ricorso principale o ricorso incidentale si rischia di favorire arbitrariamente uno dei due ricorrenti ed è per questo motivo che il giudice è tenuto ad esaminarli entrambi a prescindere dalla priorità data al ricorso principale o incidentale. La sentenza di accoglimento produce tre tipi di effetti: di accoglimento, ripristinatorio e conformativo. La sentenza che accoglie ricorso elimina con effetto retroattivo l'atto e tutti gli effetti da esso prodotti. In caso di annullamento viene ripristinata la situazione di diritto e quindi è come se l'atto non fosse mai stato emanato. L'effetto dell'annullamento è identico sia se si tratta di vizio formale o sostanziale. L'effetto dell'annullamento può propagarsi anche agli atti amministrativi che trovano nell'atto invalido annullato il loro presupposto. Si distingue a questo riguardo tra invalidità derivata da effetto caducante o effetto invalidante. L'effetto caducante si verifica nel caso in cui tra i due atti ci sia un rapporto di stretta causalità. Diverso è l'effetto ripristinatorio che mira invece a ricostruire per quanto possibile la situazione di fatto e di diritto nella quale si sarebbe trovato il ricorrente al momento dell'emanazione della sentenza in assenza dell'atto amministrativo illegittimo. Ove la ripristinazione non sia possibile trovare spazio la tutela risarcitoria. L’effetto conformativo trova spazio nel caso in cui concluso il giudizio con una sentenza di annullamento l'amministrazione emana un provvedimento in sostituzione di quello annullato. L'effetto conformativo può essere più o meno ampio e l'ampiezza è minore o addirittura limitata quando è imposto all'amministrazione di non ricadere nel vizio accertato dalla sentenza di annullamento. Gli effetti ripristinatorio e conformativo concorrono a definire i limiti oggettivi del giudicato. I RITI SPECIALI Il codice disciplina i riti speciali in una logica acceleratoria introducendo generalmente termini processuali ridotti, forme processuali semplificate, tipi di decisioni diverse dalle sentenze ordinarie e poteri decisionali aggiuntivi. RITO AVVERSO IL SILENZIO Pagina di 81 114 Il ricorso avverso il silenzio può essere proposto fin quando perdura l'inadempimento ed entro un anno dalla conclusione del procedimento. Il decorso di tale termine però non produce una decadenza in quanto è possibile proporre un autonomo giudizio a seguito della presentazione di una nuova istanza volta al conseguimento del provvedimento. Non è richiesta nemmeno la previa emanazione di una diffida con l'assegnazione di un ulteriore termine per provvedere, anche se può essere utile a segnalare all'amministrazione l'intenzione di proporre un ricorso attraverso una diffida. Il ricorso deve essere notificato ad almeno un controinteressato poiché il rilascio successivo di un provvedimento favorevole al ricorrente può produrre effetti limitativi della sfera giuridica di un soggetto terzo che deve essere dunque evocato in giudizio. Il processo segue rito camerale e il ricorso è deciso in forma semplificata. Se nel corso del giudizio sopravviene un provvedimento espresso, quest’ultimo può essere impugnato anche con motivi aggiunti. In questo caso il giudizio prosegue con le modalità previste per il rito ordinario. Il giudizio prosegue con le modalità previste per il rito ordinario anche quando il ricorrente propone una domanda risarcitoria e il giudice definisce con sentenza parziale solo l'azione avverso il silenzio. PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE Per il rito del procedimento d ingiunzione, il codice prevede un rinvio al codice di procedura civile, precisando che l’opposizione si propone con ricorso. ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI Un rito speciale ha per oggetto l'accesso ai documenti amministrativi. Il codice prevede un termine di 30 giorni per la proposizione del ricorso che decorre dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio. Il ricorso deve essere notificato ad almeno un contro interessato e può essere proposto anche in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa. La parte può difendersi personalmente e l'amministrazione può farsi rappresentare da un dipendente autorizzato. Il giudice decide in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata. In caso di accoglimento del ricorso la sentenza ha contenuto ordinatorio, con cui il giudice ordina l’esibizione dei documenti. Pagina di 82 114 CAPITOLO 9 LE IMPUGNAZIONI I MEZZI DI IMPUGNAZIONE IN GENERALE I mezzi di impugnazione sono previsti nell'ordinamento processuale per provocare il controllo sulla validità e sulla giustizia delle sentenze. I vizi della sentenza possono riferirsi all'attività posta in essere dal giudice (error in procedendo) oppure possono consistere in errori nel giudizio (error in judicando). Gli errores in procedendo devono essere fatti valere tramite quegli stessi mezzi di impugnazione che l'ordinamento ha creato per gli errores in judicando, secondo il principio generale della conversione delle cause di nullità in motivi di impugnazione, che rende in particolare l'appello un mezzo di impugnazione a vocazione generale. Di regola spetta alla parte soccombente promuovere un nuovo esame della decisione. I mezzi di impugnazione si distinguono in relazione alle seguenti variabili: - che legittimati a proporli siano solo le parti oppure anche soggetti terzi; - che il giudice competente a conoscere dell'impugnazione sia un giudice sovraordinato oppure lo stesso giudice; - che i motivi di impugnazione siano tipizzati oppure siano limitati o a critica libera; - che il mezzo di impugnazione sia strutturato in una sola fase oppure in due fasi; - che debbano essere esperiti entro un certo termine oppure senza termini. I mezzi di impugnazione possono essere previsti per le sentenze che definiscono tutto o in parte il giudizio e per le ordinanze cautelari collegiali. Il Codice enuncia il principio di tipicità dei mezzi di impugnazione. L’art. 91 contiene l’elenco tassativo dei mezzi di impugnazione, che sono l'appello, la revocazione, l'opposizione di terzo e il ricorso per cassazione. Non è invece considerato mezzo di impugnazione nel processo amministrativo il regolamento di competenza, che viene deciso dal consiglio di Stato su istanza di parte o con ordinanza del Tar. Non è considerato un mezzo di impugnazione neppure il regolamento preventivo di giurisdizione, che può essere esperito finché la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado. L'impugnazione della sentenza deve essere notificata a tutte le parti in causa del giudizio precedente se si tratta di una causa inscindibile o di cause Pagina di 85 114 tra loro dipendenti; deve essere notificata solo alle parti che hanno interesse a contraddire quando la causa è scindibile o le cause non sono tra loro dipendenti. La causa è inscindibile quando nel giudizio concluso con la sentenza si è avuta una pluralità di parti intorno a un unico oggetto del processo; la causa è scindibile nel caso in cui un'unica sentenza si pronuncia su una pluralità di ricorsi posti in parallelo da una pluralità di ricorrenti che si trovano nella medesima posizione. Si hanno cause fra loro dipendenti nel caso, ad esempio, di una sentenza che decide su due ricorsi proposti in parallelo in una procedura di gara per l'aggiudicazione di un contratto sia dall'impresa che è stata esclusa sia dall'impresa ausiliaria. La legittimazione ad esperire il mezzo di impugnazione è legata alla soccombenza, senza la quale non sussiste un interesse processuale. La soccombenza consiste, per il ricorrente, nel mancato accoglimento delle proprie domande e, per l'amministrazione, nell'accoglimento parziale delle domande del ricorrente o nel rispetto delle proprie eccezioni e domande. La soccombenza può essere totale o parziale. Nel processo amministrativo, è ammesso l'intervento ad adiuvandum e ad opponendum nel giudizio di impugnazione da parte di chi vi ha interesse, negli stessi termini nei quali è ammesso nell'ambito del giudizio concluso con la sentenza impugnata. L'impugnazione deve essere notificata alle parti nel termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla notifica della sentenza, oppure nel termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Il deposito delle impugnazioni deve avvenire a pena di decadenza entro trenta giorni dall'ultima notificazione. In giudizio non è ammessa la difesa personale. Le misure cautelari possono essere disposte su istanza di parte dal giudice dell'impugnazione. Alle impugnazioni si applicano le disposizioni del libro II relativo al processo di primo grado, ove non espressamente derogate. Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite, realizzando il simultaneus processus. Il giudice si fa carico della riunione, che nel giudizio di impugnazione è obbligatoria. In caso di mancata di riunione, ciascun processo "segue la propria strada" nel senso che la decisione intervenuta su una impugnazione non determina l'improcedibilità delle altre. Le parti cui è stato notificato un mezzo di impugnazione devono proporre le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo a pena di decadenza, per realizzare il simultaneus processus. L'articolo 334 del codice di procedura civile, nel disciplinare l'impugnazione incidentale tardiva, prevede che la parte contro cui è stata proposta di Pagina di 86 114 impugnazione principale può proporre l'impugnazione incidentale anche quando sia scaduto il termine per proporre l'impugnazione ordinaria o abbia fatto acquiescenza alla sentenza. Tuttavia, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia. Questa regola assicura l'unitarietà del processo di impugnazione, perché in questo modo le impugnazioni incidentali vengono inserite all'interno del processo già aperto dalla prima impugnazione. L'appello incidentale si definisce proprio quando la parte che propone l'appello incidentale stesso è risultata vittoriosa in primo grado e non può pertanto proporre appello autonomo. L'appello incidentale si definisce, invece, improprio nel caso di soccombenza parziale reciproca: in questo caso, entrambe le parti hanno un interesse ad autonomo ad appellare la sentenza, pertanto, se una parte propone appello, l'altra parte potrebbe rivalutare la situazione e ritenere opportuno proporre un appello incidentale. L'impugnazione incidentale si distingue in tempestiva o tardiva, a seconda che l'impugnazione sia stata proposta prima o dopo la scadenza del termine ordinario di impugnazione. Nel caso di appello incidentale proprio, l'impugnazione tardiva mira a garantire un termine congruo alla parte che lo propone ove l'appellante principale notifica il proprio ricorso a ridosso della scadenza del termine ordinario di impugnazione. La sorte dell'impugnazione incidentale è legata a quella dell'appello principale perché l'interesse a ricorrere è sorto in conseguenza della proposizione di quest’ultimo; il carattere tempestivo o tardivo dell'impugnazione è irrilevante- Nel caso di appello incidentale improprio, l'impugnazione tardiva ha la funzione di garantire a ciascuna parte, qualora l'altra abbia impugnato la decisione a lei favorevole, di rimettere in discussione la decisione che le è sfavorevole. Se l'appello incidentale improprio è proposto tardivamente, la sorte dell'appello principale e pertanto l'inammissibilità di quest'ultimo determina l'inammissibilità del primo. Se invece l'appello incidentale improprio è tempestivo, proprio perché è autonomo la sua sorte non è legata a quella dell'appello principale e pertanto il giudice è tenuto in ogni caso a pronunciarsi. L'impugnazione incidentale deve essere proposta entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza; l'impugnazione incidentale tardiva deve essere proposta entro 60 giorni dalla data in cui si è perfezionata la notificazione dell'impugnazione principale e deve essere depositata nel termine di 30 giorni. Pagina di 87 114 LA REVOCAZIONE La revocazione è un mezzo di impugnazione a motivi limitati, tassativamente indicati nel codice di procedura civile agli artt. 395 e 396, che va proposto davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza revocanda, ed è articolata in una fase rescindente, che ha per oggetto il motivo di revocazione, e in una fase rescissoria, che ha per oggetto il rapporto sostanziale su cui si è pronunciata la sentenza impugnata e si conclude con una sentenza che decide nel merito la causa. In caso di vizio palese, va proposto entro il termine decorrente dalla pubblicazione o notificazione della sentenza. In caso di vizio occulto, entro il termine decorrente dalla scoperta del vizio. I motivi di revocazione sono tassativi: dolo di una delle parti a danno dell’atra; si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false; sono stati ritrovati documenti decisivi che la parte non ha potuto produrre in giudizio; la sentenza è effetto di un errore di fatto; la sentenza è contraria ad un’altra sentenza che ha fra le parti autorità di cosa giudicata; dolo del giudice. Nella prassi del processo amministrativo, il motivo di imputazione più ricorrente è l'errore di fatto, che si sostanzia in una svista che ha provocato l'errata percezione del contenuto degli atti del giudizio e che abbia indotto il giudice a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto facendo così ritenere come un fatto documentalmente provato fosse invece un fatto documentalmente escluso o inesistente. L'errore di fatto revocatorio non va confuso con l'attività valutativa del giudice, che ricorre invece nel caso di inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio. Né deve essere confuso con un errore di diritto. L'errore di fatto revocatorio deve riguardare un punto non controverso e sul quale il giudice non abbia espressamente motivato. Infine deve trattarsi di un elemento decisivo della decisione da revocare. Nei rapporti tra giudizio di appello e giudizio di revocazione vale il principio di prevalenza del primo poiché contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali è ammessa la revocazione solo se i motivi non possono essere dedotti con appello. Pagina di 90 114 Anche nel processo amministrativo vige la regola secondo la quale contro la sentenza emessa nel giudizio di revocazione sono ammessi gli stessi mezzi di impugnazione ai quali era soggetta la sentenza revocata, ma la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non può essere impugnata per revocazione. L'unica eccezione è prevista nel caso in cui il giudizio di revocazione si è concluso con una sentenza di mero rito, senza entrare nel merito dell’errore revocatorio. L’OPPOSIZIONE DI TERZO L'opposizione di terzo è stata introdotta nel processo amministrativo per effetto di una sentenza della Corte Costituzionale; la disciplina contenuta nel codice ricalca quella del codice di procedura civile, essendo prevista sia l'opposizione ordinaria sia quella revocatoria. La Corte Costituzionale, nella sentenza numero 177 del 1995, ha chiarito come, sebbene la sentenza passata in giudicato non produce effetti nei confronti di coloro che non sono state parti del giudizio, si possono presentare casi nei quali per effetto della cosa giudicata si determina una incompatibilità obiettiva fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare il terzo. L'opposizione viene proposta da un soggetto terzo rispetto al giudizio, si esperisce davanti allo stesso giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed è tesa a eliminare quest'ultima dal mondo del diritto. L'opposizione ordinaria non è soggetta ad alcun termine, mentre l'opposizione revocatoria è soggetta a un termine che decorre dalla scoperta del dolo o della conclusione. Legittimato a proporre l'impugnazione è il terzo, nel caso in cui la sentenza pronunciata fra altri soggetti pregiudica i suoi diritti e interessi legittimi. La giurisprudenza ha individuato le situazioni principali cui si riferisce la disposizione: i controinteressati pretermessi, i contronteressati sopravvenuti, i controinteressati non facilmente identificabili, i terzi titolari di una situazione autonoma incompatibile. L'opposizione di terzo revocatoria deve essere considerata uno strumento che tutela soggetti terzi ai quali giudicato è opponibile: il rimedio è infatti previsto per gli aventi causa o i creditori di una delle parti del giudizio. Pagina di 91 114 Per quanto riguarda il titolare di una situazione giuridica autonoma e incompatibile si pensi al caso di un partecipante un concorso pubblico risultato idoneo nella graduatoria finale ma che viene scavalcato perfetto il reinserimento in quest'ultimo di un altro concorrente originariamente escluso. Il partecipante scavalcato può proporre opposizione di terzo contro la sentenza che ha ammesso il candidato escluso. Non è legittimato a proporre opposizione di terzo chi sia titolare di un diritto dipendente o interessato di riflesso. Non è legittimato neppure il cointeressato. IL RICORSO PER CASSAZIONE PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE L'art. 111, ultimo comma, della Costituzione prevede che il ricorso in Cassazione contro le sentenze del consiglio di stato è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. E' escluso pertanto che si possa proporre ricorso in cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto; la Corte di Cassazione non può pertanto sovrapporsi al giudice amministrativo nell'interpretazione delle leggi ed esercitare una funzione nomofilattica, la quale spetta infatti all'adunanza plenaria. Con riguardo agli interessi legittimi devoluti al giudice amministrativo dall'articolo 103 della Costituzione, la Cassazione può tracciare il discrimine tra interesse legittimo e diritto soggettivo e può inoltre operare la selezione dell'interesse legittimo rispetto all'interesse di fatto. Con riguardo ai diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la Cassazione può stabilire in via interpretativa i limiti di ciascuna materia devoluta al giudice amministrativo e può inoltre sollevare la questione di costituzionalità della legge innanzi alla Corte Costituzionale, qualora ritenga violati i parametri costituzionali come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale ha precisato i limiti del sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, fornendo un'interpretazione costituzionalmente corretta dei motivi inerenti alla giurisdizione denunciabili in Cassazione, i quali ricorrono in tre casi: difetto assoluto di giurisdizione, cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti afferma la propria giurisdizione nella sfera riservata all'amministrazione o al legislatore (si mira a salvaguardare la separazione dei poteri); il Consiglio di Stato neghi la propria giurisdizione ( si mira a tutelare il principio dell'indefettibilità della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive); il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su una materia di competenza di un'altra giurisdizione oppure la neghi sul presupposto che Pagina di 92 114 termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso, riveste importanza essenzialmente teorica. La sentenza di rigetto non fa sorgere in capo all'amministrazione alcun dovere di porre in essere un'attività esecutiva, tuttalpiù fa sorgere una preclusione ad esercitare il potere di annullamento d'ufficio in relazione ai vizi fatti valere nel ricorso, che la sentenza ha ritenuto insussistenti. Le sentenze di rigetto di rito non sono considerate suscettibili di determinare un giudicato esterno e, dunque, un vincolo in capo all'amministrazione. Il processo amministrativo conosce il fenomeno del giudicato interno, che si forma quando una sentenza non definitiva che ha pronunciato su questioni di rito di merito non è stata impugnata, con la conseguenza che si determina una preclusione endoprocedimentale che impedisce allo stesso giudice di riesaminare la questione. Il giudicato implicito può formarsi il relazione alla questione di giurisdizione ai sensi dell'articolo 9; Il giudicato parziale si forma, ai sensi dell'articolo 329 del Codice di Procedura Civile, nel caso di impugnazione parziale, la quale comporta acquiescenza delle parti della sentenza non impugnata e da cui discende la preclusione per il giudice di Appello di pronunciarsi su di esse. I LIMITI OGGETTIVI, SOGGETTIVI E CRONOLOGICI DEL GIUDICATO La sentenza di accoglimento del giudice amministrativo determina l'effetto di annullamento, l'effetto ripristinatorio, che riproduce per quanto possibile lo stato di fatto e di diritto che si sarebbe verificato se l'amministrazione non avesse emanato il provvedimento annullato, e l'effetto conformativo o ordinatorio, che tende a condizionare il successivo esercizio del potere da parte dell'amministrazione. Questi tre effetti concorrono a definire i limiti oggettivi del giudicato. Qualora l'amministrazione non dovesse ottemperare al giudicato, il nuovo provvedimento sarebbe viziato da eccesso di potere. L'articolo 21 septies della Legge 241 / 1990 qualifica come nullo il provvedimento adottato in violazione o elusione del giudicato, riconoscendo l'esistenza di un vincolo giuridico diretto sorgente dalla sentenza passata in giudicato nei confronti del potere dell'amministrazione. Secondo la ricostruzione di Mario Nigro, recepita dalla giurisprudenza, il giudicato produce un effetto nei confronti dell'amministrazione che può essere, a seconda dei casi, vincolante pieno, semipieno o secondario. L'effetto vincolante è pieno quando l'atto viene annullato perché mancavano i presupposti soggettivi e oggettivi previsti dalla norma di conferimento del potere. In questi casi, l'amministrazione non può emanare un nuovo provvedimento sostitutivo di quello annullato. Pagina di 95 114 L'effetto vincolante è semipieno quando il vizio accertato riguarda uno solo degli elementi discrezionali dell'altro. Pertanto, in sede di riesercizio del potere, l'amministrazione vedrà limitata, ma non esclusa, la propria discrezionalità. L'effetto vincolante è secondario quando l'annullamento dipenda dall'accertamento di un vizio di incompetenza o di un vizio formale o procedurale, così che l'amministrazione in sede di esercizio del potere è tenuta ad eliminare il vizio e non è vincolata quanto al contenuto del nuovo provvedimento, che potrà anche essere identico a quello del provvedimento annullato. L'articolo 21 octies della Legge 241/1990 sancisce che l'annullamento del provvedimento per vizi formali e procedurali non può avvenire solo qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 
 Tranne per i casi di effetto vincolante pieno, il giudicato amministrativo lascia all'amministrazione spazi liberi. La futura azione amministrativa è spesso: •implicita: si desume al contrario dal vizio o dai vizi accertati dalla sentenza; •elastica: perché l'attività di ripristinazione - che comporta l'eliminazione degli stati di fatto e di diritto sorti in seguito all'emanazione del provvedimento annullato - richiede valutazioni complesse e in taluni casi la ripristinazione può risultare in concreto impossibile; •condizionata: rispetto all'inesistenza di sopravvenienze di fatto e di diritto delle quali l'amministrazione è tenuta a tener conto; •incompleta: l'azione amministrativa riguarda solo i tratti di azione amministrativa sottoposti all'esame del giudice, i quali spesso non esauriscono l'intera vicenda. Il contenuto di accertamento della sentenza è condizionato dall'andamento del procedimento e dal contenuto del provvedimento impugnato; se quest'ultimo è stato assunto all'esito di una istruttoria completa con la partecipazione dei soggetti interessati, il ricorrente sarà in grado di formulare una gamma più completa di motivi in modo tale da sottoporre al giudice un più ampio materiale di cognizione. L'individuazione dei motivi enucleati dal ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio condiziona l'ampiezza dell'oggetto del giudizio; l'omessa deduzione di uno o più profili di vizio restringe, pertanto, l'oggetto del giudizio e dunque l'oggetto del giudicato. Il giudice amministrativo è tenuto ad esaminare tutti i motivi di ricorso, senza operare il cosiddetto assorbimento improprio dei motivi, che riduce il contenuto di accertamento della sentenza. Soprattutto con riguardo agli interessi legittimi pretensivi, ben diverso è il caso di un provvedimento di Pagina di 96 114 diniego che chiarisce in modo esaustivo tutti i motivi ostativi all'accoglimento, rispetto a quello di un provvedimento di diniego che rigetta l'istanza, dopo l'accertamento della sussistenza di un solo motivo di diniego. L'articolo 10-bis della Legge 241 / 1990 stabilisce che l'amministrazione, prima dell'emanazione di un provvedimento di rigetto di un'istanza, è tenuta a comunicare agli interessati i motivi ostativi all'accoglimento istaurando un'ulteriore fase di contraddittorio. Il decreto legislativo 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120, ha integrato l'articolo 10-bis con una disposizione volta ad indurre l'amministrazione ad esplicitare nel provvedimento negativo tutti i motivi ostativi. In caso di annullamento del provvedimento davanti al giudice amministrativo, infatti, nell'esercitare nuovamente il suo potere, l'amministrazione non può dedurre motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato. Questa regola potrebbe essere interpretata nel senso di introdurre una sorta di preclusione procedimentale del dedotto e del deducibile, che va a limitare il potere sostanziale dell'amministrazione. Il giudicato delle sentenze del giudice amministrativo vale solo tra le parti, i successori e gli aventi causa, essendo stata superata la concezione secondo cui il giudicato amministrativo avrebbe efficacia erga omnes, poiché da una sentenza di annullamento pronunciata a favore di un ricorrente non possono trarre beneficio altri soggetti che, pur trovandosi in una situazione identica, non abbiano proposto un ricorso autonomo nel termine decadenziale. Ciò non esclude, tuttavia, il potere discrezionale dell'amministrazione di estendere gli effetti favorevoli del giudicato a soggetti estranei al giudizio che si trovano in una situazione identica a quella del ricorrente. Il principio secondo cui il giudicato vale solo inter partes incontra alcune eccezioni in merito all'inscindibilità degli effetti del provvedimento impugnato o dell'inscindibilità del vizio dedotto, individuati dalla giurisprudenza. I principali casi di sentenze che producono effetti ultra partes individuati la giurisprudenza hanno per oggetto l'annullamento di regolamenti e atti generali; atti plurimi inscindibili, come il decreto di espropriazione di un bene in comunione tra più proprietari; atti plurimi scindibili ove il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari; atti che provvedo in modo unitario nei confronti di un complesso di soggetti. L'Adunanza Plenaria ha precisato che gli effetti ultra partes nel caso di provvedimenti inscindibili valgono solo per l'effetto dell'annullamento e non anche per gli ulteriori effetti del giudicato amministrativo, i quali si producono invece solo inter partes. 
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