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Riassunto Manuale di Storia Medievale di Andrea Zorzi, Sintesi del corso di Storia Medievale

30 pagine, riassunto del manuale

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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Caricato il 27/09/2018

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Scarica Riassunto Manuale di Storia Medievale di Andrea Zorzi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! IL MEDIOEVO Il Medioevo (“età di mezzo” tra età antica e moderna) è il periodo che va dal V a XV secolo. Spesso visto come un periodo di decadenza, ha avuto anche modo di essere rivalutato. Nel Medioevo venne formandosi l’identità dell’Europa, intesa come incontro di civiltà e come confronto con le altre culture (islamica, bizantina, africane, asiatiche). La nozione di “medioevo” è un’invenzione moderna. Gli uomini che vissero nel Medioevo non ebbero mai la percezione di vivere un’età diversa rispetto quella antica: erano convinti di vivere nella continuità che dalla Roma pagana portò al mondo cristiano. Furono gli umanisti italiani tra XIV e XV che iniziarono a formare l’idea che un periodo intermedio li separasse dall’età antica. Nella metà XV, dunque, cominciò a diffondersi una nuova espressione, quella di un’”età di mezzo” che si interpose tra l’età classica e la più recente. Il Medioevo è spesso visto come un’epoca di decadenza e questa visione fu rielaborata da molti intellettuali, soprattutto negli ambienti tedeschi della riforma protestante. Un collaboratore di Martin Lutero, Filippo Melantone, scrisse che l’impero tedesco svolgeva una funzione positiva nel mondo cristiano, la cui rovina era invece da imputare alla Chiesa di Roma. Prese così corpo l’idea della coincidenza quasi totale tra Medioevo e storia del cattolicesimo romano. La Chiesa rispose con la ricostruzione della storia della Chiesa volta a rivalutare i valori del cattolicesimo (ad esempio le vite dei santi, spesso bersaglio della critica protestante). Nel XVII maturò tra gli uomini la consapevolezza di vivere in un’epoca originale rispetto al passato sia classico che medievale. George Horn, docente universitario tedesco, propose una periodizzazione: un periodo storico che iniziava dal 476 con la caduta dell’Impero romano d’Occidentale e che finiva nel 1453 con la caduta di quello d’Oriente; il periodo era diviso in tre fasi: evo antico, medio evo ed evo recente (stampa, scoperte geografiche, rinascita culturale). L’Illuminismo rielaborò a sua volta il Medioevo . Nel 1758 Voltaire, filosofo francese, lo interpretò come un periodo in cui le invasioni barbariche e la Chiesa portarono rozzezza, violenza e superstizione. Un periodo buio, quindi, da cui gli uomini si liberarono solo nel XVIII sec. con la ragione e la giustizia. Secondo l’illuminista, la Chiesa ed il feudalesimo avevano plasmato una società basata su privilegio, autoritarismo e oppressione. Sempre nel ‘700 lo storico inglese Edward Gibbon interpretò il Medioevo come un declino con valori propri. Nel XVIII anche l’erudizione storica fece del suo in questa rivalutazione storica. Lo storiografo Muratori, studiando una serie di cronache, notò come la tradizione comune italiana si era formata nel Medioevo: lingua, costumi, leggi, commercio, cultura. Così scrisse “Antichità italiane del Medioevo”, una sorta di indagine sulla civiltà italiana a partire dal IX sec. in cui hanno ruolo centrale le città. L’immagine positiva del Medioevo fu costruita dal Romanticismo che a fine XVIII sec. fu attirato dagli aspetti passionali ed irrazionali del Medioevo, rappresentato come un periodo di fede cristiana rassicurante. Ebbe grande fortuna il romanzo storico ambiantato nel Medioevo (come “Ivanhoe” di W. Scott che racconta la storia di dame e cavalieri nel periodo del conflitto normanno-sassone nell’Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone). Il Romanticismo contribuì a sviluppare la concezione del Medioevo come epoca in cui naque lo spirito nazionale: per primi i tedeschi a contrapporre le peculiarità delle popolazioni germaniche alla decadenza del tardo impero romano; i francesi si appropriarono del mito di Carlo Magno; il Risorgimento italiano vide il Medioevo come periodo di invasioni e fece luce sulla grandezza dei comuni (nel 1842 a Firenze nacque l’Archivio storico italiano, primo periodico scientifico volto alla promozione della storia nazionale). La concezione nazionalista del Medioevo si tradusse in una gara: ogni nazione cercava di rivendicare la propria importanza nella formazione dell’identità dell’Europa. Nel clima del Positivismo del XIX sec. gli storici puntarono ad individuare le leggi della società e le costanti nella storia: prese vita, oltre al gusto per la storia politica, anche la storia del diritto, della società e dell’economia medievale. Per reazione alle idee positivistiche, nel XX sec. alcuni storici si impegnarono in intrerpretazioni volte a rivendicare l’originalità del Medioevo. Due importanti ricostruzioni degli aspetti generali del Medioevo si devono a due storici: il belga Henri Pirenne che in “Maometto e Carlomagno” nel 1937 pose attenzione sull’espansione islamica e il francese Marc Bloch che ne “La storia feudale” del 1939-40 evidenziò i rapporti ed i legami feudali. Nel corso della storia i storici hanno preferito concentrarsi sui singoli temi, privilegiando gli aspetti influenzati da antropologia, scienze politiche e sociali. La golabalizzazione attuale induce, invece, sempre più storici del medioevo a superare la concezione eurocentrica, per aprirsi alle connessioni con altre culture. Accando al Medioevo reale vi è anche quello immaginario. Ad esempio nell’800: William Morris influenzato dalle produzioni industriali si dedicò di rilanciare l’artigianato di oggetti in stile medievale; i movimenti artistici dei Preraeffeliti e dei Nazareni recuperarono lo stile pittorico medievale in contrasto con le avanguardie del periodo; prese vita un revival gotico che portò l’attezione sulla progettazione di edifici medievali (chiese e college uni) e sul restauro dei alcuni movimenti (Notrè-Dame de Paris, abbazia Saint- Denis). Ciò avvenne anche in letteratura con il genere fantasy (vedi John R.R. Tolkien), così come il cinema (Walt Disney). A questa immagine fantastica del Medioevo si è soliti dare il nome di “medievalismo”, che non va ovviamente confuso con il Medioevo storico. Il termine “medioevo”è stato spesso usato anche per descrivere negativamente anche altri periodi (come il “medioevo ellenico” tra caduta civiltà micenea e nascita città-stato), ma appare fuorviante poiché il medioevo ha senso solo se riferito alla storia europea, arricchendola comunque con le conoscenze sulle altre realtà nel mondo. Infatti, la storia dell’Europa prende vita proprio dagli incontri fra civiltà: basti pensare alla grande area multiculturale che gravita sul Mediterraneo. Questo mondo venne poi scosso dalle invasioni barbariche e determinante fu ruolo del cristianesimo: questi due fattori cambiarono per sempre il mondo romano tra Vi e VII sec, creando un’Europa assai originale con un baricentro sul Reno. L’Europa cristiana fece del Mediterraneo lo spazio di incontro con due grandi civiltà, quella bizantina e quella islamica. Dopo l’era delle crociate in terrasanta partite dal IX sec, l’impero bizantino, stretto nella morsa tra islam e cristianità, cadde. L’espansione europea cristiana si volse anche verso le aree dell’Europa orientale non romanizzate (Boemia, Polonia, coste del Baltico), in cui furono intraprese la colonizzazione e la cristianizzazione: la zona mantenne caratteri specifici e Mosca dopo la caduta di Costantinopoli divenne il centro della cristianità ortodossa. Una prima mondializzazione avvenne nel corso del XV. PERIODIZZAZIONE La periodizzazione è l’esito di un’operazione intellettuale di conoscenza che presuppone un giudizio storico. I termini esterni delle periodizzazioni sono dati dalla cronologia. Il primo a periodizzare il Medioevo fu George Horn e da allora ogni storiografia nazionale ha definito una propria cronologia, ad esempio: quella italiana ha come inizio del Medioevo l’arrivo dei Longobardi nel 569 e la fine con lo sbarco di Colombo nei Caraibi ne 1492; quella francese ha come inizio il re Clodoveo (496) e la fine con la Guerra dei Cent’anni (1453). E’ dunque impossibile una data comune per l’inizio o la fine. In linea di massima l’inizio è compreso nel periodo dal IV al VII sec, in cui si verificarono la crisi dell’impero roma, le invasioni barbariche e la diffussione del cristianesimo. La fine, invece, si pu collocare in periodo tra il XIV e il XV sec, periodo di crisi economiche, demografiche ed economiche e la perdita di prestigio sia del papato che dell’impero, ma anche delle scoperte geografiche e dell’Umanesimo. Il Medioevo appare quindi privo di coerenza interna, come in un insieme di età con caratteristiche comuni nella parte iniziale, centrale e finale: la prima è caratterizzata dalle popolazioni germaniche e dall’economia signorile; quella centrale da nuove attività economiche e dall’affermazione di nuove figure quali il chierico e il mercante; quella finale dalla complessa articolazione della società, dalla crisi ecclesiastica e dalla depressione economica. Gli storici italiani sono soliti chiamare i tre periodi con i termini “primo”, “pieno” e “tardo”, con la variante anche di distinguere un “alto” (V-X sec) e “basso” (XI-XV sec) medioevo con la locuzione di “secoli centrali” per gli anni intorno al Mille. Il nostro pianeta ha sempre avuto dei cicli climatici, alternando periodi freddi a caldi. Ciò ha influenzato le attività economiche e l’andamento demografico. Durante l’impero romano si ha avuto un optimum climatico caldo, per poi subire un brusco raffreddamento tra IV e VIII sec: fu così che dal IV sec le popolazioni seminomadi del nord si spostarono verso i più miti paesi mediterranei. Dal IX il clima tornò a migliorare per dare vita all’oprimum medievale sino al XIII sec. Dal XIV ci fu una brusca e piccola era glaciale destinata a durare sino alla metà del XIX sec. Oltre al clima, incisero molto le epidemie di peste, lebbra e vaiolo. La peste colpi il bacino del Mediterraneo e arrivando sino in Inghilterra nel VI sec, riprendendo ad ondate per i due secoli successivi. Essa fece il suo ritorno nel 1347, invadendo tutta l’Europa fino alla Scandinavia e facendo diminuire la popolazione di circa un terzo. Il vaiolo imperversò soprattutto nel nord Europa dal Vi sec, divenendo endemico nel VII, mentre la lebbra alternò momenti di espansione (VI-VIII) e regressione (VII-XI), toccando il picco tra XII e XIII sec. DEMOGRAFIA Il ciclo demografico medievale ebbe tre fasi: depressione, espansione e regressione. L’inizio del Medioevo vide una grave crisi demografica, dovuta anche a clima sfavorevole, epidemie e carestie. Durante l’VIII sec pian piano la popolazione tornò a crescere con la ripresa delle attività economiche e dal X sec.la popolazione crebbe costantemente. Dalla seconda metà del XIII la crescita cessò, con nuovi peggioramenti climatici e carestie, senza contare la grande epidemia di peste bubbonica del 1347-48. L’incontro tra romani e popoli germanici rappresenta l’incontro-scontro tra sedentarietà e nomadismo. I romani erano i creatori del più nelle altre zone. Tra XII e XIII nacquero nuove istituzioni educative non più controllate dalla Chiesa, come le scuole pubbliche e le università. Anche l’arte subì trasformazioni: tra X e XII si diffuse il cosidetto romanico (edilizia massiccia) e dal XII dalla Francia si diffuse il gotico (slancio verticale, luce diffusa). Altro fenomeno importante fu l’Umanesimo, sortonel XIV in Italia, che portò il recupero e la riscoperta dell’antico. VITA QUOTIDIANA Le ricerche archeologiche permettono la ricostruzione della vita quotidiana nel medioevo. Le popolazione germaniche importarono ‘uso del legno, che nell’alto medioevo fu il materiale principale, e spesso si ricorreva a materiali di riuso. Solo dal XII, con l’espansione urbana, si impose nuovamente la pietra. Gli arredi, così come la grandezza, delle case dipendevano dalla condizione economica della famiglia: nelle case dei più abbienti era possibile trovare pareti affrescate, arazzi e mobilio sempre più sofisticato. L’abbigliamento doveva comunicare lo status sociale e per questo si distingueva in base al ceto: il bigio era il colore degli umili, il rosso delle autorità, il nero della nobiltà, il giallo per gli ebrei. Nelle corti si ostentavano i tessuti più ricchi e ricamati, tanto che dal XIII sec. furono emanate le leggi santuarie per regolare gli eccessi nell’abbigliamento. Le pratiche del bagno, diffuse nel mondo romano,bizantino e islamico, nel Medioevo riprese solo dall’XI. L’alimentazione cambiò regime quando la tradizione romana (pane, olio, vino) incontrò quella germanica (carne, cacciaggione, frutti selvatici). Il cristianesimo sviluppò avversità verso la corporeità. Riguardo la sessualità, la Chiesa impose il celibato al clero, “tollerò” la prostituzione e condannò gli atti sessuali non volti alla procreazione e i tradimenti. Il Medioevo ereditò il calendario giuliano (ciclo stagioni, 365 gg, 12 m). Si impose come giorno santo la domenica, a cui si affiancarono altre festività in onore dei santi e della Vergine. Gli spettacoli medievali consistevano nel gioco d’azzardo, tornei di duelli, danze cortesi; venne meno il teatro. PECULIARITA’ I fenomeni peculiari del Medioevo furono pricipalmente tre: -incontro latino-germanico: fu un incontro-scontro che ebbe piena realizzazione con il regno franco. -feudalesimo: nozione che designa l’organizzazione politica e sociale medievale. Si individua due fasi: l’età feudale carolingia (vassallaggio, fedeltà militare) e l’età feudale del XI sec. (accordi tra signori e sovrani). -nazioni: l’idea di nazione prese corpo tra XIII e XIV con l’affermazione delle grandi monarchie (francia, Inghilterra, Germania), che mobilitarono la cultura per creare un senso di storia comune volta a creare un’identità nazionale. LA FINE DEL MONDO ANTICO Alla fine del III sec. l’impero romano aveva assicurato stabilità politica e sviluppo economico. Ai popoli assoggettati aveva garantito mantenimento di istituzioni e religione, in cambio di fedeltà. A tenere unito questo insieme eterogeneo erano lo stato con un’efficiente buracrazia, l’esercito e le infrastrutture. Terminata l’espansione territoriale, l’economia cominiciò a ristagnare, la manodopera schiavistica calò e il mantenimento degli apparati statali comportò l’aumento del prelievo fiscale. La spesa pubblica superò le entrate e l’aumento di coniazione di monet provocò l’inflazione. Diocleziano (284-305) avviò delle riforme, trasformando il governo in una tetrarchia (due augusti e due cesari) e rendendo le province più piccole. L’esercito fu diviso in truppe stanziali sui confini (limitanei) e legioni da combattimento (comitantenses) e raggiunse un numero di soldati imponente, comportando molti costi ai quali andavano aggiunti quelli per la burocrazia. Egli cercò di razionalizzare anche il fisco (catasto e prezzi massimi x alcuni beni), ma i risultati portarono a ben poco. Dopo Diocleziano, arrivò Costantino (figlio di Costanzo Cloro, uno dei due cesari) che proseguì l’operato del suo predecessore, coniò una nuova moneta aurea (solidus) e spostò la capitale a Costantinopoli (antica Bisanzio). Si accentuarono le differenze tra le due parti dell’impero: il baricentro dell’impero si spostò dall’Occidente (ormai in decadenza) all’Oriente. Teodosio (379-395) dispose alla sua morte la divisione dell’impero tra i suoi due figli: ad Arcadio l’Oriente in continuo sviluppo ed a Onorio l’Occidente che vide esasperare la crisi. Alle trasformazioni del mondo romano contribuì fortemente il cristianesimo, che dalla Palestina grazie a Paolo di Tarso arrivò in Siria, Asia Minore, Grecia e giunse sino in Italia, Gallia e penisola iberica. Dopo le persecuzioni, il culto fu liberalizzato da Costantino con l’Editto di Milano nel 313, divenendo poi religione ufficiale. Costantino nel 325 convocò il concilio di Nicea, in cui affermò il cattolicesimo e condannò le eresie. Per alcune popolazioni germaniche la converisone al cristianesimo passò prima per l’arianesimo, ad esempio gli ostrogoti rispettarono la fede cattolica, mentre i longobardi in un primo momento furono intolleranti e violenti verso i cattolici. Il primo barbaro a convertirsi fu Cil re franco Clodoveo, battezzato nel 496 da Remigio (vescovo di Reims), seguito poi da altri sovrani. La conversione dei re era un modo x allargare il loro potere anche alle genti romane, proponendosi come protettori delle chiese. I monaci dal V sec. si impegnarono nella cristianizzazione di varie zone, come l’Irlanda (S. Patrizio) e la Britannia. I romani vissero le ondate migratorie come “invasioni”. “Barbari”, erano (prima x i greci, poi x i romani) coloro che non parlavano greco o latino, ma lingue incomprensibili e che avevano altri costumi. Per estensione, il termine andò a identificare tutti quelli stanziati oltre i confini. Dapprima i barbari cominciarono a sfondare i confini romani sul Reno e sul Danubio: alcuni furono arruolati nell’esercito romano, altri si stanziarono come coloni. A destabilizzare l’equilibrio politico furono soprattutto i visigoti tra fine IV e inizio V. Aggrediti dagli unni, furono accolti in Tracia ma si diedero a violenze e saccheggi e diressero le loro scorrerie in Grecia, Macedonia e minacciando Milano, prima di essere respinti nel 401 dall’esercito di Stilicone. Puntarono dunque su Roma e guidati da Alarico riuscirono a saccheggiarla nel 410; da qui proseguirono sino alla Gallia dove, una volta sottomessa l’intera Aquitania, formarono il primo regno romano barbarico. L’Oriente evitò eccessive contaminazioni coni barbari, mentre in Occidente chiusura e intergrazione si alternerono. Furono adottate la foderatio (truppe barbare si allearono con l’esercito dietro compenso) e l’hospitalitas (concessione di 1/3 delle tasse sulle terre alle tribù stabili che garantivano fedeltà all’impero pur rimanendo indipendenti). A inizio V sec. le frontiere cedettero. Per affrontare i visigoti furonp smilitarizzati confini del nord, così la Britannia fu abbandonata nel 406 ed esposta a pitti e scoti e per fronteggiarli fu favorito l’insediamento di angli e sassoni. I confini sul Reno furono teatro di passaggi di vari popoli che dilagarono verso la Gallia; qui furono fronteggiati dai soli franchi e furono spinti verso la penisola iberica, anch’essa abbandonta. Sotto Valentiniano III (425-455) ci fu l’incursione in Gallia degli unni di Attila, respinti dalle truppe congiunte di visigoti e franchi guidate dal generale Ezio. Quest’ultimo fu ucciso x intrighi di palazzo dall’imperatore, assassinato a sua volta l’anno dopo. Nel frattanto i vandali di Genserico, stanziati in Africa del nord, occuparono Cartagine, da dove invasera la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e giunsero a saccheggiare Roma nel 455. Quando le migrazioni sembrava essersi placate, si succedettero una serie di imperatori che non sepper governare e finirono x indebolire ancora di più l’impero, ormai limitato all’Italia e parte della Gallia. Fu così che il generale sciro Odoacre nel 476 depose l’ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo, dando vita a un dominio personale non riconosciuto, però, da Zenone, l’imperatore d’Oriente. Zenone affidò l’Italia a Teodorico che nel 493 riuscì a sconfiggere Odoacre. I REGNI ROMANO-BARBARICI I regni romano-barbarici si formarono nel corso del V sec. L’autorità dell’impero romano venne riconosciuta da tali regni (non a casa definiti “romano-barbarici”), infatti la deposizione di Romolo Augustolo non suscitò lo stesso clamore che suscitarono i saccheggi di Roma del 410 e del 455. Molto importante per l’integrazione e per la continuità col passato fu il cristianesimo; furono i vescovi a trattare coi barbari. Quest’ultimi si stanziarono in territori ristretti di difesa strategica. I re erano i capi militare scelti dai soldati, le loro leggi erano delle consuetudini giuridiche che poi col tempo furono messe per iscritto e subirono l’influsso del diritto romano e di quello canonico. VANDALI, OSTROGOTI E VISITGOTI I vandali si stanziarono in Africa del Nord. Intolleranti sulla religione, rifiutarono l’hospitalitas e l’integrazione culturale, rimanendo sempre ostili. Ciò rese debole la loro dominazione e diede a Giustiniano nel 533 la scusa x la campagna militare africana e nel Mediterraneo, che pose fine al loro regno. Gli ostrogoti accettarono di buon grado l’hospitalitas. Il re Teoderico attuò una politica di convivenza, tenendo le popolazioni separate, ciascuna con proprie leggi, lingua e religione (romani niceni, goti ariani). La corte regia aveva come funzionari molti intellettuali, come Boezio e Simmaco, l’amministrazoine civile fu affidata ai latini, mentre il comando militare ai goti. Si stabilì una collaborazione che garantì almeno per una trentennio di pace all’Italia. L’equilibrio si spezzò quando Bisanzio perseguitò l’arianesimo, religione dei goti. Teoderico ripose con una dura repressione antiromana e antinicena. La guerra con i bizantini si intrecciò con le lotto x la successione al trono ed il regno finì nel 553. Il regno dei visigoti durò per molto tempo. Iniziò con l’hospitalitas e la fusione fu lenta ma costante. Dal V sec. il dominio visigoto si estese a Gallia e Spagna e la fusione etnica fu favorita anche dai matrimon misti, sanciti anche da delle leggi. Il regno finì solo nel 711-716 a causa dell’avanzata degli arabi. I FRANCHI Il regno franco è l’esempio perfetto per la piena integrazione tra romani e barbari. I franchi erano un insieme di tribù, tra le quali si distinsero i salii, stanziati sul Reno dal IV sec. I franchi decisero di fondersi con i romani, sottoponendosi ad essi ma continuando ad avere propri re. Nel 406, fedeli ai romani, guidati da Chielderico si batterono contro i visigoti per difendere i confini sul Reno. Fu Clodoveo (re 481-511), preteso discendente di Meroveo (da cui i Merovingi) a porre le basi per la fondazione del regno. Clodoveo, capita l’importanza dell’episcopato, nel 496 si fece battezzare da Remigio, vescovo di Reims: ciò leggittimò il suo potere, in quanto le popolazioni di fede nicena riconobbero la sua autorità. Il regno franco fu sempre un insieme di regni in realtà e alla morte di Clodoveo nel 511 il regno, secondo la concezoine patrimoniale dell’impero, fu diviso in 4 regioni tra i suoi quattro figli: -Neustria: “terra dell’ovest”, capitale Parigi, caratterizzata da forte compenetrazione germanica-latina; -Austrasia: “terra dell’est”, capitale Soissons, l’area più fortemente germanizzata; -Burgundia: mantenne la sua individualità, attuale Borgogna, capitale -Aquitania: radicate tradizioni gallo-romane, capitale Le ultime due regioni persero sempre più potere, favorendo Neustria e Austrasia. I regni, spesso in conflitto, trovarono una certa unità con Clotario II e il suo successore Dragoberto. Durante il VII, approfittando della debolezza dei re, lìi regni furono sempre più controllati dai maestri di palazzo, noti come maggiordomi, ossia i massimi funzionari di vorte che seppero crearsi clientele militari grazie alla concessione di terre. Tra questi emerse una famiglia austrasiani: i Pipinidi. Uno di loro, Pipino II di Herstal riuscì a rendere erediataria la carica, riunendo nelle sue mani nel 687 il ruolo di maggiordono di Neustria, Austrasia e Burgundia. Suo figlio, Carlo Martello, si distinse per lotta contro gli arabi, che culminò con la sua vittoria a Poitiers nel 752. Alla morte di Carlo Martello il regno fu diviso tra i suoi due figli: a Carlomanno spettò l’Austrasia, mentre a Pipino il Breve la Burgundia e la Neustria. Pipino il Breve depose il re Chielderico III e fu acclamato re nel 751; la dinastia dei Pipinidi fu leggittimata nel 754 quando Pipino si fece ungere da papa Stefano II, che consacrò anche i suoi figlio Carlomanno e Carlo (detto Magno). Pipino combattè contro i Longobardi di Astolfo, battendolo e approvando il nuovo re longobardo Desiderio. L’ITALIA TRA LONGOBARDI E BIZANTINI Dopo la vittoria di Giustiniano nel 553 sugli ostrogoti, l’imperatore estese con la Prammatica Sanzione la legislazione bizantina all’Italia. Ma la penisola era allo stremo e lo dimostra la pressocchè assenza di resistenza alla conquista longobarda. I longobardi erano giunti dalla Pannonia, pressati da altri popoli, al Friuli nel 569 guidati dal re Alboino. Da qui si insediarono eterogeneamente in tre aree: pianura padana, Toscana e territori tra Spoleto e Benevento. Bizantine rimasero, invece, l?istria, Ravenna, Roma, Napoli, Puglia, Calabria e isole maggiori. L’Italia era così divisa fra due dominazioni. L’arrivo dei longobardi, popolo del tutto estraneo alla cultura romana, ebbe un impatto violento: i primi decenni furono caratterizzati da forti scontri tra re e duchi; con due re longobardi, Autari prima e Agilulfo poi, si ebbe un rafforzamento del potere regio, che riuscì ad emarginare i duchi. La corte venne stabilita a Pavia nel 626. I territori bizantini a fine VI vennero affidati ad un esarca, un funzionario con incarico militare e civile che risiedeva a Ravenna. Ma il continuo stato di guerra rese indipendenti i ducati e di fatto sotto il controllo bizantino rimase solo la Sicilia. Finita la fase di conquista, dall’VIII sec. la situazione i stabilì e la società si consolidò ulteriormente sotto il re Liutprando. Egli puntò alla conquista dell’esarcato e di Roma, suscitando la reazione del papato. I successivi re, Astolfo e Desiderio, continuarono questo progetto e vennero framati dai franchi di Carlo Magno, chiamato direttamente dal papato. Carlo Magno aveva preso in sposa Ermengarda, figlia del re Desiderio. Quando i franchi furono sollecitati dai papi per fermare la conquista longobarda, Carlo Magno ripudiò la moglie e sconfisse Desiderio, conquistando il regno nel 774: Carlo divenne effettivamente re dei franchi e dei longobardi. Il regno longobardo mantenne la sua identità anche dopo la conquista, grazie alla memoria e ad opere come la Historia Langobardorium di Paolo Diacono di fine VIII sec. Solo i normanni a fine IX riuscirono a mettere la parola fine all’autonomia politica longobarda, quando cadde nel 1056 l’ultima città, Salerno. Lo stacco completo con Bisanzio avvenne quando papa Leone III non seguì l’iconoclastia, nel 726 staccò Roma dal resto dell’Italia meridionale e il papato si alleò con la potente dinastia cattolica dei Pipinidi. DAL MEDITERRANEO ALL’EUROPA BISANZIO L’impero romano continuò a Oriente. Giustiano puntò a riconquistare tutti i territori mediterranei dove si erano stanziati i barbari, conseguendo tre importanti vittorie: contro i vandali nell’Africa settentrionale nel -Ludovico il Germanico: parte orientale sul Reno (corrispondente a Regno germanico); -Carlo il Calvo: parte occidentale (più o meno attuale Francia). La morte senza eredi di Ludovico II (figlio di Lotario) e la deposizione di Carlo il Grosso (figlio malato ed incapace di Ludovico il Germanico) nell’887 pose fine alla dinastia carolingia. Crisi militare: dovuta a nuove invasioni. L’impero era minacciato: -a sud dai saraceni: popoli di origine etnica varia, accomunati dalla fede islamica e provenienti dalle coste del Nord Africa e dalle isole mediterranee. Attaccano con incursioni rapide e violente, poi formarono delle basi da cui poter guidare nuove incursioni. Tristemente celebre fu il saccheggio della Basilica Vaticana nell’846. Le loro scorrierie si placarono solo nell’X sec.; -ad est dagli ungari: provengono dalle steppe russe, combattono con arco composito. Attaccarono la prima volta nell’862, si instaurarono in Pannonia (attuale Ungheria) e da qui si mossero verso l’impero. Saccheggiarono Pavia nel corso del 924, seminando terrore ovunque. Le loro incursioni furono fermate grazie alla loro conversione e alla dinastia Sassone; -a nord dai normanni (uomini del nord): detti anche vichinghi, venivano dalla Scandinavia ed erano dotati di imbarcazioni molto agili e veloci. Alcuni si stanziarono nell’attuale Normandia, a cui diedero il nome, mentre altri (“rus” dalla Svezia) diedero vita al primo embrione della Russia intorno a Kiev. Crisi dell’ordinamento pubblico: non vi erano i mezzi necessari per poter garantire l’autorità imperiale ovunque. I funzionari non erano stipendiati, ma remunerati attraverso legami di fedeltà che prevedavano la garanzia di terre. Conti e marchesi, di nomina regia, resero ereditaria la loro funzione (vedi Constitutio de feudelis) e le aree controllate divennero da comitati/circoscrizioni a poteri dinastico-signorili. Si giunge così alle signorie di banno (banno = potere in un certo territorio), passando dall’età carolingia all’età signorile (NB non feudale, ma signorile). Il periodo post-carolingio vede, quindi, il prospettarsi di un nuovo mondo caratterizzato da: -mutamento politico-istituzionale: molteplicità di poteri locali; -mutamento sociale: netta distinzione tra chi ha il diritto di fare la guerra e chi non lo ha. Chi conta davvero è chi ha i mezzi necessari per combattere; -mutamento economico: nuove forme di prelievo, i signori esigono maggiori tasse; -mutamento insediativo sul territorio: cambia il paesaggio che si caratterizza di fortezze villaggi. L’ETA’ POST CAROLINGIA ECONOMIA, SOCIETA’ E POLITICA Dal III sec. la popolazione calò progressivamente fino a toccare il minimo nel VI sec, a causa di guerre, epidemie e carestie. Le invasioni barbariche e le ondate epidemiche si placarono nel VII sec. e ci fu una ripresa. Ma il declino demografico aveva lasciato i segni di una grave crisi economica, risolta in parte dalle riforme carolingie. La schiavitù non si esaurì, piuttosto mutò: da schiavo si passò alla condizione di servo; solo dopo il 1000 la servitù cominciò a sparirire, con la diffusione degli affrancamenti. Caratteristica principale fu la ruralizzazione della scoietà, con la conseguente crisi delle città. Il paesaggio mutò e fu spesso caratterizzato da abbandono, degrado, con scomparsa o riduzione dei centri urbani. LE CITTA’ Venuta meno l’istituzione dell’impero romano, molte città dei regni romano-barbarici (es: longobardo) persero la loro centralità politica ed economica, a favore dei villaggi. Gli organi dell’amministrazione vennero a convergere nelle mani dei vescovi, che in un certo senso garantirono un minimo di continuità istituzionale. Con l’impero carolingio le città riacquistarono il loro potere, ritornò la bipartizione tra funzioni civili (ufficiali pubblici) e quelle religiose (prelati), senza però indebolire il vincolo vescovo-città, ormai divenuto segno dell’identità cittadina. Il vescovo ottenne la pienezza dei poteri civili quando l’impero carolingio entrò in crisi e dal X sec. gli imperatori concessero ai vescovi il “districtus”, ossia il potere di obbligare e costringere. I vescovi si circondarono di vassalli e collaboratori, giudici e notai. LA CRISI DELL’IMPERO La crisi dell’impero carolingio culminata con la deposizione di Carlo il Calvo nell’887 causò la disarticolazione dell’impero in più regni e il titolo imperiale spettò al titolare del regno italico. Gli imperatori ed re, sempre più vincolati dalla necessità di avere l’appoggio degli aristocratici, videre il loro potere ridursi, a favore della nascita di nuove entità autonome, note come “principati”. Conti e marchesi resero le loro funzini pubbliche ereditarie creando dei propri domini (i conti: da comitati a contee; i marchesi da marche a marchesati). I poteri locali si fondavano su: acquisizione patrimoniale e trasmissione ereditaria delle cariche pubbliche, possesso di ingenti beni fondiari, rete di alleanze e clientele. L’immunità ottenuta dai vescovi venne progressivamente estesa anche ad alcuni grandi proprietari laici. Il regno dei franchi occidentali nell’888 si staccò dal resto dell’impero e ulteriormente frazionato in principati; solo alla fine del X sec. si affermò la potenza dei conti di Parigi che con Ugo Capeto ottennero il titolo regio nel 987. Il re, comunque, non riuscì mai ad esercitare una vera autorità su tutte le regioni e di fatto il suo dominio si limitò ai territori da lui direttamente controllati e da quelli del patrimoniale personale. La dipendenza dei signori dal re fu poco più che formale, soprattutto nel sud della Francia: qui accanto ai ducati (Aquitania) e alle contee (Tolosa) si formarono due regni, quello di Borgogna e quello di Provenza (poi assorbito dal primo). Più instabile la situazione nel regno italico, dove il conflitto per il trono fu più duraturo, anche per l’intervento dei pontifici. Territorialmente il regno continua a ricalcare quello longobardo e carolingio, ne rimasero fuori ancora i territori bizantini, arabi e longobardi nel meridione. A contendersi la corona furono soprattutto quattro famiglie: duchi e marchesi di Spoleto, di Toscana, di Ivrea e del Friuli. Nelle dispute vennero coinvolti anche i regni di Borgogna e Provenza. Al titolo di re d’Italia era connessa la dignità imperiale e, dopo vari re, il papato sollecitò il re di Germania Ottone I che ricevette la corona italica e quella imperiale. Il regno dei franchi orientali con l’elezione di Arnolfo di Carinzia (nipote di Ludovico il Germanico) ritardò la crisi e il ruolo di re, sempre di stirpe ducale, ebbe ruolo simbolico. Tra i vari ducati pretendenti al trono si affermò la dinastia dei Sassoni con Enrico I di Sassonia (919-936). Suo figlio Ottone I riuscì a sua volta a divenire redi Germania, eletto con un solenne rito carolingio, respingendo gli ungari ed espandendosi verso l’Oriente slavo. Sollecitato dal papa, scese in Italia e si fece incoronare a Roma nel 962, riunendo la corona tedesca a quella imperiale. I Sassoni puntarono a concedere privilegi attraverso i diplomi (doc. scritto ufficiale emanato da re/imperatore che concede un privilegio/diritto. Destinatario unico). Ottone si rilanciò come difensione della cristianità e impose che il papa, una volta eletto, dovesse giurare giuramento all’imperatore. Per accreditare la sua autorità in Oriente ricorse a relazioni diplomatiche e matrimoniali con i bizantini. Dopo Ottone I si successero Ottone II, Ottone III (elesse sede imperiale Roma nel 998) ed Enrico II, con cui si estinse la dinastia sassone. IL SISTEMA CURTENSE In età carolingia, precisamente nel corso dell’VIII sec. nei territori tra Reno e Loira, si sviluppò il sistema curtense: le grandi proprietà fondiarie organizzarono la loro attività agricola intorno ad aziende, dette curtes. Nella riserva padronale il “dominico” (proprietario) faceva lavorare i propri schiavi, che vi risiedevano a totale carico/vitto/alloggio del padrone. Nella coltivazione indiretta, o “massarìcio”, lavoravano famiglie di liberi o servi cui erano affidati terre. I territori non erano contigui e il legame tra le due parti era regolato da un patto che obbligava i contadini a prestare corvées (prestazioni di lavoro gratuite). Il sistema curtense si diffuse in Italia dopo la conquista franca. Il sistema curtense, volto all’autosufficienza, prestò produsse delle eccedenze, che vennero commercializzate nei mercati delle città, nei centri di scmbio rurale (stationes) o negli emporia del Mare del Nord. Divenne ben presto redditizio e si favorì sempre più la gestione indiretta. Permise, inoltre, l’emersione di una piccola ed una media proprietà di contadini; di contro, però, i grandi proprietari si arricchirono sempre più e man mano si affermarono come signori. L’ORDINAMENTO SIGNORILE ED I VASSALLI I signori furono l’espressione di un sistema sociale orientato in senso aristocratico fondato sulla ricchezza, resa possibile anche dal sistema curtense. La necessità di trasmettere l’eredità e non disperderla affermò il lignaggio patrilineare (discendenza linea maschile). Con i territori già di proprietà (allodi), si annoveravano anche terre concesse in beneficio, poi rese ereditarie. Se la famiglia aveva reso dinastiche anche le funzioni pubbliche, andavano aggiunte anche le terre delle circoscrizioni amministrative. I signori costruirono molti castelli e fortezze, per poter meglio gestire e controllare i possedimenti. Tra X-XI sec. i poteri ed i diritti dei signori divennero sempre più ampi: si può parlare di “signorie fondiarie” (nei limiti del possesso fondiario) o di “signorie di banno” (estesa anche a territori non di proprietà). I signori si servivano di legami di fedeltà, perfezionati dai franchi, che hanno nome di vassallaggio: un signore protegge e concede un beneficio vitalizio (dal X sec. detto feudo) ad un vassallo, che in cambio giura fedeltà e presta servizio militare. I beni dovevano ritornare al padrone una volta morto il beneficiario, ma poi divennero ereditari. Dalla seconda metà del IX sec. si diffuse il fenomeno dell’incastellamento, ossia della moltiplicazione di castelli e fortezze, sia per scopo difensivo e che di dominio (il castello attirava abitanti, mercati, attività artigianali ed amministrative). I castelli favorirono la formazione degli specialisti della guerra, i cosidetti cavalieri, che aiutavano il signore nell’esercizio del suo dominio e ne difendevani beni e territori. Erano soliti spostarsi a cavallo e speso erano autori di razzie e violenze, tanto che nel X sec. fu necessario limitarne l’azione. LE TRASFORMAZIONI DELLA CRISTIANITA’ Il cristianesimo si diffuse dal III sec. in due forme: nelle chiese dei vescovi e nel monachesimo. La concezione del tempo dei cristiani poteva essere: lineare, circolare, moltitudine di tempi sociali. Tempo lineare: cronologica, progressiva. Concezione escatologica: più ci si allontana dalla venuta di Cristo e più il mondo diventa depauperato. Tipica del mondo greco-romano. Si calcolava in base all’anno di regno dei re, poi dei consolari e infine degli imperatori. Il tempo iniziava, ad esempio, per i romani era il 753 a.C. (fondazione di Roma), mentre per i cristiani l’anno zero. Sant’Agostino divise il mondo in 6 epoche: -I° epoca: da Adamo a Noè (corrisponde alla primissima infanzia); -II° epoca: da Noè ad Abramo (corrisponde all’infanzia); -III° epoca: da Abramo a David (corrisponde all’adolescenza); -IV° epoca: da David alla cattività babilonese (corrisponde alla giovinezza); -V° epoca: dalla cattività babilonese a Cristo (corrisponde alla maturità, all’età adulta); -VI° epoca: da Cristo alla fine dei tempi (corrisponde alla vecchiaia). Tempo circolare o ciclico: legato alla liturgia. Antichissimo, era un modo usato già prima del cristianesimo. E’ un eterno ritorno, una commemorazone della vita di Gesù, alle feste della Vergine e ai Santi. Molteplicità di tempi sociali: in relazione alla divisione dei poteri. Correlazione tempo-potere. Ad esempio: in Cina l’imperatore er il signore del tempo; i carolingi cambiarono il nome ai mesi; introduzione ere fasciste (es: Marcia su Roma 27 ottobre 1922). Inizialmente i cristiani erano come “pietre viventi”: loro erano importanti, non le statue né gli idoli. Dal IV sec. il Dio stesso si fa “pietra viva”: nasce la Chiesa (ecclesia = comunità di persone). Le prime chiese non erano delle vere e proprie organizzazioni. Mano a mano la concezione escatologica venne sostituita da quella esoteologica (dimensione salvezza), l’organizzazione fu sempre più perfezionata: formazione dei ministeri, forte grarchizzazione, modello patriarcale, distinzione tra clero e laici. Al vertice vi erano i vescovi (tra questi vi era il metropolita a capo di più diocesi e il patriarca a capo dei sedi maggiori, ossia Alessandri d’Egitto, Antiochia, Roma e Gerusalemme), poi i presbiteri (liturgie e predicazione) ed i diaconi (ruolo assistenziale). Il potere religioso cercò sempre di prevaricare quello politico e spesso riuscì. Sino al X sec. la Chiesa non ebbe un capo assoluto. Le assemblee del clero erano convocate dai metropoliti periodicamente; meno frequenti i Concicli (grandi adunanze), in cui venivano discussi i dogmi, le liturgie e le leggi canoniche. Le prime chiese erano in divergenza, principalmente per il problema di coinciliare Dio con la Trinità. Tra le interpretazioni vi erano: quella di Ario di Alessandria che considerava la natura umana di Cristo; quella di Atanasio di Alessandria che sosteneva l’identità di sostanza e natura del Figlio col Padre; quella di Nestorio (neostorianesimo) che sosteneva la natura umana e divina di Gesù; quella del monofisismo che credeva nella sola natura divina di Cristo. Queste idee differenti minavano l’unità della cristianità e così nel325 Costantino convocò il Conciliio di Nicea, con cui furono condannate l’eresie e stabilito il cattolicesimo. Molti vescovi divennero dei santi patroni (protettori ultraterreni di alcune chiese rette da vivi) e molto importante divenne il culto dei santi, in particolare le loro reliquie. MONACHESIMO La vita monastica fu l’altro aspetto del cristianesimo. Si basava principalmente sull’ascesi, la preghiera e la completa rinuncia ai beni materiali. Il monachesimo si sviluppò nella forma eremitica e cenobitica. La prima prevedeva che il monaco vivesse da eremita, ossia in completa solitudine spesso nel deserto. La seconda era una vita di comunità, cioè monaci che vivevano insieme nel monastero gestito dall’abate. Il monachesimo si sviluppò a fine III sec. in Egitto, Siria e Palestina e nel IV sec. fu organizzata la prima comunità dal monaco egiziano Pacomio. Da lla metà del IV sec. si diffuse anche in Occidente, soprattutto nella forma cenobitica. Le regole dei monasteri si fondavano sulla preghiere, la povertà e l’obbedienza; le prime furono scritte da Pacomio e Basilio di Cesarea. La regola più influente dell’Occidente fu quella di Benedetto da Norcia, fondatore del monastero di Montecassino; tale regola divenne nell’817, per disposizione di Ludovico il Pio, il testo di riferimento per tutte le regole. I monaci furono i protagonisti dell’evangelizzazione di tutte le aree non raggiunte dal clero (es: Irlanda). Molti monasteri furono oggetto di interesse politico ed economico, vennero formati da sovrani o aristocratici, divennero destinatari di ingenti donazioni (monachesimo altomedievale come esperienza aristocratica) e Per il trasporto fondamentali furono bussole, carte nautiche. Le maggiori città italiane erano collegate con quelle europee: si delineò una pluralità di aree specializzate, integrate e complementari, in tutte l’Europa. GLI SVILUPPI POLITICI I RAPPORTI FEUDALI I legami di fedeltà ebbero due fasi evoluzione. La prima fase fu dei rapporti vassallatico-beneficiari, tipica dell’impero carolingio. La seconda fu dei rapporti feudo-vassallatici dell’XI sec., in cui a servirsi della fedeltà furono i signori: da allora dai legami di fedeltà militari si passò alla fedeltà politica e il beneficio venne sostituito dal “feudo”. Il feudo divenne lo strumento di concessione di diritti pubblici diventò col tempo ereditario e revocabile solo in eccezionali casi di infedeltà. Si elaborò anche un diritto feudale. Quando oltre alle terre era concessa anche la giurisdizione su di essa si parlava di “feudum nobile”; invece il “feudo oblato” era quando i signori donavano le terre ad un prìncipe, che poi glieli restituiva come feudi. La fedeltà era assicurata dal “ligio” (un omaggio) e il tradimento era detta “fellonia”. Lo schema feudale era di tipo piramidale. I cavalieri potevano essere vassalli, ma non necessariamente lo erano: l’investitura vassallatica presupponeva un rapporto alla pari (rito: entrambi in piedi e mani giunte in quelle del signore), mentre l’addobbamento cavalleresco non era alla pari, bensì una promozione sociale (rito: cavaliere inginocchiato, “colpo” con la spada e consegnada della stessa con il cinturone). I raporti vassallatici furono usati anche dalla Chiesa, che cerc di sfruttarli x le proprie aspirazioni universali. Il primo importante omaggio fu dato nel 1059 dal normanno Roberto il Guiscardo a papa Niccolò II, che gli infeudò i ducati di Puglia e Calabria. Gli imperatori non furono in grado, come invece i papi, di usare i feudi per motivi universalistici. L’apogeo fu raggiunto da papa Innocenzo III, che elaborò l’idea secondo cui il potere spirituale e temporale era dato da Dio al papa. LA FORMAZIONE DEI REGNI Tra XI-XIII le protagoniste della politica occidentale furono le monarchie. Fu un processo lento e tortuoso, differente in base alle regioni. Ogni re era stato un signore territoriale, cioò inizialementei poteri regi erano gli stessi dei principi territoriali. La novità fu che alcune casate riuscirono ad imporsi sulle altre e si distinsero dai signori rivendicando titpìoli e funzioni, elaborando nuovi concetti ideologici e giuridici e rivendicando la sacralità del loro potere. Le dinastie si stabilizzarono anche grazie alla continuità dinastica, alla succesione e ai rapporti feudali. Rispetto ai regni romano-barbarici, ad esempio, le nuove monarchie orientavano il loro dominio sulla capacità di comando su tutti gli abitanti nel loro territorio e sull’imposizione del tribunale regio su quello signorile. Regno di Francia. Il regno franco dopo la dissoluzione dell’impero carolingio corrispondeva più o meno alla Gallia romana ed era un insieme di principati. Infatti, la dinastia dei Capetingi controllava solo il principato tra la Loira e la Senna. La loro debolezza di potere paradossalmente in un punto di forza per l’affermazione monarchica: proprio perché debole non era avvertito come minaccia. I Capetingi si presentarono come i difensori delle chiese, guadagnandosi i favori delle città e del clero, e intraprendendo rapporti vassallatici con conti e duchi. Tra XII-XIII i re vantarono poteri traumaturgici, accrescendo il loro potere. A partire dall’epoca di Luigi VII si avviò il consolidamento del regno, quando il re assorbì le varie realtà regionali e consolidò le relazioni feudali tra signori-corona (soprattutto feudo ligio). Luigi VII affrontò anche il lungo conflitto con i vicini Plantageneti, discendenti Goffredo d’Angiò e dalla moglie Matilde (figlia del re d’Inghilterra); il loro figlio Enrico ricevette la corona d’Inghilterra, che comprendeva il territorio dalla Scozia ai Pirenei. Enrico era formlmente vassallo del re di Francia, ma era più potente di lui. Il conflitto fu risolto da Filippo II, che strappò agli eredi di Enrico molti territori francesi e, appoggiato da Innocenzo III e il re di Germania Federico II, vinse contro la coalizione Ottone IV-Giovanni senza terra (re inglese). Regno d’Inghilterra. A fine IX sec. il re inglese Alfredo il Grande aveva fermato i vichinghi e iniziato un’azione di governo, consolidata dai suoi successori. Il regno era diviso in circoscrizioni in cui operavano gli agenti dei re (sherifs), incaricati di giustizia e riscossione. Nel 1016 il danese Canuto II si impossessò della corona ed il suo successore Canuto III lasciò la corona al fratellastro Edoardo il Confessore, figlio di Emma di Normandia: il regno passò così ai normanni. Edoardo designò come erede il duca di Normandia Guglielmo e alla sua incoronazione si oppose Aroldi del Wessex. Quest’ultimo fu sconfitto e Guglielmo, detto poi il Conquistatore, fu incoronato nel 1066 nell’abbazia di Westminster. Guglielmo confiscò i beni ai sassoni x darli ai normanni, mantenne il regno diviso in contee e villaggi, impiantò una maglia di castelli dati in feudo a baroni (=vassallo del re) e cavalieri e fece nel 1086 il Domesday Book x motivi fiscali dove furono registrate proprietà, nomi e num. di vassalli. Alla sua morte, dopo delle lotte x la successione, salì Enrico II, che puntò a ridurre il potere della nobiltà ed introdusse un’imposta che esentava i baroni dal servizio militare. Inoltre entrò in conflitto con la Chiesa: nelle Costituzioni rivendicò la supremazia giuridiziaria della corona e cercò di imporla anche sul clero. Il conflitto terminò con il rafforzamento regio. Enrico II lasciò un regno ben organizzato, ma i suoi successori portarono un regresso: Riccardo Cuor di Leone era sempre impegnato nella guerra contro la Francia e nelle crociate, mentre Giovanni Senza Terra fu sconfitto dal re francese Filippo II e perse i possessi in Francia. I problemi economici lo costrinsero a firmare la Magna Charta Libertatum, che ridefiniva il rapporto sovrano-sudditi, riconoscendo le prerogative di nobili, clero e comunità mercantili cittadine; inoltre ogni nuova iniziativa fiscale necessitava dell’approvazione di un consiglio di 25 baroni. Il regno normanno in Italia meridionale. Tra X-XI l’Italia meridionale era fortemente frazionata: nel ducato di Benevento (ex longobardo) si erano formati il principato di Salerno e la contea di Capua, la stessa Benevento si era data alla Chiesa di Roma, il dominio bizantino si limitava a Puglia e Calabria, le maggiori città campane erano autonome e la Sicilia era araba. Sia i bizanrini che i longobardi, in lotta tra loro chiesere l’aiuto dei normanni che in poco tempo passaro da mercenari a signori, mettendo in piedi dei loro domini. Uno di essi fece la differenza: Roberto il Guiscardo che, dopo aver reso omaggio all’imperatore e aver ottenuto l’appoggio del papa divenendo suo vassallo, conseguì il titolo di duca di Puglia e Calabria e l’avallo alla conquista della Sicilia. Roberto mise fine alla presenza longobarda e bizantina e in una spedizione nella Grecia bizantina morì e così suo fratello Ruggero avviò la conquista della Sicilia. Il figlio di quest’ultimo, Ruggero II unificò i domini normanni e, in vista dello scisma, appoggiò l’antipapa da cui ottenne il titolo di re di Sicilia. Reggero II seppe governare con saggezza un solido regno fondato sul feudalesimo. Alla sua morte, le tensioni con le città del centro-nord furono fronteggiate da Guglielmo I con repressioni e concessioni. Infine, il trono passò a Costanza, figlia di Ruggero II, che sposando Enrico di Hohenstaufen portò il regno di Sicilia ai svevi. L’ESPANSIONE ARMATA CRISTIANA LA RECONQUISTA IBERICA La reconquista dei territori in mano ai musulmani nella penisola iberica iniziò nell’XI sec. La penisola era divisa tra le varie dinastie: regno di Navarra, contea di Castiglia (separato dal primo) e il regno di Aragona che poi si unificò con quello di Barcellona. Il mondo islamico era in crisi e i cristiani riuscirono a conquistare Toledo nel 1085. Bloccata dagli islamici, la reconquista riprese a fine XII sec. lungo le direttive d’espansione di tre regni: Portogallo, Aragona e Castiglia. Decisiva fu la battaglia a Cordova nel 1212 vinta da Ferdinando III di Castiglia e Giacomo I d’Aragona. L’ESPANSIONE VERSO L’EST Il regno germanico rimase frammentato sino all’elezione a re di Germania di Federico I di Svevia nel 1152. Egli affidò i domini ai propri ministeriali ed utilizzò i legami feudali. Però l’impossibilità di controllare i feudi vacanti, constrinse egli ed i suoi successori a rafforzare il potere di nobili e clero: ad esempio, Federico II nel 1213 concesse ampi diritti ai vescovi (Bolla D’Oro) ed ai principi nel 1231, nonché privilegi mercantili e fiscali alle città. Il regno si espanse verso l’Est: coste del Baltico, Boemia, Alpi orientali, regioni slave occidentali. LE CROCIATE Dall’XI il pellegrinaggio si intensificò, soprattutto nei luoghi fulcro della cristianità come Gerusalemme, Roma e Santigo di Compostela. Venne anche a consolidarsi l’indulgenza, ossia la remissione dei peccati x chiunque partecipasse alla reconquista (prima indulgeza con papa Alessandro III nel 1064). Da allora divenne legittimo combattere gli infedeli e così avvenne in Terrasanta: papa Urbano II esortò i fedeli a pellegrinare in Terrasanta e nel 1096 partì una spedizione armata verso Gerusalemme, che portò alla sua conquista nel 1099. Qui venneo creati dei regni cristiani, la cui élite era costituita da tutti quei nobili e cavalieri che nei paesi di orgine erano preclusi dalla primogenitura. Erano organizzati secondo legami feudali e furono istituiti gli ordini monastici militari, come i Templari nel 1118. Dopo poco i regni cristiani vennero ripresi dai musulmani guidati da Saladino, che entrò a Gerusalemme nel 1187. Nonostante la tolleranza musulmana, ci fu una nuova offensiva cristiana, fallita. L’idea di crociata prese corpo con Innocenzo III, volta ad indicare sia la difesa dei luoghi santi che la repressione dei nemici. Le crociate furono motivo di arricchimento per i mercanti, in primis veneziani, che trasportarono i crociati in cambio della presa di Costantinopoli (avvenuta nel 1024), spartita poi tra crociati e veneziani. NOBILTA’ E CAVALLERIA Il cavaliere fu per molto tempo una professione praticabile da ceti sociali assai diversi. Poi questo mestiere venne specializzandosi, per effetto della sempre minor fedeltà garantita e dell crescente costo dell’armatura, restringendo così la cavalleria ad un’élite. Dal XIII sec. l’addobbamento di cavaliere fu riservato quasi esclusivamente ai dicendenti dei cavalieri, divenendo un vero e proprio ceto ereditario. Le vicende della cavalleria si intrecciarono con quelle della nobiltà, che cercò di differenziarsi dagli altri gruppi sociali per avere la dignità cavalleresca. Dall’aristocrazia di fatto altomedievale (ricchezza, stile di vita) si passò ad una nobiltà di fatto (ereditaria). La figura del cavaliere si prestò bene alla letteratura (epica cavalleresca e romanzi) e si inserì nell’immaginario della società tripartita elaborata dagli ecclesiastici: oratores che pregano, bellatores che combattono e laboratores che lavorano per la società. L’APOGEO DELL’EUROPA RICCHEZZA ECONOMICA Nel XIII ci fu un boom demografico e trale città più popolose vi erano Milano, Parigi, Venezia, Firenze e Siviglia. Nonostante ciò buona parte della popolazione rimase nelle campagne. A fine XIII sec. l’equilibrio risorse-uomini si ruppe e la popolazione smise di crescere ed in alcune regioni diminuì. La tendenza economica espansiva del Mille proseuì sino al XIII sec. Grande sviluppo ebbe il settore tessile, incrementato dall’uso di nuovi macchinari. I tessuti erano il principale prodotto di scambio con tinture, spezie e seta dall’Oriente e con pellicce, legname e pesce con il Nord. I mercanti si concentrarono rpincipalmente in tre aree: fiere di Champagne, le Fiandre ed il Mar Baltico. A dominare furono i mercanti italiani, soprattutto quelli di Genova e Venezia, spesso in conflitto. Con la crociata a Costantinopoli nel 1024 i genovesi ed i pisani furono estromessi dai veneziani. I genovesi seppero riscattarsi contribuendo militarmente e finanziariamente alla restaurazione dell’impero bizantino di Michele Paleologo nel 1261. I genovesi si scontrarono anche con i pisani per il controllo nelle rotte verso Corsica, Sicilia e Sardegna. Le attività mercantili ebbero una svolta e si vennero creando figure economiche commerciali più complesse. Nel commercio marittimo si diffuse la “commenda” con cui un mercante raccoglieva i finanziamenti per il viaggio da vari creditori e al ritorno restituiva i prestiti ed una percentuale di guadagno. Il commercio su terra portò alla formzione di vere e proprie compagnie di capitali, sorte prima nella famiglie e poi estese a terzi. Si svilupparono i strumenti monetari (monete argento e di nuovo monete d’oro: fiorino di Firenze e ducato di Genova) e finanziari, come le lettere di cambio (atto notarile di debito) che consentivano di trasportare da un banco ad un altro denaro senza spostamenti fisici di monete. Tuttò ciò trasformò la società, soprattutto urbana che vide nuove figure: fabbri, fornai, cuoiai, bottegai, prestatori di denaro, medici, giudici, notai e così via. La figura più importante fu certamente il mercante che, sviluppando una vera e propria tecnica mercantile, divennero uomini d’affari. Problematica fu l’usura, ossia il prestito ad interesse. PAPATO, IMPERO E REGNI Papato e impero tra XII-XIII rinnovarono le loro aspirazioni universalistiche, portando nuovi conflitti che ebbero come teatro l’Italia. Dopo il trattato di Worms (1122) l’azione politica papale divenne irreversibile e allo stesso modo l’elezione di Federico I Barbarossa (1155) si restaurò l’autorità imperiale. Alla base della supremazia imperiale di Federico I vi era l’idea che il potere imperiale venisse da Dio: l’imperatore come vicario di Cristo (“sacrum imperum”). Egli non riconobbe la supremazia papale, sostenne l’antipapa Vittore II, cercò di pacificare la Germania e di affermarsi in Italia. Nella penisola entrò in aperto conflitto con le città: riaffermò le regalìe (diritto spettante al re in materia giurisdizionale, fiscale, amministrativa), proibì le leghe fra le città e impose l’omaggio feudale alle aristocrazie. Milano si ribellò e Federico I mandò un funzionario, così molte città si unirono nella “lega lombarda” sostenuta da papa Alessandro III: Federico I fu sconfitto e con la pace di Costanza nel 1183 concesse l’esercizio delle regalìe ai comuni che in cambio riconobbero l’autorità imperiale. Federico II lasciò il regno di Sicilia al figlio Enrico IV facendolo sposare con Costanza d’Altavilla. Il re morì quando il figlio Federico II era anche piccolo e la madre lo lasciò alla tutela di Innocenzo III: Federico II ottenne poi sia la corona germanica che imperiale. Cercò di imporsi al centro-nord, incontrando l’ostilità di papa Gregorio IX: venne prima scomunicato e poi ucciso. Con il nipote di federico II si estinse la dinastia sveva, sostituita dai d’Angiò. Il papato si era rafforzato con l’istituzione del conclavee del concistoro (consiglio di cardinale x assistenza al papa). Innocenzo III affermò la teoria teocratica e la metafora del sole (Dio che brilla di luce propria) e della luna (impero che brilla di luce riflessa), sancì che il potere sia spirituale che temporale appartenesse al papato e l’autorità imperiale era solo delegata di esercitare il potere temporale. I papi successivi proseguirono su tale linea, facendosi forza anche della Donazione di Costantino (doc. falso in cui si affermava che Costantino aveva donato il dominio sull’Occidente e su Roma a papa Silvestro; redatto forse proprietario e contadino, in cambio diinvestimenti del padrone – come sementi, attrezzi...) noti con il nome di mezzadrìa. La crisi portò alla contrazione dei commerci e alla diversificazione delle merci (da un lato merci pragiate come seta, vetri e carta, dall’altra beni accessibili). Meno grave la crisi del settore tessile, settore che fece la fortuna di Firenze (panni di lana) e della Toscana in generale. Si affermò la figura del mercante-imprenditore, che acquisivano le materie prime, le affidavano alla botteghe e si occupavano della vendita. Colpite furono le attività creditizie (soprattutto toscane), che facevano credito anche ai sovrani europei che chiedevano grandi somme. Ad esempio, Filippo IV il Bello per far fronte alla crisi accumulò debiti, svalutò la moneta francese e con la sua insolvenza portò alla bancarotta della compagnia bancaria dei Bonsignori di Siena. Stessa sorte ai Bardi e ai Petruzzi di Firenze, generando un effetto a catena. Fu ristrutturato il sistema creditizio: le filiali delle compagnie si dotarono di capitali propri in modo tale che se dichiaravano bancarotta non avrebbero investito l’intera compagnia, furono migliorate le lettere di cambio ed i strumenti assicurativi, fu inventata la partita doppia. REAZIONI E RIPRESA La peste destabilizzò la società anche psicologicamente, x la rapidità con cui si diffuse. Le misure x arginarla furono: segregazione dei malati, quarantena dei quartieri coloiti e delle navi provenienti dalle rotte asiatiche, istituzione dei lazzaretti a partire dal XV sec. L’epidemia, le guerre e le carestie furono interpretate come un annuncio apocalittico: si diffusero le pratiche di penitenza (flagellazione), si intensificarono i pellegrinaggi ed il culto dei santi, crebbero le donazioni testamentarie, ma ci fu anche chi si dedicò al gioco e al lusso. Si incitò il linciaggio dei non cristiani e gli ebrei divennero oggeto di persecuzione. La paura della morte assunse nuovi tratti, divenendo oggeto dell’arte sacra. La letteratura enfatizzò il senso di angoscia e le cose belle della vita minacciate dalla morte (Decameron di Boccaccio). Nel 1348 alcune donne che vivevano da sole e praticavano guarigioni, furono accusate di stregoneria (vedi sabba) e la Chiesa le condannò affidandole all’inquisizione, dando vita alla caccia alle streghe. Tra XIV-XV le campagne furono teatro di rivolte, che accentuarono la marginalità delle classi più deboli. Spesso tornarono i vecchi diritti signorili (corvées) ed alcuni grandi proprietari si appropriarono delle terre comuni. In Inghilterra nel 1581 il malcontento fu inasprito da una legge che fissava il massimo x i salari e da una nuova tassa x coprire i costi di guerra: i contadini dell’Essex e del Kent si ribellarono, ottenendo alcuni privilegi, ma i più radicali vennero perseguiti. La più violenta rivolta fu quella dei contadini francesi, nota come jaquerie, che scoppiò nel nord del paese nel 1358: i contadini, appoggiati dal popolo e dai mercanti, si ribellarono con saccheggi e assalti ai castelli e la rivolta fu duramente repressa nel sangue. Nelle città si ribellarono gli artigiani e i lavoratori salariati. Delle arti facevano parte solo capi botteghe, soci e collaboratori, ma non i salariati, che non potevano nemmeno fare una loro corporazione (Firenze 1343-45 primo sciopero operaio). Artigiani e lavoratori si batterono x fare delle proprie gilde e partecipare alla politica, riuscendo in molte città a prendere posto nei consigli cittadini. Sommosse popolari scoppiarono a Genova, Siena, Perugia e la più nota avvenna a Firenze nel 1378: i ciompi (operai della lana) chiesero partecipazione al governo con una loror arte e l’aumento dei salari e inizialmente ottennero 1/3 delle cariche al governo, ma poi furono duramente repressi. I poveri, come i mendicanti, venivano considerati pericolosi e molti governi attuarono politiche di assistenza (ospizi, accoglienza orfani, elemosine) e per impulso dei francescani in molte città si crearono i monti di pietà, che erogavano piccoli prestiti. RIPRESA DEL QUATTROCENTO Da metà XV iniziarono i segnali di ripresa, lenta ma costante, che non conobbe arresto sino al XVII sec. L’aumento demografico fu tardivo in Inghilterr e Francia, mentre più precoce in Spagna e Italia. Le città più popolose italiane erano Messina, Catania, Roma, Firenze e soprattutto Napoli. Le aree che videro un forte sviluppo agricolo furono Lombardia, Olanda e Inghilterra merdionale, mentre le aree dedite all’allevamento (brado o transumanza) come Spagna e Italia meridionale andarono incontro all’impoverimento del terreno. Si accentuò la trasformazione del mercante da negoziatore a figura statica a capo di grandi filiali. La fioritura artistica, letteraria, architettonica prende il nome di Rinascimento. IL DECLINO DEI POTERI UNIVERSALI PAPATO E SOCIETA’ CRISTIANA Tra fine XIII e inizio XIV si delineò il declino delle concezioni universalistiche del papato e dell’impero. Con il conflitto x le tasse sul clero con il re francese Filippo IV, Bonifacio VIII portò agli estremi gli ideali teocratici con la bolla Unam sanctam del 1302, in cui espresse la superiorità papale e la sottomissione ad essa. All’apice del loro scontro Bonifaciò scomunicò Filippo IV. Egli, allora, concepì l’idea di processarlo e, appoggiato, dai Colonna, raggiunse Anagni (sede curia) e insultò e arrestò il papa. il pontefice, riuscì a riparare, ma morì poco dopo ed il re fece eleggere papa nel 1305 Clemente V (Bertrand de Got, vescovo di Bordeaux). Il nuovo papa nel 1309, temendo l’ostilità dei romani, trasferì la curia da Roma ad Avignone, dove rimase sino al 1377. Questo trasferimento rafforzò il rapporto Francia-Chiesa: i pontefici del periodo furono quasi tutti francesi, così come i membri della curia. Quest’ultima, lontana dai conflitti delle famiglie romane, potenziò i suoi apparati, come la cancelleria e i tribunali, rafforzando la sua inclinazione monarchica. Le spese politiche ed amministrative si dublicarono, ma le entrate di quella Chiesa così corrotta (vendita indulgenze) ne fecero la quarta potenza mondiale (dopo Francia, Inghilterra e Napoli). La curia fu accusata di mondanizzazione e amoralità, anche da parte di molti italiani, soprattutto italiani (Dante parlò di “cattività avignonese”, come una prigionia del papato della corona francese) e si moltiplicarono le sollecitazioni di ritorno a Roma. Gregorio IX nel 1377 riportò la curia a Roma e la sua morta spaccò in due il colleggio dei cardinali per lo scontro tra prelati italiani e francesi. Gli italiani elessero papa Urbano VI (arcivescovo di Bari) ed i francesi Clemente VII (cardinale di Ginevra), che si traferì ad Avignone: ci furono così due curie e due papi, in un ìo scisma teso e contestualemente alimentato dai sovrani europei. NUOVI FERMENTI RELIGIOSI La mondanizzazione della Chiesa comportò delle reazioni. In primis i frncescani ripresero a gran voce gli ideali di povertà e umiltà, opponendosi alla Chiesa e venendo asserite di pauperismo radicale. Oppure nacque la corrente dei spirituali fu repressa dall’inquisizione e molti frati vennero uccisi, messi al rogo o arresti. Dai francescani si distaccò Gherardo Segarelli la setta degli apostolici, che rifiutò l’obbedienza al clero e predicò la penitenza: Gherardo fu bruciato sul rogo e prese il suo posto fra Dolcino, anch’egli ucciso. O ancora a Milano venne trafugata la tomba di Guglielma (che anni prima predicava di essere inviata da Dio) e i suoi seguiaci profetizzarono un’era dominata dalle donne: il cadavere venne bruciato sul rogo e i seguaci perseguitati. Chiunque si opponeva alla Chiesa era accusato di eresia e processato. Alcune eresie assunsero significato preciso di opposizione politica alla Chiesa, come le tesi pubblicate dal teologo di John Wyclif, in cui contrappose una “chiesa invisibile” di cristiani con a capo Cristo. MOVIMENTO CONCILIARISTA Lo scisma inaugurò un periodo difficile, indebolendo l’autorità papale. Pisa nel 1409 in un concilio depose entrmbe i papi, eleggendo a nuovo papa Alessandro V, arcivescovo di Milano: i due papi non abdicarono e si ebbero ben tre pontefici. Così si diffuse l’idea di dover fare un concilio ecumenico, che venne convocato a Costanza dal re germano Sigismondo nel 1414. Il concilio rdunò centinaia di prelati, teologi e sovrani e durò sino al 1418: portò all’elezione del primo papa ecumenico nel 1417, Martino V. Ma nel 1438 Eugenio IV dichiarò decaduto il concilio e convoco una nuova assemblea per discutere lo scisma con la chiesa ortodossa: i conciliaristi processarono Euguenio IV e nominarono come suo successore Felice V. paradossalmente mentra la Chiesa di Roma si riconciliava (seppur temporaneamente) con la chiesa di Costantinopoli, si avviava l’ennesima spaccatura interna nella chiesa cattolica. I pochi conciliaristi rimasti, dopo aver riconosciuto come papa Niccolò V, si sciolsero. Nel 1438 la Francia emanò la Prammatica sanzione, in cui dichiarò l’elezione locale di vescovi e abati, sancì le competenze dei tribunali civili su materie ecclesiastiche, ridusse l’intervento papale su benefici e fisco. RINNOVATA AUTORITA’ PONTIFICIA Da metà XV si riconsolidarono le tendenze alla centralizzazione del governo pontificio, dopo lo scisma. Il papato con i sovrani ritrovò nuovi accordi e la curia tornò ad esercitare funzioni giudiziari e a gestire i benefici. Le entrate si rifecero consistenti e il papato si reinserì nella politica italiana, restaurando il proprio dominio. Prese vigore il “nepotismo”, ossia l’affidamento delle cariche e dei benefici ai parenti del papa: si crearono vere e proprie dinastie di cardinali, vescovi. La curia tornò agli antichi fasti, la sede papale passò al Vaticano e Roma si apprestò a divenire una delle città più belle e fastose, metà di pellegrinaggio ma anche centro politico e finanziario. Le inascoltate istanze di ritorno alle origini della Chiesa portò alla nascita di confraternite (associazione di laici x attività caritative e assistenziali) e di beghinaggi (esperienze di vita in comune femminile). GLI IMPERI L’impero dopo la morte di Federico II fu sempre più debole e l’influenza imperariale si ridusse al territorio tedesco. Nella prima metà del XIV sec. venne affermandosi un gruppo di ecclesiastici, laici e grandi elettori (re di Boemia, duca di Sassonia, conte del Palatinato, marchese di Brandreburgo, arcivescovi di Colonia, Trreviri e Magonza) chiamati a designare il re di Germania e riuniti nella dieta (assemblea popoli germanici). Nella dieta di Rhens nel 1338, insieme a Ludovico di Baviera, stabilirono che la corona regia e qualla imperiale fossero automaticamente associate, senza consenso del papa. Inoltre, successivamente fu emata dal re Carlo IV una Bolla D’Oro x sancire che nemmeno il titolo di re d’Italia necessitava del consenso del papa. La corona imperiale fu contesa fra varie famiglie: i Lussemburgo, l’ultimo dei quali, Sigismodo, diede la figlia in sposa ad un Asburgo favorendo quest’ultima famiglia. L’accentramento del potere non raggiunse mai l’apice: l’autorità statale era limitata ai Lander (territori retti da un signore). Le maggiori città erano nella Germania meridionale e sulle coste baltiche; le alleanze erano vietate ma l’imposizione andò scemando. Infatti tra le città dell’area baltica e renana si creò un’unione, l’Hansa, che divenne una potenza economica e militare. Un principato particolare fu quello creato dall’ordine religioso militare dei Cavalieri teutonici, costituito nelle regioni orientali. Dopo il saccheggio del 1204 Costantinopoli fu spartita tra i crociati ed i veneziani, che crearono una sorta di “impero latino d’Oriente”. La successiva alleanza di Michele Paleologo con i genovesi nel 1261 restaurò la sovranità imperiale, seppur ridotta ad un territorio molto ridotto. Sotto i Paleologi l’impero dovette affrontare gli attacchi dei slavi nei Balcani e dei Turchi Selgiuchidi in Oriente, la concessione di terre divenne ereditaria, l’economia fu indebolita (commercio e finanza erano i mano a genovesi e veneziani, gli oneri per l’esercito aumentavano), ma nonostante ciò la vita culturale fu molto intensa così come non venne mai meno l’autorità del patriarca di Costantinopoli. L’interno della Chiesa ortodossa fu divisa dadue componenti: una favorevole a ricucire lo scisma (tentativo concilio di Firenze 1439), mentre l’altra si opponeva (movimento monastico sul monte Athos). ARABI E TURCHI OTTOMANI Dal 1058 i Turchi Selgiuchidi ottennero il califfato di Baghdad, estendendosi alla Siria, all’Egitto, all’Arabia e alla Mesopotamia. Nell’Anatolia si ritrovano soggetti al grande khan che frammentò la zona in piccoli emirati. Da uno di questi comunciò a rafforzarsi una tribù, gli Ottomani, che si espansero in tutta l’Asia Minore, nel regno di Serbia (dove assoggettaroni i serbi), in Macedonia, Bulgaria e Valacchia, portando apprensione in Occidente: gli occidentali cercarono di salvare invano Costantinopoli e furono costretti a riconoscere il califfo di Baghdad come sultano. Vinto contro gli occidentali, gli ottomani puntarono a Costantinopoli quando, però, furono investiti da un’offensiva mongola: Tamerlano (musulmano sunnita) mosse per creare un grande impero asiatico. Conquistò Persia, Dehli, Mesopotamia, giunse in Siria dove distrusse Aleppo e Damasco e arrivò a saccheggiare Baghdad. Tamerlano riuscì quindi a bloccare l’ascesa dell’impero ottomano, conquistando anche l’Anatolia, ma dopo la sua morte l’impero si disgregò in pochi decenni. Così gli ottomani ripresero a esandersi in Asia, Mar Nero e Balcani. Gli imperatori bizantini chiesero aiuto all’Europa (prostrata dalla Guerra dei Cent’anni) invano e Costantinopoli cadde nel 1453, generando sgomento in Occidente. L’organizzazione politica e religiosa dell’impero ottomano si concentrò nelle mani del sultano, gli stati soggeti erano governati da un pascià e furono molto più tolleranti verso le altre religioni rispetto ai bizantini. LA FORMAZIONE DEGLI STATI DAI REGNI AGLI STATI Gli stati continuarono ad essere un insieme di molteplici organismi, ciascuno con propri poteri. Nell’Europa occidentale le compagini statali erano più stabili di quelle della parte orientale. Tra gli elementi di continuità troviamo il perdurare del potere della nobiltà e dal continuo sviluppo delle città. Anche il clero continuò a godere di privilegi giurisdizionali e fiscali, ma con lo scisma ed il movimento conciliarista, i poteri civili confermarono il loro potere oìintaccando quelli del clero e molti re rivendicarono la tutela delle chiese nazionali, stipulando accordi e patti nel XV sec. con la Chiesa di Roma. I re, inoltre, si presentarono come garanti della sicurezza del paese e ciò gli fornì la base ideologica x legittimare il loro diritto a imporre tasse, amministrare la giustizia e l’esercito. Le amministrazioni si articolarono sempre di più, con uffici specializzati, come le alte corti di giustizia (crimini gravi, prerogativa del sovrano), camere fiscali, consigli del re. La novità riguardò i funzionari dello stato: essi non vennero più considerati al servizio del re con legami di fedeltà, ma vennero stipendiati e reclutati non in base allo status ma alle competenze, formando un vero e proprio ceto. Le necessità finanziarie dei sovrani crebbero efecero spesso ricorso ai autorità sino in Toscana e Lombardia. Fu proprio da quegli anni che cominciò a circolare il termine “ghibellino” per indicare l’alleanza tra Francia-Papato-Firenze. Dopo la perdita della Sicilia, la presenza angioina venne rinnovata nell’Italia comunale (Firenze, Brescia, Asti). La discesa di Enrico VII di Lussemburgo (1303-1310) e l’incoronazione a Roma di Carlo VI nel 1355 furono gli ultimi tentativi di ambizione sull’Italia. L’alleanza tra papato e gli Angiò fu all’orogine dell’opposizione di due fazioni: guelfi e ghibellini. I guelfi assunsero il potere in quasi tutte le città, almeno sino al 1310 con il ritorno degli imperatori. I signori usarono questa cosa x rafforzarsi attribuendo il titolo di vicario in cambio di cospicui tributi. La pratica fu ripresa anche dai papi. I signori riuscirono così a eludere le istituzioni comunali, formando vere e proprie corti: emerse nel lessico comune il termine “tirannide”, volta ad indicare la degenerazione di chi governava. Dal 1330 in poi comuni e signori ridussero la frammentazione assoggettando altre città. Questo fenomeno perdurò sino al XV sec. e ne emerse un sistema politico di pochi stati di dimensioni regionali. Le cinque formazioni principali furono Milano, Venezia, Firenze, stato pontificio e regno di Napoli e Sicilia. STATI Gli stati italiani presentano tante analogie e una differenza sostanziale. Furono realtà composite dove non fu mai esercitata la totalità dell’autorità, ma la differenza fu il ruolo diverso delle città. In Italia, infatti, furono le città a promuovere la formazione di stati, a essere dirette interlocutrici senza mediatori (come i parlamenti). I primi tentativi di creare stati vennero dalle grandi famiglie signorili nella prima metà del ‘300, soprattutto la famiglia Visconti. Con Giovanni Visconti, signori di Milano, il territorio si estese a Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia. Gian Galeazzo, dopo qualche decennio, ridiede impulso espansionistico, distruggendo le famiglie Della Scala e i Da Carrara e incorporando Pisa, Siena, Perugia e Spoleto. Acquistò anche il titolo di principe e duca di Milano, potendo così instaurare rapporti feudali. La sua morte improvvisa portò alla digregazione, riunita poi dal secondogenito Filippo Maria limitatamente al territorio lombardo. Firenze ebbe più continuità e solidità. Lo stato aveva lo scopo di difendere la città e mantenere l’indipendenza. FU per questo che spesso assoggettò le città economicamente invece che militarmente. L’avanzata viscontea accelerò l’acquisizione di Arezzo, la sottomissione di Pistoia, la conquista di Pisa e poi l’assoggettamente di altre città, come Livorno. Venezia, città mercantile, controllava oltre i traffici mediterranei, anche le coste istriane e dalmate. La minaccia viscontea portò la città a imporsi anche sulla terraferma dove era ferma a Treviso, assoggettando anche Belluno, Vicenza, Verona, Brescia e Bergamo. Sulla terraferma rispettò comunque le realtà locali, ma col tempo si inserì sempre più nelle autonomie locali, sin quando il doge si nominò vicario imperiale e le aree sotto il dominio veneziano dipesero feudalmente dalla “repubblica” di Venezia. Tre domini cittadini di rilievo furono: i Gonzaga (Mantova), gli Este (Ferrara, Modena e Reggio) e i Savoia (sulle alpi occidentali, tra Francia e Italia, presero la nomina di duchi e si estesero sino al Piemonte). Stati monocittadini furono: Genova, Lucca e Pisa (queste due soggette a Firenze ma indipendenti). STATO PONTIFICIO Comprendeva: Romagna, marca d’Ancona, ducato di Spoleto, Tuscia, Sabina, Roma ed altre città. Lo spostamento della curia ad Avignone impoverì il dominio e Roma precipitò nel caos della lotta tra le famiglie (Colonna, Caetani e Orsini). Particolare la vicenda di Cola di Rienzo, notaiio di umili origini: nel 1347 capeggiò una rivolta e con il consenso di Avignone si impadronì del Campidoglio, proclamandosi tribuno della pace, della giustizia e della libertà. Voleva fare una “repubblica romana” secondo una politica antinobiliare. Dopo essere stato vittima di congiura, tornò a Roma ma il suo governo autoritario di forte fiscalismo lo portò ad essere ucciso dal popolo. Avignone cercò di inviare dei funzionari per placare l’anarchia della città. Fu inviato Egidio de Albornoz che con le Costituzioni egidiane costrinse i signori a riconoscere l’autorità pontficia, pur riconoscendogli diritti e alcune autonomie. Su Romagna, Marche e Umbria il poco controllo del papato eprmise formazione di automie. I REGNI Carlo I d’Angiò si insediò in Sicilia nel 1266, con il sostegno fiorentino e papale. Per i debiti ricorse a molti prestiti e diede feudi ai francesi e spostò la capitale da Palermo a Napoli. Dopo vario malcontento, Parlemo chiese aiuto agli Aragona: la rivolta dei Vespri aprì un lungo conflitto che si risolse con l’offerta della corona siciliana Federico III d’Aragona, che diede vita ad un regno autonomo. Gli Angiò, tentando invano di riprendere la Sicilia, si concentrarono su Napoli, cuore del guelfismo italiano. Napoli con Roberto I, riconosciuto anche a Firenze e Roma, raggiunse un lungo periodo di splendore artistico e culturale: alla sua corte arrivarono Boccaccio, Petrarca, Giotto e altri. Sia il regno di Napoli che di Sicilia erano territorialmente compatti ma il potere regio era instabile. La Sardegna venne conquistata dagli Aragona: venne concessa a loro in feudo da Bonifacio VIII nel 1297 e poco dopo ne iniziarono la conquista, accordati con i pisani. I sardi opposero resistenza e la Sardegna cadde solo nel 1409. Giovanna II d’Angiò, senza eredi, adottò Alfonso V d’Aragona a cui lasciò il regno: la cosa destò ostilità e dal 1438 al 1442 ci furono conflitti, dai quali uscirono vincitori gli Aragona. Decisiva per Alfonso fu l’appoggio di Filippo Maria Visconti. Il re stabilì la corte a Napoli ed il regno venne riorganizzato. CRISI DEL SISTEMA L’alleanza Aragona-Visconti, l’insediamento di Alfonso V e la morte senza eredi di Filippo Maria portò allo scontro x la successione del ducato di Milano. Nel 1450 Francesco Sforza sposò la figlia di Filippo Maria e fu sostenuto da Firenze, duca di Savoia e re di Napoli. Egli si scontrò con i veneziani che avevano occupato Lodi e Piacenza. La guerra finì nel 1453 quando cadde Costantinopoli e i veneziani tornarono a difendere il mare dai turchi. Con Francesco Sforza si aprì il fenomeno del XV sec. dei condottieri (signori-miliitari che creano domini). La pace fu stipulata a Lodi nel 1454 sancendo l’ascesa di Sforza a Milano. Venne, intoltre, fatta la “infra terminos italicos”, lega tra gli stati entro i confini italiani (durata 25 anni ed esercito). La pace tra i stati fu incoraggiata dai rapporti diplomatici, come quelli che si impegnò a intrattenere Lorenzo de’ Medici, che si alleò con gli Sforza ed i re napoletani contro l’ambiguità di Venezia e dello stato pontificio. Per un po’ ci fu stabilità, ma non tranquillità, basti pensare all’assassinio di Galeazzo Maria Sforza, l’agguato sventato a Lorenzo de’Medici organizzato dai Pazzi, la congiura dei baroni contro Ferrante d’Aragona e la guerra di Venezia contro Ferrara. La situazione crollò nel XV sec. con la quasi contemporanea morte di Lorenzo de’ Medici, papa Innocenzo IV e Ferrante d’Aragona. La crisi fu aperta dalla richiesta di Ludovico il Moro (reggente di Milano) al re francese Carlo VII di Valois di intervenire contro gli Aragonesi di Napoli che rivendicavano il ducato di Milano; a sua volta il re di Francia rivendicava il regno di Napoli, che fece suo. L’UMANESIMO Nel corso del XIV sec. cominciò a farsi strada l’idea che l’epoca antica fosse ormai finita, di vivere in un’epoca nuova. Roma esercitò un grandissimo fascino sugli intellettuali e generò un movimento improntato sulla “rinascita” della civiltà e sul recupero dell’antichità. Gli intellettuali del XIV-XV si cominciarono a definire moderni. Prese corpo il concetto di “età di mezzo”, quella che separava i fasti dell’antico a questa nuova epoca. Con “humane litterae” si indicavano le discipline classiche (letteratura, poesia, storia, filosofia, grammatica e retorica). Per i romani la letteratura ammaestrava le passioni umane, la retorica insegnava l’arte della comunicazione x la vita politica, la filosofia introduceva alle forme più alte del sapere. Gli umanisti ne faceva uso per divenire uomini colti,buon cittadino, buon soldato, capace di godere della vita e di ciò che la natura offre. L’Italia fu la culla dell’Umanesimo, poiché vi vivevano i maggiori intellettuali laici ed era l’erede delle antiche vestigia degli antichi. A Padova un giudice di nome Lovato dei Lovati, copista e collezionista di classici, riunì intorno a sé poeti per studiare i testi antichi (Catullo, Ovidio, Orazio). A questi primi umanisti, fecero eco personaggi come Petrarca che unì allo studio dei classici la produzione di poesi e testi sia in latino che volgare. Ammiratore di Petrarca fu Boccaccio, autore del famoso Decameron, che trascorse molto tempo alla corte angioina napoletana, commentò la Divina Commedia e scoprì molti testi antichi. Gli umanisti ebbero la sensibilità di leggere i testi classici come qualcosa di antico e non di contemporaneo. Nacque la filologia, cioè l’insieme delle discipline che portano a leggere, comprendere ed interpretare i documenti. Fu, ad esempio, nel 1440 che un’analisi rivelò la falsità della Donazione di Costantino. Decisiva fu la venuta di molti eruditi greci dopo la caduta di Costantinopoli. Molti umanisti parteciparono alla vita politica e civile delle proprie città, come Niccolò Machiavelli. Le corti furono il luogo ideale per la nascita di questi sviluppi culturali: la Firenze dei Medici, la Milano degli Sforza, la Mantova dei Gonzaga, la Ferrara degli Estensi. Trovarono posto anche gli ideali cavallereschi (es: poema “Orlando furioso” di Ludovico Ariosto). Il rinnovamento fu soprattutto nelle arti figurative: disegno, pittura, scultura, architettura. Ci fu un’attenzione maggiore alla realtà nei paesaggi dove la natura si arricchì di dettagli, nei ritratti dove oltre agli aspetti fisici comparivano anche quelli emotivi e psicologici. Fu introdottta la prospettiva lineare al centro che diede concretezza. Il Rinascimento trova i suoi albori in Masaccio, Brunelleschi, Donatello. La sua fioritura si rintraccia tra XV-XVI sec. nelle città dove operavano artisti come Raffello, Tiziano, Giorgione, Leonardo da Vinci, Michelangelo: basti pensare alle decorazioni delle Stanze Vaticane affidate a Raffaello ed il “Giudizio universale” di Michelangelo. Per la forte richiesta di beni di lusso dalle élite mercantili e nobiliari e per il mecenatismo offerto dai Medici, il centro propulsore fu Firenze, dove fu ideata da Brunelleschi la magnifica cupola di S. Maria del Fiore, realizzata grazie a calcoli matematici con due cupole sovrapposte. Mutò la figura dell’artista: ora si dedicava a 360° alla cultura ed emerso dall’anonimato dell’artigiano, divenne uomo creativo, dalla spiccata individualità e spesso dalla genialità. Si diffuse la fiducia nell’uomo e nelle sue capacità, l’uomo al centro del mondo e padrone del suo destino. Gli artisti erano comunque religiosi, ma con una sensibilità diversa. A saldare il rapporto filosofia-religione fu Ficino che a Firenze per volere di Cosimo de’ Medici fondò l’Accademia platonica, in linea con la sua “docta religio” (anima umana come centro del mondo e punto intermedio tra realtà fisica e realtà divina e amore come forza che permette all’uomo di elevarsi a Dio). La scienza visse molti cambiamenti: Niccolò Cusano, matematico e fisico tedesco, valutò l’idea di un universo infinito, idee poi ripres da Niccolò Copernico, che avanzò studi su un sistema eliocentrico. L’accertata sfericità della terra incoraggiò le spedizioni geografiche. La figura più rappresentativa del periodo è sicuramente Leonardo Da Vinci: pittore, poeta, matematico, architetto, studioso di anatomia, astronimia, ottica, inventore e progettista. La diffusione della cultura fu incentivata dall’invenzione della stampa moderna di Gutenberg nel 1456. Il Rinascimento dall’Italia sbarcò nel resto d’Europa, dalla Francia alla Germania, dall’Olanda all’Ungheria. Ad esempio, Erasmo da Rotterdam, teologo e filosofo, con le sue opere (come “L’elogio della follia”) creò la cosiddetta “repubblica di lettere”, cioè il comune sentimento in Europa di essere parte della comunità rinascimentale.
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