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Riassunto marazzini, Appunti di Linguistica

Riassunto marazzini dal capitolo X

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 11/02/2019

mmcasasco
mmcasasco 🇮🇹

4.1

(36)

25 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto marazzini e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! MARAZZINI LINGUISTICA B CAPITOLO 10: SEICENTO IL VOCABOLARIO DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA: La crusca è una associazione privata, contò sulle sue forze senza sostegno pubblico. Italia divisa in tanti stati diversi, quindi poco adatta alla ad assoggettarsi ad un’unica autorità normativa, suscitarono polemiche sull’Accademia; restituisce a Firenze il primato della lingua (Salviati), costringendo tutti i colti a fare i conti con il primato della lingua fiorentino; nel 1591: si indirizza alla lessicografia = discussero sul modo di fare il Vocabolario dividendosi gli spogli da compiere, mettendo a punto un procedimento razionale di schedatura; Salviati aveva già accennato all’idea di un vocabolario della lingua toscana; da Salviati l’Accademia riprende il canone degli autori spogliati per il Vocabolario, riprende la caratteristica di impostazione secondo il quale gli autori minori erano giudicati degni, per meriti di lingua, di stare affianco ai grandi della letteratura, per lui i problemi del “contenuto” si ponevano su un piano diverso da quello della forma; Al momento della realizzazione del Vocabolario Salviati era già morto; dopo di lui non ci fu nessuna figura di spicco, anzi la maggior parte degli accademici erano dei veri e propri dilettanti: questo “dilettantismo” del gruppo non è messo in evidenza come un fatto negativo, anzi accresce il merito, portando alla luce il risultato raggiunto, il loro lavoro fu condotto con coerenza metodologica e un rigore che andavano al di là di tutti i precedenti. Spoglio avviato nel 1591; problema del finanziamento: la Crusca alla fine del ‘500 non era in una situazione favorevole, e ciò costrinse gli accademici a autofinanziarsi, visto che non c’era nessuno che si accollasse le spese (situazione italiana sfavorevole perché la frammentazione politico-amministrativa frazionava il mercato, paura di non riuscire a venderlo). Questo comportò ad una loro sostanziale libertà da parte delle autorità, almeno fino alla seconda metà del Seicento. L’autofinanziamento per il vocabolario giustifica appieno la loro tendenza a realizzare l’opera come una sorta impresa commerciale, stando attenti a rientrare nelle spese. Si spiega anche con natura economica di far stampare l’opera a Venezia e non Firenze. Bastiano de’ Rossi, incaricato di controllare da vicino il procedere della stampa e provvedere alle ultime correzioni; incaricato inoltre di stendere la lettera dedicatoria da premettere al Vocabolario, ma anche in questo caso era tenuto a mandarla all’Accademia, per avere un suo appoggio. 1612 = pubblicazione Vocabolario degli Accademici della Crusca, presso la tipografia di Giovanni Alberti. Riportava sul frontespizio l’immagine del frullone, strumento per separare la farina dalla crusca. • Impostazione del Vocabolario legata all’insegnamento di Salviati, opera realizzata dopo la sua morte. • Vocabolario non ispirato a ortodossi criteri bembiani. • Gli Accademici avevano cercato di evidenziare la continuità della lingua toscana contemporanea e l’antica trecentesca (secondo i principi di Salviati). • - il Vocabolario presentava termini e forme dialettali fiorentine (assempro, esempio). I lemmi identici si moltiplicavano per la presenza di varianti proprie della lingua antica non ancora normalizzata (Befania, Epifania). • Grafia: si colloca sulla linea della innovazione: si distacca dalle convenzione ispirate al latino (h etimologiche e nessi -ct). Vengono seguiti i principi esposti da Salviati negli Avvertimenti. • Coerenza e omogeneità di applicazione nelle scelte ortografiche • Carattere arcaizzante (notevole è l’esclusione di Tasso). • Assunse un prestigio sovra-regionale Il Tesauro, anche se non era in linea con il fiorentinismo cruscante diede vita ad una serie di indicazioni per sfruttare appieno la potenzialità della Crusca, facendo un uso anche della tavola lessicale latino-italiana di cui il Vocabolario era corredato. Il lessico latino poteva servire da guida per la ricerca del lessico italiano. L’OPPOSIZIONE ALLA CRUSCA: Paolo Beni: l’opposizione al Vocabolario si manifestò fin dal 1612. Il primo avversario dell’Accademia di Firenze fu Paolo Beni, professore umanista dell’università di Padova, autore di Anticrusca, gran parte rimase inedita fino al nostro secolo = venivano contrapposti al canone di Salviati gli scrittori del Cinquecento, in particolare Tasso, escluso dagli spogli del Vocabolario. Secondo lui la lingua italiana esisteva come patrimonio comune, secondo i dettami della teoria cortigiana. Questo patrimonio comune si estendeva oltre all’italiano scritto, interessando anche il parlato: affermava che le pronunce della Campania, dell’Umbria, delle Marche, di Roma potevano essere messe a confronto con quella di Firenze. La maggior parte della polemica è dedicata contro la lingua di Boccaccio, indicandone le irregolarità e gli elementi plebei. Partiva da un giudizio negativo nei confronti della letteratura del ‘300. Alessandro Tassoni: appronta un elenco di osservazioni utilizzate dagli accademici per la seconda edizione del Vocabolario nel 1623. La sua polemica contro la Crusca si caratterizza per una sostanziale asimmetricità, affidata ad una serie di postille al Vocabolario, nelle edizioni del 1612. Dalla prima serie di appunti crea Incognito da Modana contro ad alcune voci del Vocabolario della Crusca; La sua opposizione non si articola in una trattazione ordinata, si tratta di una serie di note e postille polemiche, le quali sembrano anticipare per il loro radicalismo alcuni argomenti anti-fiorentini consueti negli interventi degli Illuministi nel XVIII. Il pensiero di Tassoni esprime la protesta contro la dittatura fiorentina sulla lingua, infatti proponeva di adottare nel vocabolario espedienti grafici per contrassegnare le voci antiche e le voci da evitare. Improponibilità dell’arcaismo linguistico, è ostile a ogni culto della tradizione che ostacoli la modernità e la semplicità della comunicazione. Tassoni guarda in alternativa a Firenze, a Roma, non si tratta solo di un collegamento alla teoria cortigiana, ma entra anche la sua esperienza personale, lunghissima permanenza a Roma e per il rifiuto di ritornare nella provincia modenese. Quindi ricorre nelle sue prime annotazioni il riferimento all’uso linguistico di Roma. Coerentemente alla sua posizione antibembiana e antiarcaizzante, Tassoni nel poema La secchia rapita non manca ad utilizzare voci e frasi di vari dialetti centro-settentrionali, secondo una forma di gioco linguistico che si addice del resto allo stile comico; Daniello Bartoli: gesuita, scrittore di prosa, autore dell’opera grammaticale il torto e il diritto del Non si può, pubblicata nel 1655. Non si tratta di una polemica diretta e violenta nei confronti del Vocabolario, né nei confronti del metodo seguito dall’Accademia, egli riesaminando i testi del ‘300 sui quale si fonda il canone di Salviati, dimostra che proprio lì ci siano oscillazioni da far dubitare della perfetta coerenza di quel canone grammaticale. Non segue uno schema schematico, ma la sua opera grammaticale è costituita da una serie di osservazioni eterogenee, e in queste osservazioni si trovano riferimenti critici al Vocabolario (la Crusca registra solo carcere al maschile, ma la carcera femminile no, eppure è attestata in autori fiorentini). Usa una pungente ironia, nella quale si rivelano doti di uno scrittore satirico inaugurando un gusto per la polemica linguistica destinata ad avere seguito. Il titolo il torto e il diritto del Non si può mette a fuoco la questione: il grammatico deve usare con cautela il suo diritto di condanna e di veto. La sua opera principale è Istoria della compagnia di Gesù, descrive i quadri geografici esotici in cui si erano svolte le attività missionarie dei gesuiti. Le edizioni del 1623-1691 del Vocabolario: • prima edizione nel 1612, • seconda 1623, aggiunte e correzioni, • terza edizione stampata a Firenze nel 1691 = tre tomi invece che uno, aumento del materiale, sia nella quantità dei lemmi sia negli esempi che nella definizione delle voci, cambiamento qualitativo sensibile. I lavori durarono per 30 anni, furono decisivi Carlo Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi, Lorenzo Magalotti. 3 la lingua toscana, nella sua naturalezza è essenziale per questo stile disinvolto che si avvale di sinonimi, in funzione espressiva; si sfiora anche il gioco verbale; il termine popolare è utilizzato di fianco a quello colto; Gusto per la denominazione d’uso, per la freschezza della lingua parlata, che arriva fino all’impiego del francesismo corrente: Esperienze intorno alla generazione degli insetti, utilizza il colore dorè . IL MELODRAMMA: genere tra le forme di teatro e di poesia, nato tra Cinque e Seicento, destinato ad un grande successo nel XVII secolo; permette di affrontare la questione tra parola e musica, questione posta nel Rinascimento nell’ambito della riflessione sulla tragedia greca. Il Melodramma fu un tentativo di ricreare la tragedia antica, che si immagina fosse stata eseguita dai greci con l’accompagnamento del canto. Il rapporto tra poesia e musica era già documentato fin dal medioevo, molte poesie di Dante erano destinate ad essere cantate; nel rinascimento è presente la forma del madrigale; Tasso scrisse versi impiegati per la musica, anche alcuni componimenti di Petrarca = il canto fu un ulteriore canale di diffusione di modelli della prosa letteraria italiana. Il melodramma ebbe origine dalla riflessione teorica della fiorentina Camerata dei Bardi; il rapporto tra parola e melodia fu affrontato in maniera più sistematica e profonda nel Dialogo della musica antica del 1581 di Vincenzo Galilei. Nell’ambiente della Camerata del Conte Bardi prevaleva la convinzione che l’antica tragedia greca fosse stata al suo tempo interamente cantata. Il teatro del ‘500 per contro, fino a quel momento, era stato recitato, non cantato, e la musica era utilizzata negli intermezzi. Nel programma della Camerata l’ampliamento dello spazio riservato al canto e alla musica doveva misurarsi con la capacità narrativa del testo. Il problema fu risolto dal Peri e dal Caccini nella partitura dell’Euridice. La nascita del melodramma avvenne nel 1600 con la rappresentazione dell’Euridice in occasione delle nozze di Maria de’ Medici. Il melodramma si caratterizza come uno spettacolo di élite, perché richiedeva allestimenti complessi e dispendiosi = influenza linguistica della corte. Il linguaggio poetico del melodramma si inserisce nella linea della lirica petrarchesca, rivisitata attraverso la memoria di Tasso, in particolare dell’Aminta. Si riconoscono citazioni e riprese, semplicemente variate le forme metriche; Nei versi di Euridice di Rinuccini, si riconoscono topoi, ripresa del lessico, ben noti alla poesia lirica e epica di Tasso (uso delle reduplicazioni, concatenazioni, giochi di opposizione). IL LINGUAGGIO POETICO BAROCCO: Elementi innovativi: Con Marino e Marinismo, le innovazioni si fanno ancora più accentuate che nel Tasso; il catalogo degli oggetti poetici si allarga, ma gli autori si muovo nel solco di convenzioni in parte rispettate: schemi metrici, cadenze metriche sono ancora quelle petrarchesche; ampia scelta nel settore del lessico, estensione e rinnovamento tematico, che comporta ad un rinnovamento lessicale; la poesia barocca utilizza una varietà di animali, di insetti, utilizzando gli stessi strumenti della scienza, sfruttando le più aggiornate ricerche zoologiche per attingere un nuovo lessico. L’Adone del Marino: ci sono nell’Adone alcune famose ottave in lo scrittore introduce l’anatomia del corpo umano, adoperando termini anatomici all’interno della descrizione (nervi, cristallo, cristallino), lessico tratto dalla terminologia dei trattati di ; altre ottave utilizzano la descrizione della luna fatta da Galileo = ribadisce la disponibilità della letteratura verso le scoperte della scienza. • Lessico, tematica e oggetti emblematici del mondo scientifico • Nella descrizione dell’occhio utilizza termini come nervi, cristallo, cristallino, termini tratti dalla terminologia dei trattati di ottica e anatomia. Questo lessico viene poi utilizzato nel contesto del tradizionale linguaggio poetico nobile = si crea una miscela tra vecchio e nuovo tipico della poesia didascalica; Adone è un poema, ma anomalo. • Inserimento di forestierismi e di parole provenienti dalla tradizione comica (elementi satirici provenienti dal Morgante del Pulci). • Parole nuove: tavolini, gabinetti • Entra l’attualità: cannocchiale, le lodi di Galileo • Utilizzo di cultismi, grecismi, latinismi, tecnicismi anatomia, della chiromanzia, dello scherma, dell’equitazione • Parole composte o derivate (lingueggiare) e inventate; Varietà di situazioni poetiche e di metafore: lo stile di Petrarca era caratterizzato dalla ricchezza delle similitudini, quello dei poeti barocchi è uno stile ricco di metafore, di figure retoriche come il bisticcio e la paronomasia; figura della bella donna: è ritratta in sembianze inusuali, assolutamente non petrarchesche, e nemmeno tassiane; lascia spazio a fantasie erotico-sadiche; l’immagine della donna si deforma o si caratterizza attraverso imperfezioni (donna brutta, nana, balbuziente, con gli occhiali), invocando mestieri realistici (la lavandaia, la monaca). IL CANNOCCHIALE ARISTOTELICO DI TESAURO: trattato più significativo per intendere la poetica del Barocco: molte parti di questo libro toccano problemi di natura linguistica: polemica contro il dogmatismo grammaticale, e contro l’autorità pedantesca; si traduce in una concezione della lingua intesa come qualcosa di libero, destinato a mutare nel corso del tempo, le parole nascono crescono e muoiono e ciò avviene per ragioni nobili e efficaci. Secondo lui lo scrittore è libero di sottrarsi alle convenzioni grammaticali, è legittima la violazione della norma, purché sia fatta consciamente. Pure i “barbarismi” utilizzati con abilità diventano eleganti; elogio alla imprevedibilità, all’originalità, alla libertà = discordanti con idee tradizionaliste della crusca, infatti questo stile non era accettato a Firenze. La sua polemica contro gli arcaismi lessicali ritorna anche in dell’arte delle lettere missive, un trattatello epistolare. Afferma che la maturità linguistica è iniziata nel XVI secolo e non nel ‘300: la lingua moderna risulta migliore di quella antica; in Cannocchiale Aristotelico si discute alla luce delle idee aristoteliche, su quale fosse la figura retorica più caratterizzante della poesia barocca: la metafora, considerata il fulcro dell’attività poetica, frutto di un ingegno distinto dalla semplice capacità razionale dell’uomo; l’ingegno non è razionalità, l’ingegno corrisponde alla follia. SVILUPPO LETTERARIO DELLA PREDICAZIONE RELIGIOSA NEL SEC. XVII La predicazione barocca: • Forte uso di esclamazioni • Presenza di interrogazioni, di invocazioni, di chiuse a effetto, di elencazioni • Negli accumuli lessicali si instaurano giochi di rima, allitterazioni, assonanze, anafore Panigarola: • tensione verso la metafora e la ridondanza lessicale, spesso in forma di climax o di gioco verbale; • enumerazione o accumulo di parole, che non sempre esprimono una sorta di accozzamento di elementi, ma che spesso distinguono invece un ordine; 3 LE REAZIONI ALLA POETICA DEL BAROCCO: Con la fondazione dell’arcadia, a Roma nel 1960, si ebbe una reazione alle concezioni poetiche del Barocco in nome di un rinnovato classicismo e in nome della razionalità della poesia; si sviluppa una concezione negativa sul gusto del barocco, giudizio costantemente ripetuto dagli Illuministi nel ‘700. La reazione antibarocca si ebbe prima in Francia che in Italia: maturò una posizione che condannava la letteratura nel nostro paese e quella della Spagna. Secondo il francese Bouhours solo ai francesi poteva essere riconosciuta l’effettiva capacità di parlare, di contro gli italiani sospiravano, e gli spagnoli declamavano; la sua condanna coinvolgeva l’evoluzione letteraria italiana, così come si era realizzata da Tasso a Marino, fino a Tesauro, in quanto teorico delle argutezze e delle metafora da cui si formava l’irrazionale linguaggio. Emergeva per la prima volta la questione legata al problema del “genio delle lingue”, dibattuto nel ‘700 = le degenerazioni del gusto letterario italiano venivano dunque riconosciute come intrinseche alla natura della nostra lingua. La risposta italiana alle tesi di Bouhours tardò, questo dimostra la debolezza della cultura italiana. LA LETTERATURA DIALETTALE: La letteratura dialettale riflessa: letteratura dialettale cosciente di essere tale. • Napoli: Giulio Cesare Cortese = Vaiasseide “poema delle serve” • Roma: romanesco smeridionalizzato, dai suoi tratti di matrice meridionale: Le stravaganze d’amore di Cristoforo Castelletti; • Teatro, autori dialettali come Giambattista tana, piemontese; • Il dialetto si inserisce in travestimento comico o parodico nei grandi poemi, come la Gerusalemme liberata scritta in veneziano, bolognese e napoletana; Toscanità popolare e dialettale: rappresenta una forma di dialettalità anche la manifestazione marcata del gusto per la lingua toscana viva e popolare. CAPITOLO 11: SETTECENTO ITALIANO E FRANCESE NEL QUADRO EUROPEO: Prestigio e ruolo delle lingue d’Europa: il confronto di Bouhours era tra il francese da una parte e l’italiano e lo spagnolo dall’altro, le uniche 3 lingue che potevano ambire a un primato internazionale. L’italiano era la lingua di corte a Vienna, e quindi non era necessario saper parlare tedesco; anche a Parigi l’italiano era conosciuto, tipico di una buona educazione aristotelica, anche se sapere il francese era necessario, come era necessario saperlo in tutta Italia. Il francese aveva assunto una posizione che lo rendeva l’erede dell’antico universalismo latino, secondo Bouhours: utilizzato da Goldoni, da autori dell’Italia settentrionale per appunti privati, per lettere ad amici e parenti, circolazione a Venezia di testi scritti in francese = Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, stampe in francese e non in italiano. La penetrazione del francese avveniva non solo attraverso l’alta cultura, ma era una moda che investiva aspetti del costume e della vita comune. Il francese lingua-modello: Nel 1784 l’Accademia di Berlino premiò il saggio De l’universalité de la langue française di Rivarol, il quale riprendeva il tema secondo cui il francese poteva rappresentare il latino nei tempi moderni; egli pretendeva di attribuire il successo internazionale del francese non solo a ragioni storiche, ma a ragioni collegate ad un virtù strutturale, lingua della chiarezza, della logica, della comunicazione razionale, contrapposta all’italiano, lingua caratterizzata da inversioni sintattiche. L’italiano era la lingua dolce e poetica, ma scarsamente razionale. L’ordine naturale degli elementi della frase veniva identificato nella sequenza S. V. O, caratteristica della lineare sintassi francese, reputata lo specchio del pensiero, diversamente l’italiano è caratterizzato da una criterio di selettività letteraria permettendo di arrivare a parole anche di uso regionale = procedere per scelta. Compilazione di un vocabolario: realizzato mediante due forme., una edizione ampia e una ridotta. Avvio di una serie di traduzioni di autori stranieri. Invita Firenze a farsi guida culturale dell’Italia, con il consenso di altre regioni, appello inascoltato. LE RIFORME SCOLASTICHE E GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE Gli ideali di divulgazione del sapere: nacque il pensiero che anche la conoscenza della lingua italiana dovesse entrare come bagaglio fondamentale per assumere un ruolo nella società produttiva, pure il popolano doveva saper scrivere e parlare italiano. Scuola ed educazione linguistica di Matarrese 1993 dedicata alla storia linguistica del ‘700: una delle caratteristiche dell’Illuminismo riformatore è l’organizzazione razionale di una scuola più efficiente. È in questo secolo che l’italiano entra per davvero nella scuola, in forma ufficiale. Prima il volgare veniva insegnato nelle parrocchie, o pressi ordini religiosi = da adesso sono le organizzazione statali a far sì che l’insegnamento non sia più svolto solamente in riferimento alla lingua latina = svolta determinata da una nuova sensibilità per i temi di divulgazione e della diffusione della cultura nei ceti medi, anche se non proprio tra il popolo; nascita del dibattito sulla necessità di far giungere ovunque il sapere, ribellioni anti pedantesche e antiaccademiche; • protagonisti: intellettuali, studiosi che si dedicano a diverse branche del sapere. = fanno sentire la loro voce indicando le varie riforme per la via per il progresso, anche se la situazione italiana rimane difficile, per la mancanza di uno stato unitario nazionale. Quindi la situazione delle riforme scolastiche italiane è diversa, da stato a stato. Riforme scolastiche nel Piemonte: Vittorio Amedeo II di Savoia emana dei provvedimenti per la riforma dell’università. • L’intellettuale Scipione Maffei suggerisce l’introduzione di un insegnamento di “lettere toscane”, questo suggerimento non fu messo in atto, perché era più attuale la questione dell’introduzione dell’insegnamento della grammatica latina mediante manuali scritti in italiano = nel 1729 i Regolamenti scolastici introducono questa novità, precisando le difficoltà dei giovani piemontesi dell’uso delle doppie. • Divenne obbligatorio nella scuola superiore di élite lo studio dell’italiano, lezione posta solo una volta a settimana, il sabato. • Nel 1374 venne istituita a Torino una cattedra universitaria di “eloquenza italiana e greco”, scuola in cui si leggevano i modelli di prosa nobili e antichi, Boccaccio e Della Casa; • 1772: emanate nuove costituzioni nella scuola, la posizione dell’italiano si faceva più solida = instaurata una classe iniziale propedeutica per fornire i rudimenti della lingua italiana • Diffondersi di una manualistica adatta agli allievi • Sviluppo dell’insegnamento graduale e dosato, sempre in un contesto finalizzato allo studio del latino Modena, Napoli, Parma: Modena: 1772: primi anni di corso l’uso di soli libri italiani, non latini; riforme anche a Napoli e Parma dopo la cacciata dei Gesuiti. La polemica contro il latino: polemica contro il latino, accusato di essere il freno del progresso; si insisteva sul fatto che ai giovani delle classi medie e popolari serviva una cultura più legata alle esigenze dei commerci e delle attività pratiche; nella polemica contro il latino si delineava l’idea di un insegnamento differenziato per chi non fosse destinato a procedere gli studi, quindi idea di istituzionalizzare due canali finalizzati a diversi obbiettivi: da una parte la formazione della classe di intellettuali colto (con il latino) e 3 dall’altra parte la formazione di artigiani e commercianti con una buona preparazione culturale, moderna e italiana. Il lombardo-Veneto: avviate riforme nelle scuole, grazie alla politica scolastica di Maria Teresa d’Austria. Ideata a Berlino e giunta in italia attraverso l’Austria = nuovo metodo scolastico, “normale” applicato dapprima a Rovereto, in cui prendeva forma l’unità della “classe” concepita come un gruppo a cui venivano impartiti insegnamenti in vista di obbiettivi didattici unitari. Padre Soave pubblica una serie di manuali per l’insegnamento dell’italiano. Rilancio della scuola primaria tenendo presente l’esperienza di Rovereto. 1783, pubblicato a Rovereto un ABD ovvero il libretto de’ nomi, rimaneggiato e modificato da Soave per realizzare un nuovo Abbecedario, per consentire un percorso graduale che andava dalla lettera alla sillaba, alla parola, alla frase, al testo in prosa, al testo in versi; secondo Soave il dialetto poteva essere utilizzato come via di accesso alla lingua italiano; l’obbiettivo era comunque la conoscenza dell’italiano finito, cioè il toscano, o meglio se non il toscano dei toscani, quella lingua imparata attraverso gli strumenti libreschi, e attraverso la voce di insegnanti lombardi. Dalla riforma austriaca nasce l’idea di una scuola comunale, con il compito di insegnare a leggere e scrivere. Scuola istituita a partire dall’800 negli stati dell’Italia settentrionale. Questa scuola si collega alla pedagogia popolare del romanticismo; LINGUA DI CONVERSAZIONE E SCRITTURE POPOLARI: una lingua d’occasione: l’uso della lingua italiana continuò ad essere un fatto di élite; il toscano era pur sempre una lingua d’occasione, adatta alle situazioni ufficiali, ai libri, ma poco adatta alle situazioni famigliari, alla conversazione, alla divulgazione. Lo spazio comunicativo famigliare era occupato dai dialetti, e quando non bastava si utilizzava la lingua descritta da Beretti, una lingua arbitraria, senza un prototipo. Linguaggio itinerario e parlar finito: la testimonianza di Baretti va d’accordo con quella di Foscolo, il quale parla di linguaggio mercantile e itinerario, linguaggio usato dai mercanti, i quali erano abituati a muoversi nelle varie regioni italiane: Foscolo osserva che l’uso di una lingua non dialettale avrebbe portato dei rischi di incomprensione nella propria patria; Manzoni parla di parlar finto, lingua ritenuta elegante che consisteva nell’usare le parole che si supponevano italiane, e nell’aggiungere finali italiane alle parole dialettali terminanti per consonante. La lingua italiana come affermava Baretti, si prestava poco alla conversazione “naturale”, perché era scritta ma poco parlata; solo i Toscani erano in una posizione di vantaggio, perché nella loro regione scritto e parlato coincidevano. Nelle campagne del settentrione e del meridione si parla di regola il dialetto, non solo i popolani, ma anche nobili e borghesi, solo per eccezione la lingua di conversazione è l’italiano venato di dialetto. Nelle occasioni solenni predomina l’italiano, cioè una lingua letteraria, di registro alto. Dialetto illustre italianizzato: presenza del dialetto nei tribunali veneti, le arringhe si fanno in veneto illustre, o in un italiano misto di veneto; passaggio dall’uno all’altro codice, articoli e preposizioni venete (el, de), sonorizzazioni settentrionali, esito veneto di Ljod latino (meggio), raddoppiamento della G. Scritture popolari: presenza nel ‘700 di scritture popolari, di semicolti, nelle quali si osserva un uso difettoso della lingua scritta, ma conosciuta. Questa situazione comunicativa dà luogo a interferenze del codice dialettale con quello dell’italiano. Alcuni esempi di italiano popolare del ‘700 sono di genere epistolare, presenti nella sezione antologica del volume di Matarrese oppure in annunci commerciali, sulle gazzette. LINGUAGGIO TEATRALE E DEL MELODRAMMA L’opera in musica: successo dell’italiano nell’opera per musica, successo che contribuisce a fissare lo stereotipo dell’italiano come lingua della dolcezza, della cantabilità, della poesia, dell’istinto, del piacere, in contrapposizione al francese, lingua della razionalità e della chiarezza. L’italiano entrava in crisi quando era necessario utilizzare tecnicismi, e ciò accadeva quando si affrontavano questioni di economia, di scienze, tecnicismi artistici, come quelli dell’arte del melodramma; Martello nel saggio Della tragedia antica e moderna del 1714, afferma di aver utilizzare per trattare di musica alcune parole che sono in commercio, ma che non si trovano nel vocabolario, chiedendo perdono agli Accademici. Il giudizio sul linguaggio del melodramma portava all’estero una valutazione positiva delle opere italiane; la più famosa è la Serva padrona di Pergolesi, rappresentata a Napoli nel 1733, linguaggio semplice, nuovo, perfettamente comprensibile. Successo enorme all’estero, tanto che lo stile musicale italiano trovò paladini del calibro di Voltaire, Diderot, Rousseau. Il linguaggio dell’opera influenzò anche l’italiano imparato da alcuni stranieri, Voltaire scrive lettere in cui entra un lessico drammatico e aulico. L’italiano era diffuso già diffuso nei paesi tedeschi, ed ebbe successo con il trionfo dell’opera italiana a Vienna, con Metastasio. Anche Mozart conosceva l’italiano, adoperandolo in forme vivaci, e curiose, verso il famigliare, il popolare e il giocoso; GOLDONI: Non esistendo una lingua vera comune in Italia adatta alla conversazione, un autore teatrale volendo simulare il parlato senza imparare la lingua toscana viva era costretto a ricorrere al dialetto, oppure ad impiegare una lingua mista, in cui rientrassero tutte le componenti del parlato. Goldoni invece scrive opere in dialetto, in italiano, in francese (essendosi trasferito a Parigi). Il suo francese è stato giudicato come una lingua formalmente imperfetta, ma assai vivace e adatta alla scena. Non ambì mai ad essere un teorico dei problemi linguistici del teatro, e dedicò a questo tema poco spazio. • L’uso del dialetto richiede qualche temperamento in occasione della trasposizione scritta, a stampa, delle commedie. • Presenza del dialetto veneziano, ma corredato in modo da far comprendere anche ai non veneti, quindi vengono utilizzati elementi tipici di un italiano settentrionale. • Con il dialetto era perfettamente in grado di rendere qualunque ambiente sociale, da quello popolare a quello borghese • Caratteristiche dell’italiano di Goldoni: mancando un vero italiano nella conversazione, l’italiano di Goldoni è una sorta di “fantasma scenico con la vivacità del parlato, il quale si alimenta all’uso scritto non letterario accogliendo venetismi, regionalismi, lombardismi, francesismi, accanto a modi colloquiali toscani e stilizzazioni auliche di lingua romanzesca e melodrammatica. • Oscillazione tra dialetto e lingua, si alternano all’interno di una stessa battuta = tipico del parlato, con il risultato di realismo e naturalezza, oltre che facilitazione nel lettore non veneto. • L’italiano teatrale di Goldoni è vero, assolutamente estraneo a preoccupazioni di purezza; • Si presentava non come un teorico della lingua, e nemmeno come un accademico, ma come un poeta comico che scriveva per essere inteso in Toscana, in Lombardia, a Venezia, servendosi del linguaggio comune, rispetto all’universale italiano. • Arcaismo: tutto il mondo, presente nel ‘300 e rivitalizzato nel ‘700 dal francese tout le mond • Lingua elegante, ma viva • Innovativa sul piano della sintassi di tipo paratattico, giustappositivo, asindetico, in cui affiorano caratteri propri del parlato e del registro informale, come le ridondanze pronominali, dislocazione a sinistra con anticipazione del pronome; IL LINGUAGGIO POETICO: l’ARCADIA: 1960 fondazione a Roma dell’Arcadia, movimento diffuso in tutto il centro italia. Lingua sostanzialmente tradizione, ispirata al modello petrarchesco, intesa a liberarsi degli eccessi della poesia barocca, allontanandosi dal gusto per l’anormale e per lo straordinario che aveva caratterizzato il ‘600. Pur sempre presenza di metafore. 3 • Settembrini, lontano dal pensiero Purista, ma giustificava l’esistenza del Purismo come una embrionale forma di sentimento nazionale, manifestatasi nel momento in cui gli italiani non avevano una patria, ma solo la lingua teneva il luogo di patria e di tutto. • De Sanctis in La Giovinezza ricorda i contenuti della scuola di Puoti, ricordando che la base della scuola era la buona e ordinata lettura di trecentisti e cinquecentisti. • Carlo Botta, pienamente solidale a Cesari, autore di Storia della guerra della indipendenza degli Stati Uniti d’America, lingua piena di arcaismi che cozza con il contenuto moderno. • Luigi Angeloni, purista fanatico, animato da atteggiamento politici libertari, e tribuno della Repubblica romana nel 17798-99. La fedeltà del Purismo in queste figure, rendono problematico accettare l’interpretazione del Purismo stesso come ideologia perfettamente corrispondente a un ideale reazionario, liberticida, e austriacante. Fortuna del Purismo anche dopo l’unità d’Italia = in alcune scuola c’era la presenza delle idee di Puoti e di Cesari. LA PROPOSTA DI MONTI E LE REAZIONI ANTIPURISTICHE: Lo scrittore Vincenzo Monti si pone contro alle esagerazioni del Purismo; fin dal 1813, dimostra di non sopportare Cesari definendolo grammuffastronzolo di Verona, epiteto ricavato dalle giunte stesse del Cesari alla Crusca. Rinfaccia Cesari non aver ampliato il Vocabolario della Crusca, ma di aver solo aggiunto quelle forme ripudiate dagli accademici; la sua critica arrivò a colpire lo stesso Vocabolario della Crusca, così com’era stato realizzato. Le sue polemiche linguistiche sono all’interno della serie Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, opera considerata fondamentale nel dibattito sulla questione della lingua, e come tappa nella storia della lessicografia italiana, perché gran parte era costituita dalla ricerca di errori compiuti dai vocabolaristi fiorentini, errori dovuti alla loro scarsa preparazione filologica. Era un’opera di equipe, in cui entravano parti diverse, storico-linguistiche (affidate a Perticari) e teorie lessicografiche; Parallelo del Vocabolario della Crusca con quello della lingua inglese compilato da Samuele Johnson e quello dell’Accademia spagnola di Giuseppe Grassi: confermava la tesi generale della Proposta, in cui il Vocabolario della Crusca era inadeguato. Monti si allacciava alle tesi di Cesarotti, al suo Saggio sulla filosofia delle lingue; Ludovico di Breme, attivo nel gruppo romantico milanese, appoggia le tesi montiane contro il Purismo, e contro il Vocabolario della Crusca, anche se le loro posizioni sono differenti. Tra i romantici milanesi circola una scritto di Stendhal Des périls de la langue italienne (I pericoli della lingua italiana), ispirato al sensismo e alle teoria di Condillac, scritto che condannava il Purismo, mettendo a fuoco la situazione linguistica dell’Italia, paese caratterizzato dai dialetti e dall’artificiosità della lingua letteraria: “appena gli scrittori si staccano dalle espressioni dialettale, scrivono in una lingua morta”. LA SOLUZIONE MANZONIANA ALLA “QUESTIONE DELLA LINGUA” Gli scritti editi e inediti di Manzoni sulla lingua italiana: tra i romantici milanesi dibattito sul fatto che l’italiano sia in tutto o in parte, una lingua morta, una lingua imparata dai libri, utilizzata nella letteratura e nelle occasioni ufficiali, valida per il piano “nobile” della comunicazione, ma inadatta nei rapporti quotidiani e famigliari, nei quali era più facile utilizzare il dialetto o una lingua straniera come il francese. Manzoni, di fronte a questa situazione, l’affronto con determinazione e le sue idee maturate nei Promessi Sposi influirono profondamente, collaborando a mutare la situazione dell’italiano, rendendo la nostra lingua più viva e meno letteraria, offrendo un modello di letterarietà diverso da quello tradizionale. La scoperta del fiorentino vivo: Manzoni affronta la questione della lingua a partire delle sue personali esigenze di romanziere. Si occupa del problema della prosa italiana fin dal 1821, con la stesura di Fermo e Lucia, redazione iniziale dei Promessi Sposi (il linguaggio poetico non era oggetto di discussione). • In questa prima fase viene definita “eclettica”, perché cercava di raggiungere uno stile duttile e moderno mediante il ricorso di vari elementi, utilizzando il linguaggio letterario, ma senza vincolarsi ad esso come i Puristi, anzi accettando francesismi, e milanesismi, e applicando la regola della analogia. Nel Fermo e Lucia il toscano affiora come termine di confronto. • La seconda fase chiamata toscano-milanese, corrisponde alla stesura dei Promessi Sposi per l’edizione del 1825-27. Cerca di utilizzare una lingua toscana, ma ottenuta per via libresca, attraverso vocabolari e spogli lessicali, secondo un metodo documentato dalle postille alla copia in suo possesso del Vocabolario della Crusca nell’edizione veronese di Cesari. Molte di queste postille mostrano il fastidio dello scrittore, che dopo aver consultato testi e vocabolario non era ancora in grado di sapere con certezza se le forme linguistiche che lo interessavano fossero vive o ormai obsolete = contradittorio polemico con il suo vocabolario • Matura un diverso concetto di uso legato alla vita della parola in una vera comunità di parlanti • Nel 1840-42 nuova edizione dei Promessi Sposi, corretta per adeguarla all’idea di una lingua d’uso, resa scorrevole, piana, purificata da latinismi, dialettismi ed espressioni letteraria arcaiche; • Era un linguaggio fiorentino dell’uso colto, senza eccessi di affettazione locale; • Nel 1847 in una lettera al lessicografico Giacinto Carena, afferma la propria posizione definitiva sul fatto che la lingua di Firenze completasse la sua opera di unificazione, già in gran parte realizzata sulla base della lingua viva letteraria toscana. La “Relazione” del 1868: rese pubbliche in una “Relazione” al ministro Broglio le ragioni per le quali gli pareva che il fiorentino dovesse essere diffuso attraverso una capillare politica linguistica, messa in atto nella scuola, ad opera degli insegnanti e proposta in forma di generalizzata educazione popolare. Proponeva anche la realizzazione di un nuovo vocabolario della lingua italiana concepito su basi nuove, affiancato da vocabolari bilingui, capaci di suggerire le parole toscane corrispondenti a quelle proprie delle varie parlate d’Italia. Era la prima volta che la questione della lingua si collegasse ad una questione sociale, finalizzata all’organizzazione della scuola e della cultura del nuovo regno d’Italia. Ultima fase che coincide con una viva polemica: Intellettuali come Tommaseo e Lambruschini presero le distanze da Manzoni, sollevando dubbi sul primato assoluto dell’uso vivo di Firenze. In questo dibattito si fronteggiarono e si riproposero tutte le posizioni della questione della lingua, da quelle più conservatrici e quelle più aperte e progressiste; Influenza della teoria manzoniana: il modello manzoniano, ispirato all’uso vivo, diventò subito qualcosa che poteva essere imparato attraverso l’imitazione di un modello scritto, un modello che sembrava aver la capacità di liberare la prosa italiana dall’impaccio della retorica. Questo modello era un antidoto ai difetti messi in evidenzia dal manzoniano Ruggero Bonghi nel saggio Perché la letteratura italiana non sia popolare in italia = riprendeva molti temi che erano stati propri anche della trattatistica settecentesca, con l’affermazione della inferiorità dell’italiano rispetto al francese nel campo delle letture piacevoli e divulgative; analizza lo stile di grandi scrittori italiani, da Boccaccio a Macchiavelli, e individua i difetti di costruzione che rendevano faticosa la lettura. In alternativa proponeva uno stile piano, adatto ad una piacevole conversazione, senza classicismi. L’esempio di Manzoni favorì la prassi della risciacquatura in Arno, il soggiorno culturale a Firenze allo scopo di acquisire famigliarità con la lingua parlata in quella città. I manzoniani divennero una piccola schiera, pronta a combattere una battaglia sul fronte dell’educazione scolastica: De Amicis pubblica Idioma Gentile, divulgatore abile nel trasformare l’astratta teoria in una serie di aneddoti, di esempi e di esercizi pratici. L’unico freno alla teoria manzoniana nel mondo della scuola è Carducci, avversario del popolanesimo toscaneggiante. 3 Alcune idee-guida della linguistica manzoniana negli scritti postumi: Della lingua italiana = incompiuto trattato che permette di confrontare il pensiero di Manzoni non solo con i suoi avversari ma anche con alcuni interlocutori rimasti in ombra; • Opposizione nei confronti del Purismo di Cesari, la naturalezza della lingua non poteva essere cercata in modelli scritti, in un corpus filologico eterogeneo e arcaico. • Avverso alle teorizzazioni dei classicisti, i quali affidavano le sorti della lingua alla responsabilità degli scrittori, e non al sovrano potere dell’uso. • La teoria dell’uso vivo di Firenze, e quindi la soluzione manzoniana alla questione della lingua aveva una speculazione filosofica, legata al pensiero materialistico del ‘700. Saggio Della lingua italiana gran parte dedicato a combattere le teorie di Condillac sull’origine del linguaggio: • Manzoni accettale tesi della lingua come dono divino, ribadendo piena fiducia nella narrazione della Bibbia; • nega l’esistenza di una società senza lingua, o di un uomo senza linguaggio; • rifiuta l’idea dell’origine del linguaggio dalle onomatopee e dalle interiezioni, perché ciò avrebbe implicato la nascita delle idee dalle sensazioni. • Non ricava niente dalla scienza linguistica comparativa • Resta legato ad una polemica contro la filosofia del ‘700, contro gli Idéologues • Elabora il principio dell’adeguatezza: una lingua viva basta a dire tutto quanto si dice attualmente nella società che si serve di quella lingua. La lingua può arricchirsi via via, deve essere concepita come un’interezza, al di là dell’uso individuale. • Le lingue sono mutabili = rifiuto del concetto di “legge”, contesta il valore ontologico delle categorie grammaticali; nella lingua valgono le eccezioni e le irregolarità. REALIZZAZIONI LESSICOGRAFICHE: Grandi dizionari della prima metà dell’Ottocento: • Nel’700: Vocabolario della Crusca • 1806-1811: rivisitazione del Vocabolario degli Accademici dal padre Antonio Cesari di Verona, capofila del Purismo, Crusca Veronese: ripropone il Vocabolario della Crusca con una serie di giunte, allo scopo di esplorare ancora più a fondo il repertorio della lingua antica del ‘300. • 1833-1842: Vocabolario della lingua italiana di Giuseppe Manuzi (Purista), nato da una revisione della Crusca, tendenza ad assestarsi nel passato. • 1816: Dizionario della lingua italiana in 6 volumi di Francesco Cardinali, Francesco Orioli e Paolo Costa, sempre riproposte della Crusca Opere con una certa monotonia, mancanza di originalità, per il tentativo di sommare l’esistente mediante un accumulo di “giunte”, aggiunte al vocabolario di base, quella della Crusca. La somma delle “giunte” avveniva in maniera meccanica, senza pensare ad una struttura nuova ed originale dell’opera lessicografica. Questa debolezza è verificabile anche nella forma grafica: i termini nuovi venivano contrassegnati con un asterisco; • 1829-1840, Società napoletana “Tramater” Vocabolario universale dell’italiano, sempre con base la Crusca, ma rivista in maniera sostanziale = taglio tendenzialmente enciclopedico, particolare attenzione alle voci tecniche, di scienze, lettere, arti e mestieri, simile all’iniziativa del Vocabolario Castellani ha provato a rifare nuovamente i conti, ponendo il problema dell’esistenza di una fascia geografica mediana (Marche, Lazio, Umbria) in cui la natura delle parlate locali è tale da far ritenere un grado di istruzione anche elementare sia sufficiente per arrivare al possesso dell’italiano; inoltre sostiene che quasi tutta la popolazione della Toscana va calcolato tra gli italofoni indipendentemente dal grado di istruzione raggiunto. Gli italofoni al momento dell’unità d’Italia erano circa il 10% della popolazione, quindi la situazione era un po’ migliore rispetto a quello che aveva calcolato De Mauro, ma non muta il problema generale, ossia che al momento dell’Unità solo una minoranza era in grado di parlare italiano, tutti gli altri erano confinati all’uso del dialetto; La scuola: con l’Unità la scuola divenne ovunque gratuita e obbligatoria, secondo la legge Casati del 1859. La legge Coppino del 1877 rese effettivo l’obbligo di frequenza, almeno per il primo biennio, punendo gli adempienti. De Mauro afferma che a causa delle condizioni arretrate del paese, queste scuole non furono efficaci, e almeno metà della popolazione infantile evadeva l’obbligo scolastico. Anche se era già un passo in avanti rispetto alle condizioni precedenti; l’ordinamento piemontese era tra i più avanzati dell’epoca. Le condizioni della scuola erano migliori in città, e peggiori nelle zone agricole. Anche se secondo alcune percentuali, la scuola non fu troppo al di sotto del suo compito e incise profondamente sulla realtà italiana, anche se in certe situazioni i maestri tenevano le lezioni in dialetto, essendo impacciati nell’uso della lingua. Nella scuola superiore c’erano diverse posizioni teoriche: insegnanti puristi, manzoniani, classicisti, i quali proponevano ai loro allievi modelli diversi di italiano. Giosuè Carducci si occupò della scuola, avverso ad ogni atteggiamento manzoniano filo-fiorentino, e ad ogni atteggiamento retrogrado dei cultori del ‘300; diede un parere su programmi e libri scolastici, progettando un percorso diverso da quello dei puristi e dei manzoniani, basandosi si un sentimento classico della lingua letteraria. Forte influenza il libro di De Amicis (Manzoniano) L’idioma gentile. Altre cause dell’unificazione linguistica: Le cause che hanno portato all’unificazione linguistica italiana dopo l’Unità sono state studiate da De Mauro: 1. Azione unificante della burocrazia e dell’esercito 2. Azione della stampa periodica e quotidiana 3. Effetti di fenomeni demografici (emigrazione): gli emigranti italiani erano in gran parte analfabeti e dialettofoni, e il loro allontanamento fece diminuire il numero di coloro che erano in condizioni più svantaggiare rispetto alla lingua e alla scuola; il migrante di ritorno fu un elemento di progresso, perché l’esperienza lontana gli aveva insegnato ad essere diverso apprezzando il valore dell’istruzione; 4. Aggregazione attorno a poli urbani (nascita di una moderna industrializzazione): l’industrializzazione fece crescere la popolazione di grandi città, attirando manodopera proveniente dalle zone rurali della medesima regione, e questo provoca un abbandono progressivo del dialetto d’origine. Il ruolo della Toscana e le teorie di Ascoli: Nel 1873 le idee manzoniane proposte alla soluzione della questione della lingua, vengono contestate dallo studioso Graziadio Isaia Ascoli, fondatore della linguistica e della dialettologia italiana. L’intervento di Ascoli pubblicato come Proemio nel primo fascicolo dell’Archivio Glottologico Italiano, nasceva dal titolo del Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze di Giorgini-Broglio, in cui era stato utilizzato nòvo ina maniera fiorentina moderna, con il monottongamento in -ò di -uo, contro nuovo, utilizzato nella lingua letteraria e comune. Ascoli escludeva che si potesse identificare l’italiano nel fiorentino vivente, affermando che era inutile e dannoso aspirare ad un’assoluta unità linguistica. L’unificazione linguistica non doveva essere un intervento pilotato, proponendo un unico e rigido modello, il linguaggio non poteva essere considerato come “una nuova manica da infilare” . L’unità linguistica sarebbe stata una conquista reale e duratura solo quando lo scambio culturale nella società italiana fosse stata fitto, e quando il paese fosse diventato moderno ed efficiente. 3 Contestava che si potesse applicare in Italia il modello centralistico francese, aspirazione di Manzoni; la Francia è sempre stata una nazione accentratrice, con ogni iniziativa e attività nella capitale. La situazione italiana, sembrava più simile a quella della Germania, tradizionalmente divisa in stati diversi, quindi l’Italia doveva essere considerato un paese policentrico, in cui le tradizioni delle diverse regioni dovevano diventare omogenee a poco a poco, attraverso un naturale livellamento. Individua alcuni mali della cultura italiana: • La mancanza di quadri intermedi che si ponessero a mezza strada tra i dotti e l’ignoranza delle masse • Cancro della retorica, malattia della nostra cultura iper-letteraria e formalista • Scarsamente disponibile alle conquiste della scienza moderna e al progresso Giudizio dei moderni, con rivalutazioni del pensiero di Ascoli: • Carlo Dionisotti dichiara il Proemio all’Archivio Glottologico uno dei capolavori assoluti della letteratura italiana, auspicando che diventasse patrimonio comune dei giovani avviati verso una qualche educazione letteraria; • Corrado Grassi ha ripubblicato il Proemio nel 1967, ne sono seguite altre integrali e antologiche; • Maria Corti parla di un valore “profetico” del Proemio • Altri affermavano una presunta “inerzia” e inefficacia pratica nella proposta di Ascoli: sembrava rimandare ogni intervento, lasciando le cose nello stato in cui erano. Marazzini è contro, dicendo che Ascoli non si opponeva agli interventi destinati a migliore la situazione culturale; • Ascoli è severo con la Toscana, la giudica una terra fertile di analfabeti, con una cultura stagnante, incapaci di guidare il progresso del nuovo stato italiano. Ascoli guardava a Roma, neo capitale del Regno = Castellani difende il ruolo di Firenze, insistendo sull’importanza del Manzonismo e di alcuni autori toscani per la diffusione di una prosa italiana media. Tra i canali di diffusione del toscano ci sono Collodi, De Amicis, Artusi con La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene; inoltre Castellani evidenza alcuni tratti tipici del fiorentino moderno assenti nella lingua letteraria, i quali sono entrati nella lingua comune (il monottongamento di uo dopo palatale, la prima persona dell’imperfetto indicativo in -o e in -a). IL LINGUAGGIO GIORNALISTICO: Il giornalismo dell’800 sotto l’influenza del francese, inglese e tedesco presenta una notevole apertura a innovazioni sia nel lessico che nella tecnica espositiva; nascono periodici che vogliono raggiungere un pubblico nuovo, i quali necessitano di un linguaggio più semplice rispetto a quello della tradizione letteraria; non è facile raggiungere questo obbiettivo, perché il giornale del primo ottocento, rimane ancora un prodotto di élite. Nella seconda metà del secolo, il giornalismo divenne un fenomeno di massa. • La sintassi giornalistica, coerentemente con la ricerca di un modello diverso da quello tradizione della letteratura, sviluppa una tendenza al periodare breve e spesso alla frase nominale. • La lingua è molto esposta al nuovo; neologismi, e forestierismi presenti nella lingua viva e parlata; lessico degli specialisti; • Compaiono termini come straripamento, attrezzatura • Compaiono termini sul nuovo mezzo di trasporto, la ferrovia (rotaie, scompartimenti) • Tra i forestierismi ci sono tecnicismi come batteria, battello a vapore • Il giornale è composto linguisticamente da parti diverse: la lingua della cronica è diversa da quella utilizzata negli articoli politici o letterari. LA PROSA LETTERARIA: Conservatorismo linguistico: nell’800 si fonda la moderna letteratura narrativa, legate a due svolte fondamentali, Manzoni e Verga. Manzoni rinnova il linguaggio non solo del romanzo, ma anche della saggistica, avvicinando lo scritto al parlato. La prosa letteraria del primo ottocento, prima dell’influenza manzoniana, era legata ai due modelli del passato, i puristi (imitazione di Boccaccio, uso di un fiorentino vivo, ma non intenso alla maniera di Manzoni, come un modello di parlato medio capace di rinnovare le strutture retoriche dell’italiano letterario, si vede piuttosto nel fiorentino l’erede degli scrittori antichi, atteggiamento che si traduceva in una prosa ricca di arcaismi e di viete movenze letterarie) e i classicisti (ispirazione alla tradizione del Rinascimento, no arcaismi medievale di sapore cruscante, prosa di autori come Monti e Leopardi Operette morali) Il modello manzoniano e la prassi correttoria dei Promessi Sposi: • Fermo e Lucia = stesura rimasta inedita, giudicata dall’autore un composto di voci non amalgamate, con lombardismi, francesismi, e anche latinismi • 1825-27: prima edizione “ventisettana” dei Promessi Sposi, indirizzata verso una lingua media e comune • lunga e meditata revisione, coerente con i principi teorici elaborati da Manzoni • 1827: compie un viaggio in Toscana, avvia la risciacquatura di panni in Arno, la correzione della lingua del suo capolavoro, che egli voleva perfettamente adeguato al fiorentino delle persone colte • 1840-42: edizione “quarantana” pubblicazione nuovo testo, accolto con giudizi contrastanti Differenze tra “ventisettana” e “quarantana”: • Eliminazione delle forme lombardo-milanesi, spesso coincidenti con forme toscane attestate nella letteratura. • Eliminazione di forme eleganti, pretenziose, auliche, arcaizzanti o letterarie rare, le quali vengono sostituite da forme comuni e usuali. • Assunzione di forme tipicamente fiorentine (monottongamento di -uo; uso di lui/lei e non egli/ella • Eliminazione di doppioni di forme e di voci, secondo un principio retorico eguaglianza/uguaglianza, quistione/questione L’uso manzoniano ha influenzato in certi casi decisamente il destino della lingua italiana. La posizione di Manzoni è centrale nella storia della prosa ottocentesca, soprattutto per l’influenza che esercitò su molti scrittori (Grossi, Cantù, d’Azeglio, Carcano, De Amicis). Altri modelli di prosa: Un altro uso del toscano, definito da Contini, come linea del “mistilinguismo”, anticipatori dell’espressionismo linguistico del ‘900 (Carlo Dossi, Giovanni Faldella, Vittorio Imbriani) = uso di forme linguistiche attinte a fonti diverse, toscano arcaico, toscano moderno, linguaggio comune e dialetto si mescolano. Verga, il dialetto e il rinnovamento della sintassi: in Verga nei Malavoglia si ha un modesto tasso di sicilianità linguistica, che si accompagna ad una utilizzazione sapiente dell’elemento locale, di fatto onnipresente. Verga non abusa del dialetto, non lo usa come macchia locale, come elemento confinato nel discorso diretto dei personaggi. Nei malavoglia Verga adatta la lingua italiana come ad un plausibile strumento di comunicazione per dei personaggi siciliani appartenenti al ceto popolare. • adotta parole siciliane note in tutta Italia • ricorre a innesti fraseologici pagare col violino (pagare a rate), proverbi che hanno una rispondenza nel dialetto che utilizza; 3 • Programmatica compressione dell’eloquenza AVANGUARDIA: in italia si identifica con il Futurismo, il quale attraverso i suoi manifesti teorici (Marinetti) fece un appello provocatorio di rinnovamento della forma: • Innovazione nell’uso di parole miste e immagini • Uso di caratteri tipografici di dimensione diverse per rendere l’intensità e volume fonico delle parole, con effetti paragonabili a quelli del collage • Abolizione della punteggiatura • Uso largo dell’onomatopea • Incise notevolmente sui modi del linguaggio poetico del primo Novecento, con la poetica del frammento, del balenio analogico, dell’autonomia del segno • Si impadronì del lessico delle automobili, dei motori, della guerra moderna, e meccanizzata; Prosa poetica, lingua media, mistilinguismo: le punte più innovative della prosa dannunziana si possono indicare nel Notturno, scritto durante un periodo di cecità da parte di D’Annunzio: • periodare breve e brevissimo, sintassi nominale, frequenti “a capo”, presenza di elementi fonici e ritmici nella frase di andamento lirico. • Distanza dal periodare ampio e magniloquente caratteristico della tradizione italiana • Si pone a chiusura di un ciclo storico e al tempo stesso inaugura nuove tendenze Pirandello: interessante riflesso del “parlato”: • Riproduzione dell’oralità verificabile nella presenza di interiezioni frequenti (ah si!), connettivi come o bella!, in una serie di elementi che con rapide opposizione, con relativizzazioni improvvise, rendono sfuggente la sostanza della comunicazione non più, ma.. sì forse. • stile opposte a quello di D’Annunzio, il quale fa rivivere un intero patrimonio di parole della tradizione; Pirandello invece sta attento e non uscire dai moduli della lingua d’ogni giorno • difende il dialetto come strumento letterario Italo svevo: rapporto difficile con la lingua italiana, determinato dalla sua provenienza da un’area periferica come Triste, con un esperienza lontana dalla tradizionale letteratura. Per questo motivo fu accusativo di scrivere male, e questo lo fece soffrire molto. La lingua in La coscienza di Zeno non risponde ai canoni puristici: • uso dell’ausiliare avere con i verbi servili • incertezze nei tempi verbali • formalità grammaticale in certi casi, con elementi con un lieve arcaismo • l’i prostetica • contiguità dei pronomi personali mi vi • uso anomalo del di è una lingua che non deve essere giudicata in base a modelli letterari delle tradizione, ma in base al contesto storico in cui è nata. • È una lingua imperfetta, strumento di una particolare visione del mondo, una analisi interiore. • La mancata adesione ai modello fu una forza, che favorì una diversità e una leggibilità del testo. Il dialetto: altro riferimento per gli scrittori, specialmente dopo Verga. Distinzione tra utilizzazione diretta e le varie miscele che sono possibili combinando dialetto e lingua. Nel novecento anche il toscano era considerato un dialetto. • Federigo Tozzi, inserisce senesismi ostiare “odiare”, ma ciò non gli impedisce di guardare anche altre direzioni, per esempio a D’Annunzio. • Carlo Emilio Gadda, uso diverso del dialetto, scrittore “mistilingui”. La linea di Gadda passa attraverso esperimenti della scapigliatura ottocentesca. Nei suoi romanzi si affollano vari elementi, e gli addendi più saporiti sono i vari dialetti: romanesco, molisano, veneto. il libro più fortunato di Gadda è Quer pasticciaccio brutto de via Merulana uscito nel 1946, e diventa volume nel 1957. Esempio, tratto dal Pasticciaccio = multilinguismo e pastiche gaddiano: attraverso un processo di straniamento, materiali eterogenei convergono con esiti espressionistici; • L’effetto di deformazione del parlato si attua attraverso l’uso del dialetto, introdotto con il romanesco. Ci si distacca di colpo con un linguaggio alto della retorica • Presenza stereotipi del linguaggio ufficiale, aulico-poetico, tecnicismi, esotismi, inserti di una lingua straniera, toscanismi Oratoria e prosa d’azione: l’oratoria del primo Novecento richiama il tema dei discorsi rivolti alle masse da Mussolini. Nonostante fossero trasmessi via radio e fossero filmati, il loro fascino stava nel rapporto diretto con la folla, secondo i dettami dell’oratoria tradizionale. Un altro modello che rappresenta le tendenze di un’oratoria letteraria e magniloquente e colta è D’Annunzio, dove i suoi discorsi rivelano una notevole abilità nella scelta di un periodare breve e incisivo, con riprese frequenti (incipit orazione del 14 maggio del 1915). Sono importanti anche i proclami e messaggi dannunziani, specialmente quelli in relazione con la questione della Dalmazia e di Fiume, in cui si rintracciano elementi di natura religiosa. Il modello d’annunziano influì sulla retorica del fascismo (presenza di elementi di natura religiosa), come anche altri ispiratori come Carducci. • Retorica del Fascismo e di Mussolini: • Abbondanza di metafore religiose, militari, equestri • Tecnicismo di sapore romano • Ossessione dei numeri • Oratoria come tecnica di persuasione di massa; • Si distingue rispetto ai modelli di retorica per un particolare tipo di dialogo con la folla, la quale risponde con l’ovazione collettiva (lunghi silenzi dell’oratore tra una frase e l’altra, colmata da una approvazione da parte dei fedeli). • Polemica affidata al suffisso, come vari termini messi in circolazione da Mussolini pennivoro, bracaiolo, stupidario; • Spazio allo slogan, all’esagerazione e al luogo comune • Continua lezione linguistica impartita al popolo, attraverso la radio, la scuola, la propaganda • Non c’è piena concordanza tra la retorica fascista e la retorica di sinistra, socialismo, da cui veniva Mussolini: • De Amicis (socialista): stile magniloquente • Turati: oratoria più controllata e razionale, colta e spiritosa, che non preme mai sull’emotività 3 • Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano, riteneva l’oratoria socialista una retorica vuota, proponendo uno stile lucido e razionale, che non si rivolgesse al popolo con un’altra lingua. Per lui era inaccettabile che ci fossero due lingue due stili diversi, uno per parlare ad operai, e contadini e uno per parlare agli altri. Voleva proporre anche alla classe popolare problemi e temi difficili, mirando all’educazione di aristocrazie operaie. Negli scritti di Gramsci non mancano artifici retorici, soprattutto di tipo sintattico (riprese, anafore). L’italiano della saggistica: verso l’uso medio La crescita nell’Italia unita di una struttura universitaria moderna comportò un’abbondante letteratura saggistica nei vari settori disciplinari, con circolazione del sapere fuori dall’accademia, anche in forma divulgativa. Manuali dell’editore Hoepli: ideò una serie di volumetti tascabili, finalizzata all’applicazione pratica del sapere, segno di una mentalità positivistica che si andava diffondendo. Dedicati alle diverse tecniche e discipline, dalla grammatica storica alla linguistica fino alla produzione moderna del vino e dell’olio. Anche dal punto di vista della lingua, gli Hoepli forniscono spunti per individuare la terminologia tecnico- scientifica che si stava diffondendo, e che spesso entrava nella lingua comune. Nella saggistica di tipo umanistico, la lingua era ormai in possesso della scuola storica, da Carducci in poi. L’ottocento si era chiuso con una sorta di bipolarità nel linguaggio saggistico-argomentativo: da un lato la tendenza aulico-arcaicizzante (Graziadio Isaia Ascoli) e dall’altro lato la tendenza eccessiva al parlato, evidente nei Manzoniani. Era POLITICA LINGUISTICA NELL’ITALIA FASCISTA Autarchia e xenofobia: il Fascismo ebbe una chiara politica linguistica: • polemica antidialettale • la repressione delle minorazione etniche ebbe conseguenze negative che si proiettarono sulla Repubblica; l’imposizione dell’italiano in Valle d’Aosta, accentuata durante il Fascismo, ebbe come effetto una reazione separatista, manifestatasi dopo la liberazione. In Alto Adige, si arriva ad una pesante politica etnica ai danni della minoranza tedescofona, si manifestarono nel dopoguerra ribellioni e atti di terrorismo. • battaglia contro i forestierismi in nome dell’autarchia culturale: fu un progressivo crescendo di iniziative, collegate ad atteggiamenti già manifestatisi tempo prima. 1. 1924-26 prese di posizioni di singoli individui riguardo alla posizione nei confronti dei forestierismi 2. 1930 soppressione nei film di scene parlate in lingua straniera 3. 1940 l’Accademia d’Italia, venne incaricata di esercitare una sorveglianza sulle parole forestiere, e di indicare delle alternative; una legge vieta l’uso di parole straniere nell’intestazione delle ditte, nelle attività professionali; 4. Vengono pubblicati vari elenchi di parole proscritte con indicazione dei relativi sostituti 5. Accettate però parole straniere uscenti in consonante; sport, tennis, film, tram 6. 1938: Campagna contro l’allocutivo lei e sostituirlo con il tu, considerato più romano, e con il voi, rivolgendosi ai superiori = campagna che non ebbe successi, perché il lei era ormai radicato nella lingua italiana, e il voi veniva utilizzato al meridione quindi era sentito come dialettale, e quindi evitato. I giornali: il quotidiano è il tramite fra l’uso colto e letterario dell’italiano e la lingua parlato, può essere assunto come un indice della lingua media; nel giornale ci sono una pluralità di sottocodici ( politico, burocratico, tecnico-scientifico) e di registri (aulico, parlato, informale, formale). • Forestierismi • Metafore iperboliche • Creazione di derivati • Luogo maggiore del linguaggio: titolo = lo slogan deve essere costruito per colpire il lettore, e nello stesso tempo deve fare economia di spazio • Frase nominale La pubblicità: i procedimenti linguistici che si trovano nei titoli di giornale ricordano le caratteristiche del linguaggio della pubblicità, basato sullo slogan, e sulla “trovata”. Attraverso questo canale si diffondono termini tecnici e forestierismi. Lo slogan pubblicitario deve colpire il lettore, suggestionarlo e convincerlo; • Marcato utilizzo dei superlativi -issimo, super, maxi, iper • duplice atteggiamento, davanti a questo a questo linguaggio: ammirazione per la capacità di sfruttare e accentuare con tecnica raffinata le possibilità espressive dell’italiano, e fastidio per la creazione di “parole-merce”, anemia della lingua; • formazione di composti o “parole macedonia” • formazione neologismi e giochi di parole • uso di sostantivi giustapposti, ad esempio determinato-determinante (profumo-donna) • uso della retorica ed espedienti simili al linguaggio poetico italiano “standard”, italiano dell’uso “medio” e cambiamento linguistico • italiano medio, ritrovato in Pasolini • italiano dell’uso medio, categoria diversa definita da Sabatini sulla base di una serie di fenomeni grammaticali, ricorrenti nell’italiano d’oggi, così come è parlato comunemente a livello non formale. Diverso dall’italiano standard, perché l’italiano dell’uso medio comune e colloquiale accoglie fenomeni del parlato, presenti magari da tempo nello scritto, me tenuti a freno dalla norma grammaticale, che ha sempre tentato di respingerli. L’italiano standard è un italiano ufficiale e astratto, l’italiano dell’uso medio rappresenta una realtà diffusa: caratteristiche: • lui/lei/loro utilizzati come soggetti • gli generalizzato con il valore di le/loro • diffusione delle forme sto/sta • ridondanza pronominale a me mi • ci attualizzante • dislocazione a destra o sinistra, con ripresa del pronome atono • imperfetto al posto del congiuntivo e condizionale nel periodo ipotetico dell’irrealtà • anacoluti • che polivalente, con valore temporale, causale, consecutivo 3 • cosa interrogativo al posto di che cosa (presente nei Promessi Sposi) è un italiano unitario a livello morfosintattico e lessicale, differenziato regionalmente; è essenzialmente parlato, è un fenomeno orale ma a volte viene scritto, in testi ad un livello di formalità medio-basso; Scuola e lingua selvaggia: 1962, introduzione della scuola media unica, uguale per tutti, con obbligo scolastico fino ai 14 anni, istituita al posto del doppio canale di formazione, ereditato dalla riforma scolastica di Giovanni Gentile, con la proposta della scuola media e un avviamento professionale in alternativa. A causa della forte incidenza sociale della scuola, diventa l’obbiettivo di interventi combattivi, di coloro che vedevano nelle forme tradizionali di insegnamento della lingua uno strumento di repressione di classe.
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