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La Psicologia Sociale: Modelli di Comportamento e Interazioni Sociali, Schemi e mappe concettuali di Psicologia Sociale

Psicologia Sociale ComparataPsicologia Sociale e PersonalePsicologia Sociale e Cultura

I concetti chiave della psicologia sociale, tra cui l'impatto sociale, la facilitazione sociale, l'inerzia sociale e la psicologia culturale. Viene discusso il ruolo delle interazioni sociali nella formazione dei processi psicologici e il modo in cui le persone si adattano ai ruoli e alle norme sociali. anche la teoria di Moscovici sulla rappresentazione sociale e il suo impatto sulla identità sociale.

Cosa imparerai

  • Come le interazioni sociali influiscono sulla formazione dei processi psicologici?
  • Che teoria di Moscovici riguarda la rappresentazione sociale?
  • Come la facilitazione sociale influenza il comportamento delle persone?
  • Che concetti di psicologia sociale vengono trattati in questo documento?
  • Come le persone si adattano ai ruoli e alle norme sociali?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 15/11/2022

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4.3

(36)

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Scarica La Psicologia Sociale: Modelli di Comportamento e Interazioni Sociali e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! PSICOLOGIA SOCIALE DA STAMPARE: CAPITOLO 1 Nell’approccio interazionista non si distingue tra interazione e relazione, l’approccio relazionale-simbolico distingue e connette interazione e relazione definendo l’interazione come lo scambio che avviene tra i membri di un gruppo, rappresenta il ‘’qui ed ora’’ e viene riempita di significato dalla relazione. Per relazione si intende invece il legame che precede l’interazione in atto e ne costituisce il contesto significativo, si intende anche il legame che vi è fra i membri di un gruppo questo legame ha inoltre una dimensione temporale, ha un passato un presente e un futuro. Bias della retrospezione: tendenza a esagerare la propria abilità previsionale su un evento già avvenuto. Secondo Tarde alla base della vita sociale vi sono 3 cause di ordine psicologico: -Il desiderio: ci spinge ad agire verso ciò che riteniamo desiderabile; -L’invenzione: fa riferimento all’operazione per cui, attraverso l’eredità delle generazioni e le suggestioni del contesto, vengono costruite nuove idee -Relazione interpsicologiaca: luogo di intersezione fra i primi 2. anche se questi processi sono diffusi in tutti gli uomini, alcuni sono più abili nell’inventare idee, questi diventano modelli da imitare, i capi. l’invenzione crea modelli di comportamenti originali e differenza sociale, l’imitazione diffonde progressivamente la novità spingendo le persone a adeguarvisi Ringelmann, contrariamente a Triplett, notò che le persone impegnate in un compito in presenza di altri, tirare una fune, erano meno prestanti quando erano in gruppo rispetto a quando erano da soli, il fenomeno indagato da Triplett oggi è noto come facilitazione sociale, quello di R come inerzia sociale. La psicologia culturale, specifica versione della psicologia che valorizza il ruolo delle dinamiche sociali nel condizionamento dei processi psicologici, secondo questa prospettiva i processi psicologici non solo sono influenzati, ma addirittura strutturati dalle interazioni sociali, e in particolare dalla cultura, intesa come insieme di artefatti materiali e ideali, socialmente costruiti, tramite i quali le persone si rapportano al mondo, pertanto i i processi psicologici sono solo in minima parte determinati dalle caratteristiche funzionali, biologicamente fondate, essi consistono in operazioni di attribuzione di senso alla realtà, svolte tramite strumenti d’interpretazione del mondo, connotate dalla specifica comunità umana nelle quali le persone vivono (leggere pagina 17 per le caratteristiche metodologiche) Lo sviluppo della psicologia sociale negli USA negli 1920-30 si colloca in un periodo d’immigrazione dalla Polonia, Italia e Russia, paesi con una forte identità culturale e diversa da quella statunitense, in questo contesto si diffonde la psicologia delle razze, esempio di collusione tra gli psicologi sociali dell’epoca e il clima di razzista diffuso, infatti nacque per cercare di dimostrare scientificamente la differenza fra razze. Recentemente si è sviluppata all’interno della psicologia sociale la neuroscienza sociale, la disciplina che studia come i processi neurofisiologici implementano i processi e i comportamenti sociali, e pone particolare attenzione a come il sistema cerebrale è in grado di mediare e modulare i processi d’interazione sociale. All’ interno della neuroscienza sociale è caratterizzata da una dicotomia fra le scienze sociali, che pur riconoscendo il ruolo dei fattori fisiologici nella comprensione delle questioni sociali usano con più cautela paradigmi esplicativi di natura causale, e le neuroscienze applicate, dove si assiste all’inclusione delle scienze sociali nel dominio delle neuroscienze del comportamento. Il progredire di questi 2 filoni paralleli ha richiesto il reciproco adattamento nei modelli, teorie e approcci metodologici, da tale convergenza è emerso un modello di riferimento bifocale che ha da un lato visto la necessità di costruire un prototipo di homo-biologicus, esemplificativi sono gli studi sulla biologia delle differenze di genere, dall’altro lato grazie alla neuropsicologia clinica si è arrivato a costruire il prototipo di homo-socialis, modelli funzionali dei processi sociali, ad esempio il contributo fornito dagli studi sulle patologie del SNC/P che ne compromettono il funzionamento. (luoghi delle neuroscienze sociali) pag. 23 L’ambito più rappresentativo delle neuroscienze sociali è lo studio dei processi emozione-correlati, gli studi sui processi d’immedesimazione, contagio emotivo ed empatia. partendo dalle prime indagini sugli effetti del dolore fisico percepito e dai meccanismi sottesi a tali processi d’immedesimazione e ‘simulazione’ si sono susseguite attraverso metodiche di neuroroimaging, EPS (potenziali evento-relati) hanno consentito di esplorare il senso più profondo del dolore, non solo connotato fisicamente, ma anche dal punto di vista psicologico. 1 È stato scoperto che il cervello attiva gli stessi circuiti che attiverebbe sia se provasse dolore, sia se guarda un simile provarlo (neuroni specchio). Questi meccanismi sono utili per adattarsi al contesto sociale, permettendoci di entrare in sintonia con l’altro e di anticipare le reazioni future, predisponendoci a reagire in termini sociali con comportamenti di supporto per rendere diretta e automatica la cooperazione, favorendo l’integrazione inter-individuale in condizioni avversive. La psicologia sociale europea si distinse da quella nordamericana, ritenuta troppo individualista, grazie a Tajfel e Moscovici, le critiche rivolte alla psicologia nordamericana furono 2: -l’assunzione di una prospettiva individualista in base alla quale il comportamento sociale veniva spiegato quasi esclusivamente a processi individuali, si dedicò infatti a processi propri dell’uomo in quanto specie. -L’assunzione di una concezione della società ingenua e astorica, intesa come semplice aggregato di individui collegati fra loro da relazioni interpersonali. Tajfel sosteneva invece che la società ha una struttura propria che non si può ricondurre alle peculiarità delle singole persone, pertanto la psicologia sociale si occupa delle peculiarità individuali, ma deve anche includere un interesse per i rapporti tra il funzionamento psicologico umano e i processi ed eventi sociali su larga scala, che plasmano questo funzionamento e ne sono a loro volta influenzati. Moscovici, in sintonia con Tajfel, sostenne che l’oggetto della psicologia sociale è rappresentato dal comportamento simbolico dei soggetti sociali, persone o gruppi, il suo pensiero si basa su: -Oggetto di studio della psicologia sociale è il conflitto che si genera, e che non è mai eliminabile, tra persona e società, l’autore intende il conflitto come una tensione continua che deve e può trovare punti di risoluzione ed equilibrio sia nella storia delle persone sia in quella dei gruppi (le minoranze attive). -La psicologia sociale studia anche la genesi, la struttura e il funzionamento dei fenomeni simbolici della cognizione e della comunicazione (le rappresentazioni sociali). A questi particolari oggetti di studio corrisponde anche una peculiarità metodologica o meglio di sguardo psicosociale agli oggetti, una modalità particolare di osservare e indagare i fenomeni sociali, orientato a teorie e osservazioni dirette dei rapporti tra persone e gruppi in uno specifico contesto sociale. mentre la psicologia si avvale di una lettura di tipo binario della realtà, il soggetto percepente e l’oggetto sono separati e definiti indipendentemente l’uno dall’altro, Moscovici propone una visione ternaria dei fatti e delle relazioni, tale lettura si gioca su 3 poli: -soggetto individuale - soggetto sociale -oggetto Fra soggetto e oggetto s’inserisce una mediazione, il sociale, pertanto la relazione tra soggetto e oggetto è sempre mediata dall’altro attraverso le rappresentazioni, le credenze, i significati elaborati e costruiti, in base ai quali il soggetto reagisce e agisce. L’altro può essere un alter ego, qualcuno simile a sé, oppure un alter, qualcuno differente da sé, a seconda dei casi può avvenire un processo di confronto o di riconoscimento. In sintesi: la psicologia sociale europea si differenzia da quella americana per 3 aspetti: 1) L’assunzione di una prospettiva interazionista del soggetto: le persone sono soggetti sociali e la società è continuamente costruita e ricostruita dall’interazione fra persone. Questa interazione non è semplicemente un contenitore entro cui si sviluppa l’azione individuale o la sua causa, ma è costitutiva e strutturante nei confronti del comportamento stesso. 2) La concezione del sociale: l’oggetto a cui fa riferimento la psicologia sociale europea è un sociale organizzato, quindi non un semplice aggregato di persone, ma una realtà articolata e stratificata in gruppi e sottogruppi, gerarchicamente organizzati in base a relazioni di potere e chiaramente identificati sulla base di orientamenti valorali e ideologici. 3) La scelta metodologica: le persone vengono considerate cittadini (Doise) situati in un contesto e in una struttura sociale e non semplici soggetti sperimentali, pertanto si devono indiare strategie di ricerca che consentono di valorizzare questi elementi e non annullarli. Kurt Lewin permise alla psicologia sociale di elevarsi, apportando miglioramenti su diversi fronti. dal punto di vista epistemologico propose la distinzione fra concezione aristotelica e galileiana. La prima caratterizzata da una conoscenza di tipo classificatorio, cioè gli eventi studiabili sono solo quelli che si ripetono con una certa frequenza, permettendoci di dedurre leggi ed elementi comuni. la seconda è di natura genetico- condizionale, tutti gli eventi seguono delle leggi, anche quelli rari, spostando il focus dal cercare elementi comuni o costanti al rapporto che intercorre fra il loro verificarsi e la presenza nell’ambiente di determinate condizioni. 2 consentono di indagare il legame fra variabili nel mondo reale (sul campo) e di considerare variabili come: genere, età, status, che non possono essere manipolate, di contro le ipotesi causali non consentono di verificare il legame sul campo (nel mondo reale), poiché eventuali terze variabili non controllabili potrebbero essere molteplici. Il poter identificare con rigore scientifico che cosa può aver causato un determinato effetto comporta il riuscire a rimuovere dal processo di ricerca tutti quei fattori che potrebbero andare ad alterare il legame causale oggetto della ricerca. gli psicologi sociali incontrano molte difficoltà a condurre ricerche sperimentali, studi che indagano le relazioni causa-effetto su una o più variabili dipendenti manipolando uno o più variabili indipendenti e controllando gli altri (tenendoli costanti), questo perché le variabili intervenienti possono essere numerose e non sempre controllabili. Ciò che gli psicologi sociali cercano nei loro esperimenti non è tanto il realismo mondano, il grado in cui un esperimento è simile superficialmente alle situazioni quotidiane, quanto il realismo sperimentale: il grado in cui un esperimento assorbe e coinvolge i partecipanti. in altre parole: il comportamento sollecitato dallo sperimentatore non deve essere per forza identico a quello che si osserva nella realtà, ma l’esperimento deve essere caratterizzato da realismo, cioè deve coinvolgere i soggetti così come li coinvolgerebbe la realtà. Nelle ricerche sperimentali i ricercatori alterano le possibili cause (variabili indipendenti) e verificano che cosa succede nelle variabili dipendenti. Assegnazione causale: processo nel quale ogni persona ha le stesse probabilità di essere assegnata a una certa condizione di un esperimento. I disegni sperimentali consentono di creare un legame causa-effetto attraverso la manipolazione della causa (variabile indipendente) formano più gruppi di soggetti e facendo sperimentare ai soggetti una sola condizione della variabile indipendente. Con l’assegnazione causale i gruppi che si vengono a costituire con la manipolazione della variabile indipendente saranno uguali relativamente a quelle variabili che potrebbero influenzare il legame causa-effetto soggetto della ricerca, inoltre consente di controllare tutti quei fattori estranei che potrebbero alterare il legame causale che si vuole verificare. In altre parole: l’assegnazione causale crea dei gruppi equivalenti che consentono di imputare ogni differenza riscontrata nella variabile dipende alla manipolazione di quella indipendente. Variabile dipendente: variabile che viene misurata, chiamata così perché i suoi valori potrebbero dipendere dalle manipolazioni della variabile indipendente I ricercatori sono spesso davanti a un bivio quando si tratta di scegliere la strategia di ricerca più consona per rispondere ai propri interrogativi ‘’ricerca sul campo o in laboratorio’’. Ricerca sul campo: ricerca compiuta in un setting naturale di vita reale, fuori dal laboratorio. Una differenza tra ricerca sul campo e in laboratorio riguarda la presenza di un minore o maggiore controllo sulle variabili. una ricerca è valida quando si approssima sufficientemente bene alla realtà. la ricerca sul campo dovrebbe essere la più valida in quanto registra ciò che accade nella realtà , spesso però non è possibile stabilire dei legami di causa in quanto il controllo che si ha nella ricerca sul campo è sicuramente meno forte rispetto a quello ottenibile in laboratorio, per questo si parla di 2 tipi di validità diversa: esterna e interna: -validità esterna è legata alla generalizzazione dei risultati a individui e contesti diversi da quelli oggetto di ricerca. -validità interna invece garantisce il legame di causa tra variabile dipendente e indipendente, dunque è possibile affermare che la modifica della variabile dipendente sia dovuta esclusivamente alla modifica della variabile indipendente e non ad altre variabili. NB: le ricerche sul campo è più facile che abbiano una validità esterna elevata e una interna Bassa, mentre le ricerche in laboratorio il contrario 5 Strategie di ricerca: -correlazionali: -vantaggi: spesso usano setting di vita reale -svantaggi: il legame di causa è spesso ambiguo Sperimentali: -vantaggi: esplorano causa ed effetto controllandole variabili attraverso l’assegnazione causale dei soggetti -svantaggi: alcune variabili importanti non possono essere studiate con gli esperimenti Un’ulteriore diversità tra una ricerca l’altra è data dal tipo di strumenti utilizzati per raccogliere i dati, ci sono 3 strumenti utilizzati principalmente: questionario, intervista e osservazione: -Osservazione: strumento di registrazione dei comportamenti che vengono codificati attraverso categorie. nonostante l’apparente semplicità della definizione, l’osservatore è uno strumento di rilevazione dei dati molto complesso. quando si conduce un’osservazione bisogna prestare la massima attenzione a essere sistematici e selettivi, e ad aver presente le scelte da fare, scegliere dove osservare, chi, che cosa, come, chi il contesto di osservazioni, il ruolo dell’osservatore, il tempo, le categorie di comportamento da osservare, le tecniche di registrazione. Relativamente a chi osserva possiamo distinguere fra un’osservazione naturalistica e una partecipante, nel primo caso l’osservatore è esterno a ciò che avviene e cerca di non influenzarlo in alcun modo. nel secondo caso invece l’osservatore è pienamente coinvolto in ciò che avviene, lo influenza e ne viene influenzato. Il come e in che cosa osservare sono abbastanza complessi perché bisogna decidere il numero delle sedute osservative, la loro durata, l tipo di rilevazione e l’unità di tempo. la scelta dipende dagli obbiettivi della ricerca stessa, bisogna approfondire che cosa andare a vedere, ossia le categorie di comportamento che vogliamo osservare. scegliere tra categorie molari o molecolari, nel primo caso si tratta di comportamenti che hanno una durata (inizio e fine) e che sono dotati di senso; i comportamenti molecolari invece durano pochi secondi. Infine, si possono scegliere le modalità di registrazione del comportamento: si può utilizzare la registrazione o la videoregistrazione e poi in un secondo momento codificare i comportamenti osservati, oppure procedere alla compilazione di una scheda di osservazione, detta anche ceck-list, preparata precedentemente dal ricercatore. -L’intervista: strumento basato sulla relazione tra intervistatore e intervistato con l’obbiettivo di rilevare le opinioni e gli atteggiamenti dell’intervistato. Un aspetto fondamentale dell’intervista riguarda la relazione che si viene a instaurare tra l’intervistatore e l’intervistato, solitamente vengono distinte le interviste: non strutturate/libere: non hanno un tema definito, né domande, ma l’intervistato è chiamato a esprimere le sue riflessioni sul tema, l’intervistatore, cercando di essere meno intrusivo possibile, può chiedere di approfondire alcuni aspetti semi-strutturate o strutturate: prevede una serie di domande prestabilite che vengono poste dall’intervistatore secondo un ordine a sua discrezione nel primo caso, o stabilito nel secondo. Le dinamiche relazionali che possono emergere sono le stesse dell’intervista non-strutturata, anche se in questo caso ci sono maggiori punti di ancoraggio per l’intervistatore e la codifica delle risposte è più agevole. mentre nell’intervista non-strutturata i dati raccolti saranno molto probabilmente diversi da intervistato a intervistato, nell’intervista semi-strutturata o strutturata, essendo le risposte ancorate a domande precise, sarà più facile codificarle in categorie similari -questionario: strumento altamente strutturato in grado di quantificare gli atteggiamenti, le opinioni e i pensieri delle persone su un dato argomento. viene spesso usato per misurare gli atteggiamenti, opinioni e i pensieri delle persone, sono generalmente composti da domande che vengono poste al soggetto in un ordine preciso e prestabilito, uguale per tutti i soggetti. le risposte alle domande possono essere già codificate o aperte, nel primo caso il soggetto è chiamato a scegliere tra le alternative proposte, mentre nel secondo può esprimere liberamente la propria opinione. A differenza dell’intervista il questionario è caratterizzato da domande standard, questa standardizzazione implica un’attenzione particolare come esse vengono formulate, al loro ordine e alle modalità con cui i soggetti possono rispondervi. 6 Quando si somministra un questionario, proprio per garantire che le domande siano poste allo stesso modo a tutti i soggetti e che essi comprenderanno allo stesso modo il significato, si deve prestare attenzione a standardizzare le domande e le modalità di risposta. occorre formulare domande chiare, non ambigue e semplici, bisogna evitare le doppie negazioni e di porre domande ambigue e che contengano una sola richiesta alla volta. Oltre alla standardizzazione delle domande, quando si utilizzano domande chiuse si deve prestare attenzione anche a quella delle risposte, i soggetti sono costretti a utilizzare modalità di risposta fissate in precedenza dal ricercatore (bisogna tener conto della desiderabilità sociale) le risposte possono essere dicotomiche, unipolari o bipolari. spesso le persone quando rispondono ai questionari, sono portate a rispondere non tanto basandosi sulle proprie esperienze, ma cercando di dare un’immagine positiva del sé al ricercatore lo psicologo sociale nell’ideare ed effettuare la ricerca dovrà porre particolare attenzione alla relazione che inevitabilmente si viene a istaurare fra ricercatore e soggetto. i ricercatori hanno diverse strategie per controllare la relazione ricercatore-soggetto: -i confederati, una persona che viene utilizzata dal ricercatore, di solito interpreta un ruolo nella situazione di ricerca (complice) l’essere a conoscenza degli obbiettivi o delle ipotesi della ricerca può influenzare il setting della ricerca, di conseguenza i ricercatori utilizzano storie di coperture o l’inganno che i partecipanti alla ricerca confermino le ipotesi dei ricercatori solo per desiderabilità sociale, in alcuni casi che entrano in relazione con i soggetti vengono ingannati rispetto agli obbiettivi della ricerca. -Inganno: i partecipanti sono disinformati o ingannati sui metodi e gli obbiettivi dello studio, si racconta ai soggetti una storia o si fa credere alle persone di partecipare a un esperimento che ha delle finalità differenti da quelle reali. Inganno e storia di copertura consentono di ottenere il realismo sperimentale permettendo al ricercatore di riprodurre in laboratorio il processo oggetto della ricerca, ma ha anche degli importanti risvolti etici. io dilemma etico consiste nel decidere se in un determinato momento sia più corretto ingannare il soggetto sui reali obbiettivi della ricerca per far sì che la ricerca progredisca o se piuttosto sia necessario fermarsi per non incorrere in problemi di ordine etico. La scelta è spesso quella di ricorrere all’inganno, effettuare la ricerca, debriefing: la spiegazione dello studio ai partecipanti che avviene in un momento successivo alla conclusione dell’esperimento, di solito si informano i partecipanti di ogni inganno e chiede ai partecipanti che cosa hanno capito dell’esperimento e quali i sono i sentimenti sollecitati dall’esperimento stesso. Il ricercatore s’interroga rispetto all’etica anche quando sceglie il tipo di stimoli da sottoporre ai soggetti, altre volte si trovano a operare in un’area grigia tra pericolosità e l’assenza di pericolosità e l’assenza di pericolosità dei loro esperimenti, soprattutto quando questi comportano il coinvolgimento inteso delle persone, dei loro pensieri e delle loro emozioni. Credere infatti di fare del male a qualcuno o essere soggetti a una forte pressione sociale può comportare dei problemi ai soggetti sperimentali stessi. la ricerca psicologica fa riferimento a un codice etico della ricerca che sancisce i principi guida generali della ricerca in psicologia. I 3 principi generali del codice possono essere riassunti in 3 parole: competenza, integrità e responsabilità sociale. Il ricercatore deve essere competente e formato al fine di utilizzare in modo consapevole le tecniche e gli strumenti di ricerca ed evitare rischi per il benessere fisico e psicologico dei partecipanti alla ricerca. egli è inoltre tenuto per correttezza e integrità a comunicare quali siano le sue qualifiche professionali, la sua formazione e le sue esperienze professionali precedenti. Infine, deve essere responsabile a livello sociale della ricerca, deve rispettare e far rispettare le leggi, favorire la diffusione delle conoscenze allo scopo di aumentare il benessere delle persone e dalla società, preoccuparsi del benessere delle persone con cui lavora, insegnare nel modo corretto e nelle sedi appropriate gli strumenti e le tecniche di ricerca. Il codice etico comprende poi 9 diverse classi di norme etniche, ad esempio il consenso informato, principio etico che richiede che i partecipanti alla ricercano siano informati sufficientemente, in modo da poter scegliere se partecipare o meno alla ricerca, ciò permette ai soggetti che partecipano alla ricerca e la libertà di questi ultimi di abbandonare la ricerca in qualsiasi momento. Se viene usato l’inganno durante l’esperimento è tenuto a informare i soggetti, alla fine dell’esperimento, di quale sia stato l’inganno e a fare di tuttora affinché venga almeno ripristinare il suo stato di salute, umore e autostima precedenti all’esperimento (esperimento di Zimbardo pag 53) 7 i successi e i fallimenti Il concetto di sé non è alimentato solo dai ruoli, dall’identità sociale e dai confronti con gli altri, ma anche dalle esperienze quotidiane (successi e insuccessi), svolgere attività difficili, ma realistiche e avere successo significa sentirsi più competenti. Ad es: dopo aver sperimentato successo a livello accademico gli studenti sviluppano una maggiore stima della propria competenza, stimolando a lavorare con maggiore impegno per ottenere risultati più ambiziosi.se soggetti con alta autostima si confrontano con persone che ne hanno meno saranno più felici, meno nevrotici e più risoluti giudizi degli altri Nella descrizione del sé riflesso, Looking glass self, il sociologo Cooley (1902) ha proposto il concetto di rispecchiamento: il modo in cui le persone pensano di essere percepite dagli altri viene utilizzato come una sorta di specchio per percepire sé stessi. successivamente si noto che ciò che conta per il concetto di sé non è come gli in realtà ci vedono bensì il modo in cui immaginiamo che ci vedano. In genere le persone si sentono più libere di lodare che di criticare, questo può, e perciò possibile che si sopravvaluti l’apprezzamento degli altri, gonfiando di conseguenza l’immagine del sé(autoenfatizzazione), più marcato nelle culture occidentali. (guardare pag 66 per Kitayama). Mark Leary: si sperimenta il dolore di una scarsa autostima nel momento in cui si sperimenta l’esclusione sociale, l’autostima è una valvola di sfogo psicologica attraverso la quale si controlla e si reagisce al modo in cui gli altri stimano le persone. La cultura dominante Per alcune persone in modo particolare per coloro che appartengono alle culture occidentali industrializzate prevale l’individualismo: concetto che prevede l’assegnazione della priorità ai propri obbiettivi rispetto a quelli del gruppo e alla definizione della propria identità in termini di attributi personali invece che di identificazione di gruppo; per altre persone prevale il collettivismo. Triandis distinse i costrutti di idiocentrismo e allocentrismo ( a livello individuale), rispetto a quelli di individualismo e collettivismo (a livello culturale), oggi possono essere misurati empiricamente. Le culture individualiste caratteristiche: -considerano l’individuo come unità base della società e prestano di molta attenzione alle differenze individuali. -i gruppi sono numerosi, la persona sceglie quelli che maggiormente soddisfano le sue esigenze, la persona attribuisce priorità agli scopi e al successo personali, anche perché la superficialità delle relazioni create all’interno dei gruppi non gli garantisce la sicurezza e il sostegno necessari all’esistenza. -il comportamento sociale è regolato dalle disposizioni, dai gusti, e dalle avversioni personali, nonché dalla valutazione costi/benefici. -il meccanismo di controllo interno della colpa prevale rispetto a quello sociale della vergona. i valori enfatizzati sono: l’autonomia, la libertà, la fiducia in sé stessi, la creatività, la realizzazione di sé, il successo, il piacere, il gruppo sembra più un freno che un trampolino di lancio. -Il sé che si sviluppa in questo contesto è quello ideocentrico, si configura come un’entità separata dalle proprie appartenenze e primariamente tesa a esprimere se stessa, in pratica le persone si descrivono lo fanno con attributi con scarso riferimento a gruppi sociali di appartenenza. (a questo proposito Markus e Kitayama (1991) parlano di sé indipendente, autonomo e automonitorato, caratterizzato da una configurazione unica di attributi interni e di comportamenti derivanti principalmente da essi) -La psicologia delle culture occidentali parte dal presupposto che la vita possa essere arricchita mediante la definizione dei sé possibili e la convinzione nel potere di controllo personale. La letteratura occidentale dall’Iliade in poi celebra l’individuo autonomo, le trame dei film mostrano eroi che si oppongono all’establishment. -l’individualismo prospera laddove le persone sperimentano benessere economico, urbanizzazione e influenza dei mass media. La maggior parte delle culture asiatiche, africane e centro/sudamericane attribuisce invece un valore maggiore al concetto di collettivismo: tendenza ad assegnare priorità gli obbiettivi del proprio gruppo di appartenenza, spesso la famiglia allargata o il gruppo di lavoro, e a definire la propria identità in base ad esso, alimentando ciò che Kitayama e Markus definiscono sé interdipendente. 10 Caratteristiche: -Le culture collettiviste considerano il gruppo come unità base della società e tendono ad annullare le differenze individuali dei suoi membri. -a questo estremo del continuum la vita quotidiana si caratterizza per la presenza di pochi gruppi, di piccole dimensioni e molto influenti: la dipendenza nei loro confronti è forte e la persona è pronta a sacrificare i propri interessi e successo a favore di quelli collettivi, riceve dal gruppo sostegno e la sicurezza di cui ha bisogno. -La persona tende a creare nel gruppo relazioni intime e stabili e a dare priorità alle relazioni verticali rispetto a quelle orizzontali. -il comportamento sociale è regolato dalle norme del gruppo e prevale il meccanismo di controllo sociale della vergogna piuttosto rispetto a quello interno di colpa. -nell’educazione sono enfatizzati i valori quali: conformità, cooperazione, integrità familiare, sicurezza, equità, onestà e dovere di obbedienza -Le persone mostrano un maggiore grado di autocritica e hanno un minor bisogno di considerarsi in modo positivo. -nella lingua parlata raramente dicono la parola ‘’io’’, preferiscono ‘’sono’’ -Il sé tipico di queste culture è quello allocentrico: diviene significativo e completo solo nell’ambito delle relazioni sociali e sebbene disponga di una serie di attributi, considerati specifici della situazione e quindi in grado di definire stabilmente le sue caratteristiche. Definire le culture esclusivamente individualiste o collettiviste è un’eccesiva semplificazione, poiché all’interno di qualsiasi cultura il libello di individualismo varia da persona a persona. questo binomio varia inoltre tra le varie regioni e gli orientamenti politivi di un Paese. È possibile notare un orientamento culturale sempre più individualista, ad esempio i giovani cinesi lo sono in misura maggiore rispetto agli anziani. Nisbett sostiene che il collettivismo sia il risultato non solo di relazioni sociali che differiscono da quelle occidentali individualiste, ma anche dai diversi modi di pensare: gli asiatici riescono a individuare l’esistenza di relazioni e rapporti meglio degli americani, di fronte a un’immagine subacquea animati i giapponesi indicano il 60% in più di caratteristiche dello sfondo rispetto agli americano e hanno individuato un maggior numero di relazioni. (pag69) gli americani come confermano uno studio follow-up con l’eye-tracking prestano maggiore attenzione all’oggetto focale, come un singolo pesce di grandi dimensione e minore attenzione a ciò che lo circonda. in conclusione le persone in Asia orientale pensano in modo più olistico, percependo e pensando a oggetti e persone in reciproca relazione e in relazione con l’ambiente che li circonda. Con un sé interdipendente la persona possiede un senso di apparenza più spiccato, non hanno un solo sé, ma molteplici, poiché incorporato nell’appartenenza a specifici gruppi sociali, l’obbiettivo della vita sociale non è tanto potenziare il sé individuale quanto armonizzarsi con le proprie comunità di appartenenza. in Corea le persone attribuiscono un minore valore all’espressione della propria unicità e tendono ad assegnare maggiore importanza a tradizioni e pratiche condivise. L’autostima nelle culture collettiviste tende a essere strettamente correlata a ciò che gli altri pensano di me e del mio gruppo. Per le persone che appartengono a culture individualiste l’autostima è invece più personale e meno relazionale, se la nostra identità personale viene minacciata, ci sentiamo più arrabbiati e scontrosi che se a essere minacciata fosse la nostra identità collettiva. ad esempio: a differenza dei giapponesi, che persistono di più in attività quando sono manchevoli, perché non desiderano deludere le aspettative altrui, le persone culturalmente individualisti tendono a persistere quando hanno successo, dal momento che il successo innalza l’autostima. gli individualisti occidentali amano fare confronti con gli altri per aumentare l’autostima, i collettivisti asiatici fanno paragoni in modo da favorire un miglioramento di sé. Nelle culture collettiviste spesso il conflitto origina tra gruppi, mentre le culture individualiste tendono ad alimentare maggiormente i conflitti e i crimini tra persone I giapponesi sono influenzati quando sono esposti alle promozioni occidentali basate su successo e risultati individuali, con esortazioni a credere nelle proprie possibilità. gli studenti giapponesi coinvolti in progetti di scambio culturale che avevano trascorso sette mesi in America avevano una maggiore autostima. 11 I propri comportamenti A volte ci si conosce attraverso l’osservazione dei comportamenti, in presenza di indizi interni deboli o ambigui, si traggono inferenze sulle caratteristiche personali, cioè sugli aspetti del sé, dai propri comportamenti. è più probabile che le inferenze su sé stessi vengano tratte da comportamenti che si ritiene di aver scelto liberamente e guidati da motivazione intrinseca. Le persone desiderano possedere un buon livello di autostima e sono pertanto motivate ad aumentarla, ciononostante l’eccessiva stima di sé può presentare anche un lato negativo. autostima: giudizio/valutazione complessiva che una persona dà di sè stessa; percezione del proprio valore. il giudizio può essere si negativo che positivo, infine può essere considerata come un indicatore del benessere Una persona avvertirà una forte stima di sé quando gli altri la faranno sentire intelligente, ne apprezzano l’aspetto, ma questo approccio bottom-up all’autostima non è una spiegazione esaustiva. è più probabile che coloro che hanno un’alta autostima tendono ad apprezzare il proprio aspetto, capacità ecc, cioè che l’autostima globale influenza specifiche percezioni di sé (top-down). Esperimento: Per verificare l’ipotesi top-down si è chiesto a degli studenti universitari di valutare la propria capacità integrativa, definita come un’importante abilità di problem solving,. la capacità integrativa veniva valutata dai ricercatori dando a degli studenti insiemi costituiti da 3 parole e chiedendo poi di pensare a un altro vocabolo capace di collegare le 3 parole. agli studenti veniva poi chiesto di valutare la propria performance; era più probabile che gli studenti con elevata autostima riferissero di possedere capacità integrativa se veniva detto loro che era molto importante, piuttosto che se veniva sottolineata l’inutilità. Sentirsi bene con sé stessi in termini generali sembra quindi che proietti un alone positivo sugli schemi del sé specifici di una persona (possiedo capacità integrative) e sui sé possibili Risultato: Di fronte a un fallimento le persone dotate di una solida autostima sostengono il valore del proprio sé percependo gli altri come falliti ed esagerando la propria superiorità sugli altri. più una persona è turbata a seguito di un insuccesso e più è probabile che offra delle scuse che tendono a proteggere e a salvaguardare la propria autostima. Nel modello di costanza dell’autovalutazione Tesser sostiene che le reazioni che si possono avere in questi casi dipendono da 2 fattori: vicinanza con l’altra e importanza che ha l’attribuito di confronto per noi. (pag. 73 per approfondire). Le persone con alta autostima reagiscono alle minacce biasimando le altre persone oppure mettendosi alla prova nuovamente, permettendogli di conservare pensieri positivi su sé stessi, le persone con bassa autostima reagiscono con maggior probabilità biasimando sé stessi e rinunciando. Il rifiuto sociale erode l’autostima e rende le persone più bisognose di approvazione, ci si sente inadeguati, questo ci porta a motivare azioni volte a incrementare il nostro sé, ricercando l’accettazione e integrazione altrove Tory Higgins sostiene che l’autostima è definita dal grado di sovrapposizione o di scarto tra come ci si vede e ci si vorrebbe vedere, per dimostralo l’autore propone di fare il seguente esercizio: scrivere su un foglio di carta 10 tratti che descrivono chi voi pensiate di essere realmente, su un altro foglio scrivete 10 tratti che descrivono chi voi pensate dovreste essere e infine su un altro foglio 10 tratti della persona che voi vorreste essere. queste 3 liste descrivono il vostro sé reale, imperativo e ideale, il primo elenco rappresenta il vostro concetto di sé, gli altri sono le vostre guide del sé, cioè i canoni personali verso cui si tende a conformarsi. Nella misura in cui il vostro sé ideale si allontana da questi standard proverete bassa autostima, emozioni negative e in alcuni casi malessere. teoria della discrepanza del sé (Higgins, 1987): valutazione di sé stessi in funzione del sé ideale e del sé imperativo rispetto al sé reale, questa valutazione genera specifiche conseguenze emotive. nel caso in cui vi sia una discrepanza fra il sé reale e ideale le persone provano delusione, tristezza, frustrazione e in casi estremi depressione. se la discrepanza è tra sé reale e imperativo le persone provano senso di colpa, imbarazzo, risentimento e nei casi peggiori ansia. Ciascuno di noi sperimenta discrepanze, ma non tutti soffriamo per questo, infatti accade solo quando l’entità della discrepanza è elevata e se è rilevante per il soggetto, in questo modo le persone si focalizzano su di sé e diventano consapevoli della discrepanza. Wicklund nella sua teoria dell’autoconsapevolezza sostiene che solitamente le persone non sono focalizzate su di sé, ma in certe situazioni favoriscono l’insorgere di autoconsapevolezza. in questi casi aumenta la nostra autoconsapevolezza: lo stato di intensificata coscienza di sé durante il quale ci i misura con i canoni interiori, in questo stato si avvertono maggiormente le discrepanze fra i nostri sé. 12 alla ricerca di conferme del sé si è motivati a verificare il proprio concetto di sé, in cerca di autoaffermazione vogliamo incrementare in senso positivo l’immagine che si ha di sé, dunque la motivazione all’autostima aiuta a potenziare i self-serving bias. Non tutte le persone agiscono sotto effetto di questi bias: alcune soffrono davvero di una scarsa stima di sé. L’autostima sebbene abbia un lato negativo (pregiudizi, aggressività, bias) ha anche un lato positivo, ci aiuta infatti ad assaporare e prolungare le sensazioni positive. i self-serving bias e le scuse che li accompagnano posso essere fattori protettivi per la depressione, di solito chi non ne è affetto mostrano li usa, le persone che li usano tendono a giustificare i propri fallimenti nelle attività di laboratorio o percepiscono se stesse come dotate di un potere di controllo maggiore di quanto non lo sia in realtà. Per contro l’apprezzamento di sé delle persone depresse e l’apprezzamento di come gli altri le considerano effettivamente non risulta ingigantito. alcuni autori sostengono che l’autostima positiva è in grado di proteggere dal terrore di dover affrontare la morte. Può risultare strategicamente utile il fatto di considerarsi più intelligenti, più forti e più socialmente inseriti di quanto non si è in realtà, credere nella nostra superiorità può motivare a raggiungere determinati obbiettivi (una specie di profezia che si auto avvera) e può sostenere la speranza nei momenti critici Sebbene l’orgoglio che tende a proteggere e favorire il sé possa aiutare le persone a salvaguardarsi dalla depressione, può assumere anche un carattere non adattivo: coloro che incolpano gli altri per le difficoltà sociali di cui si sentono vittime spesso sono più infelici di coloro che sanno riconoscere e ammettere i propri errori. I self-serving bias finiscono anche per ingigantire il giudizio delle persone sui propri gruppi di appartenenza, ciò prende il nome di group-serving bias: giudizio tendenzioso a favore del proprio gruppo. tendenza sistematica ad attribuire fallimenti del gruppo (ingroup) e i successi del gruppo estraneo (outgroup) a fattori esterni. Di conseguenza il successo dell’ingroup e i fallimenti dell’outgroup a fattori interni I self-serving bias rivelano la profondità della preoccupazione che si nutre per l’immagine del sé, a vari livelli gestiamo costantemente l’impressione che si creano, siamo animali sociali che interpretano un ruolo di fronte a un pubblico. il concetto di autopresentazione (self-presentation), motivazione a esprimersi e comportarsi in modi volti a creare negli altri un’impressione favorevole o che si desidera, fa riferimento al desiderio di offrire l’immagine desiderata sia a un pubblico interno (noi stessi) sia uno pubblico esterno (altre persone). Gestiamo le impressioni che si creano: scusiamo, giustifichiamo o perdoniamo quanto basta per mettere in salvo la nostra autostima e verificare la nostra autoimmagine. Per alcune persone l’autopresentazione consapevole è uno stile di vita: controllano continuamente i propri comportamenti e prendono nota delle reazioni altrui, regolando le proprie performance sociali per ottenere l’effetto desiderato. altre persone cercano invece di trasmettere tramite le proprie azioni il concetto di sé, questo prende il nome di autoespressione, motivazione a scegliere dei comportamenti che riflettono ed esprimono il concetto di sé . Coloro che registrano un punteggio alto nella scala della tendenza all’automonitoraggio (self-monitoring), il grado di sensibilità alle richieste delle situazioni sociali che porta a regolare le proprie performance allo scopo di formare e creare l’impressione desiderata. Si comportano come camaleonti sociali, regolando il proprio comportamento in risposta a situazioni e a sollecitazioni esterne. chi ha una scarsa tendenza all’automonitoraggio si preoccupa meno di ciò che pensano gli altri e si comportano in maniera più naturale, la maggior parte delle persone ha un comportamento intermedio. Falsa modestia: si mostra un’autostima più bassa di quanto in realtà si sente in privato solo per fare una buona impressione (alto automonitoraggio). La modestia nell’autorappresentazione risulta maggiore in culture che tendono a porre vincoli e freni al riconoscimento del valore e del miglioramento personali. In Cina e Giappone le persone mostrano meno self-serving bias, a differenza degli occidentali che attribuiscono a sé stessi i successi e imputare gli insuccessi a fattori esterni. A volte le persone sabotano le proprie opportunità di successo creando impedimenti e ostacoli che rendono meno probabile il raggiungimento di un obbiettivo, in genere questi comportamenti apparentemente autolesionisti hanno uno scopo protettivo. bisogna ricordare infatti che le persone generalmente attribuiscono a cause interni i successi e a cause esterne insuccessi, quando l’immagine del sé è legata alle prestazioni può essere sminuente impegnarsi a fondo e fallire out tosto che procrastinare e trovare una scusa. 15 se non si ha successo mentre si è ostacolati ci si può sempre aggrappare a un senso di competenza, mentre se si riesce comunque ad avere successo in condizioni avverse si sovralimenta l’immagine di sé. I sabotaggi proteggono sia l’autostima sia l’immagine pubblica consentendo di attribuire i fallimenti a qualcosa di temporaneo o esterno, Berglas e Jones chiamano questo autosabotaggio(self-handicapping), ossia proteggere la propria immagine di sé con comportamenti controproducenti che creano una scusa in caso di un possibile insuccesso futuro Alcuni esempi di questo sono: dare un vantaggio agli avversari; mostrare scarse prestazioni all’inizio di un’attività allo scopo di non creare aspettative irraggiungibili; ridurre la propria preparazione in vista di eventi atletici individuali. 16 CAPITOLO 4 La percezione del mondo sociale La ricerca scientifica ha dimostrato chiaramente che impressioni, supposizioni e pregiudizi guidano la percezione, le interpretazioni e i ricordi. Noi abbiamo una percezione sociale del prossimo, questa percezione avviene mediante una rappresentazione cognitiva, ossia un corpo di conoscenze accumulatosi nella nostra memoria relativamente a persone gruppi e situazioni. Sostanzialmente noi non valutiamo la realtà per come è ma per come la si interpreta. Cruciale è la formazione delle impressioni: processo che si attua quando si integrano varie fonti informative in merito a una persona al fine di trarne un giudizio sociale complessivo. Es. ci si aspetta che ciò che è bello è anche buono e quindi quando vediamo un viso attraente abbiamo valutazione positiva del soggetto. Quando incontriamo qualcuno noi abbiamo degli indizi che traiamo da aspetto fisico, linguaggio non verbale e comportamento, in base a ciò andiamo a unire questi indizi creando un profilo della persona, colmando i gap grazie alle informazioni esperienziali pregresse che abbiamo a disposizione. Nel 2011 il premio Nobel Daniel Kahneman nel suo testo pensieri lenti e veloci ci spiega dell’esistenza di due processi di pensiero: -Sistema 1: veloce e intuitivo, attività cognitiva automatica e involontaria -Sistema 2: processo di pensiero lento, logico e riflessivo usato quando le persone devono svolgere compiti che richiedono attenzione e controllo. Priming -> il nostro sistema di memoria è una rete di associazioni e il priming è il risveglio e l’attivazione di certe associazioni. Gli stimoli possono essere sia manifesti che subliminali (troppo veloci per giungere alla coscienza) e hanno comunque lo stesso effetto; fuori dalla vista non significa necessariamente fuori dalla mente. La parola “pane” può attivare più rapidamente la percezione della parola collegata “burro” appena sussurrata piuttosto che delle parole non collegate “bottiglia” e “bomba”. Embodied cognition – cognizioni incorporate: anche le nostre sensazioni fisiche grazie alle nostre cognizioni incorporate attivano i nostri giudizi sociali e viceversa.  dopo aver tenuto in mano una bibita calda, le persone sono portate a considerare gli altri in maniera più calorosa e a essere più generosi. La formazione delle prime impressioni richiede poco sforzo cognitivo, mentre se si vuole conoscere meglio una persona si pongono in atto processi più complicati  in letteratura sono presenti due filoni in merito alla formazione: -Modello configurazionale di Asch (1946): formazione gestaltista ( l’intero è più della forma delle sue parti) si percepiscono le persone come unità psicologiche. Non ci si limita a valutare le persone sommando i loro tratti, ma si costruisce un’impressione complessa basandosi su alcuni tratti centrali, ossia quei tratti che esercitano un’influenza sproporzionata sulle impressioni delle persone. Non dimentichiamoci dell’effetto primacy e recency  attirano di più la nostra attenzione ciò che abbiamo scoperto per primo o per ultimo -Modello algebrico di Anderson (1981): l’impressione che si ha di una persona che sia essa positiva o negativa si basa sulla somma algebrica delle parti. Es: persona intelligente (+3) ma fredda (-4) = (-1) impressione negativa; persona moderatamente intelligente (+2) ma calda (+4) = (+6) impressione positiva Teoria implicita di personalità: l’impressione che si ha di una persona si può formare a partire da una singola informazione (tratto) perché in generale le persone assumono che i tratti positivi siano legati tra di loro e i tratti negativi formano un gruppo a parte. Difficilmente le nostre prime impressioni sono scorrete ma a volte i pregiudizi ci traggono in inganno. Le percezioni sociali dipendono molto dall’occhio dell’osservatore: per esempio se affermo “Tony Blair è un primo ministro ok” può risultare eccessivamente lusinghiero per chi non è a favore della sua politica o eccessivamente svalutativo per chi lo sostiene. Succo della questione: noi vediamo i nostri mondi sociali attraverso le lenti delle nostre credenze, degli atteggiamenti e dei valori. La ragione per cui le nostre credenze sono così importanti è che esse forgiano la nostra interpretazione di ogni cosa. La persistenza della credenza: le ricerche hanno dimostrato che le persone difficilmente vengono meno alla loro credenza iniziale anche se essa è confutata. C’è un rimedio? sì, spiegare logicamente la credenza opposta, invece che confutare la credenza iniziale. In ogni caso la spiegazione di ogni risultato alternativo, non solo di quello opposto, induce le persone a ponderare varie possibilità. 17 Non ci si affida sempre alle euristiche, le ricerche hanno individuato le seguenti situazioni in cui è più probabile incorrere nell’uso di esse: -Non si ha tempo per un’analisi approfondita -Si è sommersi da info e non si riesce a distinguere quelle rilevanti da quelle inutili -L’oggetto o la situazione di cui ci si sta occupando è poco importante -Si hanno scarse conoscenze in merito all’oggetto -Qualcosa della situazione funge da stimolo innescando l’effetto priming -Ci si sente particolarmente ottimisti e si ritiene che non sia necessario compiere ulteriori sforzi cognitivi Il pensiero illusorio/correlazione illusoria: la percezione di una relazione in realtà in realtà inesistente o la percezione di una relazione più forte di quella reale. La credenza che due variabili siano associate anche se non esiste alcuna reale associazione, è prodotta da due fattori: (Es: anno bisesto anno funesto) -L’associazione di significati, in base alla quale due variabili sono associate perché la persona si aspetta che lo siano, ossia le sue credenze la portano a ritenere che lo siano -La distintività condivisa, in base alla quale vengono associate due variabili che condividono alcune caratteristiche inusuali L’illusione del controllo: la percezione che eventi incontrollabili siano soggetti al controllo di qualcuno o siano più controllabili di quello che in realtà sono. -> idea che eventi fortuiti siano associati alla nostra influenza, es. i giocatori d’azzardo che attribuiscono le proprie vittorie alla propria abilità e capacità di prevedere. Le perdite diventano mezzi insuccessi, casualità o, per gli scommettitori dello sport, un errore dell’arbitro o un rimbalzo bizzarro della palla. Regressione verso la media: la tendenza statistica di punteggi o comportamenti estremi a tornare verso la loro media. ci scervelliamo a capire perché un giocatore che ha vinto il pallone d’oro abbia un anno con risultati mediocri: è diventato troppo sicuro di sé? sente la pressione? Ci dimentichiamo che una performance eccezionale tende a regredire verso la normalità. A influenzare i nostri giudizi sono anche gli stati d’animo. Un umore positivo porta a vedere il mondo in termini più positivi e benevoli e viceversa. Uno stato d’animo depresso motiva un pensiero intenso, una ricerca dell’informazione che renda il proprio ambiente più comprensibile e controllabile; le persone felici al contrario sono più fiduciose, affettuose e reattive. I pensieri legati all’umore possono distrarre dal pensiero complesso su altre cose. Perciò, quando siamo emotivamente eccitati, arrabbiati o anche molto felici, è più probabile che esprimiamo giudizi affrettati e che si valutino gli altri basandosi su stereotipi. 4.3 La spiegazione del mondo sociale La teoria dell’attribuzione: la teoria di come le persone spiegano il comportamento degli altri; per esempio, attribuendolo o a disposizioni interne o a situazioni esterne. Fraintendimento: l’attribuzione erronea di un comportamento alla fonte sbagliata+- Fritz heider  locus of control: origine del comportamento, la causa può arrivare dall’interno (una predisposizione del soggetto: carattere, motivazione, abilità..) o dall’esterno (la situazione/il fato/ il destino causano il comportamento del soggetto). Allo stesso modo distinguiamo tra attribuzione disposizionale (attribuire il comportamento alla disposizione e ai tratti di una persona) e attribuzione situazionale (attribuire il comportamento alla situazione). La teoria dell’inferenza corrispondente di jones e davis (1965): hanno notato che spesso si presume che le azioni degli altri siano indicative delle loro intenzioni e disposizioni. Le persone tendono a inferire che il comportamento di una persona sia dettato dai tratti della sua personalità, da disposizioni interne di tipo stabile. Un comportamento inusuale ci dice di più della personalità di un soggetto rispetto a un comportamento usuale, per esempio il sarcasmo di Serena durante un colloquio di lavoro, contesto in cui solitamente ci si comporta in modo serioso e affidabile, ci dà molte più info sulla personalità di Serena rispetto al medesimo comportamento tenuto in un contesto scherzoso e conviviale. Un’inferenza corrispondente è giustificata quando il comportamento messo in atto dalla persona: - È scelto liberamente senza costrizioni - È inusuale/imprevisto - È svincolato dai ruoli sociali - Ha effetti non comuni che lo distinguono da altri 20 Il modello di covariazione di kelley: prima di esprimere un giudizio le persone le persone compiono una serie di osservazioni, rilevano le covariazioni di più cause potenziali e attribuiscono la causa con covaria maggiormente. Il principio di base del modello è: è considerata causa del comportamento quella causa che è presente quando si verifica il comportamento e assente quando non si verifica il comportamento. Questa operazione cognitiva si basa su tre principi: - Distintività: la persona si comporta in maniera diversa in questa situazione rispetto alle altre? - Coerenza nel tempo e nelle modalità: la persona in genre si comporta così in questa situazione? - Consenso: gli altri si comportano allo stesso modo in questa situazione? Alta distintività e alto consenso portano a una attribuzione esterna. Bassa distintività e basso consenso portano a una attribuzione interna. Es: Edoardo ha problemi con il suo computer. Qual è la causa? Distintività -> edo ha problemi solo con il suo computer o tutti i computer Coerenza -> edo ha sempre difficoltà con il computer? Consenso -> le altre persone hanno problemi simili con lo stesso computer? Se edo ha sempre problemi con tutti i computer anche quando le altre persone non lo hanno vuol dire che l’attribuzione è interna. Il problema è Edo (povero edo lol). Errore fondamentale di attribuzione: la tendenza degli osservatori a sottostimare nel comportamento degli altri le influenze situazionali e sovrastimare quelle disposizionali (detto anche bias di corrispondenza, poiché spesso si fa corrispondere il comportamento a una disposizione). Si tende a presumere che gli altri siano come agiscono indipendentemente dalla situazione in cui si trovano. Perché si commette l’errore di attribuzione. Come mai si tende ad attribuire attribuzioni disposizionali invece che situazionali? Osserviamo i seguenti 4 elementi: -Differenza tra attore e osservatore: i teorici dell’attribuzione fanno notare che essa cambia a seconda dell’osservatore. Chi osserva tende a vedere nel comportamento del prossimo un locus of control interno. Come attori invece siamo inclini ad attribuire il nostro stesso comportamento alla situazione che stiamo vivendo poiché quando agiamo l’ambiente domina la nostra attenzione. Autoconsapevolezza: le circostanze possono anche cambiare la prospettiva di noi stessi. Quando ci mettiamo nella posizione di osservatori di noi stessi per esempio in un video, una registrazione o allo specchio oppure se siamo persone particolarmente autoconsapevoli, l’attribuzione tende a essere non più esterna ma interna. Oltretutto ci vediamo più mutevoli degli altri (quando le cause sono esterne) perché notiamo che il nostro comportamento cambia a seconda delle situazioni, gli altri invece li consideriamo con tratti più stabili. -Distorsione della prospettiva della videocamera: si è notato che se si guarda una confessione con la telecamera puntata su chi sta confessando essa viene ritenuta più veritiera. Mentre se la telecamera è puntata sul detective se ne percepisce più la coercizione. (p132/133) -Prospettive che cambiano col tempo: quando le persone non si ricordano più bene di una certa persona, spesso attribuiscono maggior credito alla situazione che alla disposizione. -Differenze culturali: la cultura influenza l’attribuzione. Per esempio, quella occidentale vediamio una norma di internalizzazione per cui si tende a una attribuzione interna. Le culture asiatiche invece sono più attente all’attribuzione situazionale. L’errore di attribuzione permette di giustificare/predire certi atteggiamenti su problemi di carattere sociale. Es: chi predilige l’attribuzione interna tenderà a non adottare posizioni politiche dinnanzi a disoccupazione e povertà, mentre chi fa un’attribuzione situazionale tenderà ad affidarsi maggiormente alla politica e quindi a prendere posizioni più ferme e specifiche. 4.4 Le aspettative del mondo sociale Profezia che si autoavvera: una credenza che conduce al proprio compimento. Se ho una credenza tenderò ad avere un atteggiamento che sia incline ad essa. Ad esempio gli insegnanti che hanno la credenza che uno dei suoi alunni sarà brillante, l’alunno tenderà a essere brillante perché l’atteggiamento dell’insegnante ( ad esempio essendo più disponibile, attento e benevolo) lo spingerà in tal senso. Conferma comportamentale: ottenere dagli altri ciò che ci aspettiamo. Un tipo di profezia che si autoavvera dove le aspettative sociali delle persone le inducono a comportarsi in modo da far sì che gli altri confermino le loro aspettative. Ad esempio, se reputo che una relazione andrà male mi atteggio nei confronti del mio partner con quel tipo di prospettiva, magari essendo freddo, di mal umore, scontroso; dato che tendiamo a rispecchiare l’atteggiamento con cui ci si pone nei nostri confronti, il partner risponderà con un comportamento freddo e scontroso facendo avverare così la profezia. 21 CAPITOLO 5 ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI Alla base di quasi tutto l’insegnamento e l’educazione del bambino c’è l’ipotesi che le nostre credenze e i nostri sentimenti privati determinino il nostro comportamento pubblico, e che se desideriamo cambiare il comportamento dobbiamo prima di cambiare cuore e mente. all’inizio gli psicologi sociali erano d’accordo nel che conoscere gli atteggiamenti delle persone significava prevederne le azioni. Quando gli psicologi sociali parlano di atteggiamento, si riferiscono a una valutazione positiva o negativa di una persona o di un evento e alla disposizione comportamentale che ne deriva. le reazioni valutative favorevoli o sfavorevoli verso qualcosa definiscono l’atteggiamento. In altre parole: L’atteggiamento è una valutazione favorevole o sfavorevole verso qualcosa o qualcuno, spesso radicata nelle proprie credenze ed esibita nei sentimenti e nel comportamento intenzionale. Possiamo reagire rispetto a un evento, una persona o un oggetto in modo positivo, negativo, ambivalente o indifferente Wilson e colleghi affermano che le persone possiedono un sistema di duplici atteggiamenti: atteggiamenti automatici (impliciti) e atteggiamenti controllati (espliciti) nei confronti dello stesso oggetto. i primi cambiano lentamente, con l’esercizio e la creazione di nuove abitudini. i secondi possono essere modificati con l’istruzione e la persuasione Alcuni studi che hanno analizzato come l’amigdala abbia un ruolo centrale nelle prime valutazioni È più probabile che le persone con un alto bisogno di valutazione mantengano determinati atteggiamenti nei confronti di situazioni o persone incontrate precedentemente e che descrivano gli eventi quotidiani in termini più valutativi rispetto alle persone con un basso bisogno di valutazione. per esempio: una persona che ritiene un particolare gruppo etnico aggressivo può provare antipatia per i suoi componenti. Modello ABC: modello tridimensionale secondo cui ogni atteggiamento si basa su 3 componenti: -sentimenti (affect), comportamenti (behaviour) -cognizioni (cognition). Esempio: giulia ha un atteggiamento positivo verso la cucina giapponese, questo è dovuti a: -prova sensazioni positive quando mangia cibi giapponesi (affect) -frequenta spesso ristoranti giapponesi (behaviour) -conosce i principi su cui si basa la cucina giapponese (cognition). (Prima degli anni 90 si riteneva che un atteggiamento fosse basato necessariamente su tutte e 3 le componenti, successivamente si dimostrò come può basarsi solo su una o due). Gli atteggiamenti rispondono a un nostro bisogno automatico di valutazione, ma secondo l’approccio funzionalista svolgono 4 differenti funzioni (Smith, Katz 1960), associate a 4 differenti prospettive: -conoscitiva: aiutano a conoscere e comprendere il mondo (cognitivismo) -espressione di valori: consentono di rafforzare la propria identità attraverso l’espressione di valori significativi (psicologia umanistica) -ego difensiva: proteggere il sé da conflitti interni o da verità spiacevoli, così da ridurre l’ansia quando ci sentiamo minacciati, corrisponde al concetto di meccanismo di difesa (psicoanalisi) -adattamento sociale: consentono di regolare i rapporti sociali ottenendo ricompense dagli altri, un buon inserimento sociale e una facilitazione nei rapporti interpersonali (comportamentismo). Gli psicologi sociali non ottengono mai una misurazione diretta degli atteggiamenti, semmai misurano le espressioni degli atteggiamenti. esse possono essere misurate secondo 2 approcci: - APPROCCIO DIRETTO: autodescrizione: caso viene chiesto alle persone di dire che cosa pensano rispetto uno specifico oggetto, sono un esempio di questo tipo le indagini di mercato e i sondaggi. gli psicologi sociali usano spesso le scale di misurazione degli atteggiamenti, composte da una lista di domande/affermazioni (item) che chiedono alle persone di esprimere il proprio parere rispetto a un qualsiasi oggetto di un atteggiamento. la scala più usata e la Likert, viene presentata una lista di affermazioni relative a uno specifico atteggiamento verso un oggetto e viene chiesto di rispondere utilizzando una scala di risposta graduata dove i soggetti esprimo il loro accordo/disaccordo con ogni affermazioni. ogni soggetto otterrà un punteggio sommando le varie risposte. Spesso gli atteggiamenti si riflettono nei comportamenti e per questo gli psicologi usano l’osservazione La validità delle tecniche di misurazione basate sulle autodescrizioni e sull’osservazione dipende dall’onesta delle persone, le quali a causa della desiderabilità sociale potrebbero inquinare la qualità dei dati. 22 Quando gli atteggiamenti sono potenti? la maggior parte dei nostri comportamenti sono automatici, questo automatismo è adattivo. Libera la mente, permettendole di lavorare su altre cose (economia cognitiva). nelle situazioni nuove, dove il comportamento è meno automatico, gli atteggiamenti diventano più potenti Snyder e Swann(1976) hanno dimostrato questa tesi: hanno invitato 120 studenti universitari a esprimere i loro atteggiamenti verso le parti opportunità. 2 settimane dopo chiesero ad alcuni di loro di far finta di essere dei giurati in finti processi relativi a casi di discriminazione sessuale sul lavoro. i risultati dimostrano che gli atteggiamenti dei partecipanti predicevano i verdetti solo per chi veniva prima indotto a ricordare i propri atteggiamenti, attraverso la concessione di qualche minuto per organizzare le proprie idee sulla questione Concludendo: gli atteggiamenti sono potenti in situazioni nuove e quando riflettiamo su di essi con calma. Le persone con autoconsapevolezza in genere sono consapevoli dei propri atteggiamenti. indurre autoconsapevolezza promuove la coerenza tra le parole e i comportamenti, è molto probabile che atteggiamenti costruiti attraverso l’esperienza e che coinvolgono gli interessi personali influenzino il comportamento. uno studio ha dimostrato che gli studenti hanno maggiori probabilità di agire sulla base dei loro atteggiamenti se un enunciato riguarda il loro anno di nascita (ad esempio una legge) Quindi: gli atteggiamenti risultano predittivi del comportamento quando sono sviluppati sui seguenti criteri: -corrispondenza tra la specificità dell’atteggiamento e quella del comportamento -atteggiamenti a cui si presta attenzione (in situazioni nuovi, dove manca un ‘’copione’’) -autoconsapevolezza degli atteggiamenti -atteggiamenti basati su esperienza diretta Il comportamento determina gli atteggiamenti? L’assunzione di un ruolo riveste una notevole importanza anche nella misura in cui i comportamenti che ne derivano impattano sui nostri atteggiamenti. La ricerca ha evidenziato che anche l’assunzione di un ruolo artificiale ci induce ad adottare nuovi e coerenti comportamenti, arrivando a modificare atteggiamenti preesistenti o svilupparne di nuovi, al fine di mantenere coerenza tra comportamenti e atteggiamenti (vd Zimbardo) Se un ruolo artificiale può trasformarsi in qualcosa di reale e sortire effetti, a maggior ragione i ruoli reali esercitano tale influenza sul nostro comportamento, e di conseguenza, sui nostri atteggiamenti. ad esempio: diventando docente si perdono i vecchi atteggiamenti da studente Gli effetti del comportamento sugli atteggiamenti non si limita solo all’assunzione dei ruoli, infatti, quasi tutti i tipi di azione possono influenzare i comportamenti. anche solo il dire ciò che può far piacere ai nostri interlocutori può essere sufficiente per modificare i nostri atteggiamenti . Tory Higgins e colleghi hanno illustrato come il dire diventi credere: hanno chiesto a studenti universitari di leggere la descrizione della personalità di una persona e poi di riassumerla a qualcuno che ritenevano provasse simpatia o antipatia per tale persone. gli studenti fornivano una descrizione più positiva quando il destinatario provava simpatia per la persona descritta, così facendo anche la loro simpatia aumentava. conclusione: le perso e tendono ad adeguare i loro messaggi ai loro ascoltatori e poi a credere al messaggio alterato Gli esperimenti indicano che si aumentano le possibilità di ricevere un grande favore se tale richiesta è preceduta da una di minor entità. questa tattica è nota come tecnica del piede nella porta: tecnica usata per assicurare l’adesione a una richiesta impegnativa chiedendo dapprima alle persone di accondiscendere a una richiesta meno impegnativa Es: -hanno trovato che il 46% degli abitanti dei sobborghi residenziali di Toronto, se avvicinati direttamente, erano disponibili a fare donazioni alla società canadese dei tumori. Raddoppiavano se il giorno prima si chiedeva, loro di indossare una spilla per pubblicizzare la causa (altri es pag 152) Cialdini e collaboratori hanno esplorato una variazione di tale fenomeno, la tecnica del tiro mancino: tecnica in cui una persona che intende esercitare un’influenza si assicura l’adesione a una richiesta minore e poi aumenta il costo che comporta tener fede alla parola data o all’impiego assunto Es: dopo che il cliente accetta di acquistare una nuova auto, grazie al prezzo d’occasione, e comincia a completare il formulario, il venditore annulla i vantaggi del prezzo caricando costi per le opzioni o facendo una verifica con il proprio titolare, che non accetta il contratto perché in perdita, bloccando così il cliente in una transizione sovra prezzata, che probabilmente non avrebbe accettato all’inizio. (altri es pag 153) 25 Studi classici di psicologia sociale mostrano come atteggiamenti ostili, seguano comportamenti ostili. vari studi hanno dimostrato che far del male a una vittima innocente in genere induce gli aggressori a denigrare le proprie vittime, permettendo loro di giustificare il comportamento crudele. il fenomeno si verifica in tempo di guerra: i soldati che hanno ordine di uccidere inizialmente possono reagire con repulsione, ma spesso arrivano denigrare i loro nemici con soprannomi mortificanti. Conclusione: le azioni e gli atteggiamenti si alimentano a vicenda, portando talvolta a al torpore morale. Quali teorie aiutano a spiegare il fenomeno degli atteggiamenti che seguono il comportamento? Sono 3: -teoria dell’autopresentazione(gestione dell’impressione): sostiene che per ragioni strategiche assumiamo quegli atteggiamenti che ci fanno apparire agli altri coerenti, anche attraverso i nostri comportamenti. si ritiene che fare una buona impressione sia un modo per ottenere ricompense sociali e materiali, per sentirsi meglio e anche per acquistare sicurezza sulla propria identità sociale. per apparire coerenti si possono simulare atteggiamenti che corrispondono alle nostre azioni, anche se ciò significa mostrarsi ipocriti, può essere comunque utile gestire l’impressione che facciamo. -teoria dell’autogiustificazione (dissonanza cognitiva): ritiene che per ridurre il disagio, si giustificano le nostre azioni a noi stessi -teoria dell’autopercezione: sostiene che le nostre azioni sono autorivelanti. quando siamo incerti rispetto ai nostri sentimenti o alle nostre credenze, osserviamo il nostro comportamento più di quello che farebbe chiunque altro Vediamo le ultime 2: la teoria della dissonanza cognitiva o dell’autogiustificazione di Festinger (1957) sostiene che i nostri atteggiamenti cambiano perché siamo motivati a mantenere una coerenza tra il nostro modo di pensare, sentire, agire. essa presume che noi sentiamo una tensione, uno stato spiacevole, o una dissonanza, quando 2 pensieri/credenze/atteggiamenti/stati di consapevolezza del nostro comportamento (cognizioni), simultaneamente accessibili, sono psicologicamente incoerenti. ad esempio: quando si dice o si fa qualcosa, ma si hanno sentimenti contrastanti si riferisce per lo più alle discrepanze tra atteggiamenti e comportamenti, non potendo tollerare questo stato di tensione, le persone cercano di ridurla e di riportare a una condizione di coerenza atteggiamenti e comportamenti in altre parole: dissonanza cognitiva: tensione che nasce quando si è simultaneamente consapevoli di 2 cognizioni (pensieri, atteggiamenti, convinzioni o stati di consapevolezza del nostro comportamento) incoerenti. per esempio, può presentarsi quando ci rende contro che, con una giustificazione scarsa, si è agito contro i nostri atteggiamenti o si è presa una decisione a favore di un’alternativa, nonostante le ragioni a favore dell’altra. Festinger sosteneva che per ridurre questa spiacevole tensione, spesso modifichiamo il nostro atteggiamento, così, se percepiamo dell’incoerenza sentiamo una pressione al cambiamento (es guerra in Iraq pag 156) Riassumendo: la teoria della dissonanza cognitiva afferma che in presenza dello spiacevole stato di tensione derivante dalla consapevolezza dell’incoerenza tra comportamenti e atteggiamenti, solitamente mutiamo gli atteggiamenti. preferiamo cambiare il nostro atteggiamento piuttosto che il comportamento per 2 ragioni: -il comportamento è già stato condotto a termine (le riflessioni si fanno a posteriori) -è meno faticoso cambiare gli atteggiamenti che non il comportamento (economia cognitiva) A parere di Festinger l’incoerenza da sola è in grado di generare a dissonanza, ma le ricerche condotte negli anni successivi hanno dimostrato che il processo che porta al cambiamento degli atteggiamenti è più complesso. nel 1984 Cooper e Fazio elaborarono il cosiddetto New look della dissonanza cognitiva, questa complessificazione della teoria afferma; affinché si produca dissonanza e questa porti a modificare gli atteggiamenti devono verificare 4 fasi: 1)la persona deve avvertire il comportamento come incoerente con i propri atteggiamenti e la discrepanza tra comportamento e atteggiamento deve provocare conseguenze negative indesiderate 2)la persona deve assumersi la responsabilità personale de comportamento, gli autori fanno riferimento a due dimensioni: libertà della scelta (se le persone credono di non avere scelta per i comportamenti non si genera dissonanza), prevedibilità delle conseguenze dei comportamenti assunti (se l’esito di un comportamento non può essere realisticamente anticipato, non sorge dissonanza) 26 3)la persona deve sperimentare uno stato di attivazione fisiologica, ad esempio uno spiacevole stato di tensione o disagio 4)la persona deve attribuire l’attivazione fisiologica al comportamento: non è sufficiente avvertire una tensione, la tensione deve esser ricondotta la discrepanza tra atteggiamento comportamento (Es di Susanna pag 157) (esperimento di Carlsmith pag 157-158) Giustificazione insufficiente: la riduzione della dissonanza grazie alla giustificazione interna del proprio comportamento, quando quella estrinseca è insufficiente. Ad esempio. Se si viene pagati 20$ per recensire positivamente un prodotto scadente saremo più motivati a credere a quello che diciamo, al contrario di chi viene pagato 1$. Quelli pagati 20$ avrebbero una giustificazione sufficiente per ciò che fanno e perciò dovrebbero percepire una dissonanza minore. In esperimenti successivi si notò come l’effetto dell’atteggiamento che segue il comportamento era più forte quando le persone sentivano la possibilità di scelta e quando le loro azioni avevano conseguenze immediate Il principio della giustificazione insufficiente punizione anche con le punizioni: è più probabile che i bambini interiorizzassero la richiesta di non giocare con un giocattolo attraente se avevano avuto una minaccia moderata, non sufficiente a giustificare la loro remissività. quando un genitore dice: ‘’pulisci la stanza, sennò ti sculaccio’’; il figlio non avrà bisogno di giustificare interiormente la pulizia della stanza dato che la sculacciata è già una giustificazione sufficiente La teoria della dissonanza non si focalizza sull’efficacia relativa di ricompense e punizioni somministrate dopo l’atto, piuttosto su ciò che stimola un’azione desiderata. insiste sul fatto che l’incoraggiamento dovrebbe essere sufficienti a suscitare un’azione desiderata e non sovrabbondare con le ricompense, le quali affievolirebbero la motivazione L’enfasi sulla percezione della possibilità di scelta e sulla responsabilità, implica che le decisioni producano dissonanza. quando dobbiamo prendere decisioni importanti qualche volta siamo combattutiti tra 2 alternative ugualmente attraenti, è possibile, dopo aver preso una posizione, percepire la dolorosa consapevolezza dei saperi dissonanti, ovvero e caratteristiche desiderabili di ciò che si è rifiutato e quelle non desiderabili di ciò che si è scelto. Dopo aver preso decisioni importanti, in genere si riduce la dissonanza promuovendo le alternative scelte e svalutando le opzioni tralasciate. Brehm nel 1956 aveva fatto valutare a delle studentesse universitarie 8 prodotti, tra cui un tostapane, una radio, un asciugacapelli. Poi aveva mostrato alle ragazze 2 oggetti, tra quelli valutati in modo simile, dicendo che avrebbero potuto ricevere quello dei di che volevano. più tardi, quando rivalutavano gli 8 oggetti, le ragazze aumentavano le loro valutazioni sull’oggetto che avevano scelto e diminuivano quelle sull’oggetto rifiutato. (Una volta prese le decisioni si mettono dei paletti autogiustificativi) In sintesi: le strategie per ridurre la dissonanza possono essere le seguenti: -ridurre l’importanza di uno degli elementi dissonanti -aggiungere elementi cognitivi consonanti -modificare l’atteggiamento teoria dell’autopercezione (proposta da Ben, 1972): teoria secondo cui quando non siamo sicuri dei nostri atteggiamenti, li deduciamo osservando il nostro comportamento e le circostanze in cui avviene. Quando i nostri atteggiamenti sono deboli o ambigui, ci mettiamo nella posizione di chi osserva dall’esterno Ad esempio: se vediamo un bambino chiedere scusa, ne attribuiamo le scuse alla situazione, non a un sui personale rincrescimento. se invece vediamo che il bambino si scusa apparentemente senza essere indotto a farlo, attribuiamo le scuse al bambino stesso L’ascoltarmi mentre parlo mi informa sui miei atteggiamenti; vedere le mie azioni mi fornisce degli indizi sulla solidità delle mie credenze, questo è particolarmente vero quando non possiamo attribuire facilmente il nostro comportamento a coercizioni esterne. 27 In breve: sembra che la teoria della dissonanza spieghi con successo quello che accade quando si agisce contro atteggiamenti chiaramente definiti: sentiamo tensione, così riadattiamo i nostri atteggiamenti per ridurla. La teoria della dissonanza, poi, spiega il cambiamento di atteggiamento. Mentre nelle situazioni dove gli atteggiamenti non sono ben formati, la teoria dell’autopercezione spiega la formazione dell’atteggiamento Allport definì l’atteggiamento come uno stato mentale o neurologico di prontezza, organizzata per mezzo dell’esperienza, che esercita un’influenza di controllo o dinamica sulle risposte dell’individuo nei confronti di ogni oggetto o situazione con cui etra in rapporto. Nonostante le varie concezioni il concetto di atteggiamento è stato considerato principalmente come un costrutto individuale. Mentre negli anni 60 dilaga lo studio degli atteggiamenti dilaga negli USA, in Europa e nello specifico in Francia, Moscovici propone il concetto di rappresentazioni sociali. Questo concetto è affine a quello degli atteggiamenti, ma è connotato da una più accentuata dimensione sociale. L’origine del termine deriva da Durkheim nel 1898, che all’epoca parlava di rappresentazioni collettive. La sociologia assumeva le rappresentazioni collettive come entità esistenti e immutabili, che ricorrono nella società e di cui non è possibile studiare la struttura e la dinamica interna. in generale l’autore sosteneva che le persone che condividono uno stesso ambito sociale e culturale attribuiscono senso alla realtà che vivono attraverso la costruzione di significati condivisi definiti punto rappresentazioni collettive. È solo con la psicologia sociale che però si ha una teorizzazione più chiara di questo concetto. Nel 1961 Moscovici, psicologo franco-romeni, introduce il concetto di rappresentazione sociale nell’ambito delle scienze sociali. Frase (pag 169) In sintesi: definisce le rappresentazioni sociali come sistemi cognitivi con una loro logica e linguaggio, attraverso i quali i membri di una comunità sono capaci di costruire una realtà sociale. << “gli individui e i gruppi, lungi dall’essere recettori passivi, pensando autonomamente, producono e comunicano incessantemente le loro proprie rappresentazioni, e le soluzioni che loro stessi si pongono. Per le strade, nei bar, negli uffici, negli ospedali, nei laboratori, ecc., la gente analizza, commenta, inventa spontaneamente, ufficiosamente, “filosofie” che hanno un impatto decisivo sulle loro relazioni sociali, sulle loro scelte, sul modo di allevare i loro figli, di pianificare il futuro, e via dicendo. Gli eventi, le scienze e le ideologie forniscono loro, semplicemente, “cibo per la mente>> Moscovici sostituì il termine collettivo con sociale per sottolineare la dimensione socio-psicologica delle rappresentazioni al posto di quella sociologica, e si distinse dalla prospettiva di Durkheim perché si contrappose il carattere di stabilità e di staticità che il sociologo attribuiva alle rappresentazioni collettive. Le rappresentazioni sociali vengono create e ricreate dalle persone dell’interazione reciproca. In secondo luogo, si contrappose all’ottica globalistica di D. che fa delle sue rappresentazioni ‘’entità irriducibili a ogni analisi ulteriore’’: le rappresentazioni sociali sono invece delle forme specifiche di conoscenza delle quali si può seguire il percorso di formazione e di cambiamento. Le persone e i gruppi creano le rappresentazioni ne corso della comunicazione e della cooperazione, non sono create da persone isolate, ma una volta formate hanno vita propria, circolano e si fondono, si attraggono e respingono l’un l’altra e danno vita a nuove rappresentazioni, dando un senso comune alla realtà così da poterla affrontare in modo diretto senza provare dei sentimenti di isolamento. Le rappresentazioni sociali si formano attraverso 2 processi: -ancoraggio: processo di denominazione, classificazione ed etichettamento che consente di categorizzare un oggetto, assegnarlo a una categoria, in base al suo grado di somiglianza con un prototipo, esemplare che rappresenta al meglio quella categoria. L’ancoraggio presuppone che si possa conoscere solo il già noto, utilizzando schemi categoriali preesistenti per agganciare oggetti sconosciuti e non familiari, che servono da quadro di riferimento. Permette di ridurre la paura e lo stupore che può produrre un nuovo oggetto sociale. Questo processo permette di integrare cognitivamente un oggetto nel sistema di pensiero preesistente. 30 -oggettivazione: processo con cui si dota di realtà un concetto non familiare, permettendo a qualcosa che prima ci appariva lontano e sconosciuto di assumere delle sembianze fisiche accessibili che ci risultano quindi più semplici. Le persone costruiscono un nucleo figurativo che concretizza l’oggetto, sottraendolo all’astrattezza e conferendogli un’apparente ‘’naturalezza’’, anche attraverso l’uso di metafore e immagini o l’associazione con personalità di spicco. le funzioni delle rappresentazioni sociale sono: -cognitiva: rendono familiare quanto è estraneo, in quanto esito del primo processo di formazione delle rappresentazioni, quello di ancoraggio. Le rappresentazioni convenzionalizzano le persone, gli oggetti e gli eventi dando loro una forma precisa e condivisa -sociale: favoriscono gli scambi interpersonali e sociali, sono prescrittive, si impongono alle persone con forza irresistibile frutto di una struttura e di una tradizione preesistente alla persona stessa. Si possono tramandare di generazione in generazione, contribuendo a creare un contesto sociale, una cultura, nella quale le persone condividono rapporti di routine, riti regolari di incontro o di conversazione. Fungono da codice condiviso per l’interazione sociale; si connotano in questo modo come forme di sapere pratico, di sistemi di conoscenza finalizzati all’uso e come guida di orientamento dei comportamenti -identitaria: il carattere sociale delle rappresentazioni è legato all’iscrizione sociale degli individui, alla loro appartenenza e collocazione nei gruppi sociali. Questo posizionamento socio-simbolico determina i contenuti delle rappresentazioni e la loro organizzazione. Nella misura in cui tali contenuti sono condiviso, funzionano anche come strumenti di affermazione simbolica di un’identità di appartenenza (con la teoria dell’identità sociale di Taijfel e con la teoria della categorizzazione di Turner l’identità sociale è il frutto di una categorizzazione di sé in base all’appartenenza a gruppi sociali cui le persone annettono un valore positivo, secondo il principio per cui la molla motivazionale è il rafforzamento dell’autostima personale attraverso un processo di confronto sociale Intergruppale. La stessa identità sociale può essere cioè considerata come rappresentazione sociale dell’oggetto sé, derivante da un processo di categorizzazione referenziale connessa all’appartenenza sociale. Moscovici propone un raggruppamento in 3 categorie, da lui definite ipotesi, delle potenziali funzioni delle rappresentazioni: -la prima, ipotesi dell’interesse: le persone o i gruppi costruiscono dei discorsi che conciliano le posizioni contrapposte di due o più individui e che vanno nella direzione di favorire la posizione che ha più potere, distorcendo la realtà obbiettiva -la seconda, ipotesi è detta dell’equilibrio: le rappresentazioni sociali sono utilizzate come mezzi che risolvono le tensioni emotive o psichiche dovute all’insuccesso o alla mancanza d’integrazione sociale. Servono a ricostruire un immaginario equilibrio interno alle persone o ai gruppi -la terza, ipotesi del controllo: secondo tale categoria, le rappresentazioni sono usate dai gruppi per filtrare le informazioni che provengono dai sistemi o ambienti esterni, come per controllare la lealtà delle persone di quel gruppo che le utilizza nei confronti degli scopi del gruppo (Queste 3 ipotesi sono state criticate, poiché troppo generali e non falsificabili) La teoria di Moscovici fu rivista in seguito da varie scuole: la scuola di Aix-en-Provence (Abric, Flamment, 1984-89) sostengono che ogni rappresentazione si formata da un nucleo centrale e da un sistema periferico. Il nucleo centrale esprime il significato e la struttura della rappresentazione e possiede due funzioni e una proprietà: funzione generatrice: gli elementi coinvolti al suo interno creano o trasformano il significato degli altri elementi della rappresentazione funzione organizzatrice. Lega e organizza i legami tra gli elementi della rappresentazione proprietà della stabilità: in esso risiedono gli elementi della rappresentazione più stabili e più resistenti al cambiamento Il sistema periferico è composto dagli elementi che si collocano intorno al nucleo centrale e costituiscono la maggior parte del contenuto della rappresentazione, nonché la sua parte più accessibile (opinioni, descrizioni, stereotipi o credenze). Gli elementi periferici si relazionano direttamente con il nucleo centrale, e possono essere considerati degli schemi, che permettono a ogni soggetto di posizionarsi su proprie variazioni, permettendo un approccio più personale alla rappresentazione 31 Secondo Flamment i ruoli degli elementi periferici sono: prescrivere i comportamenti delle persone e le loro prese di posizione in determinate situazioni personalizzare la rappresentazione da persona a persona, ma sempre con coerenza rispetto al contesto nel quale si è inseriti proteggere il nucleo centrale: in caso di necessita il sistema periferico è un cuscinetto a difesa del nucleo che rappresenta la zona di rimo cambiamento, successivamente al quale potrebbe mutare anche il nucleo In relazione a quest’ultimo aspetto bisogna ricordare le 3 fasi previste da Moscovici e sviluppate poi da Flamment nell’evoluzione di una rappresentazione: la prima fase è detta di emergenza: compare un oggetto nuovo associato a conoscenze stabilite e consensuali collegati a esso. In questa fase non vi è una costruzione istantanea di una nuova rappresentazione, ma sono previsti alcuni processi di elaborazione e cambiamento delle conoscenze seconda, fase di stabilità: gli individui non cercano ulteriori informazioni, ma sfruttano i saperi che hanno elaborato terza, fase di trasformazione; il nucleo centrale della rappresentazione cambia, si arricchisce di nuovi elementi o subisce la perdita di altri; i nuovi caratteri distintivi possono essere integrati con i vecchi o sostituirsi a essi, dando vita a un cambiamento più o meno radicale Un secondo contributo al lavoro di Moscovici è quello sviluppato da Doise, denominato approccio genetico, detto anche scuola di Ginevra (1985): Doise concepisce le rappresentazioni sociali come ‘’principi generatori di prese di posizione collegate a specifiche posizioni sociali in un insieme di rapporti’’. Esse regolano il funzionamento del sistema cognitivo delle persone in accordo con una metasistema normativo della mente, che si rifà alle norme e ai rapporti sociali vigenti nel valutare i prodotti del sistema cognitivo delle persone (le loro scelte, valutazioni e atteggiamenti). Si deve perciò considerare la relazione tra l’attore (persona o gruppi) e il campo dei rapporti sociali in cui egli è inserito. Secondo l’autore le rappresentazioni sociali organizzano i processi simbolici e le prese di posizione, le quali si verificano attraverso la comunicazione e riguardano gli oggetti conoscenza rilevanti all’interno di relazioni significative tra le persone. Un’ulteriore rivisitazione della teoria di Moscovici prende il nome di approccio dialogico Markova (2003). Markova parla di un’epistemologia dialogica, poiché sostiene che la teoria delle rappresentazioni sociali appartiene a un’epistemologia più innovativa che si differenzia da quella tradizionale, ritenuta statica e sterile. Essa consiste nella rielaborazione di messaggi culturali da parte delle persone secondo le proprie dimensioni esperienziali; gli attori sociali co-costruiscono le cognizioni e le informazioni congiuntamente nell’ambito di un sistema relazionale Dunque, le rappresentazioni sociali consistono in un processo dialogico di ricostruzione e creazione di realtà e significati sociali relativi a fenomeni che attirano l’attenzione di gruppi o collettività differenti, interessandoli per ragioni affettive, legate alla propria storia e richiedendogli una presa di posizione. L’apporto dell’approccio dialogico si esprime nel concetto di thémata, nozione che sta indicare un insieme di concezioni generali, idee radicate nella memoria collettiva di un gruppo, con cui gli attori sociali ricostruiscono la realtà. I thémata possono coincidere con massime, credenze, valori, categorie, definizioni sociali, spessi organizzati in diadi o triadi di nozioni oppositive, ma il loro carattere fondamentale è il potere di modellamento delle nuove informazioni su quelle preesistenti. Il contenuto di significato, immagini e nozioni prossimi a diventare socialmente condivisi e che possono essere più o meno radicate in una determinata cultura, diventando riferimenti nodali delle rappresentazioni sociali che in essa circolano. L’acquisizione di questa nozione permette di individuare meglio i contenuti di senso comune che vengono espressi nei discorsi quotidiani e che possono generare rappresentazioni sociali. Dibattito fra atteggiamenti e rappresentazioni: Parte delle letterature non fa distinzione fra atteggiamenti e rappresentazioni sociali, esprimendo nei confronti delle ricerche ispirate al secondo costrutto la critica di aver riutilizzato dei modelli empirici usati nelle ricerche sugli atteggiamenti. Un secondo filone di letteratura delinea i caratteri distintivi e gli elementi di interconnessione tra i concetti di atteggiamento e quelle rappresentazioni sociali 32 Colto un po' alla sprovvista tu rispondi «15 cm». Nelle successive ripetizioni dell'esperimento i ragazzi della Columbia University testati da Sherif cambiarono vistosamente le loro stime  è emersa una tipica norma di gruppo. In realtà sappiamo che il movimento e la norma sono falsi, Sherif aveva sfruttato l’illusione dell’effetto autocinetico. Sherif e altri hanno usato questa tecnica per rispondere a domande sulla suggestionabilità delle persone. L'effetto autocinetico fu utilizzato anche da Jacobs e Campbell in altri esperimenti di laboratorio per verificare la trasmissione delle false credenze. Un complice degli sperimentatori forniva una stima gonfiata sulla distanza percorsa dal puntino di luce in movimento e poi se ne andava. Nella seconda prova veniva sostituito da un altro partecipante, il vero soggetto sperimentale. Quest'ultimo a sua volta veniva rimpiazzato da altri soggetti. La stima del movimento, all'inizio gonfiata dal complice degli sperimentatori, persisteva nelle rilevazioni dei veri soggetti (sebbene diminuendo) per cinque generazioni di partecipanti. Nella vita di tutti i giorni vediamo gli effetti della suggestionabilità: una persona tossisce, ride, sbadiglia e gli altri presto fanno lo stesso. Anche essere circondati da persone felici può aiutare a sentirsi felici, un fenomeno che Totterdell chiama "legame di stati d'animo”. Un'altra forma di contagio sociale è quella che Chartrand e Bargh chiamano l'effetto camaleonte.  un comportamento automatico che si attiva senza alcuna intenzione conscia a conformarvi (una persona dondola il piede e automaticamente lo fai anche tu). I comportamenti "sincronizzati" includono anche lo stile comunicativo: le persone tendono a usare lo stile grammaticale che leggono e sentono. Poiché il nostro comportamento influisce sui nostri atteggiamenti e sulle nostre emozioni, ciò vi può indurre a provare quello che provano gli altri. Esperimento condotto in Olanda da Baaren e colleghi: se ci si comporta come gli altri, in una sorta d'imitazione, si risulterà simpatici e degni di essere aiutati dagli altri. Pare che l'essere imitati porti a un aumento dei legami sociali. La suggestionabilità può avere effetti anche su larga scala, conosciuta anche come isteria di massa: suggestionabilità a problemi che si diffondono in n ampio gruppo di persone. Può avere riscontri gravi. Gli atti di pirateria, gli avvistamenti di UFO e anche i suicidi tendono ad arrivare a ondate. Esempio: subito dopo la pubblicazione, nel 1774, de I dolori del giovane Werther di Goethe, i giovani europei cominciarono a indossare calzoni gialli e giacche azzurre, come faceva il protagonista del romanzo. Un altro effetto fu meno gradito e spinse numerosi Paesi a mettere al bando il libro. Nel romanzo Werther si toglie la vita con una pistola per essere stato rifiutato dalla donna che voleva conquistare; dopo la pubblicazione del libro, le cronache cominciarono a riportare notizie di giovani che imitavano l'atto disperato di Werther. I l sociologo Phillips confermò il comportamento suicidario imitativo e lo chiamò effetto Werther. In alcune ricerche si è evidenziato che i suicidi, così come gli incidenti d'auto mortali e gli schianti con aerei privati (che talvolta mascherano dei suicidi), aumentano dopo la pubblicizzazione di alcuni suicidi. Gli studi di Asch sulla pressione del gruppo Anni dopo, lo psicologo sociale Asch ricreò in laboratorio una sua esperienza di fanciullo. Immaginate di partecipare a un esperimento di Asch: siete seduti al sesto posto in una fila di sette persone. Lo sperimentatore spiega che prenderete parte a uno studio sul giudizio percettivo e vi chiede dire quale delle tre linee corrisponde alla linea standard. È semplice vedere che la linea 2 è quella identica alla linea standard e trovate naturale che tutte cinque le persone prima di voi rispondano: «Linea 2». Ripetete l’esperimento e sebbene la 35 risposta corretta sembri ben delineata, le persone prima di voi danno una risposta sbagliata. Quello che state vivendo è un dilemma epistemologico: «Qual è la verità? Quello che dicono i miei compagni o ciò che vedono i miei occhi?». Gli studenti nella situazione di controllo, cioè quelli che erano sottoposti all'esperimento da soli, in più del 99% delle prove davano risposte corrette. Asch si chiese se i soggetti sarebbero stati disposti a dichiarare quello che altrimenti avrebbero negato nel caso in cui diversi partecipanti (ovviamente tutti complici istruiti dallo sperimentatore) avessero dato l'identica risposta sbagliata. Sebbene alcune persone non si siano mai conformate, tre quarti lo hanno fatto almeno una volta. Alla fine, il 37% delle risposte erano conformate. Gli esperimenti mostrano che la maggior parte delle persone «dice la verità anche quando gli altri non lo fanno». Nonostante l'indipendenza mostrata da molti dei partecipanti ai test, la sensazione di Asch (1955) sul conformismo era così chiara quanto le risposte corrette alle sue domande. La procedura di Asch divenne standard in centinaia di esperimenti successivi. A quegli esperimenti mancava il realismo del conformismo che ogni giorno sperimentiamo, ma in compenso avevano il cosiddetto realismo sperimentale. I risultati di Sherif e Asch sono sorprendenti perché implicano una pressione non scontata a conformarsi: non c'erano premi per il "gioco di squadra” e nemmeno punizioni per l'individualismo. Gli esperimenti di Milgram sull'obbedienza Gli studi appena descritti di Asch mettono in evidenza un modo di conformarsi agli altri a parole: gli esperimenti sull'obbedienza condotti da Milgram, invece, descrivono un tipo di conformismo che coinvolge il comportamento e la condotta. Nel caso di Milgram, la maggioranza non è un dato quantitativo, ma qualitativo, ossia implica una differenza di status tra chi esercita un potere superiore e una pressione diretta e chi si adegua alla volontà di questi ultimi. sono esperimenti sulla norma dell'obbedienza all'autorità, testano ciò che succede quando le richieste di un'autorità entrano in collisione con quelle della coscienza di chi riceve la richiesta. Esperimento: due uomini si presentano nel laboratorio di psicologia dell'Università di Yale per partecipare a uno studio di apprendimento e memoria. Uno sperimentatore austero in camice bianco spiega che questo è uno studio pionieristico sull'effetto delle punizioni sull'apprendimento. L'esperimento richiede che uno dei due uomini insegni una lista di coppie di parole all'altro e punisca gli errori commessi nell'apprendimento di tale lista trasmettendo una scossa elettrica di intensità crescente. L'assegnazione dei ruoli avveniva estraendo un cartoncino ovviamente il soggetto sperimentale era sempre “l’insegnante” che doveva mandare le scosse. Quest’ultimo prova una scossa leggera e poi guarda lo sperimentatore legare alla sedia lo studente e attaccare gli elettrodi al polso. Il soggetto sperimentale prende posto davanti a un falso generatore di corrente che manda scosse da 15 a 450 volt graduati in misura crescente di 15 volt ciascuno. Lo sperimentatore dice all'insegnante di aumentare il livello di scossa attraverso il generatore ogni volta che lo studente (complice) fornisce una risposta sbagliata. Ovviamente il complice dello sperimentatore non subiva alcuna sevizia, ma l'insegnante (il soggetto sperimentale) era convinto di procurargli un danno reale. L'obiettivo di Milgram era quello di osservare fino a che punto l'insegnante avrebbe accettato di somministrare le scosse anche quando quest'ultimo manifestava apertamente la volontà di porre fine al dolore provato. Durante l'esperimento, a 120 volt lo studente comincia a gridare che la scossa è dolorosa. A 150 l'insegnante sente: «Voglio smettere!». Da 270 volt le proteste dello studente diventano urli angosciati. A 300 e 315 volt, lo studente grida che si rifiuta di rispondere. Dopo 330 volt cala il silenzio. In risposta alle domande dell'insegnante e alle richieste di terminare l'esperimento, lo sperimentatore dice che la "non risposta dello studente” deve essere trattata come errore e quindi punita. Per far proseguire l'insegnante lo sperimentatore usa quattro incitamenti verbali. «Per favore continui (o per favore vada avanti)», «L'esperimento richiede che lei continui», «È assolutamente necessario che lei continui», «Non ha altra scelta; deve continuare». 26 dei soggetti sperimentali (il 65%) arrivarono fino alla fine, 450 volt. Tutti quelli che raggiunsero i 450 volt obbedirono al comando di "continuare" la procedura finché, dopo le due prove 36 successive, lo sperimentatore dava lo stop. In esecuzioni dell’esperimento successive Milgram decise di rendere ancora più esagerate le proteste dello studente. Quando lo studente veniva legato alla sedia, l'insegnante lo sentiva dire che aveva alcuni disturbi di cuore e ascoltava le rassicurazioni dello sperimentatore «Sebbene la scossa possa essere dolorosa, non causa danni permanenti ai tessuti». Le proteste angosciate dello studente ottenevano poco effetto; su 40 uomini in questo esperimento, 25 (il 63%) obbedirono ciecamente alle richieste dello sperimentatore. Burger replicò l'esperimento di Milgram e ottenne solo una lieve riduzione rispetto ai risultati di Milgram. Burger e colleghi, in seguito analizzarono i commenti spontanei dei partecipanti all'esperimento. Essi rilevarono che l'obbedienza o la disobbedienza non erano predette dalle preoccupazioni espresse dai partecipanti in merito al benessere degli "studenti”, ma dalla loro percezione di responsabilità circa le proprie azioni. L'etica degli esperimenti di Milgram Alcuni critici dissero che Milgram faceva ai suoi soggetti quello che essi presumevano di fare alle loro vittime: li forzava contro la loro volontà. In verità, molti degli insegnanti sperimentavano una forte angoscia. I critici sostenevano anche che poteva essere stato alterato il concetto di sé dei partecipanti. La moglie di un soggetto gli disse: «Ora puoi chiamarti Eichmann». In sua difesa, Milgram evidenziava le importanti lezioni apprese dai suoi esperimenti e ricordava anche ai critici il supporto psicologico fornito ai partecipanti dopo che era stato rivelato l'inganno e spiegato l'esperimento. Quando alla fine furono intervistati, l’84% dei soggetti sperimentali disse di esser contento di aver partecipato, solo l'1% era pentito di essersi prestato all'inganno. Un anno dopo, uno psichiatra intervistò i 40 soggetti che avevano sofferto di più e concluse che, nonostante lo stress temporaneo, nessuno aveva subito danni. Milgram Una critica a ciò che Milgram definiva "i suoi esperimenti” fu mossa da chi gli imputava che per essere definiti "veri esperimenti” avrebbero dovuto contemplare un gruppo di controllo. Che cosa genera l'obbedienza? Milgram ha fatto qualcosa di più che rilevare il punto fino a cui le persone obbediranno all'autorità; ha anche esaminato le condizioni che generano e favoriscono tale obbedienza. Milgram era un "situazionista”, ossia considerava il comportamento come la risultante dell'interazione delle persone in un contesto. Con ciò egli non nega delle variabili di personalità ma preferisce attribuire l'aumento dell'obbedienza a 4 fattori: -la distanza emotiva dalla vittima -la vicinanza e la legittimità dell'autorità -l'appartenenza dell'autorità a un'istituzione rispettata (autorità istituzionale) -l'effetto liberatorio dell'influenza del gruppo La distanza emotiva dalla vittima I partecipanti agli esperimenti di Milgram agivano con una maggiore obbedienza e una minore compassione quando non potevano vedere gli studenti. Quando lo studente era nella stessa stanza, "solo" il 40% obbediva sino a giungere a 450 volt. La completa sottomissione calava a un sorprendente 30% quando agli insegnanti si richiedeva di forzare il contatto tra la mano dello studente e un pannello elettrico. Le persone che solitamente sono incapaci di infliggere sofferenze ad altri direttamente, possono farlo quando si tratta di inviare alcuni commenti a persone anonime tramite Internet. Nel corso della storia, i boia hanno spesso spersonalizzato le vittime mettendo loro un cappuccio sulla testa. Quando iniziò l'olocausto, alcuni tedeschi, obbedendo agli ordini, utilizzarono mitragliatrici e fucili, alcuni tra coloro che lo fecero rimasero scioccati dall'esperienza  da quel momento vennero utilizzate le camere a gas. Il lato positivo è che la gente agisce in modo più compassionevole verso chi viene personalizzato. Vicinanza e legittimità dell'autorità Quando gli sperimentatori davano i comandi per telefono, l'obbedienza "cieca" calava al 21% (sebbene molti mentissero e affermassero che stavano obbedendo). L'autorità, tuttavia, deve essere percepita come legittima. In una variazione dell'esperimento di Milgram, assumeva il comando un impiegato (sempre complice)  in questa nuova condizione sperimentale, l'80% degli insegnanti si rifiutavano di obbedire completamente. Il complice, fingendo disgusto per questa resistenza, si sedeva di fronte al finto generatore di corrente e tentava di prendere al posto 37 insicuri dei nostri giudizi e più siamo influenzati dagli altri. Inoltre, il conformismo è più alto quando il gruppo è composto da tre o più persone, è unanime, coeso e di status elevato. Il conformismo è più alto anche quando la risposta è pubblica e fatta senza vincoli precedenti. Le dimensioni del gruppo Negli esperimenti di laboratorio un piccolo gruppo può avere un grande effetto. Sia Asch sia altri ricercatori hanno verificato che un gruppo composto da 3 a 5 persone suscita molto più conformismo che una persona sola o un gruppo composto da 2 persone. L'aumento del numero di persone oltre il 5 non ha ulteriori effetti. Questa condizione prende il nome di teoria dell'impatto sociale  teoria secondo cui l'influenza sociale esercitata dalle persone dipende dal numero delle persone stesse, oltre che dalla loro forza e dalla loro vicinanza al bersaglio dell'influenza. Anche il modo in cui gruppo è "confezionato” fa la differenza. Il ricercatore Wilder ha consegnato ad alcuni studenti un caso giuridico. Prima di esprimere i loro giudizi, gli studenti guardavano un video di 4 complici dello sperimentatore che davano i loro giudizi. Quando i 4 complici erano presentati a coppie indipendenti, i partecipanti si conformavano di più. Evidentemente, l'accordo di piccoli gruppi indipendenti rende una certa posizione più credibile. L'unanimità Vari esperimenti rivelano che chi rompe l'unanimità del gruppo, ne sminuisce il potere sociale. Le persone in genere danno voce alle proprie convinzioni anche se una sola altra persona ha preso le distanze dalla maggioranza. I partecipanti di questi esperimenti dicono di essersi sentiti in sintonia e vicini al loro compagno non conformista, tuttavia negano che il compagno li abbia influenzati. Questi esperimenti insegnano la lezione pratica che è più facile opporsi a qualcosa se si riesce a trovare qualcun altro che si oppone con noi. La coesione L'opinione di una minoranza esterna al gruppo con il quale ci identifichiamo ci influenza meno che la stessa opinione operata da una minoranza interna al nostro gruppo (Clark e Maass, 1988). Un eterosessuale che si batte per i diritti degli omosessuali può influenzare gli eterosessuali più efficacemente di un omosessuale. Piu coeso è un gruppo, più ha potere sui membri. Anche in alcune situazioni sperimentali, le persone che si sentono attratte dal proprio gruppo sono più soggette alla sua influenza. In generale, , non amano essere in disaccordo con gli altri membri del proprio gruppo. Temendo di essere rifiutati dai componenti per cui provano simpatia, accordano loro un certo potere. Ci piacciono e amiamo le persone che sono simili a noi. Così le persone tendono ad allineare le proprie opinioni con quelle delle persone come loro. Lo status Come ci si potrebbe aspettare, le persone di status più elevato tendono ad avere un impatto maggiore. I membri più giovani di un gruppo si conformano di più al loro gruppo di quanto facciano i membri più anziani. Gli studi sul comportamento dei pedoni sulle strisce pedonali, condotto con l'aiuto inconsapevole di quasi 24 000 persone, rivela che i numeri di pedoni indisciplinati decresce in presenza di un complice disciplinato e aumenta in presenza di un altro pedone indisciplinato. I pedoni disciplinati scoraggiano di più gli indisciplinati se sono vestiti bene. Milgram (1974) diceva che, nei suoi esperimenti sull'obbedienza, le persone di basso status accettavano più prontamente gli ordini dello sperimentatore rispetto alle persone di status più elevato La risposta pubblica Negli esperimenti, le persone si conformano di più quando devono rispondere di fronte agli altri piuttosto che scrivere le loro risposte privatamente. I soggetti di Asch, dopo aver ascoltato le risposte degli altri, erano meno influenzati dalla pressione del gruppo se potevano scrivere le risposte su un foglio che avrebbe letto solo lo sperimentatore. È molto più facile affermare ciò che si crede nel privato che di fronte a un gruppo. Presa di posizione e precedente assunzione di impegno Immaginate un esperimento simile a quello condotto da Asch. Lo sperimentatore mette in fila le righe e vi chiede di rispondere per primi. Dopo aver dato il vostro giudizio e aver sentito che tutti gli altri non sono d'accordo, lo sperimentatore vi offre l'opportunità di riconsiderare il vostro giudizio. Quasi nessuno cambia opinione una volta resa pubblica la propria dichiarazione, la 40 persona vi aderisce. Al massimo cambierà il giudizio in una situazione successiva. Le prese di posizione precedenti frenano anche la persuasione. È difficile tornare indietro dopo avere emesso un giudizio pubblico. I venditori fanno alcune domande che sollecitano le dichiarazioni a favore dei loro prodotti, piuttosto che contrarie. Perché conformarsi: influenza sociale normativa e informativa Una persona può conformarsi al gruppo: - per essere accettata ed evitare il rifiuto - per ottenere informazioni importanti Deutsch e Gerard hanno chiamato queste due possibilità: -influenza normativa: proviene dal desiderio di essere accettati dal gruppo  il conformismo basato sul desiderio di una persona di soddisfare le aspettative degli altri, spesso per farsi accettare -influenza informativa: proviene da quello di avere informazioni corrette  il conformismo che si presenta quando le persone accettano una prova di realtà fornita da altre persone. L’influenza normativa è la forza che induce una persona, in quanto membro di un gruppo, a rispondere in maniera conforme alle aspettative e attese positive di uno o più membri del gruppo stesso. In laboratorio e nella vita quotidiana, tuttavia, i gruppi spesso rifiutano quelli che deviano sistematicamente. Questo è particolarmente vero quando il dissenso non è solo all'interno della famiglia, ma quando il proprio gruppo è in attrito con un altro. Il rifiuto sociale è doloroso; quando deviamo dalle norme del gruppo cui apparteniamo, spesso paghiamo un elevato prezzo emotivo. Qualche volta l'alto prezzo di tale devianza ci costringe a sostenere ciò che non crediamo o almeno a sopprimere il disaccordo. L'influenza normativa induce al conformismo soprattutto le persone che hanno recentemente visto qualcuno ridicolizzato o che stanno cercando di salire la scala sociale). L'influenza informativa, d'altra parte, induce le persone ad accettare nel loro privato l'influenza degli altri: è la forza che induce una persona isolata ad accettare le informazioni ricevute da altre persone come prova relativa alla realtà. Quando la realtà è ambigua, come lo era per i partecipanti alla situazione dell'effetto autocinetico, gli altri possono rappresentare una valida fonte d'informazione. Per scoprire come lavora il cervello quando si partecipa a un esperimento sul conformismo, un team di neuroscienziati ha effettuato una risonanza magnetica funzionale (fMRI) al cervello di alcuni soggetti che fornivano risposte a domande di tipo percettivo, dopo aver ascoltato le risposte degli altri. Quando i partecipanti si conformavano alla risposta sbagliata, si attivavano le regioni cerebrali deputate alla percezione e non quelle responsabili del processo decisionale. Quando, invece, le risposte che i soggetti davano, andavano "contro" il gruppo, si attivavano le regioni cerebrali associate alle emozioni. Questi risultati indicano che nel conformarsi, le percezioni sono veramente influenzate. Studi di follow-up successivi hanno identificato la zona neuronale associata all'influenza normativa (area cerebrale che si attiva quando le persone sono in ansia perché temono di essere oggetto di rifiuto sociale) e quella associata all'influenza informativa (aree coinvolte nella valutazione personale degli stimoli) In sintesi: la preoccupazione per l'immagine sociale produce un'influenza normativa. Il desiderio di essere corretti produce l'influenza informativa. Chi si conforma? Nella ricerca su chi si conforma, i ricercatori si sono focalizzati su tre perditori: -la personalità -la cultura - i ruoli sociali. La personalità Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, i ricercatori avevano osservato solo deboli connessioni tra le caratteristiche della personalità e i comportamenti sociali quali, per 41 esempio, il conformismo. Infatti, se i fattori situazionali fossero stati risultati perditori del comportamento, i punteggi alle scale di personalità sarebbero risultati predire il comportamento delle persone in percentuale minima. Durante gli anni Ottanta, i ricercatori della personalità ipotizzarono le circostanze in cui i tratti di personalità "predicono" il comportamento. La loro ricerca sostiene che sebbene i fattori interni (atteggiamenti, tratti) raramente predicano in modo preciso un'azione specifica, predicono bene il comportamento "medio" di una persona nelle varie situazioni. Inoltre, la personalità predice meglio il comportamento quando le influenze sociali sono deboli. Ma anche nelle situazioni forti le persone sono diverse. Una relazione dell'esercito sugli abusi nella prigione di Abu Ghraib lodò tre soldati che, nonostante le minacce Influenza sociale di scherno e di corte marziale, presero le distanze dai loro camerati. È interessante vedere come oscilla il pendolo dell'opinione degli psicologi sociali. Senza togliere niente all'innegabile potere delle forze sociali, il pendolo è oscillato verso l'apprezzamento della personalità individuale e delle sue predisposizioni genetiche. I ricercatori della personalità chiariscono e riaffermano la connessione tra chi siamo e cosa facciamo. La cultura Il retroterra culturale aiuta a predire quanto le persone si conformeranno. Bond e Smith hanno mostrato come i valori culturali influenzino il conformismo. Confrontati con individui dei Paesi individualisti, quelli dei Paesi collettivisti (dov'è apprezzata l'armonia e le connessioni aiutano a definire il sé) sono più sensibili alle influenze degli altri. Ci può essere un po' di saggezza biologica in merito alle differenze culturali relative al conformismo. Sebbene l'assenza di conformismo potenzi il problem solving creativo nei gruppi, questi prosperano quando riescono a coordinare le loro risposte per far fronte alle minacce. Tuttavia, le culture possono cambiare. Repliche dell'esperimento di Asch con studenti universitari in Inghilterra, Canada e Stati Uniti qualche volta innescano meno conformismo di quello osservato da Asch due o tre decenni prima. Conformismo e obbedienza sono fenomeni universali, anche se variano in culture ed epoche diverse. I ruoli sociali I teorici del ruolo ipotizzano che la vita sociale sia come una recita, con tutte le sue scene, maschere e copioni. I ruoli hanno molto a che fare con il conformismo: permettono delle libertà d'interpretazione a coloro che li recitano, ma allo stesso tempo alcuni aspetti di ogni ruolo devono essere rispettati. Quando alla categoria sociale sono collegate solo poche norme (per esempio su una scala mobile chi sta fermo sta a destra, chi cammina a sinistra), noi non prestiamo attenzione alla posizione come ruolo sociale. Serve un intero gruppo di norme per definire un ruolo. I ruoli hanno effetti potenti e quando li interiorizziamo l'eccessiva autoconsapevolezza iniziaile diminuisce  quello che sentivamo imbarazzante ora diventa naturale. Il caso del sequestro dell'ereditiera Patricia Hearst illustra il potere del gioco di ruolo. Nel 1974, quando aveva 19 anni, la Hearst fu rapita da alcuni giovani rivoluzionari che si definivano Esercito di Liberazione Simbionese (SLA). Presto la Hearst annunciò pubblicamente di essersi aggregata ai suoi rapitori e rinunciò alla sua vita precedente, ai facoltosi genitori e al suo fidanzato. Chiese alla gente «di provare a capire i cambia - menti attraverso cui era passata». Dodici giorni dopo, la videocamera di una banca la riprese mentre partecipava a una rapina armata. Diciannove mesi più tardi fu arrestata. Dopo due anni di carcere e di "deprogrammazione", riassunse il suo ruolo di ereditiera, fece un "buon" matrimonio e diventò madre e scrittrice, in una periferia del Connecticut, dedicando la maggior parte del suo tempo a opere di carità. Le persone non capivano come la donna avesse potuto essere realmente un'ereditiera, realmente una rivoluzionaria e poi forse realmente di nuovo un'ereditiera. Come abbiamo visto, le nostre azioni dipendono non solo dal potere della situazione ma anche dalla nostra personalità. Non tutti rispondono allo stesso modo alla pressione verso il conformismo. L'inversione di ruoli Il gioco dei ruoli può anche essere una forza positiva. Giocando intenzionalmente un nuovo ruolo e conformandosi alle aspettative insite in esso, le persone qualche volta cambiano o si identificano con persone che hanno ruoli diversi dai propri. I ruoli spesso si presentano in coppie definite dalle relazioni: genitore e figlio, in segnante e studente ecc. Le inversioni di ruolo possono aiutarci a capire gli altri: quando ci si trova in una situazione difficile con un amico o un genitore, si può provare a riformulare le percezioni ei sentimenti dell'altra persona, prima di proseguire con i propri. Questo conformismo 42 improvviso). L'elaborazione sistematica della via centrale conduce a un cambiamento più duraturo rispetto alla via periferica. Non sono tanto gli argomenti ad essere persuasivi quanto il loro modo di indurre le persone a riflettere. Nessuno di noi ha tempo di analizzare seriamente tutti i problemi e per questo spesso si sceglie la via periferica, esprimendo giudizi affrettati usando le euristiche. In genere siamo portati a utilizzare la via periferica e accettiamo il messaggio senza pensarci troppo. Uditorio Elaborazione Persuasione VIA CENTRALE In possesso di abilità cognitive e motivato Grosso sforzo cognitivo analisi particolareggiata e sistematica Argomenti convincenti suscitano concordanze durature VIA PERIFERICA Non in possesso di abilità cognitive o disinteressato Basso sforzo cognitivo. Utilizzo di indizi periferici e di euristiche Indizi superficiali suscitano simpatia e accettazione , ma spesso solo temporaneamente Gli elementi della persuasione: -Chi? La fonte: Gli psicologi sociali hanno visto che l'oratore influisce su come l'audience riceve il messaggio. Non conta solo il messaggio, ma anche chi lo trasmette. Gli effetti della credibilità della fonte diminuiscono dopo un mese circa. Se il messaggio di una persona credibile è persuasivo, il suo impatto può svanire nel momento in cui si dimentica la fonte o la si dissocia al contenuto del messaggio. L'impatto di una persona considerata non credibile può in modo corrispondente aumentare nel tempo se si ricorda maggiormente il contenuto del messaggio che non le motivazioni per sminuirlo. La persuasione che avviene in un secondo momento, dopo aver dimenticato la fonte o la sua connessione con il messaggio, è definita “effetto ritardato”. -Competenza: Per diventare “esperti” autorevoli una modalità è quella di iniziare dicendo cose con cui l'audience si sente d'accordo e che fanno sembrare l'oratore intelligente; un'altra è quella di farsi presentare da qualcuno ritenuto esperto sull'argomento. Un altro modo per apparire credibili è quello di parlare con sicurezza. -Affidabilità: l'affidabilità è più alta anche quando il ricevente ritiene che il comunicatore non stia cercando di persuaderlo. Anche essere disponibili a soffrire per le proprie convinzioni (es. Gandhi) aiuta a convincere la gente della propria sincerità. Si percepisce la sincerità anche in coloro che affrontano discussioni contro il loro interesse. Affidabilità e credibilità aumentano quando le persone parlano velocemente. Più l'oratore è rapido più è persuasivo. Quando sappiamo che una fonte è attendibile, sviluppiamo pensieri più positivi rispetto al messaggio. Una cosa che, stranamente, non migliora la persuasione è il contatto visivo diretto tra il comunicatore e il pubblico. -Attrazione e somiglianza: Si può pensare di non essere influenzati dall'attrazione o dalla simpatia, ma non è così. È più probabile che rispondiamo positivamente a chi ci piace. La simpatia può renderci sensibili alle ragioni del comunicatore (via centrale alla persuasione) o può scatenare associazioni positive quando successivamente vediamo il prodotto (via periferica), per esempio se vediamo una pubblicità con un testimonial che troviamo simpatico o attraente, associamo le sensazioni positive causate dal testimonial al prodotto o al messaggio persuasivo. Secondo Cialdini I principi che sono alla base dei processi di influenzamento e di persuasione sono: • autorità: le persone si rivolgono a esperti credibili; • simpatia: la gente risponde positivamente a chi gli è simpatico; • prova sociale: le persone seguono l'esempio di altri; 45 • reciprocità: le persone si sentono obbligate a restituire ciò che hanno ricevuto; • coerenza: le persone tendono a onorare gli impegni presi pubblicamente; • scarsità: le persone apprezzano ciò che è limitato. L'attrazione usa molte vie di espressione. Una di queste è l'attrazione fisica. Le argomentazioni sono più influenti se provengono da persone che si ritengono avvenenti. Un'altra via è la somiglianza. Si prova simpatia per chi è come noi e se ne rimane anche influenzati. La somiglianza è più importante per la presenza del fattore X e la credibilità per l'assenza del fattore X. Il fattore X è se l'argomento è più di preferenza soggettiva o di realtà oggettiva. Quando la scelta riguarda questioni di valore personale, comunicatori “simili” hanno maggiore influenza, ma sui giudizi di fatti oggettivi la conferma della credenza da parte di una persona “dissimile” contribuisce in modo maggiore ad aumentare la fiducia. -Che cosa? Il contenuto del messaggio: Non conta solo chi parla ma anche che cosa dice questa fonte. -Ragione o emozione: le persone portate a ragionare in maniera accurata e sistematica sono più sensibili agli appelli razionali di quelle meno istruite e meno analitiche. L'audience attenta e coinvolta spesso imbocca la via centrale; è più sensibile agli argomenti presentati in maniera approfondita e accurata. Un'audience disinteressata più spesso prende la via periferica; è più colpita dalla simpatia per il comunicatore. È anche importante come si sono formati gli atteggiamenti delle persone. Se gli atteggiamenti iniziali si formano soprattutto in base all'emozione, le persone si fanno persuadere di più dai successivi appelli emotivi; se invece si formano in base alla ragione, sono più persuasivi gli argomenti di tipi intellettivo. I messaggi sono più persuasivi se associati al benessere. Il sentirsi bene spesso aumenta la persuasione, in parte per l'incremento del pensiero positivo, e in parte per l'associazione tra la sensazione di benessere e il messaggio. Se non si può creare una ragione forte, può essere utile instillare il buon umore, sperare che si senta bene rispetto al messaggio e non rifletta troppo. I messaggi possono diventare efficaci anche se si suscitano emozioni negative. Spesso, più la gente è spaventata, più è sensibile. I messaggi improntati alla paura funzionano meglio quando cercano di prevenire una brutta conseguenza (es. il cancro) piuttosto che quando tentano di promuovere un buon risultato (es. buona forma fisica). Giocare sulla paura, però, non sempre rende il messaggio più efficace. Quando la paura attiene a un'attività piacevole (es. fumare) il risultato spesso non si concretizza in un cambiamento comportamentale ma nella negazione. Una propaganda intensa sfrutta la paura, ad esempio quella usata dai nazisti nei confronti degli ebrei. -La discrepanza: Il disaccordo produce disagio e il disagio spinge a cambiare opinione. Un comunicatore che proclama un messaggio sgradevole può venire screditato. Le persone sono più aperte verso le conclusioni che si situano all'interno della loro gamma di accettabilità. Può accadere che un disaccordo maggiore produca un cambiamento minore. Una fonte credibile, difficile da smentire, suscita un cambiamento di opinione maggiore quando sostiene una posizione molto discrepante da quella del ricevente. La discrepanza e la credibilità interagiscono: l'effetto di una grande discrepanza rispetto a una piccola dipende dalla credibilità del comunicatore. Le persone molto preoccupate tendono ad accettare solo una stretta gamma di opinioni. Per loro un messaggio moderatamente discrepante può sembrare sciocco, soprattutto se il messaggio sostiene un punto di vista opposto piuttosto che essere la versione più estrema di un'opinione che già condividevano. Se si possiede un'autorità credibile e l'audience non è molto interessata al problema, è possibile sostenere un'opinione discrepante. -Appelli unilaterali o bilaterali: prendere atto e venire a conoscenza delle obiezioni potrebbe confondere l'audience e indebolire la tesi proposta dalla fonte. D'altra parte, un messaggio che riconosce gli argomenti dell'opposizione potrebbe sembrare più equo ed essere più disarmante. Un semplice messaggio bilaterale ha un potere disarmante, poiché fornisce accanto al messaggio persuasivo anche uno discordante con il contenuto del primo. La presentazione bilaterale è più persuasiva e duratura se le persone sono informate sulle obiezioni. Apparentemente, un messaggio unilaterale stimola un'audience informata a pensare a possibili 46 obiezioni e a considerare di parte chi porge il messaggio. Quindi, l'audience è esposta a opinioni opposte, meglio utilizzare un approccio bilaterale. Gli ottimisti ritengono che la persuasione positiva sia più efficace. I pessimisti ritengono più incisiva la persuasione negativa. -Il primo o l'ultimo: I preconcetti delle persone controllano le loro interpretazioni. Inoltre, una volta che la credenza si è formata, è difficile screditarla. Le persone possono prestare più attenzione a ciò che viene prima, ma le cose recenti sono ricordate meglio. La vostra prima linea di ragionamento opta per ciò che è più comune, l'effetto primacy: l'informazione presentata per prima è più persuasiva. Ma potrebbe verificarsi anche l'opposto e la memoria potrebbe creare l'effetto recency: l'informazione più recente ha più influenza. La dimenticanza crea l'effetto recency quando un tempo sufficiente separa i due messaggi e quando l'audience si pronuncia subito dopo il secondo messaggio. Quando i due messaggi sono uno dopo l'altro, seguiti da un breve intervallo di tempo, in genere prevale l'effetto primacy. -Come? Il canale di comunicazione: Affinchè ci sia persuasione, deve esserci comunicazione e quindi un canale: un appello faccia a faccia, un documento scritto, un annuncio pubblicitario televisivo o radiofonico. La psicologia del senso comune crede nel potere delle parole scritte. Esperienza attiva o ricezione passiva? Gli appelli verbali non sono necessariamente più persuasivi. Chi parla in pubblico rimane così affascinato dalle proprie parole che è tentato di sovrastimarne il potere. Un predicatore efficace deve superare molti ostacoli. Per essere persuasivo deve trasmettere un messaggio che non sono attiri l'attenzione, ma sia anche comprensibile, convincente, facile da ricordare e interessante. Basta la mera esposizione a stimoli non familiari ad alimentare la simpatia. Inoltre, la pura ripetizione può rendere le cose credibili. Quando si dimentica la svalutazione del prodotto, la prolungata familiarità con l'affermazione può farla sembrare credibile. La mera ripetizione di una dichiarazione serve anche ad aumentare la sua scorrevolezza (la facilità con cui si pronuncia) che ne aumenta la credibilità. Anche altri fattori, come la composizione in rima, incrementano la scorrevolezza e credibilità. La persuasione decresce quando l'importanza e la familiarità di un argomento aumentano. Su questioni familiari e importanti, persuadere le persone è più complesso. Anche l'esperienza attiva rinforza gli atteggiamenti. Quando si agisce, si amplifica l'idea che sta alla base di ciò che si fa, soprattutto se ci si sente responsabili. Inoltre, gli atteggiamenti quando sono radicati nella nostra esperienza, spesso perdurano e influenzano il comportamento. Gli atteggiamenti basati sull'esperienza sono più certi, stabili e meno vulnerabili agli attacchi degli atteggiamenti formatisi passivamente. -L'influenza delle persone o dei media: Non sono i media ad esercitare la maggiore influenza su di noi ma il contatto con le persone. Le moderne strategie di vendita cercano di imbrigliare il potere dell'influenza personale dei passa-parola attraverso il marketing virale. Sebbene il contatto faccia a faccia persuada più dei media, non bisogna sottostimare il potere dei mezzi di comunicazione. Chi influenza personalmente le nostre opinioni e i nostri atteggiamenti deve aver preso le proprie idee da qualche fonte e, spesso, le fonti sono i mezzi di comunicazione. Molti degli effetti dei media operano in un flusso di comunicazione a due fasi: processo per cui l'influenza dei media spesso avviene attraverso gli opinionisti che a loro volta influenzano gli altri. Gli opinion leader sono persone concepite come esperte. Il modello del flusso a due fasi ricorda che le influenze dei media penetrano la cultura in modo subdolo. Anche se i media hanno un effetto diretto minimo sugli atteggiamenti delle persone, possono ancora avere un grosso effetto indiretto. Più il mezzo di comunicazione è realistico, più il suo messaggio è persuasivo. Perciò l'ordine di persuasività pare essere: messaggio dal vivo, videoregistrato, audio registrato e, da ultimo, scritto. I messaggi difficili erano più persuasivi se scritti, i messaggi facili lo erano se videoregistrati. -A chi? Il ricevente: Un tratto particolare può da un lato far avanzare il processo di persuasione e dall'altro rallentarlo. Le persone con bassa autostima spesso sono lente a comprendere un messaggio e perciò è difficile persuaderle. Chi ha alta autostima può comprendere e tuttavia riconfermare il proprio 47 perché chi rifiuta un messaggio è vaccinato contro futuri tentativi di persuasione. Una persuasione inefficace stimola le difese dell'ascoltatore e può essere controproducente, rendendo immuni a ulteriori appelli. Capitolo 8 - interazione nei gruppi Vi sono numerosi significati/definizioni legati alla parola gruppo. Al momento la definizione più accreditata è quella di Rupert Brown: gruppo= un insieme di due o più persone che condividono un destino comune che li porta a qualche forma di interdipendenza tra di loro e che si percepiscono come membri di uno stesso aggregato sociale che è riconosciuto come tale da altre persone. Tajfel e Turner ci parlano di autocategorizzazione: processo che porta le persone a definire se stesse come appartenenti a una determinata categoria/gruppo sociale. Kurt Lewin  gruppo come una totalità dinamica che è qualcosa di diverso dalla somma delle sue parti. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Possiamo parlare di totalità dinamica  perciò un cambiamento di stato in una parte interessa lo stato di tutte le cose. L’interdipendenza del destino è un elemento macro e generico per definire un gruppo (fenomeno di sentirsi sulla stessa barca). Un aggregato di persone è definibile come gruppo quando gli sforzi delle persone per raggiungere un obiettivo determinano un legame tra i membri tale che i risultati delle azioni di ciascuno hanno delle implicazioni. Parliamo di interdipendenza positiva (collaborazione) quando il successo di una persona implica il successo dell’intero gruppo, altrimenti si parla di interdipendenza negativa (competizione). Sherif  concezione architetturale. Un gruppo si definisce tale quando presenta una struttura e un’organizzazione dei suoi membri, che si differenzia per funzioni, per potere o per posizione sociale; e la presenza di norme o valori che regolano il comportamento dei membri del gruppo. Tajfel muta il suo concetto di gruppo dalla concezione di nazione proposta da Emerson secondo cui una nazione è un insieme di persone che sentono di essere una nazione, mettendo così in risalto il concetto di autocategorizzazione senza definire la nazione in termini di elementi storici, economici o politici. Per Tajfel è cruciale il senso di appartenenza che include tre componenti: - Componente cognitiva: il conoscere di appartenere a quel gruppo - Componente valutativa: possibilità di connotare positivamente o negativamente quel gruppo - Componente emozionale: i sentimenti che si provano nell’appartenere a tale gruppo Da questa definizione Tajfel svilupperà il paradigma dei gruppi minimali e le nozioni di ingroup e outgroup. Continuum interpersonale-intergruppo  le teorie del comportamento sociale di Tajfel collocano il comportamento sociale lungo questo continuum, poiché il comportamento umano cambia a seconda che la persona agisca come persona a sé stante o come membro di un gruppo. - Interpersonale: l’interazione dipende dalle caratteristiche personali del soggetto - Intergruppo: l’interazione è determinata dall’appartenenza a vari gruppi Le persone si muovono lungo questo continuum per tre fattori: 1) Laddove le categorie sono facilmente individuabili e visibili il comportamento tende a situarsi verso il polo intergruppo 2) Il grado di variabilità/uniformità: quando il gruppo non è molto saliente solitamente le persone mostrano atteggiamenti molto diversi gli uni dagli altri, quando il gruppo invece è più saliente le persone tendono a uniformarsi allo standard del gruppo 3) Quando ci relazioniamo con una persona, possiamo farlo a partire dai nostri diversi ruoli e con modalità molto diverse, quando ci relazioniamo con i gruppi lo facciamo a partire da percezioni e comportamenti preconcetti nonché stereotipi. Brown e Turner hanno proposto di rinominare il continuum in continuum interpersonale-gruppo: dimensione continua del comportamento sociale che distingue tra azioni compiute in quanto persona e azioni compiute in quanto membro di un gruppo. Inoltre, Turner ritiene che lo spostamento lungo il continuum interpersonale-gruppo si verifichi perché vi sono dei cambiamenti nel funzionamento del concetto d’identità. Il termine identità indica l’insieme delle costanti che rimangono identiche nonostante il mutare delle situazioni nel tempo. Il concetto di sé è costituito dall’insieme dell’identità personale e dell’identità sociale. Identità personale= le descrizioni che le persone danno di se stesse sulla base di caratteristiche individuali 50 Identità sociale= gli aspetti del concetto di sé che derivano dalla consapevolezza di appartenere a uno o più gruppi e dal sentimento suscitato da tali appartenenze L’appartenenza a un gruppo può essere di fondamentale importanza per capire chi siamo. La consapevolezza di appartenenza a un gruppo fa in modo che l’”io” diventi “noi” attuando un processo di autocategorizzazione. l’autocategorizzazione è flessibile e muta in fretta a seconda del contesto sociale, puoi essere un tifoso allo stadio, uno studente all’università o un manifestante in un corteo. Sebbene le appartenenze mutino da contesto a contesto, ci sono alcune appartenenze che rimangono costanti come quelle del gruppo etnico e del proprio gruppo familiare. I comportamenti possono essere influenzati anche dall’appartenenza a un gruppo fittizio o creato ad hoc. Tale situazione viene chiamata situazione intergruppi minima: una situazione sperimentale tale per cui le persone vengono classificate, in base a elementi arbitrari ed effimeri, in gruppi che non hanno alle spalle né storia, né conflitti d’interesse, né stereotipi. Tajfel e colleghi pubblicano in un articolo del 1971 “social categorization and intergroup behaviour” pubblicato sullo European journal of social psychology, svilupparono ulteriormente il paradigma del gruppo minimo e ipotizzarono che la semplice appartenenza a un gruppo, anche solo a livello minimo e indipendentemente dal valore a esso attribuito fosse sufficiente a sviluppare fenomeni di discriminazione Intergruppale. Da qui Tajfel sviluppa la teoria dell’identità sociale: la motivazione delle persone a derivare un’autostima positiva dalle appartenenze di gruppo è una delle forze che inducono maggiormente alla distorsione a favore del proprio gruppo. Le persone così come sono portate a vedere il proprio sé in modo positivo, desidereranno considerare le loro appartenenze di gruppo, ossia la loro identità sociale in modo positivo. La teoria dell’identità sociale poggia su tre assunti: -Valorizzazione del gruppo di appartenenza (ingroup) -Percezione di omogeneità dei membri del gruppo cui non si appartiene (outgroup) -Favoritismo nei confronti del proprio gruppo (ingroup) e discriminazione nei confronti degli altri (outgroup) Quando il gruppo a cui apparteniamo diventa stigmatizzato o valutato negativamente adoperiamo o la mobilità sociale o il cambiamento sociale: -Mobilità sociale: fuga individuale dal gruppo di appartenenza. O attraverso la disidentificazione (allontanamento psicologico dal gruppo attraverso la minimizzazione delle proprie connessioni personali con il gruppo stesso) o la dissociazione (distanziamento fisico tra sé e il gruppo) -Cambiamento sociale: strategia volta a migliorare la complessiva situazione sociale del proprio gruppo che gode di scarsa autostima. Avviene attraverso creatività sociale (esaltare caratteristiche alternative per cui il gruppo è superiore), competizione sociale (tentare di cambiare le condizioni sociali che ci sono avverse, come quando un gruppo di immigrati costituisce un’associazione di volontariato per dare il proprio contributo nella comunità in cui vive) e ricategorizzazione (modificare la definizione del gruppo interno, attraverso ad esempio la categorizzazione trasversale, cioè vedere se stessi come appartenenti a un gruppo sociale differente da quello che si ritiene godere di scarsa stima, dato che le persone solitamente appartengono a più categorie/gruppi contemporaneamente ) Gli psicologi sociali indipendentemente dalla corrente riconoscono tutti gli elementi di status, ruolo e norme: Status = la posizione che una persona occupa all’interno di un gruppo sociale e la valutazione di tale posizione su una scala di prestigio. I membri differiscono tra loro in merito a prestigio e autorità. È possibile capire chi in un gruppo possiede uno stato più elevato prestando attenzione al suo linguaggio verbale e non verbale: persone con uno status più elevato tendono a tenere un maggior contato oculare, assumono una postura più eretta e rigida, sono solite comandare, criticare, interrompere gli altri; non solo parlano più spesso ma sono anche interpellate più spesso. Come si creano queste differenze di status? Secondo la teoria dell’aspettativa di status  quando i membri si incontrano per la prima volta si formano delle aspettative in merito al contributo che il membro può apportare al gruppo. Coloro che producono aspettative più alte hanno status più elevati. Sebbene gli status iniziali possano essere modificati in itinere a seconda delle performance presentate dal membro, è molto difficile che un membro con uno status basso possa cambiare la sua posizione. Chi ha uno status maggiore gode di alcuni vantaggi: maggiore autostima, essere più cercati e apprezzati, venire maggiormente perdonati per piccoli errori, ma quando l’errore è grave e compromette il gruppo vengono giudicati più duramente rispetto ai membri con uno stato inferiore. Ruolo sociale= insieme delle aspettative che le persone ricoprono circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona che occupa una determinata posizione nel gruppo. Levine e Moreland sostengono che i ruoli nei 51 gruppi non sono molti. Tra questi vi sarebbe il leader, il nuovo arrivato, ossia colui che è ansioso, il dipendente conformista, il capro espiatorio, che ha la funzione di recettore delle immagini negative di sé e degli altri membri del gruppo. I diversi ruoli servono a mantenere una divisione del lavoro tra i membri del gruppo, rendono i comportamenti delle persone più prevedibili e disciplinati, e aiutano le persone a collocarsi all’interno del gruppo perché contribuiscono alla definizione della loro identità. norme sociali = modi ampiamente accettati di pensare, sentire o comportarsi su cui le persone appartenenti a un gruppo concordano connotandoli come appropriati e giusti. Alcuni gruppi hanno norme basate sull’apparenza fisica (esempio gli skinheads), altri hanno norme basate sulle credenze (es. gli ecologisti). Talvolta le norme sono scritte in una sorta di regolamento, ma spesso vengono apprese attraverso la conversazione quotidiana e osservando gli altri membri. Una volta stabilite, le norme tendono a rimanere stabili nonostante il cambiare dei membri. Le norme assolvono diverse funzioni, tra queste abbiamo: contribuire al raggiungimento degli obiettivi mantenendo il gruppo in quanto tale, permettere alle persone di costruirsi una realtà sociale condivisa, definire il rapporto con l’esterno. Una proprietà importante dei gruppi è anche la coesione sociale = processo psicologico risultante dalla reciproca accettazione tra i membri e il gruppo a cui questi appartengono, unita alla capacità del gruppo di soddisfare gli obiettivi delle persone. -> permette alle persone di sentirsi legate affettivamente le une alle altre dando un senso di unità e solidarietà. Moreland e Levine hanno proposto il modello temporale di sviluppo dell’appartenenza a un gruppo = modello dello sviluppo di appartenenza a un gruppo basato sull’assunto che i cambiamenti che si verificano nel tempo nei membri e nel gruppo sono dovuti alla loro mutua influenza e interdipendenza. Secondo M. e L. la vita dei gruppi attraversa 5 fasi, molti autori concordano nello stabilire che queste fasi non vengono seguite pessidequamente: molti tornano più volte allo stesso stadio, alcuni si fermano, alcuni stadi vengono saltati. I 5 stadi dello sviluppo di un gruppo sono: -Fase di esplorazione  prospective member: le persone cercano un gruppo che soddisfi i loro bisogni e viceversa. se il livello di impegno è sufficientemente elevato da ambo le parti, avviene la transizione all’interno del gruppo. Generalmente i gruppi piccoli e di scarso successo sono più propensi a far entrare nuovi membri nel gruppo. -Fase di socializzazione  newcomer: fase nella quale le persone si conoscono e cercano di dare il massimo per lo sviluppo del gruppo, si cerca di modellare il nuovo membro secondo le norme del gruppo e allo stesso tempo spesso il nuovo membro porta nuove idee cercando di modificare il gruppo al fine di soddisfare i propri bisogni. Si provano forti emozioni e c’è molto impegno da entrambe le parti. -Fase di mantenimento  full member. Stabilire nuovi ruoli sulla base dei nuovi membri, in modo da massimizzare il loro contributo all’interno del gruppo. Se l’influenza sociale esercitata da entrambe le parti è soddisfacente sia il gruppo sia la persona incrementano l’impegno profuso. Altrimenti se la relazione è poco gratificante, l’impegno decrescerà. -Fase di risocializzazione  marginal member. Fase in cui membro marginale e gruppo cercano di convincersi a vicenda a esaudire le proprie aspettative. Se uno dei due cede il membro marginale tornerà a essere full member. Altrimenti entrambe le parte cominceranno a considerare concluso il rapporto. -Fase del ricordo  ex membro. Sia l’ex membro che il gruppo sviluppano consenso in merito al contributo dell’ex membro al gruppo e viceversa. Forsyth declina il modello di moreland e levine nel contesto dei gruppi faccia a faccia, come per esempio un gruppo di lavoro: STADIO PROCESSI OPERATIVI PROCESSI PSICOSOCIALI Formazione Scambio di informazioni, esplorazione del compito, si cerca di capire gli obiettivi. Le persone si conoscono, c’è incertezza e preoccupazione, i rapporti sono formali, si cercano di capire i rapporti di status Conflitto Disaccordo sulle procedure e sugli obiettivi Disaccordi concernenti status, critica delle idee, ostilità, formazione di coalizioni. * Evoluzione Formazione del consenso e delle norme e assegnazione dei ruoli. Superamento del conflitto, crescita della coesione e della unità, affiliazione positiva al gruppo. Negoziazione come stile di risoluzione. Esecuzione del compito Stadio della produzione vera e Si rafforza la cooperazione per 52 8.3.4 | la minoranza attiva Il tema viene affrontato in particolare da Moscovici nel 1976, che studia l'influenza sociale e il modo in cui avvengono i cambiamenti sociali. Secondo Festinger il gruppo raggiunge l'unanimità per conseguire un determinato obiettivo, e per fare ciò sono necessari cambiamenti delle norme e dei valori di quel gruppo: da questo si origina il cambiamento sociale. In particolare, Moscovici si concentra sul ruolo che hanno le minoranze attive all'interno di un gruppo nel produrre un cambiamento sociale, il quale è sempre possibile perché il gruppo non è perfettamente omogeneo, e per questo si generano anche delle divisioni interne, che possono anche sfociare in conflitti, i quali consentono l'emergere di un cambiamento. Le caratteristiche delle minoranze attive nel gruppo forniscono un consenso alternativo un consenso alternativo -i membri al suo interno sono coerenti tra loro, e questo conferisce autorevolezza alla minoranza -sono coerenti nel tempo -prima di proporre il loro punto di vista devono assicurarsi di non essere considerate dissidenti dal gruppo e quindi venire espulse, devono essere considerate credibili → devono ottenere un credito di credibilità come funzionano? come ottengono l'influenza? le minoranze mettono in crisi la maggioranza minando la correttezza del consenso  il punto di vista alternativo deve essere condiviso da più persone all'interno della minoranza in modo saldo, perché più è coesa la minoranza più è probabile la possibilità di influenza: la soluzione proposta verrà vista sempre di più come un'alternativa praticabile.  devono essere fedeli a sé stesse nel tempo perché la maggioranza rinuncerà difficilmente alla sua posizione, è difficile convincere esperimento di Moscovici per verificare l'influenza della minoranza è simile a quello proposto da Asch, provano a ricrearlo ribaltando le condizioni: > chiamano un gruppo di soggetti in merito a una sperimentazione sui giudizi percettivi riguardanti delle diapositive di colore blu > creano due gruppi: uno di maggioranza ingenua composto da 4 soggetti e uno di maggioranza complice con due collaboratori degli sperimentatori che avevano l'ordine di dare "verde" come risposta durante la proiezione delle diapositive Vediamo tre diverse condizioni: 1)i soggetti della maggioranza complice sono coerenti tra loro e rispondono sempre "verde" risultato: i soggetti della maggioranza ingenua risposero almeno una volta "verde", oltre l'8% delle risposte complessive. Questo 8% è importante: è stato ottenuto da una minoranza deviante su una maggioranza di dimensioni doppie 2 condizione sperimentale 2)i soggetti della maggioranza complice non sono coerenti tra loro e rispondono a volte "blu" insieme ai soggetti della maggioranza ingenua risultato: i soggetti della maggioranza ingenua risposero "verde" solo per l'1% delle risposte complessive (trascurabile). 3) non c'erano collaboratori dello sperimentatore e nessuno diede la risposta sbagliata Grazie ad altri esperimenti Moscovici afferma che il dissenso della minoranza promuove l'elaborazione sistematica. In particolare, la minoranza prende in considerazione alcuni aspetti del pensiero della maggioranza in merito ad alcune argomentazioni e crea argomentazioni alternative che creano una condizione di incertezza della maggioranza, sviluppando un più alto livello di elaborazione rispetto all'adozione unanime di regole da parte della maggioranza senza alcuna minoranza all'interno. i processi di presa di decisione Il processo di presa di decisione all'interno del gruppo si articola in quattro fasi consecutive: 1) fase di orientamento Il gruppo identifica il compito da svolgere, l'obiettivo da perseguire e le strategie da utilizzare. in particolare, il tipo di obiettivo determina la scelta delle strategie, che dipendono appunto dal tipo di compito. (v. sotto) 55 2) fase di discussione: il gruppo cerca informazioni e identifica possibili soluzioni, le valuta. 3) fase della decisione utilizzo di regole interne al gruppo, implicite o esplicite, per prendere la decisione 4) fase dell'implementazione: agisce di conseguenza alla presa di decisione e valuta l'intervento NB nella fase 2 e 3 notiamo i tentativi di influenza (normativa o informativa) tra i membri del gruppo Le modalità di presa di decisione dipendono dal tipo di compito da svolgere, il quale influenza anche il tipo di influenza messo in atto dai diversi membri del gruppo e il tipo di informazioni aggiuntive che vengono ricercate. Questo può essere: di tipo valutativo → ricerca del consenso sociale non è possibile individuare una risposta corretta o errata in assoluto perché subentrano giudizi morali, etici, estetici e comportamentali e l'obiettivo di ogni componente diventa quello di convincere gli altri rispetto alla bontà della propria posizione. Prevede la messa in atto dell'influenza normativa: processo per il quale la persona accetta la descrizione della realtà fornita da altri per evitare critiche oppure ottenere l'approvazione. Nel processo di presa di decisione i membri sono meno propensi ad cercare soluzioni accurate e argomentazioni che potrebbero svilire la propria posizione: la decisione si riduce a questioni che possono accrescere il consenso all'interno del gruppo. es: su quale prodotto puntare per rilanciare un'azienda in crisi di tipo cognitivo → ricerca di risposte corrette o errate in assoluto Prevede la messa in atto dell'influenza informativa: processo per il quale una persona accetta l'informazione fornita dal gruppo come prova della realtà. in particolare, il gruppo ricerca informazioni e le condivide per raggiungere un obiettivo comune. es: spostare una macchina impantanata | polarizzazione e depolarizzazione di gruppo gli effetti positivi o meno dell'interazione di gruppo si spiegano grazie al fatto che le interazioni di gruppo rafforzano le inclinazioni iniziali delle persone. A riguardo vi sono due fenomeni: -depolarizzazione: il gruppo raggiunge un compromesso e la posizione della norma adottata da quel gruppo sarà meno polarizzata e più moderata rispetto alle opinioni iniziali dei singoli membri del gruppo. Si arriva ad una posizione intermedia. -polarizzazione di gruppo: processo mediante cui l'iniziale posizione intermedia di un gruppo a seguito di una discussione (interazione tra membri del gruppo) diventa più estrema. inizialmente questo processo era chiamato spostamento verso il rischio e si pensava avvenisse soltanto in situazioni di pericolo imminente. Successivamente in seguito a studi si scoprì che 1. in queste situazioni gli individui tendono a prendere decisioni più caute piuttosto che rischiose e 2. questo processo avveniva anche in situazioni non rischiose. La discussione di gruppo può amplificare e rinforzare una posizione sia negativa che positiva e quindi la formazione di norme polarizzate. Vi sono diverse spiegazioni per capire come di formano. m e d i a n t e pe r s u a s i o n e  B u r n s t e i n e V i n o k u r , 1 9 7 7  modello di polarizzazione mediante persuasione: la discussione di gruppo è un processo: che si svolge in mancanza di equilibrio tra i vari argomenti e le relative prove contrarie o a favore che privilegia argomenti dominanti che risultano essere più persuasivi all’interno del quale vengono introdotti argomenti nuovi che possono persuadere membri a prendere posizioni più estreme attraverso la novità, la qualità e la quantità delle informazioni esplicitate dalla maggioranza. Queste posizioni possono venire rafforzate dalle posizioni iniziali delle persone in quella direzione. m e d i a n t e c o n f r o n t o s o c i a l e  S a n d e r s e B a r o n , 1 9 7 7  il processo di polarizzazione è il risultato del bisogno della persona di autopromuoversi o autopresentarsi innescato dal confronto interpersonale. In fase di discussione i membri del gruppo di spostano verso quelle posizioni che più sono vicine a quelle dei membri che più rappresentano i valori sociali di quel gruppo. Questo accade perché sappiamo che le persone: - promuovono la propria autostima sul confronto con gli altri e quindi 56 -sono motivate a modulare le proprie opinioni in relazione a quelle espresse da altri Quindi nel processo di polarizzazione le persone tenderanno a posizionarsi in modo da guadagnare approvazione sociale - anche in modo esagerato pur di dimostrare la loro totale adesione! m o d e ll o d e ll a po l a ri zz a z i o n e c o m e d i f f e r e n z i a z i o n e i n t er g r up pi  W e t h e r e ll , 1 9 8 7  Questo modello si basa sulla teoria della categorizzazione del sé. In particolare, quando in un gruppo si verifica la polarizzazione si evidenzia l'aderenza della persona alle norme dell'ingroup, con conseguenti: adeguamento alle norme per difendere l'identità di gruppo enfasi sulle differenze rispetto alle norme dell'outgroup t i po d i e l a b o r a z i o n e d e ll ' i n f o rm a z i o n e p r o d o tt a  S mi t h e M a c k i e , 2 00 4  Il tipo di elaborazione dell'informazione prodotta all'interno del gruppo può spiegare il processo di polarizzazione. In particolare, vediamo: -elaborazione superficiale: la persona si affida al consenso della maggioranza credendo che questa rappresenti la realtà, soddisfano i suoi bisogni di affiliazione e padronanza. Questo avviene grazie all'uso di scorciatoie di pensiero (euristiche) senza interrogarsi e impegnarsi cognitivamente nella ricerca di una opinione propria, ci si affida alla posizione che si ritiene giusta e corretta. -elaborazione sistematica: in questo caso l'attenzione durante la discussione è focalizzata sia sulle posizioni della maggioranza che sugli argomenti, rendendo la posizione della maggioranza comunque più pervasiva. In breve, quando i componenti dei gruppi elaborano in modo sistematico, il consenso che si verifica rende ancora più persuasivi gli argomenti della maggioranza, che a sua volta rafforza il suo consenso. NB: il fenomeno della polarizzazione non funziona per tutti i gruppi, ma solo quelli in cui vi sia un consolidato scambio relazionale e un leader. | il groupthink o pensiero di gruppo definizione Processo decisionale di un gruppo che è fortemente compromesso dalla motivazione dei suoi componenti a raggiungere un consenso guardando meno al prendere una giusta decisione Viene studiato da Janis, che analizzò procedure di presa di decisione dei presidenti USA, alcune delle che portarono a clamorosi e disastrosi fallimenti. esempi di Janis: -Attacco di Pearl Harbor: la settimana prima dell’attacco 1941 il comando militare della Hawaii aveva ricevuto informative riguardo il pericolo di un attacco in un punto del Pacifico, ma anche quando si ebbero informazioni sull’indirizzamento di questo verso le Hawaii, l’ammiraglio Kimmel e i suoi collaboratori decisero di non considerare gli avvenimenti circa questo pericolo. Questi continuarono a concentrarsi sull’addestramento delle truppe piuttosto che sulla difesa della base navale, questo causò una perdita di 18 navi, 170 velivoli e 2400 uomini. -Invasione della Baia dei Porci: nel 1961 il Presidente Kennedy e i suoi consiglieri decisero di voler rovesciare il governo di Fidel Castro, confidando nell’appoggio da parte della guerriglia anti- castrista. Il problema fu che non calcolarono che tra la Baia dei Porci (punto di sbarco) e le montagne dove si nascondevano gli oppositori vi erano 8 miglia di baia paludosa. L’invasione venne sventata in poco tempo e gli invasori furono catturati e uccisi. Ciò portò a un’indignazione generale da parte del mondo, che si avvicinò ancora di più all’Unione Sovietica. Guerra del Vietnam: dal 1964 al 1967 il Presidente americano Johnson e i suoi consiglieri decisero di portare avanti un’escalation nella guerra del Vietnam, convinti di poter portare la pace nel Nord con il supporto dei cittadini del Sud. Ignorarono i continui rapporti negativi riguarda all’impossibilità di sconfiggere i Nordvietnamiti bombardandoli, ciò portò alla morte di 58’000 americani e 1’000’000 vietnamiti, provocando anche un enorme buco nel budget americano. -Lancio del Challenger: il 28 gennaio 1986 la NASA decise di procedere con il lancio del Challenger, nonostante alcuni segnali di rischio. Infatti, alcuni ingegneri della Morton Thoikol Corporation avevano avvisato che le temperature rigide avrebbero provocato dei danni alla guarnizione tra le parti del razzo e ciò avrebbe portato all’esplosione della navetta spaziale. Rinviarono il lancio diverse volte, arrivati alla mattina dell’ultima data stabilita i vertici della NASA e della Morton Thoikol Corporation, pressati dall’opinione pubblica e dalle preoccupazioni dei costi relativi all’ennesimo rinvio, decisero di procedere. 73 secondi dopo il lancio, le guarnizioni cedettero, il Challenger esplose e tutti e 7 i membri a bordo morirono. 57 coinvolgono aree primitive del cervello associate alla paura, come l'amigdala, mentre le elaborazioni controllate sono più associate alla corteccia frontale, che attiva il pensiero consapevole. Inoltre, utilizziamo i lobi frontali quando riflettiamo su noi stessi o su gruppi con i quali ci identifichiamo. Pregiudizio di genere Stereotipi di genere Esistono forti stereotipi di genere, sono molto più forti degli stereotipi razziali e, come spesso accade, i membri del gruppo stereotipato li accettano. Qualche volta, gli stereotipi esagerano le differenze, ma non sempre secondo Swim. Esso ha dimostrato con un esperimento condotto su studenti dell’università statale della Pennsylvania, che gli stereotipi su inquietudine, sensibilità, aggressività di uomini e donne erano approssimazioni ragionevoli di differenze di genere reali. NB: Gli stereotipi (credenze) non sono pregiudizi (atteggiamenti), ma possono sostenere il pregiudizio. Pregiudizio e discriminazione di genere Nel tempo gli atteggiamenti verso le donne sono cambiati tanto rapidamente quanto quelli razziali. Secondo quanto dimostrato da Glick, Fiske e colleghi gli atteggiamenti di genere spesso sono ambivalenti: combinano un atteggiamento sessuale benevolo (le donne hanno un senso morale superiore) con un atteggiamento sessuale ostile (quando un uomo si fidanza, la donna lo tiene al guinzaglio). Anche gli stereotipi sugli uomini funzionano in modo simile. Chi approva la discriminazione sessuale benevola verso le donne, tende ad approvare anche quella verso gli uomini. Queste visioni sulle discriminazioni ambivalenti complementari di uomini e donne possono servire a giustificare lo status quo nelle relazioni tra i sessi. Anche il pregiudizio di genere manifesto sta scomparendo, ma ne sopravvive uno latente  bias di genere. Ci si aspetta un figlio intelligente e una figlia bella e slanciata. Nei paesi al di fuori delle democrazie occidentali, la discriminazione di genere sembra essere maggiore. Pregiudizio verso l’omosessualità In molte nazioni le relazioni tra persone dello stesso sesso costituiscono un reato pensale. Ma le culture variano. Nei paesi occidentali i pregiudizi contro gli omosessuali persistono, nonostante siano in rapido calo  il sostegno ai matrimoni gay non è univoco, ma è in aumento, nonostante ciò, il rifiuto rimane una realtà. Si è dimostrato che gli atteggiamenti denigratori e le pratiche di discriminazione causano danni affettivi e aumentano la probabilità di contrarre malattie e soffrire di disturbi psicologici. Alcune ricerche mostrano come le politiche statali siano predittori della salute e del benessere dei cittadini omosessuali. Inoltre, anche gli atteggiamenti comunitari sono indice di salute degli LGBT  le comunità in cui il pregiudizio contro gli omosessuali è all’ordine del giorno presentano alti tassi di suicidio e morte cardiovascolare di queste persone. Le fonti sociali del pregiudizio Le disuguaglianze sociali: lo status iniquo e il pregiudizio Uno status iniquo alimenta il pregiudizio. Una volta che esistono delle disuguaglianze, il pregiudizio aiuta a giustificare le superiorità economiche e sociali di chi ha il benessere e il potere. Una volta conosciute le relazioni economiche tra due gruppi si possono predire gli atteggiamenti reciproci. Vescio e colleghi hanno testato stereotipi e pregiudizi trovando che gli uomini di potere che stereotipizzano le loro donne le riempiono di elogi, ma forniscono loro poche risorse, così da indebolirne le prestazioni. Questo tipo di protezione permette agli uomini di mantenere la loro posizione di potere. La distinzione di Glick e Fiske tra discriminazione sessuale ostile e benevola, spiega che valutiamo gli altri gruppi o come competenti o come simpatici, ma non tutti e due contemporaneamente. Tipicamente, le persone rispettano la competenza di chi possiede un alto status, e provano simpatia per coloro che invece possiedono un basso status. Alcune persone più di altre notano e giustificano le differenze di status  persone con orientamento al dominio sociale alto. L’orientamento al dominio sociale è la spinta a far sì che il proprio gruppo domini gli altri gruppi sociali. Il desiderio di essere alla sommità della gerarchia porta chi è ai vertici nel dominio sociale ad accettare il pregiudizio e a supportare le posizioni politiche che lo giustificano. Inoltre, preferiscono lavori politici ed economici che permettono un incremento dello status, piuttosto che i lavori sociali, in quanto questi ultimi indeboliscono le gerarchie. La teoria della giustificazione del sistema: le persone sviluppano una ideologia per interpretare il mondo sociale che supporta lo status quo. Le persone sono motivate a giustificare la situazione o il sistema culturale correnti. La socializzazione Il pregiudizio scaturisce da uno status iniquo e da altre fonti sociali, inclusi i valori e gli atteggiamenti acquisiti. La socializzazione è il processo attraverso cui, mediante la trasmissione di conoscenze, capacità e atteggiamenti, viene consegnato alle nuove generazioni il patrimonio culturale accumulato. L'obbiettivo della socializzazione implica l'esistenza di soggetti socializzatori (o agenzie di socializzazione), che mediano tra l'individuo e il sistema sociale. L'influenza della socializzazione familiare si mostra nei pregiudizi dei bambini. Anche gli atteggiamenti razziali impliciti dei bambini riflettono i pregiudizi espliciti dei genitori. La personalità autoritaria. L’etnocentrismo è la credenza nella superiorità etnica e culturale del proprio gruppo che coesiste con un disprezzo per gli altri gruppi. I soggetti definiti etnocentrici condividono alcune tendenze: intolleranza verso la debolezza, atteggiamento punitivo, rispetto remissivo verso le autorità del proprio gruppo. Adorno teorizzò la personalità autoritaria: personalità incline al pregiudizio e allo stereotipo, incline a favorire l’obbedienza all’autorità e l’intolleranza verso l’outgroup e verso persone di status sociale inferiore. Alcune ricerche sulla 60 personalità autoritaria hanno messo in luce che tali soggetti, da bambini, spesso erano stati sottoposti a una dura disciplina. La ricerca suggerisce anche che l'insicurezza li predispone a una preoccupazione eccessiva verso il potere, lo status e verso un modo inflessibile di distinguere tra giusto e sbagliato, rendendo difficile tollerare le ambiguità. I loro sentimenti di superiorità morale possono andare di pari passo con la brutalità verso gli individui che ritengono inferiori. La religione. La religione può essere usata per sostenere l'ingiustizia. Se definiamo religiosità l'appartenenza a una chiesa o la volontà di concordare almeno superficialmente con le credenze della tradizione religiosa, allora le persone più religiose nutrono maggiori pregiudizi, . I fanatici spesso razionalizzano il fanatismo con la religione. Ma se valutiamo la profondità dell'impegno religioso, allora i più devoti nutrono meno pregiudizi. Il conformismo. Una volta instaurato, il pregiudizio sopravvive in larga parte per inerzia. Quando il pregiudizio è socialmente accettato, molte persone seguono il percorso della minima resistenza e della conformità alle mode. Si muovono non tanto in base al bisogno di odiare ma a quello di essere amate e accettate. La conformità mantiene anche il pregiudizio di genere  se il bambino cresce vedendo la madre solo in cucina, allora penserà che quello sia il suo posto naturale, come quando vede il pappagallo sempre nella gabbia, quindi pensa che il suo habitat naturale sia, appunto, la gabbia. Il figlio di una madre lavoratrice, al contrario, avrà un’idea dell’uomo e della donna meno stereotipata (Hoffman). Se il pregiudizio non è profondamente radicato nella personalità, quando le mode cambiano e le nuove norme evolvono, il pregiudizio può diminuire. Il sistema istituzionale e il pregiudizio Le istituzioni sociali possono rafforzare il pregiudizio attraverso politiche esplicite come la segregazione, o con un rinforzo passivo dello status quo. Le scuole sono una delle istituzioni più inclini a rafforzare gli atteggiamenti culturali dominanti. Il sostegno istituzionale al pregiudizio spesso non è intenzionale e passa inosservato. Un esempio di pregiudizio istituzionalizzato contemporaneo inosservato è stato studiato dalla Archer: nelle riviste ci sono visi di uomini, al contrario le donne sono raffigurate interamente, focalizzando l’attenzione soprattutto sul corpo. I ricercatori sospettano che il rilievo visivo dato ai volti maschili e ai corpi delle donne rifletta il pregiudizio di genere, infatti, secondo altri studi le persone il cui volto nelle foto è prominente sembrano più intelligenti e ambiziose. Le fonti motivazionali del pregiudizio Frustrazione e aggressività Dolore e frustrazione spesso provocano ostilità. Quando la causa della frustrazione è minacciosa o sconosciuta, spesso l'ostilità è diretta verso un capro espiatorio. Es: durante una crisi le persone sviluppano emozioni e sentimenti negativi verso le minoranze. Quando gli standard di vita sono in crescita, le società tendono a essere più aperte verso le diversità e alle leggi contro le discriminazioni. La pace etnica è più facile da mantenere in tempo di prosperità. Anche le passioni provocano giudizi  persino le minacce rappresentate da gruppi lontani, come le cellule terroristiche, possono alimentare passioni che provocano a loro volta pregiudizi. La competizione è un'importante fonte di frustrazione che può alimentare il pregiudizio. La realizzazione dell'obbiettivo di un gruppo può diventare una frustrazione per l'altro gruppo. La teoria del conflitto realistico del gruppo sostiene che il pregiudizio nasce quando i gruppi competono per risorse insufficienti. Un principio biologico, la legge di Gause, afferma analogamente che la competizione massima è quella tra specie con identici bisogni. Secondo la teoria della deprivazione relativa, anche quando le risorse non sono insufficienti, i gruppi possono competere se percepiscono che altri si trovano in situazioni più vantaggiose. Quando gli interessi si scontrano, il risultato può essere il pregiudizio. Teoria dell’identità sociale: sentirsi superiori agli altri Noi definiamo noi stessi in base ai gruppi ai quali apparteniamo. Il concetto di sé non contiene solo l'identità personale, ma anche l'identità sociale. Turner e Tajfel hanno proposto la teoria dell’identità sociale e hanno osservato che: - Noi categorizziamo - Noi identifichiamo  associamo noi stessi a certi gruppi, i nostri ingroup, e facendolo guadagniamo autostima - Noi confrontiamo  prediligiamo il nostro ingroup rispetto all’outgroup. Avere un senso del “noi” rafforza il concetto di sé, e questo ci fa sentire bene. Non cerchiamo solo il rispetto per noi stessi ma anche l'orgoglio per il nostro gruppo. Inoltre, il considerare il nostro gruppo superiore aiuta a sentirci meglio. Senza identità personale positiva, le persone spesso cercano l’autostima identificandosi in un gruppo, esempio: i ragazzi che si sentono orgogliosi e potenti appartenendo a una gang. Il bias dell’ingroup. Il cerchio che include l’ingroup esclude l’outgroup. Perciò la semplice esperienza del venire raggruppati può promuovere il bias dell'ingroup  è ricollegabile alla situazione degli intergruppi minima. Tajfel e Billing hanno esplorato con alcuni esperimenti come basti poco per provocare favoritismi verso il “noi” e slealtà verso il “loro”. L’esperimento di Klee e Kandinsky dimostra che il solo definire i gruppi, anche sulla base di elementi arbitrari ed 61 effimeri, produce un favoritismo verso l’ingroup. Il bias dell’ingroup è un esempio della ricerca di un concetto di sé positivo. si attiva, permettendo alle persone di raggiungere un'identità sociale più positiva. Anche la formazione di gruppi su basi non logiche (es. il lancio di una moneta) produce la propensione al gruppo. Si è più inclini al bias dell'ingroup quando il nostro gruppo è piccolo e ha uno status inferiore rispetto all'outgroup. Quando il nostro gruppo è di successo, ci si può sentire meglio identificandoci con esso. Gli stereotipi dell'outgroup prosperano quando le persone percepiscono intensamente l'identità del proprio gruppo. Nella volontà di anticipare i pregiudizi contro il nostro gruppo, denigriamo l'outgroup. Il bias dell'outgroup emerge tanto dalla percezione di bontà del proprio gruppo, quanto dalla percezione dell'ostilità dell'altro gruppo. Anche quando non c’è un loro, però, possiamo amare l’ingroup  i forti sentimenti positivi per i nostri gruppi non hanno bisogno di essere rispecchiati da sentimenti altrettanto negativi per l’outgroup. Wolsko e colleghi sostengono che una prospettiva multiculturale piuttosto che una prospettiva che non tiene conto delle caratteristiche razziali o di colore non porta a una percezione più marcata delle differenze tra i gruppi. Inoltre, alcuni degli stereotipi generati dalla multiculturalità sono favorevoli all'outgroup. Il bisogno di status. Lo status è relativo: per percepire di avere uno status si ha bisogno di persone che siano assoggettate a noi. Perciò, un beneficio psicologico del pregiudizio o di qualsiasi sistema di status è la sensazione di superiorità. Le persone il cui status è sicuro hanno meno bisogno di sentirsi superiori. Riflettere sulla propria morte provoca sufficiente insicurezza da intensificare il bias dell'ingroup e il pregiudizio per l'outgroup. Quando pensano alla morte, le persone devono fare i conti con la gestione del terrore  teoria della gestione del terrore: la gestione del terrore è costituita da risposte emotive e cognitive autoprotettive (inclusa un’adesione più decisa alle visioni e ai pregiudizi della propria cultura) di chi è posto di fronte al monito della propria mortalità. Le persone proteggono se stesse dalla minaccia della propria morte screditando quelli che aumentano la loro ansia, sfidando la loro visione del mondo. Quando le persone sono vulnerabili pensando alla propria mortalità, il pregiudizio aiuta a rinforzare un sistema di credenze minacciato. Pensare alla morte, tuttavia, può anche portare le persone a perseguire sentimenti comuni come la solidarietà e l’altruismo. Gli esperimenti confermano la connessione tra l'immagine di sé e il pregiudizio: rafforzate le persone e queste valuteranno più positivamente l'outgroup; minacciate la loro autostima e la ristabiliranno denigrando l'outgroup  un uomo che dubita della propria forza e indipendenza può rinforzare la sua immagine virile proclamando le donne pietosamente deboli e dipendenti. Disprezzare l'outgroup può anche servire a rinforzare l'ingroup: la percezione di un nemico comune unifica il gruppo  per rafforzare l’influenza del nazismo in tutta la Germania, Hitler utilizzò la “minaccia” ebraica. Mikulincer e Shaver sostengono che quando il bisogno di appartenenza è soddisfatto, le persone accettano di più l’outgroup. La motivazione a evitare il pregiudizio persone anziane o sotto effetto di alcool perdono alcune delle loro capacità di inibire pensieri indesiderati e perciò a sopprimere vecchi stereotipi. Nella vita reale, incontrare una persona appartenente a una minoranza può scatenare uno stereotipo che non si riesce a controllare. Un centro di elaborazione dell'emozione nel cervello diventa più attivo quando una persona vede un viso non familiare di un'altra etnia  in un esperimento di Vanman dei bianchi vedevano foto di persone bianche e afroamericane e sebbene i partecipanti dicevano di immaginare di provare più simpatia per gli afroamericani, i muscoli facciali non confermavano tale percezione. Tuttavia, le reazioni di pregiudizio sono evitabili. La motivazione a evitare il pregiudizio può indurre le persone a modificare i pensieri e le azioni. Le persone con un'alta autoconsapevolezza si sentiranno in colpa e cercheranno di inibire le loro risposte basate sul pregiudizio. Anche i pregiudizi inconsci diminuiscono, secondo Devine e colleghi, quando la motivazione delle persone a evitare il pregiudizio è interna (perché il pregiudizio è sbagliato) piuttosto che esterna (perchè non vogliono che gli altri pensino male di loro). Sconfiggere ciò che Devine chiama “l’abitudine al pregiudizio” non è facile, ma si può fare. Le fonti cognitive del pregiudizio Le credenze stereotipate e gli atteggiamenti prevenuti esistono non solo a causa del condizionamento sociale perché permettono alle persone di spostare le ostilità su alcuni gruppi sociali, ma anche come conseguenza dei normali processi di pensiero. Molti stereotipi sono il risultato di una semplificazione dei nostri mondi complessi. La categorizzazione sociale: classificare le persone in gruppi Uno dei modi che usano per semplificare l'ambiente è quello di categorizzare: organizzare il mondo racchiudendo degli oggetti in gruppi. Se le persone di un gruppo hanno delle somiglianze, conoscere la loro appartenenza al gruppo può fornire informazioni con un minimo sforzo. Gli stereotipi a volte offrono un bilancio favorevole tra l’informazione ottenuta e lo sforzo effettuato e possono essere considerati un esempio di efficienza cognitiva. 62 La minaccia dello stereotipo Se vi trovate in una situazione dove gli altri si aspettano una performance scadente da voi, la vostra ansia potrebbe confermare le loro credenze. Il fenomeno della minaccia dello stereotipo è il timore, che si autoconferma, di essere valutati in base a uno stereotipo negativo. A differenza delle profezie che si autoavverano, che inculcano gradualmente il giudizio degli altri nel proprio concetto di sé, le situazioni di minaccia dello stereotipo hanno effetti immediati. In un esperimento venivano mostrate delle pubblicità a dei soggetti che dovevano ricordare più dettagli possibili. Nei video venivano stereotipate le donne: esse venivano descritte “con la testa tra le nuvole”  dopo aver visto le pubblicità le donne dell’esperimento avevano avuto risultati peggiori nello scorgere i dettagli e mostravano meno interesse a intraprendere specializzazioni matematiche o scientifiche. Se dite a degli studenti che sono a rischio di fallimento, lo stereotipo può compromettere la loro prestazione e che si rivolgano a contesti diversi dalla scuola per innalzare la propria autostima. La minaccia dello stereotipo mina la prestazione in almeno tre modi: - stress  la risonanza magnetica funzionale suggerisce che la minaccia dello stereotipo altera le attività cerebrali associate con i processi matematici e aumenta l’attività delle aree associate ai processi emotivi - self-monitoring  preoccupati di commettere errori, interrompiamo l'attenzione focalizzata (il bianco fa attenzione a non sembrare razzista, il nero fa attenzione a non sembrare incompetente) - sopprimendo pensieri ed emozioni indesiderate  lo sforzo richiesto per regolare il proprio pensiero prende energia e distrugge la memoria di lavoro NB: Se le minacce dello stereotipo possono inibire la performance, uno stereotipo positivo può aumentarla. I pregiudizi condizionano il giudizio delle persone? I pregiudizi condizionano il giudizio MA: - i nostri stereotipi a volte confermano la realtà (anche se di solito la distorcono) - quando si conosce abbastanza una persona, gli stereotipi hanno impatto minimale o nullo sul giudizio di essa - le persone valutano i singoli più positivamente dei gruppi di cui fanno parte Con l'informazione generale su un gruppo ed un'informazione superficiale ma vivida su un particolare membro del gruppo, l'informazione vivida copre l'effetto dell'informazione generale. Allo stereotipo generale si sovrappone l’informazione dettagliata. Questo è particolarmente vero quando la persona non corrisponde all’immagine che si ha di un tipico membro del gruppo. Le persone spesso credono agli stereotipi, tuttavia li ignorano quando possiedono informazioni aneddotiche personalizzate. Gli stereotipi forti e apparentemente rilevanti colorano i giudizi sulle persone. Anche quando un forte stereotipo di genere è noto per essere irrilevante, continua a mantenere una forza irresistibile. lo dimostra un esperimento in cui si chiedeva a degli studenti di stimare l’altezza di alcuni uomini e donne: nonostante gli studenti fossero retribuiti in base alla loro precisione, giudicavano più alti gli uomini delle donne, anche quando la loro altezza era uguale. Qualche volta si esprimono dei giudizi o si interagisce con qualcuno, basandosi solo sugli stereotipi posseduti. In tali casi gli stereotipi possono condizionare le interpretazioni e i ricordi delle persone. A volte, addirittura, se non c’è nulla su cui basarsi, gli stereotipi sono importanti. Infine, si valutano più drasticamente le persone il cui comportamento viola i nostri stereotipi. È possibile ridurre il pregiudizio? Vi sono due vie possibili: la prima si colloca su un piano cognitivo individuale, la seconda si pone su un piano gruppale. In merito alla prima possibilità, il pregiudizio può essere ridotto attraverso l'autoregolazione: quando le persone che hanno sviluppato stereotipi in passato, sviluppano nel presente credenze personali contrarie allo stereotipo, avvertono una discrepanza che può indurli a basarsi sulle credenze personali attuali. Secondo Allport, l'interazione tra individui appartenenti a gruppi diversi, nelle condizioni appropriate, riduce il pregiudizio e la tensione fra i gruppi  anche se questa situazione ha creato nel passato politiche di desegregazione razziale. Infatti, Allport specifica che il contatto tra due gruppi differenti può avere effetti positivi solo quando: - è prolungato - richiede il raggiungimento di obbiettivi comuni  il fatto di “produrre” qualcosa insieme produce variazione di atteggiamento - le persone hanno uno status simile e sono sorrette da aiuto sociale e istituzionale quali la legislazione, i costumi, le opinioni comuni. Recentemente la ricerca si è focalizzata sui processi che dal contatto producono cambiamenti negli individui  un ruolo importante lo ricoprono in questo processo le emozioni, le aspettative e soprattutto l’empatia. Il processo di cooperazione ha effetti positivi perché rompe la percezione dicotomica noi/loro e permette alle persone di sviluppare la categoria cognitiva del “gruppo unico”. Se le condizioni favorevoli vengono soddisfatte, il contatto fra membri di gruppi differenti permette agli individui di 65 scoprire la somiglianza di valori e atteggiamenti, ciò conduce a una maggiore comprensione e simpatia reciproca. Tuttavia, sussiste il problema della generalizzazione dell'esperienza positiva: spesso atteggiamenti più positivi si sviluppano nei confronti dei partecipanti reali alla situazione di contatto, ma si hanno cambiamenti molto limitati nei confronti degli altri membri dell'outgroup in generale. 66 67 70 10. Che cos’è l’aggressività? Esso è un comportamento verbale o fisico il cui scopo è causare sofferenza. Non concerne azioni che possono creare sofferenza in modo non intenzionale ed esclude anche atti che provocano dolore come effetto secondario dell’aiutare (es. cure dentistiche). Tale concetto comprende calci, schiaffi, minacce e insulti, persino pettegolezzi e allusioni. Include, inoltre, la distruzione di proprietà e di beni materiali, la menzogna e altri comportamenti aventi come obbiettivo quello di causare sofferenza e dolore ad altre persone. Negli esseri umani vi sono due tipologie di aggressività: - quella ostile, che scaturisce dall'odio e che ha per obbiettivo ferire o danneggiare, è un’aggressività alimentata da rabbia e perpetrata come fine a se stessa. Viene anche definita aggressività affettiva. - quella strumentale, che ha come scopo l'arrecare dolore, ma rappresenta un mezzo per raggiungere un altro fine. Un esempio è il terrorismo, che ha come scopo quello di far ritirare le truppe da quella che è considerata la propria patria. Alcune teorie sull'aggressività. L'aggressività come fenomeno biologico . Teoria istintuale e psicologia evoluzionistica. Freud sosteneva che l’aggressività umana scaturisce da un impulso autodistruttivo. Lorenz sostiene che l’aggressività ha un carattere adattivo. I due studiosi concordavano sul fatto che l’energia aggressiva è istintiva  comportamento istintivo: schema comportamentale innato e non appreso mostrato da tutti i membri di una specie. Ma la teoria istintuale non spiega i livelli di aggressività diversi da persona a persona e da cultura a cultura. Sebbene gli atti aggressivi siano influenzati biologicamente, la propensione umana all'aggressività non si qualifica come comportamento istintivo. Durante tutta la storia dell'uomo, secondo gli psicologi evolutivi Archer e McAndrew, soprattutto gli uomini hanno trovato che l'aggressività poteva essere adattiva, aumentando le probabilità di sopravvivere e riprodursi. L’aggressività è maggiore in adolescenza e nella prima età adulta, quando la competizione per il proprio status è maggiore. Influenze genetiche . L'eredità genetica influenza la sensibilità del sistema neurale alle sollecitazioni aggressive. Il nostro temperamento – ossia il nostro livello di intensità e di reattività emotive - ci viene in parte donato alla nascita ed è influenzato dalla reattività del nostro sistema nervoso simpatico. Studi longitudinali su bambini neozelandesi hanno dimostrato che la formula alla base dei comportamenti aggressivi combina un gene responsabile all'alterazione dell'equilibrio dei neurotrasmettitori con maltrattamenti subiti durante l'infanzia. Geni cattivi o un ambiente cattivo non sono sufficienti, da soli, a favorire una successiva predisposizione all’aggressività e al comportamento antisociale, ma è piuttosto l’eredità genetica a predisporre alcuni bambini a essere più sensibili e reattivi di altri ai maltrattamenti. Natura ed educazione interagiscono tra loro. Non esiste un luogo preciso del cervello deputato al controllo dell'aggressività. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto sistemi neurali che sembrerebbero facilitarne i meccanismi. La corteccia prefrontale agisce come una sorta di freno di emergenza su aree più profonde del cervello coinvolte nei comportamenti aggressivi. Alcune anomalie del cervello possono contribuire a un comportamento abnorme di tipo aggressivo. Influenze biochimiche. La presenza di alcuni composti chimici nel sangue influenza la sensibilità neurale alla stimolazione aggressiva. Alcool  Il consumo di alcol scatena l'aggressività quando gli individui vengono provocati. L'alcol incrementa l'aggressività riducendo l'autoconsapevolezza, focalizzando la loro attenzione sulla provocazione e facendo associare alle persone l'alcol con l'aggressività. Testosterone  L'aggressività umana si collega anche al testosterone, ormone sessuale maschile. È meno probabile che uomini con basso livello di testosterone agiscano in modo aggressivo. Solo se i livelli di testosterone sono bassi si assiste a un rallentamento significativo. Biologia e interazione comportamentale  Il testosterone può facilitare il senso di 71 prevaricazione e l'aggressività, ma anche un comportamento aggressivo può innalzare i livelli di testosterone. Possiamo riassumere dicendo che le influenza neurali, genetiche e biochimiche predispongono alcuni individui a reagire in modo aggressivo a situazioni di conflitto e provocazione. 72 Apprendere osservando. la teoria dell'apprendimento sociale sostiene che gli esseri umani apprendono il comportamento sociale per osservazione e imitazione e mediante un sistema di ricompense e punizioni. Quindi gli esseri umani apprendono l'aggressività osservando gli altri. come accade nella maggior parte dei comportamenti sociali, si acquisiscono atteggiamenti aggressivi guardando agire gli altri e ricordandosi delle conseguenze. Esperimento di Bandura: un bambino che aveva osservato un adulto picchiare un pupazzo di gomma, a sua volta, riproduceva l’azione aggressiva osservata. Bandura ritiene che la vita quotidiana esponga a modelli aggressivi in seno alla famiglia, nell'ambito della sottocultura di appartenenza e tramite i mass media: - la famiglia  in genere, i bambini fisicamente aggressivi hanno avuto genitori fisicamente punitivi. Questi genitori, a loro volta, hanno avuto spesso genitori fisicamente punitivi. Anche le punizioni fisiche più lievi sono legate a una futura aggressività. - la cultura  Anche l'ambiente sociale al di fuori della famiglia offre una serie di modelli. La sottocultura violenta delle bande di adolescenti, per esempio, offre ai giovani modelli aggressivi. Anche la cultura a livello più ampio riveste una certa importanza (ad esempio, è predisposto maggiormente all’aggressività una persona che vive in un sistema non democratico, economicamente sottosviluppato e caratterizzato da forti disparità). Le persone imparano a rispondere in modo aggressivo sia attraverso l'esperienza sia osservando modelli aggressivi. Le azioni aggressive, secondo Bandura, sono motivate da molte esperienze avversive (frustrazione, dolore, insulti). Tali esperienze sollecitano a livello emotivo, ma il fatto di agire in modo aggressivo dipende dalle conseguenze che si prevedono. È più probabile che l’aggressività si verifichi quando si è provocati e quando una risposta di tipo aggressivo appare più sicura e gratificante. Che cosa influenza l’aggressività? Esperienze avversive Gli elementi che innescano l'aggressività spesso includono alcuni tipi di esperienze avversive: dolore e sofferenza, alte temperature ambientali, assalti o sovraffollamento. Dolore e sofferenza Attraverso esperimenti su cavie, i ricercatori scoprirono che la crudeltà che dimostravano gli animali l'uno verso l'altro corrispondeva esattamente alla crudeltà da loro subita. Il dolore acuisce (incrementa) l’aggressività anche negli esseri umani. Berkowitz e colleghi lo hanno dimostrato con un esperimento: alcuni studenti immergevano la mano in acqua gelata o tiepida. Coloro che avevano immerso la mano in acqua gelata riferirono di sentirsi più irritabili e propensi ad aggredire rispetto a coloro che avevano immerso la mano nell’acqua tiepida. Berkowitz sostenne che l'elemento base che innesca l'aggressività ostile è la stimolazione avversiva e non la frustrazione. Di certo la frustrazione costituisce un tipo molto importante di esperienza sgradevole, ma qualsiasi esperienza avversiva è in grado di sollecitare una violenta reazione emotiva, anche il tormento causato da uno stato depressivo. Alte temperature ambientali: Temperature elevate e variazioni climatiche temporanee sono in grado di influenzare il comportamento umano. Odori fastidiosi, fumo di sigaretta e inquinamento sono tutti elementi che sono stati collegati a comportamenti aggressivi. Il fattore climatico più irritante è il caldo. Attacchi e aggressioni: essere aggredito o insultato da un'altra persona sembra essere una circostanza che conduce in modo particolarmente rapido all'aggressività. Provocazione e sollecitazion i Schachter e Singer scoprirono (grazie all’esperimento dell’epinefrina, quello di psico generale) che 75 si è in grado di provare stati fisici di eccitazione in modi diversi  un determinato stato di sollecitazione corporea alimenta un determinato tipo di emozione, a seconda di come la persona interpreta ed etichetta la sollecitazione. Altri studi provano che la sollecitazione non è così emotivamente differenziata. Come riteneva Schachter. le sollecitazioni fisiche alimentano le emozioni: l'eccitazione sessuale ed altre forme di sollecitazione, come la rabbia, possono amplificarsi l'un l'altra. L'amore non è mai così appassionato come dopo un litigio o uno spavento. È stato visto come le persone che ricercano attivamente le sensazioni (sensation seekers) possano essere più facilmente delle persone aggressive. L'eccitazione corporea, combinata con pensieri e con sentimenti ostili, può sfociare in un comportamento aggressivo. Stimoli legati all'aggressività è più probabile che la violenza si manifesti quando alcuni stimoli legati all'aggressività scatenano sentimenti di rabbia repressa. La vista di un'arma da fuoco è uno di tali stimoli: coloro che custodiscono un'arma in casa, hanno più probabilità di venire uccisi o di suicidio. Pistole e armi da fuoco, in genere non rappresentano solo segnali di aggressività, ma creano una distanza psicologica tra vittima e aggressore. Come ci insegnano gli studi condotti da Milgram sull’obbedienza, la distanza dalla vittima facilita la crudeltà  è più probabile un uccisione attraverso armi da fuoco rispetto a un uccisione attraverso un coltello, questo richiede una dose maggiore di vicinanza alla vittima. Influenza dei media: la televisione Gli studi dedicati ad aggressività e televisione hanno l'obbiettivo di identificare effetti più sottili e pervasivi degli abituali omicidi “per imitazione” che catturano l'attenzione del pubblico e, in particolare, si chiedono in che modo la tv influisca sul comportamento e sul pensiero degli spettatori. Effetti della televisione sul comportamento . Correlazione comportamento-visione programmi televisivi. Storie criminali non costituiscono prove scientifiche, quindi, i ricercatori utilizzano studi correlazionali e sperimentali per esaminare gli effetti della visione di programmi con scene di violenza. Più sono violenti i contenuti dei programmi televisivi guardati e più i bambini risultano aggressivi. Ma la relazione causa-effetto funziona anche nella direzione opposta: è possibile che i bambini aggressivi preferiscano programmi aggressivi. Forse un terzo fattore sottostante, come, per esempio, un minor grado di intelligenza predispone alcuni bambini a preferire sia i programmi aggressivi sia il comportamento aggressivo. Studi di follow-up hanno rilevato la presenza di una correlazione tra: - visione di scene violente a 8 anni con lo sviluppo di comportamenti aggressivi a 30 - visione di scene violente da adolescenti e probabilità futura di rendersi colpevoli di aggressività, furto e minacce di morte - visione di scene violente di bambini in età scolare e frequenza del loro coinvolgimento in litigi e zuffe quando venivano studiati nuovamente da due a sei mesi dopo. Internet permette un più ampio ventaglio di opzioni per vedere la televisione come, per esempio, video violenti, immagini violente, e permette di creare e distribuire contenuti violenti ed aggredire gli altri attraverso atti di bullismo. Perché guardare la tv influenza il comportamento? Sono state prese in esame 3 possibilità: 1. non sono i contenuti brutali a causare la violenza sociale, bensì la sollecitazione da essi prodotta  un certo tipo di sollecitazione infonde energia ad altri comportamenti. 2. La visione di contenuti violenti disinibisce. Assistere a scene di violenza sollecita lo spettatore ad adottare un comportamento aggressivo mediante l'attivazione di pensieri collegati alla violenza (come nell’esperimento di Bandura). Lo stesso accade con canzoni 76 con testi violenti. 3. Le immagini veicolate dai media suscitano imitazione. Aspetto positivo: la creazione di comportamenti presociali, cioè un comportamento sociale costruttivo e utile, da parte della tv dovrebbe rivelarsi vantaggiosa per la società. Effetti della televisione sul pensiero . I ricercatori hanno anche esaminato le conseguenze a livello cognitivo della visione di scene o atti violenti: •Desensibilizzazione: se si somministra più volte uno stimolo che suscita un'emozione (es. termine osceno) la risposta emotiva finisce per estinguersi. Gli adolescenti di oggi sembrano aver decisamente ridotto la loro sensibilità rispetto alle raffigurazioni di violenza se 77 verifichino e insegnare strategie non aggressive per risolvere i conflitti. Le punizioni fisiche possono inoltre avere gravi effetti collaterali. La punizione costituisce una stimolazione avversiva e offre un modello del comportamento che si cerca di prevenire. Per cercare di realizzare un mondo più gentile e meno cruento, si potrebbe modellare e ricompensare sensibilità e cooperazione fin dalla prima infanzia. 80 CAPITOLO 11 RELAZIONI INTERPERSONALI SIGNIFICATIVE CHE COSA SONO LE RELAZIONI INTERPERSONALI SIGNIFICATIVE? Ognuno di noi è coinvolto in relazioni interpersonali significative (close relationship), siano esse relazioni sentimentali, di amicizia, ma anche con i familiari. Tutte permettono di soddisfare il nostro bisogno di appartenenza. Possiamo distinguere le relazioni di scambio dalle relazioni di condivisione. Mentre nelle prime c'è uno scambio di favori, nelle seconde c'è sempre uno scambio, ma basato maggiormente sui bisogni dell'altra persona. Nelle prime si restituiscono i favori, nelle seconde l'attenzione è posta sull'obbligo morale e/o sul desiderio di prendersi cura dei bisogni dell'altro. Baumeister e Leary avevano parlato di bisogno di appartenenza come derivato da un bisogno di dipendenza reciproca. Kelly e colleghi, però, lo considerano più come una mutua influenza. Se una relazione con un'altra persona è caratterizzata da una forte mutua influenza, da un'alta frequentazione, da reciprocità, da condivisione e da interdipendenza, allora può essere definita una relazione significativa o profonda. Le relazioni profonde cambiano nel tempo e si possono distinguere rispetto a 3 caratteristiche: - La permanenza delle relazioni interpersonali significative: le relazioni non permanenti richiedono un maggior impegno per essere mantenute nel tempo mentre spesso non ci si concentra nel trattare bene un fratello, in quanto esso rimane comunque sempre legato a noi. - Il potere: descrive la struttura gerarchica che caratterizza la relazione. Si possono avere relazioni ugualitarie, oppure relazioni verticali. Le relazioni in cui è la reciprocità a essere importante sono dette relazioni orizzontali. - Il genere: tale caratteristica riflette sia la composizione sessuale della diade, sia il fatto di avere uno stile relazionale più mascolino, più femminino o più tradizionale. Accanto a ciò, è evidentemente diverso se c'è un'attrazione sessuale o meno tra i membri della diade relazionale. Queste 3 caratteristiche permettono di descrivere una relazione profonda. LO SVILUPPO DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI SIGNIFICATIVE Come iniziano le relazioni interpersonali significative? La vicinanza: ci piacciono le persone più vicine a noi. La vicinanza, o prossimità geografica, predice fortemente la simpatia ed è un ottimo predittore dell'inizio di un'eventuale amicizia o amore fra due persone. Ancora più significativa della distanza geografica è la distanza funzionale, ossia quanto spesso le strade delle persone si incrociano à l’interazione permette alle persone di esplorare le loro similitudini, di provare una reciproca simpatia e di percepirsi come un’entità sociale. Anche la simpatia anticipatoria (aspettarsi che qualcuno sarà piacevole) aumenta la possibilità di formare una relazione soddisfacente. L’attesa di incontrare qualcuno aumenta la simpatia. Il fenomeno è adattivo. L’esser condizionati a farci piacere quelli che vediamo spesso è un vantaggio, perché le nostre vite sono piene di relazioni con persone che non abbiamo scelto (zii, genitori, colleghi ecc.). La vicinanza induce la simpatia non solo perché permette l'interazione e una simpatia anticipatoria, ma anche per un'altra ragione: una maggiore conoscenza non genera disprezzo, anzi promuove l'affetto à effetto della mera esposizione, ossia la tendenza a preferire o a valutare più positivamente i nuovi stimoli dopo un'esposizione ripetuta ad essi à esperimento di Zajonc: espone degli studenti a parole senza senso, ideogrammi cinesi e visi. Risultato: i soggetti preferivano la parola, gli ideogrammi o i visi che vedevano più frequentemente. La mera esposizione ha un effetto anche più forte quando le persone ricevono degli stimoli senza esserne consapevoli. L'effetto della mera esposizione ha un significato adattivo enorme e predispone l'attrazione e l'attaccamento. L'attrazione fisica. Secondo Murstein le persone instaurano relazioni con partner che sono attraenti quanto loro, con un livello di bellezza fisica simile al loro. Questo fenomeno è detto fenomeno del matching à tendenza di uomini e donne a scegliere partner che si abbinino bene con loro quanto ad attrattività e ad altre caratteristiche. Il fatto che la bellezza fisica abbia un ruolo così rilevante è dovuto anche al bias della bellezza a cui siamo soggetti à Clifford e Walster diedero a un gruppo di insegnanti le stesse informazioni su alcuni bambini/e. Veniva allegata, inoltre, una foto del bambino di 81 cui si stava parlando. Nonostante le informazioni fossero per tutti uguali, gli insegnati valutavano i bambini più attraenti come più intelligenti e capaci a scuola. Queste e altre ricerche hanno aiutato a definire Lo stereotipo della bellezza fisica, cioè la presunzione che le persone attraenti da un punto di vista fisico posseggano anche altri tratti socialmente desiderabili (bello è buono). In questo stereotipo vi è, però, un fondo di verità: i bambini e i giovani attraenti sono più rilassati, estroversi e socialmente abili. Se è vero che i parametri della bellezza cambiano in parte da cultura a cultura, è anche vero che permane un alto livello di accordo su chi sia da considerarsi attraente o meno anche tra culture diverse. Per essere belli, occorre essere perfettamente nella media. La somiglianza. la somiglianza determina la piacevolezza delle persone. Quando gli altri pensano come noi, non solo apprezziamo ciò che pensano, ma facciamo anche delle inferenze positive sulle loro caratteristiche personali. Quando qualcuno agisce come noi, ci piace. Molti di noi cercano persone che possano condividere i pensieri, gli atteggiamenti e le sensazioni. Tutti noi partiamo dal presupposto che gli altri siano simili a noi (bias del falso consenso). Di conseguenza, quando qualcuno non lo è allora non ci piace, soprattutto quando le differenze riguardano le nostre convinzioni morali. La somiglianza è ciò che porta alla piacevolezza, non la complementarietà (cioè il grado con cui due persone in relazione si completano vicendevolmente) à non è vero che gli opposti si attraggono. Quando sono all’interno del proprio gruppo di appartenenza i soggetti si aspettano di essere simili à questo spiega perché due amici che condividono la stanza o due partner diventino man mano più simili nelle risposte emotive e negli atteggiamenti. L’allineamento degli atteggiamenti promuove e sostiene a relazione profonda e tale fenomeno può condurre i soggetti a sovrastimare la loro somiglianza. La reciprocità: ci piacciono coloro a cui piacciamo. La vicinanza e il fascino influenzano la nostra iniziale attrazione per qualcuno e la somiglianza influenza pure l'attrazione a lungo termine. È la simpatia della persona per l’altra a indurre l’altra a restituire l’apprezzamento: scoprire che una persona attraente prova davvero simpatia per voi sembra risvegliare in voi sentimenti romantici. Noi siamo sensibili al più piccolo accenno di critica à l’informazione negativa è molto più pesante perché, essendo meno comune, attira di più l’attenzione. Le persone talvolta si innamorano profondamente dopo un rifiuto che ha ferito l'io. Sfortunatamente, le persone con bassa autostima tendono a sottostimare l'apprezzamento del loro partner e hanno anche una visione meno generosa del partner: per queste ragioni si sentono meno felici nella relazione. Se vi sentite bene con voi stessi è più probabile che vi sentiate sicuri della stima del vostro partner. Aronson ipotizza che un'approvazione costante possa perdere valore, divenire inefficace. È difficile gratificare un/a innamorato/a che avete costantemente elogiato, ma è facile ferirlo/a. Nella maggior parte delle interazioni sociali, noi autocensuriamo i nostri sentimenti negativi. Perciò alcune persone non ottengono feed-back correttivi à queste persone vivono in un mondo di piacevoli illusioni e continuano a comportarsi in modi che alienano la possibilità di avere amici. Quando siamo innamorati, siamo inclini a trovare chi amiamo non solo fisicamente ma anche socialmente attraente. MA chi ama realmente è onesto con noi, nonostante cercherà anche di vederci in modo positivo. Come si sviluppano le relazioni interpersonali significative? Quando una persona ci piace cerchiamo di sviluppare la relazione con lei affinché da semplice conoscenza diventi una persona importante per la nostra vita, soddisfi il nostro bisogno di appartenenza. Una relazione profonda è anche quella in cui la fiducia rimuove l'ansia e ci si sente liberi di aprirsi senza paura di perdere l'affetto dell'altro. Tali relazioni sono caratterizzate dallo svelamento di sé (self-disclosure), ossia l'apertura di sé all'altro, il rivelare aspetti intimi di sé stessi agli altri. La teoria della penetrazione sociale sostiene che lo sviluppo delle relazioni attraversa alcune fasi che fanno approfondire sempre di più la relazione. Le ricerche mostrano che siamo contenti quando una persona generalmente riservata, ci sceglie per dirci qualcosa. Non solo ci piace chi si rivela, ma ci apriamo a chi ci piace. Quali effetti hanno queste rivelazioni su chi le riceve? Il risultato più evidente è l'effetto della reciprocità della rivelazione: l'aprirsi genera apertura, l’apertura diventa reciproca. 82 - L'amore solidale: è un amore-amicizia come si ritrova nei rapporti di lunga durata, dove la passione si è spenta ma restano l'intimità e l'impegno. 85 - Amore completo e vissuto: è il frutto di un'elevata porzione di tutte e tre le componenti. Teorie evolutive Le teorie evolutive si sono occupate di studiare da un lato i processi legati all'evoluzione della specie che spiegano le origini del perché e del come l'uomo si relaziona agli altri (teorie evoluzionistiche), dall'altro i processi che permettono al bambino e all'uomo di crescere e relazionarsi, processi che si focalizzano sul legame speciale che il bambino ha con la madre (teorie dell'adattamento). L’amore è una necessità biologica. Poiché sono stati gruppi di persone e non i singoli individui a sopravvivere e a riprodursi, noi oggi trasportiamo alcuni geni che predispongono a tali legami. Allo stesso modo si sono sviluppati e tramandati altri processi relazionali che di solito caratterizzano il modo di relazionarsi delle donne e degli uomini. Le ricerche hanno evidenziato che le donne scelgono i loro partner con più cura di quanto facciano gli uomini. Secondo le teorie evoluzionistiche, questo accade perché il numero dei figli che un uomo o una donna possono avere è diverso a parità di numero di rapporti sessuali. Le teorie evoluzionistiche, però, attribuiscono anche una grande importanza alla cultura. Ci possiamo aspettare che in un prossimo futuro anche le strategie relazionali cambino a seguito dei cambiamenti culturali in atto e quindi anche delle diverse strategie adattive che ci caratterizzeranno. I legami che ci caratterizzano da adulti sono in un certo senso lo specchio di quelli che avevamo da bambini con la nostra mamma, almeno secondo la teoria dell'attaccamento. La nostra dipendenza infantile rafforza i nostri legami adulti. à i ricercatori hanno confrontato la natura dell’attaccamento e l’amore in varie tipologie di relazione profonde. Alcuni elementi sono comuni: la comprensione reciproca, il dare e ricevere sostegno, l’apprezzamento e il piacere di stare con la persona amata. Lo stile che è alla base dell’attaccamento all’altro nella relazione è anch’esso un aspetto comune che si ritrova sia nella relazione madre-bambino sia nelle relazioni d’amore tra adulti. Circa 7 bambini su 10, e quasi altrettanti adulti, mostrano un attaccamento sicuro, ossia un attaccamento radicato nella fiducia e contrassegnato dall'intimità. Le persone con uno stile di attaccamento preoccupato, detto anche ansioso-ambivalente, ossia contrassegnato dalla sensazione di non valere e da ansia, ambivalenza e possessività, hanno aspettative positive verso gli altri ma il senso di non valere; spesso non sono fiduciosi e perciò più possessivi e gelosi, possono rompere una relazione ripetutamente con la stessa persona e quando affrontano i conflitti diventano emotivi e arrabbiati. Le persone con una visione negativa degli altri esibiscono uno stile di attaccamento rifiutante o timoroso. L’attaccamento rifiutante è uno stile di relazione evitante caratterizzata dalla sfiducia negli altri. l’attaccamento timoroso è uno stile di relazione evitante contrassegnata dalla paura del rifiuto. Alcuni ricercatori attribuiscono questi tipi di attaccamento alla responsabilità genitoriale, altri pensano dipendano da fattori ereditari. In qualunque caso, comunque, i primi stili di attaccamento gettano le fondamenta per le relazioni future. Le teorie sociocognitive Non sempre uno stesso comportamento viene interpretato allo stesso modo dalla stessa persona. Spesso accade che consideriamo i nostri comportamenti e le nostre reazioni come l'effetto delle pressioni esterne a cui siamo soggetti, ma utilizziamo invece un altro peso e un'altra misura se dobbiamo giudicare il comportamento altrui. Quest'ultimo viene più spesso attribuito a caratteristiche interne del nostro partner à questo aspetto attore/osservatore è pregnante nelle relazioni profonde perché spesso i partner sono d’accordo sul comportamento osservato, ma non sulle ragioni per cui tale comportamento è stato messo in atto. Non solo interpretiamo in modo differente i comportamenti se siamo noi gli attori o meno, ma ci attribuiamo il merito per ciò che facciamo per la relazione e minimizziamo i nostri errori, in accordo con il bias che ci autofavorisce. I nostri comportamenti dipendono anche dalla nostra rappresentazione della relazione particolare con un'altra persona. È esperienza comune quella di comportarsi in modo diverso con persone diverse. questo perché si hanno rappresentazioni cognitive diverse delle varie relazioni; questa rappresentazione cognitiva è detta schema relazionale. Esso è composto da 3 aspetti: - schema di sé à la nostra rappresentazione di come noi solitamente ci comportiamo quando siamo con gli altri. - schema del partner à rappresentazione di come l’altro si relaziona quando è con 86 le altre persone. Se abbiamo un certo schema dell’altro, ci comporteremo con lui di conseguenza. 87 Le teorie psicodinamiche Alcuni autori psicodinamici hanno focalizzato l'attenzione sulle dinamiche inconsce che guidano la scelta del partner e organizzano il funzionamento della coppia. Tutti gli autori di orientamento psicoanalitico concordano nel definire tre aspetti peculiari della coppia: - l'esistenza di una membrana o confine che differenzia l'esterno dall'interno della coppia à il concetto di membrana indica indicare lo spazio interno della coppia separato simbolicamente da tutto il resto. Nella psicologia sociale questo stesso fenomeno è stato approfondito da Aron, Paris e Aron (1995) à l'esperienza dell'innamoramento è dirompente perché promuove un livello di auto-cambiamento: si passa da un "vecchio” schema del Sé a un “nuovo” schema del Sé che integra alcuni aspetti del partner. Il processo di inclusione dell’altro nel proprio sé è stato reso evidente nel test dei cerchietti: - la collusione tra i membri à s'intende una sorta di complicità inconscia, un accordo reciproco che determina un rapporto complementare nel quale ciascuno accetta di sviluppare delle parti di Sé conformemente ai bisogni dell’altro, rinunciando a svilupparne altre che proietta nel compagno. - le motivazioni inconsce della scelta del partner à , già Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) esamina le scelte inconsce che ne guidano il processo: (1) amiamo ciò che siamo; (2) amiamo ciò che siamo stati; (3) amiamo ciò che vorremmo essere. Queste schematizzazioni freudiane sono rimaste come base della comprensione attuale della scelta del partner anche se le posizioni sono evolute e ampliate rispetto a una visione più relazionale e meno centrata sull'individuo. La scelta del partner si è rivelata un fenomeno complesso, a volte difensivo e a volte compensativo. Perché finiscono le relazioni? Quando le relazioni sono difficili, chi non ha alternative migliori o chi si sente coinvolto in un'altra relazione cercherà delle alternative al porre fine alla relazione. Alcune persone esibiscono fedeltà, aspettando che la situazione migliori. Altri esibiscono noncuranza; ignorano i partner e permettono il deterioramento della relazione. Altri ancora danno voce alle loro preoccupazioni e fanno dei passi per migliorare le situazione. Il conflitto Le modalità e l'esito del conflitto dipendono dalle caratteristiche della relazione coinvolta nel conflitto. Se la relazione è di tipo cooperativo è più probabile che i partner nella relazione utilizzino strategie costruttive per giungere a una risoluzione positiva del processo stesso. Una relazione competitiva favorirà una conduzione distruttiva del processo conflittuale. Gli stili costruttivi di conflitto possono portare a un esaurimento del conflitto a seguito del quale i partner della relazione giungono a una riconciliazione emotiva. Gli stili competitivi conducono a un esito negativo dato da un incremento di intensità, da un aumento delle questioni conflittuali che porta i partner a sperimentare tensioni, risentimenti, incomprensioni. 90 Gli uomini sono più portati a evitare il conflitto, mentre le donne preferiscono strategie più orientate al compromesso e alla prosocialità. Il perdono aiuta a incrementare la vicinanza nella relazione e conduce a una positiva qualità della relazione. Il processo del distacco La rottura dei legami è seguita da una sequenza prevedibile che inizia con le preoccupazioni verso il partner perduto, seguita da una profonda tristezza e, alla fine, dall'inizio del distacco emotivo. È raro che gli attaccamenti profondi e duraturi si rompano velocemente; separarsi è un processo, non un evento. Tra le coppie di fidanzati, più la relazione è stretta e lunga e minori sono le alternative disponibili, più è dolorosa la rottura. Mesi e anni dopo, le persone ricordano un dolore maggiore per aver rifiutato l'amore di qualcuno che per essere state rifiutate. La loro angoscia nasce dalla colpa di aver creato dolore a qualcuno. Non sono le afflizioni e le liti a predire il divorzio, ma è l'esser freddi, disillusi e senza speranza a predire un brutto futuro matrimoniale. CAPITOLO 12 – COMPORTAMENTO PROSOCIALE E ALTRUISMO Perché aiutiamo gli altri? Scambio sociale e norme sociali: a lungo termine, il comportamento teso ad aiutare gli altri è vantaggioso sia per coloro che lo offrono sia per coloro che ne beneficiano. Quando si agisce in tal modo, siamo guidati da una sorta di economia sociale, basata sullo scambio sociale (di beni materiali e relazionali) utilizzando una strategia mini-max, ossia si riducono al minimo i costi e si massimizzano le gratificazioni. Nonostante la dinamica sia inconscia, sappiamo che costi e vantaggi lasciano un certo margine di prevedibilità al nostro comportamento. Secondo la teoria dello scambio sociale, tali sottili calcoli precedono la decisione degli individui aiutare o non aiutare. •Ricompense: le ricompense che motivano l'aiuto possono essere esterne o interne. Se ricompensa è di tipo esterno, si dà per ricevere; se è di tipo interno, prestare aiuto incrementa la nostra autostima (ti fa sentire bene con te stesso). Chi è impegnato nel sociale è meno coinvolto nei comportamenti a rischio e sarà più predisposto a diventare un cittadino responsabile, oltretutto migliora il morale e la salute. Donare aumenta la felicità. Le teorie che hanno a che fare con gratificazioni e vantaggi sottintendono che un atto d'aiuto non è mai genuinamente altruistico. Esiste, comunque, un punto debole nella teoria delle gratificazioni. L'idea che l'interesse personale motivi ogni comportamento è caduta in discredito. L'approvazione sociale motiva l'azione di aiuto. •Ricompense interne: i vantaggi dell'aiuto includono una serie di autogratificazioni interiori. Vicino a qualcuno che soffre, si può provare pena e sofferenza. Pena e sofferenza non sono le uniche emozioni negative che spingono ad agire: un'altra emozione è il senso di colpa. Il voler compiere buone azioni dopo averne fatte di riprovevoli riflette il bisogno di attenuare il senso di colpa personale e di ristabilire l'immagine del nostro sé compromessa. Motivandogli individui a confessare, scusarsi ed aiutare a evitare di ripetere il comportamento nocivo si incrementa l'empatia e si favoriscono relazioni più strette. Compiere buone azioni aiuta a neutralizzare le sensazioni negative. Un dolore profondo, però, raramente genera compassione. Però sentirsi male non conduce sempre a buone azioni; Coloro che hanno perso un coniuge o un figlio vanno spesso incontro a un periodo di intensa involuzione su se stessi, che impedisce loro di donare agli altri. Le persone tristi possono essere desiderose di rendersi utili al prossimo se non sono concentrate solo su se stesse a causa di una depressione o di un'intensa sofferenza. Per quanto riguarda le persone felici esse sono spesso pronte a prestare aiuto. Aiutare addolcisce le sensazioni negative e rinforza il buon umore. Un umore positivo conduce a pensieri positivi e aumenta l'autostima, elementi che ci predispongono a un comportamento altrettanto positivo. In sintesi: se sei di cattivo umore  buona azione conduce a miglioramento dell’umore; se sei di buon umore  pensiero positivo porta ad azioni positive. Se sei depresso te la vivi male e basta. .•Norme sociali: spesso si aiutano gli altri perchè qualcosa ci dice che si dovrebbe farlo. Le norme sono aspettative sociali che prescrivono i comportamenti considerati appropriati. Sono state individuate due norme sociali che motivano l'altruismo: la norma di reciprocità e la norma della responsabilità sociale. La norma di reciprocità è l'aspettativa in base alla quale gli individui presteranno soccorso e aiuto, e quindi non danneggeranno coloro da cui hanno ricevuto aiuto e soccorso (ricevere senza contraccambiare corrisponde auna violazione della norma di reciprocità, fenomeno che a volte vediamo nelle coppie). La reciprocità all'interno delle reti sociali aiuta a definire il capitale sociale, ossia il mutuo supporto e cooperazione resi possibili mediante una rete sociale, quindi tutte quelle risorse e norme che facilitano il coordinamento e la cooperazione per il beneficio della comunità (per semplificare si può definire il capitale sociale come un bene relazionale basato su legami sociali e sulla fiducia). La norma opera con maggiore efficacia quando le persone, a seguito di azioni a loro favore e di cui sono stati precedentemente protagonisti, si trovano a restituire pubblicamente. Ci sono tuttavia situazioni in cui le persone possono sentirsi minacciate e sminuite nell’accettare aiuto  noi dovremmo offrire ai nostri figli e ai nostri amici il supporto necessario ma non così tanto da minare il loro senso di competenza. Il supporto dovrebbe sostenere piuttosto che sostituire l’azione dell’altro. La norma di responsabilità sociale è il dovere morale che prescrive ad aiutare le persone che dipendono dal nostro intervento (es. raccogliere un libro caduto a una persona in stampelle) si è dimostrato che la norma di responsabilità sociale è più sentita nei paesi collettivisti piuttosto che quelli individualisti. Le persone si considerano obbligate ad aiutare anche quando la necessità non è imperativa o quando la persona bisognosa è estranea dalla propria cerchia familiare. Se la persona è vittima delle circostanze allora è giusto essere generosi senza riserve; se invece sembra essere responsabile dei propri problemi, la norma suggerisce che non meritano aiuto. Quanto conta il genere? Le donne ricevono più aiuto degli uomini poiché vengono percepite come meno competenti e più dipendenti. Le donne oltretutto sono più inclini a cercare aiuto.  Approccio evoluzionistico: la psicologia evoluzionistica sostiene che l'essenza della vita sia la sopravvivenza genetica. Il nostro patrimonio genetico ci giuda attraverso modalità adattive che ne ottimizzano la  Chi aiuta?  Tratti di personalità: di fronte a situazioni identiche, alcune persone rispondono con atti di aiuto o altruismo e altri non si preoccupano di reagire. Chi siamo influenza ciò che facciamo. I ricercatori hanno scoperto alcune differenze individuali nelle attività di aiuto e mostrano che tali differenze permangono nel tempo e vengono notate da altre persone. Alcune persone sono più predisposte all'aiuto di altre. In secondo luogo, i ricercatori hanno individuato una costellazione di tratti di personalità che predispone una persona ad aiutare. Le persone con un alto livello di emotività positiva, empatia e autoefficacia hanno maggiori probabilità di mostrarsi preoccupate ed utili. La generatività, ovvero la tendenza a prendersi cura delle generazioni successive alla propria, è una caratteristica stabile di chi fornisce aiuto. In terzo luogo, la personalità influenza il modo in cui alcune persone reagiscono a situazioni specifiche. Le persone con un alto livello di automonitoraggio sono più inclini ad assecondare le aspettative altrui e si rivelano perciò predisposti all'aiuto se pensano che il loro gesto potrà essere ricompensato da un punto di vista sociale. Quando ci si trova a dover affrontare situazioni potenzialmente pericolose, gli uomini prestano aiuto più delle donne. In situazioni meno pericolose invece, le donne risultano più inclini a prestare aiuto e risultano anche più generose, esse supportano maggiormente i programmi governativi che distribuiscono ricchezze e sono anche più propense a condividere la propria. Fede religiosa: le persone impegnate dal punto di vista religioso hanno riferito di impiegare più ore in attività di volontariato rispetto alle persone non motivate dalla fede religiosa. L'appartenenza a gruppi religiosi risulta più strettamente associata ad altre forme di impegno civico, come andare a votare, operare in progetti a servizio della comunità, parlare con i vicini e beneficenza rispetto ad altre forme partecipative.  Com'è possibile incrementare l'altruismo? Ridurre l'ambiguità, incrementare la responsabilità: sollecitare le persone a interpretare un incidente correttamente e ad assumersene la responsabilità conduce a un incremento dell'impegno. Un approccio personale ci fa sentire meno anonimi e più responsabili. La tendenza ad aiutare risulta inoltre incrementata quando ci si aspetta di incontrare nuovamente la vittima e gli altri testimoni. Tutto ciò che personalizza l'esperienza degli spettatori (richiesta personale, contatto visivo, dichiarazione del proprio nome, anticipazione di un'interazione) incrementa la volontà di prestare aiuto. Essere trattati in modo personale rende gli spettatori più consapevoli e quindi più sintonizzati sui propri ideali altruistici. Gli individui consapevoli di sé mettono più spesso in pratica i propri ideali. Senso di colpa e preoccupazione per l'immagine di sé: gli individui che si sentono in colpa sono più propensi a fornire aiuto. Le persone hanno a cuore anche la propria immagine pubblica. La tecnica della “porta in faccia” è una strategia per ottenere una concessione  dopo che qualcuno nega una prima richiesta considerevole, la stessa persona che ha avanzato la richiesta propone una contro-offerta basata su una richiesta più ragionevole (che viene generalmente accolta). Robert Cialdini e David Schroeder suggeriscono un altro modo per sollecitare la preoccupazione per l'immagine di sé: chiedere un contributo così modesto da rendere difficile rifiutare senza sentirsi spilorci (ad esempio con la frase “anche solo un centesimo sarebbe d’aiuto” hanno notato una maggiore aderenza alla donazione). Inoltre, etichettare una persona come altruista può rafforzare un'immagine di sé come persona altruista, spingendo quella persona a donare nuovamente. La diffusione dell'altruismo a livello sociale: possiamo diffondere l'altruismo a livello sociale in 5 modalità: 1. insegnare l'inclusione morale: inclusione morale consiste nell'includere le persone diverse da sé all'interno della cerchia di persone a cui si applicano i propri valori e le proprie regole di giustizia. L'esclusione morale, ossia l'omissione di determinate persone dalla cerchia delle proprie preoccupazioni morali, giustifica ogni sorta di sofferenza inflitta. L'esclusione morale descrive coloro che concentrano preoccupazioni, favori ed eredità economica sulla propria gente a esclusione di tutti gli altri. Un primo passo per la diffusione dell'altruismo è perciò contrastare il bias naturale di appartenenza a un gruppo, che porta a favorire i propri consanguinei e la propria tribù. Gli insegnamenti religiosi assolvono ad esempio tale compito, introducendo il concetto di fratellanza. 2. Creare modelli di altruismo: se siamo testimoni o leggiamo di qualcuno che ha prestato aiuto, siamo più predisposti a offrire il nostro aiuto. È meglio pubblicizzare la diffusione dell'onestà, la pulizia e l'astinenza. I modelli televisivi prosociali hanno avuto effetti ancora più rilevanti rispetto ai modelli antisociali. Anche alcuni videogiochi a sfondo prosociale e l'ascolto di alcune canzoni hanno effetti positivi. 3. Imparare facendo (learning by doing): il comportamento immorale alimenta atteggiamenti immorali, così l'altruismo incrementa i futuri gesti d'aiuto e solidarietà. Quando i bambini aiutano, sviluppano valori, credenze e abilità legati a questo tipo di azioni. Il fornire aiuto, inoltre, soddisfa il bisogno di una considerazione di sé positiva. Le azioni d'aiuto promuovono l'autopercezione di essere attenti alle esigenze degli altri, fatto che a sua volta alimenta altri gesti d'aiuto. 4. Attribuire i comportamenti d'aiuto alle motivazioni altruistiche: un'altra possibile indicazione per diffondere l'altruismo deriva da una ricerca sull'effetto di sovragiustificazione, ossia il risultato dell'azione di condurre qualcuno a fare qualcosa che già desidera fare; in seguito, tale individuo potrà considerare le proprie azioni come controllate dall'esterno piuttosto che intrinsecamente allettanti.  se la persone ha una percezione di sé altruistica sarà più propensa ad aiutare nuovamente rispetto a una persona che ha aiutato perché ha sentito la pressione di doverlo fare. Le persone devono sentire di prestare aiuto in modo spontaneo perché questo le fa sentire più altruiste. in più, un complimento inatteso può far sentire una persona competente e degna di stima. Per predisporre di un maggior numero di persone a prestare aiuto in situazioni in cui la maggior parte di essi si comporta invece diversamente, può anche risultare efficace indurre in impegno positivo provvisorio a partire dal quale le persone possano inferire la propria inclinazione ad aiutare. 5. Conoscere i meccanismi che regolano l'altruismo: via via che gli individui diventano più consapevoli delle scoperte nel campo della psicologia sociale, il loro comportamento può mutare. Una volta che le persone capiscono perchè la presenza di spettatori occasionali inibisce le offerte di aiuto, diventano più inclini a prestare aiuto in situazioni di gruppo CAPITOLO 13 – CONFLITTO E RICONCILIAZIONE Trappola sociale: situazione in cui le parti di un conflitto, in cui ciascuno persegue razionalmente il proprio interesse, vengono intrappolate in un comportamento reciprocamente distruttivo. Gli esempi includono il dilemma del prigioniero e la tragedia delle risorse comuni. Dilemma del prigioniero: storia: il procuratore sa che entrambi gli accusati sono colpevoli, ma non ha abbastanza prove per la condanna, così escogita un incentivo per indurre ognuno a una confessione: -se il prigioniero A confessa e il prigioniero B non confessa, il prorcuratore garantisce l’immunità ad A e usa la sua confessione per condannare B alla pena massima. (e viceversa se B confessa e A non confessa) - se entrambi confessano, ognuno riceve una pena moderata -se nessuno dei confessa, ognuno è accusato di un crimine minore e riceve una condanna lieve Molte persone sostengono che confesserebbero per garantirsi l’immunità, anche se la non confessione di entrambi avrebbe come conseguenza pene più miti della confessione comune. questo perché non importa quello che l’altro decide, è comunque meglio confessare che essere condannato individualmente, infatti se entrambi lo fanno la sentenza sarà moderata, anziché severa, se l’altro invece non confessa si ottiene la libertà. Tra tutte le decisioni quella del tradimento rappresenta la posizione migliore, perché sfrutta la cooperazione degli altri o protegge da un possibile sfruttamento. Bisogna osservare che, non cooperando entrambe le parti finiscono peggio che se avessero avuto la recirpca fiducia ottenendo così un vantaggio comune Questo dilemma intrappola entrambi i giocatori, pur capendo che potrebbero avere benefici comuni, impossibilitati a comunicare e diffidenti gli uni verso gli altri, spesso si imprigionano assenza di collaborazione. (L’esperimento fu ripetuto in laboratorio con degli studenti universitari, con delle varianti che sostituivano gli anni di prigione con denaro o crediti scolastici) La tragedia delle risorse comuni: Def le risorse comuni sono qualsiasi risorsa condivisa, incluse acqua, aria, fonti energetiche e alimentari (ogni risorsa condivisa e limitata). La tragedia avviene quando le persone consumano più della porzione che spetta loro, con la conseguenza che le loro azioni causano un collasso finale delle risorse comuni. Se tutti usano una risorsa con moderazione, essa può riformarsi alla velocità con cui è stata utilizzata, se ciò non accade si verificherà la tragedia delle risorse comuni Ad esempio: immaginate 100 allevatori che circondano un pascolo comune in grado di sostenere 100 mucche. Quando ognuno pascola 1 mucca, il pascolo comune viene usato in maniera ottimale, Ma quando un allevatore aggiunge una mucca, penando che se mette una seconda mucca al pascolo raddoppia la sua produzione a scapito di un piccolo 1% del pascolo, e così fanno tutti gli altri, il risultato inevitabile è la tragedia delle risorse comuni: un campo di fango. Allo stesso modo, l’inquinamento ambientale è la somma di molte contaminazioni minori, ognuna delle quali giova ai singoli inquinatori più di quanto potrebbe giovare loro e all’ambiente se cessassero di inquinare. Sprechiamo risorse naturali per benefici naturali immediate, ad esempio fare lunghe docce calde. Tale individualismo è diffuso solo nelle culture occidentali individualiste? La risposta è no, anche chi è appartenete a una cultura collettivista commette le stesse azioni Leggere a pag 474 l’esempio dei biscotti Il dilemma del prigioniero e la tragedia delle risorse comuni hanno in comune 3 caratteristiche: -entrambe inducono le persone a spiegare il loro comportamento su una base situazionale (devo proteggermi dagli eccessi degli avversari) e a spiegare il comportamento degli altri su disposizionale (è avido, sleale). la maggior parte delle perone non si rende conto che gli altri incorrono nello stesso errore di attribuzion nei loro riguardi -le ragioni spesso cambiano. La gente è ansiosa di massimizzare le proprie risorse con facilità, poi minimizzare le perdite, e infine salvare la reputazione ed evitare sconfitte. ad esempio: negli USA durante la guerra in Vietnam, i discorsi del presidente Johnson esprimevano preoccupazione per la democrazia e la libertà. Quando il conflitto aumentò, la sua preoccupazione divenne quella di difendere l’onore dell’America e evitare l’umiliazione di una sconfitta. - la maggior parte dei conflitti nella vita reale, così come le 2 trappole sociali sopramenzionate, sono giochi a somma diversa da zero. I benefici e le perdite delle 2 parti non danno necessariamente un totale zero: entrambi possono vincere, entrambi possono perdere. ogni gioco contrappone gli interessi immediati delle persone a quelli del benessere del gruppo. Ognuno è una trappola sociale che mostra come, anche quando ogni persona si comporta razionalmente, possa esserci un danno somma diversa da zero: giochi in cui il risultato non dà necessariamente zero. Con la cooperazione, entrambi i giocatori vincono; con la competizione perdono (non esiste qualcuno che vince a discapito di un altro) in queste trappole sociali, come si possono indurre le persone a cooperare al fine di ottenere risultati migliori? La ricerca indica diverse possibilità: -dare regole: se le tasse fossero solo su base volontaria molte meno persone le pagherebbero, questo è il momento per cui le società moderne non fanno affidamento sulla carità per pagare i vari servizi. tuttavia porre regole comporta costi e riduce la libertà personale -piccolo è bello: in un gruppo di minor dimensione ogni persona si sente più responsabile ed efficace. Quando un gruppo amplia le sue dimensioni, le persone sono più propense a pensare scuse per non cooperare. nei gruppi piccoli le persone si sentono più identificate con il successo del gruppo, (tutto ciò che aumenta l’identità di gruppo aumenta anche la cooperazione). nei gruppi piccoli, al contrario dei gruppi grandi, è anche meno probabile che le persone si approprino di più risorse rispetto a quelle che gli spettano. in comunità più grandi i danni procurati da una persona si distribuzione fra tanti, ogni persona può sottovalutare la responsabilità personale Comunicare: la comunicazione permette alle persone di cooperare. Discutere su un dilemma ha come
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