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Riassunto manuale profili di letteratura italiana, Schemi e mappe concettuali di Letteratura

Riassunto integrale del manuale di letteratura italiana dalle origini a fine Ottocento

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022
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Caricato il 13/06/2023

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Scarica Riassunto manuale profili di letteratura italiana e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura solo su Docsity! Letteratura Italiana delle origini Le origini La letteratura italiana conosce testi di rilevanza solo a partire dal XIII secolo. Nell’alto medioevo il latino è l’unica lingua scritta, e le lingue volgari si diffondono solo nell’espressione orale. Indovinello veronese: primo documento della letteratura italiana, scritto in una lingua a metà tra latino e volgare, datato alla fine dell’VIII secolo. Tra il XII e il XIII secolo i primi ritmi: testi di argomento religioso con metro irregolare, come il ritmo su sant’Alessio, il ritmo cassinese, laurenziario. Quando eu stava prima poesia di argomento amoroso in volgare, una canzone datata 1180 circa, sui temi della poesia trobadorica: donna domina padrona del poeta e la curtisia, l’insieme delle virtù cortesi. Canzone: forma metrica costituita da un numero variabile di stanze, divise in una fronte composta da due blocchi identici di versi e la sirma o coda, indivisa, oppure chiamata volta se composta da due parti identiche. Generalmente composta da versi endecasillabi e settenari. Parallelamente allo sviluppo della lingua volgare nascono i canzonieri, raccolte manoscritte che contengono opere di diversi autori. Il più antico è il Branco Rari 217, ma ne ricordiamo tre che sono gli esempi delle principali fasi dei primi secoli della letteratura italiana: -m.s. Vaticano Latino 3793, in cui vengono raccolte in ordine cronologico le poesie di autori dalle origini fino alla generazione prima di Dante -Laurenziano Redi 9, incentrato sulla figura di Guittone d’Arezzo -Chigiano L VIII 305, che raccoglie le opere degli Stilnovisti. La scuola siciliana Centro principale dello sviluppo della poesia della prima metà del ‘200. La scuola siciliana si fonda alla corte di Federico II di Svevia, la Magna Curia. Il tema principale affrontato dalla scuola siciliana è l’amore, rifiutando temi più complessi come quelli politici o propagandistici, lasciati alla letteratura latina. Ereditano molti temi dalla poesia provenzale: la concezione globale dell’amore, il rapporto di sudditanza fra amato e amata, la ripresa della poesia dialettica. La scuola siciliana non si interessa però del singolo amore, ma dei suoi aspetti universali, è quindi spersonalizzata, e piena di riflessioni filosofiche. Inoltre, non è accompagnata dalla musica. La poesia siciliana prende la forma di canzone o sonetto. Sonetto: 14 endecasillabi, una fronte di otto versi e una sirma di sei, attribuito a Giacomo da Lentini. I poeti della scuola siciliana sono funzionari e uomini di corte, ricordiamo Giacomo da Lentini, Cielo d’Alcamo, Pier delle Vigne. Giacomo da Lentini Notaio della corte di Federico II, gli si attribuisce l’invenzione del sonetto. Grazie al suo lavoro di traduzione sappiamo che in Italia circolassero le poesie dei trovatori: es. nel Vaticano Latino 3793 troviamo come poesia d’apertura Madonna, dir vo voglio, una traduzione del testo trobadorico di Folquet de Marsela. I temi affrontati nella poesia sono: la bellezza femminile e l’analisi degli effetti che essa provoca nel soggetto, una riflessione sul linguaggio poetico che non riesce ad esprimere a pieno cosa prova il poeta. Cielo d’Alcamo Probabilmente legato alla Magna Curia, gli si attribuisce la poesia Rosa Fresca Aulentissima. La poesia si trova nel m.s. Vaticano Latino 3793 e tratta di temi tipicamente occitani (della lingua d’Oc), tipici della tradizione cortese. La poesia riprende il tema della pastorella: è un dialogo tra un giullare innamorato e una giovane donna, in cui l’uomo corteggia la fanciulla che prima desiste e alla fine cede. Guittone d’Arezzo Più importante poeta italiano (nasce ad Arezzo nel 1230) della seconda metà del ‘200, che influenzerà la poesia talmente tanto da creare il movimento dei poeti guittoniani. La sua vita è divisa a metà tra Guittone autore di poesie amorose e la conversione del ’65 che lo fa diventare Fra Guittone, dopo l’entrata nei Frati Gaudenti. È il poeta attorno al quale si sviluppa il canzoniere Laurenziano Redi 9. La lingua di Guittone è particolarmente complicata e si avvicina al trobar clus (poetare oscuro) dei trovatori. Prima della conversione è autore di 86 sonetti amorosi che vengono racchiusi nel canzoniere LR9 (al contrario rispetto alla cronologia con cui sono stati scritti), dopo la conversione compone invece poesie a carattere religioso e morale. Una novità portata da Guittone è quella della poesia di argomento storico, politico e religioso (i poeti siciliani parlavano solo d'amore). Ricordiamo la canzone Ahi lasso, or è stagion de doler tanto, sulla sconfitta dei guelfi fiorentini a Montaperti nel 1260 (lui stesso era guelfo). La sconfitta viene posta su un piano di valori universali: non è solo una fazione che ha perso, ma il simbolo del declino della giustizia e della vittoria dell’ingiustizia. Il Dolce Stilnovo Lo stilnovismo è una corrente databile tra il 1280-1310. L’origine del nome deriva dal passo del Purgatorio in cui Bonagiunta Orbicciani identifica lo stile di Dante come “dolce stil novo” rispetto al poetare oscuro di Guittone. Di questo gruppo fanno parte: Guido Guinizzelli, Cino da Pistoia, Dante Alighieri, Guido Cavalcanti e Lapo Gianni. Il Canzoniere Chigi L VIII 305 racchiude le opere degli Stilnovisti. Le caratteristiche principali dello stilnovo sono: -fedeltà assoluta nel volere dell’amore -stile dolce e conseguente abbandono del trobar clus, optando per un fiorentino nobile, aulico -la donna angelo, intermediaria tra il poeta e dio che dona la salvezza spirituale anche solo con un saluto -amore identificato con la gentilezza, essere nobili d’animo è più importante che esserlo socialmente -la necessità di lodare la donna amata - amare nobilmente significa possedere le qualità morali che ci distinguono da altri uomini e ciò avviene solo grazie alla mediazione di una donna diversa da tutte le altre che ha l’aspetto e la virtù di un angelo Guido Guinizzelli Nasce nel 1230 a Bologna, ghibellino e giudice. Considerato padre dello Stilnovo da Dante, è anche l’unico stilnovista presente massicciamente anche nei canzonieri delle origini, spesso in relazione a Guittone d’Arezzo. Interessante la “corrispondenza” con Bonagiunta Orbicciani, che con il sonetto Voi ch’avete mutata la maniera rimprovera Guinizzelli di aver cambiato troppo il modo di fare poesia, a cui egli risponde con il sonetto Omo ch’è saggio non corre leggero dicendogli che avrebbe fatto meglio a tacere. Commedia, il De Vulgari Eloquentia e il Convivio. Dopo la morte di Arrigo VII, imperatore in cui poneva le sue speranze per il ritorno dell’impero, scrive il De Monarchia. Si sposta a Verona da Cangrande della Scala a cui dedica la Epistola Cangrandi. La Vita Nova Scritto dopo la morte di Beatrice nel 1293, è un prosimetro che narra dell’amore per B. e di come ha imparato ad amarla anche dopo la morte. Vita “nova” per il rinnovamento interiore che il poeta prova grazie all’amore. Il libro comprende 31 poesie e si ispira al De Consolatione Philosophiae di Boezio. Il “libro della memoria” da lui definito, narra l’idea di un amore governato dalla ragione, perché Beatrice a differenza delle altre donne è un miracolo. Questa idea va in contrasto all’amore definito nel De Amore di Andrea Cappellano. Inoltre, la ricerca della lode, senza niente in cambio, va controcorrente rispetto alla tradizione poetica in cui, fino a quel momento, il canto amoroso veniva concepito come una preghiera amorosa rivolta alla donna e finalizzata ad ottenere da lei qualcosa. L’amore incondizionato e autosufficiente è sul modello dell’ideale della caritas, l’amore incondizionato verso Dio. Esempio della lode incondizionata di Dante è il sonetto della Vita Nova Tanto gentile tanto onesta pare, oppure la poesia conclusiva della VN in cui l’anima di Beatrice risplende nell’Empireo. Oltre la spera che più larga gira. Il Convivio Composto nel 1304, è un prosimetro in cui Dante commenta le canzoni allegoriche e morali da lui composte negli anni precedenti. È un saggio incompleto composto da 4 trattati a carattere enciclopedico, probabilmente ispirato al Tresor di Brunetto Latini. “Convivio” nel senso di banchetto, in cui tutti possono scegliere il loro cibo preferito e accompagnarlo al pane (ovvero al commento in prosa), un vero e proprio banchetto della cultura, dedicato a cui non ha potuto studiare il latino. I temi principali, infatti, sono: l’esaltazione della filosofia, l’esaltazione del volgare e la giustificazione del suo utilizzo (è comprensibile a tutti mentre il latino no) De Vulgari Eloquentia Composto nel 1304, è un trattato in prosa costituito da 19 capitoli e inconcluso in cui affronta i problemi del volgare che in questo momento si sta affermando come lingua letteraria. Opera di carattere estremamente originale. Nel primo libro tratta della lingua dal punto di vista storico: il latino è per lui una lingua artificiosa e non utilizzabile nel mondo quotidiano. Definisce le varie tipologie di volgare della penisola per cercare quella più adatta allo scopo letterario ma non la trova. Secondo Dante il volgare perfetto deve essere: illustre, ovvero deve dare decoro a chi lo usa; cardinale, cioè deve fungere da cardine tra tutti i volgari parlati; aulico, cioè può essere utilizzato anche da un re; e curiale, perché deve rispettare i valori cortesi. Nel secondo libro illustra alcuni autori che nelle loro opere sono riusciti ad utilizzare un linguaggio che si avvicina al volgare illustre. Qui definisce Cino da Pistoia come il miglior poeta d’amore e svilisce Guittone d’Arezzo. De Monarchia Opera del 1313, trattato politico in cui Dante definisce gli obbiettivi e le competenze dell’imperatore e del papato. Scritta dopo la morte di Arrigo V, che fa svanire in Dante il sogno di una pax augustea. Definisce la divisione tra potere spirituale e temporale, in cui la monarchia è fondamentale per il raggiungimento della felicità terrena, e secondo Dante, il sovrano dovrebbe possedere tutti i beni per togliere ai propri sudditi l’avidità. Il sovrano diviene quindi la guida di tutti gli uomini, sotto esempio di Augusto. Nel secondo libro Dante parla di come l’Impero Romano abbia avuto una natura provvidenziale, ovvero il disegno di Dio per unificare e dare pace agli uomini. Il potere del papa fino a quel momento si considerava emanazione diretta della volontà di Dio, e l’impero era legato al potere papale, secondo la teoria del sole e della luna (la luna non brilla di luce propria ma viene illuminata dal sole), ma Dante smonta questa teoria definendo che l’autorità imperiale deriva direttamente da quella di Dio e non del pontefice. La commedia L’opera viene scritta tra il 1309 e il 1321 dopo l’esilio di Dante. Il titolo divina deriva dal trattatello in laude di Dante di Boccaccio, pubblicato per la prima volta sotto il nome di "Divina Commedia” nell’edizione Giolito nel 1555. La commedia si compone di tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ogni cantica prevede a sua volta 33 canti+il proemio dell’inferno, ovvero 100 canti in totale. Nasce con l’opera anche la terzina dantesca (aba, bcb, cdc). Francesco Petrarca Biografia Petrarca nasce da una famiglia di origini fiorentine esiliata ad Arezzo. Nel 1311 il padre Petracco ottiene degli incarichi presso la corte papale di Avignone e la famiglia si stabilisce in Francia. Durante la giovinezza Petrarca studia diritto prima in Francia e poi a Bologna, ma appena il padre muore decide di abbandonare il percorso e di concentrarsi sugli studi classici. Diventa quindi un protetto della famiglia Colonna e viaggia in Europa per diversi anni. Il 6 aprile 1327 Petrarca incontra per la prima volta Laura, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone. Già dopo il periodo bolognese si avvicina alla letteratura classica, in particolare Cicerone e Sant’Agostino. Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino. Nel 1337 si allontana da Avignone, disgustato dalla corruzione del papato, e si stabilisce a Valchiusa (sempre in Provenza). Qui scrive l'Africa, e il De viris illustribus. Nel 1341 riceve la laurea, e viene incoronato a Roma, nel Campidoglio, senza aver ancora completato nessuna delle sue opere. Dopo il trauma della morte di Roberto d’Angiò e l’entrata del fratello Gherardo nell’ordine dei certosini, due eventi drammatici, le sue opere vengono influenzate dalla crescente inquietudine del poeta. Nel 1345, ritornato a Valchiusa scrive De vita solitaria, in cui difende lo stile di vita solitario e l’eruditismo, e sugli stessi temi scrive De otio religioso pochi anni più tardi, in cui difende la vita monastica. In meditatio mortis vediamo una sua riflessione sulla morte che sintetizza idee pagane e cristiane nel suo pensiero. Nel 1347 giunge a Petrarca la notizia che Cola di Rienzo sta tentando di instaurare la repubblica romana a Roma, dopo la morte di quest’ultimo c’è la rottura definitiva con la famiglia Colonna, per cui lascia la Provenza e torna in Italia, dove compone il Bucolicum Carmen, ispirato dalle Bucoliche virgiliane.. Momento fondamentale per Petrarca è la scoperta dell’epistola di Cicerone ad Brutum, ad Atticum e ad Quintum fratrem, fino ad allora sconosciute nella biblioteca capitolare di Verona. In Italia si avvicina alla corte dei Visconti in Lombardia, ma anche alla corte di Padova e di Pavia. Petrarca aveva altri due progetti in attivo in quei anni Familiares (lettere scritte ad amici, delle Nugae→ scritti diversi anche contraddittori che non sono uniformi tra loro, dettati dalla circostanza) ed Epystole lettere latine in versi→sempre ispirazione latina per l’opera contemporanea perchè era un poetam et historicum Philosophus (motivo della sua laurea poetica e di importanza da 1300-1500, diventa oggetto di analisi di se stesso e si pone come esemplare) Ma è il terzo progetto quello maggiore: Rerum Vulgarium fragmenta. La vita nova è il principale modello del canzoniere, tanto che anche Petrarca ha problematiche simili mentre pur avendo risultati diversi. Petrarca dice di non aver letto tutto Dante, lo disprezza (vediamo nelle sue opere forte ispirazione da Dante, Petrarca si vuole porre come un classicista e non cita la sua maggiore influenza per non essere visto come un suo discepolo) Dopo gli eventi del 1348 Petrarca parla di se stesso, creando una raccolta di ‘frammenti/nugae’ che riadatta focalizzandosi non più su elementi storici ma sulle piccole cose per analizzare se stesso dal punto di vista filosofico morale attraverso scritti circostanziali. Petrarca scrive il Secretum opera mai pubblicata ma scritta con la consapevolezza che verrà letta postuma, tratta di un dialogo tra S. Agostino e Francesco Petrarca alla personificazione della verità (non parla) Un’ulteriore raccolta epistolare è composta dalle Seniles, 17 libri contenenti 127 lettere dell’ultima parte della sua vita. La sua ultima opera di carattere morale è il de remediis utriusque fortunae sul tema della libertà dell’individuo di esercitare la virtù.I trionfi è un poema allegorico narrativo in cui l’io narrante riceve sei visioni. Nel 1348 scoppia la peste, che uccide la sua amata Laura. Petrarca muore ad Arquà, presso Padova, nel 1374. L’Africa Poema epico in latino dedicato alla seconda guerra punica e sulla figura di Scipione l’Africano, rimasto incompiuto. Scritto nel 1338. De viri illustribus Opera in latino del 1338, racconta le biografie di 23 condottieri romani di età repubblicana + altre 12 biografie da Adamo ad Ercole. Il Secretum L’opera viene scritta nel 1347, e viene rivista nel 49 e nel 53, mentre viene ambientata nel 42-43 (lo sappiamo perchè Agostino dice a Francesco che ormai ama Laura da 16 anni). La tematica principale è quella della crisi spirituale, in un opera che è tematicamente penitenziale, nella quale Petrarca si confessa ad Agostino in presenza di una donna, la Veritas, che rimane sempre in silenzio. L’opera è divisa in tre libri che trattano di tre giornate→ • Il primo libro tratta del male in generale e conclude, secondo il pensiero appunto agostiniano, che esso non esiste, ma è causato da un'insufficiente volontà di bene. • Nel secondo libro vengono analizzati i sette peccati capitali e Sant'Agostino si sofferma proprio sull'accidia, il male che più tormenta il poeta. • Nel terzo libro si esaminano altre due passioni del poeta, in particolare l'amore per Laura e l'amore per la gloria. I temi vengono scelti ogni giorno da uno dei giovani, chiamato il re della giornata, sono: Prima e nona giornata: tema libero Seconda giornata: la fortuna Terza giornata: l’operosità e l’ingegno Quarta e quinta giornata: amori infelici e felici Sesta giornata: motti e risposte argute Settima giornata: le beffe delle mogli ai mariti Ottava giornata: beffe in generale Decima giornata: esempi di onestà e benevolenza Inoltre, possiamo dividere la narrazione in tre gradi: il primo, quello del narratore, il secondo dei novellatori e il terzo quello delle novelle, i cui protagonisti diventano effettivi personaggi. L’autore si prende tre spazi all’interno del Decameron per parlare con il lettore: nel proemio, nell’introduzione alla IV giornata dove si difende da accuse che gli sono giunte dopo la diffusione delle prime tre giornate; e nella conclusione dell’autore dove si difende rivendicando una piena autonomia stilistica. La poesia nel ‘300 Dalla tradizione Stilnovistica si espande anche in Veneto dove troviamo autori come Nicolò de’ Rossi scrive un’antologia della maggiore poesia stilnovista (Guinizzelli, Cavalcanti, Dante e Cecco Angiolieri) chiamata Codice ms. Barberiniano Latino 3953. Inoltre, De’ Rossi scrive un secondo manoscritto, il ms. Colombino 7 132, composto da sonetti che creano un canzoniere, che anticipa di poco il Canzoniere petrarchesco. In toscana invece si sviluppa uno stilnovo “debole”, che si basa sempre sul tema amoroso ma s'allontana dalla tragicità e ricerca filosofica tipica, ad esempio, di Cavalcanti o Alighieri. Seguendo il filone della commedia si sviluppa un grande genere allegorico-didascalico di cui ricordiamo: -Francesco da Barberino, i Documenta Amoris e il Reggimento de’ costumi delle donne, che parlano di precetti morali ispirati alla cortesia cavalleresca; -Fazio degli Uberti, con il Dittamondo, tributo alla Commedia in cui un personaggio poeta compie un viaggio verso la salvezza; Viceversa, ricordiamo Cecco d’Ascoli che è autore del poema enciclopedico Acerba, una polemica contro Dante e la sua opera. Nascono inoltre stili innovativi: nasce la poesia profana per musica e danza (la trascrizione delle note musicali), tra i cui autori ricordiamo Niccolò di Neri Soldanieri, che crea anche il nuovo genere delle cacce. Si sviluppano i cantari in ottava rima che influenzeranno in futuro il genere del poema cavalleresco. Fra gli autori più sperimentali di questo periodo ricordiamo Antonio Pucci che lavora su generi diversi: zibaldone degli appunti in prosa di argomento letterario e scientifico (il Libro di Varie storie), sonetti racchiusi nel Messaggio d’amore, cantari in ottava ecc.. La prosa del ‘300 Si sviluppa in questo periodo la letteratura religiosa, con raccolte delle preghiere degli ordini mendicanti, per la necessità di diffondere il messaggio evangelico. Ricordiamo tra i vari autori Giordano da Pisa o Domenico Cavalca. Grazie alla fortuna del Decameron di Boccaccio nascono moltissime raccolte di novelle, di cui ricordiamo: -il Pecorone di Ser Giovanni, 50 novelle che parlano degli incontri notturni tra un frate ed una suora, che per 25 notti si intrattengono raccontandosi storie -il Novelliere di Giovanni Sercambi, con 150 novelle di un unico narratore, il giullare di una compagnia che fugge dall’Italia a causa della peste -le Trecento novelle di Franco Sacchetti, incompleto, di cui ci sono giunte solo 222, raccoglie storie di cui ha sentito parlare, a cui ha assistito o di cui era protagonista l’autore. Contemporaneamente la storiografia del Trecento raggiunge un carattere autonomo, ricordiamo ad esempio la Cronica dell’anonimo romano che narra della storia di Roma ed in particolare della vita di Cola di Rienzo. A Napoli nasce la Cronaca di Partenope, a Firenze invece Dino Compagni scrive la sua Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi che narra di Firenze dal 1280-1312 e in particolare il conflitto tra Guelfi Bianchi e Neri. Sempre per Firenze, ricordiamo la Nuova cronica di Giovanni Villani. L’Umanesimo Introduzione L’umanesimo coincide con il ‘400, e viene considerata l’epoca della rinascita dell’interesse per la cultura classica (greca e latina). Questo periodo è caratterizzato dalla ricerca e traduzione di classici, oltre alla riscoperta della filologia per ripristinare le opere alla loro “pristina forma”. Il termine umanesimo deriva dalla parola “humanista”, ovvero colui che si occupa delle discipline letterarie. L’umanesimo è caratterizzato dalla nascita delle corti, sedi di scambio culturale e di produzione della cultura. Nascono in questo periodo le accademie, come quella neoplatonica di Marsilio Ficino, o quella Pontaniana voluta dal re di Napoli Alfonso d’Aragona. È il periodo della creazione di grandi scuole come il Contubernium di Guarino Veronese e la Ca’ Zoiosa di Vittorino Feltre. In questo periodo abbiamo l’invenzione della stampa a carattere mobile (1455) del tedesco Johann Gutenberg, che porta alla nascita delle botteghe degli stampatori. Nascono quindi i primi codici su carta. Studio delle lingue antiche, viene riportata in vita la filosofia platonica. Si cerca di imitare autori come Cicerone nella prosa e Virgilio nella scrittura in versi; e in generale ci si ispira al mondo classico anche per quanto riguarda la costruzione di edifici e statue che riprendono gli stili antichi. Abbiamo inoltre una visione positiva del presente, in contrapposizione con il passato medievale e ispirata al passato classico. La lingua latina rimane una lingua elitaria e dunque i testi umanistici si rivolgono sempre ad un pubblico ristretto, nonostante molti intellettuali come Leon battista Alberti rivendichino la pari dignità del volgare rispetto al latino. Fondamentale per l’inizio dell’umanesimo la riscoperta di manoscritti che conservano opere dell’antichità classica, rimasti sepolti nelle biblioteche. Come le epistole ciceroniane Ad Attcum da parte di Francesco Petrarca. Poggio Bracciolini scopre il De rerum Natura di Lucrezio, de institutiones oratoriae di Quintiliano. Bracciolini crea anche la littera antiqua, un nuovo tipo di scrittura utilizzata per trasmettere le opere letterarie in latino in forma elegante. Diventano quindi temi principali dell’umanesimo la renovatio (rinnovazione culturale sulla base del rapporto con gli antichi) e la restauratio (rispettare e curare ciò che è antico per dimostrare di essere degni di loro). Consideriamo manifesto dell’umanesimo la prefazione di Lorenzo Valla ai suoi Elegantiarum latinae linguae, in cui rivendica la grandezza di Roma e della lingua latina. L’umanesimo civile Il primo umanesimo è incentrato principalmente a Firenze. Lo definiamo umanesimo “civile” in quanto gli intellettuali di questo periodo sono contemporaneamente uomini di cultura ma anche uomini impegnati politicamente, un binomio simile a quello della figura di Brunetto Latini nel ‘200. Nella seconda metà del secolo invece gli intellettuali saranno legati alla vita di corte. Coluccio Salutati Nasce nel 1331, si laurea in giurisprudenza a Bologna, diventa notaio e nel 1375 diventa cancelliere della Repubblica Fiorentina. Grande seguace di Petrarca e nel 1397 fa istituire la prima cattedra di greco all’università di Firenze, cattedra data a Michele Crisolora. Grande promotore della vita activa, ovvero dell’impegno civile, contrapposto all’ozio contemplativo poetico ovvero il comtemptus mundi. A Salutati si deve la riscoperta delle Epistulae ad familiares di Cicerone. Tra le sue opere ricordiamo De laboribus Herculis, opera in quattro libri, che attraverso l’interpretazione delle fatiche di Ercole dava una lettura della mitologia antica in chiave morale, e sul tema politico il De tyranno. Leonardo Bruni Nasce nel 1370 ad Arezzo. Traduce i Dialoghi morali e Civili di Aristotele, grande lavoro filologico di traduzione, e difende la vita activa. Nel 1427 diventa cancelliere della Repubblica Fiorentina. Ha una grande esperienza come traduttore e pubblica sull’argomento De interpretatione recta. Poggio Bracciolini Nasce nel 1380, ed è studente di Coluccio Salutati, lavora alla curia papale a Roma. Viaggia in Germania a seguito del concilio di Costanza del 1414-1418 e a Cluny trova due orazioni di Cicerone, mentre a San Gallo rinviene il testo integrale dell’Institutio oratoria di Quintiliano, una delle scoperte più importanti dell’Umanesimo. Scopre inoltre il De rerum natura di Lucrezio. Matura l’idea di Umanesimo laico, fondato sul sapere dei classici antichi. Nel 1423 diventa segretario apostolico e in questi anni compone le opere del De avaritia. De vera nobilitate de infelicitate principum, testi etici e critici. Per la narrativa in versi ricordiamo i cantari, componimenti scritti in ottave (metro impiegato per la prima volta da Boccaccio nel filostrato) con temi classici, mitologici, fiabeschi, cavallereschi ecc.. La popolarità del tema cavalleresco in particolare anticipa la nobilitazione di quest’ultimo che avverrà più tardi con autori come Luigi Pulci e Matteo Maria Boiardo. Il cantore andava in giro per le piazze e cantava le sue opere, tipiche di uno schema in ottava rima. Per le scritture private ricordiamo i Ricordi di Giovanni di Pagolo Morelli. Per la scrittura religiosa ricordiamo il fiorentino Giovanni Dominici; e Bernardino da Siena celebre per le sue prediche in volgare. Poesia del primo ‘400 La poesia in questo periodo risente ancora dell’influsso di Petrarca. Tra i primi ricordiamo Giusto de’ Conti con il suo La bella mano, canzoniere di ispirazione petrarchesca composto da 150 componimenti. La poesia volgare, in particolare si avvicina al genere comico-realistico. Ricordiamo l’Orcagna, inventore della poesia nonsense in forma di sonetto, meglio conosciuta come poesia Burchiellesca, da Domenico di Giovanni, detto il Burchiello, poeta fiorentino che perfeziona il genere, di cui ricordiamo il sonetto Pirramo s’invaghì d’un fuseragnolo. Il secondo umanesimo La seconda metà del ‘400 è caratterizzata da una grande stabilità politica dovuta dalla pace di Lodi del 1454. Il periodo di pace si conclude nel 1494, due anni dopo la morte di Lorenzo de’ Medici. In questo periodo s’assiste alla crescita del prestigio del volgare, grazie ad esempio al lavoro di Leon Battista Alberti e la sua Grammatichetta, e il Certame coronario. In questo periodo gli intellettuali perdono la loro autonomia e diventano subordinati ad un signore. Nel 1462 viene fondata l’accademia neoplatonica di Marsilio Ficino. Firenze è al centro della cultura di questo periodo ancora una volta. Un’operazione di diffusione del volgare simile a quella fatta da Lorenzo il Magnifico con la Raccolta Aragonese la troviamo nelle Bucoliche elegantissimamente composte, opera stampata a Firenze nel 1482, composta da una traduzione delle Bucoliche di Virgilio a cura di Bernardo Pulci (fratello di Luigi) e delle egloghe volgari di alcuni autori toscani. Lorenzo de’ Medici Nasce a Firenze nel 1449 e ha come maestri i maggiori intellettuali dell’età umanistica. Dopo la morte del padre Piero di Cosimo il Vecchio, nel 1469 prende il potere a Firenze inizia un’opera di mecenatismo, incarnando l’ideale del Principe umanista. Uomo di stato, protettore degli artisti e mecenate, per questo viene definito “magnifico”. Ispirato dall’amico e poeta Pulci, scrive il poema la Nencia da Barberino, a cui Pulci risponderà con la Beca da Dicomano. Il poema descrive la donna amata con ironica degradazione: denti bianchi come quelli di un cavallo. Tra le sue opere ricordiamo la Raccolta aragonese, una celebre antologia di rime toscane composta a Firenze nel 1476-1477 per volontà di Lorenzo de' Medici ed inviata come omaggio a Federico d'Aragona, figlio del re di Napoli Ferdinando I. La raccolta comprende 484 componimenti ed in essa vengono inserite le rime dei più illustri poeti toscani, dal Duecento fino all'epoca laurenziana. Il proemio è un’epistola proemiale scritta da Poliziano. Tra i rimatori inclusi spiccano Dante, Guittone d'Arezzo, Giovanni Boccaccio, Luigi Pulci, Matteo Maria Boiardo, fino a giungere allo stesso Lorenzo. Petrarca non si trova in questa raccolta, probabilmente in quanto il RVF era già in commercio. Lorenzo si cimenta anche nelle parodie, di cui ricordiamo il Simposio, parodia dell’omonima opera di Platone. Negli anni ‘80, dopo la congiura dei Pazzi che uccidono il fratello Giuliano nel 1478, Lorenzo compone alcune canzoni a ballo e carnascialeschi (canti che, a Firenze accompagnavano i cortei di carri allegorici e mascherati), come la Canzone a Bacco, che riprende il tema del carpe diem. Luigi Pulci Amico di Lorenzo de’ Medici e poeta, Luigi Pulci nasce vicino a Firenze nel 1431 e in giovane età viene preso sotto la protezione della madre di Lorenzo, Lucrezia Tornabuoni. Per ricordare il rapporto con Lorenzo vediamo la Beca da Dicomano, risposta all’opera di L. della Nencia di Barberino, poesia ironica ispirata alle poesie amorose. Pulci durante gli anni ‘70 entra in grande conflitto con Marsilio Ficino e si allontana dalla corte medicea. Luigi Pulci rappresenta l’altra faccia della medaglia dell’umanesimo, rispetto a quello filosofico. Il Morgante viene commissionato da Lucrezia Tornabuoni nel 1461, pubblicato negli anni ’80. Si tratta di un poema in ottave costituito da 23 cantari (nell’editio maior sono 28) che narra le avventure carolinge con le imprese di Rinaldo e Orlando e una sezione fantastica dedicata a Morgante, un gigante convertito da Orlando, accompagnato dal mezzo gigante Margutte. Pulci viene ispirato dalla poesia comico parodica e dai cantari. Il tono di quest’ultima parte è di comicità grottesca e aggressiva. I cinque cantari aggiunti hanno un tono invece più drammatico. Grazie a Luigi Pulci il genere del cantare si modifica, e assume caratteristiche parodiche e comiche, generalmente si tratta di opere di intrattenimento per le brigate. Possiamo considerarli quindi poemi eroico-comici. Interessante ricordare il passaggio in cui Morgante chiede a Margutte di che religione sia, che esprime il gusto di Pulci per la parodia. Dissacrare ciò che è sacro è tipico della poesia comico parodica. P.S I cantari sono dei poemi in ottave ed endecasillabi ABABAB CC, che nel ‘300 iniziano a diffondersi in ambienti popolari. I due principali cicli cavallereschi sono quello carolingio, on Orlando, Rinaldo ecc... e quello Bretone, con Re Artù, mago Merlino... I due cicli vengono uniti prendendo i personaggi del ciclo carolingio e ponendoli nell’atmosfera del ciclo bretone (quindi si parla anche di amore e non solo l’avventura) Marsilio Ficino Marsilio Ficino, amico e insegnante di Lorenzo de’ Medici, fonda nel 1462 a Firenze l’accademia platonica fiorentina, il cui scopo era quello di tradurre e studiare le opere platoniche e favorire la diffusione. Si occupa di tradurre dal latino tutti i dialoghi di Platone. Tra le sue opere di traduzione ricordiamo il Theologia platonica de immortalitate animorum, dedicata a Lorenzo, composta da 18 libri in cui parla della via con cui l’anima può diventare immortale. Nel 1489 scrive De vita libri tres, composto da tre libri, in cui tratta della magia naturale del mondo. Pico della Mirandola Personaggio vicino a Ficino, si forma a contatto con la tradizione dell’aristotelismo ed è influenzato dal pensiero ebraico. A Firenze in particolare entrò a far parte della nuova Accademia Platonica. Nel 1484 si recò a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro internazionale di studi teologici. Lo studio delle diverse tradizioni filosofiche porta all’idea che esista una sapienza comune articolata nei vari filosofi, articolata nel 900 conclusiones. Amico di Poliziano e legato a Lorenzo de’ Medici. L'opera include una lista di 900 concetti inerenti l'intero scibile umano dell'epoca, incluse le conoscenze giudaiche e arabe, dai tempi antichi fino all'epoca rinascimentale fino alla sua, compilata come materiale di riferimento per un grande dibattito che aveva pianificato l'anno successivo a Roma e a cui avrebbero dovuto partecipare eruditi provenienti da tutto il mondo. Nel 1486 fu a Roma dove preparò 900 tesi in vista di un congresso filosofico universale (per la cui apertura compose il De hominis dignitate), che tuttavia non ebbe mai luogo. Subì infatti alcune accuse di eresia, in seguito alle quali fuggì in Francia Angelo Poliziano Già in giovane età è un talento, a 15 anni avvia una traduzione dell’Iliade in esametri latini che gli avvale l’ammirazione di Lorenzo de’ Medici e l’entrata nella corte come precettore del figlio Pietro. Poliziano curò la Raccolta Aragonese di poesie in volgare, per la quale scrisse anche l'epistola proemiale. Il suo capolavoro è Stanze per la giostra, un’opera in ottave (stanza ovvero strofa, ogni strofa di otto endecasillabi), che segue la tradizione di quella di Pulci, dedicato a Giuliano de’ Medici, in onore della giostra che viene indetta per festeggiare la sua entrata in politica. Si tratta di un poemetto allegorico in volgare che narra di Iulio (Giuliano) dedito alla caccia e non alle passioni amorose che viene però trafitto da Cupido che lo fa innamorare di Simonetta (Simonetta Cattaneo). Inizia così un percorso di elevazione che lo porta ad abbandonare la caccia e ad invocare Amore, Gloria e Virtù. Le stanze per la giostra si interrompe al secondo libro, a causa della morte di Giuliano de Medici dopo la congiura dei pazzi. Dopo aver avuto contrasti con la famiglia medicea, va a Mantova dove viene ospitato da Francesco Gonzaga, e qui scrive l’Orfeo. Opera del filone allegorico, è un breve componimento teatrale, dove Orfeo, dopo la morte dell’amata Euridice e la sua perdita definitiva dopo il viaggio negli Inferi, decide di rivolgersi all’amore omoerotico. Si tratta del primo dramma profano in lingua volgare. Dopo la congiura dei pazzi del 1478 Poliziano si dà ad opere più erudite e di traduzione di classici, di cui ricordiamo la raccolta le Rime (in volgare) e le Sylviae. L’ambiente ferrarese e Boiardo Ferrara nel Quattrocento è sotto la casata d’Este, durante la prima metà del secolo sotto il potere del marchese Niccolò III. Tra i personaggi più importanti della sua corte ricordiamo Guarino Veronese, grecista, filologo e pedagogo di fama europea, chiamato a Ferrara come professore, fonda presto una scuola che diventerà famosa per il suo modello educativo basato sulle humanae litterae. Altro personaggio emblematico della corte estense è Matteo Maria Boiardo (1441). Lo zio è stato studente di Guerino e un poeta latino molto importante del ferrarese. Lavora sotto Ercole I d’Este, mecenate e promotore della cultura. sogno, viene guidato da una ninfa in una caverna sotterranea e rispunta a Napoli dove apprende la morte della donna amata. Qui si conclude la storia. Nel 1504 Sannazaro torna in Italia e si dedica alla scrittura volgare dei componimenti Sonetti et Canzoni, espressione di un colto e raffinato petrarchismo napoletano. Ludovico Ariosto Nasce nel 1474 a Reggio Emilia, nell’84 si trasferisce a Ferrara dove inizia a seguire studi giuridici. Studia il latino ma mai il greco. Finiti gli studi giuridici si dedica a quelli umanistici ed entra alla corte estense, che ospita anche Boiardo e Bembo. Dopo la morte del padre nel 1500 deve provvedere alla famiglia; quindi, abbandona la letteratura e prende incarico sotto il cardinale Ippolito d’Este, e diventa lui stesso chierico. In questo periodo scrive le sue prime commedie per la corte che andranno poi in opera a teatro: La Cassaria e i Suppositi. Inoltre, scrive l’Obizzeide, poema in terzine per celebrare le imprese di Obizzo d’este, il cui proemio (Canterò d’arme, canterò d’affanni/d’amor) anticipa già la bipartizione tra tema eroico e romantico del Furioso. Ricordiamo anche la commedia il Negromante, sempre un’opera teatrale. Nel 1516 Ariosto pubblica la prima edizione dell’Orlando furioso, opera in 40 canti dedicata al cardinale Ippolito d’Este. L’anno dopo si allontana da Ippolito e in questa occasione Ariosto scrive le sue Satire (7), le Satire si incentrano su un immaginario dialogo fra Ariosto e vari personaggi reali, che controbattendo con l'autore creano una struttura dialogica che si propone anche come riflessione sulla realtà curtense del Cinquecento. Le Satire di Ariosto si ispirano a quelle dello scrittore latino Orazio, soprattutto per l'inserzione degli apologhi* (come la favola della zucca nella settima satira o le favole della gazza e della ruota di fortuna nella terza) e per la scelta di unire al sermo satirico la forma epistolare. I temi delle satire sono la condizione dell'intellettuale cortigiano, i limiti e gli ostacoli che essa pone alla libertà dell'individuo… * Favola allegorica a fine spiccatamente pedagogico Passa al servizio di Alfonso d’Este. Nel 1521 fa una riedizione dell’Orlando Furioso, e diventa governatore della Garfagnana. Nello stesso periodo lavora ai Cinque Canti, cinque canti in ottave che si ricollegano ai temi della fine della vicenda del Furioso, e fanno in particolare riferimento al tradimento dei maganzesi. Nel 1532 ultima edizione dell’Orlando con 6 canti aggiuntivi (46 in totale adesso). La grande opera di revisione compiuta da Ariosto è probabilmente influenzata dalla pubblicazione nel 1525 delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Tra i temi principali dell’opera ricordiamo la guerra tra i franchi di Carlo Magno e i Saraceni di Agramante, oltre agli amori di Ruggiero e Bradamante. Il narratore interviene spesso a commentare le avventure e le scelte dei personaggi e spesso si riserva uno spazio in apertura prima dell’inizio di ogni canto. Nell’ultima parte del poema prende spazio la visione religiosa: la vittoria di Carlo, il ritorno del senno di Orlando sono un segno della provvidenza. L’opera è encomiastica come per l’Orlando Innamorato di Boiardo (Ruggiero), e fa riferimento a Seneca, e al suo Ercole furioso. L’opera è dedicata ad Ippolito d’Este, e si basa sull’intreccio di vicende diverse con protagonisti diversi, dalla tradizione di Chrétien de Troyes. Le tre linee narrative sono: la guerra tra i cristiani di Carlo Magno e i Saraceni di Agramante, l’amore di Orlando per Angelica e di Ruggiero e Bradamante. Interessante l’invocazione non alle muse, ma alla donna amata. Trama: Il racconto si apre con Angelica che fugge, inseguita da Rinaldo, Ferraù e Sacripante. Mentre Agramante attacca la Francia, approfittando del fatto che Rinaldo e Orlando stanno inseguendo Angelica. Rinaldo si riprende dall’innamoramento e torna sul campo di battaglia. Nel frattempo, Angelica trova Medoro, un saraceno ferito alle porte di Parigi, e se ne innamora. Orlando impazzisce dopo aver visto su un albero il nome dei due, segno del loro amore e perde il senno. Orlando quindi, nel pieno della follia, attraversa il mare e sparisce in Africa. Per trovare il senno di Orlando andrà Astolfo, a recuperarlo sulla luna, la sede di tutte le cose perse. Ripreso il senno ricomincia la lotta tra cristiani e saraceni, Orlando assicurerà la vittoria ai carolingi. Nel frattempo, viene narrata la storia d’amore tra Ruggiero e Bradamante, ostacolata dal mago Atlante che sa che se Ruggiero si dovesse convertire morirebbe (era saraceno), e quindi viene imprigionato in un castello magico, da cui viene liberato. Il poema si conclude con le nozze dei due e la sconfitta di Rodomonte, che aveva accusato Ruggiero di aver rinnegato la sua fede. Baldassarre Castiglione e il Libro del Cortigiano Nasce a Mantova (Gonzaga) nel 1478. La sua formazione umanistica avviene a Milano, frequenta la corte di Ludovico Sforza, per poi prestare servizio alla corte dei Gonzaga ed infine a quella di Urbino, dei Montefeltro. Qui conosce Pietro Bembo, che influenza la scrittura delle sue liriche volgari. Nel 1513 viene inviato a Roma come ambasciatore di Francesco Maria della Rovere, successore di Guidobaldo di Montefeltro. A Roma entra in rapporto con i maggiori letterati e artisti dell’epoca. Nel 1528 scrive il Libro del Cortigiano, un’opera concepita nella grande crisi delle guerre d’Italia, diviso in quattro libri in forma dialogica, ambientato alla corte di Urbino del 1507. Nel libro I Ludovico di Canossa delinea l’immagine del perfetto cortigiano, nel secondo Federico Fregoso illustra in quale modo e in quali tempi il cortigiano debba impiegare le sue capacità, nel terzo Giuliano de’ Medici definisce l’ideale della donna di palazzo, nel quarto Ottaviano Fregoso definisce i rapporti tra il principe e il cortigiano. Quali sono quindi le caratteristiche del perfetto cortigiano? La sprezzatura, ovvero la capacità dell’uomo di corte di saper camuffare i suoi atteggiamenti, i suoi gesti, le sue movenze con disinvoltura (parola coniata da Castiglione). La capacità di utilizzare linguaggio colto, la grazia e la sagacia utilizzata come intrattenimento. Tra i temi affrontati inoltre c’è anche il tema della lingua, in cui Castiglione prende una posizione conciliante: la lingua deve essere una sintesi armoniosa ed equilibrata tra l’uso che ne si fa nelle corti e le varietà presenti in Italia. Niccolò Machiavelli N nasce a Firenze nel 1469, da una famiglia tipicamente antimedicea si forma sui classici latini e trascrive persino il De Rerum Natura di Lucrezio. Dopo la caduta dei Medici (con la cacciata del Piero, figlio del recentemente deceduto Lorenzo) e l’arrivo di Carlo VIII di Valois in Italia, a Firenze abbiamo il predicatore Savonarola da una parte e i Palleschi, sostenitori della famiglia de’ Medici. Machiavelli non si avvicina a nessuna delle due fazioni, e dopo il rogo di Savonarola viene instaurata la Repubblica, dove Machiavelli ha la possibilità di spiccare dal punto di vista politico. Diviene responsabile della seconda cancelleria, è segretario dei Dieci di balia (organo di politica estera) ed in generale si occupa di attività politiche e militari. Vive anche in Francia per sei mesi nel 1500, e in questo periodo inizia i suoi primi scritti: il Discorso sopra Pisa (città con la quale Firenze era in guerra) e il De natura gallorum. Nel 1502 la carriera politica va a gonfie vele e diventa collaboratore di Pier Soderini, gonfaloniere a vita, la cui conoscenza viene narrata del primo Decennale (resoconto in terzine degli avvenimenti 1494-1504) e intanto fa varie missioni diplomatiche in cui conosce molti personaggi illustri, tra cui Cesare Borgia, detto il Valentino. (A cui dedica il VII capitolo del Principe) Sulla figura di Valentino scrive parecchio: Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli; Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati. Nel 1506 divenne segretario dei nove ufficiali di ordinanza e della milizia fiorentina, e si rende conto dell'affidabilità delle truppe mercenarie, e procede con l'arruolamento del contado. Nel 1507 viene inviato in Germania dalla corte imperiale e a questa esperienza dedica: Rapporto di cose della Magna; Discorso sopra le cose della Magna e sopra l’imperatore e il Ritratto delle cose della Magna. (Magna Corte) Nel 1512 i Medici tornano a Firenze e il governo gonfaloniere di Pier Soderini viene abbandonato e Pier stesso deve fuggire. Machiavelli viene considerato un potenziale cospirazionista contro la famiglia e deve andare quindi in esilio a San Casciano per un anno dove inizierà a scrivere il Principe. Nello stesso periodo scrive Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, un’opera storiografica dedicata a Roma, di cui Machiavelli fa il commento ai primi dieci libri, in un’opera non compiuta né rivista. la questione fondamentale analizzata nei Discorsi è cercare di capire come i romani abbiano potuto costruire una Repubblica di così lunga durata. Machiavelli dice quindi di prendere esempio dai romani (differenza con Guicciardini che invece dice che ogni situazione è diversa) Nel 1517 inizia a scrivere la sua novella l’Arcidiavolo, satira contro i costumi di Firenze ambientata alla corte di Carlo d’Angiò a Napoli. Scrive diverse commedie la cui più nota è la Mandragola (1518), probabilmente fatta rappresentare per le nozze di Lorenzo de’ Medici il giovane. L’opera è composta da cinque atti in prosa ed un prologo in versi, è un’opera satirico morale. Sullo stesso filone ricordiamo l’Asino, un poema autobiografico incompiuto e allegorico. Negli anni Venti scrive l’arte della guerra, un dialogo in sette libri sulla tecnica militare dei romani confrontata con quella dei moderni, e la vita di Castrutto Castracani. Il cardinale Giulio de’ Medici (poi papa Clemente VII) gli dà l’incarico di scrivere le Istorie Fiorentine, che in otto libri narrano delle vicende tra il 1434 e il 1492. In questi anni conosce anche Guicciardini. La sua carriera politica ricomincia e nel 1525 scrive il Discorso intorno alla nostra lingua, dove mette a confronto la lingua cortigiana e il modello letterario trecentesco di Bembo. De principatibus è un trattato di 26 capitoli con titoli latini rivolto allo studio della teoria politica. I primi quattordici capitoli discutono le tipologie di principati, in rapporto alla capacità di governarli e di mantenere il possesso; i capitoli 14-26 si concentrano invece sulla persona e sugli obiettivi del principe. Il Principe si riallaccia al tema degli specula principis (testi che servono a tracciare le caratteristiche principali del principe e le sue virtù), ma ribaltandola: se prima questo tipo di testi si basavano su norme astratte basate su princìpi morali, qui Machiavelli cerca invece di dare un’analisi della realtà. Secondo Machiavelli è importantissimo il valore della fortuna, che va cercata e bisogna tenersela amica e inoltre parla del fatto che un principe, nel momento della necessità, deve fare cose anche moralmente sbagliate, usando l’astuzia della volpe e la forza del leone. L’ultimo capitolo invoca la venuta di un nuovo principe, capace di liberare l’Italia dai Barbari. Pochi anni dopo, a servizio del papa Clemente VII scrive la Cortigiana, una commedia che critica aspramente la curia papale. Scrive poi i sonetti lussuriosi, a causa dei quali subisce un attentato da parte della curia papale e deve fuggire da Roma. Si reca quindi a Venezia dove scrive i dialoghi puttaneschi, esempi di pornografia cinquecentesca. Aretino va anche ricordato come il fondatore della tradizione delle lettere epistolari volgari stampate: le sue Lettere, infatti, testimoniano un primo esempio di ciò. Tra gli autori più importanti di novelle del Cinquecento ricordiamo Anton Francesco Grazzini, Matteo Bandello e Angolo Firenzuola. Delle scritture d’arte, tra gli autori principali ricordiamo Giorgio Vasari, Leonardo da Vinci e Benvenuto Cellini Torquato Tasso e la Gerusalemme Liberata e l’Aminta Nasce a Sorrento nel 1544. il padre, che stava ai doveri del Duca di Salerno, quando egli viene esiliato deve seguirlo, e con lui anche Torquato. Tasso inizia delle peregrinazioni insieme al padre, ad Urbino, Venezia, e studierà a Padova filosofia. Studia in particolare la Poetica di Aristotele. Nei primi anni compone il poema cavalleresco Rinaldo, che invece di raccontare ciò che avviene al cavaliere dopo il Furioso come molti avevano fatto, ne narra la formazione. Scrive poi i Discorsi dell’arte poetica, sulle regole del nuovo poema cavalleresco, unendo le caratteristiche del poema moderno (il Furioso) e la Poetica di Aristotele. Il poema cavalleresco secondo Tasso deve essere quindi verosimile (trattare di un argomento storico) e meraviglioso (utilizzare uno stile composto di latinismi e arcaismi) Il decennio 1565-75 è il più felice della vita di Tasso: viene assunto dal Cardinale Luigi d’Este a Ferrara, nella corte, dove può conosce moltissimi altri letterati. È di questo periodo la composizione dell’Aminta, una favola pastorale in cinque atti, sull’amore tra la ninfa Silvia e il pastore Aminta, che si rifà alla storia d’amore tra Priamo e Tisbe delle Metamorfosi di Ovidio. Il genere della favola pastorale nasce a Ferrara in questo periodo, e narra le vicende dei pastori, riprendendo la tradizione di Virgilio delle Bucoliche. Aminta si innamora di Silvia ma non è corrisposto, lei scappa da lui e lui la crede essere stata sbranata dai lupi per cui si getta da una rupe. Tutti lo credono morto ma in realtà è sopravvissuto e i due innamorati alla fine si sposano. Dal 1572 Tasso passa sotto il duca Alfonso II, e in questo periodo scrive la Gerusalemme Liberata, che manda a far revisionare ad un gruppo di esperti guidati da Scipione Gonzaga (l’Accademia degli Eterei a Padova). Nel 1575 iniziano a manifestarsi dei gravi problemi psichici e quindi si fa analizzare dalla Santa Inquisizione, terrorizzato di essere caduto nel peccato. Fugge da Ferrara e viaggia in Italia per poi tornare a Ferrara, dove si sente in secondo piano al matrimonio del duca, per questo scaturisce in invettive che gli provocano la cattura e la reclusione al manicomio di sant’Anna, per sette anni. Nell’86 esce dal manicomio e va a Mantova, da cui poi fugge e si stabilisce a Roma e poi a Napoli. Decide di distruggere la Gerusalemme liberata e pubblica la Gerusalemme Conquistata. Nella Gerusalemme conquistata non cambia il soggetto ma la struttura del poema, con aggiunte ai canti (ora 24 prima 20). Infine, ricordiamo le Rime: il distaccamento definitivo con Petrarca, in quanto i libri di rime per Tasso sono monografici, dedicati a singoli temi, e con autocommento che accompagna le rime, a differenza del corpus petrarchesco. Questa scelta sarà d’esempio per le generazioni successive. La Gerusalemme Liberata è un poema epico che tratta della prima crociata (1096-1099, indetta da papa Urbano II e guidata da Goffredo di Buglione), tema in sintonia con le inquietudini religiose dell’Europa del tempo. Tra i protagonisti troviamo Goffredo, capitano dell'esercito cristiano, Aladino, re di Gerusalemme e l’eroe Rinaldo-personaggio encomiastico. Il narratore compare poco ma partecipa alle emozioni di tutti i personaggi. L’opera viene completata nel 1575 ma viene pubblicata senza la sua approvazione negli anni ’80 mentre era recluso in manicomio. L’opera riflette le inquietudini di questo periodo, nel 1558 gli ottomani avevano assaltato Sorrento, nel 1571 abbiamo anche la guerra di Lepanto in cui gli ottomani vengono sconfitti dalla Santa Lega, e in generale siamo nel periodo della controriforma e dell’inquisizione. Trama: Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo (antenato della casata d’Este) per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il re musulmano Aladino e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta, e Clorinda poco prima di morire si converte. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. Battista Guarini e il Pastor Fido Nasce a Ferrara nel 1538, consegue gli studi tra Ferrara e Padova e si avvicina alla corte Estense. Si iscrive all’Accademia degli Eterei a Padova, fondata da Scipione Gonzaga (di cui ha fatto parte anche Tasso) e partecipa con 36 testi all’antologia di Rime degli accademici Eterei. Entra in servizio dell’ultimo duca di Ferrara, Alfonso II. Viene mandato in moltissime missioni diplomatiche e messo in secondo piano in quanto alla corte si trovano ancora Tasso e il Pigna. Dopo la carcerazione di Tasso nel ‘79 Guarini diventa poeta di corte. Scrive il Pastor fido, una tragicommedia pastorale in cinque atti, in competizione con l’Aminta di Tasso. Trama: Arcadia: una maledizione grava sulla mitica terra dei pastori da quando Diana, per un'offesa subita, ha imposto che ogni anno una fanciulla le venisse sacrificata, e la punizione potrà cessare solo con le nozze di due giovani di stirpe divina. Per questo Montano, sacerdote discendente da Ercole, intende unire il figlio Silvio in matrimonio con Amarilli, che discende da Pan. Parecchi elementi si oppongono tuttavia all'unione: Amarilli ama corrisposta Mirtillo; di questo si innamora a sua volta Corisca, la quale tenta di ordire un piano per attrarre a sé il giovane; Silvio, dal canto suo, non si cura dei problemi d'amore, preferendo dedicarsi alla caccia e disinteressandosi del sentimento che Dorinda nutre nei suoi confronti. Le trame della sensuale Corisca falliscono, mentre Amarilli e Mirtillo vengono sorpresi in una grotta, e lei è condannata a morte. A questo punto però la vicenda si scioglie nel migliore dei modi: si scopre che Mirtillo è figlio di Montano, e così, sposando Amarilli, libera l'Arcadia dalla maledizione, mentre anche Silvio si converte all'amore unendosi con Dorinda in matrimonio. Giordano Bruno Nasce Filippo a Nola nel 1548. Prende i voti ed entra nell’ordine domenicano dove assume il nome di Giordano. Sotto inchiesta dell’ordine a causa del suo comportamento irrequieto scappa a Parigi, dove scrive il Candelaio, commedia che tratta la sua posizione: il non rifiuto della tradizione, quanto più una rielaborazione creativa di essa. Trasferitosi a Londra scrive varie opere di matrice esoterica e tiene lezioni ad Oxford. Manifesto della sua visione onto-cosmologica il De la cause, principio et uno, in cui parla del fatto che la materia è fonte generativa della vita e di come l’uomo possa, nella sua finitudine, vedere l’infinito. Ricordiamo poi De gli eroici furori in cui tratta del fatto che l’uomo ricorrendo alla sua volontà, può superare i suoi limiti e conoscere per un istante l’assoluto. Scrive inoltre alcune opere di magia. Nel 1600 viene arso sul rogo come eretico a Campo de’ Fiori. Tommaso Campanella Nasce in Calabria nel 1568, entra nell’ordine domenicano e subito si avvicina anche alla filosofia telesiana (di Bernardino Telesio). Il mondo, per Campanella, è un grande organismo vivente e tutte le sue parti sono dotate di sensibilità, e ne parla nell’opera Il senso delle cose e della magia. Prende parte a Napoli alla congiura del governo spagnolo, e ne parla nella sua opera La città del sole, dove parla di un mondo utopico. Secondo Campanella, le parole devono riflettere le proprietà delle cose, utilizzando anche parole straniere o neologismi: la lettura è quindi un’esperienza sensibile. Infine, ricordiamo il suo canzoniere, la Scelta, incentrata sul tema della commedia universale, in cui tutti gli uomini portano una maschera. Il Barocco Introduzione Si considera l’inizio del Barocco con il 1610, anno della pubblicazione del Siderus Nuncius di Galileo Galilei, mentre si considera terminato con il 1690, anno in cui si fonda l’accademia dell’Arcadia. Con il Barocco abbiamo una nuova concezione del mondo dovuta anche dalle nuove scoperte astrologiche che non mettono più l’uomo al centro del mondo. Questa crisi si traduce in letteratura con un’estetica anticlassicista e la poetica della metafora. Il poeta barocco valorizza il piacere estetico rispetto all’utilità pedagogica. Il Cannocchiale aristotelico, saggi pubblicato nel 1654 da Emanuele Tesauro autorizza gli intellettuali ad usare la metafora in maniera libera e spregiudicata. La metafora è considerata dal Tesauro "il più ingegnoso e acuto, il più pellegrino e mirabile, il più giovale e giovevole parto dell'umano intelletto". Non è più un momento retorico privilegiato, ma uno strumento conoscitivo che permette di cogliere i molteplici e misteriosi momenti della realtà. Inoltre, gli autori vogliono suscitare nel lettore la meraviglia. In questo periodo si diffondono le accademie della Crusca, degli Oziosi a Napoli, degli Umoristi a Roma, dei Gelati a Bologna. Tra gli autori dell’accademia degli umoristi ricordiamo Tassoni, creatore dello stile eroicomico di cui ricordiamo il poema La Secchia Rapita, una parodia del genere epico che narra della lotta tra modenesi e bolognesi per un secchio. Una linea opposta che punta alla tradizione e alla classicità la troviamo con Urbano VIII (Maffeo Barberini) autore in contrasto con la poetica innovativa e contro marino, che crea un proprio circolo barberiniano basato sulla classicità composta e sorvegliata. Gabriello Chiabrera, uno degli autori di riferimento di Urbano VIII Barberini, si tratta di uno dei primi autori della transizione dal rinascimento al Barocco. Ludovico Antonio Muratori, archivista degli Estensi, prefetto della biblioteca ambrosiana a Milano, ricordiamo un’opera di grande erudizione Antichità Estensi, in cui raccoglie tantissimi materiali. Ricordiamo le raccolte di Rerum Italicarum Scriptores e Antiquitates Italicae Medii Evii, in cui in uno raccoglie testi prodotti tra il 500 e il 1500 e nell’altro raccoglie fonti sul medioevo, dando una prima fondamentale immagine coesa del periodo. Negli Annali d’Italia che cerca di ricostruire la storia d’Italia. Giovan Battista Vico, autore e filosofo napoletano, che invece rivendica l’idea di un disegno provvidenzialistico della storia dell’umanità. La storia secondo lui è un ciclo infinito, e La scienza nuova si articola in 5 libri e riassume il suo pensiero. Il filosofo coniuga la scelta di fondare una “scienza nuova” su base storiografica. La storia vichiana dovrà quindi indagare le cause e rinvenire le leggi provvidenziali cui obbediscono gli eventi storici. Vico divide la storia in tre età differenti: l’età dell’oro in cui gli uomini, affidandosi esclusivamente ai propri sensi e alla loro fantasia, interpretano il mondo come un gigantesco organismo di forze incommensurabili, e il linguaggio di questo periodo si basa sui miti religiosi L’età degli eroi in cui la società inizia a stratificarsi: un gruppo si impone con la forza sugli altri, arrogandosi quelle qualità che prima spettavano agli dei. È il tempo della virtù si formano i governi aristocratico-oligarchici. In questa fase, è la poesia epica a celebrare le gesta dei primi eroi. L’età degli uomini in cui tutte le credenze precedenti ricevono un fondamento e una spiegazione razionale e si impone il principio dell’uguaglianza degli uomini di fronte alla legge, che è la garanzia sia delle repubbliche popolari sia delle monarchie. In quest’età, oltre alla filosofia e al diritto naturale che assicura la convivenza civile, nascono anche le altre discipline, come la logica, l’economia, la politica. Ai generi poetici della fase precedente si sostituisce l’espressione in prosa, e il linguaggio stesso assume la natura di una convenzione stabilita storicamente tra gli uomini. L’illuminismo In Italia dopo l’Arcadia si diffondono le idee illuministe, nella seconda metà del Settecento. L’illuminismo non aderisce particolarmente in Italia, a causa anche del rifiuto da parte della Chiesa e della mentalità chiusa ai dibattiti politici e filosofici. I due centri principali dell’Illuminismo sono Milano e Napoli. In questo periodo si evolve la stampa, che diventa periodica, aumentano il numero dei giornali in circolazione, in particolare ricordiamo il periodico Caffè dei fratelli Verri. I fratelli fondano anche l’Accademia dei Pugni, chiamata così per le accese discussioni che si tenevano fra i membri. Tra i collaboratori del Caffè ricordiamo Cesare Beccaria, autore del saggio Dei delitti e delle pene, in cui sostiene la necessità di abolire la pena di morte. Tra i generi dell’illuminismo abbiamo il romanzo epistolare, il genere autobiografico, opere di divulgazione scientifica (nascono le prime enciclopedie) e il teatro goldoniano. Carlo Goldoni Porta una rivoluzione alla commedia, sostituendo progressivamente il copione ai canovacci e delineando caratteri e psicologia dei personaggi. Nasce a Venezia nel 1707, si laurea in giurisprudenza. Lavora al teatro di Sant’Angelo di Venezia e scrive la Bottega del Caffè, ha un contratto per 8 commedie all’anno e il teatro diventa il suo unico lavoro. Passa poi al teatro san Luca per cui scrive La Locandiera. Le opere che hanno più successo sono comunque quelle in dialetto veneto, di cui ricordiamo la Trilogia della Villeggiatura. Nelle Mémoires invece racconta la sua vita e le sue riflessioni sulla sua produzione teatrale. La riforma goldoniana si basa sul creare personaggi veri, senza maschere, che abbiano una caratterizzazione specifica. Inoltre, rifiuta il canovaccio optando invece per i copioni. Narra con grande vivacità il mondo popolare e promuove la semplicità e naturalezza. La locandiera racconta di Mirandolina, che gestisce una locanda a Firenze in cui viene corteggiata continuamente da ogni cliente. Tra questi, ricordiamo il Marchese di Forlimpopoli e il Conte di Albafiorita. Arriva alla locanda il Cavaliere di Ripafratta, misogino e che insulta Mirandolina, la quale si convince di farlo innamorare. Quando egli si innamora perdutamente di lei, lei sposa il cameriere Fabrizio. La trilogia della villeggiatura Livorno. Tra ansie, gelosie, ripicche e arrabbiature, i preparativi per le vacanze a Montenero di alcuni borghesi che desiderano apparire agiati. Al centro della vicenda, la gelosia di Leonardo per la fidanzata Giacinta, corteggiata anche dal giovane Guglielmo. Montenero, luogo di villeggiatura dei livornesi, nella villa di Fulgenzio. Giacinta, fidanzata con il geloso Leonardo, si accende di passione per il giovane Guglielmo, ma alla fine sacrificherà i propri sentimenti per rispettare l'impegno preesistente. Guglielmo si consolerà con Vittoria, cognata di Giacinta. Livorno. Tornati dalla villeggiatura a Montenero, Leonardo e Vittoria, carichi di debiti, sono presi d'assalto dai creditori, mentre Giacinta, ancora corteggiata dal giovane Guglielmo, rinuncia ai suoi veri sentimenti in nome della ragione: sposerà Leonardo con cui si trasferirà a Genova, in modo da stare lontano da Guglielmo, il quale infine si sposerà con Vittoria. Giuseppe Parini e il Giorno Nasce in Brianza nel 1729, e in gioventù scrive Dialogo sopra la nobiltà, in cui critica l’insensatezza del vanto della nobiltà, attraverso il dialogo tra due cadaveri, un nobile e un poeta. Diventa precettore del figlio di Carlo Imbonati. Nel ‘63 diventa conosciuto con la pubblicazione del Mattino. Viene nominato direttore della gazzetta di Milano per promuovere la politica riformatrice degli austriaci. Viene pubblicato il Mezzogiorno, seconda parte del poema satirico de il Giorno. Il Giorno è un poema satirico in quattro parti in endecasillabi sciolti, incompiuto. L’opera si apre con una dedica alla moda, in cui Parini dichiara che la moda la dea che ha sconfitto la Ragione, il Buonsenso e l’Ordine. Nel Giorno, Parini si finge precettore d’amabil rito (ovvero l’educatore al piacere e al divertimento) di un giovin signore, dedito all’ozio che rifiuta gli studi, che deve essere educato al costume e alla moda aristocratica. Descrivendo un giorno nei minimi dettagli, racconta della vita fastosa e vuota dei nobili, sottolineando quindi la vuotezza e la critica etica dell’inutilità sociale dei nobili. Il tema, quindi, è quello della critica agli immotivati privilegi della nobiltà attraverso l’ironia. Tra gli episodi ricordiamo nel Mezzogiorno quello della Vergine Cuccia, che viene calciata da un servo dopo che il cane lo aveva morso, che viene cacciato dalla corte. Ricordiamo anche le Odi, divise in odi illuministiche sui temi della vita civile e politica; le odi neoclassiche dove affronta temi personali (nozze, laurea, morte); l’ode alla musa che celebra la poesia come educatrice dell’uomo al culto delle cose nobili e buone. Vittorio Alfieri e le Tragedie e la lotta alla Tirannide Nasce in Piemonte nel 1749 e viaggia in tutta Europa, conoscendo in prima persona la situazione politica dei vari stati e dei loro “tiranni”. Scrive molte opere teatrali (in particolare tragedie) tra cui ricordiamo le tragedie Antonio e Cleopatra (prima tragedia), Saul e la Mirra. La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del rapporto libertà-potere e all'affermazione dell'individuo sulla tirannia. Scrive 19 tragedie-in tutte le sue tragedie l’azione si svolge in 5 atti, in endecasillabo sciolto. Il protagonista è sempre l’eroe, che si impone contro il male e quindi contro il tiranno. Secondo Alfieri le sue tragedie dovevano istruire il pubblico colto. Mirra è incentrata sul sentimento incestuoso che prova la giovane Mirra nei confronti del padre Ciniro, e sul conflitto interiore della protagonista. (madre di Adone) Scrive il trattato De la tirannide e Del principe e delle lettere. Nel primo trattato parla dei limiti che i regimi tirannici pongono alla realizzazione dei singoli, ispirato da Machiavelli e dalle riflessioni politiche di Rousseau e Montesquieu. Nel secondo parla invece della necessità del poeta di essere libero da condizionamenti, condannando così ogni forma di mecenatismo che priva la libertà di creazione. Nelle 17 satire critica la società del ‘700. Ricordiamo le Rime, una raccolta di 300 componimenti. La vita di Vittorio Alfieri scritta da esso è la sua biografia, pubblicata postuma e divisa in quattro parti. Il libro delinea un’immagine ideale del poeta travagliato, più che un’effettiva autobiografia. La figura di Alfieri è a cavallo tra illuminismo e romanticismo: alla formazione basata sui classici e la necessità di indipendenza da ogni forma di potere si contrappone l’enfasi e la sensibilità del pensiero romantico. Vincenzo Monti Nasce nel 1754, a Roma scrive il poema La bellezza dell’universo, in onore del nipote del papa Pio VI, di cui diventa segretario. Si schiera contro la Rivoluzione francese e scrive il poemetto la Bassvilliana. Si trasferisce a Milano che è in questo momento sotto i francesi e rinnega le opere fatte in precedenza, scrivendo opere come il Prometeo, dedicato a Napoleone, dove lo accosta al personaggio della mitologia greca (colui che ha portato il fuoco agli uomini). Per un breve periodo Milano torna sotto gli austriaci e fugge a Parigi fino a quando Napoleone a Milano. Diventa quindi il poeta ufficiale del Regno Italico. In questo periodo traduce l’Iliade. La sua figura è sfaccettata: scrive opere sul filone illuminista dove celebra l’ingegno umano, ma anche quello preromantico ispirato da Goethe e i dolori del giovane Werther, scrive anche opere nello stile arcadico (la bellezza dell’universo), e la traduzione neoclassica dell’Iliade. Nel dibattito sulla lingua nato dalla pubblicazione del vocabolario della Crusca di Antonio Cesari, Monti si contrappone violentemente, criticandolo come inservibile in quanto non presenta una netta distinzione tra arcaismi e lessico dell’uso. Dibattito tra Classicismo e Romanticismo Melchiorre Cesarotti nel suo Ragionamento sopra l’origine e i progressi dell’arte poetica, definisce la necessità di uno svecchiamento della poesia italiana, allontanandosi dai soli riferimenti greco latini. Nel 1763 pubblica Le poesie di Ossian, un antico poeta celtico a cui si interessa in quanto identifica una nuova via, estranea al classicismo e più primitiva, in sintonia con i primi pensieri preromantici. Dopo il ritorno degli austriaci a Milano e la fine della parentesi napoleonica, la polemica si amplia e si divide in due fazioni: i classicisti generalmente legati alla nuova politica, e i romanticisti, legati agli ideali liberali. La goccia che fa traboccare il vaso è la lettera Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni della baronessa francese Madame de Stael, in cui la donna critica l’arretratezza a livello letterario dell’Italia, suggerendo di tradurre opere europee contemporanee. La lettera viene pubblicata sul giornale “La biblioteca italiana” e tra le risposte ricordiamo quella di Pietro Giordani (colui che in primo luogo l’aveva tradotta questa lettera) intitolata Sul discorso di madama de Stael. Lettera di un italiano ai compilatori della Biblioteca, in Adelchi, principe Longobardo fratello di Ermengarda e Ansberga, che aveva cercato inutilmente di opporsi alla guerra contro i Franchi, combatterà poi fino alla morte. Condotto in fin di vita alla presenza di Carlo Magno e del padre prigioniero, invoca, prima di morire, clemenza per il padre e lo consola per aver perduto il trono: non aver più alcun potere, infatti, non lo obbligherà più "a far torto o patirlo". I Promessi Sposi Fermo e Lucia- decide di approfondire il romanzo storico, leggendo l’Ivanhoe e altri romanzi. Studia anche dall’Historia Patriae di Giuseppe Ripamonti, dalle cronache della pestilenza. I promessi sposi è il primo romanzo storico italiano. Nel 1823 conclude la prima redazione su Fermo e Lucia, di questo primo romanzo farà parte l’appendice storica sulla Colonna Infame. Già qui troviamo l’ambientazione nella Lombardia del 1628-30 sotto la dominazione spagnola, in particolare Lecco, narrata dall'anonimo manoscritto (finzione letteraria). Il problema della lingua: unione di frasi in piemontese e toscano che anche Manzoni definisce indigesto. Nella seconda redazione del ‘27 elimina alcune parti del racconto e cerca di uniformare la lingua sotto il toscano vivo, e cambiando il nome a I promessi sposi. Sempre per il problema della lingua va in Toscana (a “sciacquare i panni in Arno”) e consulta il vocabolario della Crusca e quello dei Cherubini, che gli serviranno per definire la lingua dell’edizione della quarantana dei P.S. La struttura definitiva degli anni ‘40 comprende: l’introduzione all’anonimo manoscritto, 38 capitoli e la storia della colonna infame (che parla delle testimonianze degli untori durante la peste del 1630). L’introduzione dell’anonimo manoscritto invece serve da espediente per scrivere: essendo scritto in una lingua ampollosa, Manzoni vuole riscrivere il manoscritto in italiano moderno. Stratagemma anche per criticare la dominazione austriaca. Trama della quarantana: Lecco 1628, al tempo della dominazione spagnola, nozze tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, una coppia di giovani che lavora alla filanda, celebrato dal sacerdote don Abbondio. Don Abbondio è stato minacciato in precedenza dai Bravi, capitanati da Don Rodrigo, il quale aveva scommesso con il cugino Attilio che sarebbe riuscito a possedere Lucia. In preda al panico don Abbondio cede subito: il giorno dopo imbastisce delle scuse a Renzo per prendere tempo, Renzo arrabbiato racconta alla Perpetua, la domestica di don Abbondio, la situazione, lei convince il don a confessare. Lucia e la madre Agnese vanno quindi dall’avvocato Azzeccagarbugli, che però si rifiuta di aiutarli in quanto stanno andando contro i bravi. Si rivolgono allora a Fra Cristoforo, un frate cappuccino che decide di affrontare don Rodrigo, ma quando va a casa sua lo trova a cena con cugino Attilio, l’Azzeccagarbugli e il podestà di Lecco. Don Rodrigo tenta di rapire Lucia ma fallisce e quindi fra Cristoforo decide che Renzo si sarebbe rifugiato a Milano in un convento di cappuccini e Lucia sarebbe andata in un convento a Monza. Qui Lucia conosce la monaca di Monza, che in convento si innamora di un uomo e arriva fino ad uccidere una suora che minacciava di rivelare la loro relazione. Lucia viene fatta rapire dall’Innominato, un signore potente e sanguinario per conto di Don Rodrigo. Durante la notte dopo il rapimento Lucia per salvarsi fa voto di castità alla Madonna e rinuncia al suo amore per Renzo, mentre l’innominato, già pieno di rimorsi decide di liberarla. In questo periodo scendono in Italia i Lanzichenecchi, i mercenari tedeschi che combattono la Guerra di successione al Ducato di Mantova e che portano con loro la peste. La peste contagia sia Renzo, che guarisce, che Don Rodrigo, che viene inoltre derubato dal capo dei suoi bravi e muore. Renzo, guarito, inizia a cercare Lucia e si dirige al Lazzaretto di Milano, dove incontra fra Cristoforo mortalmente malato. I due si ritrovano e tornano al loro paese per celebrare le nozze. Giacomo Leopardi Nasce nel 1798 a Recanati, figlio del colto conte Monaldo. Giacomo è il primo figlio e già da bambino manifesta il suo interesse per lo studio. Tra il 1815-16 abbandona ’erudizione e la filologia e si appassiona al bello, ai grandi poeti (Dante, Rousseau, Alfieri...) e conosce Pietro Giordani che lo incita alla scrittura. Nel 1819 cerca di fuggire dalla causa materna senza riuscirci. In questo periodo inizia a scrivere lo Zibaldone dei pensieri, in cui troviamo anche la teoria del piacere. Riguardo al dibattito sul romanticismo la posizione di Leopardi rimane fondamentalmente montiana e neoclassica. Tuttavia, come si vedrà, quello che professava sulla pagina critica si rivelerà, poi, profondamente diverso dai risultati ottenuti nella poesia dove i temi e lo spirito saranno, invece, perfettamente in sintonia con la mentalità romantica. Intanto, scrive le due canzoni ispirate a motivi patriottici All'Italia e Sopra il monumento di Dante che stanno ad attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel tipo di letteratura di impegno civile che aveva appreso dal Giordani. In questo periodo compone quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di Idilli: L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna (originariamente, i titoli di queste ultime erano La sera del giorno festivo e La ricordanza), La vita solitaria, Il sogno, Lo spavento notturno. Qui confluirono i rimpianti per la giovinezza perduta e la presa di coscienza dell'impossibilità di essere felici. Nel 1822 si reca a Roma ma ritiene l’ambiente letterario deludente. Compone le operette morali e inizia varie traduzioni. Viaggia poi tra Firenze e Pisa e con la poesia “A Silvia” con cui si aprono i canti pisano-recanatesi. I Canti, raccolta creata negli anni 30, contiene quasi tutte le poesie dell’autore. Stringe amicizia con Antonio Ranieri, nobile napoletano con cui vivrà fino alla morte. Con lui si trasferisce a Napoli dove scriverà gli ultimi canti, tra cui la Ginestra. I Canti Sono l’opera che contiene quasi tutto il corpus poetico dello scrittore. Contiene le opere scritte dal 1818 al 1836. I Canti, considerati il capolavoro di Leopardi, racchiudono liriche composte da Leopardi tra il 1817 e il 1836. È composta da 41 componimenti, divisi per sezioni: le canzoni, poi abbiamo i 5 idilli (L’infinito, la sera del dì di festa, alla luna, il sogno, la vita solitaria), in endecasillabi sciolti; poi i canti pisano recanatesi (A Silvia, le ricordanze, canto notturno di un pastore errante dell’Asia, la quiete dopo la tempesta, il sabato del villaggio), poi i canti fiorentini e i canti napoletani (tra cui la Ginestra). . Le Operette Morali, Oggi considerate la più alta espressione del pensiero leopardiano, racchiudono l'essenza del pessimismo del poeta, trattando argomenti quali la condizione esistenziale dell'uomo, la tristezza, la gloria, la morte e l'indifferenza della Natura. Scritte 1824-1828, sono 24 prose di diversa dimensione e struttura, operette satiriche ispirate ai Dialoghi di Luciano di Samosata. Nelle operette morali Leopardi critica l’idea della centralità dell’uomo nella natura. L'Operetta che sancisce il passaggio dal Pessimismo Storico al Pessimismo Cosmico è il Dialogo tra la Natura e un islandese, in cui la natura viene descritta per la prima volta come "matrigna" e malvagia. Viaggia poi tra Firenze e Pisa e con la poesia “A Silvia” con cui si aprono i canti pisano-recanatesi. Pessimismo storico: L’uomo è infelice per natura, e la natura viene considerata come positiva, e aiuta gli uomini (suoi figli) dandogli delle illusioni per allontanarsi dalle sofferenze (per gli antichi). Ma, con il progresso storico, l’uomo ottiene la ragione, che gli permette di cogliere l’inganno e questo causa loro sofferenza. È quindi la presa di coscienza dell’uomo la causa della sua infelicità. Infine, capisce che la natura non è buona, ma fa tutto ciò per conservare la specie. Pessimismo cosmico: l’infelicità non è dovuta al progredire dell’uomo e della storia, l’uomo è infelice di natura, la natura ha infuso il piacere dell’uomo facendogli nascere il desiderio che non gli permette di appagarsi mai. Natura negativa. Alla fine della sua vita Leopardi rivaluta la natura, capendo che essa non è crudele, ma solo indifferente, e che la realtà non è che un ciclo perenne di creazione e distruzione. Ippolito Nievo Nasce a Padova nel 1831 Seguace delle idee di Giuseppe Mazzini, svolse un'intensa attività patriottica partecipando anche alla spedizione dei Mille e rimanendo in seguito in Sicilia con compiti amministrativi. Scrisse diverse novelle e romanzi, tra cui Le confessioni di un italiano, che è considerato una delle opere più importanti del Risorgimento Italiano: il romanzo, pubblicato postumo, è di considerevole lunghezza; ambientato fra il Settecento e la seconda guerra d'indipendenza italiana, ha momenti di notevole forza narrativa; partendo da spunti fiabeschi, tratti dal mondo dell'infanzia, passa a narrare la maturazione etica e spirituale del protagonista sullo sfondo della formazione. Nel romanzo, considerato un capolavoro della letteratura, vengono narrate, sotto forma di un'autobiografia fittizia, le vicende di Carlo Altoviti, il protagonista che narra, ormai ottantenne, in prima persona la propria vita trascorsa come patriota, ma soprattutto come uomo che ha vissuto la trasformazione della propria identità da veneziano a italiano intrecciando i propri casi personali con le vicende storiche del Risorgimento italiano. Il romanzo si divide in tre periodi: dalla caduta dell'Ancien régime, alla stagione delle rivoluzioni, fino al 1858. Le confessioni vennero pubblicate, quindi, postume, con il titolo Le confessioni di un ottuagenario. Il tono del romanzo è ironico ma coinvolto nelle vicende del protagonista, mentre il linguaggio del narratore non è aulico né volutamente popolareggiante, ma intermedio. Si può parlare di impronta orale della lingua, in quanto l'autore inserisce, accanto a termini aulici, termini che derivano dai dialetti mantovano e veneto (ciò si ricollega all'imprevedibilità della vita, altro tema affrontato nell'opera). Ispirato dal romanzo storico di Manzoni, lui però racconta di una realtà vicina e non di un passato lontano. Tra le altre sue opere ricordiamo Storia filosofica dei secoli futuri, una novella satirica in cui Nievo prefigura il futuro fino al 2222. La Scapigliatura La scapigliatura è un gruppo di scrittori che si ritrovano negli anni 60-70 dell’Ottocento principalmente a Milano. Gli autori di questo gruppo sono accomunati dalle insofferenze per la società borghese e la letteratura contemporanea, e per l’impulso di rivoluzione nei confronti di questi e quindi l’esigenza di trovare nuove soluzioni letterarie. Il termine Scapigliatura è proposto da Cletto Arrighi nel suo romanzo Scapigliatura. Gli scapigliati rappresentano l’ideale dell’artista contro la società, tipico dei movimenti romantici europei, basato sugli ideali bohemien e il Maledettismo di Baudelaire. Gli autori si sentono in crisi in un momento di crisi come quello dell’Italia della prima unità. Il manifesto della scapigliatura lo troviamo nel preludio a Penombre di Emilio Praga. Ricordiamo anche Arrigo Boito, Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi. Giosuè Carducci Giosuè Carducci nasce in Toscana nel 1835, nel 1860 ottiene la cattedra di Eloquenza italiana a Bologna e sarà insegnante di Giovanni Pascoli. La sua prima produzione è caratterizzata da una spinta classicistica e il rifiuto totale del romanticismo dovuta dal contatto col gruppo degli Amici Pedanti. Scrive Inno a Satana sotto lo pseudonimo di Enotrio Romano come brindisi per un banchetto, elogio della modernità e del suo simbolo: la locomotiva. Ricordiamo la raccolta di poesie Giambi ed Epodi.(titolo ispirato a
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