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riassunto Michelangelo Buonarroti, Itinerario nell'arte 3 (versione gialla), Sintesi del corso di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche

PitturaMichelangelo BuonarrotiSculturaStoria dell'arte rinascimentale

riassunto di Michelangelo del libro itinerario nell'arte (pag. 398-426) il documento contiene la vita e la formazione, l'analisi di: la Pietà di S. Pietro, il David, la Madonna di Manchester, Tondo Doni, la Battaglia di Cascina, la tomba di Giulio II, la volta della Cappella Sistina, il Giudizio Universale, Sagrestia nuova, la Biblioteca Laurenziana, Piazza del Campidoglio e la Basilica di San Pietro.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 02/03/2021

Elisabetta.15
Elisabetta.15 🇮🇹

4.6

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Scarica riassunto Michelangelo Buonarroti, Itinerario nell'arte 3 (versione gialla) e più Sintesi del corso in PDF di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche solo su Docsity! MICHELANGELO BUONARROTI (1475-1564) Michelangelo Buonarroti nacque il 6 marzo 1475 in una cittadina dell’aretino di cui il padre era podestà. A Firenze, dove ben presto rientrò la famiglia, Michelangelo compì i suoi primi studi finché, andò a bottega da Domenico Ghirlandaio però si formò soprattutto copiando gli affreschi di Giotto e di Masaccio, egli si applicò molto nello studio della scultura degli Antichi. Dopo le prime esperienze fiorentine come scultore si trasferì a Roma nel 1496 per far ritorno nella città toscana nel 1501, ormai famoso. Nel 1505 papa Giulio II lo invitò di nuovo a Roma e, fino al 1536, anno del suo definitivo trasferimento qui Michelangelo si dedicò a imprese artistiche che lo videro spostarsi spesso a Firenze. Morì il 18 febbraio 1564, all’età di ottantanove anni, mentre lavorava alla Pietà Rondanini. IL PENSIERO ARTISTICO Al pari degli altri artisti del Rinascimento Michelangelo riteneva che scopo dell’arte fosse l’imitazione della natura, solo indagando la quale si poteva arrivare alla bellezza. Strumento principale di conoscenza per i pittori del tempo era la prospettiva, inoltre credeva che dalla natura occorresse scegliere i particolari migliori ma anche che con la fantasia l’artista fosse capace di dare vita a una bellezza superiore a quella esistente in natura. C’è dunque un modello ideale che ogni artefice concepisce nella propria mente al quale conformare ogni propria creazione. Il perfetto corpo umano, in quanto specchio della bellezza divina, è ora per Michelangelo la cosa più bella del creato. Divenuto più profondamente religioso con la caduta dei tradizionali valori cristiani e sotto la spinta dei gruppi riformisti, Michelangelo cominciò a ritenere del tutto secondaria la bellezza fisica rispetto a quella spirituale. È così che Michelangelo comincia a intendere l’attività dell’artista al servizio della Chiesa. Non basta più che l’artista sia padrone del proprio mestiere, egli deve anche essere particolarmente pio: quanto più lo è, tanto più riuscirà a infondere credibilità e fede alle proprie figure che sapranno commuovere e ispirare reverenza. Nell’ultimo periodo di vita Michelangelo si convince anche che la bellezza esteriore distolga addirittura l’uomo dalla spiritualità, teme che la propria arte e la propria fantasia possano averlo condotto addirittura verso la dannazione dell’anima, meritandogli il castigo eterno. IL DISEGNO Alla base di ogni attività artistica c’è per Michelangelo il disegno che consiste nel rendere evidente e concreta l’idea che l’artista ha nella mente. Nei disegni giovanili egli ricorre essenzialmente alla penna e al tratteggio sottile e incrociato. Oltre a ciò, tende a rappresentare figure singole e decisamente spiccate dal fondo del foglio, circondandole con una decisa linea di contorno. Michelangelo non ricorre alla punta d’argento mentre utilizza lo stilo di metallo calcato sulla carta per i tracciati preliminari. I disegni della maturità mostrano invece il graduale abbandono del tratteggio, troppo forte e incisivo, per appropriarsi di una tecnica più dolce e leggera, quella dello sfumato, la cui resa è più pittorica. LA PIETA’ DI SAN PIETRO Nel 1498 il cardinale Jean Bilhères incarica il Michelangelo di scolpire un gruppo marmoreo rappresentante la Pietà. Nel 1499 l’opera era già conclusa. Il tema della «Pietà», allora molto diffuso in Europa ma non in Italia, consiste nella Vergine Maria che tiene fra le braccia il corpo senza vita del Figlio. Tale composizione ebbe forse origine come riduzione della scena del «compianto sul Cristo morto». La Vergine michelangiolesca è una fanciulla dal volto appena velato di tristezza che teneramente sorregge il corpo del figlio. L’ampio gesto del suo braccio sinistro, portato verso l’esterno e con il palmo della mano rivolto in alto, è un invito a chi guarda a provare per Gesù il suo stesso dolore. Una fascia (che reca la firma dello scultore) le attraversa diagonalmente il busto mettendone ancor più in risalto la giovanile figura. Il panneggio dalle ombre profonde della veste e del velo sono i mezzi di cui l’artista si serve affinché il corpo nudo, liscio e perfetto del Cristo risalti. Tenuto sollevato dal braccio destro della Madre che gli cinge le spalle, Gesù ha la testa rovesciata indietro. Il bacino si piega in corrispondenza dello spazio fra le gambe di Maria. Il suo braccio sinistro accompagna la postura del corpo, mentre quello destro ricade abbandonato verso terra. Michelangelo, infine, propone di contemplare degli esseri giovani e senza imperfezioni nei quali si riflette la bellezza di Dio. D’altra parte, per l’artista il blocco di marmo informe contiene già quel che poi lo scultore sarà capace di trarne. È per questo che egli ritiene che la scultura sia essenzialmente quella che si fa «per via di levare e non quella che si ottiene aggiungendo materia. Questo secondo modo di operare è per Michelangelo più simile alla che non alla scultura. DAVID Al suo ritorno a Firenze nel 1501 l’Opera del Duomo incarica l’artista di scolpire una statua di David mettendogli a disposizione un enorme blocco di marmo inutilizzato, ma che era stato già in parte sbozzato. L’incarico presentava un problema tecnico perché Michelangelo avrebbe dovuto lavorare iniziando con uno svantaggio, e per questo il David è considerata una scultura superiore. Il giovane pastore, futuro re d’Israele, è colto nel momento che precede l’azione: la sua fronte è leggermente aggrottata in un atteggiamento che indica concentrazione e valutazione delle proprie forze. I muscoli sono in tensione e le mani nervose e scattanti pronte a far roteare la fionda. Il rapporto chiastico delle membra è di evidente derivazione classica, mentre la superficie della scultura è perfettamente levigata. Per le qualità morali che questo nudo virile incarnava, rappresentando pienamente quei princìpi di libertà e di indipendenza che i Fiorentini stessi vedevano nelle proprie istituzioni repubblicane, fu deciso che la statua fosse collocata non più in Duomo, ma dinanzi a Palazzo Vecchio divenendone il simbolo che anche piccola Firenze sapeva tener testa alle potenze nazionali di allora, allo stesso modo di come David, armato della sola fionda, seppe aver ragione del gigante Golia. Alla seconda versione del progetto risalgono il Mosè, lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente. Nel primo – pensato per una posizione elevata – il contrapposto si arricchisce del moto rotatorio della veste, mentre la barba fluente accentua la saggezza del patriarca. Nelle statue dei due schiavi, invece, si fa concreto il tema dell’anima prigioniera del corpo e anelante alla libertà (pietra grezza e scolpita). Ma essi sono anche un pretesto per formare dei corpi perfetti. VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA Nel 1508 Giulio II offrì all’artista di affrescare la volta della Cappella Sistina. Michelangelo, dapprima riluttante ad accettare, considerandosi scultore più che pittore, vi lavorò fino al 1512. La volta venne organizzata fingendo delle membrature architettoniche alle quali l’illusione prospettica conferisce un realismo sconcertante. Infatti, essa si presenta attraversata in senso trasversale da arconi che appoggiano su una cornice corrente poco al di sopra delle vele triangolari e sorretta da pilastrini che affiancano i troni di sette Profeti e cinque Sibille. Gli arconi e la cornice ripartiscono la superficie centrale in 9 riquadri con scene tratte dal libro della Genesi, 5 dei quali sono di dimensioni minori poiché lasciano spazio a 10 grandi coppie di Ignudi che reggono altrettanti medaglioni con scene bibliche. Nelle vele e nelle sottostanti lunette sono raffigurate le quaranta generazioni degli Antenati di Cristo e, infine, nei pennacchi angolari trovano posto le raffigurazioni di quattro eventi miracolosi fondamentali per la salvezza di Israele in pericolo. Il tempo e il fumo delle candele avevano offuscato i colori dell’immenso affresco, ma un difficile e discusso restauro 1981-1990, li ha ricondotti in vita. Essi sono: colori accesi e cangianti perfino nelle ombre. La più giustamente famosa delle scene dipinte nei grandi riquadri della volta è quella della Creazione di Adamo. LA CREAZIONE DI ADAMO A DX Dio Padre in volo è sorretto da numerosi angeli ed è avvolto da un manto rosa-violaceo che si gonfia al vento, richiamando il contorno di un cervello. A SX Adamo, disteso a terra, si solleva attratto dalla potenza della mano di Dio. I due neppure si toccano, solo le loro dita si sfiorano, al centro della composizione. Qui e negli Ignudi, atteggiati nelle pose più diverse e trattati come delle vere e proprie sculture viventi, ancora una volta Michelangelo esprime il suo concetto di bellezza. Addirittura, pare che lo scopo dell’artista sia quello di dar vita al suo ideale estetico: corpi perfetti, proporzionati, atletici e maestosi nei quali si rifletta la bellezza stessa della divinità. Nelle Sibille, infine, Michelangelo sa coniugare il colore con la forma e il movimento, la più complessa nella postura è la Sibilla libica, in posa serpentinata con le braccia semidistese che afferrano il libro degli oracoli e il busto ruotato che mostra la schiena nuda. I capelli biondi, acconciati in trecce, sono trattenuti da una fascia violacea. Il corpetto giallo, aperto sui fianchi, rivela forme sode e prosperose; il risvolto rosa si articola sulla lunga veste violacea, quasi incollata alle gambe che, piegate e con i piedi puntati a terra, sostengono la donna nel suo complesso movimento e contribuiscono alla tensione muscolare dovuta all’atto di sollevare il libro GIUDIZIO UNIVERSALE L’affresco del Giudizio Universale, realizzato tra 1536- 1541 sulla parete dietro l’altare della cappella sistina. L’immenso dipinto, commissionatogli da papa Clemente VII de’ Medici, venne realizzato durante il pontificato del successore, Paolo III Farnese. Michelangelo, non più timoroso della vastità dello spazio da affrescare, dipinge l’intera superficie senza ricorrere all’organizzazione architettonica della volta. L’artista non cerca più la bellezza ideale, ciò che lo interessa ora è il senso tragico del destino dell’uomo. I corpi sono tozzi e pesanti. I salvati (a SX) attoniti e disorientati, come foglie portate dal vento, volano verso l’alto. Faticosamente conquistano il cielo aggrappandosi alle nuvole o con affanno vi vengono issati. Con angoscia e disperazione pari alle loro colpe i dannati (a DX) vengono a loro volta trascinati in basso da creature diaboliche. Invano alcuni tentano l’assalto al Cielo, ma gli angeli, li respingono e così precipitano pesantemente verso l’inferno rosseggiante di fuoco. Altri ancora vengono ammassati in quel luogo di dolore da Caronte, che li percuote con un remo. Il traghettatore è però dipinto da Michelangelo seguendo la descrizione che Dante ne dà nell’Inferno. L’ascesa dei salvati, ai quali la Vergine volge il suo sguardo materno e pietoso, e la discesa dei dannati seguono il gesto imperioso e terribile delle braccia di Cristo-giudice. Posto al centro della composizione e nella posizione più elevata è attorniato da una moltitudine di santi al di sopra dei quali sono dipinti due gruppi di angeli in volo che recano gli strumenti della passione: la croce, la colonna della flagellazione, la corona di spine. Con fatica gli apteri (no ali) trasportano la croce del supplizio e la colonna, e nel tentativo di metterle in posizione verticale, assumono le più svariate posizioni. Alla passione rinvia simbolicamente anche il braccio sinistro di Cristo piegato e tenuto all’altezza della ferita sul costato. Non c’è gioia nei volti dei salvati, ma solo cupo terrore fra i dannati verso i quali si volge il Giudice divino. È il giorno della sua ira tremenda, quello in cui tutti saranno giudicati e il movimento vorticoso dei corpi si somma alle grida disperate, agli urli dei demoni, all’assordante suono delle trombe degli angeli che, in asse con il Cristo e raccolti in circolo sotto di lui, ne annunciano la venuta, com’è scritto nell’Apocalisse. L’affresco è il riflesso del tormento dell’anima di Michelangelo, priva della certezza della salvezza. Ritenuto scandaloso per i troppi nudi, l’immenso affresco rischiò di essere addirittura distrutto. Tuttavia, il Concilio di Trento decretò solo la copertura di alcune parti considerate oscene. Daniele da Volterra fu incaricato di eseguire il lavoro che gli valse l’epiteto di brachettone proseguì fino al XIX secolo. In occasione del restauro conclusosi nel 1998 tutti gli interventi successivi al ‘500 sono stati rimossi. SAGRESTIA NUOVA Fra il 1591-1534 Michelangelo progettò – e in parte realizzò – la Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze, destinata ad accogliere le tombe dei Medici, e la Biblioteca Laurenziana. La Sagrestia Nuova, cosiddetta per distinguerla da quella edificata da Filippo Brunelleschi ha una pianta composta da due quadrati adiacenti di cui uno maggiore e l’altro più piccolo. Ambedue gli spazi sono coperti da cupole emisferiche su pennacchi. La più grande, sormontata da una lanterna, prende come esempio il Pantheon. L’estradosso, invece, è rivestito di squame di terracotta contro le quali spicca il bianco della lanterna. Dotata di ampie superfici vetrate, essa è circondata da colonnine composite trabeate, sormontate da volute, e conclusa da una superficie conica dal profilo concavo e rigonfia alla base, come se fosse di materia morbida e plasmabile, quasi liquida. La continuità verticale dell’intelaiatura di lesene, trabeazioni e archi lapidei, infatti, viene interrotta dal fregio del primo ordine che sembra dividere in due lo spazio, tanto che quello superiore pare quasi fluttuare nell’aria, non avendo appoggi visibili. Le proporzioni della Sagrestia brunelleschiana vengono alterate, a favore di un maggiore slancio verso l’alto, con l’introduzione di un attico e le grandi lunette sottostanti alla cupola. Dei sepolcri previsti nella Sagrestia Nuova solo due vennero realizzati. Le architetture delle tombe sono distinte da quella della Sagrestia. Per esse, infatti, Michelangelo sceglie il marmo bianco e volutamente le stringe in uno spazio poco ampio e non profondo, dove appaiono quasi compresse. Contro l’organismo architettonico di pilastri, nicchie, cornici e decorazioni a festoni, si stagliano i plastici sarcofagi dai coperchi ellittici sui quali giacciono le allegorie del Giorno e della Notte (tomba di Giuliano),
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