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Riassunto Maschere grottesche, Pietrantonio, Sintesi del corso di Letterature comparate

Riassunto del testo Maschere Grottesche, di Vanessa Pietrantonio, per il corso di letterature comparate

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 14/02/2023

matilde_tonelli
matilde_tonelli 🇮🇹

4.6

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Scarica Riassunto Maschere grottesche, Pietrantonio e più Sintesi del corso in PDF di Letterature comparate solo su Docsity! 1. L’eco della rivoluzione francese La rivoluzione francese sembra aver lasciato una traccia indebite nella cultura europea. La data precisa del crollo di ogni forma di ordine e legame sociale è stato tra il 14 e il 15 luglio del 1789, con la presa della Bastiglia: improvvisamente non c’era più governo, l’edificio della società umana crollava e si tornava allo stato di natura. Nel clima culturale dell’epoca sicuramente c’erano residui fantasmatici e immagini arcaiche di distruzione, ma in generale possiamo dire che la Rivoluzione francese parta da un sottosuolo archetipo dove il cannibalismo e l’incesto sono i capostipiti di una genealogia: si crea quindi un legame tra il sangue versato e la malattia, tra violenza e aberrazione. Tramite questa prospettiva una semplice sommossa popolare diviene teatro delle passioni, i cui eccessi portano all’alienazione mentale. Tra follia e rivolta non c’è più alcuna differenza. La paura e la fame mostrano il loro aspetto di crudeltà, e il mondo oscuro dei sotterranei diventa protagonista di nuovo. Di tutto questo possiamo tracciare l’eco di un immaginario che rimane anche negli anni seguenti. La corrosione del potere politico porta a un ritorno allo stato selvatico delle masse, che ora possiedono il potere legale e quindi una violenza senza controllo. 
 Dalla presa della Bastiglia in poi si diffondono forze distruttive che uccidono ogni possibile colpevole. La deposizione del potere o la sua carnevalizzazione trovano il proprio atto finale nello scoronamento del re tramite la ghigliottina, che profana il suo corpo sacro e fonda un nuovo regime politico, la Repubblica. Secondo la ricostruzione dei fratelli Goncourt questo avviene il 21 gennaio 1793, tramite un complesso rituale scenografico, una folla gremita che alterna gioia a lamenti, e il patibolo diventa quindi luogo di consacrazione e dissacrazione. La morte del re è un vero sacrificio iniziatico il cui senso religioso è confermato dal consenso tra rivoluzionari e realisti sul significato della faccenda. La ghigliottina è diventata una macchina mitologica impossibile da fermare, e il tabù del parricidio riprende la scena e genera una serie di immagini orrende. Il colpo che uccide il corpo riproduce lo choc della morte, e la testa viene esibita in pubblico. Da qui poi parte il ritorno di alcune superstizioni, dovute all’idea di fantasmi e all’odore del sangue infetto che infesta il luogo del patibolo. Il teatro della rivoluzione si popola di ombre, stretto, demoni di vario genere, suscitati dal piacere e dal rimorso del pubblico. Il Terrore sembra incarnato dalla Gorgone, figura ancestrale della contemporaneità, che prende possesso degli uomini. Il delitto è impossibile da cancellare, una volta compiuto, diceva Shakespeare. Nel 1829 Hugo pubblica l’ultimo giorno di un condannato, testo in cui compaiono per la prima volta molti nuclei tematici della sua produzione narrativa. Il trauma della rivoluzione prende corpo nell’agonia di un forzato anonimo, con la presenza della ghigliottina sempre alle spalle, come un doppio infernale che si maschera da altre forme. Il condannato è costantemente torturato. La ghigliottina è il significante dell’orrore da cui sorgono una serie di immagini spaventose e cruente che determinano la drammatizzazione del corpo. Perde il suo nome, diventa l’Innominabile. È necessario qui rievocare un episodio di infanzia di Hugo, quando nel 1808 vide in un viaggio in Italia degli impiccati banditi. È un gesto che ritorna spesso nell’opera futura. L’atto di nascita di questo libro però è la scena della decapitazione a cui assiste nel 1820. Per lui il condannato è un patient, qualcuno che soffre, la sua colpa viene superata dalla crudeltà dello spettacolo a cui il popolo partecipa con molta gioia. Ogni spettatore è quindi colpevole. Mentre si avvicina il momento della ghigliottina il condannato si fa sempre più straniato, e questo ci viene riferito tramite passaggi discontinui. Mette in scena l’esperienza dello choc. È un tono onirico che pervade ogni pagina del romanzo, compreso il fatto che non sappiamo esattamente chi sia il condannato. È anonimo, come tutti i nomi che vede nella sua cella durante una notte, quando illumina le pareti con la lampada e se ne rende conto. È esposto così a una replica della propria imminente sparizione. Questi segni ricordano le immagini oniriche e esercitano su di lui una specie di attrazione ipnotica. Improvvisamente vede una sagoma bianca: è la sagoma del patibolo, e questo genera in lui un tale horror che cade preda di una momentanea paralisi. È l’inizio di uno stato di alterazione mentale che lo porta alla febbre che è sintomo del delirio. Si riprende solo perché si sente un ragno (figura ricorrente in Hugo) sul piede nudo, contatto che avviene tramite la percezione del ventre freddo dell’anima (la parte che racchiude il lato bestiale dell’uomo). È importante dire che c’è un legame tra la morte del padre di Hugo e il momento in cui si mette a scrivere questo testo, ma soprattutto un intreccio tra parricidio e regicidio. La paura di essere divorati dallo guardo dell’Altro (patibolo, scena della ferratura dei forzati) è un’altra costante. La sensazione dell’annullamento di sé era comune in molti testi della narrativa romantica europea, ma Hugo ce la racconta tramite il grottesco. Per lui la spettacolarizzazione del dolore (considerato che vedere è un atto sacrilego), trova nella scena del bagno penale un momento perfetto. Gli spettatori possono essi stessi essere colpiti dal maleficio da un momento all’altro, e in questo il condannato trova conforto. Riguardo alla scena della ferratura dei forzati, è la degradazione impressa nei corpi dei dannati, e ben presto la barriera tra chi guarda e chi è guardato si spezza. La scena orribile è considerata una festa di famiglia in cui si parla l’argot, un gergo che è parlato dal sottosuolo dell’umanità ed è uno strumento irrinunciabile per mettere in luce le metamorfosi dell’orrore. È la lingua del corpo grottesco, e cambia sempre perché formato dall’odio. Il narratore resta l’unico sulla soglia, guardando questa scena in cui si crea una osmosi tra la parola e il corpo martoriato. Ben presto viene visto, viene messo al centro della pubblica piazza, e viene annientato dalla sensazione immaginaria della vicinanza. In conclusione, per Hugo il sogno è il veicolo privilegiato per esprimere la strana lingua della sofferenza, e raffigurare quell’atmosfera di orrore che riflette l’ombra della ghigliottina (per lui l’epicentro di ogni trasformazione). Il testo termina con la preparazione del patibolo in bilico su una scala che dà sul vuoto. esegue tramite l’intensificazione del colore o delle ombre. Lo spaiamento onirico può generare anche effetti inquietanti, come accade alla piccola Cosette quando i Thenardier la mandano a prendere l’acqua di notte e lei sviene per la paura. Non è illegittimo ritrovare l’eco delle lacerazioni della storia in questi fenomeni, come se fossero per sempre incisi nella retina. 3. Il deforme in scena Nella raffigurazione grottesca le diverse forme convergono e si integrano, modificandosi reciprocamente allo stesso tempo. L’artista si impadronisce della sostanza inerte e la scuote, e spesso riproduce la mostruosità naturale trasformandola in una maschera. Il deforme è quindi il nucleo originario dell’atto creativo che cattura il principio delle cose, quando ancora non hanno tratti precisi e definiti. Cristallizzare questo attimo è l’obiettivo dell’arte romantica, che avverte l’esigenza di stravolgere l’equilibrio professato dall’estetica classica, attribuendo un corpo all’informe. L’occhio di Hugo si immerge nel caos, registra la devastazione e si sofferma su come la tortura del corpo fatta dalla ghigliottina aveva fatto tornare il terrore del sepolcro in scena. Il caos diventa così una sorgente di creatività, mentre il divino finisce per contaminarsi con l’orrore. Nel 1827 Hugo pubblica la Prefazione a Cromwell, programma della scrittura romantica, un saggio in cui parla di quello che avrebbe scritto negli anni a venire (senza un ragionamento sistematico). Parte da una polemica contro il classicismo, dicendo che le sue regole devono ora piegarsi alla logica che permette di rappresentare il dramma moderno, ossia il grottesco. Per lui la prima scossa data al classicismo viene dall’avvento del cristianesimo, che ha gettato le basi per una diversa concezione estetica dell’arte. Con la rivoluzione francese poi si apre una sorta di risorta del grottesco. Per Hugo, è fondamentale la combinazione naturale del sublime e del grottesco, che ricodifica completamente i parametri della forma classica, ormai esaurita. Il grottesco impone la sua presenza fino a quasi oscurare il sublime. Tornerà su questi argomenti molti anni dopo nel suo libro su Shakespeare, e si dimostra di nuovo interessato a scrivere un libro sul grottesco nelle arti, con una genealogia del grottesco, isolando alcuni caratteri morfologici condivisi dai singoli autori presi in esame. Eschilo viene considerato colui che nel mondo antico anticipa Shakespeare (mentre in passato era molto criticato). La genesi dell’orrore endemico viene dall’origine ibrida di Eschilo, che pur essendo greco scrive con la dismisura orientale. Egli destabilizza l’idioma ufficiale, ibridandolo con dei giochi di parole che vengono dai popoli limitrofi. Questi scrittori osservano il mistero della vita usando il telescopio e il microscopio: l’unione genera una deformazione dello spazio, da cui non scartano nessuna immagine grottesca. Hugo parte da quelle immagini. La deformazione quindi congiura contro una rappresentazione sorvegliata delle passioni e tramite un accostamento inatteso blocca il visibile sulla soglia dell’indicibile: è il momento in cui linfomi traspare sulla superficie delle cose, sconvolge i profili stabiliti dalla percezione abituale. La condizione preliminare per cui la deformazione accada è l’uso indiscriminato dell’immaginazione. Quando i lineamenti del viso vengono sottratti alla loro consueta mobilità espressiva, o alterati da una maschera, l’uomo si trova solo. Di lui resta solo l’immagine dell’animalità. Agli albori dell’Ottocento questo diventa un tema molto discusso, e qui parleremo specificamente di L’uomo che ride, la storia di Gwynplaine, raccontata da Hugo nel romanzo. È un’opera in cui si manifesta il principio estetico di Hugo, e ogni parte contiene tracce sulla deformità. Ci sono molti difetti: esagerazione e inverosimiglianza dell’intreccio, poco convincente l’affresco storico. Per questi motivi il romanzo è rimasto a lungo nell’anonimato. Qui l’attrazione di una ragazza per il protagonista deforme diventa teatro di una grande degradazione carnale: lui abbagliato dalla bellezza di lei, lei dalla sua deformità, lui mostro fuori e lei dentro, nella stanza da letto la maschera è ancora profanata. Ogni elemento del romanzo è ripreso in posa mostruosa. Il viso del protagonista è la testimonianza delle modalità tramite cui prende corpo la dimensione fantasmatica della scrittura di Hugo. Il destino del protagonista è marchiato: farà sempre paura, ma anche genererà un riso folle in chi lo vede. Il suo ritratto è il prodotto di un cataclisma culturale e politico, che evoca i fantasmi della rivolta e dell’oppressione. La sua contrattura delle labbra ricorda il taglio della ghigliottina. In questo romanzo, il deforme come il mostruoso appartengono al demoniaco. La dissezione quindi diventa un rituale apotropaico. Anche gli edifici vengono decapitati, e Hugo scopre l’esistenza di un sottosuolo archeologico, dove ci sono le zone occulte. La visione onirica è lo scenario ideale per questa transizione. In Notre-Dame de Paris il reliquiario, emblema di una reclusione volontaria, è il luogo dove abita la madre di Esmeralda (quindi riproduce il grembo materno), dove si è ritirata per il dolore della figlia rapita. Lei è immobile, come una statua, senza reazione emotive, e tre donne che la spiano sono impietrite da questo letargo, che cessa solo quando vede il figlio di una delle tre donne. La faccenda peggiora quando Esmeralda non viene riconosciuta ma viene considerata un bersaglio di vendetta perché zingara, e solo l’ipotesi di avere un risarcimento dalla morte di Esmeralda la risveglia. Qui l’istinto materno è decisamente contraddittorio, e la madre casa dalla dimensione spettrale a quella animale (infatti morde il boia per aiutarla e poi muore). Poe scrive il ridicolo elevato al grottesco, il pauroso tinto di orrore, l’arguzia esasperata a burlesco. Questa è la vena grottesca di Poe: c’è un intreccio narrativo perfetto, e l’attrazione per l’abisso. Il suo ideale di bellezza è il risultato di qualche eccezione che sorpassa l’armonia prestabilita delle forme. Kayser riconosce nella Maschera della morte rossa una messa in scena perfetta del travestimento grottesco e una metamorfosi del carnevale. C’è la peste (la morte rossa) e il nostro protagonista, Prospero, porta tutti i suoi amici ricchi al sicuro in un castello (che già dall’arredamento capiamo che non va tutto bene) dove organizza un gran ballo, e si ritengono al sicuro (assomiglia un po’ a Rebecca). Celebra la dissoluzione di ogni principio che li legava alla vita comune. Suona continuamente un orologio che incombe sul sabba, e alla mezzanotte arriva una maschera strana, che li terrorizza: è la morte, che smaschera l’impossibile finzione di Prospero e fa vedere che niente può tenere lontano la. morte. L’orrore dell’informe è il tema dominante in Poe, e la perversità naturale che spinge l’uomo a fare cose terribili. Questo esalta Baudelaire, che riconosce nella malvagità naturale l’attrazione per l’abisso. Poe si spinge oltre, dicendo che l’omicida è sempre spinto a confessare la sua colpa, e questo accade in tutte le sue storie. In Il pozzo e il pendolo il congegno di morte si riappropria della dimensione mitica della falce del tempo, restituisce l’orrore della tortura del corpo. C’è uno stato sonnambulico già all’inizio del racconto, e il passaggio tra i vari stati psichici abolisce le soglie tra giorno e notte. 4. Ritrarre l’eccesso Nei margini di Parigi possiamo visitare il manicomio più attivo durante il XIX secolo in Francia, dove troviamo una rappresentazione della follia femminile e maschile. La follia è per prima cosa una costruzione edificata dalla cultura del tempo, e in questi anni si determina un legame tra la rappresentazione della patologia mentale e l’immagine grottesca. Il manicomio è uno spazio visivo dove il medico osserva le alterazioni psichiche dei malati, che sono mostrate dai loro corpi. Nasce una estetica della follia, che trova negli attributi stilistici della deformità il mezzo adatto per metterla in scena. La follia lascia segni, smorfie e un repertorio di maschere dove le espressioni corporee diventano il segno tangibile del male morale del malato. Il sogno, il sonnambulismo e il delirio diventano fenomeni percepibili. Rosenkranz dice che il disturbo psichico, così come il male, è brutto nello spirito ma anche esteriormente. Già la psichiatria aveva proposto di raffigurare l’anormalità, volendo produrre uno shock nel lettore. La letteratura e la scienza finiscono per sfidarsi a una trasposizione figurativa della follia tramite caricatura e iperbole, che diventa raffigurazione grottesca. Nasce un museo patologico vivente, dove si rintraccia la vita psichica governata da un programma preliminare di classificazione. L’alienista osserva i sintomi di una patologia invisibile che deve quindi oggettivarsi su un corpo. I ritratti diventano un archivio di maschere da cui si può controllare il disturbo psichico. Non interessa la storia del singolo paziente ma lo schema generale. Esquirol sostiene la necessità di ritrarre gli eccessi della follia in una forma costruita secondo i parametri della rappresentazione classica. Il suo progetto si avvia nel 1838 e dovrebbe essere uno strumento di esposizione della malattia ma anche avere valore predittivo. I ritratti pre e durante la crisi mostrano come le sembianze umane possano deturparsi per la malattia in una maschera dell’alienazione mentale. I segni delle passioni sono involontari, e vediamo come il soggetto venisse pensato duplice (come in Hugo) di una parte razionale e una no, con una divisione anche nella mappa corporea. C’è una vera fisiologia psicologica che rintraccia negli automatismi del corpo il focolaio di ogni forma di alienazione mentale.
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