Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Manuale Storia Medievale Andrea Zorzi, Appunti di Storia Medievale

Riassunto Manuale di Storia Medievale Di Andrea Zorzi con la professoressa Plebani per l'esame di Storia Medievale 1. (Come previsto dal suo corso, il riassunto parte dal capitolo III)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 05/01/2020

gregorio-valenti
gregorio-valenti 🇮🇹

4.2

(28)

11 documenti

1 / 90

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Manuale Storia Medievale Andrea Zorzi e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! MANUALE DI STORIA MEDIEVALE Di Andrea Zorzi Il cristianesimo diviene una religione prevalentemente urbana, con difficoltà penetra nell’area rurale. Fu per questo che i cristiani estesero a tutti coloro che rifiutavano il messaggio di salvezza il termine <pagano>, derivante dal latino <pagus> (villaggio rurale). Quando i popoli germanici invasero la parte occidentale dell’impero, alla confortante unità dei tempi di Costantino e Teodosio, centrata sul modello di una <Chiesa Imperiale>, fece seguito un lungo e difficile periodo di confrontare sul piano religioso. L’opera di conversione fu promossa soprattutto dai vescovati cattolici che in seguito al crollo delle strutture imperiali erano rimasti la sola autorità capace di inquadrare la società romana e di trattare con i barbari. Clodoveo = Primo re barbaro a battezzarsi nel 496. (Seguito da Sigismondo e Recaredo, nel 596 fu avviata anche la conversione degli angli e dei sassoni, per ultimi si convertirono anche i Longobardi.) V – VI secolo = Conversione della Gallia e l’Irlanda, seguita dalla Britannia. VI e VII secolo = Il papa Gregorio Magno investì il continente con un flusso di missionari e la fondazione di monasteri importanti. VII e VIII secolo = L’empito missionario raggiunge le regioni più orientali (Frisia, Turingia e Sassonia) grazie alle campagne militari dei franchi sotto il coordinamento della Chiesa di Roma. 3.3 Le invasioni barbariche: Accanto alla diffusione del cristianesimo, l’altro grande fenomeno che trasformò il mondo romano fu l’incontro di civiltà determinato dalle migrazioni dei popoli barbarici all’interno dell’impero tra il IV e VI secolo. I romani le percepivano come <invasioni> ma si trattava di <migrazioni>. Ostrogoti = (Goti dell’est. Tra il Don e il Dniestr.) Visigoti = (Goti dell’ovest. Tra il Don e il Danubio.) Per il probabile peggioramento delle condizioni climatiche, su di essa cominciarono a premere dalle steppe euroasiatiche anche altre tribù seminomadi alla ricerca di nuovi spazi verso ovest. (Determinante fu la formazione tra la fine del IV e la metà del V secolo di un impero da parte degli unni centrato sulla Pannonia, che diede avvio a un colossale processo di spostamenti a catena, che portarono alla disgregazione dell’ordinamento politico e imperiale.). La popolazioni barbariche si formarono in un clima di forte contaminazione: in origine le varie tribù nona avevano un’identità etnica o culturale precisa, ma erano gruppi eterogenei in continua ridefinizione che vennero formandosi come popoli proprio attraverso l’esperienza delle migrazioni. Le popolazioni germaniche confinanti ai confini del Reno e del Danubio, cominciarono a entrare nell’orbita del sistema imperiale, costituendone una sorte di periferia. Incursioni sempre più frequenti si susseguirono dal III secolo, ma fu lo spostamento dei visigoti alla ricerca di uno stanziamento definitivo l’elemento che destabilizzò l’equilibrio politico dell’impero tra la fine del IV e l’inizio del V secolo. Aggrediti dagli unni, essi erano stati accolti in Tracia nel 375, ma la loro presenza si risolse in rapine e saccheggi fino allo scontro con l’esercito romano, che fu clamorosamente sconfitto presso Adrianopoli nel 378 dove trovò la morte lo stesso imperatore Valente. Da lì in poi i Visigoti si spostarono in Grecia, Macedonia, nell’Illirico nella Pianura Padana, dove nel 401 saccheggiarono Aquileia e minacciarono Milano, prima di essere respinti dall’esercito di Stilicone. Guidati da Alarico tornarono in Italia puntando direttamente su Roma, che saccheggiarono nel 410. Risalita la penisola ottennero di potersi stanziare nella Gallia meridionale, dove, combattendo come alleati contro altre popolazioni, misero sotto controllo l’intera Aquitania, costituendo di fatto nel 418 il primo regno barbarico all’interno del territorio imperiale. Mentre in Oriente si sviluppo un sentimento xenofobo nei confronti dei popoli barbari, in Occidente, invece, sentimenti di chiusura si alternarono a tentativi di integrare le popolazioni barbariche che vi affluivano con ondate migratorie sempre più intense. FOEDERATIO = Truppe barbare sottoposte al comando dei capi tribali vennero inquadrate in veste di alleate, ricevendo un compenso: la soluzione si rivelò efficace, per esempio, con i franchi. HOSPITALITAS = Prevedeva invece la concessione di un terzo delle tasse sulle terre di una determinata regione a gruppi etnici di rilevanti dimensioni che insediandovisi, dichiaravano fedeltà all’impero e si impegnavano a fornire un appoggio militare pur rimanendo indipendenti. Inizio V secolo = Cedono i confini dell’Impero. Teodosio [379 – 395] = Ultimo Imperatore a regnare da solo su tutto l’impero. (Arcadio Oriente, Onorio Occidente 395 ) 396 = Gli unni arrivano in Tracia e la devastano. I Visigoti, guidati da Alarico magister militum per l’Illirico, si ribellano ad Arcadio; decidono dunque di dirigersi verso l’Italia dove onorio, molto giovane ma anche incapace, poteva contare soltanto su Stilicone (La capitale era stata spostata a Ravenna). 402 – 406 = Alarico e i Visigoti, entrati in Italia dalla valle del veneto sono sconfitti da Stilicone, che adotta con loro la politica conciliante assunta da Teodosio dopo Adrianopoli, ciò viene fatto apparire agli occhi di Onorio come un tradimento, che ordina l’uccisione del generale nel 408. 406 = Abbandono della Britannia, favorendo l’insediamento come foederati degli angli e dei sassoni, provenienti dalle coste continentali settentrionali, che indussero le popolazioni britanniche a ritirarsi nell’attuale Galles (welsh = <Non germanici> ) e oltre la Manica, nella regione che da loro prese il nome di Bretagna. Il limes del Reno fu attraversato nell’inverno del 406 – 407 da diversi gruppi barbarici (Alani, Burgundi, Suebi e Vandali) che dilagarono nella Gallia fino a incontrare la resistenza dei federati franchi nel 409, questi li spinsero a stanziarsi oltre i Pirenei nella penisola iberica, anch’essa in grave crisi demografica e non più presidiata dall’esercito. Su incarico dell’impero, tra 415 e 418 i visgoti vi dispersero gli alani, stringendo i vandali nell’estremo sud, che prese il nome di Vandaluisia (l’odierna Andalusia). La morte di Stilicone appare agli occhi di Alarico come un tradimento e inizia la discesa in Italia alla volta di Roma. 408 – 410 assedio di Roma e duro saccheggio (Dal IV secolo a.C. Roma non subiva un saccheggio.). I visigoti si dirigono prima verso il sud Italia, dove vengono decimati da un’epidemia, dove Alarico morì. Il successore fu il cognato Ataulfo che decise di risalire l’Italia dirigendosi ancora più a ovest fino ad ottenere il controllo del sud della Gallia per mano di Onorio (fermando il passaggio di Vandali, Alani e Suebi). Sotto Valentiniano III, figlio di Galla Placida e Costanzo) (425 – 455) l’Impero seppe reagire con diverse azioni militari in Gallia che dimostrarono la debole coerenza delle etnie barbariche. Il generale Ezio ebbe un ruolo decisivo alla guida di un esercito innervato da contingenti barbarici: contenne le pressioni dei visigoti a sud e dei franchi sul Reno, stanziò i burgundi nella Sapaudia; soprattutto in alleanza con i franchi e visigoti respinse l’invasione degli unni guidati da Attila. 20 giugno 451 = BATTAGLIA DEI CAMPI CATALAUNICI Gli unni, dopo le sconfitte, si ritirarono anche dall’Italia nel 452, probabilmente sazi dalle razzie compiute nelle città padane. Ezio viene fatto uccidere dall’imperatore nel 454, che subì analoga sorte l’anno dopo. I vandali si erano spostati in Africa del nord e le isole di Sardegna, Corsica e Baleari. (Cartagine viene conquistata nel 439 e saccheggiano Roma nel 455). Quando le migrazioni sembrarono finalmente cessate, i rinnovati contrasti ai vertici dello stato, ove si succedettero una serie di imperatori privi di reale potere, ne indebolirono le capacità di controllo, ormai limitate all’Italia e a una parte della Gallia. 476 = Il generale sciro Odoacre depose il giovane Romolo Augustolo e restituì le insegne imperiali, dando vita a un dominio personale che non fu però riconosciuto dall’imperatore d’Oriente Zenone; quest’ultimo affidò invece l’amministrazione della prefettura dell’Italia a Teodorico, che nel 488 aveva guidato gli ostrogoti al saccheggio di Costantinopoli. Sconfitto Odoacre nel 493, Teodorico diede vita a un regno che avrebbe governato la penisola fino al 553. CAPITOLO IV “L’Occidente post imperiale.” 4.1 I Regni romano – barbarici: Lo stanziamento dei barbari entro i confini dell’Impero d’Occidente promosse la formazione di una serie di regni nel corso del V secolo. Ciò non significò la fine dell’impero romano, perché esso continuò ad esistere nella parte orientale. Non a caso i regni vengono chiamati romano – barbarici proprio a sottolineare la natura mista sul piano etnico ed istituzionale. Al crescente abbandono delle città corrispose la sempre maggiore importanza del mondo rurale, dove le grandi proprietà fondiarie divennero il luogo primario dell’organizzazione dell’economia sociale. La conversione al cristianesimo dell’aristocrazia romana si accentuò anche per effetto della diffusa sensazione d’angosciosa fine di un epoca. Nelle campagne, i monasteri si offrirono come nuclei importanti di coesione sociale e culturale. Nelle città abbandonate dai funzionari imperiali, i vescovi si fecero carico dell’assistenza degli abitanti, svolgendo compiti amministrativi e giudiziari, provvedendo alla difesa e al rifornimento alimentare. Furono loro a trattare con i barbari, contrastandoli anche militarmente, più speso patteggiando il loro insediamento. 618 = Dopo la morte di Anastasio sale al trono Giustino I; cattolico, deciso a ristabilire la dottrina di Nicea e a non tollerare ulteriormente la pratica di confessioni già condannate nei concili del V secolo.  Il primo errore di Teodorico è la scelta del personaggio da inviare presso Giustino I per trarre la salvezza degli ariani  Il secondo errore è la sua reazione al parziale svolgimento della missione.  Il suo terzo errore è di rispondere con violenza al disagio e al dissenso manifestato dal ceto senatorio per le sue azioni precedenti. 526 = Quando muore Teodorico i rapporti tra Ostrogoti e Romani sono definitivamente compromessi. Uno dei pochi a rimanergli leale è Cassiodoro. Morendo senza eredi maschi, nomina suo successore il nipote, Atalarico, figlio di Amalasunta e di Eutarico. La minore età di Atalarico fa di Amalasunta la reggente. Il comportamento di questa però scontenta sia gli Ostrogoti che i Romani e il dissenso si polarizza intorno ai due maggiori centri di potere. A Ravenna prevale l’atteggiamento antiromano, a Roma prevale l’atteggiamento antiostrogoto e antiariano. LA POLITICA DI AMALASUNTA. 1. Intesa con l’impero. 2. Mantenimento delle prerogative per i senatori e rispetto per le loro proprietà. 3. Rinnovo dell’amicizia con il popolo romano e rispetto reciproco fra le due componenti. La politica di Amalasunta ottiene inizialmente i risultati sperati. 534 = Muore Atalarico e la regina è costretta a risposarsi per mantenere il potere. Il secondo marito è il cugino Teodato. 535 = Una volta celebrato il matrimonio, Teodato riunisce intorno a sé tutti gli Ostrogoti contrari alla politica conciliante e ordina di arrestare la regina confinandola su una delle isole del lago di Bolsena. L’imperatore, venuto a conoscenza della prigionia di Amalasunta, invia un rappresentante per portarle la promessa del sostegno imperiale. Tuttavia dopo pochi giorni di prigionia, Amalasunta è strangolata dai sicari di Teodato. È guerra, l’imperatore Giustiniano non aspettava altro. GUERRA GRECO – GOTICA [535 -553]  Giustiniano applica una politica di isolamento. 1. A est riconquista l’Illirico annesso al regno ostrogoto da Teodorico all’inizio del secolo. 2. A ovest stipula un patto di non aggressione con i Franchi. 3. A sud l’annessione del regno vandalo aveva significato anche la riconquista della Sicilia e della altre isole mediterranee e la disponibilità di basi portuali prossime all’Italia. 4. Da nord nessuna popolazione era in grado di opporsi alle truppe imperiali, né era legata da vincoli cogenti verso gli Ostrogoti.  10 dicembre 536 = Belisario e il suo esercito sono alle porte di Roma e la conquistano con facilità.  536 – 538 = Vitige assedia a sua volta Roma senza riuscire a conquistarla.  538 – 540 =Vitige si rinchiude a Ravenna ma l’esercito Bizantino lo raggiunge. Dopo un Biennio di resistenza si arrende a Belisario concedendogli il controllo della capitale ostrogota.  541 = Belisario e il suo esercito sono richiamati a Bisanzio da Giustiniano (Geloso dei successi di Belisario) e manda il suo miglior generale in Perisa. Totila viene eletto dagli Ostrogoti come nuovo re.  543 = Totila riconquista Napoli.  544 - 546 = Totila assedia Roma e la espugna.  547 = Roma viene nuovamente conquistata dai Bizantini.  553 = Narsete affronta in Umbria l’esercito ostrogoto, lo sconfigge e Totila muore in battaglia.  553= Lo scontro finale ha luogo in Campania: Teia, il nuovo re barbaro, viene sconfitto e muore in battaglia. L’Italia torna sotto il dominio Imperiale. L’AMMINISTRAZIONE DELL’ITALIA. L’Italia torna ad osservare il diritto romano. Le condizioni sociali e amministrative sono messe in crisi dal tracollo del sistema peninsulare in seguito a venti anni di guerra. La capitale rimane Ravenna, lì si insedia l’esarca rappresentante dell’imperatore. Con la Prammatica sanzione del 554 egli estese la legislazione bizantina all’Italia. Iudices = Funzionari preposti all’amministrazione civile. Duces = Funzionari preposti all’esercizio dell’autorità militare. Un grande ruolo è stato affidato alle autorità ecclesiastiche per le opere di mediazione tra le due fazioni, è da qui che l’autorità del vescovo viene vista dai diocesani come l’unica autorità di riferimento e la figura che meglio dei magistrati forestieri può assicurare la continuità amministrativa. 565 = Muore Giustiniano. Ma il paese era ormai allo stremo: ne fu prova la pressoché inesistente resistenza opposta all’invasione dei longobardi. 4.3 L’Italia fra Longobardi e Bizantini: I longobardi si erano trasferiti dalle foci dell’Elba in Pannonia alla fine del V secolo. Entrarono in Friuli nel 569 guidati da re Alboino, e si insediarono in modo disomogeneo, senza un piano preciso, in tre aree principali: la Pianura Padana, la Toscana e i territori intorno a Spoleto e Benevento. Le coste rimasero invece in mano ai bizantini, insieme con l’Istria, Ravenna e il suo entroterra, la Pentapoli, il territorio di Roma, collegato a nord da una serie di castelli appenninici, Napoli e il suo entroterra, la Puglia la Calabria e le isole maggiori. Questa frattura che avrebbe segnato a lungo la storia politica della penisola e che si sarebbe ricomposta solo nel XIX secolo. La cultura longobarda era ferocemente estranea a quella romana ed ebbe un impatto violento sulla società italica. Le terre furono confiscate e distribuite tra membri dell’esercito longobardo, i quali si trasformarono in proprietari fondiari, pur mantenendo la caratteristica di uomini in (arimanni) distinti giuridicamente dai servi, cui erano affidati ai lavori agricoli, e dai semiliberi (aldii). I longobardi si distribuirono sul territorio in raggruppamenti familiari con funzioni militari (fare), sottoposti all’autorità dei capi guerrieri, i duchi, che li avevano guidati in Italia. 572 = Alboino è ucciso, il suo successore è Clefi. (La dignità longobarda è elettiva). 574 – 575 = Anche Clefi è assassinato 584 = Viene eletto Autari al quale i duchi mettono a disposizione la metà dei propri patrimoni per la ricostruzione del tesoro reale. Il nuovo sovrano compie molti passi in direzione dei romani. Pur essendo e rimanendo ariano sceglie come sposa la figlia del duca dei Bavari, Teodolinda, cattolica e di stirpe materna longobarda. Un graduale superamento della contrapposizione fra i longobardi ariani e i romani cattolici fu avviato, grazie anche alla mediazione della regina Teodolinda, con papa Gregorio Magno [590 – 604] preoccupato di salvare Roma. Autari imposta anche un nuovo sistema di prelievo fiscale basato su differenti scaglioni di imposte calibrati sulla ricchezza disponibile. È un colpo molto duro per il latifondisti romani, ma la scelta di Autari è apprezzata dal resto della popolazione. (Sposta la capitale a Pavia). Si attribuisce il titolo di Flavio per porsi nella sica della tradizione imperiale romana. 590 = Fronteggia un’alleanza tra Bizantini, Franchi e alcuni duchi longobardi insoddisfatti per il ripristino dell’autorità regia. Perde dunque molte posizioni nell’Emilia ma vengono aiutati dal caldo estivo che provoca epidemie e decimazioni soprattutto nel campo franco. 5 settembre 590 = Autari muore improvvisamente. (Da Teodolinda non ha avuto figli). 590 = Teodolinda si sposa con Agilulfo [590 – 615]. Agilulfo non era cattolico, ma non sembrava avesse salde convinzioni religiose di alcun tipo. Ciò nonostante avvia rapporti di stretta collaborazione con la Chiesa di Roma. I longobardi cominciano ad assumere modi di vita tipici della romanità. L’esperienza dei suoi predecessori aveva mostrato ad Agilulfo la mancanza di coesione dell’aristocrazia longobarda e l’assenza di una chiara idea di collaborazione con la monarchia. L’avvicinamento al clero diventa un modo per servirsi di sacerdoti e vescovi come mediatori tra dominatori e la popolazione maggiormente cattolica. Per mostrarsi come un re adattabile alla tradizione romana comincia a definirsi <Rex Totius Italie). 2. Per fronteggiare la crescente inefficienza della giustizia, portò alla redazione di un nuovo codice, il Corpus Iuris Civilis, che raccolse e selezionò criticamente le leggi in vigore. L’impresa di Giustiniano fu ispirata da una visione universale e rappresentò l’ultimo tentativo di restaurare l’autorità dell’Impero romano sull’Oriente e sull’Occidente, ma i successori non ebbero le risorse militari e finanziarie per governare stabilmente l’intero spazio Mediterraneo. La calata dei Longobardi (569), il primo assestamento degli slavi nei Balcani (592) e l’abbandono definitivo della penisola iberica nel (629) spostarono per sempre il baricentro dell’impero verso Oriente. 632 – 645 = I territori di Siria, Palestina, Mesopotamia, Armenia, Egitto e nord Africa caddero sotto il dominio arabo. Nell’età di Eraclio (610 – 641) e dei suoi successori si completò il passaggio dalla fase tardo antica dell’impero a quella propriamente bizantina (tant’è che si cominciò ad utilizzare il termine basileus) a seguito di una profonda ristrutturazione. Furono create nuove unità amministrative, i thémata (temi), posti al comando di uno stratego, che assommava l’autorità militare a quella civile. 678 = Gli arabi assediano Costantinopoli. 681= I Bulgari creano un regno nei Balcani. 726 = Il basileus Leone III proibì la venerazione delle immagini sacre, aderendo al movimento che ne considerava idolatrico il culto e ne predicava la distruzione. Gli obbiettivi erano:  Indebolire il potere dei monasteri e confiscarne le terre.  Creare un fronte interno compatto contro il pericolo islamico. La mancata adesione delle regioni bizantine dell’Italia centro – settentrionale segnò però l’irreversibile allontanamento della Chiesa di Roma da quella orientale. Provenienti dalle pianure a nord dei Carpazi percorse dagli unni, gli slavi si erano insediati sin dal VI secolo nei Balcani in piccole comunità di villaggio. Decisiva si rivelò la missione dei monaci Cirillo e Metodio che, per favorire la diffusione del cristianesimo, tradussero la Bibbia in slavo elaborando un nuovo alfabeto (detto poi cirillico) derivato dal greco. Gli slavi occidentali (croati, sloveni, boemi, moravi, slovacchi e polacchi) furono cristianizzati dai missionari legati ai franchi e alla Chiesa di Roma. I bulgari, i serbi e i macedoni, come poi gli slavi orientali (ucraini e russi), rimasero legati alla Chiesa di Costantinopoli. Approfittando della crisi dell’impero Islamico, Bisanzio riprese l’iniziativa nella seconda metà del IX secolo. I discendenti di Basilio I (867- 886) riuscirono ad affermare la successione ereditaria al trono, in discontinuità con la tradizione elettiva della carica imperiale di imperatore. Ciò permise alla dinastia dei Macedoni (867 – 1057) di guidare l’Impero a una rinnovata fase di sviluppo politico, economico e militare. In Asia Minore la riconquista si spinse fino alla Sira, alla Mesopotamia e all’Armenia. Il recupero delle isole di Creta e di Cipro e segnò la fine dell’egemonia navale araba e il riavviarsi delle relazioni commerciali con l’Occidente. Basilio II (976 – 1025) riconquistò l’intera penisola balcanica, annientando il regno dei bulgari. La sua influenza irradiava su un’area di civiltà che andava da Venezia al principato di Kiev e che è stata definita il <Commonwealth Bizantino>. L’esercito impegnato nelle guerre di espansione era tornato ad essere composto da soldati stipendiati, che sostituirono le milizie formate dai contadini. La piccola proprietà fu comunque tutelata e i villaggi rimasero le unità fiscali di base. L’investimento nel commercio fu sempre marginale nella società bizantina. La ricchezza continuò a basarsi sulla terra. La grande proprietà fondiaria ottenne nel corso dell’XI secolo crescenti concessioni di immunità, che sottrassero al controllo dello stato territori sempre più ampi e accrebbero l’autonomia dei latifondisti. I vincoli posti al commercio si trasformarono in fattori di debolezza quando cominciarono ad operare in Oriente i mercanti occidentali: la concessione nel 1082 di privilegi commerciali ai veneziani segnò l’inizio del declino economico di Bisanzio. 26 agosto 1071 = Battaglia di Mantzikert, segna l’avvio dell’erosione territoriale dei turchi selgiuchidi. Pur avviandosi al declino, la civiltà bizantina mantenne le proprie caratteristiche: le tradizioni imperiali, il predominio dell’elemento greco, e la connotazione ortodossa del cristianesimo. CAPITOLO VI “Islam.” 6.1 La civiltà in espansione: Il vasto territorio della penisola arabica era sempre rimasto ai margini degli imperi bizantino e persiano. L’Arabia era abitata da tribù di beduini che praticavano l’allevamento e il commercio lungo le grandi piste carovaniere che collegavano le oasi e che assicuravano la circolazione delle merci dalla più fertile regione meridionale (Arabia FelixI) verso i mercati dell’Egitto, della Siria e della Mesopotamia. L’unico elemento di coesione era costituito dal pellegrinaggio al santuario della Ka’ba in occasione della fiera annuale che si teneva alla Mecca. Il pellegrinaggio, aperto a tutti i culti, era occasione per una tregua, durante la quale si concludevano affari, si saldavano debiti e si componevano conflitti. A garantire il culto a tutte le fedi e a organizzare la fiera era il potente clan dei Quarayshiti. MAOMETTO: Nato a Mecca intorno al 570 da un ramo del clan dominante, Maometto crebbe nel mondo delle carovane ed entrò così in contatto con le religioni più diffuse, dall’animismo politeista al monoteismo ebraico e cristiano. Ritiratosi in meditazione spirituale ebbe nel 610 la rivelazione fondamentale: l’angelo Gabriele gli ordinò di diffondere la parola di Dio (Corano). La predicazione di un monoteismo rigoroso, senza compromessi, che richiedeva la sottomissione assoluta (islam) del fedele alla volontà di Dio (Allah) [1) Sottomissione al volere di Dio. 2)Preghiere giornaliere, di devozione e non richiesta. 3) Elemosina. 4) Digiuno. 5)Pellegrinaggio alla Mecca.], pose Maometto in contrasto con le grandi famiglie meccane, che fondavano il proprio potere sul rispetto delle varie religioni, base della fortuna economica della città. Il profeta fu costretto a riparare con i seguaci nell’oasi di Medina nel 622, data della cosiddetta migrazione (égira) da cui ha inizio il calendario islamico. La comunità raccolta intorno a Maometto si organizzò in forme nuove, non più sulla base dei vincoli tribali bensì sulla condivisione della stessa fede, che sottoponeva tutti i musulmani alla suprema autorità del profeta: sin dall’inizio l’islam propose un modello politico in cui la sfera spirituale era indistinguibile da quella temporale. Maometto guidò personalmente le razzie contro i vari clan, costringendoli a sottomettersi. Dopo anni di conflitti anche Mecca cedette nel 360 e fu eletta a luogo sacro dell’islam. La predicazione di Maometto riuscì a dare un’identità unitaria a una moltitudine di irrequiete tribù: da allora il mondo arabo si trovò a godere di un’eccezionale compattezza religiosa e politica e a essere identificato con il mondo musulmano. Maometto muore nel 632. Il problema della successione nella guida della vita pubblica fu risolto con la creazione delle figura del califfo, incaricato di tenere unita la comunità di fare rispettare la legge divina (sharia) contenuta nella rivelazione e negli insegnamenti del profeta. I primi quattro califfi, tutti parenti di Maometto, guidarono anche sistematiche campagne di guerra contro i più ricchi e fertili territori bizantini e persiani che confinavano con le regioni desertiche dell’Arabia. Con l’elezione di Alì nel 656 esplose il conflitto tra quanti pretendevano che il califfo dovesse appartenere alla famiglia di Maometto (sciiti) e quanti sostenevano il principio elettivo (questi ultimi erano chiamati sunniti o kharigiti). Il nuovo califfo Mu’awiya, del clan degli Omayyadi, introdusse un modello imperiale sull’esempio bizantino e persiano, con capitale amministrativa posta a Damasco (con una salda rete di funzionari che affermò il principio ereditario del califfato.). L’espansione si arrestò solo di fronte alla reazione dei franchi, che si opposero agli arabi a Poitiers nel 732, e dei bizantini, che sconfissero l’esercito islamico in Anatolia nel 740. La rapidità e il successo dell’espansione furono dovuti all’organizzazione dell’esercito, alla debolezza degli imperi confinanti e ai conflitti etnici religiosi che laceravano le regioni periferiche dei Bizantini. Ebrei e cristiani potevano vivere in una condizione di <protetti> (dhimmi) pagando un tributo che li poneva al riparo da persecuzioni. 750 = Inizio dinastia califfale degli Abassidi. Il potere centrale imitò i modelli imperiali persiani, con un apparato burocratico distinto in tre rami (cancelleria, esattoria fiscale e amministrazione militare) e posto sotto il controllo del visir, potentissimo funzionario di corte. Il territorio fu suddiviso in province rette da governatori locali, gli emiri, dotati di estese prerogative. Nell’età degli Abbasidi l’impero conobbe un considerevole sviluppo economico.  Nell’agricoltura il miglioramento delle tecniche favorì la bonifica di vaste aree e l’introduzione di nuove colture. Astulfo nutre invece molte certezze: di essere stato ingannato dal papa e di un complotto ai suoi danni in corso nel regno franco. Decide quindi di usare il fratello di Pipino, il monaco Carlomanno, per far tornare sui suoi passi il re. Carlomanno viene arrestato con l’accusa di aver abbandonato clandestinamente il monastero. L’accordo tra Stefano II e Pipino è stipulato a Quierzy (Promissio Carisiatica). Pipino, la moglie ed i due figli (Carlo e Carlomanno) ricevono l’unzione sacra ed il titolo di Patricius Romanorum. A Stefano II occorre un’assicurazione inattaccabile, attribuita ad un personaggio indiscutibile per poter avere la certezza che tuteli le pretese della chiesa e che parli, dal punto di vista giuridico, nel linguaggio dei Franchi. Insomma, serve la cosiddetta “Donazione di Costantino”. Pipino scende nei due anni successivi diverse volte in Italia, ma non riesce (restio a colpire i suoi alleati) ad infliggere la sconfitta decisiva ai Longobardi. 756 = Astolfo muore e gli succede il duca di Tuscia Desiderio. Questi mette in atto una politica duplice, da un lato coltiva l’alleanza con Pipino (concede una delle figlie in moglie a Carlo). Dall’altra continua a minacciare i territori papali. 757 = Muore Stefano II e gli succede Paolo I. Per molti anni le parti restano in un difficile equilibrio. 768 = Muore Pipino il Breve lasciando il regno ai due figli: Carlo e Carlomanno. CAPITOLO VII “Europa carolingia.” 7.1 La rinascita dell’impero. Alla morte del padre Pipino il Breve nel 768 e del fratello Carlomanno nel 771, Carlo (poi detto Magno) ereditò il regno franco secondo le tradizioni germaniche. L’organizzazione sociale si fondava su un’aristocrazia che traeva la sua forza dalla ampia disponibilità di terre e dalle capacità di mobilitare potenti clientele armate. Carlo guidò un’espansione militare su larga scala che procurò terre e bottini alle grandi famiglie franche, e che nel volgere di un trentennio diede vita ad un’imponente costruzione politica nell’Occidente europeo. Nel 772 fu avviata, oltre il Reno una lunghissima guerra (fino all’804) contro i sassoni ai quali fu imposta con la forza l’evangelizzazione e l’assimilazione ai franchi. Nel 774 fu conclusa la conquista del regno longobardo, che era stata sostenuta dal papa. Nel 788 fu sottomessa la Baviera e nel 796 distrutto il regno degli Àvari sul Danubio. 795 = Adriano I muore ed è eletto pontefice Leone III che ebbe molte difficoltà a relazionarsi con le famiglie aristocratiche di Roma. 799 = Leone III è assalito durante una processione, malmenato, accusato di peccati gravi ed imprigionato. Il duca di Spoleto riesce a liberarlo e ad accompagnarlo presso Carlo dove rimane oltre un anno. Nel Natale dell’anno 800 Carlo Magno fu incoronato imperatore da papa Leone III (Che aveva compiuto L’espurgatio per sacramentum al fine di assolversi). L’atto sanciva il rapporto che da tempo aveva garantito ai sovrani franchi la piena legittimazione del loro potere e ai papi un aiuto imprescindibile nell’opera di evangelizzazione e nella pretesa di guidare la cristianità, proprio nel momento in cui si faceva irreversibile il distacco dalla Chiesa d’Oriente. Carlo si presenta come il sovrano cristiano, difensore della Chiesa di Roma. L’incoronazione rafforzava il ruolo del papa quale autorità suprema della cristianità e indeboliva quello dell’impero bizantino, dilaniato dalle lotte iconoclastiche e costretto a riconoscere dopo pochi anni, la dignità imperiale di Carlo. L’impero franco si proponeva infatti quale erede di quello romano e delle sue ambizioni universalistiche. Al vasto territorio sottomesso Carlo cercò di assicurare un’organizzazione amministrativa efficace. Essa attinse alle tradizioni culturali di cui l’impero costituiva la sintesi: quella romana dell’ordinamento territoriale, quella barbarica dei legami personali e quella cristiana della chiesa imperiale. Nel palazzo aveva sede l’amministrazione centrale, coordinata dal conte palatino, un laico che esercitava la giustizia, e dall’arcicappellano, un ecclesiastico che dirigeva la cancelleria. L’organizzazione era comunque cosa ben diversa dalle moderne amministrazioni statali. Esso costituiva una dominazione disomogenea, dove continuavano a mantenere un forte potere locale le famiglie aristocratiche radicate in ampie proprietà fondiarie e dotate di nutrite clientele armate. Carlo stese la rete di controllo dei missi dominici, <gli inviati del signore> incaricati di sorvegliare l’operato dei funzionari locali, e in genere nominati a coppie: un laico ed un ecclesiastico. I missi dovevano diffondere nei territori le leggi emanate dal sovrano, note col nome di capitolari, che erano redatte nel corso delle grandi assemblee che riunivano annualmente gli esponenti della grande aristocrazia laica ed ecclesiastica e gli alti funzionari del regno. L’esercizio di funzioni pubbliche da parte dei vescovi, che quasi sempre divennero missi nella propria diocesi, legittimò la crescente ingerenza del sovrano nella loro nomina. Con la crisi del sistema scolastico tardo antico, dal V secolo la capacità di leggere e scrivere era infatti venuta concentrandosi nelle mani degli uomini di chiesa. Carlo Magno sostenne lo sviluppo di una fitta rete di scuole vescovili e di centri scrittorii presso i monasteri, per elevare l’istruzione del clero e dei funzionari pubblici. Presso la cancelleria fu elaborata anche una scrittura uniforme e particolarmente chiara, detta <carolina>, che rese leggibili in tutto il regno gli atti pubblici. Carlo Magno attuò riforme anche in ambito economico. Furono introdotte gabelle sul transito delle merci sulle strade e nei porti. Dopo un’eclissi nella produzione di monete fu reintrodotto anche un sistema monetario basato sull’argento, che si adeguava alle esigenza di un’economia di tipo locale, fondata sul sistema curtense, di cui contribuì ad avviare la ripresa dei traffici su scala regionale. Espugnata Pavia e catturato re Desiderio, Carlo Magno aveva messo fine nel 774 all’esperienza politica longobarda in Italia. L’importazione dei legami franchi di natura vassallatico – beneficiaria o delle forme di gestione curtense delle proprietà fondiarie alterò particolarmente gli ordinamenti economici e sociali preesistenti. Fedele alla tradizione, Carlo Magno dispose nell’806 la suddivisione patrimoniale dell’impero tra i figli. Unico sopravvissuto, Ludovico, ne ereditò il potere fino alla morte nel 814, favorendo un profondo ricambio degli uomini di corte, rafforzando il ruolo pubblico dei vescovi e accentuando i caratteri sacrali dell’ideologia sacrale. LUDOVICO IL PIO 817 = Emana la <Ordinatio Imperii> dove ottiene dall’aristocrazia franca l’assenso a modificare le regole della successione ereditaria. La dignità imperiale è assegnata al primogenito Lotario, che è immediatamente associato al trono. Agli altri due figli Ludovico assegna un titolo regale puramente formale. ( A Pipino L’Aquitania, la Borgona e la marca di Spagna e a Ludovico la Baviera e la marca di Pannonia.) 822 = Anche il trono italiano è affidato a Lotario. (823 viene incoronato imperatore da Pasquale I). 823 = La superiorità di Lotario sui suoi fratelli è messa in discussione dalla nascita del quarto erede (Carlo) nato dalla seconda moglie di Ludovico il Pio. Nell’824 con la Constitutio Romana, Lotario vincolò la consacrazione papale (Eugenio II) a un preventivo giuramento di fedeltà all’imperatore. La sua successione disposta sin dall’817 aprì invece lotte violente tra gli eredi ben prima della sua morte nell’840. 831 = Ludovico il Pio revoca la Ordinatio Imperii e ordina che alla sua morte l’impero sia diviso territorialmente e politicamente fra tutti i figli maschi. (A Lotario è mantenuto il titolo imperiale senza supremazia sui fratelli). 838 Muore Pipino e gli eredi di Ludovico rimangono tre. (La parte orientale a Ludovico, la parte centrale a Lotario, mentre, quella occidentale, a Carlo. 840 = Muore Ludovico il Pio e l’impero perde la sua unità. Carlo e Ludovico si alleano contro Lotario. 841 = L’esercito di Lotario è sconfitto dall’esercito congiunto dei due fratelli. 842 = Giuramento di Strasburgo. L’accordo siglato a Verdun nell’843 riconobbe a Ludovico i territori a est del Reno, a Carlo il Calvo quelli più a Occidente, e a Lotario quelli compresi nella fascia intermedia dal nord del regno d’Italia, al quale fu abbinato, da quel momento, il titolo imperiale. 855 = Muore Lotario e gli succede al titolo imperiale Ludovico II fino all’875. La morte senza eredi di Ludovico II nell’875 (Viene eletto imperatore Carlo il Calvo) avviò il tracollo della dinastia carolingia che si estinse nell’anno 887 con la deposizione del malato incapace Carlo il Grosso per mano dei grandi del regno, poiché i Normanni riuscirono a saccheggiare Parigi. Le lotte dinastiche infatti avevano finito col rafforzare il potere delle aristocrazie locali (Ottone), che inglobarono progressivamente nel patrimonio le cariche pubbliche di conte, duca e marchese. contee e marchesati. L’autorevolezza dei poteri locali si fondava su diversi fattori: l’acquisizione patrimoniale delle cariche pubbliche e la loro trasmissione ereditaria; il possesso di ingenti veni fondiari; la rete di alleanze e di clientele armate con le aristocrazie del territorio. Vescovi e monasteri ottennero dai sovrani delle concessioni di immunità che esoneravano le loro proprietà dall’autorità e dal controllo degli ufficiali pubblici. Anche i grandi proprietari laici ottennero progressivamente esenzioni simili, finendo col creare ampie isole di giurisdizione autonoma nell’ambito delle contee, dei marchesati e dei ducati. Il regno dei franchi occidentali, distaccato ormai dall’888 da ogni effettiva dipendenza dal potere imperiale subì un accentuato frazionamento causato dall’emersione di potenti principati. Solo alla fine del X secolo si affermò la potenza dei conti di Parigi che con Ugo Capeto ottennero il titolo regio nel 987. Il re, anche dopo la stabile affermazione dinastica, non riuscì mai a esercitare una vera autorità su tutte le regioni da cui pure derivava il suo titolo. Il titolo regio acquisì prestigio ma si risolse soprattutto nel coordinamento delle grandi dinastie signorili e delle gerarchie episcopali. La dipendenza dei grandi signori dal re fu poco più che formale, soprattutto nel sud della Francia, dove accanto a vari ducati e contee ampiamente autonomi, si formarono anche due regni di carattere regionale lungo il bacino del Rodano, quello di Borgogna e quello di Provenza, poi assorbito dal primo. Più instabile fu la situazione che si determinò nel regno italico, dove il conflitto per il trono fu duraturo per i numerosi pretendenti e per gli interventi dei pontefici. Territorialmente, il regno ricalcava quello longobardo e carolingio, e continuarono a rimanerne fuori i domini bizantini, arabi e longobardi del meridione. A contendersi la corona furono soprattutto gli esponenti di quattro principati territoriali: i duchi e marchesi di Spoleto, Toscana, Ivrea e del Friuli. Schierati in fronti contrapposti essi coinvolsero nei loro conflitti anche i re di Borgogna e di Provenza e i duchi di Carinzia. [Rodolfo di Borgogna (924 – 926), Ugo di Provenza (926 – 945) e Berengario II di Ivrea (950 – 961). Al titolo di re d’Italia era connessa la dignità imperiale, con la consuetudine carolingia dell’incoronazione da parte del pontefice. Per questo, quando il re di Germania Ottone I fu sollecitato dal papato a intervenire contro Berengario II ricevette, oltre a quella di re d’Italia nel 961, anche la corona imperiale nel 962. Da quel momento si saldò il nesso tra le corone, e i re di Germania cominciarono a scendere periodicamente in Italia per poter cingere altre corone. Nel regno dei franchi orientali, l’elezione di Arnolfo di Carinzia (887 – 899) ritardò di qualche tempo la crisi dell’autorità regia, che anche in Germania dovette fronteggiare la presenza di ampi ducati regionali di origine etnica o di derivazione carolingia. Il re, eletto dai grandi del regno, appartenne sempre a queste stirpi ducali, ed ebbe soprattutto un ruolo simbolico, di giudice supremo e di guida militare. Nel suo lungo regno (963 – 973), Ottone rafforzò in modo decisivo l’autorità regia e avviò l’espansione verso l’Oriente inglobando il ducato di Boemia e creando nuove sedi vescovili, come quella di Magdeburgo. L’incoronazione a Roma nel 962 di Ottone I restaurò l’autorità imperiali su nuove basi. Rispetto all’età carolingia, essa era centrata fortemente sull’area tedesca, e da allora i re di Germania divennero i naturali candidati alla dignità imperiale. Non potendo contare su un apparato burocratico, gli imperatori della dinastia sassone rinunciarono a emanare leggi e a esercitare la giustizia, puntando a concedere privilegi ai propri interlocutori locali attraverso diplomi. Il rilancio del ruolo sacrale dell’imperatore ribadì la sua funzione di protettore della cristianità: con il privilegium del 962 Ottone riconobbe le donazioni carolingie alla Chiesa, ma stabilì che il papa, una volta eletto, dovesse prestare giuramento all’imperatore. Enrico III (1039 – 1056) Le famiglie romane che si contendono il pontificato sono i Crescenzi e i conti di Tuscolo. Papa Benedetto IX (Tuscolo) è eletto nel 1033. Molte autorità vedono nell’elezione di Benedetto IX una scelta ineccepibile. 1045 = Sollevazione contro Benedetto IX. E viene portato sul trono pontificio Silvestro III. Benedetto mette in vendita la dignità pontifica che viene comprata da Gregorio VI. (L’età dei tre papi). Enrico III Scende in Italia per chiarire la situazione. 1046 = Enrico III convoca i tre papi a Sutri. Silvestro III viene deposto ed è portato sul soglio pontifico Clemente II 1047 = Secondo sinodo che depone Benedetto IX. 8.4 Le nuove invasioni. La perdita di autorevolezza degli ultimi imperatori carolingi fu determinata in parte anche dall’incapacità di garantire la sicurezza del territorio dell’impero dalle incursioni che dal IX secolo furono condotte da alcune popolazioni. A differenza delle grandi migrazioni delle stirpi barbariche, i nuovi aggressori non miravano a insediarsi stabilmente ma a razziare bottino. SARACENI Le prima a manifestarsi furono le incursioni dei Saraceni, il saccheggio più celebre fu quello della basilica vaticana di Roma nell’846. Solo con la fine del X secolo le scorrerie saracene andarono esaurendosi. UNGHERESI Dalla fine del IX secolo cominciarono a compiere periodiche spedizioni di saccheggio in vaste regioni dell’Europa centrale e in Italia anche gli ungari, una popolazione di nomadi allevatori e cavalieri proveniente dalle steppe attorno agli Urali settentrionali e insediatasi nell’antica Pannonia, la regione che da loro prese il nome di Ungheria.Furono i re di Germania della dinastia sassone a porre loro delle disastrose sconfitte tra il 933 e il 955. Da quel momento gli ungari si stabilizzarono nel proprio territorio, dedicandosi principalmente all’agricoltura, e si convertirono al cristianesimo cattolico sotto i re Stefano I (1001 – 1038). VICHINGHI Con la denominazione nortmann (<uomini del nord> in lingua franca) apparvero sulle coste dell’Europa del nord dalla metà del IX secolo gruppi di pirati provenienti dalla penisola scandinava, capaci di risalire con navi dal pescaggio assai ridotto il corso dei fiumi e così depredare città e abbazie dell’interno. L’espansione scandinava si propagò a raggiera lungo diverse direttrici. Dalla Norvegia mossero verso la Scozia, l’Irlanda, l’Islanda e la Groenlandia i cossi detti < vichinghi>. Dalla Svezia, risalirono i grandi Fiumi dell’Europa orientale, fino a spingersi verso Bisanzio, i cosiddetti < vareghi> o <rus>, che diedero poi vita al primo embrione della Russia incentrato su Kiev. Dalla Danimarca si spinsero verso l’Inghilterra e la Francia i <normanni>. Nel X scolo le iniziali incursioni si trasformarono infatti in vere e proprie conquiste territoriali. Particolarmente rilevante e destinata a durare nel tempo, fu la creazione di un ducato nella Francia settentrionale, che da loro prese il nome di Normandia, a opera del capo Rollone, cui nel 911 il re Carlo il Semplice assegnò il titolo di conte (e poi duca) ottenendone in cambio il giuramento di vassallaggio. CAPITOLO IX “I poteri locali.” 9.1 L’organizzazione economica: il sistema curtense. In età carolingia le grandi proprietà fondiarie organizzarono l’attività agricola intorno ad aziende (dette curtes in Italia e villae nell’Europa del nord) caratterizzate da una bipartizione funzionale. Nella riserva padronale o <domìnico> (dominicum, sala, casa), il proprietario faceva condurre i lavori direttamente dai propri schiavi (servi prebendari), che vi risiedevano a totale carico, alloggio e vitto (prebenda), del padrone. Nella parte a conduzione indiretta, o <massarìcio>, i lavori erano portati avanti da famiglie di coltivatori liberi o servi cui erano affidati degli appezzamenti ( mansi, sortes, case massaricie) con patti a lunghissimo termine. Lo stretto legame tra le due parti era rappresentato dall’obbligo per i contadini del massaricio di prestare corvées sulle terre del dominico, a integrazione del lavoro degli schiavi. Questo modello di organizzazione economica, detto <sistema curtense>, prese corpo nell’VIII secolo nelle aziende agrarie regie e abbaziali situate tra la Loira e il Reno e si diffuse in Italia solo dopo la conquista franca. Il sistema curtense perseguì sempre un obbiettivo di autosufficienza, per soddisfare i bisogni immediati, ma poiché non tutte le aziende producevano tutte le merci di cui avevano bisogno venne intensificandosi lo scambio delle eccedenze. Il surplus agricolo fu commercializzato, insieme con gli strumenti di lavoro e gli altri manufatti artigianali. Il sistema curtense fu redditizio e permise notevoli accumulazioni di ricchezza che molti proprietari investirono nella costruzione di mulini ad acqua o di fabbriche di birra, ricavandone ulteriori profitti. La frammentazione della proprietà fondiaria, distribuita talora tra centinaia di appezzamenti, favorì l’emersione di una piccola e media proprietà di contadini indipendenti. Dal IX secolo tutti coloro che lavoravano la terra con le proprie mani, fossero servi casati, liberi affittuari o piccoli proprietari, si ritrovarono progressivamente sottomessi allo stesso modo al potere signorile. Episodi come la rivolta contadina di Stellinga, in Sassonia, nell’841, furono il sintomo dell’affermazione di un dominio aristocratico sempre più oppressivo. 9.2 Il potere politico: l’ordinamento signorile. Protagonisti della frammentazione dei poteri locali non furono solo le grandi famiglie di ufficiali pubblici, conti e marchesi, ma anche famiglie di enti ecclesiastici che incrementarono i propri possessi fondiari tramite donazioni, acquisti a usurpazioni di terre. Alla metà del IX secolo i beni fondiari della Chiesa ammontavano ormai a un terzo circa di tutta la terra disponibile: gli abati e i vescovi più potenti controllavano territori pari a quelli dei proprietari laici e svilupparono la loro egemonia in modi simili. Nell’età post-carolingia venne così affermandosi un sistema sociale orientato in senso aristocratico che si fondava anche sugli arricchimenti resi possibili da sistema curtense. All’aumento dei fedeli corrispose un crescente incremento delle ricchezze, per i lasciti in monete, oggetti preziosi, edifici e soprattutto terre, che fecero delle chiese maggiori delle potenze economiche con patrimoni equivalenti a quelli delle grandi famiglie aristocratiche. Questi beni erano inalienabili, tutelati sacralmente da confische ed esenti dalle imposte. L’autorevolezza dei vescovi crebbe nel tempo insieme alla loro assunzione di funzioni di guida non solo spirituale ma anche civile e politica delle città. Tra IV e V secolo, raggruppamenti di più diocesi furono sottoposti all’autorità di un vescovo di rango superiore detto metropolita, che confermava e consacrava i vescovi della propria provincia. Alcune sedi maggiori, fondate da apostoli, affermarono la loro preminenza sulle province circostanti: Roma in Occidente, Alessandria in Egitto, Antiochia in Oriente. Insieme a Costantinopoli e a Gerusalemme, i loro metropoliti ebbero il titolo di patriarchi. A lungo, fino a tutto il X secolo, la Chiesa cattolica fu infatti priva di un’organizzazione centralizzata e di un vertice quale sarebbe poi stato il papa. Un ruolo centrale nella vita delle chiese fu allora svolto dalle assemblee del clero. Esse erano convocate periodicamente dai metropoliti in sede provinciale ( sinodi), per decidere questioni organizzative e disciplinari. Meno frequenti erano le grandi adunanze ( concili) cui convenivano in gran numero i vescovi delle varie province della cristianità: nei concili universali, convocati in genere dagli imperatori, si definivano le verità di fede (dogmi) si regolamentavano i riti liturgici e si emanavano le leggi ecclesiastiche (canoni). 325 NICEA -> Convocato da Costantino -> Condannò l’arianesimo e approvò il Credo, la professione di fede cattolica. 381 COSTANTINOPOLI -> Convocato da Teodosio -> Confermò il credo e affermò la natura dello Spirito Santo. 451 CALCEDONIA -> Convocato da Marciano -> Condannò il monofisismo e sancì l’uguale preminenza del patriarcato di Costantinopoli rispetto alla sede apostolica di Roma. Il problema principale fu quello di conciliare il principio del monoteismo con la molteplicità delle persone divine (la Trinità). Le dispute dottrinali si concentrarono sulla definizione della natura di Cristo. Nel IV secolo si confrontarono la dottrina che sosteneva la natura umana di Cristo, difesa da Ario di Alessandria, e quella che sosteneva la consustanzialità (cioè l’identità di sostanza e di natura) del Figlio col Padre, promossa da Anastasio sempre di Alessandria. Nel V secolo il patriarca di Costantinopoli, Nestorio, sostenne la duplicità della natura, mana e divina, di Cristo (Nestorianesimo), mentre tra l’Egitto e la Siria si diffuse la dottrina che sosteneva l’unicità della natura divina di Cristo (monofisismo). Gli imperatori cercarono di salvaguardare l’unità della cristianità emanando editti e convocando concili per formulare dogmi universalmente accettati ( ortodossi = <retta dottrina>) di contro a credenze ritenute erronee (eresie). 10.2 Il monachesimo. Accanto alle forme monastiche imperniate sul più totale isolamento si diffuse la pratica del cenobitismo, ossia della <vita in comune> dei monaci, nella condivisione della preghiera, della penitenza, del lavoro e dell’alimentazione. I capi delle comunità erano detti abati (<padri>). Il monachesimo non fu caratteristico del cristianesimo delle origini, ma si sviluppò solo a partire dalla fine del III secolo quando, soprattutto in Egitto, Palestina e Siria, alcuni cristiani si rifugiarono a condurre vita eremitica nel deserto ai margini delle città e dei villaggi. Le regole seguivano l’esempio di Gesù mettendo in pratica i principi evangelici della povertà, castità e obbedienza. 10.3 Il monopolio ecclesiastico della cultura Rispetto al diffuso alfabetismo delle città romane, la società occidentale dei secoli VII – XI fu una società analfabeta. Leggere e scrivere era ormai necessario solo agli uomini di Chiesa per accedere alle Scritture e diffonderne il messaggio. La scrittura e la produzione culturale divennero monopolio della Chiesa: basti osservare come le storie di alcune popolazioni barbariche (franchi, longobardi e anglosassoni) furono composte rispettivamente, da un vescovo (Gregorio di Tours) e da due monaci (Paolo Diacono e Beda il Venerabile). 10.4 Le riforme della Chiesa. Gli aristocratici che riuscivano ad ottenere le cariche vescovili (ed i relativi privilegi) erano però quasi sempre sprovvisti di un’adeguata preparazione e spesso anche di autentica vocazione. Accadeva così molto spesso che vescovi e abati continuassero a seguire lo stile di vita dell’aristocrazia laica, a occuparsi di politica, a combattere in guerra, a svagarsi in cacce e banchetti, a mantenere concubine. A sua volta, il clero inferiore era in genere incolto, spesso nemmeno in grado di leggere e comprendere le scritture. La necessità di interventi di riforma fu avvertita già dai sovrani carolingi. Obbiettivi principali dei loro interventi furono quelli di restituire prestigio religioso alle autorità ecclesiastiche ed efficacia all’azione pastorale. Con il Privilegium del 962 Ottone I ribadì anche il controllo imperiale sull’elezione pontificia, che era già stato sancito dalla Constituzio Romana di Lugovico il Pio nell’824. Da allora e fino al 1058 i papi furono tutti legati al trono imperiale. Dal X secolo si fecero sempre più avvertite, in diversi ambiti della società cristiana, due esigenze principali di riforma: la moralizzazione dei costumi del clero, auspicato più degno e adeguato a svolgere il proprio ruolo pastorale e liturgico, e la tutela delle istituzioni ecclesiastiche dalle ingerenze e dai condizionamenti del mondo laico. L’autorità papale, oltre che subordinata a quella imperiale, era infatti ostaggio locale delle grandi famiglie romane che si contendevano la scelta dei pontefici. Protagonisti principali dei movimenti riformatori furono i monaci dell’abazia di Cluny, fondata nel 910 in Borgogna. La riforma promossa da Cluny non contestava le ricchezze e i beni ecclesiastici, che anzi erano visti come legittimi perché dimostravano il fulgore delle Chiesa. Essa proponeva invece di rimodellare in senso monastico tutta la Chiesa, privilegiando la centralità della preghiera, della purezza del corpo, la funzione del clero quale mediatore del sacro. I monaci di Cluny elaborarono un nuovo stile di vita monastico basato sulla specializzazione liturgica, sulle opere di misericordia e sullo studio. Il lavoro manuale fu invece demandato ai conversi (pur avendo abbracciato lo stile di vita monastico non avevano ricevuto gli ordini sacri) e ai servi. Riconoscendo il primato papale, Cluny ottenne l’autorizzazione a porre sotto la propria autorità i monasteri che accettassero il nuovo modo di vivere la regola benedettina. Rispetto al monachesimo riformato le aspirazioni dei movimenti laicali, che insistevano sul valore della povertà, erano i più radicali e mettevano in discussione la Chiesa come istituzione. Per questo il clero riformatore smussò spesso gli eccessi dei movimenti pauperistici. Significativa fu l’opera del cluniacense Leone IX (1049 – 1054), che chiamò a Roma alcuni dei principali esponenti riformatori e ingaggiò una dura battaglia contro simonia e concubinato. CAPITOLO XI “La Chiesa pontificia.” 11.1 L’affermazione monarchica del papato. GREGORIO VII (1073 – 1085) Con l’elezione a pontefice del cluniacense Ildebrando di Soana nel 1073, il processo di riforma delle istituzioni ecclesiastiche raggiunse il suo culmine. Il progetto di Gregorio VII (1073 – 1085) fu quello di imporre alla Chiesa un modello fortemente gerarchizzato del corpo ecclesiastico, escludendo i poteri laici da ogni ingerenza nella vita religiosa. Il nuovo impianto monarchico della Chiesa, con il papa unico vertice, e la netta separazione di stili di vita tra laici ed ecclesiastici, fondata sul celibato del clero, differiva dall’ordinamento anteriore. La nuova struttura gerarchica che enfatizzava il ruolo del papa, proponendolo come guida morale della Chiesa, minava l’autorità del potere imperiale. La rivendicazione gregoriana della libertà della Chiesa (libertas ecclesiae) da ogni potere laico mise in discussione la natura dei rapporti tra papato e impero. Gregorio VII diede fondamento dottrinale al primato papale attraverso un testo (Dictatus papae 1075) costituito da un insieme di proposizione che ne definivano ruoli e funzioni. Esso ribadiva l’autorità superiore del papato sua sulla Chiesa sia sui poteri laici: solo il papa poteva istituire e deporre i vescovi, convocare i concili, giudicare e legiferare senza essere a sua volta giudicato, deporre gli imperatori, sciogliere i sudditi dall’obbedienza ai sovrani. Era così delineato il progetto di una monarchia universale della Chiesa che fu attuato progressivamente da Gregorio VII e dai suoi successori. Il papato aveva trovato sin dal 1059 un importante appoggio politico nei normanni, che si erano dichiarati fedeli alla sovranità pontificia in cambio del riconoscimento dei titoli di duca di Puglia e di Calabria. Gregorio, in particolare, puntò a fare riconoscere la supremazia del papato da parte di numerosi sovrani cristiani, che gli si dichiararono vassalli: dal principe di Kiev ai re cristiani di Inghilterra, Ungheria e Croazia, ai regni iberici. La contrapposizione tra papato e impero si focalizzò sulle designazioni dei vescovi. Preoccupati di difendere le ricchezze materiali e la loro autonomia, i vescovi si schierarono in genere con l’imperatore. Nel 1076 Enrico IV convocò un concilio di vescovi tedeschi che dichiarò deposto il papa, aprendo un duro conflitto. Gregorio VII reagì scomunicando l’imperatore, sciogliendone i sudditi da ogni obbedienza. Di fronte alle prime ribellioni aristocratiche Enrico IV indusse il pontefice a revocare la scomunica con un clamoroso atto di penitenza: nell’inverno del 1077 si umiliò restando per tre giorni Cifre attendibili sulla popolazione si hanno per l’Inghilterra grazie alla sopravvivenza del cosiddetto Domseday Book, una sorta di censimento a fini fiscali degli abitanti del regno, compilato tra il 1080 e il 1086. 12.2 L’espansione delle campagne. La crescita della popolazione andò di pari passo con l’estensione delle coltivazioni. La crescente pressione demografica costrinse infatti a produrre una quantità maggiore di risorse, innanzitutto alimentari. Si diffuse un vasto fenomeno di occupazione di terre, dissodamenti e di colonizzazioni. A partire dal XII secolo fu introdotta anche la rotazione triennale delle terre, che metteva a riposo una parte dei compi ogni tre anni, anziché due, accrescendone la fertilità. Fu perseguita invece la coltura estensiva, soprattutto di cereali da pane, e di colture specializzate od orientate alle produzioni manifatturiere urbane. Ciò avvenne soprattutto a detrimento della varietà di coltivi che era stata tipica del sistema curtense, funzionale all’autoconsumo della singola famiglia contadina. La crisi del sistema curtense, dove già nel X secolo l’equilibrio tra la riserva signorile e i mansi aveva cominciato a favorire i secondi, si accentuò. Il dominico, cioè la terra gestita dal signore attraverso i propri servi, tese a scomparire tra XI e XII secolo, frazionato tra contadini di varia condizione giuridica. Le aziende si trasformarono e i campi furono tutti concessi in affitto. Anche le corvées cui i contadini erano stati tenuti scomparvero, sostituite da canoni in denaro. 12.3 Dall’economia della terra all’economia degli scambi. Anche i coltivatori più agiati furono in grado di vendere maggiori quantità dei loro prodotti e di reinvestire gli introiti in denaro nell’acquisto di merci di altro genere. Da un’economia basata esclusivamente sulle rendite agrarie si passò progressivamente ad un’economia trainata dagli scambi. Tornò ad essere curata anche la rete delle vie di comunicazione terrestri e acquee, dopo che per secoli era mancata la manutenzione della lastricatura delle antiche strade romane. Lungo le vie di comunicazione si moltiplicarono i luoghi di scambio e di mercato. L’espansione degli scambi fu sostenuta da una crescente disponibilità di moneta. Alla riforma monetaria di età carolingia fece seguito la proliferazione di zecche e la moltiplicazione di emissioni di denaro, a base d’argento, per iniziativa di molti signori laici ed ecclesiastici e di alcune città. 12.4 La rinascita delle città. Fenomeno connesso alla crescita demografica, agricola, manifatturiera e commerciale fu quello dello sviluppo urbano che caratterizzò un po’ tutte le regioni europee a partire dai secoli X e XI. Caratteristica comune dello sviluppo urbano fu la sua stretta connessione con le attività manifatturiere e commerciali. I mercanti e gli artigiani vi acquisirono un peso politico rilevante che li affiancò talora contrapponendoli, all’aristocrazia legata alla terra. Nelle città medievali gli abitanti delle città si differenziarono invece da quelli delle campagne per una mancata divisione del lavoro. La forte espansione urbana trasse la sua forza dalla continua immigrazione verso le città, per l’attrazione esercitata dalla prospettive di migliori condizioni di lavoro e di vita. L’articolazione sociale delle città Italiane era molto più varia, comprendendo anche proprietari fondiari titolari di diritti signorili, giudici, notai etc. Le nostre città mantennero sempre una funzione di centralità rispetto al territorio, mentre le città del nord furono quasi ovunque isole protette da privilegi economici, fiscali e amministrativi, separate dal territorio circostanze. 12.5 La crescita delle attività produttive e dei commerci. Gli scavi archeologici, per esempio, attestarono dal X secolo il ritorno alle costruzioni di edifici in pietra, che richiedevano maggiori capacità tecniche: case dunque non più capanne. Intenso fu lo sviluppo delle tecniche di estrazione e di lavorazione dei metalli, per la manifattura degli strumenti agricoli e delle armature per i cavalieri. Nella campagne si diffuse dall’XI secolo il mulino ad acqua. Dal XII scolo si diffusero sulle coste atlantiche anche i mulini a vento. L’attività manifatturiera si intensificò nei villaggi, nei domini signorili e soprattutto nelle città, differenziandosi in vari settori produttivi, taluni anche nuovi e qualificanti. Nelle città si svilupparono gruppi di artigiani specializzati, organizzati in corporazioni (<arti>, <gilde>). Il settore in più forte espansione fu quello tessile, e in particolare quello laniero. Introdotta dagli arabi in Sicilia, si diffuse in varie aree italiane, francesi e tedesche anche la produzione di tessuti di seta. La più ampia disponibilità di beni incrementò le attività commerciali. Per la posizione geografica al crocevia dei flussi di scambio tra Oriente e Occidente tra nord e sud dell’Europa, e per la precocità della crescita delle loro città, i mercanti italiani furono gli iniziali protagonisti dell’espansione commerciale. Tra X e XI secolo alcune città costiere meridionali, come Amalfi, Bari e Napoli, si inserirono nel commercio mediterraneo, creando una rete di stazioni commerciali nei porti della Siria, della Palestina, dell’Asia Minore e del Mar Nero, punto d’arrivo della carovane mercantili dall’Oriente, e dando vita a intensi rapporti di scambio con gli aravi e i bizantini. A esse si affiancò presto Venezia che finì con l’ottenere nel 1082 da Bisanzio la libertà di commercio in tutto il territorio dell’impero, e divenne lo snodo principale dei traffici mercantili tra l’Europa continentale e il Mediterraneo. Pisa e Genova, a loro volta, si batterono, anche con azioni di pirateria e di saccheggio, per la conquista della Sardegna e della Corsica, costituendo basi mercantili nelle regioni musulmane: in Sicilia, in Spagna e sulle coste africane. Fra XI e XII secolo le città marinare italiane acquistarono un sostanziale monopolio dei commerci mediterranei, scalzando i mercanti greci ebrei e musulmani. CAPITOLO XIII “La diffusione dei rapporti feudali” 13.1 Dalla fedeltà personale al raccordo politico. L’aristocrazia sviluppò un sistema di rapporti fondato sullo scambio tra fedeltà militare offerta da un vassus e impegno di protezione garantito da un senior attraverso la concessione di un beneficio. Due fasi di evoluzione principali: 1. Dura fino al X secolo, i rapporti vassallatico – beneficiari servono da collante dell’ordinamento pubblico. (Nell’impero carolingio i vassalli non erano ufficiali del regno, bensì conti, marchesi e missi. Il vassallo non poteva esercitare le funzioni pubbliche sulle terre ottenute in beneficio, che non appartenevano al suo patrimonio ma gli erano concesse solo come compenso economico della sua fedeltà militare. Fu solo con la dissoluzione dell’impero tra IX e X secolo che le grandi famiglie aristocratiche resero ereditarie sia le cariche che i benefici. 2. Dall’XI secolo quando, con lo sviluppo dei poteri signorili, tali legami si rivelarono uno strumento utile per collegare tra loro i nuclei di potere dispersi. Fu l’estrema frammentazione del potere pubblico che trasformò la natura dei rapporti vassallatici. Inoltre, i benefici, anche i minori, erano ormai incorporati nei patrimoni dei vassalli e resi ereditari dall’Edictum de Beneficiis di Corrado II del 1037. Da quel momento i rapporti vassallatici mutarono definitivamente, trasformandosi da legami di fedeltà personale di tipo militare in raccordi di tipo eminentemente politico. Solo per questa età è dunque appropriato parlare di rapporti di tipo feudale. Il feudo divenne lo strumento preferenziale di concessione di diritti pubblici e ciò consenti di coordinare intorno a nuove gerarchie quei poteri locali che l’eccessiva frammentazione esponeva al pericolo di isolamento. Viceversa, tali poteri poterono inquadrarsi in rapporti di subordinazione che non intaccavano la loro autonomia. Il coordinamento dei signori locali in compagini territoriali più ampie attraverso i nuovi strumenti feudali fu accompagnato dal XII secolo dall’elaborazione di un vero e proprio diritto feudale. Per assicurarsi la fedeltà dei vassalli taluni principi imposero di prestare un omaggio cosiddetto <ligio>, che in caso di conflitto era considerato superiore a tutti gli altri omaggi prestati. Il tradimento degli obblighi di fedeltà feudale tra il signore e il vassallo fu configurato nei termini del crimine di <fellonia>. Nemmeno i cavalieri vanno confusi con i vassalli: potevano diventarlo, ma non lo erano in quanto tali. Il rapporto tra signore e vassallo era un rapporto tra pari. 13.2 Autorità universali e legami feudali. Le aspirazioni universalistiche del papato, di proporsi cioè come vertice politico assoluto della cristianità e non solo come capo della chiesa cattolica, trovarono nei raccordi vassallatici lo strumento per attuarsi. La consacrazione papale rafforzava l’autorità dei regnanti, che grazie al legame feudale non erano costretti a rinunciare alla piena sovranità sui propri territori. Il primo importante omaggio di fedeltà al pontefice fu prestato nel 1059 dal normanno Roberto il Guiscardo a Niccolò II (1058 -1061), che gli infeudò i ducati di Puglia e di Calabria, legando così durevolmente al papato le vicende dei normanni e dell’Italia meridionale. Federico I (1152 – 1190), in particolare, intervenne nell’organizzazione dei territori tedeschi, rimaneggiando i ducati <etnici>, smembrando alcuni principati e creando nuove signorie territoriali. A differenza dei pontefici, gli imperatori non furono in grado di utilizzare gli strumenti feudali a sostegno delle proprie ambizioni universalistiche. L’apogeo feudale pontificio fu raggiunto da Innocenzo III (1198 – 1216) che elaborò il principio che il papa riceveva da Dio sia il potere spirituale sia quello temporale, e delegava l’autorità temporale ai sovrani, che dovevano esercitarla sotto la sua guida. Prevosti = Per l’amministrazione della giustizia regia, riscossione delle imposte. Gli obblighi dei vassalli cominciarono ad essere redatti per iscritto e la rete della fedeltà feudale fu resa più gerarchica. 14.3 Il Regno d’Inghilterra. Alla fine del IX secolo il re anglosassone del Wessex Alfredo il Grande (871 – 899) era riuscito a fermare l’espansione vichinga in Inghilterra e ad avviare un’energica azione di governo, che fu poi ulteriormente rafforzata dai successori. Il regno anglosassone unificò i numerosi poteri locali presenti sul territorio dell’isola britannica. Il regno era diviso in circoscrizioni territoriali in cui operavano gli agenti del re ( sherifs), incaricati della riscossione dei tributi e dell’amministrazione della giustizia. I grandi possessori fondiari (earl) svolgevano per il re compiti di coordinamento militare su base territoriale. Dal 1016 si impadronì della corona, con una spedizione militare, il danese Canuto II, detto il Grande perché capace di ottenere un dominio esteso anche alla Danimarca e alla Norvegia. Canuto III a sua volta designò come successore sul trono anglosassone il fratellastro Edoardo il Confessore, figlio di Emma di Normandia, che fu eletto re nel 1042 dall’assemblea dei nobili. Il regno di Inghilterra pervenne così ai normanni per rivendicazione dinastica e per mezzo di una grandiosa operazione militare. Avvenne che il duca di Normandia Guglielmo, alla morte senza figli del cugino Edoardo il Confessore re d’Inghilterra nel 1066, che lo aveva indicato sin dal 1051 come suo erede al trono inglese, si oppose all’incoronazione di Aroldo del Wessex. Attraversata la Manica sbarcò sull’isola con il suo imponente esercito di cavalieri ed ebbe facilmente ragione delle truppe sassoni nella battaglia di Hastings. 14 Ottobre 1066 = BATTAGLIA DI HASTINGS. La resistenza degli anglosassoni si prolungò per qualche tempo e la conquista fu completata nel 1071, con l’eccezione del Galles e della Scozia. Con il colossale censimento detto Domesday Book, completato nel 1086, il sovrano registrò a fini fiscali tutte le proprietà fondiarie, i nomi dei vassalli e il numero dei capifamiglia del regno, anche per evitare eventuali usurpazioni. Gli incerti interregni seguiti alle morti di Guglielmo (1087) e di Enrico I (1135) avevano favorito un clima di guerra interna scatenata dai baroni, risolto solo dall’ascesa di Enrico II (1154 – 1189), primo re della famiglia della dinastia dei Plantageneti capace di riaffermare il potere monarchico. Molti castelli signorili furono abbattuti, ulteriori limitazioni furono poste nell’amministrazione della giustizia e nella riscossione delle tasse, e fu introdotta un’imposta che esentava i baroni dal servizio militare. In tal modo il peso militare dell’aristocrazia venne diminuendo mentre il progressivo espandersi dell’amministrazione regia apriva ai baroni la partecipazione agli apparati burocratici. Nell’assise di Claredon del 1164, Enrico II emanò delle disposizioni (Costituzioni) che rivendicavano alla corona il pieno esercizio dell’autorità giudiziaria. Si posero le basi per un sistema (futuro common law) in cui le giurisdizioni particolari, a cominciare da quelle feudali, potevano essere spogliate di cause rimesse alle corti regie, la cui articolazione tra tribunali centrali, giudici itineranti e corti locali fu ulteriormente rafforzata. Enrico II cercò di sottomettere alla giustizia regia anche il clero, ledendone il privilegio di immunità garantito dal diritto canonico. L’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket alla guida del clero inglese, già cancelliere della corona, fu costretto all’esilio in Francia e poi assassinato in circostanze non chiarite nel 1170. Il clamore del delitto costrinse il re ad alcune concessioni alla Chiesa. Ma, nel complesso, la giurisdizione regia ne riuscì rafforzata. Vi sarà però un grande regresso con i successori. Le lunghe assenze dall’Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone (1189 – 1199), impegnato nella crociata e nelle guerre di Francia, lasciarono nuovamente spazio alle rivendicazioni della nobiltà. Giovani Senza Terra (1199 – 1216) subì la deposizione dal papa per contrasti con l’arcivescovo di Canterbury, fu sconfitto a Bouvines nel 1214 e perse i possessi in Francia. I sacrifici imposti per finanziare le guerre in continente lo costrinsero a concedere nel 1215 un ampio documento (Magna Charta Libertatum) che ridefiniva i rapporti tra il sovrano e i sudditi. Il sovrano era richiamato a rispettare le antiche consuetudini e a riconoscere le prerogative dei nobili, del clero e delle comunità mercantili cittadine; nel caso di nuove imposizioni fiscali era richiesta la loro approvazione; e fu formato un consiglio di 25 baroni (magna curia) che avrebbe dovuto assistere il re nel governo del regno. 14.4 Il regno normanno nell’Italia meridionale. L’Italia meridionale tra X e XI secolo appariva caratterizzata da una forte frammentazione politica. La Sicilia, in mano agli arabi da più di un secolo, soffriva delle crescenti lotte di fazione che dividevano violentemente i dominatori musulmani. In un contesto così frammentato, giunsero al principio dell’XI secolo dal ducato di Normandia numerosi cavalieri chiamati dai principi longobardi e bizantini in lotta tra loro. Nel giro di pochi decenni alcuni avventurieri normanni riuscirono a costituire piccoli domini quale ricompensa per i servizi militari prestati. Rainuflo Drengot ottenne la contea di Aversa dal duca di Napoli nel 1029. Guglielmo <Braccio di ferro> d’Altavilla la contea di Melfi dal principe di Salerno nel 1041. Prestarono inizialmente fedeltà all’imperatore, provocando la reazione del papa Leone IX. 1053 = Papa Leone IX, aiutato dalle truppe dell’aristocrazia romana e laziale e da quelle bizantine, sfida in battaglia Roberto d’Altavilla a Civitate sul Fortore. Lo scontro è vinto dai normanni che però decidono di sfruttare l’opportunità di scendere a patti con il pontefice, catturato e ospitato da Roberto. Durante i nove mesi di prigionia, Leone IX riconosce la presenza normanna nel meridione, in cambio riceve l’omaggio vassallatico e la conferma della signoria sulla città di Benevento. (ACCORDO DI MELFI) 1059 = Papa Niccolò II ratifica formalmente gli accordi vassallatici intercorsi tra Leone IX e Roberto il Guiscardo. Viene così confermata ai normanni la supremazia su Puglia e Calabria, accettandone la supremazia espansionistica all’intera Italia meridionale e dandogli anche l’autorizzazione di dare inizio alla conquista della Sicilia. 1085 = Roberto d’Altavilla tenta la conquista della Grecia bizantina ma incontra la morte. 1061 – 1091 = Ruggero d’Altavilla comincia e conclude la conquista della Sicilia. Urbano II gli concede nel 1098 l’autorità di legato apostolico, con il compito di ridefinire le circoscrizioni ecclesiastiche dell’isola, profondamente islamizzata, e di nominarvi i titolari delle sedi vescovili. A differenza della conquista dell’Inghilterra, che puntava a un regno già organizzato, la conquista normanna del Mezzogiorno Italiano dovette dare luogo alla costruzione di una nuova monarchia. Ruggero II riunificò i diversi principati normanni, raccogliendo l’eredità dell’ultimo duca di Puglia e Calabria nel 1127, nonostante l’opposizione capeggiata da Onorio II. Apertosi lo scisma tra il successore di quest’ultimo, Innocenzo II (Frangipane), [dopo qualche, ora i Pierleoni pagano i cardinali e viene eletto Anacleto II] Ruggero è l’unico a schierarsi con Anacleto. Lotario II si schiera Innocenzo. Ruggero ottiene dall’antipapa il titolo di re di Sicilia e l’unzione sacra, assumendo una dignità superiore rispetto a tutti i poteri esistenti nel nuovo regno. 1137 – 1138 = Lotario II e Anacleto muoiono. Ruggero II seppe governare con saggezza, valorizzando le diversità culturali dei popoli del regno. Ne sono ancor’oggi testimoni i molti monumenti artistici e architettonici ricchi di influssi delle tradizioni (Nordiche, Bizantine, Arabe e Latine) di cui la corte normanna di Palermo fu raffinata espressione. Il regno si fondava su una solida organizzazione feudale, introdotta proprio dai normanne e capace, come in Inghilterra, di esercitare un deciso controllo sui baroni, e si affidava a una struttura burocratica ereditata dai musulmani e dai bizantini. Ruggero II rafforzò gli uffici centrali e impiegò appositi ufficiali periferici per controllare le realtà locali, una <curia> feudale, composta da ministri e consiglieri con competenze specializzate, che gli consentì di associare al governo i grandi del regno. Ruggero II perseguì anche una politica espansionistica in Africa e in Grecia, che lo portò alla conquista di Gerba (1135), Tripoli (1146) e corfù (1146). Il controllo della feudalità e il contenimento degli sviluppi urbani, che ne mortificò le autonomie accentuandone le differenze rispetto ai coevi sviluppi delle città comunali del centro – nord, accrebbero tensioni che esplosero in aperte rivolte da parte dei baroni e delle città dopo la morte di Ruggero II. Esse furono fronteggiate dal successore Guglielmo I. Alla morte di Guglielmo II (1166 – 1189) senza eredi maschi la corona passò a Costanza, figlia di Ruggero II, che avendo sposato nel 1186 l’erede al trono imperiale Enrico degli Hohenstaufen portò in dote il regno di Sicilia alla dinastia sveva. Alla morte del conte di Lecce Tancredi d’Altavilla, che i baroni siciliani avevano eletto re, Enrico VI si impadronì del regno nel 1195, reprimendo duramente la rivolta dei nobili, e normanna (PARTECIPANTI: Ugo di Vermandois, Goffredo di Buglione, Baldovino di Boulogne, Raimondo di Provenza, Roberto di Fiandra, Boemondo e Tancredi d’Altavilla, Legato di Urbano II: Ademaro di Monteil e Roberto di Normandia). 1096 = Riunione degli eserciti europei a Costantinopoli. 1097 primavera = Partenza da Costantinopoli. 1097 maggio = Conquista di Nicea. 1097 – 1098 = Antiochia assediata e conquistata. 1097 – 1098 = Tancredi d’Altavilla conquista Tarso, Baldovino di Boulogne conquista Edessa. 1098 primavera – 1099 estate = Raimondo di Provenza conquista Tripoli. 1099 Giugno = L’esercito crociato giunge in vista di Gerusalemme. 15 Luglio 1099 = Gerusalemme è conquistata, Goffredo di Buglione assume il titolo di Advocatus Sancti Sepulcri. L’elite di questi regni era composta da nobili e cavalieri che nei paesi d’origine erano chiusi dalla primogenitura ereditaria, e che nei territori d’oltremare trovavano invece occasioni di promozione sociale e di guadagno economico. Per difendere i luoghi sacri e per proteggere i pellegrini furono istituiti degli ordini monastici militari: dapprima i cavalieri del Santo Sepolcro e gli Ospedalieri di San Giovanni nel 1099, e poi i Templari nel 1118. Sottoposti a disciplina monastica, i cavalieri dovevano osservare i voti di povertà, castità e obbedienza, e difendere la cristianità con le armi. I regni cristiani non furono in grado di resistere a lungo di fronte alla reazione musulmana. Condotta tra il 1147 e 1148, la spedizione si risolse in un nulla di fatto. Pochi decenni dopo si formò una nuova potenza islamica tra Egitto e Siria, sotto il dominio del sultano di origine curda Salah ed – Din Yusuf (<Saladino>) che riconquistò quasi tutti i territori occupati dai cristiani ed entrò trionfante in Gerusalemme. Una nuova sepedizione fu guidata direttamente di persona dall’imperatore e dai re di Francia e di Inghilterra tra il 1189 e 1192. Anche questa volta i risultati militari furono scarsi, per le divisioni tra i sovrani. La riconquista musulmana di San Giovanni d’Acri, nel 1291, segnò la fine della presenza crociata in Oriente. Pur inquadrandosi nell’idea della militia Christi, cioè della lotta contro i nemici della cristianità, le prime spedizioni avevano costituito degli episodi a sé stanti, contingenti, privi di un disegno organico. Esso venne maturando solo a partire dal pontificato di Innocenzo III (1198 – 1216) In precedenza infatti le spedizioni militari in Terrasanta erano state indicate nei termini di pellegrinaggio e di viaggio di oltremare. Da allora si diffuse l’idea di crociata per indicare le azioni militari dirette sia alla difesa dei luoghi della cristianità sia alla repressione dei suoi nemici interni, in primo luogo gli eretici. Innocenzo III per esempio, indisse nel 1208 una crociata contro i catari della Francia meridionale. I crociati potevano partire individualmente o aggregarsi alle spedizioni minori che ogni anno muovevano per la Terrasanta o l’est europeo. Le crociate non si nutrirono solo di ideali religiosi e di interessi politici, ma offrirono anche occasioni di arricchimento ai mercanti che si insediarono nelle città costiere degli stati crociati per incrementare i propri commerci. Temendo un peggioramento delle condizioni di commercio a Bisanzio, i veneziani offrirono ai crociati che si erano radunati a Venezia nel 1202 di trasportarli in Oriente in cambio di una spedizione contro Costantinopoli. La città fu presa e saccheggiata nel 1204: anziché puntare a Gerusalemme i crociati si spartirono con i veneziani i territori dell’impero, dando vita a un nuovo < impero latino d’Oriente> destinato a sopravvivere per circa un sessantennio. Dopo questa impresa, cui seguirono altre quattro spedizioni maggiori nel corso del XIII secolo, il movimento crociato venne esaurendo gli ideali religiosi originari e si dimostrò incapace di realizzare gli obbiettivi militari. Conseguenza negativa fu anche la crescente intolleranza da parte dei musulmani nei confronti dei pellegrini e dei mercanti occidentali. CAPITOLO XVI “La ricchezza economica.” 16.1 Il <boom> demografico. L’incremento di popolazione che si era avviato dal IX – X secolo, e che aveva già assunto dimensioni consistenti nel corso dell’XI – XII secolo, divenne impetuoso nel corso del XIII secolo. L’indicatore più spettacolare della crescita demografica fu l’incremento della popolazione urbana, che riguardò un po’tutte le regioni europee. Le città furono attraversate da uno slancio edilizio mai conosciuto fino ad allora, con l’allargamento delle cinte murarie a comprendere nuovi spazi, la riduzione delle aree non ancora edificate e spesso lasciate a campo, la costruzione in altezza delle abitazioni, a cominciare dalle torri. Tra le manifatture ebbe grande sviluppo quantitativo e qualitativo quella tessile, in particolare la produzione di stoffe e lana. Il commercio a largo raggio conobbe nel corso del XIII secolo una generale ripresa, favorita dalla maggiore sicurezza delle vie di collegamento garantita dalla accresciute condizioni di stabilità politica. Nel continente i mercanti si concentrarono principalmente in tre aree: le fiere di Champagne, le Fiandre e l’area del Mar Baltico. Furono soprattutto i mercanti italiani a dominare il commercio internazionale, per la loro presenza sia in Europa sia nel Mediterraneo. Dal XIII secolo, ebbero un ruolo in primo piano i mercanti Genovesi e Veneziani, che si scontrarono per la supremazia. I genovesi tornarono attivi nell’area mercantile di Costantinopoli al seguito della restaurazione dell’Impero Bizantino per opera di Michele Paleologo nel 1261, che compensò l’appoggio militare e finanziario dei genovesi con ampie concessioni per commerciare a Costantinopoli e nel Mar Nero. La battaglia navale della Meloria del 1284, che inflisse durissime perdite a Pisa, segnò la supremazia di Genova nel Mediterraneo occidentale. Alla figura avventurosa del singolo mercante si vennero sostituendo forme di impresa più evolute, che associavano più individui negli investimenti, nei rischi e nei profitti. La circolazione di monete di specie diversa sollecitò lo sviluppo di nuovi servizi finanziari, offerti da operatori specializzati, i cambiatori o banchieri, che assicuravano il cambio delle monete e il prestito del denaro. Furono essi a diffondere nuovi strumenti di pagamento come le lettere di cambio, che consentivano di trasferire il denaro da un banco all’altro senza rischiosi spostamenti materiali di monete. Caratteristiche dell’epoca non furono più solo le figure di ecclesiastici e religiosi come nei secoli precedenti, ma anche nuove figure di laici come, in primo luogo, i mercanti e i notai. La figura che più di ogni altra incarnò le trasformazioni del periodo fu quella del mercante. Essi svilupparono una vera e propria cultura mercantile, cioè un sapere tecnico che li portò a innovare le forme societarie e gli strumenti contabili e finanziari. Problematica fu invece la questione del prestito a interesse, condannato moralmente dalla chiesa come usura. Nonostante l’individuazione di mezzi leciti per percepire un interesse, molti mercanti in punto di morte usavano donare parte dei cospicui patrimoni accumulati ai poveri o alle chiese per mondarsi l’anima dal peccato di usura. Non a caso, la credenza in un luogo intermedio dell’aldilà, il purgatorio, nel quale i peccatori pentiti avrebbero scontato una pena emendatrice, cominciò ad affermarsi proprio tra XII e XIII secolo. CAPITOLO XVII “Papato, impero e regni.” 17.1 Le autorità universali. Papato e impero rinnovarono tra XII e XIII secolo i rispettivi progetti di supremazia universalistica sulla cristianità, elaborando propri modelli di autorità e dando luogo a nuovi conflitti di cui fu a lungo teatro l’Italia. Dopo il concordato di Worms del 1122 l’azione politica del papato divenne irreversibile. Allo stesso modo, l’elezione di Federico I nel 1155 restaurò l’autorità imperiale sulla scena europea e mediterranea. Gli imperatori furono costantemente impegnati a gestire l’autonomia rivendicata dai principi territoriali tedeschi e dalle città italiane. I papi entrarono invece in conflitto con i grandi monarchi per il controllo delle immunità e delle cariche ecclesiastiche nei regni. Per ragioni diverse, i disegni universalistici dell’impero e del papato entrarono in crisi dalla seconda metà del XIII secolo. Da allora, infatti, la sovranità dei regni e di altre formazioni politiche territoriali come le città italiane non poté più essere messa in discussione. Alla base dell’idea di supremazia imperiale di Federico I, teorizzata dal suo cancelliere Rinaldo di Dassel, era un rigoroso senso dell’autorità imperiale e della sua missione universale: l’imperatore era vicario di Cristo e sacre le sue leggi (fu probabilmente durante il suo dominio che cominciò a essere utilizzata l’espressione di <sacrum imperium>). A sua volta, il nipote Federico II rilanciò il concetto di una dominazione illimitata, alimentato dall’esplicito recupero dell’ideologia classica e del diritto romano in materia imperiale. Esaltato dalla propaganda sveva e demonizzato da quella pontificia, Federico II ingaggiò con i pontefici un conflitto durissimo, fino alla deposizione, che scioglieva i sudditi dal giuramento di fedeltà, sancita da Innocenzo IV nel 1245. fiscale del clero, non esitò ad entrare in conflitto con papa Bonifacio VIII, a convocare per la prima volta il parlamento (<stati generali>) nel 1302 per ottenere il sostegno dei sudditi, e a rivendicare la discendenza diretta da Dio del potere regio. IL REGNO DI INGHILTERRA: Le perdite in terra francese e la concessione della Magna Charta avevano indebolito le prerogative dei re inglesi. Nel suo lungo regno Enrico III (1216 – 1272) dovette confrontarsi ripetutamente con le pretese dei baroni della piccola nobiltà rurale (gentry) e delle città, che limitarono il potere regio. Il favoritismo nei confronti dei parenti francesi della moglie, Eleonora di Provenza, suscitò la ribellione dell’alta nobiltà, che ottenne l’espulsione degli stranieri e migliori condizioni fiscali con le cosiddette Provvisioni (Provisions) di Oxford e di Westmister nel 1285 e 1259. Il loro annullamento nel 1261 scatenò un’aperta guerra dei baroni, guidati da Simone di Monfort, che convocarono per la prima volta il parlamento inglese nel 1264 aprendolo ai borghesi delle città, ma furono sconfitti a Evesham nel 1265. Ciò consentì a Enrico III di rafforzare l’apparato amministrativo, in particolare quello fiscale, che permise di finanziare l’estensione del dominio regio a tutta l’isola intrapresa dal successore Edoardo I (1272 – 1302). Egli conquistò il Galles nel 1283 e, sia pure per poco, la Scozia nel 1305. Fu lui a espellere gli ebrei dal regno nel 1290, e a convocare il parlamento regio nel 1295. REGNO DI SICILIA: Il rafforzamento del potere regio in Sicilia fu perseguito da Federico II quando poté finalmente insediar visi dopo l’incoronazione imperiale nel 1220. Con alcune campagne militari e distruzioni di castelli, egli rivendicò a sé i diritti regi usurpati dai baroni e ribadì l’assoggettamento delle comunità urbane. Innestandosi sulle preesistenti strutture normanne sviluppò inoltre un efficiente apparato amministrativo. Nel 1231 Federico raccolse nel Liber Augustalis la sua legislazione, che rivela il disegno di un governo ordinato dal territorio per l’esercizio della giustizia e della fiscalità regia, per l’amministrazione del demanio e per lo sviluppo dei commerci. Le lotte di successione indussero il papa francese Urbano IV, signore feudale dei re di Sicilia, ad affidarne la corona a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, che sconfisse Manfredi a Benevento nel 1266, occupò il regno e ne ripristinò l’organizzazione amministrativa. I REGNI DI CASTIGLIA E DI ARAGONA: La sconfitta dei musulmani nel 1212 consentì ai regni iberici ulteriori conquiste territoriali. Il Portogallo consolidò il controllo delle regioni atlantiche inglobando l’Algrave, la Castiglia annesse le città di Cordova e di Siviglia, l’Aragona conquistò Valencia e le isole Baleari. Il regno di Castiglia gravitava sulle vaste pianure interne della penisola, dove le grandi proprietà consolidarono il potere di una nobiltà che entrò spesso in conflitto con la politica regia di accentramento, soprattutto al tempo di Alfonso X (1252 – 1284), che trasformò la corte in un importante centro di cultura e promosse nel 1265 un’imponente raccolta legislativa. Il regno di Aragona, unione di diversi regni e domini, si basava sul patto tra il sovrano e le diverse componenti del regno a rispettare le leggi consuetudinarie. Grazie ai mercanti catalani l’economia era soprattutto commerciale e proiettata sui traffici nel Mediterraneo, e sostenne l’espansione politica e militare dei re aragonesi, che si insediarono in Sicilia tra 1282 e 1302 e avviarono la conquista della Sardegna nel 1323. LO STATO PONTIFICIO: Agendo come un monarca, anche il papa rafforzò i poteri temporali sul proprio territorio tra XII e XIII secolo. Fu Innocenzo III ad espandere il territorio, facendosi giurare fedeltà da nobili e città del Lazio, dell’Umbria e delle Marche, e articolando i tratti essenziali dello stato pontificio intorno a quattro province: Lazio meridionale, Tuscia, ducato di Spoleto e marca di Ancona. Nel 1278 fu aggiunta anche la Romagna. Larghe autonomie furono concesse in materia fiscale e giudiziaria ai signori del territorio e ai rappresentanti delle città, che partecipavano a parlamenti locali presieduti da rettori pontifici. 17.2 L’Europa orientale. Nell’Europa orientale e slava si erano formati tra XI e XII secolo alcuni regni di grande estensione territoriale quanto di debole coesione politica. Le monarchie non riuscirono a dare vita a forti strutture di governo e a contrastare la crescente potenza della nobiltà rurale. Fu la cristianizzazione a offrire un senso di identità a regioni su cui l’impero tedesco riuscì facilmente a estendere la propria superiorità feudale. Il regno di Polonia, che si era costituito nel 1025 sotto la dinastia dei Piasti, fu scosso da rivolte popolari e da sempre più forti rivendicazioni della nobiltà, finendo col frazionarsi tra XII e XIII secolo in più di una ventina di principati. Contemporaneamente dalla Scandinavia vi si erano insediati anche gruppi di commerciante e guerrieri vareghi che le popolazioni slave chiamavano <rus>. FU un loro capo, Oleg, che nell’882 unificò il principato settentrionale di Novgorod con quello meridionale di Kiev, dando vita al principato di Kiev (o Rus). Il regno, a maggioranza slava, adottò la lingua slava e sotto Vladimir I (980 – 1015) , che sposò la sorella dell’imperatore di Bisanzio Basilio II e si convertì al cristianesimo (988), si aprì all’influenza della civiltà bizantina e della liturgia ortodossa. Dall’inizio del XIII secolo venne formandosi nelle steppe asiatiche una vastissima dominazione per opera di tribù nomadi originarie della Mongolia. Guidati da Temujin (1162 – 1227), detto Gengis Khan (< signore universale>), i mongoli conquistarono rapidamente la Cina settentrionale, l’Asia centrale e la Russia orientale, grazie a mobilissime truppe di arcieri a cavallo. I successori operarono incursioni verso i paesi musulmani fino all’Egitto, convertendosi in larga parte all’Islam e giungendo a saccheggiare Baghdad nel 1258. In Europa (dove furono chiamati <tartari>) compirono razzie spingendosi nel 1240 – 1241 fino alla Polonia, alla Slesia e all’Ungheria, minacciando Vienna e affacciandosi anche sull’Adriatico. Dalla metà del Duecento i mongoli cominciarono però a ripiegare per le rivalità sempre più accese tra i loro capi. L’enorme impero, che si estendeva dalla Corea alla Persia ai confini della Polonia, si divise in <khatanati>. Dopo la distruzione di Kiev nel 1240, per quasi due secoli i principati slavi furono resi tributari del khatanto dell’Orda d’oro con capitale Sarai sul basso Volga, accentuando il distacco dell’area russa dal resto dell’Europa. CAPITOLO XVIII “Il rinnovamento della cultura.” 18.1 Protagonisti laici. La crescita economica che si manifestò dall’XI secolo ebbe conseguenze anche sul piano culturale. Si fece così più intensa la produzione e la conservazione di documenti scritti redatti dai notai e dagli stessi mercanti. È dunque possibile parlare di laicizzazione della cultura, nel senso di una diffusione del sapere al di fuori degli ambienti ecclesiastici, svincolata dall’esclusivo monopolio dei chierici, ma non per questo dal messaggio e dal pensiero cristiano. Tra XI e XII secolo si affermò un fenomeno nuovo: la messa per iscritto di testi in volgare. Nella definizione dei modelli culturali ebbero un ruolo di rilievo i gruppi nobiliari, con la diffusione della letteratura epica che narrava le gesta dei guerrieri e della poesia d’amore. La prima si sviluppò nel nord della Francia presso un pubblico che stava elaborando l’etica del cavaliere cristiano: la Chanson de Roland ne è il testo più rilevante. Nelle regioni meno romanizzate, invece, la comparsa dei testi volgari era stata più precoce: tra VIII e X secolo erano stati composti, per esempio, il poema eroico del Bewolf, all’origine della letteratura anglosassone, e la vasta produzione saghe nell’Irlanda celtica. Emblema di una rinnovata spiritualità, di forte impronta monastica, ne fu lo stile che fu poi detto < romanico> nel XIX secolo. Le chiese romaniche rappresentarono il trionfo della pietra quale elemento costruttivo, impiegata per le coperture con volte a crociera o a botte, e adattata a tutti gli elementi architettonici che risultarono, conseguentemente, più pesanti. 18.2 Università e nuovi campi del sapere. Cruciale fu l’evoluzione dell’atteggiamento nei confronti degli autori della tradizione latina e patristica, alla cui autorità si cominciò a guardare reputando lecito di non fermarsi a essa ma di ricercare nuove verità. Le curiosità intellettuali fecero leva innanzitutto sul recupero dei testi di autori greci come Platone, Aristotele o Euclide fino ad allora poco o per nulla conosciuti in Occidente. Tramite della circolazione del pensiero greco fu soprattutto la Spagna musulmana dove vari commentatori arricchirono la tradizione scientifica classica: per esempio, Averroè le opere filosofiche di Aristotele, e Maimonide quelle mediche di Ippocrate e di Galeno. L’afflusso di nuove conoscenze e la crescente richiesta di istruzione di carattere avanzato portarono alla formazione di nuovi luoghi di formazione del sapere: gli <studi>, come allora si indicarono le università, che ebbero sedi urbane e origini le più diverse. Il primo studium sorse a Bologna alla fine dell’XI secolo per iniziativa di associazioni di studenti interessati a ricevere lezioni di diritto da maestri laici qualificati, mentre a Parigi, alla fine del XII secolo, per la volontà dei chierici professori di teologia della scuola episcopale di sottrarsi al controllo del vescovo. Gli intellettuali laici delle città italiane furono innanzitutto i giudici e i notai, che adattarono alle nuove esperienze politiche la tradizione del pensiero antico ed ecclesiastico. Il mutamento dei tempi si rispecchiò anche nell’evoluzione dell’arte e dell’architettura dallo stile romanico a quello che gli umanisti del secolo XV avrebbero chiamato <gotico>. Esso si sviluppò dalla metà del XII secolo a partire dalla Francia, per poi diffondersi in tutto l’Occidente. Rispetto alle forme spoglie e massicce tipiche del romanico, il gotico venne caratterizzandosi per lo slancio verticale degli edifici, per una maggiore eleganza e raffinatezza dei tratti e delle decorazioni e, soprattutto, per l’ampio uso della luce filtrata nelle chiese da larghe vetrate colorate. CAPITOLO IX “Le autonomie politiche.” 19.1 Città e comuni. imperii e quelli della pars ecclesiae, nel contesto del conflitto che aveva contrapposto i sovrani svevi ai pontefici tra la metà del XII e la metà del XIII secolo. Gli schieramenti cercarono di egemonizzare lo spazio politico cittadino, raccordandosi a reti di alleanze intercittadine che, nella seconda metà del Duecento, assunsero i nomi di guelfa e ghibellina. L’affermazione violenta di una parte si traduceva nell’esclusione dalla città dei nemici di quella avversa, spogliati dei beni e privati della cittadinanza: matrice delle lotte di fazione cittadine era infatti la cultura della vendetta. A loro volta, i conflitti che avevano opposto il < popolo> all’aristocrazia urbana subirono un’ulteriore accelerazione. La flessibilità istituzionale che aveva consentito al <popolo> di affiancare con proprie rappresentanze quelle del comune podestarile venne meno di fronte all’incapacità di coniugare la disciplina alla società con il mantenimento di un carattere aperto alla partecipazione politica. In alcune città i governi di <popolo> che si battevano per l’allargamento della base sociale della cittadinanza non esitarono infatti a escludere dagli uffici politici numerose famiglie dell’aristocrazia militare che vi erano da tempo presenti. I membri di queste famiglie furono colpiti da una legislazione speciale che li indicò come magnati (vale a dire potenti, in base all’accusa di praticare uno stile di vita violento, soprattutto quando rivolto contro i <buoni cittadini popolani>) e che combinò l’esclusione dagli uffici politici con la comminazione di pene più gravi rispetto all’ordinario. La <magnetizzazione> della nobiltà antica e recente fu accompagnata da una propaganda di <popolo> che si richiamava, non senza qualche contraddizione, ai valori della <pace> e della <giustizia>. Nella seconda metà del XIII secolo si compì quasi ovunque il superamento dei governi comunali in una varietà di soluzioni spesso ibride che esprimevano l’incessante ricerca di un assetto che conferisse maggiore coerenza allo spazio politico e lo traducesse in un quadro istituzionale più stabile. Esito generale fu il venir meno della partecipazione allargata a gruppi sociali diversi che aveva caratterizzato per qualche tempo la vita politica di alcune città sotto la guida dei governi di <popolo> L’affermazione di forme di potere personale e signorile fu contemporanea a quella dei governi di <popolo> nei decenni centrali del Duecento. In numerose città i consigli municipali cominciarono a conferire a un singolo cittadino eminente (spesso titolare di cariche come quelle di podestà o capitano del <popolo>. L’affermazione di poteri signorili fu più precoce nelle città padane rispetto a quelle dell’Italia centrale. Ciò fu dovuto alla capacità di alcuni grandi signori, dotati di beni fondiari e di investiture imperiali, di costruire dominazioni su costellazioni di città e di territori rurali sfruttando i conflitti tra le fazioni e le rivalità tra le diverse città. L’introduzione del principio ereditario consentì di fondare vere e proprie dinastie signorili, come furono quelle dei Della Scala fino al 1387, dei Visconti fino al 1447 … Ciò contribuì a rafforzare il potere dei signori, che trasformarono progressivamente nel corso del XIV secolo il sistema di governo con la creazione di organi ristretti, di cancellerie e di archivi a loro direttamente dipendenti, svuotando le istituzioni consiliari e abolendo molti uffici comunali. Intorno alle dinastie signorili cominciarono a formarsi delle corti, con ruoli, cerimoniali e stili di vita cavallereschi. La ricerca del consenso passò anche attraverso un processo di legittimazione che adottò i linguaggi dell’architettura, delle lettere e delle arti, per diffondere l’immagine encomiastica del signore. Solo in pochissime erano sopravvissute esperienze a comune, a costo di pronunciate ristrutturazioni in senso oligarchico. A Siena, per esempio, si era consolidato un nucleo di circa 60 famiglie aristocratiche e popolane di omogeneo orientamento mercantile e finanziario, incentrato tra 1287 e 1355 intorno al governo dei Nove. A Venezia, dove la città era redatta da un doge, le grandi famiglie di mercanti reagirono al diffondersi di lotte di fazione e di congiure aristocratiche allargando nel 1297 il Maggior Consiglio a <uomini nuovi>, per procedere poi dal 1323 ad ammissioni selettive: si formò cos’ un’élite ereditaria, coerente per interessi economici, che escluse le casate nobiliari e le famiglie popolane. Più instabili furono gli equilibri a Genova, dove un’informale oligarchia mercantile – finanziaria nel 1339 elesse doge a vita, su modello veneziano, il ricco mercante Simone Boccanegra, affiancato da un collegio di anziani scelti fra i popolari, mentre i nobili furono esclusi dagli uffici più importanti. CAPITOLO XX “Depressione demografica e ristrutturazioni economiche.” 20.1 La crisi demografica. La popolazione europea subì un drammatico calo nel corso del XIV secolo. La curva demografica toccò probabilmente il suo apice già alla fine del Duecento. Da quel momento la crescita della popolazione che durava ininterrottamente da alcuni secoli si fermò. La spiegazione più plausibile appare quella della cosiddetta <sovrappopolazione relativa>, vale a dire dello squilibrio che a un certo punto si venne a creare tra la disponibilità di risorse alimentari e l’eccessivo numero degli uomini. Su una popolazione già provata da anni di difficoltà si abbatté nel giro di pochi mesi dal 1347 una terribile epidemia di peste bubbonica o <nera> proveniente dall’Asia. Era dalla fine del VII secolo che l’Occidente europeo non aveva più conosciuto epidemie di quel genere, forse a causa dei mutamenti climatici che avevano reso il clima europeo inospitale a l bacillo. Dal Kazakistan, dove era endemico, il bacillo giunse in Europa attraverso le vie carovaniere che collegavano le steppe asiatiche agli empori mercantili del Mar Nero. Dalla Sicilia essa risalì il continente, toccando il culmine dell’infezione nel 1348, quando il contagio raggiunse l’Italia comunale, la Francia, la Spagna e la Germania, e poi, nel 1349, l’Inghilterra, la Scandinavia, l’Ungheria e, nel 1350, anche la Russia, risparmiando poche aree e causando un enorme numero di morti. Non si assistette, cioè, a un calo repentino della popolazione: essa subì un calo graduale, a < scalini>, raggiungendo il punto più basso solo nei primi decenni del XV secolo. A rinsanguare le città di nuovi abitanti furono i flussi di immigrazione delle campagne più che la crescita naturale della natalità. La recrudescenza della guerra in molte regioni europee ebbe un peso non trascurabile sul declino demografico delle campagne. Gli eserciti e in modo particolare le milizie mercenarie disoccupate che saccheggiavano le aree rurali. Inoltre, contribuivano a diffondere epidemie, per le pessime condizioni igieniche in cui vivevano. I saccheggi e le devastazioni spingevano la gente a fuggire dalle campagne e a trovare rifugio nelle città. Come nei secoli VI e VII, le crisi demografiche furono quasi sempre determinate dal combinarsi dei fattori finora esaminati: le guerre, le carestie e le epidemie. 20.2 Le trasformazioni dell’economia. Le difficoltà dell’economia coinvolsero anche le attività creditizie. Rispetto al passato, esse non sii limitarono più a sostenere il commercio e le attività produttive, ma cominciarono a finanziare anche i sovrani europei. Questi chiedevano prestiti ai grandi banchieri internazionali, che erano soprattutto toscani, per finanziar le guerre e i sempre più costosi apparati amministrativi dei regni. Per alleggerire i costi dei capitali e degli interessi da rimborsare, alcuni di essi imposero svalutazioni forzose delle proprie monete, come fece in particolare il re di Francia Filippo IV il Bello. Con la propria insolvenza tra 1297 e 1308 egli determinò la bancarotta di una tra le più grandi compagnie di banchieri dell’epoca, quella dei Bonsignori di Siena. Negli stessi anni fallirono anche quelle dei Ricciardi di Lucca e degli Ammanati e dei Chiarenti di Pistoia, e quando il re di Inghilterra Edoardo III, tra 1342 e 1343, dovette sospendere il pagamento dei debiti ai banchi fiorentini dei Bardi e dei Peruzzi, anch’essi fecero bancarotta. La ristrutturazione del sistema bancario articolò le compagnie in filiali fornite di capitali propri e di autonomia di gestione, così che la bancarotta di una non potesse determinare il cedimento dell’intero complesso. Anche le attività mercantili furono organizzate intorno a una rete di operatori stabili nei maggiori centri commerciali e internazionali. Lo sviluppo delle economie dell’Inghilterra, dell’Olanda e della Spagna favorì l’apertura di nuovi assi commerciali, che iniziarono a spostare irreversibilmente il baricentro degli scambi internazionali dal Mediterraneo all’Europa atlantica. CAPITOLO XXI “Reazioni e ripresa.” 21.1 Mentalità e sensibilità di fronte alla crisi. La peste destò enorme impressione tra i contemporanei per la velocità con cui si diffuse inizialmente, per la rapidità del decorso, per la mancanza di rimedi e per l’ignoranza sulle sue cause e sui modi di contagio. Grazie all’osservazione empirica vennero adottate misure per circoscriverne la diffusione: divieto di assembramenti, limitazione degli spostamenti e segregazione dei malati. La gente non riusciva a spiegarsi le cause del susseguirsi dei cattivi raccolti, delle pestilenze, delle guerre e di eventi naturali come l’alluvione che colpì Firenze nel 1333 o il terremoto che squassò le Alpi austriache nel 1348 causando 10.000 morti. La risposta più immediata fu di interpretarli come annunzio apocalittico: in questi avvenimenti si vedeva l’azione delle forze del male che segnava l’approssimarsi della fine del mondo. Le reazioni individuali e collettive furono le più diverse. Ma vi fu anche chi si sfrenò nell’infuriare delle epidemie: le cronache segnalano baldorie di ubriachi a Roma, feste e banchetti a Parigi, addirittura giochi e tornei in Inghilterra. La paura della morte assunse nuovi tratti, per la sua drammatica presenza nella vita quotidiana del periodo e per le dolorose esperienze cui costringeva rispetto a un passato anche recente. La diversa sensibilità fu probabilmente alla base della trasformazione che dal XIV secolo incominciò a investire l’arte sacra sviluppando il tema della morte, rappresentata ora in forma di schema della morte, rappresentata ora in forma di scheletro o di cadavere putrefatto. La peste, in particolare, lasciò drammatici echi anche nella letteratura dell’epoca. La provenienza del contagio era chiaramente individuata nell’Oriente, un mondo rappresentato come magico e terribile, popolato da infedeli che avevano in animo la morte dei cristiani. La letteratura enfatizzò Le speranza di riforma furono presto deluse. La morte improvvisa di Gregorio IX nel 1378 aprì un conflitto all’interno del collegio dei cardinali. I cardinali italiani elessero papa Urbano VI. I cardinali Francesi elessero Clemente VII (Che si stabilì ad Avignone) Si aprì così uno scisma interno alla Chiesa d’Occidente. I papi diedero vita a due collegi di cardinali e due curie, una a Roma e l’altra ad Avignone, ed entrambi ebbero successori. La divisione fu alimentata dallo schierarsi dei diversi sovrani europei con un pontefice o con l’altro. Il mondo cristiano si trovò diviso per lunghi anni in due schieramenti contrapposti, non solo religiosi ma anche politici, in conseguenza anche delle alleanze operanti con la guerra dei Cent’anni. 22.3 Nuovi fermenti religiosi. Le correnti spirituali francescane, assertrici di un pauperismo radicale, si contrapposero di fatto alla Chiesa come istituzione di potere. Il concilio di Vienne del 1311 condannò la tesi centrale del pauperismo, cioè che Gesù e gli apostoli non avessero mai posseduto niente. Molti furono condannati, incarcerati o messi al rogo, ma ancora nel XV secolo continuarono a manifestarsi forme di dissenso, in particolare da parte dei cosiddetti, in modo spregiativo <fraticelli>. Tra la fine del XIII e la prima metà del XIV secolo l’Europa cristiana fu attraversata da un’ondata senza precedenti di processi, promossi sia dalle giurisdizioni secolari sia da quelle ecclesiastiche nei quali imputazioni di tipo politico e accuse di eresia si intrecciavano in un’unica strategia repressiva. 22.4 Il movimento conciliarista. Tuttavia la situazione si era a tal punto irrigidita nel corso di un trentennio che quando i prelati di entrambi i fronti riuscirono a convocare a Pisa nel 1409 un concilio che depose e dichiarò scismatici ed eretici entrambi i pontefici ed elesse un nuovo papa nella figura dell’arcivescovo di Milano, che prese il nome di Alessandro V, gli altri pontefici si rifiutarono di abdicare. I papi divennero addirittura tre. A prendere l’iniziativa fu il re di Germania Sigismondo, che convocò il concilio nella città imperiale di Costanza, inaugurandolo il 1414. Il concilio di Costanza radunò centinaia di prelati e teologi, oltre a numerosi sovrani e le loro rappresentanti e durò fino al 1418. Nel 1417 fu eletto il primo papa ecumenico dopo quarant’anni, Martino V, che convocò regolarmente nuovi concili a Pisa nel 1423 e a Basilea nel 1431. In quest’ultimo furono ridimensionate le prerogative del papa in materia di benefici e di fiscalità, riformato il concilio cardinalizio e drasticamente ridotto il potere della curia. Tali decisioni riaprirono i contrasti con il nuovo pontefice Eugenio IV. Nel 1438 Eugenio IV dichiarò decaduto il concilio e indisse una nuova assemblea a Ferrara, dove convennero anche prelati e teologi greci per una soluzione dello scisma con la Chiesa ortodossa con la quale fu in effetti sancita una precaria riunificazione del 1439 a Firenze, dove il concio si era spostato. La maggioranza dei conciliarismi rimase a Basilea, processando Eugenio IV e nominando come suo successore nel 1439, col nome di Felice V, l’ex duca di Savoia Amedeo VIII, che da anni si era ritirano in monastero. Paradossalmente mentre la Chiesa di Roma si riconciliava solennemente con quella di Costantinopoli, il concilio promuoveva l’ennesimo scisma all’interno della Chiesa cattolica. Il consenso dei principi al movimento conciliarista venne però progressivamente meno di fronte agli esiti radicali del concilio di Basilea e ai contrasti che nel frattempo erano sorte tra i suoi partecipanti. I pochi padri conciliari rimasti si trasferirono Losanna nel 1449 e dopo avere riconosciuto il nuovo pontefice di Roma, Niccolò V, si sciolsero definitivamente. Come alle aspirazioni alla riforma della Chiesa non seppe dare risposte adeguate, il movimento conciliarista fu anche alla base della fondazione di Chiese nazionali, che ruppero definitivamente l’unità della cristianità. L’indebolimento dell’autorità pontificia consentì infatti ai sovrani di svincolare dal controllo della curia il governo delle istituzioni ecclesiastiche locali, soprattutto in materia fiscale e giudiziaria e nell’assegnazione dei benefici. Fu questo il motivo principale del sostegno che le autorità laiche diedero inizialmente al movimento conciliarista. Nel 1438 il re di Francia emanò la Prmmatica sanzione, che si richiamava ai decreti di Costanza e di Basilea per proclamare l’elezione locale dei vescovi e degli abati, la competenza dei tribunali civili in materia ecclesiastiche, e la drastica riduzione dell’intervento papale in tema di tasse e benefici. Nel 1439 un documento analogo fu adottato dalla dieta imperiale di Magonza per l’area tedesca, mentre in Inghilterra le autorità dei vescovi si estese nel XV secolo a tutte le istituzioni ecclesiastiche del regno. 22.5 La ritrovata autorità pontificia. La disunione dei prelati emersa a Basilea aveva mostrato l’incapacità del concilio di proporsi come governo autorevole e riconosciuto della cristianità. Il domenicano Juan de Torquemada, che aveva partecipato ai concili di Costanza e Basilea, svolse un importante ruolo di mediazione tra la sede romana e i vescovi francesi, che riconobbero come papa legittimo Eugenio IV; il filosofo tedesco Nikolaus Krebs (Nicola Cusano), che a Basilea si era impegnato per mediare tra le posizioni concili ariste e quelle della cura pontificia. Fu nominato cardinale nel 1448 e legato pontificio in Germania dove si fece attivo fautore dell’obbedienza al papato. L’esperienza conciliarista lasciò in molti fedeli l’idea che le assemblee ingovernabili di dotti e prelati fossero soprattutto occasione di anarchia e disordine. Nel corso del Quattrocento le gerarchie ecclesiastiche accentuarono il loro orientamento mondano. I cardinali e i vescovi, tratti quasi sempre dalle case regnanti o principesche, si occuparono crescentemente di politica e di diplomazia, spesso trascurando la cura d’anime. Sin dal XII secolo i pontefici avevano crescentemente affidato cariche e benefici ecclesiastici a membri della propria famiglai. In questo modo alcune famiglie, soprattutto romane, avevano arricchito le loro fortune secolari, sfruttando le entrate dei grandi uffici ecclesiastici e le rendite dei benefici. Il fenomeno, indicato col termine di <nepotismo> e i cui aspetti deteriori furono giudicati negativamente dal punto di vista morale, riprese vigore nella seconda metà del XV secolo. Si crearono così vere e proprie dinastie di cardinali, vescovi, alti prelati etc., dotate di ingenti patrimoni: rendite, appannaggi, palazzi, etc. La restaurata autorità del potere pontifico lasciò però insoddisfatte le esigenze di riforma religiosa. CAPITOLO XXIII “Gli imperi.” 23.1 L’impero <tedesco>. Il potere dell’impero era stato ridimensionato dall’interregno seguito alla morte di Federico II e dalla sua debolezza dei suoi successori, a cominciare da Rodolfo I D’Asburgo (1273 – 1291). Dopo il fallimento dei tentativi di Enrico VII di Lussemburgo (1308 – 1313) e di Ludovico dei Wittelsbach di Baviera (1313 – 1347) di ridare vigore al potere imperiale attraverso le campagne italiano, l’influenza degli imperatori si ridusse definitivamente al territorio tedesco. A indebolire l’autorità dell’imperatore concorreva anche il fatto che egli venisse eletto, senza riuscire a creare una stabile dinastia. Nella prima metà del XIV secolo venne affermandosi il ruolo di un certo numero di grandi elettori, laici ed ecclesiastici, chiamati a designare il re di Germania: il re di Boemia, il marche del Brandeburgo, il duca di Sassonia e il conte del Palatinato, e gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza. Nella dieta di Rhens del 1338, insieme a Ludovico di Baviera essi stabilirono che il futuro sovrano avrebbe associato automaticamente la corona regia e quella imperiale, senza bisogno di conferma da parte del papa. Per rendere meno incerte le procedure di elezione, fino ad allora gestite dalla grande nobiltà tedesca senza un ordine preciso, nel q356 egli emanò una disposizione nota come Bolla d’oro. Essa fissò il collegio dei sette principi che avevano il privilegio di eleggere l’imperatore secondo determinante ritualità, e confermò come non fosse più necessario ottenere anche la corona d’Italia e la consacrazione pontificia. Il titolo imperiale perse così definitivamente le prerogative universalistiche, accentuando la sua natura prettamente tedesca. Ad alternarsi sul trono furono soprattutto le casate dei Wittelsbach, insediata in Baviera, dei Lussemburgo, che fondarono la propria autorità in Boemia, e degli Asburgo, i cui domini alpini si estendevano dall’attuale Svizzera orientale al Tirolo, alla Carinzia. I Lussemburgo riuscirono a controllare per circa un secolo, dal 1348 al 1437, la corona imperiale, ma nonostante i tentativi di accreditarsi come una stirpe di re, non poterono renderla dinastica. L’ultimo sovrano della casata, Sigismondo (1410 – 1437), che era stato eletto anche re d’Ungheria dal 1387, diede in sposa la figlia Elisabetta ad Alberto II d’Asburgo favorendo così la convergenza delle corone d’Austria Boemia e Ungheria nelle mani degli Asburgo. Con l’elezione di Alberto il titolo imperiale pervenne a questi ultimi, che la conservarono ininterrottamente per tutta l’età moderna. Formalmente elettiva, la carica imperiale divenne da allora di fatto dinastica. Data anche la sua enorme estensione, l’impero non ebbe mai una sovranità uniforme. L’accentramento del potere regio, pur perseguito da alcuni sovrani, non raggiunse mai i risultati e l’intensità delle principali monarchie dell’Europa occidentale. Le concessioni di privilegi e diritti, particolarmente intense nell’età degli imperatori svevi, avevano reso le città e i principati territoriali sempre più autonomi. L’autorità imperiale fu esercitata soprattutto attraverso l’organismo rappresentativo del parlamento imperiale (Reichstag) che nel corso del XV secolo si riunì con crescente regolarità, aprendosi anche alla presenza delle città imperiali. Gli Ottomani stavano per puntare alla conquista di Bisanzio quando furono investiti dalla rinnovata espansione mongola. A promuoverla fu un capo tartaro, Timur – lenk (<Tamerlano>), di fede musulmana sunnita, che dalla regione di Samarcanda mosse una serie di fulminee campagne di guerra che gli permisero di ricreare un grande impero asiatico. Dopo la sua morte il vasto impero (Che si estendeva in Perisa, India Armenia, Sira e Mesopotamia) si disgregò in pochi decenni. Dopo la morte di Tamerlano, gli Ottomani ripresero l’espansione in Asia, nel Mar Nero e nei Balcani. Di fronte alla minaccia gli imperatori bizantini chiesero invano aiuto a un’Europa prostrata dalla guerra dei Cent’anni e dalla crisi delle sovranità imperiali e pontificia. Un esercito crociato guidato dal re di Polonia e di Ungheria fu sconfitto a Varna in Bulgaria nel 1444. Maometto secondo (1451 – 1481) cinse d’assedio Costantinopoli che cadde il 29 maggio 1453 e fu saccheggiata per giorni: l’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI, vi morì combattendo. La caduta in mano mussulmana di Costantinopoli e la fine dell’impero bizantino suscitarono un’ondata di sgomento in occidente. Nel 1480 occuparono anche Otranto sulle coste pugliesi, mentre contingenti armati si spinsero in Friuli nel 1477 e in Carinzia nel 1492. Fu Maometto II ad assicurare l’uniformità amministrativa e giuridica dell’impero, sul fondamento della legge coranica musulmana (sharia). Il nucleo della potenza militare era costituito dal corpo dei <giannizzeri> reclutati tra i giovani cristiani delle province balcaniche dell’impero, convertiti all’islam e sottoposti ad addestramento speciale. Peraltro, il governo turco fu meno oppressivo di quello bizantino e tollerante della religione delle popolazioni sottomesse, che rimasero in larga parte cristiane ortodosse. CAPITOLO XXIV “Dai regni agli stati.” 24.1 Continuità e trasformazioni. Il rafforzamento in senso statale dei regni europei tra XIV e XV secolo, nel senso di una maggiore stabilità politico – amministrativa e territoriale, fu caratterizzato dall’evoluzione di processi già in atto da secolo e dell’emergere di nuovi fenomeni. Tra gli elementi di continuità va evidenziato, in primo luogo, come gli stati continuarono a essere costituiti da una molteplicità di organismi di base ciascuno titolare di poteri e prerogative. Una trasformazione evidente investì invece l’Europa orientale, dove vennero formandosi vaste e finalmente più stabili compagini statali, che furono comunque più fragili rispetto a quelle occidentali per la strutturale debolezza della loro composizione sociale e organizzazione politica. Solo in Francia e in Inghilterra si costruirono delle monarchie di carattere nazionale: nelle altre regioni continuò infatti a essere forte il peso dei poteri territoriali locali. Tra le continuità più evidenti era il perdurante potere della nobiltà. Le terre appartenenti ai nobili erano parzialmente, e talora totalmente, esenti dalla tassazione regia. I sovrani continuarono a concedere le investiture feudali, nobiltà, trovando negli uffici statali un altro canale importante di ascesa sociale. In alcune regioni come le Fiandre e la Germania, dove le città avevano raggiunto ampie disponibilità di risorse, privilegi e gradi elevati di autonomia, il rafforzamento dei poteri monarchici e signorili dette luogo inevitabilmente a conflitti. Nei regni più forti, come l’Inghilterra, la Francia e la Spagna, la presenza degli ufficiali regi e la pressione fiscale poté essere invece essere esercitata più agevolmente. Anche il clero continuò a godere di privilegi giurisdizionali e fiscali, nonostante la volontà crescente dei sovrani e dei principi di controllare le istituzioni ecclesiastiche. Tali privilegi furono rivendicati direttamente dal papato nel momento di massimo potenziamento monarchico durante il periodo avignonese. I re finirono col rivendicare la tutela delle rispettive Chiese nazionali, stipulando accordi e concordati con il papato romano dalla metà del XV secolo. La forza dei poteri locali, che alcuni documenti dell’epoca indicarono con il termine di < corpi> politici, indusse i sovrani a ricercare con essi un dialogo politico, a stringere accordi, a coordinarne le diverse istanza. I re si proposero crescentemente come referenti delle varie componenti del regno offrendo sicurezza e pacificazione, garantendo l’ordine interno e difendendo il paese dai nemici. Ciò gli fornì la base ideologica per legittimare il suo diritto a imporre le tasse ed amministrare la giustizia, a potenziare gli apparati militari. Presso la corte, le cancelleria e i consigli che affiancavano il sovrano nel governo del regno si differenziarono un po’ovunque in uffici specializzati, ciascuno con competenze in materia diverse: sorsero così le alte corti di giustizia, le camere fiscali, i consigli del re etc. Nella dilatazione degli apparati amministrativi l’elemento di novità fu rappresentato dalla progressiva affermazione dell’idea che l’ufficiale non fosse al servizio diretto del re ma svolgesse qualificate funzioni in senso più generale per il regno. Si formò così un funzionariato che copriva gli uffici non in virtù di un legame di fedeltà ma dietro la corresponsione di uno stipendio nella prospettiva di svolgere una carriera regolare. In sostanza, cominciò a formarsi un’embrionale burocrazia non più reclutata in base allo status sociale bensì alle competenze, perlopiù giuridiche, alla cui formazione servivano proprio quelle università fondate con sempre maggiore frequenza su iniziativa regia. La crescita degli apparati amministrativi aumentarono costantemente le esigenze finanziarie dei sovrani. Da sempre il nucleo delle loro entrate era costituito dalle rendite dei territori su cui esercitavano un dominio diretto, che però erano insufficienti a coprire tutte le spese del regno. I sovrani pertanto cercarono sempre nuovi cespiti di entrata. Ampio ricorso fu fatto al prestito dei banchieri internazionali, in particolare italiani, garantendo in cambio introiti futuri, cessioni di provenienti fiscali o concedendo feudi: talora però i re non furono in grado di pagare tutti i debiti e provocarono clamorosi fallimenti. Anche il consumo di prodotti quotidiani come il pane la carne o il vino, fu gravato da gabelle. Gli stati si assicurarono anche il monopolio della produzione del sale vendendolo a prezzi prestabiliti talora imponendone l’acquisto a ogni famiglia. L’autorevolezza dei re si fondava sulla loro effettiva capacità di garantire la pace interna e di offrire giustizia ai sudditi. L’ordine pubblico fu assicurato da appositi contingenti di milizie nei territori del regno. La stessa legislazione regia si fece più intensa, disciplinando i diritti e le consuetudini locali, ma anche intervenendo con disposizioni valide materie riguardanti l’intero regno. Alle male addestrate truppe inviate dalle città e alle milizie feudali renitenti a prestare servizio per più di qualche giorno all’anno, i sovrani sostituirono eserciti professionali composti di mercenari. Peraltro anche le milizie mercenarie potevano rivelarsi scarsamente fedeli e abbandonarsi al saccheggio se rimanevano prive di paga. Ci si orientò così verso la creazione di eserciti permanenti posti agli ordini di ufficiali nominati direttamente dal re. Caratteristiche dei nuovi eserciti erano: la loro natura di corpi stabili, reclutati prevalentemente tra i sudditi; il loro mantenimento anche in tempo di pace; la trasformazione del mestiere delle armi in una vera e propria carriera militare; l’accettazione da parte delle varie componenti del regno della necessità di stipendiare un esercito posto permanentemente a tutela della loro sicurezza. Un’altra innovazione determinata dallo sviluppo in senso statale degli ordinamenti pubblici fu la creazione di corpi stabili di funzionari incaricati di presiedere alla cura delle relazioni diplomatiche con i governi stranieri. La crisi delle sovranità universali e l’affermazioni dei regni monarchici avevano però determinato un quadro politico più complesso, irto di questioni di carattere territoriale, commerciale e politico, che potevano essere affrontate solo da sistemi di relazioni diplomatiche permanenti. Nel corso del XV secolo si affermò così la prassi di delegare i rapporti tra i singoli stati ad ambasciatori che risiedevano stabilmente presso le corti estere, godevano della salvezza della vita, ed erano in costante rapporto con la madrepatria grazia a una quotidiana corrispondenza in cui informavano minuziosamente sulle vicende politiche e militari e sugli affari interni degli stati. 24.2 Caratteristiche comuni. Malgrado il rafforzamento dei poteri sovrani gli stati rimasero caratterizzati però dalla presenza di una molteplicità di <corpi> politici, quali le città, i principati territoriali, la nobiltà, etc. che esercitavano poteri e prerogative con ampi spazi di autonomia. L’autorità dei sovrani non fu mai esercitata ovunque nel regno in forma diretta e assoluta. Il loro potere fu sempre limitato da un’eterogenea pluralità di organismi politici minori. Gli stati costituirono delle realtà complesse e, appunto composite. L’esito dei conflitti e delle resistenze dei corpi politici fu la ricerca da parte dei sovrani di modi di legittimazione che derivassero da accordi consensuali. Prese forma una gestione pattizia del potere che attraverso costanti negoziazioni portò a riconoscere la sovranità dei re in cambio del riconoscimento dei diritti e delle autonomie locali. Si delineò una duplice tendenza solo in apparenza contraddittoria, da un lato verso l’estensione dei poteri di intervento centrale e, dall’altro, verso il riconoscimento delle prerogative dei corpi locali, in un quadro complessivo disciplinato dell’autorità dei sovrani. Questi si proposero come mediatori tra i vari corpi politici, tutelandone le autonomie e garantendo che l’equilibrio degli interessi e dei privilegi non minacciasse la pace l’unità del regno. Furono i patti che il consolidamento dei poteri monarchici a rendere più stabili gli stati del XIV e XV secolo. Luigi XI (1461 – 1483) fu impegnato soprattutto a fronteggiare l’irrequietezza dell’alta nobiltà, coalizzata nel 1465 nella lega del <pubblico bene> e sconfitta a Montlhéry. La vicenda di Giovanna d’Arco, che incarnò un patriottismo mistico in cui la fede in Dio e la libertà della Francia si fondevano, contribuì ad alimentare il sentimento nazionale soprattutto dopo che nel 1431 gli inglesi la fecero condannare al rogo come eretica e sospetta di stregoneria. Riabilitata nel 1456, Giovanna è considerata la santa nazionale francese. 25.3 Lo stato inglese. L’affermazione di forme statali più complesse si caratterizzò in Inghilterra per il maggiore equilibrio tra il potere della corona e le altre forze politiche del regno, già insito nel precoce riconoscimento della Magna Charta. Tra il 1320 e il 1340 il parlamento divenne una vera e propria istituzione di governo, stabile e codificata, con responsabilità legislative e fiscali. E si venne anche articolando in una camera alta (“House of Lords”) e in una camera bassa (“House of Commons”), che presto si dotò di un portavoce (speaker) che ne sosteneva gli interessi. Si venne così creando un sistema politico bilanciato tra gli interessi delle élites regionali e la struttura amministrativa regia che si era venuta precocemente definendo già nel XIII secolo. L’equilibrio politico tra le diverse componenti del regno non u esente da conflitti. Le conseguenze fiscali della guerra contro i francesi determinarono rivolte e malessere sociale alla fine del Trecento. Le perdite nelle rendite e dei beni posseduti in Francia schierò contro il sovrano la grande nobiltà alla fine del regno di Enrico VI (1422 – 1461). Gli aristocratici si divisero in due fazioni guidate l’una dalla dinastia regnante dei lancaster e l’altra dalla casata degli York: la prima ebbe come simbolo una rosa rossa, la seconda una bianca. Da qui il nome di guerra delle due Rose per indicare le furiose lotte intestine che insanguinarono il paese tra il 1455 e il 1485. I conflitti stremarono i grandi aristocratici, molti dei quali morirono in battaglia. I loro feudi e i loro beni furono confiscati dai sovrani, che li incamerarono nel demanio regio. Quando Enrico VII della casata dei Tudor; imparentata con i Lancaster, sconfisse Riccardo III di York nel 1485 e sposò nel 1486 Elisabetta di York, mettendo fine al lungo conflitto, trovò un patrimonio della corona enormemente incrementato. L’effetto finale della guerra civile fu così il rafforzamento del potere monarchico. Oltre ai territori francesi definitivamente perduti nel 1453, le ambizioni di espansione territoriale del regno inglese si rivelarono fallimentari anche nei confronti della Scozia e delle Fiandre. Nella prima, l’interregno seguito alla morte del re nel 1286 , Edoardo I aveva dapprima appoggiato il nobile John Balliol (1292 – 1296) trattandolo come proprio vassallo, e poi aveva occupato le Lowlands, scatenando una dura ribellione guidata da William Wallace, giustiziato nel 1305, e poi da Robert Bruce che, dopo essere stato incoronato re nel 1306, umiliò l’esercito inglese a Bonnockburn nel 1314. Gli scozzesi avevano stretto alleanza con la Francia di Filippo IV, che intese così controbilanciare l’appoggio che gli inglesi avevano dato alle città delle Fiandre dopo l’occupazione francese nel 1297, fallita per la disfatta inflittale a Courtrai dalla fanteria fiamminga nel 1302. Anche in Inghilterra emerse un sentimento di appartenenza nazionale che, a differenza della Francia, riguardò principalmente e le élites del regno. Significativamente, a cote, dove dai tempi di Guglielmo il Conquistatore si era parlato francese, l’inglese cominciò a essere impiegato sistematicamente soprattutto per l’impulso dato da sovrani come Enrico IV ed Enrico V nei primi decenni del XV secolo. L’inglese divenne lingua ufficiale anche nei tribunali nel 1362, mentre la Bibbia fu tradotta nel 1380 e i Racconti di Canterbury scritti da Geoffrey Chaucer nel 1387 fondarono la letteratura nazionale inglese. Il mancato coinvolgimento popolare si spiega invece anche col fatto che la guerra contro i francesi non fu combattuta in terra inglese, e non dette luogo a forme di reazione popolare analoghe a quelle che, in Francia, fecero emergere figure come Giovanna d’Arco. CAPITOLO XXVI “Altre esperienze statali.” 26.1 Gli stati iberici. Anche nei regni iberici che si erano consolidati dopo la reconquista si possono osservare delle tendenze comuni verso la formazione dello stato. In primo luogo il rafforzamento delle strutture amministrative centrali e territoriali, con la formazione di gruppi di ufficiali professionisti. Anche qui i rapporti tra la monarchia e i corpi politici fueono mediati attraverso le assemblee rappresentative (cortes) che riunivano clero, nobiltà e delegati cittadini. Nonostante il retroterra comune della lotta contro gli arabi per il controllo del territorio iberico, non si era formata nemmeno una cultura uniforme, né tantomeno un comune sentimento nazionale, come testimoniano la pluralità delle lingue parlate e dal persistere di significative differenze culturali tra le varie regioni. Il rafforzamento dei poteri dei re portoghesi subì un’accelerazione con Dionigi I (1279 – 1325), che contrappose alla potenza nobiliare il sostegno alle élites mercantili, fondando l’università a Lisbona, promuovendo lo sviluppo dei commerci e avviando la creazione di una flotta da guerra. I successori riorganizzarono l’amministrazione della giustizia e costituirono un esercito nazionale. Nel 1385 le cortes acclamarono re Giovanni I (1385 – 1433) della nuova dinastia degli Aviz. Essa promosse le esplorazioni geografiche lungo le coste nord – occidentali africane, di cui fu grande artefice il principe Federico il Navigatore (poi re dal 1433 al 1460): dopo la conquista, delle Azzorre fra il 1432 e il 1437, di capo Verde nel 1444, delle coste del Senegal e del Gambia nel 1456 e di Tangeri nel 1471. Il controllo delle rotte marittime attraverso le basi commerciali e militari lungo le coste, diede ai portoghesi il monopolio delle spezie. In Castiglia le tendenze all’accentramento dei poteri monarchici apparvero evidenti fino alla metà del XIV secolo. Le leghe urbane, dette hermandades, che erano riuscite a influire sulle decisioni di governo furono soppresse dallo stesso Alfonso XI. Durante il suo regno (1325 – 1350) nelle città furono inviati degli ufficiali regi (corrigidores), che integrarono la rete preesistente di funzionari periferici, mentre negli uffici centrali crebbe l’importanza della componente formatasi nelle università. Dopo che Enrico II di Tàstamara conquistò il trono con le armi e l’appoggio francese nel 1369, il dualismo politico più intenso divenne quello tra il re e la nobiltà che lo aveva sostenuto. Il ruolo politico delle cortes prese centralità mentre crebbero le relazioni clientelari che facevano capo alla corte regia. Il carattere composito del regno d’Aragona fu di freno al rafforzamento delle istituzioni monarchiche. Il regno si configurò piuttosto come una confederazione in cui le diverse componenti (Aragona, Catalogna, Valencia e Maiorca) formalizzarono per iscritto le proprie consuetudini e negoziarono privilegi generali di tipo diverso con la monarchia, influenzati dalla diversa prevalenza delle forze sociali: la nobiltà dell’Aragona, nelle élites mercantili nelle altre regioni costiere e mediterranee. Il governo unitario del regno restò pertanto sempre debole e la lunga guerra con la Castiglia protrattasi dal 1336 al 1396, ne segnò l’inizio della decadenza. Un crisi dinastica provocò l’avvento al trono nel 1412 del principe castigliano Ferdinando di Tastamara. Alla conquista delle Baleari, della Sicilia e della Sardegna, fece seguito nel corso del XIV secolo anche l’acquisto di alcuni possedimenti nell’arcipelago egeo; in quello successivo la Sicilia fu pienamente incorporata nel regno; nel 1442 fu acquisito anche quello di Napoli per opera di Alfonso il Magnanimo (1416 – 1458), che cercò di allargare la sua sovranità anche ad alcuni stati balcanici e creò un vasto dominio mediterraneo della corona d’Aragona. Solo quando nel 1469 Isabella, erede al trono di Castiglia, sposò Ferdinando II, erede al trono d’Aragona, si posero le basi per la pacificazione e la formazione di uno stato nazionale <spagnolo>. Il processo di integrazione fra i due regni, riunificati nella corona di Ferdinando nel 1479 ma indipendenti sul piano istituzionale, fu lento e contrastato. Nel 1481 fu rilanciata la reconquista, che portò alla caduta nel 1492 dell’ultimo emirato musulmano in terra iberica, quello di Granada, che era sopravvissuto dal 1238 sotto il raffinato governo della dinastia dei Nasridi, e di cui è testimonianza la splendida residenza fortezza della Alhambra. La sua popolazione fu sottoposta ad una cristianizzazione forzata. Nello stesso anno furono espulse dal regno anche le numerose comunità ebraiche, già oggetto di persecuzioni fin dal XIV secolo. A vigilare sulla purezza della fede dei territori <liberati> dai suoi ne,ici fu posto il tribunale dell’inquisizione guidato dal domenicano Tommaso di Torquemada (1483 – 1498), che perseguitò inflessibilmente ogni sospetto di eresia. 26.2 Una varietà di configurazioni. L’evoluzione in senso statale non fu promossa solo dalle monarchie. In alcune regioni europee presero corpo formazioni politiche di tipo diverso. Pur senza raggiungere la sostanziale indipendenza che consentì ad alcune città italiane di creare degli stati territoriali, le ricche città mercantili delle Fiandre, del Barbante, dell’Hainaut riuscirono ad ottenere nel corso del XIV secolo ampi margini di autonomia dal regno di Francia dopo la vittoria militare a Courtrai nel 1302. Tra il 1337 e il 1345 partì da Gand una rivolta che diede vita a una lega di città, guidata dal borghese Jacob van Artevelde, in cui le aspirazioni all’autonomia urbana si intrecciarono sentimenti nazionali di carattere antifrancese. La regione fu annessa dal 1348 al ducato di Borgona, ma mantenne sempre una rilevante autonomia, testimoniata dalla fondazione di un’università a Lovanio nel 1425 e dalla concessione nel 1477 di un Grande Privilegio da parte della duchessa Maria. Approfittando della guerra franco – inglese, venne formandosi tra la Francia e l’impero un ampio ducato centrato sulla Borgogna e poi progressivamente esteso alla Lorena, al Lussemburgo, alle Fiandre, al Barbante, alla Piccardia e ai Paesi Bassi. I duchi, a cominciare da Filippo l’Ardito (1363 – 1404), fratello del re di Francia, formalmente vassalli del re e dell’imperatore, acquisirono l’indipendenza dalla Francia nel 1435. Il loro dominio, per quanto eterogeneo, comprese aree di avanzata economia agricola e grandi centri manifatturieri e commerciali. Mentre nelle città fiamminghe si sviluppava la grande stagione della pittura realistica, la corte ducale di Digione, crogiolo di ideali aristocratici e cavallereschi, si propose come splendido modello culturale e politico per le corti principesche del XV secolo. Solo le pretese di Carlo il Temerario (1467 -1477) di farsi eleggere imperatore misero fine all’esperienza borgognana, la cui eredità fu spartita tra il re di Francia e gli Asburgo alla morte della duchessa Maria nel 1482. Al contempo, il rafforzamento delle monarchie sembrava avvicinare l’Italia meridionale all’Europa per l’analogia dei processi di affermazione del potere regio in un contesto di forte articolazione dei soggetti politici e dei <corpi> territoriali. Le città meridionali non conobbero uno sviluppo economico e sociale tale da proporre proprie reti di mercanti sulle piazze internazionali, come fecero invece le città catalane o fiamminghe. Ai sovrani meridionali mancò cioè l’appoggio decisivo di una forte componente borghese nella costruzione di solidi assetti statali. Si aggiunga poi un’ulteriore peculiarità italiana: la presenza precoce di uno stato della Chiesa, che sempre operò a difesa della propria sopravvivenza e che si frappose tra l’Italia delle città e degli stati territoriali e quella dei regni. La realtà istituzionale italiana fu dunque policentrica, come quella dell’area tedesca. Alla fine del XV secolo l’Italia era, e soprattutto appariva all’estero, un paese ancora molto ricco, al centro dei traffici mediterranei e un’area strategica nei confronti dell’aggressiva potenza turca. Per questo divenne uno degli obbiettivi della lotta per l’egemonia continentale tra le grandi monarchie nazionali. La differenza che alla fine del Quattrocento si mossero verso la penisola stati potenti capaci di effettuare conquiste territoriali stabili e di incorporarle entro i propri quadri statali. Gli stati italiani non furono in grado di reggere l’urto con le potenze transalpine. Sul piano militare le grandi monarchie potevano ormai disporre di eserciti professionali e permanenti, meglio organizzati ed equipaggiati, facendo ricorso alle nuove armi da fuoco. Gli stati italiani si affidavano invece a eserciti guidati da condottieri mercenari, non potendo attingere al reclutamento stabile dei propri sudditi. Nel giro di pochi decenni l’indipendenza di molti stai venne meno e numerosi regioni furono poste sotto il dominio straniero per molti secoli. A ostacolare i tentativi di costruire uno stato di grandi dimensioni si pose sempre il papato, che dal Lazio meridionale si estendeva alla fine del XIII secolo, a gran parte della Tuscia, dell’Umbria, delle Marche e della Romagna. A orientare la politica pontificia fu dalla metà del Duecento l’alleanza con la corona francese in funzione antimperiale. Dagli anni sessanta del Duecento una presenza determinante nel sistema politico italiano fu a lungo quella della dinasti angiona. Investito dal papa del regno di Sicilia, Carlo I (1266 – 1285) se ne impossessò sconfiggendo gli ultimi svevi a Benevento nel 1266 e a Tagliacozzo 1268, fissando a Napoli la capitale. Il nipote Roberto I (1309 – 1343) rilanciò la presenza regia nell’Italia comunale, fronteggiando la campagna italiana di Enrico VII e rinnovando la signoria angioina su varie città tra cui Firenze, Brescia, Asti e Piacenza. La discesa di Enrico VII di Lussemburgo tra 1310 e 1313 fu ispirata dal programma di pacificare le lotte interne alle città sotto l’alta sovranità imperiale. Esso si infranse però contro la tenace resistenza dell’alleanza guelfa guidata da Firenze e da Roberto d’Angio, re di Napoli; l’imperatore finì con l’appoggiarsi allo schieramento <ghibellino>, guidato dai Visconti e dai Della Scala, rispettivamente signori di Milano e di Verona, e col tentare di crearsi un dominio diretto in Toscana, ma la sua azione non ebbe successo. L’alleanza potente che si venne a creare tra il papato e gli Angiò fu all’origine di un processo di progressivo coinvolgimento di tutte le realtà politiche italiane in due grandi schieramenti: da un lato quello guelfo, che inquadrò gli alleati dei sovrani angioini e dei pontefici; dall’altro quello ghibellino, dove militarono coloro che si opponevano all’altro fronte nella speranza di un rinnovato intervento imperiale in Italia. Dopo il 1266 i guelfi assunsero il potere nella maggioranza delle grandi città e vi restarono perlomeno fino alla discesa dell’imperatore in Italia nel 1310, senza che i ghibellini riuscissero a scalzarli. La percezione di una discontinuità nelle pratiche di governo di un drammatico allentarsi dei rapporti di fiducia e di consenso che avevano fino ad allora legato, sia pure in modo spesso conflittuale, i cives ai propri governanti nell’orizzonte del <bene comune>, fece emergere, nel lessico politico delle città italiane e nella dottrina politica e giuridica della prima metà del Trecento, i termini di <tiranno> e <tirannide>. “È tirannica ogni forma di governo nella quale chi detiene il potere lo esercita nel proprio interesse e non per il bene comune.” A cominciare dagli anni trenta del XIV secolo, alcuni centri urbani maggiori e alcuni signori potenti ridussero ulteriormente la frammentazione politica sottomettendo altre città, comunità e signorie rurali. A prevalere furono le realtà demografiche ed economiche più forti, capaci di adattare le proprie istituzioni alla necessità di maggiori entrate per finanziare l’espansione territoriale, e anche di attuare un più fermo disciplinamento della società politica. L’Italia del sud era da tempo organizzata politicamente in forma monarchica e tendenzialmente accentrata. Il titolo regio poneva i sovrani meridionali per dignità al di sopra degli altri signori italiani. Tra la fine del XIII e la fine del XV secolo si osserva certamente una semplificazione della geografia politica italiana. La formazione di domini territoriali da parte delle principali città comunali e signorili polarizzò il sistema politico italiano intorno a sei stati regionali (centrati su Milano, Genova, Venezia e Firenze, sullo stato pontificio e sul regno di Napoli e Sicilia) con il contorno di alcune formazioni minori. A differenza di quanto avvenne in altre aree d’Europa, però, il superamento della frammentazione politica non diede luogo in Italia alla formazione di uno stato unitario nazionale. La ricomposizione territoriale promossa da una monarchia fu frenata dal forte particolarismo locale, che era l’esito della varietà straordinaria di situazioni culturali e civili locali che avevano caratterizzato in modo originale la storia del paese: un particolarismo che caratterizzò non solo le vicende politiche ma anche quelle dei <corpi> intermedi, vale a dire dei privilegi accumulati e tenacemente difesi dagli ordini, dalle corporazioni e dai ceti, e capace pertanto di condizionare e di rallentare i processi di concentrazione di potere e di formazione statale. CAPITOLO XXVIII “Gli stati.” 28.1 Gli stati territoriali. Tra il XIV e XV secolo il quadro frammentato e instabile dell’Italia comunale e signorile fu ricomposto in un sistema politico più strutturato e stabile di stati territoriali a dimensione regionale. Anche negli stati italiani le autorità superiori non esercitarono mai la totalità dei poteri sul territorio, ma la condivisero con una varietà di <corpi> territoriali, in un ordinamento di tipo <dualistico>. La differenza che caratterizzò l’esperienza delle realtà statali italiane fu invece data dal diverso ruolo che vi giocarono le città. In Italia a promuovere la formazione dei maggiori stati territoriali furono grandi città come Firenze, Venezia e anche Milano che sostenne con la propria potenza sociale ed economica l’intraprendenza politica e militare della dinastia dei Visconti. Inoltre, le città italiane che si imposero come dominanti assoggettarono altri centri urbani, ricchi di tradizione comunale e dotati a loro volta di territori già disciplinati come contadi. Le città si proposero come interlocutrici privilegiate e dirette delle dominanti, senza la mediazione di strutture rappresentative come i parlamenti nei regni. I gruppi dirigenti locali furono esclusi dal governo degli stati, con rare eccezioni di carattere individuale, ma mantennero il controllo delle risorse economiche e amministrative municipali. Le campagne militari, affidate a truppe mercenarie, accrebbero notevolmente le spese, cui le dominanti sopperirono incrementando la pressione fiscale e ricorrendo a strumenti finanziari. Nei regimi oligarchici si affermò anche la pratica del debito pubblico consolidato, cioè dell’investimento in titoli emessi dallo stato che garantivano interessi e potevano essere scambiati; nel 1407 Genova creò un apposito banco (di San Giorgio) per attirare investimenti anche dall’estero. I primi tentativi di creare degli stati sovra cittadini furono promossi da alcuni signori urbani della prima metà del trecento. I Della Scala di Verona posero dapprima sotto controllo le città del Veneto e poi estesero il proprio dominio fuori regione. In Toscana ebbe un certo rilievo il dominio costituito dal nobile lucchese Castruccio Castracani su Lucca Pistoia, Lungi e Volterra tra il 1316 e 1328. L’espansione maggiore fu quella guidata dall’arcivescovo Giovanni Visconti (1349 – 1354) in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia. Ognuna di queste iniziative suscitò la mobilitazione militare di una lega avversa di città, che nel caso della guerra contro i Visconti ottenne anche il sostegno del pontefice, che scomunicò l’arcivescovo Giovanni e bandì una crociata. I domini conquistati furono persi quasi tutti. Fu Gian Galeazzo (1385 – 1402) a imprimere nuovamente un forte dinamismo militare al suo dominio che, oltre a comprendere il Canton Ticino, buona parte della Lombardia e del Piemonte orientale, giunse a comprendere Verona, Vicenza, Padova e Belluno nel 1387, distruggendo le signori dei Della Scala e dei da Carrara di Padova, e si spinse nell’Italia centrale ottenendo tra 1399 e 1400 anche la signoria di Pisa, Siena, Perugia, Spoleto e Bologna. Dalla morte improvvisa del duca nel 1402, che ridimensionò le ambizioni che i suoi ideologi avevano propagandato come intenzione di costruire un regno nazionale italiano. Negli apparati centrali e in quelli periferici egli nominò individui provenienti da tutto il ducato. Milano infatti non era la dominante ma solo la residenza del duca, e il patriziato milanese fu coinvolto in modo non esclusivo nel governo dello stato: non a caso esso diede un ultimo segnale di vitalità alla morte, senza eredi, di Filippo Maria, istituendo una <repubblica ambrosiana> che durò dal 1447 al 1450. Firenze venne formando il proprio stato territoriale con maggiore continuità e più saldo controllo rispetto a quello visconteo. L’impulso, per un gruppo dirigente fatto non di guerrieri ardimentosi ma di mercanti facoltosi, fu eminentemente difensivo, volto a tutelare l’indipendenza delle città e la libertà dei suoi commerci. Il potere baronale era più forte che in Sicilia, arrivando a costituire dei principati territoriali, con ampie autonomie giurisdizionali e strutture burocratiche, come furono, per esempio, quelli di Salerno, di Taranto o del Sannio. I re si indebitarono crescentemente anche con i banchieri fiorentini, che in cambio delle ingenti anticipazioni ricevettero privilegi doganali, feudi e uffici, finendo con esercitare una pesante influenza sulla corte, dove era potentissima la famiglia fiorente degli Acciaiuoli. Il regno di Napoli conobbe un lungo periodo di splendore con Roberto I (1309 – 1343), egli esercitò un dominio diretto anche sulla Provenza e parte del Piemonte. Napoli divenne uno dei centri più importanti della vita intellettuale del tempo. Le città emerse anche come piazza commerciale importante, dove avevano filiali e rappresentanze le grandi compagnie mercantili internazionali. Un’interessante evoluzione subì la condizione politica delle città meridionali con l’avvento delle nuove dominazioni, la cui relativa debolezza creò gli spazi per il rafforzamento delle comunità cittadine. Le popolose città siciliane conobbero un significativo sviluppo politico a partire dal regno di Federico III. Punto debole delle città meridionali rimase però il mancato sviluppo, rispetto alle società urbane comunali, delle componenti mercantili e artigiane: si allargò invece sempre di più la forbice tra l’aristocrazia urbana e le moltitudini che ne costituivano le plebi. Sia il regno di Napoli sia quello di Sicilia costituivano due stati territorialmente compatti ma caratterizzati dalla debolezza del potere regio. Questa fu ulteriormente accentuata dalle crisi dinastiche che si aprirono verso la fine del XIV secolo. Nel 1409 l’isola fu riunita al regno di Aragona e sottoposta dal 1412 all’amministrazione di un viceré. A sostenere la monarchia furono le élites urbane passate nei ranghi dell’aristocrazia fondiaria: i nuovi nobili entrarono nell’apparato burocratico e di corte e legarono le proprie sorti a quelle della lontana corona. Vicende proprie ebbe invece la conquista aragonese della Sardegna. Concessa loro in feudo da Bonifacio VIII nel 1297, gli aragonesi ne cominciarono la conquista nel 1323, accordandosi con Pisa, che mantenne il possesso di Cagliari, ma subendo le azioni di pirateria dei genovesi. L’incertezza di Giovanna II d’Angiò (1414 – 1435) che, priva di eredi, dapprima si era rivolta agli Angiò di Francia e poi aveva adottato come figlio Alfonso V d’Aragona al quale aveva lasciato il regno, scatenò un duro conflitto, tra 1438 e 1442, dal quale uscì vincitore l’aragonese. Alfonso stabilì la propria corte a Napoli, che tornò a rifiorire anche sul piano culturale. Suo figlio Ferrante (1458 – 1494) proseguì l’opera di riorganizzazione amministrativa e fiscale, di appoggio alle città e di contenimento della feudalità. Il dominio angioino e aragonese integrò l’economia meridionale nelle reti commerciali internazionali dei mercanti toscani e catalani con indubbi aspetti positivi. È indubbio però che la presenza dei mercanti forestieri, e toscani in particolare, frenò lo sviluppo di una solida imprenditoria meridionale. Deboli furono sempre la produzione di manufatti, largamente importati e la presenza di mercanti meridionali nelle piazze esterne. 28.4 La crisi del sistema. La competizione politico – militare che nei primi decenni del Quattrocento aveva forgiato la formazione degli stati territoriali italiani conobbe un’ulteriore accelerazione nei decenni centrali del secolo quando l’alleanza tra i Visconti e gli Aragonesi insediò con le armi sul trono di Napoli Alfonso V nel 1442 e la morte senza eredi di Filippo Maria Visconti nel 1447 scatenò lo scontro per la successione nel ducato di Milano. Nel 1450 esso pervenne nelle mani del condottiero marchigiano Francesco Sforza, che aveva sposato una figlia naturale di Filippo Maria e che era stato chiamato dal patriziato milanese a difendere la fragile repubblica ambrosiana. A sostenerlo furono i fiorentini, anche per contrapporsi all’avanzata che i veneziani avevano attuato in Lombardia occupando Lodi e Piacenza, con il consenso e l’appoggio del duca di Savoia e del re di Napoli. La guerra si trascinò fino al 1453, quando la notizia della caduta di Costantinopoli indusse i veneziani a concentrarsi nuovamente sulle vicende del loro <dominio da mar>, minacciato dall’avanzata dei turchi. La vicenda di Francesco Sforza fu la più compiuta di un fenomeno che caratterizzò la scena politica italiana del XV secolo, vale a dire la creazione di domini signorili da parte di condottieri. Lo scarso affidamento delle milizie cittadine, il rischio di armare nemici di parte, le campagne di guerra sempre più lunghe avevano indotto nel corso del XIV secolo mercanti e artigiani ad affidarsi a truppe mercenarie di professionisti. Esse si organizzarono in compagnie permanenti, le compagnie di ventura, guidate da un capo. A partire dal 1380 circa gli stati italiani tesero a reclutare comandanti italiani e a rendere stabili i rapporti con i condottieri. Alcuni di loro finirono col mettere radici negli stati che servivano, come fu il caso di Braccio di Montone o di Francesco Sforza. Una pace fu stipulata a Lodi nel 1454, sancendo l’ascesa di Francesco Sforza al ducato di Milano e alcune delle conquiste di Venezia in territorio lombardo. Tra il 1454 e il 1455 fu stretta anche una lega tra gli stati situati <infra terminos italicos>, cioè nei confini italiani. Essa prevedeva una durata di 25 anni rinnovabili, come poi avvenne, e la creazione di un esercito comune per la difesa da eventuali attacchi dall’estero, a cominciare dalle mai dismesse rivendicazioni angioine sul regno di Sicilia. Alla lega, promossa dal duca di Milano, da Venezia e da Firenze, aderirono il papa, il re di Napoli, il duca d’Este e poi quasi tutti gli altri stati e potentati minori. Lo scopo era quello di mantenere gli equilibri politici esistenti, impedendo ulteriori tentativi espansionistici. L’obbiettivo di garantire la pace fu sostanzialmente raggiunto per circa un quarantennio nonostante alcuni conflitti locali e una condizione costante di precario equilibrio. Le difficoltà di coltivare una pace pur sempre armata furono affrontate rendendo più stretti i rapporti tra gli stati attraverso gli strumenti della diplomazia. In questo senso molto si prodigò Lorenzo de’Medici, la cui famiglia di banchieri aveva affermato sin dal 1434 a Firenze una signoria, sia pure all’interno di un quadro istituzionale <repubblicano> Attraverso una stabile alleanza con gli Sforza e con i sovrani napoletani Lorenzo riuscì a frenare i tentativi di espansione veneziani e le ambiguità della politica pontificia. Strumento essenziale per tessere la trama della mediazione diplomatica fu la costituzione di ambascerie stabili presso le diverse corti italiane. Per un certo periodo il sistema politico disegnato dalla lega italica assicurò stabilità ma non tranquillità. Nel 1476 fu assassinato Galeazzo Maria Sforza, e assunse la reggenza per il figlio Gian Galeazzo lo zio Ludovico il Moro. Nel 1478 Lorenzo de’Medici scampò a un agguato organizzato dalla famiglia fiorentina dei Pazzi, che gestiva le finanze pontificie ed era sostenuta dal papa. Nel 1485 Ferrante d’Aragona fu oggetto della congiura dei baroni del regno, sobillati dai veneziani e dal papa. A incrinare gli equilibri fu la politica di Sisto IV (1471 – 1484), che appoggiò sistematicamente il disegno del nipote Girolamo Riario di crearsi uno stato nell’Italia centrale. Nell’ultimo decennio del XV secolo l’equilibrio tra gli stati della penisola si ruppe definitivamente portando al collasso del precario sistema politico italiano. La morte quasi contemporanea di alcuni dei protagonisti che si erano pur sempre prodigati per ricomporre i conflitti – Lorenzo de’Medici e papa Innocenzo VIII nel 1492 e Ferrante d’Aragona nel 1494 – contribuì a rendere ingovernabile la crisi che fu aperta dalla richiesta di Ludovico il Moro al re di Francia Carlo VIII di Valois di intervenire contro gli Aragonesi di Napoli che rivendicavano il ducato di Milano per via dinastica. Il coinvolgimento di una grande potenza straniera mise a nudo la strutturale debolezza degli stati italiani, più piccoli, meno potenti e divisi tra loro. La discesa del re di Francia chiuse la fragile stagione dell’equilibrio autarchico e inaugurò un duro periodo di contesa dei paesi stranieri per il controllo dell’Italia. CAPITOLO XXIX “L’umanesimo: una discontinuità intellettualità.” 29.1 Un’epoca nuova. Fino al XIV secolo gli uomini colti non avevano sviluppato l’idea di vivere in un’epoca estranea rispetto all’età antica. Per secoli gli europei avevano vissuto sentendosi legati agli ideali dell’impero e della chiesa. La lingua delle relazioni ufficiali e degli intellettuali era quella di Roma, il latino, che veniva insegnato in tutto l’Occidente. L’idea dominante era che il pensiero degli antichi, in tutte le discipline, costituisse un retaggio di autorità: non a caso Dante poté immaginare di farsi guidare nella Divina Commedia da Virgilio. L’eredità romana appariva una realtà viva, un serbatoio di modelli e di cultura, in primo luogo il diritto, cui attingere per consolidare le sovranità universali e per legittimare i nuovi poteri. Una percezione nuova cominciò a farsi strada nel corso del XIV secolo: la sensazione, cioè, che l’età antica fosse ormai finita. I grandi ideali universalistici, che avevano ordinato la società europea nell’epoca appena trascorsa, apparivano irreversibilmente tramontati. Il mondo antico iniziò ad apparire estraneo alla società che si era delineata nei tempi recenti. La coscienza della rottura rispetto all’antichità cominciò ad accompagnarsi alla volontà di restaurarne i valori positivi e gli ideali di bellezza, assecondando l’idea che essi fossero irrimediabilmente scomparsi con la fine del mondo antico. Il confronto con i modelli classici divenne il metro di giudizio di un nuovo movimento intellettuale improntato ai temi della <rinascita> della civiltà e del ritorno all’antico. Gli uomini colti del XIV e XV secolo cominciarono a definire sé stessi come <moderni>, per evidenziare l’orgoglio di vivere in un periodo di rinnovato fervore capace di trarre nuova ispirazione dalla cultura greca e romana. Giorgione, Vittore Carpaccio, Lorenzo Lotto e Tiziano Raggaello nell’Italia settentrionale. Dopo aver lavorato a Firenze, Michelangelo Buonarroti fu coinvolto della Roma papale portati avanti da Giulio II, Leone X e dai successori: nelle Stanze Vaticane dipinte nella Cappella Sistina, inaugurata nel 1541, l’imitazione dei modelli classici giunse forse al massimo grado di rielaborazione originale. Le guerre d’Italia segnano l’inizio della fase finale della grande stagione rinascimentale italiana. Per l’alto grado di alfabetizzazione dei suoi abitanti, per la forte domanda di beni di lusso delle sue élites mercantili e nobiliari, per il mecenatismo promosso dalla signoria dei Medici, il centro propulsore del Rinascimento di Firenze, una delle città più importanti d’Europa dove, come in pochi altri luoghi e momenti nella storia si concentrò uno straordinario numero di artisti e di intellettuali. 29.5 Filosofia e religione. Si diffuse una grande fiducia nell’intelligenza umana, che portò ad esaltare, in particolare, la superiorità dell’uomo sugli altri esseri naturali, le sue innumerevoli capacità creative. La nuova visione in cui l’uomo era posto al centro dell’universo ed era considerato padrone del proprio destino, costituiva una netta discontinuità con la cultura dell’epoca precedente, caratterizzata da una visione della vita che poneva Dio al centro dell’universo e imponeva all’uomo una totale sottomissione al volere divino. Assegnando una nuova autonomia allo spirito umano nei confronti del sovrannaturale e rivalutando il pensiero dell’uomo, una nuova sensibilità religiosa indirizzò il pensiero dell’uomo, una nuova sensibilità religiosa indirizzò il pensiero sulla strada della laicizzazione, rifiutando i dogmatismi religiosi e affermando la libera ricerca attraverso l’esame critico e la discussione. Il filosofo Giovanni Pico della Mirandola esaltò la libertà che differenziava l’uomo dagli altri esseri del creato: stava dunque a lui degradarsi nelle cose inferiori oppure innalzarsi a quelle superiori. A sua volta, il filosofo fiorentino Marsilio Ficino si propose di saldare filosofia e religione, elaborando una <docta religio> imperniata sulla dottrina dell’anima umana come centro del mondo e sulla dottrina dell’amore, come forza che permette all’uomo di elevarsi dal mondo sensibile a Dio. Ficino fondò nel 1459 l’Accademia platonica al fine di studiare e di promuovere la diffusione del filosofo ateniese, la cui opera incontrava la sensibilità religiosa del momento. 29.6 La scienza. L’affermazione della centralità dell’uomo nel cosmo consentì di osservare la natura con uno sguardo più libero, al di fuori delle regole tradizionali, mirando a rendere indipendente il pensiero scientifico dal dogma religioso. Il filosofo e matematico Niccolò Cusano (1401 – 1464) paragonò il processo di conoscenza dell’uomo a un poligono che, aumentando i lati all’infinito, cerca di aderire il più possibile a un cerchio, cioè a quella forma che nella concezione classica rappresentava l’armonia universale. Il polacco Niccolò Copernico che, attraverso lo studio delle orbite dei pianeti giunse a sostenere nel De revolutionibus orbium coelestium (1453) che il sole, e non la terra, costituiva il centro del sistema planetario. La figura che rappresentò meglio questa sintesi tra arte e cultura, tra scienza e tecnica, fu quella di Leonardo da Vinci (1452 – 1519). Nei lunghi anni trascorsi a Milano prima di trasferirsi in Francia alla corte di Francesco I, seppe essere poeta pittore, ma anche architetto, ingegnere, studioso di matematica, ottica, meccancia, astronomia, botanica, progettista e costruttore di macchine, fine anatomista. Egli non percepiva alcuna frattura tra l’arte e la scienza, che a suo dire avevano entrambe come fine la conoscenza della natura. Nella sua opera non è difficile scorgere quel desiderio di sapere globale, esteso a ogni aspetto della realtà, che può essere considerato una delle eredità maggiori dell’Umanesimo nella storia della cultura e della scienza. 29.7 La diffusione della cultura. L’evoluzione tecnica dalla stampa di testi o disegni incisi su legno alla stampa a singoli caratteri mobili fusi nel piombo, sviluppata dall’artigiano tedesco Johannes Gutenberg a Magonza (1456) determinò una profonda trasformazione delle modalità di trasmissione della cultura. A Roma, Firenze e soprattutto Venezia si diffusero stamperie che si trasformarono in imprese commerciali. La diffusione della stampa provocò quella che è stata definita una <rivoluzione inavvertita> determinando in modo continuo, anche se impercettibile per i contemporanei, una serie di trasformazioni nel modo di pensare e di accumulare la conoscenza: cambiò i modi di apprendimento, rendendo obsoleto lo studio a memoria basato sulla ripetizione di rime e cadenze; sviluppò l’uso delle immagini e favorì la redazione di tratti tecnici con schemi e formule; permise la riproduzione in un numero illimitato di copie, di disegni e mappe, in precedenza copiati a mano con inevitabili errori di riproduzione. Dopo il <sacco> di Roma, e il conseguente venir meno del ruolo internazionale degli stati italiani, il Rinascimento si irradiò in tutta l’Europa, dalla Francia all’Olanda, dalla Germania all’Ungheria, nel corso del Cinquecento, introno alle corti e alle università. La circolazione dei libri dovuta all’invenzione della stampa consentì ai circoli intellettuali, artisti e scientifici di scambiarsi informazioni, di studiare e conoscere i medesimi testi in maniera più facile e molto più economica rispetto a prima. La figura più significativa della diffusione della cultura umanistica fuori d’Italia fu quella del teologo olandese Erasmo da Rotterdam (1466/69 – 1536). Erasmo viaggiò per tutta la vita, insegnando in molte università europee in continuo contatto con i principali intellettuali della sua epoca. Nei suoi scritti, l’ideale della sua vita attiva divenne critica aperta all’ozio dei conventi, lo sguardo razionale portò al rifiuto delle superstizioni, delle reliquie e del culto dei santi, la fede in una nuova età per l’uomo al ripudio della guerra. La sua opera più celebre, l’ Elogio della follia, costituisce una satira sferzante della presunzione dei teologi, della immoralità del clero, dell’indegnità della curia romana, in nome di una nuova visione che riassumeva l’avversione umanistica per la sottigliezza scolastica, l’impulso etico pratico della devotio moderna, e la religione platonica di Ficino. Secondo Erasmo il rapporto dell’individuo con Dio doveva basarsi prima di tutto sulla parola divina, e quindi sulle Sacre Scritture, restituite nella loro autenticità, cioè senza gli errori e i commenti dell’epoca precedente. CAPITOLO XXX “Le esplorazioni geografiche: una discontinuità spaziale.” 30.1 La ricerca di una nuova via per le Indie. Per secoli i commerci tra l’Europa e l’Asia si erano indirizzati dai porti mediterranei fino a ad Alessandria d’Egitto, da dove le merci venivano condotte via terra fino alla località di Suez, sul Mar Rosso, e poi ancora per mare, fino a raggiungere le coste indiane. Per arrivare in Occidente le spezie attraversavano l’Oceano Indiano sulle navi dei mercanti musulmani e indù, e il deserto egiziano lungo le piste carovaniere; le compagnie commerciali europee di stanza negli empori nordafricani le ridistribuivano poi in tutto il continente. La seta era al centro di questi traffici. I costi delle merci che seguivano le vie dell’Oriente erano molto elevati: solo per giungere sulle coste del Mediterraneo il loro prezzo si decuplicava rispetto a quello d’origine. Alle motivazioni economiche si accompagnarono altrettanto determinanti elementi religiosi. Sin dal XII secolo circolava in Europa la leggenda di un sovrano cristiano nemico dei musulmani – chiamato Prete Gianni – che avrebbe controllato un vasto dominio oltre le terre dell’islam, costituendo un potenziale alleato contro gli infedeli. Particolarmente sensibili a questa impresa si rivelarono, non solo per la loro collocazione geografica, i regni iberici del Portogallo, della Castiglia e dell’Aragona, dove aveva forti radici l’ideale della reconquista, cioè della liberazione del <suolo cristiano> dagli arabi che si erano da secoli nella penisola a nord dallo stretto di Gibilterra. Protagonista iniziale della ricerca di una nuova via era stata infatti la dinastia portoghese degli Aviz, che aveva promosso le esplorazioni lungo le coste e le isole nord – occidentali africane sin dal tempo di re Enrico (1433 – 1460) , detto non a caso il Navigatore. In Africa occidentale il commercio degli schiavi era praticato da tempo immemorabile e su larga scala: nel regno del Benin era normale la riduzione in schiavitù e la vendita dei nemici vinti. Gli europei si inserirono in un mercato che già fioriva: il primo carico di schiavi africani fu portato in Portogallo nel 1444. 30.2 L’Africa. Il raggiungimento delle Indie da parte degli europei e la successiva creazione di veri e propri imperi atlantici non deve far dimenticare uno spazio altrettanto vasto, situato non a ovest, ma a sud del continente europeo. Questo continente nel continente era allo stesso tempo vicino ed estraneo: estraneo geograficamente perché diverso dal paesaggio europeo e dalle sue dinamiche economiche e di popolamento, e vicino, dal momento che anche in esso, come in Europa, si svilupparono nel corso dei secoli formazioni statali che siamo in grado di definire con parole che appartengono alla tradizione occidentale. <Imperi> e <Regni> non esauriscono certo la complessità della storia africana, ma sono un buon modo per avvicinarsi a essa, come lo è il posto occupato, a partire dal VII secolo, dall’islam. In un ambiente – quello del Sahel, una fascia di territorio estesa tra il deserto del Sahara e la savana del Sudan – dominato dalla steppa e dal clima asciutto e caldo favorevole all’agricoltura e all’allevamento, sorsero i più grandi imperi africani. Nell’area più occidentale sorse nel III – IV secolo, a opera di berberi pagani o cristiani, l’impero del Ghana, che raggiunse il suo massimo splendore nel corso dell’ XI secolo. Nel XIII secolo fu la dinastia dei Keita convertita all’islam a costituire l’impero Mali.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved