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Riassunto Manuale "Storia Medievale", L. Provero e M. Vallerani, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto del manuale universitario "Storia Medievale" di L. Provero e M. Vallerani. Scopo di tale riassunto era quello di riordinare e semplificare diversi passaggi del libro, in quanto spesso si rivela confusionario e ripetitivo. Tutte le informazioni inserite sono ricavate esclusivamente dal manuale di riferimento, per quanto gli argomenti sono stati ri-arrangiati in nuovi capitoli e paragrafi per una più facile comprensione.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 11/11/2022

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Scarica Riassunto Manuale "Storia Medievale", L. Provero e M. Vallerani e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! STORIA MEDIEVALE Diverse sono le datazioni possibili per segnare l’inizio del Medioevo. Si usa spesso il 476, che rimarca la fine dell’Impero Romano d’Occidente; o seguendo una lettura etnico-militare si fa riferimento al 410, anno del saccheggio di Roma da parte dei Visigoti; invece, il 324 si accosta di più al fronte istituzionale con la fondazione di Costantinopoli e infine in chiave religiosa, con l’editto di Milano del 313. È il 1492 con la scoperta dell’America che si pone fine all’età medievale. Vengono considerate tante date in quanto il Medioevo va a descriversi come epoca di sviluppi, che porteranno alla formazione di nuovi quadri politici ed economici che influenzeranno l’Europa e la nascita delle nazioni moderne. CAPITOLO 1: L’Impero Cristiano L’ormai riconosciuto periodo transitorio del Tardo-Antico, si forma dagli ultimi decenni del II secolo d.C. dove abbiamo un’attenzione particolare alle istanze del governo centrale, la progressiva penetrazione di nuove popolazioni nei territori imperiali e l’inserirsi di nuove forme religiose. Lo studio e la comprensione di questi dati permetteranno di intendere al meglio lo sviluppo dell’Alto Medioevo con le sue principali strutture di potere e di prelievo, insieme al ruolo dell’esercito e della sua componente barbarica, comprendendo anche le trasformazioni religiose del IV secolo.  IMPERO TARDO-ROMANO Finita l’espansione militare dell’Impero, si stabilirono delle basi militari nei confini segnati dal limes del Reno e del Danubio, dando inizio al cosiddetto “Impero Tardoantico”. L’Impero comprendeva al suo interno diverse popolazioni, di diverse tradizioni e culture, lingue e religioni con livelli di romanizzazione molto variabili ma comunque coordinate da una forte macchina statale, fiscale e militare. Un apparato che subì una profonda crisi nel III secolo seguita da una serie di lotte per il trono che fu ripristinato solo da Diocleziano dando forma alla diarchia insieme a Massimiano: una condivisione del potere imperiale che portò inevitabilmente ad una doppia polarizzazione tra Occidente e Oriente, accentuata in seguito dalla tetrarchia (governo di quattro: due imperatori e due cesari). Nel 324, l’imperatore Costantino fondò la città di Costantinopoli come nuova residenza imperiale, lasciando il ruolo di capitale a Roma. Costantinopoli riuscì comunque a definirsi come grande punto di riferimento del potere imperiale nel Mediterraneo orientale, inserendo anche la presenza di un Senato ad imitazione di Roma. Solo nel V secolo finalmente, Costantinopoli venne considerata come vera e propria capitale dopo la divisione dei due imperi nel 395 con la successione a Teodosio I: decise infatti di separare il territorio con la speranza di contenere le aree di controllo dandole ai due figli Arcadio (al quale spettò l’Oriente) e Onorio (invece l’Occidente). Era necessario mantenere vivo un grande afflusso di denaro per sostenere la burocrazia, la capitale e l’esercito. Ciò fu reso possibile grazie ad un accorto sistema fiscale: l’annona per esempio era un’imposta che gravava sulle popolazioni rurali in base all’estensione delle terre e al numero di contadini presenti su di esse ed erano i curiales a dover riscuotere tale imposta per poi girarla all’apparato imperiale. La fine dell’espansione militare comportò anche la fine dell’espansione economica: ciò portò ad una grande azione inflazionistica da parte degli imperatori per continuare a sostenere i costi dello stato.  POPOLAZIONI BARBARICHE Bisogna ricordare il limes come una grande fascia di incontro e scontro, di scambio culturale che influenzò inevitabilmente le popolazioni poste ai confini di esso. Si identificano i popoli al di là dei territori romani sotto il termine “barbari”, nato per definire i popoli che non parlavano greco o latino. È errato riconoscerli come “Germani” in quanto loro stessi non si sono mai definiti in maniera così unitaria: si tratta di una definizione intellettuale derivante da Tacito, che tende ad unire le diverse tribù che formavano il popolo diverso da quello romano ma che sicuramente si diversificavano, in un’identità non stabile e permanente ma in continua rielaborazione, fenomeno che prende il nome di etnogenesi. I popoli militarmente più forti e stabili, e che quindi offrivano maggiori possibilità di arricchimento, divenivano punti di attrazione per interi gruppi o singoli individui che si univano in cerca di fortuna: tra il III e il IV secolo lo sguardo volgeva verso l’Impero Romano, il quale esercito aveva continuamente bisogno di uomini, pronto a stipendiarli e promuovere i migliori sul campo. È stato quindi questo scambio di interessi a portare le prime popolazioni barbare oltre il confine, e non iniziative bellicose. Ciò comportò l’inserimento di personaggi barbarici alle più alte cariche dell’esercito, più difficili da condizionare per gli imperatori, i quali favorirono politicamente capi militari a loro più fedeli. Dopo l’iniziativa fallimentare degli Unni, proseguirono movimenti verso Occidente di altre popolazioni barbare come i Visigoti, a cui l’Impero concesse uno stanziamento all’interno dei territori romani. In cambio, i Visigoti saccheggiarono nei territori dei Balcani, sfociando poi nella battaglia di Adrianopoli [378], nella quale l’imperatore rimase ucciso oltre a segnare la sconfitta per i romani. Il nuovo imperatore Teodosio cercò di pacificare i termini con i Visigoti tramite un foedus e cercò inoltre di impedire l’eventuale ascesa di capi militari barbari ai vertici dell’esercito. Si può considerare questo come l’inizio del processo che porterà poi alla formazione nel V secolo in Occidente dei primi regni romano-barbarici.  CRISTIANIZZAZIONE DELL’IMPERO La cristianizzazione dell’Impero non comportò solo la diffusione del Cristianesimo, ma si trattò soprattutto della trasformazione delle strutture di potere in senso cristiano: si parla quindi dell’adozione del credo e il suo renderla religione ufficiale, oltre che integrarla come ideologia fondante del potere imperiale. Bisogna ricordare il periodo di persecuzioni ai cristiani da parte dell’imperatore Decio risalenti alla seconda metà del III secolo, azione che mirava all’assolutismo del potere imperiale e al culto dell’imperatore stesso. Solo con l’editto di Milano [313], Costantino confermò e pose atto ad un decreto promulgato dal predecessore Galerio, il quale poneva fine alle persecuzioni e sanciva la libertà di professare la religione cristiana. A partire da questi anni però, gli imperatori individuarono nel Cristianesimo una possibile ideologia unificante per riassestare il frammentato mondo romano e nel concilio di Nicea [325] venne tra l’altro condannato l’Arianesimo (dottrina cristiana che proponeva la lettura per cui il Figlio sarebbe stato creato dal Padre, considerandolo suo sottoposto e non eterno), mentre prevalse l’interpretazione per cui il Figlio è della stessa sostanza del Padre: “generato e non creato”. Da qui, una prima divisione: un mondo romano a prevalenza cattolico-nicena e un mondo germanico ancora legata all’Arianesimo. Solo con l’editto di Tessalonica [380] si ebbe il pieno consolidamento a livello imperiale del Cristianesimo: l’imperatore Teodosio rese il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero e diede il via a repressioni nei confronti delle altre religioni considerate eretiche. all’Impero. La crisi che si aggravò dopo la morte di Teodorico, il quale lasciò il trono alla figlia Amalasunta, che assunse il ruolo di tutrice del nuovo re Atalarico, suo figlio e ancora bambino. Alla quale morte prematura del futuro erede, la madre decise di sposarsi con il cugino Teodato, ricco aristocratico dell’Italia gota, nel tentativo di mantenere stabile il potere. Si rivelò però un matrimonio fallimentare: Amalasunta cercò di ricostruire il rapporto tra Goti e Romani, ponendosi sotto la protezione dell’imperatore Giustiniano; Teodato invece preferiva la via del conflitto, appoggiato dall’aristocrazia gota. Amalasunta venne imprigionata ed uccisa nel 535, offrendo a Giustiniano una motivazione per dichiarare guerra al regno ostrogoto.  I NUOVI REGNI Si assistette quindi al crollo del sistema politico-militare romano, con il passaggio del potere nelle mani della minoranza armata costituita dai popoli barbari, anche se furono ampiamente conservate alcune forme di organizzazione sociale e istituzionale (in particolar modo l’apparato amministrativo e i sistemi legislativi di tradizione romana, operando una discreta rielaborazione e semplificazione di questi mantenendone l’efficacia). Vennero mantenute accanto ai nuovi re le figure dei vescovi come consiglieri e mediatori, dando inoltre importanza alle assemblee, riunioni delle aristocrazie in un sistema comune a tutti i regni romano-germanici, anche se comprendevano forti varianti. Il sistema imperiale era fondato sul prelievo fiscale e sulla sua redistribuzione degli stipendi, ma adesso i regni romano-barbarici non sentivano il bisogno di impegnarsi in tale compito in quanto: non avevano una capitale da mantenere; il sistema burocratico era stato già alleggerito; e l’esercito non era più costituito da professionisti stipendiati, ma da un insieme di soldati ricompensati dal re attraverso la concessione di terre. Infatti, questi nuovi regni vengono considerati come poveri data la differenza nelle ricchezze e cosa veniva considerato come tale. Importante anche ricordare che, per quanto ricche e potenti, le aristocrazie non avevano alcun desiderio di trasformarsi in entità autonome rispetto al proprio re.  Anglosassoni Dopo la fine del dominio romano, la Britannia fu accompagnata da una serie di incursioni di popolazioni sassoni che inizieranno poi ad insediarsi sul territorio. Si costituiva così una struttura politica altamente frammentata in una miriade di piccole dominazioni a cui capo vi erano i cosiddetti reges, una realtà basata su una costante conflittualità e dalla superiorità locale di un’aristocrazia decisamente povera e una gerarchia sociale poco sviluppata. Inoltre, le popolazioni celtiche vennero presto marginalizzate nelle zone della Scozia, del Galles e dell’Inghilterra sud-occidentale, come anche la religione cristiana e il ruolo del clero si trasformarono in realtà trascurabili. A livello amministrativo, le strutture altomedievali da qui sviluppatosi non si basavano certo su una tradizione romana: la realtà frammentata andrà poi a centralizzarsi attorno ad alcuni regni maggiori nel corso del VII secolo, in particolar modo alla Mercia e alla Northumbria. Per l’Irlanda invece, bisogna ricordare come sia sempre stata al di fuori del dominio imperiale e di come non subì le invasioni da parte dei sassoni, sviluppando così una realtà ampiamente frammentata di regni, addirittura si crede un centinaio. Sul piano religioso, il Cristianesimo si sviluppò lentamente, senza la presenza di un regnante superiore agli altri in grado di condurre un’azione unificatrice sotto un unico credo. Assunsero grande importanza i monasteri e gli abbati, equivalenti alle figure sociali delle diocesi e dei vescovi che invece ritroviamo nel continente. Qui si svilupperanno le figure degli overkings: re più potenti degli altri, che imporranno un controllo militare sui regni minori.  Vandali Le province romane in Africa erano terre ricche soprattutto dal punto di vista agrario, tali da rifornire tramite tasse larghi settori dell’Impero. I Vandali, provenienti dalla penisola iberica, si insediarono nelle poco militarizzate zone africane: si trattò del primo popolo barbarico a costituire un regno totalmente autonomo all’interno dei territori imperiali e che non fosse accompagnato da alcuna forma di trattativa con l’Impero stesso. Sul piano religioso, vi fu grande intolleranza nei confronti degli africani di tradizione romana: i Vandali portarono avanti ampie persecuzioni ai danni delle chiese, per motivi religiosi ma anche per acquisire le ricchezze da esse conservate. L’Africa vandala si rivelò comunque stabile dal punto di vista economico e fiscale: si continuò infatti a prelevare tasse secondo il modello romano, e le somme raccolte non uscivano dai confini del regno. Questa situazione non giovava all’Impero, che cambiò il rapporto di scambio puramente fiscale con i territori africani con uno di tipo commerciale, comportando così un calo della domanda e un aumento della produzione interna. I Vandali però non potevano vantare una buona solidità politico-militare, causata forse dalla mancata integrazione dei diversi popoli presenti sul territorio. Talmente deboli che, nel momento in cui l’Impero progettò di espandersi verso il Mediterraneo, travolse immediatamente il regno vandalo.  Visigoti Nel 418, i Visigoti si stanziarono come federati nella regione attorno Tolosa nella Gallia meridionale, dove si posero al servizio dell’esercito romano all’interno della penisola iberica, dove poi si svolse la loro graduale espansione, completata verso il 480 (per quanto alcune aree sulla costa mediterranea rimasero sotto il potere imperiale). Anche qui vi fu una rielaborazione del sistema romano, definendo delle leggi territoriali, destinate quindi a tutti i sudditi del re visigoto a prescindere dalla loro etnia. Quando nel 507, il re franco Clodoveo nella battaglia di Vouillè sconfisse il re Alarico II, i territori del dominio visigoto a nord dei Pirenei si ridussero di molto, denotando così i primi segni di instabilità del regno. Solo dalla seconda metà del VI secolo si formò un consolidamento territoriale e politico grazie ad una serie di conquiste nei confronti del regno svevo e del dominio bizantino. È da questo momento che l’intera penisola iberica si trova sotto un controllo regio, con capitale definita a Toledo. Nell’ottica religiosa, i Visigoti erano di religione ariana e la prima convivenza con i romani cattolici provocò elementi di separazione. Solo con il re Reccaredo [586-601] si promosse la conversione dell’intero regno al Cattolicesimo ovviamente anche a livello politico: Toledo divenne la sede di una serie di concili che assunsero nel corso dei secoli le funzioni di sedi di deliberazione per le questioni propriamente religiose e di organi di governo del regno. I concili di Toledo, quindi, fungevano da accordo strutturale tra regno e vescovi, trasformando così la Spagna visigota in una delle dominazioni più efficaci di Europa. Nel 654 venne avviata una redazione di leggi sotto il nome di Liber Iudiciorum, completata da re Recesvinto, dove le influenze del diritto romano vengono integrate alle tradizioni germaniche, richiamando un sistema pressoché imperiale. Solo la conquista da parte delle armate islamiche della penisola iberica all’inizio dell’VIII secolo pose bruscamente fine alla storia visigota. CAPITOLO 3: La Simbiosi Franca Si parla di simbiosi in quanto i Franchi riuscirono a sviluppare con la massima efficacia l’incontro con le popolazioni di tradizione romana, riuscendo tra l’altro ad affermarsi come il regno più potente d’Europa in non appena due secoli, continuando con la straordinaria espansione carolingia alla fine del VII secolo. Nel Tardoantico, i Franchi non erano più un popolo compatto, ma piuttosto una confederazione di tribù che seguirono processi diversi di avvicinamento alla romanità, non solo sul piano politico-sociale ma anche su quello della fede. Childerico I infatti, mosse azioni militari in senso religioso, in una lotta contro i Visigoti ariani, e che valse ai Franchi una nuova legittimazione agli occhi dei Gallo-romani e soprattutto dei vescovi. Fu però il figlio, Clodoveo, che gli successe nel 481, a consolidare il proprio potere su gran parte della Gallia sottomettendo i Burgundi e i Visigoti e segnando la piena affermazione della nuova dinastia dei Merovingi. Importante sarà anche la conversione del re e del suo popolo al Cristianesimo cattolico, in un episodio che ricorda la conversione dell’imperatore Costantino e che lungo l’alto medioevo ritornò costantemente come modello per tutti i sovrani. Questo episodio comportò l’avvicinamento dei vescovi al potere regio, accomunando gli obiettivi delle due parti: la pace sociale e la salvezza del popolo cristiano, anche se perseguiti con metodi decisamente diversi. L’integrazione tra Franchi e Gallo-romani continuò con l’unione delle due aristocrazie: quella senatoria di stampo romano caratterizzata dall’attenzione per il latifondo e il radicamento nelle città, occupando cariche ecclesiastiche; mentre quella franca si basava sulla vicinanza al re e sulle proprie capacità militari. Nacque da qui una sorta di aristocrazia mista, che raccoglieva in sé tutti i termini prima descritti. Clodoveo riprese alcune forme di governo della tradizione romana e che tradusse tutto nella lex Salica: una redazione scritta delle leggi franche dove i protagonisti sono il popolo e gli aristocratici, non il re; la ricerca della pace e della giustizia viene affidata alla saggezza di quattro uomini, il quale ruolo non viene specificato; mentre al centro del sistema politico si trova l’assemblea degli uomini liberi (mallus), definito come luogo delle scelte politiche, dell’elaborazione legislativa e delle decisioni giudiziarie. Il potere regio veniva celebrato nella concreta prassi politica grazie al coordinamento dell’aristocrazia, il cui primo fondamento fu una rete di rapporti di tipo clientelare (trustis). Il controllo del territorio avviene attraverso la suddivisione in distretti, ognuno affidato ad un conte responsabile della giustizia, dell’esercito e del prelievo fiscale. Si aggiungerà in seguito l’abbandono delle imposte, ritenuta ormai pratica superflua in quanto non vi era necessità di stipendiare l’esercito o sostenere una costosa capitale. I re franchi, quindi, risulteranno relativamente poveri e non in grado di ridistribuire ricchezze al proprio popolo, avvalendosi così maggiormente del potere degli aristocratici. A causa di questo, verranno anche ridefinite le riunioni popolari in assemblee degli aristocratici, in particolare verranno riconosciute: la grande assemblea dell’esercito per discutere dei problemi di natura politica ed eventuale avvio di spedizioni; e quelle regionali raccolte attorno ai singoli conti, atte all’azione giudiziaria e alla risoluzione di conflitti locali. Le assemblee perderanno il potere di eleggere i successori al trono, in quanto si deciderà il carattere dinastico della monarchia, e il regno e la corona verranno considerati come parte del patrimonio del re, che andranno a suddividersi poi tra i propri discendenti. Si delinearono così alcune fondamentali partizioni: i regni di Austrasia, Neustria, Burgundia e Aquitania. Fu una concentrazione interna che limitò l’azione oltre i confini del regno, ma che riuscì comunque ad avere potere indiretto sui ducati di Turingia e Baviera e anche sulla futura Italia longobarda. presa di Ravenna da parte di Pipino il Breve nel 754 e nel 774 suo figlio Carlo Magno sconfisse definitivamente l’ultimo re longobardo, Desiderio, annettendo l’Italia centro-settentrionale al dominio franco, lasciando solo il ducato di Benevento come dominazione autonoma.  DIBATTITI TEOLOGICI Tra il V e VI secolo vediamo il dibattito teologico spostarsi sul piano cristologico: la questione che riguardava definire la convivenza nella figura di Cristo di una natura divina e una natura umana. Dopo la condanna al Nestorianesimo (che rifiutava il ruolo di Maria come “madre di Dio”, proponendola invece come “madre di Cristo” volendo far riferimento ad entrambe le nature congiunte, quella di Gesù e del Figlio), venne suggerito dalla sede patriarcale d’Alessandria il Monofisismo, secondo il quale le due nature si fondono fino a crearne una sola: questa posizione subì una condanna nel 451 nel Concilio di Calcedonia, dove si presentò invece il Diofisismo, il quale sosteneva che le due nature fossero distinte e integre, unite in modo indissolubile nella sola figura di Cristo. Tale dibattito però non era solo una questione teologica, ma anche politica. La posizione diofisita, infatti, venne promossa da Roma, Antiochia e Costantinopoli, rendendo quest’ultima finalmente sede patriarcale e confermando la rapida ascesa della città divenendo con gli anni nuova capitale dell’Impero. Pur di non riconoscere tale prestigio, nel Mediterraneo orientale e meridionale si mantenne la posizione monofisita, mentre il diofisismo veniva considerato come una ripresa delle tesi nestoriane. Si deve precisare come il primo compito dell’imperatore fosse la difesa delle chiese, e i precetti religiosi impartiti avevano valore uguale per tutti i propri sudditi: obbedire o meno ai decreti conciliari significava aderire o no al sistema imperiale ed era quindi urgente per l’imperatore ricondurre il popolo sotto un’unità teologica ed ecclesiastica. È per questo motivo che Giustiniano condannerà i Tre Capitoli, testi diofisiti le cui formulazioni più spinte portarono all’accusa di Nestorianesimo. Con tale gesto, l’imperatore cercava di avvicinare i monofisiti alessandrini ma il progetto fallì e nel Concilio di Costantinopoli del 553 Roma si adeguò all’orientamento diofisita imperiale. Anche il tentativo di riconciliazione dell’imperatore Eraclio fallì, il quale propose la soluzione del Monotelismo (l’idea che in Cristo fossero presenti due nature unite da un’unica attività e volontà) ma venne condannato nel Concilio di Costantinopoli del 681. Le regioni sudorientali ormai erano passate sotto il controllo islamico, mentre il Diofisismo rimase dominante nell’Impero e in Occidente. CAPITOLO 5: Domini della Terra I regni altomedievali sono in costante equilibrio tra la capacità regia di coordinamento e l’azione politica autonoma dell’aristocrazia. Le famiglie nobili, infatti, tendevano sempre a conservare uno stretto legame con la corte: era per loro fondamentale partecipare al circuito di solidarietà e redistribuzione del re, che offriva grandi opportunità sia economiche che politiche. Si ricorda però come la principale funzione dei re era quella di capi militari, quale obiettivo principale era il mantenimento della pace e della giustizia: così l’esercito risultava essere sia a disposizione del popolo sia fedele seguito del re.  TERRE E UOMINI Tra il VII e VIII secolo si andò elaborando una nuova forma di gestione delle grandi proprietà fondiarie: la curtis, che consisteva in un insieme di territori anche ampiamente dispersi tra di loro che garantivano al proprietario una serie di produzioni diversificate e il controllo di questo in più zone. Vi è poi la distinzione tra dominicium e massaricium: la prima è la parte di terreni gestita direttamente dal proprietario, mentre la seconda è la parte data in concessione ai contadini liberi, i quali ottenevano un manso (insieme di terre sufficienti per sostentare la propria famiglia). In cambio di questa terra, il massaro aveva nei confronti del proprietario un insieme di obblighi che comprendevano spesso una quota di denaro o prodotti, accompagnati da giornate di lavoro che lo stesso contadino doveva compiere sulle terre del signore (corvée). Le curtes si rivelarono strumento fondamentale per i nobili per gestire le proprie ricchezze, traendo da queste il necessario per conservare il proprio stile di vita, sfruttando anche il surplus che veniva prodotto e quindi commercializzato, ponendo così pressione sui contadini e il loro lavoro. Si estese uno scambio commerciale anche al di fuori dei confini regi, portando alla nascita dei cosiddetti emporia, centri abitati organizzati attorno ai porti con finalità specificamente commerciali e che con il tempo si trasformeranno in vere e proprie città. Vi erano anche le fiere, che si tenevano a cadenza regolare in luoghi di rilievo politico e spesso religioso. Il sistema monetario che si affermò in questo periodo fu definito dai Carolingi, con base di riferimento la libbra: una libbra d’argento era divisa in 20 solidi a loro volta divisi in 12 denarii. Si trattava di una moneta non di uso corrente, ma destinata appunto al commercio e agli acquisti di terra. CAPITOLO 6: Impero Carolingio Rispetto alla grande ampiezza territoriale del VI secolo, il dominio franco subì nel periodo successivo una parziale riduzione e il controllo e la presenza dei re all’interno di questo territorio erano quanto mai diversificati: la dinastia dei Merovingi, privi di una capitale stabile, si spostavano costantemente tra i diversi palazzi regi. Il fondamento principale del potere merovingio era il legame con l’aristocrazia, tale che le famiglie nobili non erano disposte ad accettare altro re all’infuori della dinastia merovingia: quest’ultima era la famiglia nobile più ricca e i suoi membri mantenevano rapporti matrimoniali con dinastie regie esterne al regno franco, compiendo atti rituali destinati simbolicamente a riaffermare la loro superiorità.  PIPINIDI La futura dinastia dei Pipinidi nasce come famiglia aristocratica dell’Austrasia, e che riuscì non solo ad occupare la carica di maestri di palazzo (capi della corte regia, che coordinava la vita politica attorno al re), ma legò a sé per via clientelare le maggiori famiglie austrasiane. Tale incarico e successivo seguito nacquero dall’alleanza previa tra Pipino di Landen e Arnolfo di Metz che appoggiarono l’ascesa al trono del futuro re Clotario II durante una crisi dinastica interna ai Merovingi. Ciò comportò la nomina a vescovo di Arnolfo e il matrimonio tra la figlia di Pipino e il figlio di Arnolfo, dando vita ad un sistema parentale molto potente nei confini austrasiani. Si trattava di solidarietà anche militare da parte degli aristocratici, di cui esempio è la battaglia di Poitiers [732], quando Carlo Martello sconfisse una spedizione proveniente dalla Spagna islamica, portando la famiglia dei Pipinidi ad una centralità anche ideologica. Nel 751, in seguito ad un colpo di stato indetto dalle famiglie aristocratiche franche, Pipino il Breve venne nominato come nuovo re, sostituendo definitivamente la famiglia dei Merovingi e i suoi ultimi “re fannulloni” (mito narrato nella futura corte carolingia, che legittimava in qualche modo l’ascesa della propria dinastia sul trono franco). Riuscì ad ottenere anche pieno sostegno papale nel 754, in quanto il nuovo papa Stefano II non riconosceva più l’Impero bizantino come valido protettore della Chiesa di Roma, soprattutto sotto la probabile minaccia dei Longobardi. Fu per questo motivo che partì per raggiungere Pipino per designarlo come nuovo alleato, riconoscendo la sua famiglia come legittima nuova dinastia del regno franco. La discesa in Italia da parte di Pipino non portò però alcun conflitto con i Longobardi: si trattò invece di un’azione politica che doveva limitare le loro ambizioni politico-territoriali. Il re franco, quindi, sconfisse re Astolfo e lo costrinse a restituire al papato le terre conquistate per poi ritornare in Gallia.  CAROLIINGI Dopo la morte di Pipino [768], i figli Carlo e Carlomanno avviarono una politica matrimoniale volta a creare una rete di legami e di solidarietà tra Franchi e Longobardi, sposandosi con le figlie del re Desiderio. Con la morte di Carlomanno [771] però, Carlo ruppe tali rapporti mirando invece all’espansione del proprio regno, dando inizio ad una campagna militare che gli valse il nome di “Carlo Magno”. Riuscì a conquistare larga parte dell’Europa Occidentale e soprattutto il regno longobardo: si fece nominare come “rex Francorum et Langobardorum”, conservò la capitale a Pavia e assimilò progressivamente l’aristocrazia longobarda all’interno del proprio seguito e del proprio apparato di governo. Mirò anche alla penisola iberica, formando nell’813 la marca Hispanica al sud dei Pirenei, e con lo scopo di sottomettere e assimilare la popolazione dei Sassoni, si mosse verso la Germania settentrionale: fondò una serie di diocesi e costituì la marca orientale, destinata a tenere sotto controllo gli slavi pagani estranei al dominio carolingio. Anche ai confini danesi venne fatto costruire un lungo terrapieno noto come Danewirke. I rapporti con il papato vedono loro apice nell’incoronazione a imperatore di Carlo da parte del papa Leone III [800], con quest’ultimo che ottenne in cambio protezione da parte di un regno stabile e forte. Con il termine “imperatore” ormai non ci si riferisce più alla dimensione territoriale, ma bensì alla funzione di questo ruolo, che si esprimeva nel controllo del regno d’Italia e nella concreta capacità di proteggere Roma e i suoi vescovi. Questa nomina comportò comunque delle tensioni ideologiche con Bisanzio, accentuata dalla convocazione di concili ecclesiastici da parte del re franco e la costruzione di una nuova capitale ad Aquisgrana. Rimase comunque una certa tensione tra Roma e carolingi: alla fine dell’VII secolo la curia papale produsse un documento falso, la cosiddetta Donazione di Costantino, datato al IV secolo e che attestava la cessione al papato di tutte le regioni occidentali dell’Impero. Ma la sede papale non rivendicò mai territori al di fuori del patronum Petri (terre della Chiesa di Roma) dell’Italia centrale.  A servizio dell’Impero Era necessario un sistema di deleghe che garantisse il controllo dei sudditi da parte di rappresentanti regi (come anche il controllo di questi ultimi), e l’efficacia del regno carolingio si fondava sul coordinamento dell’aristocrazia laica e delle chiese, nel limitare il loro potere e definire una superiorità regia. o VASSALLO: uomo che giurava fedeltà militare ad un potente, impegnandosi a servirlo e nello specifico combattere per lui, ottenendo in cambio protezione e sostegno economico (si parla di beneficium se si tratta della concessione di una terra);  Omayyadi L’azione politica e militare venne guidata dai califfi (successori di Maometto), i quali per salire al potere s’imbatterono in diversi conflitti segnati dalla divisione in fazioni: o SUNNITI: (sunna, tradizione) ritenevano che il califfo dovesse essere eletto sulla base del consenso degli anziani all’interno della tribù di Maometto; o SCIITI: ritenevano invece che la scelta dovesse ricadere all’interno della famiglia del Profeta; o KHARIGITI: infine credevano che il califfo dovesse essere eletto per i propri meriti e non per appartenenza a famiglie o tribù. Prevalse la posizione sunnita e dopo l’uccisione del quarto califfo Alì, cugino e genero di Maometto [661], salì al potere la famiglia degli Omayyadi, un importante clan della Mecca della tribù quraishita. Si conservò comunque una tradizione culturale-religiosa che si richiamava al nucleo famigliare di Maometto, creando così l’opposizione definitiva tra Sunniti e Sciiti. Gli Omayyadi portarono a termine l’espansione islamica che comportò problemi di convivenza tra gli Arabi e le popolazioni sottomesse in quanto il califfato presentava due nature strettamente intrecciate: un carattere etnico, nel senso del dominio arabo; e un carattere religioso, che si esprimeva invece nell’affermazione dei musulmani sui non credenti. Vigeva una politica alquanto tollerante per coloro che non professavano la religione islamica, anche se sottoposti ad una condizione giuridica inferiore e costretti a pagare una specifica tassa; mentre i non-arabi dovevano integrarsi legandosi per via clientelare ad una tribù. Gli Omayyadi posero come loro capitale Damasco, rilegando la Mecca e Medina come punti di riferimento puramente religiosi; venne poi imposto l’arabo come lingua ufficiale anche sul piano amministrativo.  Abbasidi Durante il VII si cercò di superare la sovrapposizione tra identità religiosa islamica e identità etnica araba che troverà suo compimento nel 750 con la nuova dinastia al potere califfale degli Abbasidi, discendenti della famiglia di Maometto. Spostarono la capitale nella nuova città fondata di Baghdad, perdendo le caratteristiche arabe per divenire pienamente un dominio islamico, privo di connotazioni etniche. Si definì una più chiara articolazione politica grazie al ruolo degli emiri, delegati del califfo mandati a governare ampi territori, i quali assunsero una piena autonomia sganciandosi dal califfato principale. Nacquero così gli emirati del Nordafrica, dell’Egitto con la dinastia dei Fatimidi, e soprattutto l’emirato di el-Andalus nella penisola iberica. Nell’827 l’emirato presente in Nordafrica, Ifriqiya, avviò una campagna di conquista verso la Sicilia, trasformandosi poi in un dominio organizzato e unitario che riuscì ad espandersi anche sulla penisola italica, giungendo fino a Bari. A partire dal 916 la Sicilia fu sottomessa alla dinastia dei Fatimidi lasciando comunque spazio a stirpi locali.  Spagna Gli emiri di el-Andalus assunsero titolo califfale nel 929, in diretta concorrenza con gli Abbasidi e i Fatimidi. Il dominio islamico rimase stabile fino al X secolo, per poi articolarsi in dominazioni autonome chiamate tayfas, fino a subire le pressioni dei regni cristiani presenti nella penisola. La conquista araba dell’VIII secolo aveva dissolto l’unità visigota, andando a formare nella zona settentrionale della penisola iberica i regni cristiani delle Asturie e di Navarra. La convivenza tra gli emiri e i re spagnoli fu segnata da una chiara tensione di fondo, senza però ancora giungere a mire espansionistiche da nessuna delle due parti. Particolarmente attivo fu il regno delle Asturie (che spostando il proprio centro politico da Oviedo a Leon, verrà poi riconosciuto proprio come regno di Leon), ma la forza militare islamica si rivelò più forte e si affermò l’egemonia dell’emiro sull’intera penisola senza mai cancellare i regni cristiani. Nella penisola iberica del X secolo, i regni e l’emirato vivevano in un equilibrio dinamico e conflittuale, non sempre sfociando in una contrapposizione armata.  BISANZIO Dalla metà del VII secolo fino alla fine dell’VIII, l’Impero Romano d’Oriente subì i pesanti effetti dell’affermarsi dell’Islam e del dominio carolingio. È da questa fase che si può propriamente parlare di “Impero Bizantino”, dato che si tolse la prospettiva universale al titolo imperiale e divenne un potere a dimensione regionale. Il progetto di restaurazione di Giustiniano nel VI secolo portò a dei risultati alquanto effimeri, in quanto ritornarono le pressioni sui confini riconquistati e il lungo impegno militare portò ad una riduzione delle ricchezze imperiali, in aggiunta alle continue tensioni religiose sia con la cristianità occidentale che con le regioni orientali, le quali avevano conservato un allineamento monofisita. Eraclio durante il suo regno [610-641] riuscì ad eliminare la minaccia persiana verso Bisanzio, permettendo così però l’affermazione dell’Islam. Con la riduzione dei territori, il re promulgò il cosiddetto ordinamento tematico, ovvero concentrare in aree specifiche un forte agglomerato di truppe e attribuire pieni poteri amministrativi ai comandanti militari, il quale compenso si traduceva nella concessione di terre e nel non dover pagare alcun tipo di tassa.  La Rottura con Roma Altro punto di rottura si ebbe con la nascita del movimento iconoclasta, il quale riteneva necessario la distruzione delle immagini religiose. Un orientamento seguito anche da alcuni imperatori, come il caso di Leone III il quale con l’editto del 730 vietò la venerazione delle immagini, un gesto che non solo ricercava un tipo di religiosità più austera. ma anche a livello politico voleva rivendicare il ruolo dell’imperatore come centro assoluto della società bizantina e quindi principale mediatore tra il popolo e Dio. Nel concilio di Hierea del 754, l’imperatore Costantino V riuscì a condannare formalmente il culto delle immagini, decisione che non fu però accolta dalle altre chiese dell’Impero: ciò provocò la resistenza da parte dei vescovi, che vennero perseguitati e costretti a fuggire in Occidente. Il concilio di Nicea del 787 riaffermò la libera pratica del culto delle immagini per poi nell’815 essere riaffermato nuovamente l’iconoclasmo nel concilio di Costantinopoli. Nei decenni successivi però, con il potere dei monaci ormai ridotto, si riaffermerà la centralità del potere imperiale di derivazione divina e il movimento iconoclasta andò indebolendosi, fino alla sua condanna nel concilio di Costantinopoli dell’843. L’orientamento iconoclasta di Bisanzio fu un elemento di allontanamento dalla chiesa di Roma, che venne risanato e alla fine del IX secolo venne riconosciuta una superiorità formale proprio a Roma, senza alcuna implicazione giurisdizionale.  Le Dominazioni Slave Gli Slavi erano un insieme complesso di popoli, con caratteristiche culturali e linguistiche simili e che in alcune fasi trovarono forme di ampio coordinamento politico: o BULGARI: nella seconda metà del IX secolo furono assimilati all’Impero per poi ricominciare nuovamente un’azione contro di esso minacciando direttamente la capitale, ottenendo così un trattato di pace che univa in matrimonio il figlio del khan Simeone e la figlia dell’imperatore Costantino VII. Questo patto però verrà rotto quando sarà nominato nuovo imperatore Romano Lecapeno e il potere dei Bulgari andò da qui sfumandosi; o GRANDE MORAVIA: dal IX secolo andò affermandosi tale dominio esteso tra i territori attuali della Germania, Boemia e Ungheria, che arrivò a coordinare molte popolazioni slave per poi dissolversi nel corso del X secolo. Queste dominazioni si orientarono verso il Cristianesimo, che offriva non solo un modello religioso forte ma anche un esempio di organizzazione e gerarchizzazione della società, con legittimazione del potere regio (sia per la derivazione divina attribuita al ruolo, sia per l’appoggio da parte dei vescovi). Grazie all’azione dei due fratelli missionari Costantino (poi chiamato Cirillo) e Metodio, i quali riuscirono a creare una grafia apposita per la lingua slava e a tradurre i principali testi sacri, l’Impero riuscì a sottomettere tali popolazioni.  Pressione Bizantina in Italia Nell’867 salì al trono Basilio I, i cui discendenti riuscirono a mantenere a lungo il potere e a rafforzare Bisanzio ampliando l’Impero, creando legami politici e spirituali con le dominazioni confinanti influenzando così regioni anche autonome. Sul suolo italico, l’imperatore cercò di coordinarsi con i sovrani carolingi per contrastare le basi islamiche nelle aree peninsulari, consolidando così il proprio controllo sulla Puglia e la Calabria. Ma ancora gran parte dei territori italici era sotto dominio carolingio, insieme a realtà autonome come Venezia, Ravenna, Roma, il principato di Benevento e infine la Sicilia rimasta nelle mani del dominio islamico. CAPITOLO 8: Età Postcarolingia A partire dalla metà del IX secolo, le divisioni tra i diversi esponenti della dinastia carolingia indussero una profonda trasformazione nei rapporti tra i re e la grande aristocrazia.  IL RUOLO DEI CONTI Si ridusse la capacità redistributiva del re in quanto i sovrani non potevano più disporre di un continuo afflusso di nuove terre e quindi risorse, che in passato Carlo Magno aveva acquisito e concesso ai propri seguaci per consolidarne i diversi rapporti di fedeltà sviluppati. Ora, le ormai divise parti della famiglia, chiedevano a sé appoggio militare aristocratico ma ciò che chiedevano i nobili era invece stabilità finanziaria e che la propria funzione venisse trasmessa in eredità ai propri figli. Il capitolare di Querzy dell’877, una legge emanata da Carlo il Calvo, definisce una procedura straordinaria per gestire i comitati nel caso in cui il conte morisse mentre il proprio erede era impegnato in spedizione con l’imperatore, stabilendo forme di gestione provvisoria, affidando il ruolo ai parenti del conte o altri suoi affiliati in attesa della decisione imperiale. Un caso specifico che coinvolgeva l’erede fuori dai propri confini comitali, permettendo così all’imperatore di eleggere un funzionario di propria mano. Ma nessuna legge, questa compresa, deliberò mai la stabilità o l’ereditarietà di tali ruoli, per quanto ormai fosse pratica ampiamente diffusa ed internalizzata. Tra la fine del IX secolo, la famiglia comitale acquisiva terre, fondava chiese e stringeva legami matrimoniali all’interno del distretto che governava: fu così che la funzione comitale e il carattere  I REGNI IN OCCIDENTE In Occidente, vediamo l’Impero carolingio articolarsi in quattro regni: Italia, Germania, Borgogna e Francia. Presentavano una fluidità di confini costante e un intreccio profondissimo tra le aristocrazie dei diversi regni.  Italia Dall’888 l’Italia seguì una vicenda del tutto svincolata dagli altri territori carolingi, definita da conflitti tra diversi potenti che si contendevano il trono. Berengario del Friuli fu incoronato re ma sconfitto da Guido di Spoleto nell’881, per poi quest’ultimo essere nominato re nell’889 e imperatore nell’891. Berengario, nel frattempo, si concentrò sulle aree a nord-est e riottenne il trono dopo la morte di Guido nell’894, continuando con la nomina ad imperatore nel 915. Il suo regno venne attaccato dal figlio di Guido, Lamberto, e da Ludovico di Provenza che vennero entrambi sconfitti, ma i settori della grande aristocrazia italica, nel frattempo, offrirono la corona a Rodolfo di Borgogna. Berengario venne ucciso nel 924 e Rodolfo dovette scontrarsi con Ugo di Provenza, il quale lo sconfisse e lo costrinse a ritornare in Borgogna nel 926. Ugo tenne la corona fino al 946, decidendo di ritornare nei suoi territori oltre le Alpi e lasciando il regno a suo figlio Lotario: alla sua morte [950], la corona passò nelle mani del nipote di Berengario, il marchese d’Ivrea Berengario.  Germania L’ultimo re carolingio a controllare il regno dei Franchi orientali fu Ludovico il Fanciullo fino al 911. S’impose poi un principio elettivo: il nuovo re veniva scelto dall’insieme dei duchi, contrastato comunque da alcune tendenze dinastiche. Venne eletto come re il duca di Franconia Corrado, ed ebbe come avversario Enrico di Sassonia: giunsero ad un accordo nel quale si giuravano reciproca fedeltà e il re promise di non intromettersi nei territori del duca. Nel 919, alla morte di Corrado, l’aristocrazia tedesca scelse Enrico come nuovo re dando vita alla dinastia dei duchi Sassonia. Nel 925 Enrico sottomise il regno di Lotaringia e suo figlio, Ottone I, nel 951 riuscì a conquistare il regno d’Italia: sposò la regina Adelaide, vedova del precedente re Lotario e affermò la propria superiorità nei confronti di Berengario II, il quale pochi anni prima si era posto sotto la protezione del re tedesco. Il figlio di Ottone, Liutdolfo, cercò di riunire a sé i grandi del regno e portò suo padre ad allontanarsi dall’Italia, riconoscendo temporaneamente Berengario II e suo figlio Adalberto come re sottoposti. Solo nel 954 Ottone sconfisse Liutdolfo attraverso un atto di sottomissione e accrebbe il proprio potere sull’aristocrazia tedesca, comportando la già citata vittoria a Lechfeld contro gli Ungari [955]. Con queste premesse, nel 961 Ottone scese nuovamente in Italia per prendere diretto possesso del regno e ottenne l’anno successivo a Roma la corona imperiale, sconfiggendo definitivamente Berengario II nel 964. Ciò che permise il mantenimento della dinastia sul trono tedesco fu la convergenza dell’aristocrazia attorno alla famiglia degli Ottoni, probabilmente dovuto alla sistematica occupazione delle diverse sedi ducali da parte dei membri della famiglia reale: un’aristocrazia ducale che, pur mantenendo vivo il principio elettivo, assicurava la successione degli Ottoni in Germania. Ottone III promosse la cosiddetta Renovatio Imperii Romanorum, arricchendo il linguaggio e il cerimoniale imperiale di elementi tratti dalla tradizione occidentale e bizantina, con il fine di esprimere un’idea imperiale alta che si modellasse anche all’età romana oltre che quella carolingia. Alla morte del papa Giovanni XV [996], Ottone impose come nuovo pontefice un proprio cugino, Bruno di Worms, che divenne poi Gregorio V e che incoronò personalmente pochi mesi dopo Ottone come imperatore. Si trattò del primo papa che provenisse da Oltralpe e direttamente dall’aristocrazia tedesca: fu una decisione che comportò pesanti ribellioni, che Ottone seppe reprimere militarmente nel 998 ed elesse come papa l’anno successivo, alla morte di Gregorio V, uno dei più grandi intellettuali del tempo: Gerbert d’Aurillac, che assunse poi il nome di Silvestro II (con chiaro riferimento al papa che aveva battezzato Costantino). Roma assunse così una nuova centralità, tanto che lo stesso imperatore si fece costruire nell’Urbe un palazzo, quasi in concorrenza con quello papale del Laterano. Nel 1002 la morte precoce di Ottone III aprì una breve crisi dinastica, risolta all’interno dello stesso gruppo parentale, scegliendo il cugino Enrico II come successore al trono. In Italia, un gruppo di aristocratici nominò come proprio re Arduino, marchese d’Ivrea, che fu però prontamente sconfitto da Enrico nel 1004, lasciando il regno al re sassone, il quale allontanamento dalla penisola permise ad Arduino di riattaccare, ma nuovamente Enrico pose fine alla vicenda nel 1014: il marchese si ritirò in monastero per morire pochi anni dopo.  Borgogna Fu la struttura politica di minor durata, che si affermò alla fine del IX secolo come territorio autonomo controllato dai Rodolfingi. Nel 993 il dominio si allargò fino alla Provenza ma fu una crisi dinastica a permettere l’intromissione dei re di Germania: nel 1034 per mano di Corrado II di Franconia la Borgogna entrò a far parte del controllo tedesco.  Francia Nell’888 divenne sovrano il conte Oddone di Parigi, anche se alcuni settori dell’aristocrazia continuarono ad appoggiare la dinastia carolingia, scegliendo come proprio re Carlo il Semplice, che riuscì a recuperare il trono solo nell’898. Si rivelò un re debole, colui che cedette al capo normanno Rollone un ampio settore del regno, tanto che i nobili franchi scelsero di deporlo nel 922. Il cambiamento più profondo della realtà franca fu la suddivisione in principati regionali largamente autonomi: le diverse regioni si organizzarono attorno ad altre dinastie, detentrici di domini territoriali non così diversi da quello regio. Negli anni successivi l’aristocrazia francese scelse i re all’interno della famiglia di Oddone, andandosi così ad affermare la futura dinastia dei Robertini: nel 936 però, il figlio di Oddone Ugo il Grande, rifiutò la carica, passando l’incarico all’erede di Carlo il Semplice, Ludovico IV, facendo ritornare così sul trono i carolingi. Fu una scelta astuta, in quanto così non impose non impose la superiorità della propria famiglia agli aristocratici, evitando così la loro eventuale ostilità. Con la morte di Ludovico V, che lasciò il trono senza eredi, nel 987 gli successe il nipote di Ugo il Grande, Ugo Capeto, segnando in questo modo l’ascesa della nuova dinastia dei Capetingi, destinata a regnare fino al 1328.  NUOVE CHIESE Tra X e XI secolo, per iniziativa dei nobili, vennero edificati numerosi monasteri, i quali vennero dotati di ricchi patrimoni fondiari, consegnando il tutto ad abbati di fiducia. Tali progetti implicavano un patronato della famiglia del fondatore, che comprendeva la tutela e il potere sulla struttura e il diritto di nominare i successivi abbati.  Abbazia di Cluny Particolare fu il caso del duca Guglielmo d’Aquitania, il quale nel 909 edificò l’abbazia di Cluny per poi rinunciare a qualsiasi forma di controllo su di essa. Venne poi svincolata anche dal controllo del vescovo di Mâcon, diocesi in cui era stata costruita, e la protezione passò direttamente alle mani del vescovo di Roma. Il monachesimo di Cluny propose un’interpretazione della regola benedettina che dava ancora più importanza alla preghiera, con un’accresciuta solennità dei momenti liturgici. Particolare attenzione diedero anche alle preghiere rivolte ai defunti: sembravano così garantire un prezioso beneficio spirituale alla società circostante, la quale fornì all’abbazia sostegno materiale che andò costituendo col tempo un ricco patrimonio fondiario. Si ritrovò così ad essere una potente abbazia, alleata di principi e aristocratici. Il suo secondo abbate, Oddone di Cluny, fu incaricato di riformare la vita monastica in abbazie in declino dal punto di vista spirituale e disciplinare: tali interventi incontrarono spesso delle resistenze nelle diverse comunità monastiche che volevano difendere la propria autonomia, che seppur riformate decisero di non mantenere legami con Cluny. Si andò comunque a formare una congregazione di monasteri coordinati in gran parte dell’Europa all’abbazia sottoforma di priorati, in quanto l’unico abbate di riferimento era quello di Cluny e i priori erano a capo degli enti monastici ad egli sottoposti. Emblematica fu nel 1088 l’elezione al soglio pontificio del priore di Cluny Oddone, assumendo il nome di Urbano II (il papa che proclamò nel 1095 la prima crociata).  Altri esempi di monachesimo In parallelo con la crescita di Cluny e altre analoghe congregazioni, l’XI fu segnato da altre spinte monastiche che si davano al completo isolamento in cui la volontà eremitica si risolveva in una dimensione comunitaria, operando scelte radicali anche di povertà e penitenza. Esempi sono quelli di Romualdo, che fondò il monastero di Camaldoli sugli Appennini toscani, e di Giovanni Gualberto, monaco benedettino che fondò il monastero di Vallombrosa. Entrambi avviano un primo cambiamento nella coscienza religiosa, che si distanzia dalla ricchezza dei monasteri altomedievali per avvicinarsi invece ad un ideale di povertà, priva di potere, lontana dal mondo. CAPITOLO 9: Riforma ecclesiastica I vescovi erano impegnati nella riorganizzazione delle loro diocesi, in una serie di “recuperi” delle sostanze e dei diritti dati in beneficio sui quali si era perso il controllo o che erano stati usurpati dai laici nel corso del secolo precedente. Si mirava a ricostruire un apparato istituzionale delle chiese locali, che vedeva i vescovi nuovamente come guide della società. In questa fase s’impegnarono numerosi membri della curia imperiale, soprattutto sotto il regno dell’imperatore tedesco Enrico III, il quale si pose come garante del processo di riforma della Chiesa. Il sovrano quindi estese il suo controllo anche al papato di Roma, che agli inizi dell’XI secolo era in balia delle famiglie romane in lotta fra loro. Quando Enrico III scese in Italia, vennero eletti ben tre papi nello stesso momento: a Sutri, nel 1046, l’imperatore li fece deporre, imponendo come nuovo pontefice il membro della sua curia il vescovo di Bamberga, futuro papa Clemente II. Da questo episodio, iniziò una lunga serie di papi tedeschi provenienti dalla schiera imperiale, che si batterono per contrastare due gravi peccati: Nel concilio di Worms [1076], Gregorio VII fu deposto dai vescovi riuniti sotto l’Impero e di risposta, un mese dopo il papa scomunicò e depose l’imperatore. L’ideologia dell’imperatore s’incentrava sul liberare la Chiesa dal suo tiranno e rinnovò, con il sostegno di vescovi italiani e tedeschi, la deposizione a Gregorio eleggendo il cosiddetto antipapa, Guiberto arcivescovo di Ravenna. Nel 1077, grazie alla mediazione di Matilde di Canossa, l’imperatore chiese perdono al papa ma il conflitto s’inasprì nuovamente nel 1080 quando Gregorio depose ancora una volta Enrico e sciogliendo i sudditi dal vincolo di fedeltà al sovrano. L’imperatore, quindi, scese a Roma per insediare Guiberto e da egli farsi incoronare nel 1081. Il papa, assediato, fu salvato dai Normanni ma fu costretto all’esilio a Salerno, dove morì. I successivi papi continuarono a sostenere la visione rigorista di Gregorio VII, vietando alle chiese di accettare qualsiasi tipo di investitura laica, fosse questa di livello spirituale o temporale: papa Pasquale II raggiunse un accordo con i re di Francia e Inghilterra che comportasse la loro rinuncia all’elezione vescovile con anello e pastorale, potendo quindi solo confermare un eventuale decisione papale. Nel 1111 il papa cercò un accordo con l’imperatore tedesco Enrico V, pretendendo la rinuncia dei vescovi del regno dei loro poteri temporali. Furono gli stessi vescovi a protestare e l’imperatore sconfessò il suo patto con il papa: Pasquale II quindi sospese l’incoronazione di Enrico V, e venne così imprigionato, gesto che lo costrinse a riconoscere i poteri elettivi del re. Tale capitolazione fece però sollevare la curia romana, e ancora una volta il papa annullò tale privilegio. Durante il concilio di Worms del 1122, Enrico V e il nuovo papa Callisto II trovarono un accordo: al papa spettava l’investitura “spirituale” con anello e pastorale; al re l’investitura “temporale” tramite lo scettro. Si ottiene così la coesistenza delle due sfere in cui erano inseriti i vescovi, una di natura sacrale e l’altra di profonda implicazione politica.  NUOVI TERMINI DELLA RIFORMA Durante gli ultimi anni del XII secolo si modificò la titolatura del papa sotto volere di Innocenzo III: da “vicario di San Pietro”, a “vicario di Cristo”. Altra aggiunta all’ideologia papale era quella dell’infallibilità del pontefice, in quanto si ritenesse impossibile che Dio scegliesse come suo rappresentante la persona sbagliata. Intorno al papa si formò un collegio formato dai cardinali, mentre gli affari di governo venivano gestiti dalla curia e alla Camera apostolica spettava invece il controllo delle finanze della Chiesa di Roma. Inoltre, tutte le decime (tributi pagati alla chiesa) delle diocesi confluivano a Roma, rendendola ampiamente ricca e potente sul piano finanziario di tutto l’Occidente medievale. Nelle città episcopali si cercò di ristabilire una disciplina della vita del clero: i canonici (chierici adibiti al servizio della cattedrale) furono nuovamente chiamati a condurre una vita di penitenze, rinunce e castità, in piena comunità con i propri compagni. Si andarono così a costruire nuovi edifici collettivi per ospitare il clero cittadino, le canoniche, e attorno ad esse i capitoli, formati dai canonici del vescovo: vi facevano parte i membri delle maggiori famiglie aristocratiche della città, enti che riuscirono ad acquisire ben presto autonomia e si ponevano come guida della comunità, concentrando potere politico tra le loro mani. Fra l’XI e il XII secolo, nacquero nuovi movimenti di ispirazione monastica, che accentuavano il proprio carattere ascetico e pauperistico: o CISTERCENSI: (con la prima congregazione nata a Cîteaux) si formò sulla regola benedettina e quindi seguendo una vita di preghiera e duro lavoro manuale, i luoghi in scelti erano sempre in qualche modo isolati per facilitare la concentrazione su sé stessi; o CERTOSINI: (fondato a Chartreuse) realizzarono con maggiore rigore il percorso ascetico distante da contatti esterni grazie all’ideale del “deserto”, con la costruzione di monasteri su alti promontori e il cui interno comprendeva una serie di celle per i monaci. Entrambe i monachesimi trovarono appoggio nell’episcopato, e anche i pontefici offrirono la propria protezione a ordini che si ripromettevano di vivere secondo la regola di san Benedetto.  LA GUERRA Nelle cronache del X e XI secolo redatte da religiosi, prepotente si faceva il tema della violenza che trovò risposta in una strategia di difesa: le “paci di Dio” vietavano l’uso di armi e attaccare armi in giorni e luoghi considerati sacri, atte non alla condanna delle aggressioni ma alla salvaguardia dei beni della chiesa. Era considerato lecito, infatti, continuare le guerre riconosciute come “giuste”, sotto il comando di un’autorità legittima. Ne sono un esempio le diverse spedizioni nate sotto il volere divino, per liberare (e conquistare) i territori limitrofi in mano agli infedeli e agli eretici: nacque la definizione di “milizia di San Pietro”, di cui i “soldati di Cristo” si impegnavano nei conflitti religiosi. La Chiesa predispose strumenti di inquadramento culturale e ideologico con l’intento di perfezionare l’esercizio della violenza sotto punto di vista sacro: indulgenze e remissione dei peccati per i caduti in battaglia; ampio mercato di reliquie per le chiese in cerca di maggior prestigio; o ancora i pellegrinaggi visti come forma di devozione e che ebbero grande successo durante l’XI secolo  Le Crociate Ma era Gerusalemme che destò maggiore interesse come meta di pellegrinaggio: un viaggio pericoloso a causa dell’ostilità dei musulmani che impediva arrivare a destinazione, ricorrendo spesso alla protezione armata. Fu Urbano II a indire una prima conquista della Terrasanta nel concilio di Clermont [1095], con lo scopo di liberare il percorso di pellegrinaggio per i fedeli cristiani, in un’azione armata che prenderà poi il nome di crociata. o CROCIATA DEI PEZZENTI: [1096] spedizione di poco precedente alla prima vera crociata, composta da masse disorganizzate di gente povera che compirono saccheggi e devastazioni fino ad essere decimate dai Turchi presso Nicea; o PRIMA CROCIATA: vi presero parte l’alta feudalità francese, i lorenesi guidati da Goffredo di Buglione e gli italo-normanni, i quali occuparono Nicea e Antiochia conquistando Gerusalemme nel 1099 e ponendo la Siria e la Palestina in un’organizzazione feudale alle dipendenze del regno del Sacro Sepolcro; [Qui, i diversi gruppi militari si divisero fra chi ritornò in patria scoraggiato dalle dure condizioni dei territori desertici e chi rimase alla conquista di altri territori come il fratello di Goffredo, Baldovino di Boulogne, che riuscì a prendere per sé Edessa.] o SECONDA CROCIATA: [1144] l’emiro di Mossul s’impadronì di Edessa, minacciando l’invasione della Palestina e il re di Gerusalemme invocò l’aiuto dell’Europa cristiana ottenendo l’arrivo del re di Francia Luigi VII e dell’imperatore Corrado III, che vennero però decimati da epidemie e attacchi turchi rinunciando alla riconquista di Edessa e all’occupazione di Damasco; o TERZA CROCIATA: [1187] il sovrano Saladino distrusse l’esercito crociato a Ḥittīn occupando anche quasi tutto il regno di Gerusalemme; dunque, il papa Gregorio VIII ordinò una nuova azione militare alla quale aderirono l’imperatore Federico Barbarossa, il re francese Filippo II Augusto e il re d’Inghilterra Enrico II (sostituito in seguito da suo figlio Riccardo Cuor di Leone). Tra la morte dell’imperatore e l’abbandono di Filippo II, si raggiunse un accordo con il Saladino, che concesse generosamente il permesso di venire in pellegrinaggio a Gerusalemme e ai mercanti italiani di commerciare con gli Stati della costa. Il crollo del sistema politico-militare instaurato alla fine dell’XI secolo dai crociati scoraggiò definitivamente le potenze cristiane d’Europa dal tentarne ancora la conquista.  I templari Nel 1119, otto cavalieri giurarono davanti al patriarca di Gerusalemme di difendere i cammini per la Terrasanta e di osservare il voto di castità, povertà e obbedienza continuando però ad esercitare l’arte della guerra. I cosiddetti Cavalieri del Tempio vennero approvati nel concilio di Troyes, reclutati dal mondo aristocratico, e fondarono nei decenni successivi numerose piazzeforti e castelli in Terrasanta. Il loro successo accrebbe anche perché si incaricarono di gestire le decime per le crociate indette. Con i templari si avviò un nuovo modello di milizia di tipo spirituale, che si contrapponeva a quella laica: i militi di Cristo, infatti, combattevano per la fede, legittimati da un’azione considerata addirittura salvifica e che gli assicurava vita eterna come cavaliere. CAPITOLO 10: Il dominio signorile Furono i poteri signorili a rappresentare la novità di questa fase storica, e per quanto seguirono percorsi diversi, gli elementi in comune erano: il possedimento di terre; i castelli e il mantenimento di una forte rete clientelare.  POTERI AUTONOMI Quando il coordinamento regio venne meno, le chiese e le dinastie poterono tradurre la propria eminenza economica in potere signorile. La giustizia regia era lontana e i conti non intervenivano più all’interno dei villaggi: i contadini, quindi, trovarono unica protezione nel proprietario delle terre che coltivavano. Quando tali proprietari acquisirono anche la capacità di agire autonomamente sul piano militare, costituirono una dominazione più ampia emulando le prerogative e i compiti del potere regio: in questo modo, i contadini divennero veri e propri sudditi dei signori. I castelli si rivelarono un grande meccanismo politico, che riconosceva chi fosse in grado di offrire protezione al popolo nel momento in cui il re non era in grado di gestire tale compito. Questo cambiamento portò ad un rapporto di scambio tra protezione signorile e servizi dei propri sudditi, con la promessa del signore di mantenere la pace sui propri territori. Per quanto riguarda i conti e i marchesi, chi si faceva riconoscere come tale era ormai solo per titolo acquisito in eredità senza alcun’altra funzione, una forma di semplice legittimazione al potere. Presero anzi come punto di riferimento gli stessi signori e i loro sviluppati poteri. All’interno dei singoli villaggi vediamo dunque poteri e prelievi spartiti tra i diversi signori, andando a formare anche il cosiddetto fenomeno della signoria territoriale: una signoria organizzata attorno ad un castello e proiettata sul territorio circostante, e nella quale convivevano signorie minori (queste invece, definite come signorie fondiarie). I contadini, dunque, si trovarono a dover pagare più tasse per i diversi poteri locali.  INGHILTERRA Il regno d’Inghilterra, prima della conquista normanna, era diviso in circoscrizioni di origine militare e fiscale chiamate shires, assegnate ad ufficiali pubblici chiamati earls. Al di sotto degli shires vi erano altre circoscrizioni minori chiamate le centene (hundreds) formate a loro volta da gruppi di dieci famiglie (tithing). Queste unità godevano di ampia autonomia organizzativa e avevano come fine principale l’amministrazione della giustizia attraverso il mantenimento della pace, reso possibile da assemblee (il folkright, diritto della gente). La pace del regno era compito che spettava al re, e anche Guglielmo il Conquistatore non mancò a tale incarico. Il re doveva confrontarsi con la pretesa da parte dei baroni di acquisire terre dei nobili locali e ricevere una certa autonomia: l’appoggio dei baroni era necessario, ma allo stesso tempo rischiavano di intaccare il potere regio. Guglielmo nominò un suo rappresentante in Inghilterra, un giustiziere, dotato di pieni poteri in assenza del sovrano. Eliminò anche i conti e pose come nuove figure a capo del mantenimento della giustizia e della finanza, gli sceriffi. I liberi vennero dichiarati come sudditi del re e tutta la terra data in concessione ai baroni fu sottoposta a concreti obblighi di fedeltà militare nei suoi confronti, anche se rimaneva ben presente il possesso per eredità. Chi otteneva la terra però era tenuto, in quanto feudatario, a partecipare all’esercito o fornire un equivalente in denaro, e ciò spinse il sovrano a ordinare una grande inchiesta in tutte le contee inglesi sullo stato di queste prima e dopo la conquista e i dati vennero raccolti nel Domesday Book. Enrico I, figlio e secondo successore di Guglielmo, emanò una Carta delle libertà in cui prometteva di limitare il potere dei baroni attraverso il controllo sulla trasmissione ereditaria delle terre baronali. Il re Enrico II, nipote di Enrico I, sposò Eleonora d’Aquitania (precedentemente moglie del re francese Luigi VII) formando così una grande dominazione internazionale. Sviluppò inoltre due sistemi istituzionali: il primo fisso era incentrato sul giustiziere e la “curia regia”, composta dai grandi del regno, i quali dovevano formalmente esprimere un consenso alle decisioni del re, insieme alla figura dello Scacchiere, il responsabile delle finanze; il secondo era mobile e prevedeva un collegio di giudici itineranti che amministravano l’alta giustizia per conto del re nelle singole contee. Enrico costituì inoltre un sistema delle giurie dei “dodici uomini saggi” nelle comunità, incaricati di giudicare i colpevoli e tenerli in custodia fino all’arrivo dei giudici regi. Il re potenziò anche le funzioni giudiziarie della corte centrale a Londra, che divenne col tempo un tribunale aperto per tutti i sudditi del regno, arrivando a formare una nuova corte di giustizia a Westminster, il Bench. Enrico estese inoltre la protezione regia ai vassalli dei feudi maggiori, assicurando loro la successione ereditaria dei feudi minori. Si preoccupò di inquadrare i sudditi in una dipendenza diretta con il re chiamandoli ad unirsi all’esercito, procurandosi i propri armamenti in base al proprio reddito. Con l’arrivo delle guerre esterne però, Enrico fu costretto ad aumentare le tasse sul regno inglese e nei domini francesi, portando ad una grave crisi che culminò con la lotta dinastica tra i figli Riccardo Cuor di Leone [re dal 1189 fino al 1199] e Giovanni Senzaterra [1199-1216]. Gli inglesi persero i propri territori sul ducato di Normandia, acquisiti invece dal re francese Filippo Augusto nel 1204, come anche stavano sfumando i rapporti con la Chiesa e i baroni. Dopo la sconfitta subita a Bouvines contro Filippo Augusto [1214], il re inglese Giovanni venne contestato e costretto dai grandi del regno a firmare la Magna Charta, un documento che limitava le prerogative regie, ampliando invece i diritti dei baroni.  FRANCIA Luigi VI [1108-1137] si concentrò soprattutto sul disciplinare i castellani ribelli all’interno del suo dominio: con l’aiuto dell’abbate e consigliere Sugerio di Saint Denis, promosse una serie di battaglie punitive contro i potenti locali, sfruttando l’ideologia che il re non aveva altri superiori mentre i principi potevano essere presentati come dipendenti del sovrano. Luigi interveniva contro i castellani anche per proteggere l’integrità delle chiese, azione approvata da un concilio provinciale di vescovi: una “pace del Re” che sostituiva quella di Dio. Sugerio riuscì a definire una nuova funzione della monarchia, configurando un’entità astratta che esisteva anche in assenza di un re. Nacquero in seguito gli attriti tra Luigi VII ed Enrico II: in quanto duca di Normandia, Enrico risultava un vassallo per il re francese; ma come sovrano d’Inghilterra si poneva sullo stesso piano di Luigi per il dominio della Francia. Si prolungarono così una serie di guerre e tregue fino alla morte di Luigi VII [1180], evento che viene riconosciuto come “prima guerra dei Cent’anni”. Nel 1179 venne incoronato il figlio di Luigi Filippo Augusto, il quale proseguì con le guerre contro i baroni ottenendo le contee di Vermandois e Artois. Dopo la battaglia di Bouvines, Filippo Augusto poté avviare una politica più aggressiva, provando ad invadere l’Inghilterra senza però mai riuscirci. Fin dal 1209 inoltre, i baroni del nord della Francia avevano condotto una spedizione per conto del papa contro il conte di Tolosa. Nella cosiddetta crociata albigese vi si intromise anche il re Filippo tentò di recuperare il controllo della città, sfruttando il fatto che il suddetto conte era stato accusato di eresia da papa Innocenzo III: Filippo Augusto, quindi, rivendicò la spedizione come atto in difesa della fede, privando il conte dei propri beni e finalmente appropriarsene. Venne creata la figura di un nuovo ufficiale pubblico, il balivo, responsabile del governo, della giustizia e della fiscalità in una circoscrizione definita. Anche nell’amministrazione centrale non vennero più convocati i grandi del regno ma esponenti della media cavalleria e della nobiltà urbana o dell’ordine templare. Da tener conto anche delle entrate “straordinarie”: il re richiese grandi somme per riassegnare i feudi in caso di morte del vassallo; per la custodia dei feudi regi nei momenti di minorità dell’erede; e impose una tassa per chi non si univa al servizio militare. Distribuiva inoltre le zone contese a cavalieri e signori locali per comprare la loro neutralità in caso di guerra.  SPAGNA Nell’XI secolo, da parte dei regni cristiani posti a nord della penisola iberica, iniziò a formarsi l’ideologia della Reconquista, nella speranza di riappropriarsi dei territori meridionali occupati dalla dominazione musulmana. Si ricorse soprattutto alla retorica dell’esaltazione religiosa, dandosi la missione di liberare tali zone. Fino al 1115-1120 gli Almoravidi prevalsero, i quali avevano esteso una pesante dominazione militare nella regione andalusa. Le differenze percepite dal popolo rispetto all’élite precedente e soprattutto un regime fiscale opprimente scatenarono una crisi interna. Inoltre, una setta in Marocco denominata Almohadi, riuscì in un decennio a conquistare l’area marocchina e l’Andalusia, eleggendo poi come propria capitale Siviglia. Nel 1195, ad Alarcos l’esercito musulmano, aiutato da alcuni oppositori al re cristiano, inflisse una severa sconfitta ad Alfonso VIII di Castiglia, provocando la ritirata dagli avamposti fortificati nel sud. Innocenzo III nel 1211 proclamò una nuova crociata antimusulmana, portando alla vittoria il re castigliano a Las Navas de Tolosa appena un anno dopo. Fino al 1240 vennero conquistate le zone dell’Estremadura e dell’Andalusia sempre dai re castigliani, mentre per i catalano-aragonesi spettarono le Baleari e il regno di Valencia. Si avviò anche un processo di ripopolamento che si basava sulla fondazione di città con un esteso territorio e sulla concessione di lotti di terre agli abitanti, incaricati anche della difesa della zona. I re si trovarono così dei gruppi sociali con una precisa fisionomia politica autonoma. Le monarchie comunque continuarono a convocare ampie assemblee dei grandi del regno, insieme alle città e i consigli comunali (le cortes).  GERMANIA Nella Germania dell’XI secolo, i ducati di Franconia, Baviera, Sassonia e Svevia erano ben saldi nelle mani delle grandi famiglie dell’aristocrazie. Le famiglie delle marche di frontiera inseguivano una propria politica di radicamento nei territori orientali, solo con l’appoggio successivo dell’Impero. Ciò portò ad una colonizzazione verso est, con un’emarginazione dei residenti slavi costretti a spostarsi. Le aristocrazie locali detenevano grande potere, avendo in proprietà ampie porzioni di territorio che permetteva loro di sentirsi slegate da una fedeltà assoluta con l’imperatore. È in questo quadro che bisogna inserire il regno di Federico Barbarossa [1152-1190], che sottomise le casate più riottose confiscandone i ducati. Nacque così la lotta tra l’imperatore ed Enrico il Leone, creando rispettivamente le fazioni dei Waiblingen e dei Welfen: ogni volta che Federico riusciva ad ottenere un ducato lo divideva diminuendo così la forza dei singoli ducati.  Scontro con le città italiane Durante una riunione tenutasi a Costanza nel 1153, fecero visita all’imperatore due ambasciatori provenienti dall’assediata Lodi, pregandolo di attaccare Milano. I milanesi cercarono di comprare il permesso dell’imperatore di mantenere il dominio su Lodi e Como ma Federico rifiutò, dando il via allo scontro armato. Nel 1155 l’imperatore conquistò Asti e Tortona, per poi tornare nel 1158 per attaccare Brescia e Milano, imponendo dei podestà imperiali nelle città ribelli. Nella dieta di Roncaglia del 1158, l’imperatore stabilì che ogni potere di natura pubblica doveva provenire dal re attraverso un’investitura formale, oltre a rinnovare il divieto di alienare i feudi, venderli o dividerlo, o ancora prestare giuramento a più signori. Il Barbarossa cercava di imporre il proprio potere al vertice di una gerarchia feudale, ordinando anche di giurare fedeltà al sovrano. Nel 1162, Federico assediò nuovamente Milano con l’aiuto dei lodigiani portando nel 1168 la formazione della Lega Lombarda, formata da comuni alleati contro l’imperatore impegnati a prestarsi aiuto in caso di attacco. A rafforzare l’ideologia della lega fu l’alleanza con papa Alessandro III, fino ad arrivare nel 1176 alla battaglia di Legnano, nella quale finalmente i comuni lombardi sconfissero l’esercito imperiale. Nel 1177 il papa convinse l’imperatore ad una tregua di cinque anni sotto la pace di Venezia, per poi giungere ad una concordia definitiva tra l’impero e i comuni nel 1183 con la pace di Costanza. Il figlio di Federico, Enrico VI, cercò di imporre il diritto di successione dinastica all’Impero abbandonando il criterio elettivo, proponendo ai principi tedeschi la quasi completa libertà di lasciare in eredità i propri feudi ma rifiutarono. Il nuovo imperatore, comunque, prese in moglie nel 1186 l’ultima erede dei normanni, Costanza d’Altavilla, dalla quale ebbe un figlio che diverrà poi Federico II. Nel 1194 Enrico riuscì a entrare a Palermo e farsi eleggere come re di Sicilia, lasciando al figlio i titoli di re di Germania e re d’Italia. sottraendoli a famiglie nobili impoverite. Invece, gli abitanti dei villaggi che si sottraevano dal controllo di un signore venivano dichiarati liberi, sottomessi solo alla città e spesso trasferiti in altri luoghi chiamati villenuove (o villefranche).  L’età podestarile All’inizio del XIII secolo, per quando l’Italia si presentasse ancora come una dimensione frammentata, già si definirono chiare tendenze: o REPUBBLICHE MARINARE: Genova, Pisa e Venezia erano diventate grandi empori commerciali e con forti istituzioni cittadine (consolari le prime due e “regale” l’ultima); o MILANO: una città di indiscussa supremazia politica, terminale dei traffici commerciali tra l’Italia e le terre dell’Impero; o CITTÀ EMILIANE: giovate della ripresa dei commerci attivi lungo il Po e la via Emilia, soprattutto Bologna che divenne sede della prima università italiana; o TOSCANA: s’inserivano molte città con grandi territori in perenne lotta tra di loro per definire i propri confini; o UMBRIA E MARCHE: città dipendenti da un’economia agraria, abitati da una popolazione mista di contadini. Si andava contestando ormai il ristretto potere consolare e i cittadini non nobili si organizzarono in nuovi raggruppamenti politici, le societates: avevano uno scopo di protezione armata dei propri membri ma si diedero con il tempo una forma più strutturata che radunava tutte le Arti sotto lo stesso organismo che prese nome di “Popolo”. Le società cercavano di immettersi nell’apparato politico della città, limitando il potere e i privilegi dei nobili: proposero come nuovo magistrato il podestà, un forestiero eletto per un anno e investito dei maggiori poteri di governo della città. Si rafforzò il consiglio comunale, esteso a centinaia di cittadini, con il compito di eleggere il podestà e approvare le sue decisioni e le scelte principali per la vita politica del comune.  Il governo delle corporazioni Di fondamentale importanza era iscriversi alle Arti, dato il suo accresciuto potere politico nella seconda metà del Duecento. Le Arti addirittura si candidarono al governo della città, con lo scopo di fondare una comunità sul lavoro e i commerci, su una giusta divisione di spese pubbliche e sulla pace sociale. Una volta al potere, affiancò al podestà e al consiglio del comune un proprio magistrato chiamato Capitano del Popolo, che era a sua volta capo del Consiglio del Popolo. Si formarono presto all’interno del potere del Popolo gruppi egemoni di notai e banchieri che limitarono la libertà d’azione delle arti minori. In tutte le città furono create liste generali di appartenenza “qualificata” alla città: si censirono i residenti e i contribuenti con una valutazione reale della ricchezza individuale. Grazie a quest’azione, si pagavano le tasse in base alla propria ricchezza reale andando ad intaccare quindi i patrimoni più ricchi. Si elaborarono anche gli estimi, delle liste di appartenenti ai consigli e alle società territoriali con lo scopo di controllare le condizioni individuali dei cittadini. La giustizia divenne più severa, concedendo ai giudici poteri speciali per scoprire e punire le infrazioni contro l’ordine pubblico e attuando provvedimenti contro le speculazioni economiche dei grandi proprietari. Anche le pretese sul contado si modificarono, dividendo il territorio per zone amministrative al cui interno vennero a loro volta suddivise in aree minori e affidate ad un vicario responsabile della condotta dei cittadini. I castelli, inoltre, vennero controllati da contingenti militari di provenienza urbana. Promosse le liste del contado con la quota di grano che dovevano assicurare alla città oltre alle tasse da pagare per i singoli villaggi in base ad un conteggio degli abitanti. Dopo le guerre con Federico Barbarossa e suo nipote Federico II, le famiglie e le città si contrapposero in guelfi (alleati del papa) e ghibellini (alleati dell’imperatore), in una scelta di fazione spesso personale e non per vera fedeltà ad una delle due parti. In molte città le Parti divennero un’istituzione con propri consigli e podestà, influenzando la vita politica dei centri urbani, mentre il Popolo cercava di combattere la violenza tra le due fazioni. A fine Duecento vennero emanate anche delle leggi antimagnatizie, appunto contro i “magnati” ovvero i potenti e i ricchi che si opponevano al comune e ai quali fu vietato di assumere cariche politiche e condannati a più gravi pene per reati violenti e nei casi estremi banditi dalla città. In molte città, il progetto del Popolo finì precocemente e il potere fu assunto da personalità di prestigio spesso provenienti da famiglie nobiliari, un signore. CAPITOLO 13: La crisi della Chiesa Sotto la guida autoritaria di Innocenzo III, fu approvata e resa ordinaria la procedura inquisitoria contro i chierici, sottomettendo tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica al potere di inchiesta del papa; fu poi stabilito l’obbligo di scrittura degli atti giudiziari e il divieto di intervento dei chierici alle ordalie (le violente prove del fuoco o dell’acqua usate per affermare una verità). I fedeli inoltre erano chiamati a confessarsi almeno una volta all’anno come anche ricevere l’eucarestia a Pasqua. Nel corso del Duecento, le tensioni generate dai contrasti tra il papa e i vescovi diede vita alla corrente politica del conciliarismo, che affermava la superiorità del concilio sul papa. Il diritto della Chiesa fu poi profondamente rinnovato, ponendo come base le decretali (lettere pontificie) che furono raccolte nelle Cinque compilazioni. Venne poi redatto il Liber Extra, un codice unico voluto da Gregorio IX, che risultò in una serie di regole che disciplinavano tutte le materie del diritto canonico secondo le decisioni dei diversi pontefici. Vennero perfezionati due strumenti di governo: i peccati riservati al giudizio del papa e il potere di concedere una dispensa, l’esonero da una legge particolare del diritto canonico. Fu istituito anche l’ufficio della Penitenziaria, nella quale si raccoglievano le cause provenienti da tutte le diocesi europee e spesso affidata ad un esponente degli ordini mendicanti.  Gli ordini mendicanti Presero forma due movimenti religiosi, fondati dai predicatori Domenico di Caleruega e Francesco d’Assisi. Proponevano un modello di vita vicino alla povertà del vangelo, mirando alla rinuncia dei beni, al lavoro e alla carità. I due ordini vennero inseriti nel corpo istituzionale della Chiesa, ai quali venne inoltre affidata l’Inquisizione contro l’eresia e che si sovrappose alla normale giustizia vescovile. Tale esercizio prevedeva riconoscere i sospettati e interrogarli fino ad ottenere una confessione e la decisione del colpevole di pentirsi oppure no: compito dell’Inquisizione era infatti il recupero dei fedeli e non lo sterminio di essi. Innocenzo IV nella bolla Ad extirpandia [1252], acconsentiva alla pena di morte agli eretici oltre alla torture. All’inizio del Trecento vi fu la formazione di un nucleo di rigoristi della povertà chiamati spirituali, che rendeva incerta la posizione della Chiesa in quanto grande detentrice di beni materiali. Il papato reagì designandoli come eretici nel 1139. L’ordine dei minori francescani e dei predicatori domenicani, vennero inseriti nei quadri istituzionali non solo ecclesiastici, ma anche universitari e regi ponendosi in aperta concorrenza con il clero ordinario. A loro vantaggio, gli ordini mendicanti comunicavano con i fedeli in volgare e la semplificazione dei quesiti teologici, trasmettendo modelli positivi integrando una serie di valori nei diversi centri urbani. Vennero redatti dagli ordini oltre ai manuali di predicazione, anche i manuali di confessione, classificando i casi e valutandoli con attenta analisi.  Eretici e fedeli Il riconosciuto capo ghibellino Ezzelino da Romano instaurò un dominio di estrema violenza, offrendo alla Chiesa un modello di “tiranno eretico”: Ezzelino, infatti, si poneva come nemico della Chiesa e protettore degli eretici e venne indetta contro di lui una crociata. L’eresia era diventata ormai un reato politico, permettendo così anche l’intromissione dei re cristiani europei. Ai fedeli veniva chiesto di seguire un tipo di vita vicino a quello di stampo monastico e molte associazioni laicali erano state così approvate dalla Chiesa: le confraternite. Si specializzarono nella carità pubblica o conservarono un’impronta penitenziale più marcata, come il caso dei flagellanti, che si facevano del male fisico nell’intento di salvare la città dai peccati. Scoppiò poi il conflitto tra papa Bonifacio VIII e il re Filippo IV il Bello, il quale impose al clero francese una tassa in occasione della guerra oltre a mettere sotto processo un vescovo. Due gesti che intaccavano i poteri ritenuti esclusivamente ecclesiastici: il papa minacciò il re di scomunica e riaffermò nella bolla Unam Sanctam il potere assoluto del papa su tutti i principi laici. Filippo a sua volta, accusò Bonifacio di essere stato eletto illegalmente dopo che il suo predecessore Celestino V presentò le dimissioni. Il re inviò in Italia il suo cancelliere [1303], che fece prigioniero il papa ad Anagni, costringendolo a non pubblicare la bolla. Un mese dopo, Bonifacio morì e si aprì un processo contro di lui, con accuse da parte di Filippo di qualsiasi perversione, che mirava a denigrare la curia pontificia. Filippo si scagliò anche contro i templari, i quali bloccavano al sovrano di prendere soldi dal tesoro regio da loro custodito e controllato: il re decise di distruggere l’ordine per appropriarsi del denaro. Entrambi i processi portarono alla cattività avignonese, che vide lo spostamento della curia papale ad Avignone dal 1309 fino 1377. Il ritorno del papa in Italia nel 1378 vide l’elezione del nuovo papa Urbano VI che fu però contestata dai cardinali francesi, i quali scelsero come proprio papa Clemente VII insediato ad Avignone. Ciò provocò una divisione in Europa, tra chi sosteneva il papa romano e chi quello avignonese, mettendo in discussione l’intero apparato pontificio. Nel concilio di Basilea [1431] si elaborò una teoria che prevedeva la tenuta periodica e l’inserimento dell’assemblea dei vescovi all’interno della Chiesa. Un movimento che si affievolì e perse di significato quando il papa Martino V riaffermò la supremazia papale di Roma. CAPITOLO 14: Lo spazio politico dei regni europei Le monarchie sopravvissero a dispetto dei re, che si reinventarono anche grazie alla loro debolezza, alla possibilità di rimodellare velocemente i sistemi di governo in caso di necessità.  FRANCIA Sotto Luigi IX, il regno di Francia si era esteso fino a comprendere le regioni meridionali della Linguadoca, rivendicando anche il potere legislativo del re. I tre regni rimasero strettamente collegati tra di loro, sia sul piano dinastico che politico: vantavano istituzioni rappresentative molto forti e sottoposti ad una nobiltà intenzionata a difendere l’idea di un regno policentrico. Al sovrano veniva riconosciuto solo un formale coordinamento della politica sovralocale. In Boemia, in seguito alla predicazione del ritorno alla vita evangelica del sacerdote riformatore Jan Hus, il regno si divise: da una parte, la Dieta e la città di Praga sostennero la riforma hussita, mentre la Moravia vi si oppose scatenando così una guerra civile senza re. Nel 1436 Sigismondo di Boemia riconobbe la Chiesa hussita riformando l’unità del regno, ora con due tipi di confessioni diverse. In Ungheria, dopo la morte del re Mattia Corvino [1459-1490], i nobili decisero di unirsi al regno di Boemia governato da Ladislao II Jagellone, che garantì loro ampie autonomie locali.  STATO OTTOMANO Nato da uno dei numerosi emirati presenti nella penisola anatolica, lo Stato Ottomano riuscì a conquistare appunto l’Anatolia, le regioni bizantine della Tracia e l’Europa sudorientale. Tale stato si staccò quindi dall’Oriente musulmano pur conservando la fede islamica, che sfruttarono come guida della propria azione politica. Stanziati vicino Bisanzio, gli ottomani si spinsero fino alla Macedonia, poi Bulgaria e Albania, fino ad appropriarsi di una porzione del regno d’Ungheria. Il sultano Maometto II riuscì a sottomettere Bisanzio nel 1453 portando a compimento l’unificazione religiosa e politica dell’intera regione. La dominazione ottomana rappresentò un nemico per i regni cristiani occidentali, dando inizio ad una serie di “crociate” fallimentari.  ITALIA Si denota un quadro piuttosto frammentato, facilmente distinguibili tre aree politico-territoriali: o STATI REGIONALI PRINCIPESCHI: ducato di Savoia, Stato dei Visconti, Stato dei duca d’Este e lo Stato della Chiesa; o REGIMI REPUBBLICANI: Venezia, Firenze e Genova; o REGNI MERIDIONALI: Sicilia e Napoli (poi uniti sotto la corona aragonese). Ancora presenti i piccoli Stati incentrati su singole città, portando alla prima generazione di “signorie” cittadine in quanto dominazioni personali, che dovevano però essere legittimate dall’esterno. Le pretese dei singoli signori però risultano poco fondate e il giurista Bartolo da Sassoferrato affermò che il conferimento di tale potere era valido solo se volontariamente approvato dalle assemblee cittadine. Definì spesso i signori come tiranni, che costringevano i membri del consiglio a sostenere la propria ascesa politica. Si prospettò per le diverse dominazioni territoriali la costruzione di Stati regionali propri, processo che comportò l’acquisizione di città e territori che patteggiarono col signore modi e forme dell’entrata nel dominio. Venne messa in atto la costruzione di una burocrazia centrale, il tutto promosso da azioni di stampo culturale, armonizzando gli organi della fiscalità e del diritto. Il gesto fondamentale per preservare un governo stabile fu assicurare un rapporto diretto tra il centro e le singole comunità del dominio grazie alla presenza di magistrati scelti. Ci furono comunque dei casi in cui diverse comunità chiedevano autonomia rispetto al dominio centrale, mentre altre cercavano di sottomettere i signori locali allo Stato tramite un’investitura formale.  Regni meridionali Nel 1282 in Sicilia vi fu una rivolta da parte della popolazione di Palermo, evento che verrà ricordato come Vespri siciliani, i quali si opponevano al governo degli angioini. Il re d’Aragona approfittò dell’occasione per appropriarsi del territorio, nel quale promosse una politica di valorizzazione delle realtà locali, baroni e città. Le diverse concessioni di poteri ai baroni però intaccarono nel Trecento il re che, in una fase di crisi dinastica e politica, portò ad un governo condiviso tra quattro vicari. Ciò favorì la nascita di centri di potere autonomo che non riconoscevano il re. Nel regno di Napoli, dopo la morte della regina Giovanna I d’Angiò, nel 1381 la corona fu contesa tra il ramo famigliare di Provenza e quello dei Durazzo di Ungheria. Cominciò una guerra dinastica che vide la fine con la vittoria del re aragonese Alfonso V il Magnanimo nel 1442, il quale unì il regno sotto il suo dominio, ottenendo il controllo dell’intero bacino mediterraneo (Barcellona, le Baleari, Sardegna, Sicilia e Napoli). Il re promosse una fiscalità diretta, con la redazione di catasti per censire le proprietà dei sudditi e tassarli in proporzione ai propri beni, oltre ad aumentare le entrate indirette e formare un esercito permanente. Vennero compresi nell’amministrazione del regno i baroni e la nobiltà urbana. Alfonso confermò poi a molti feudatari del regno diversi privilegi giuridici e fiscali e fu così che il principe Orsini di Taranto riuscì a costruire un esteso dominio regionale che comprendeva gran parte della Puglia e della Basilicata, puntando ad una piena autonomia. Ottenne nel 1462 dal re Ferrante d’Aragona il privilegio di non prestare omaggio feudale al sovrano ma, alla morte del principe l’anno successivo, il re invase e distrusse il dominio tarantino.  Stati repubblicani Firenze, oltre le diverse congiure e i cambi di regime, riuscì a rimanere repubblica fino al XV secolo, quando l’élite rivendicò una forma di governo oligarchica escludendo dalla vita politica il resto del popolo. Venne istituito il monte delle prestanze, atto a stabilizzare il debito pubblico del comune tramite prestiti volontari richiesti ai cittadini ma il comune decise di non restituire più il capitale offerto, solo gli interessi in rate annuali. I cittadini accettarono il patto e iniziarono a comprare delle cedole del debito pubblico, e il comune diede il consenso di venderle quasi fosse denaro cartaceo. Questo metodo portò grandi ricchezza allo Stato, che permise l’espansione della Toscana. I sistemi istituzionali di Venezia, dopo la costruzione di vasti domini coloniali commerciali, riconobbero la necessità di stabilizzare il governo con un capo supremo e venne eletto a vita il doge, contornato da consigli che bilanciassero i poteri all’interno dell’aristocrazia urbana. Dal 1297, il Maggior Consiglio inserì in elenchi fissi le famiglie nobili che potevano avere accesso al governo, dando origine ad un’oligarchia chiusa. Violente competizioni si accesero tra il ducato milanese dei Visconti e Firenze, Venezia e lo Stato della Chiesa: si raggiunse la quiete con la pace di Lodi nel 1454 tra Milano e Venezia, garantita dalla Lega Italica formata dai maggiori Stati italiani. Fu da questo momento che la dimensione della penisola italiana interessò i grandi regni europei, con l’invasione dei re francesi fino al 1499 e l’inserimento del ducato milanese degli Sforza nel regno di Francia e poi in quello di Spagna. CAPITOLO 15: Nuovi assetti sociali del Basso Medioevo Il regno ormai è da intendere come una forma di governo contenitore dei diversi gruppi sociali e istituzionali: un blocco unico che venne associata all’immagine metaforica del corpo, a cui “capo” vi è appunto il re e con i suoi “organi” collegati e controllati. S’intese quindi un concetto più astratto del regno, che rappresentasse l’istituzione separata dal sovrano come persona. Emerse così la nozione di Corona, una personificazione del regno investita di beni e diritti pubblici inalienabili. Il re era chiamato ad amministrare tale patrimonio, e a controllare il popolo che apparteneva allo stesso paese sotto quella specifica corona per nascita. La natio vista come legame comune e naturale, come il governo del re sul dominio che poi avrebbe trasferito ai propri eredi. Le pretese di re stranieri venivano viste infatti come usurpazioni contro natura, le quali venivano prontamente attaccate. Vi era anche un aspetto religioso della figura regia, interpretandola sotto la scelta divina e quindi come il destinatario naturale e perpetuo eletto al governo del regno. Si diffusero anche immagini a sfondo sacro del sovrano, al quale venne attribuito il carattere di misericordioso e amorevole nei confronti dei propri sudditi, aggettivi che si riversavano poi nel concreto nelle prassi giuridiche. La figura del re venne sostenuta dalle assemblee, non elette dal popolo e spesso formate da baroni ed ecclesiastici, o erano comunque pochi i rappresentanti delle città quando venivano chiamati. Nel corso del XIV e XV secolo vennero però riunite occasionalmente, denotando una perdita di prestigio rispetto al crescente potere regio. Di fatto, i re avevano reintegrato ormai alla fine del Quattrocento i beni della corona, visto il numero ridotto delle guerre e quindi le richieste di aiuto ai sudditi, fra cui anche le tassazioni, le quali non venivano più messe in discussione se non il valore dell’importo. In più, erano gli stessi nobili a non interessarsi più a partecipare agli affari di stato in quanto, privilegiati, non avevano nulla da contestare. Il re si presentava comunque come una figura che per convenienza o necessità stringeva patti con l’aristocrazia del regno, che prevedevano scambi in cambio del voto al raggiungimento della carica.  CRISI NELLE CAMPAGNE Una serie di carestie tra il 1315 e il 1322, le conseguenze della guerra dei Cent’anni e la peste del 1348, causarono una grave crisi sul territorio europeo impoverendo i cittadini a causa delle tasse che venivano riscosse in base ad un numero fisso di abitanti senza tener conto degli abbandoni o delle persone defunte. I rapporti agrari in Europa si basavano su forme contrattuali di affitto a lungo termine, il livello e l’enfiteusi, valido dai dieci a ventinove anni, rinnovabili ogni tre generazioni o perpetue. Il permesso di usare una terra non propria definì in alcuni casi un’ascesi sociale per i contadini: i prodotti in eccesso venivano venduti nei mercati locali e alla crescente domanda delle città risposero le grandi aziende agrarie. Il quasi monopolio degli affitti a lungo termine si frantumò dando luce invece a contratti a breve termine, favorendo una maggiore mobilità di contadini sulla terra ma anche una più presente precarietà dei rapporti di lavoro. In Italia in particolare, si formò la mezzadria: un contratto a breve termine che consisteva nella equa divisione dei prodotti tra proprietario e contadino: la famiglia diventava l’unità produttiva della terra ed era obbligatorio risiedere nella casa interna al podere. Nell’Europa occidentale vi fu comunque un abbandono della conduzione diretta della terra a favore di contratti parziari e i signori vivevano così delle rendite di alcuni contadini sotto contratto. Vennero abbandonate anche le zone più lontane delle città, non solo perché meno fertili ma anche perché i contratti a breve termini portarono alla nascita di un bracciantato stagionale nelle campagne costantemente in movimento e senza terra.
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