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riassunto napoleone bonaparte, Schemi e mappe concettuali di Storia

riassunto napoleone bonaparte storia

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 23/09/2023

Siimoo
Siimoo 🇮🇹

4.3

(11)

216 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto napoleone bonaparte e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L’IMPERO NAPOLEONICO L’ascesa di Napoleone I giacobini e i sanculotti, che erano stati portavoce delle masse popolari, furono relegati a un ruolo di secondo piano; per i poveri questo significò trovarsi privi di una vera rappresentanza, in un momento in cui l’economia francese era allo sbando e l’inflazione galoppante costringeva molti a vivere di stenti. Gli imprenditori dell’alta e media borghesia, agendo spesso in maniera spregiudicata, se non addirittura disonesta, riuscirono ad accumulare in breve tempo ingenti patrimoni. Ci riuscirono, in particolare, grazie alla guerra, che si rivelò un ottimo affare economico: la prosecuzione delle ostilità contro i monarchi d’Europa, decisa dal Direttorio nonostante niente minacciasse più i confini della Francia dopo la battaglia di Fleurus del 1794, assicurò a molti di loro proficue commesse per le forniture militari. Anche i deputati meno onesti del Direttorio trassero dalla guerra cospicui guadagni: per ottenere commesse belliche, infatti, molti imprenditori senza scrupoli erano pronti a pagare consistenti tangenti. Oltre alla sete di guadagno degli affaristi, le guerre del Direttorio derivarono anche dalla spinta dell’opinione pubblica francese. I trionfi degli eserciti rivoluzionari fecero il resto, rinsaldando la fiducia nel primato europeo della “Grande Nazione”. L’obiettivo dichiarato del Direttorio diventò quello di spodestare i monarchi regnanti nei diversi paesi del continente, presentati come veri e propri tiranni dal cui dominio l’Europa si doveva liberare. Ai soldati francesi fu quindi affidato il compito di esportare gli ideali di progresso e di civiltà che avevano animato la Rivoluzione. Nel 1795, la Francia repubblicana stipulò trattati di pace con la Prussia e con la Spagna, che si ritirarono dalla prima coalizione; dell’alleanza antifrancese rimasero a far parte solo la Gran Bretagna e l’Austria, contro la quale il Direttorio decise un nuovo attacco. Due armate furono schierate sul fronte orientale, lungo il Reno e la Mosa, con l’ordine di marciare su Vienna e conquistarla. Gli Austriaci però reagirono con prontezza e respinsero l’avanzata nemica. A sbloccare la situazione in maniera imprevista intervenne, nel 1796, una terza armata impegnata in un teatro di guerra apparentemente secondario: l’Italia settentrionale. Nelle intenzioni del Direttorio, questa armata avrebbe dovuto semplicemente impedire che le truppe austriache attaccassero la Repubblica da sud, attraversando il Piemonte. Ma il giovane e ambizioso generale che la comandava fece molto di più: nell’arco di poche settimane riuscì dapprima a separare i due eserciti, austriaco e piemontese, poi a infliggere loro una serie di cocenti sconfitte. Quel generale era Napoleone Bonaparte, ed è passato alla storia come uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi. Il giovane Napoleone aveva abbracciato con entusiasmo gli ideali della Rivoluzione. Quest’ultima, infatti, tra i suoi principi comprendeva l’idea che tutte le carriere dovessero essere aperte a coloro che le meritavano, compresa quella militare. Bastava, in sostanza, essere bravi. E Bonaparte lo era. A ventiquattro anni si era distinto nella riconquista di Tolone, un porto della Francia meridionale conquistato dagli inglesi. Due anni dopo, a Parigi, aveva difeso la Convenzione da un attacco armato di agitatori monarchici. Molto astutamente, aveva poi sposato la ricca vedova di un generale, Giuseppina di Beauharnais, riuscendo in tal modo a spianare a propria strada per fare carriera nella Francia del Direttorio. La prima campagna d’Italia Nel marzo del 1796 gli venne affidato il comando dell’armata d’Italia. Napoleone guidò la sua armata attraverso le Alpi fino a giungere nella pianura padana, dove si trovò di fronte sia l’esercito piemontese agli ordini dei Savoia, sia quello austriaco agli ordini degli Asburgo. Ma grazie alla genialità delle sue operazioni militari, e accendendo l’entusiasmo dei suoi soldati con la promessa del saccheggio, tra marzo e maggio del 1796 Bonaparte riuscì a ottenere successi spettacolari. Il 10 maggio l’armata d’Italia sconfisse gli austriaci nella battaglia di Lodi, aprendo così la strada all’occupazione di Milano (15 maggio), città che gli Asburgo dominavano da tre secoli. Le vittorie di Bonaparte contro l’Austria suscitarono enorme scalpore: gli Asburgo erano sempre riusciti a impedire ai francesi di sfondare nella pianura padana; il generale Bonaparte e i soldati della Repubblica si erano quindi dimostrati capaci di trionfare là dove i re di Francia avevano fallito. Ora, però, Bonaparte doveva convincere gli italiani che l’esercito della Grande Nazione era diverso da quello di un qualsiasi “tiranno” coronato e che quella a cui stavano assistendo non era una spedizione di conquista, ma di liberazione. I tentativi degli austriaci di rientrare a Milano furono vani: Napoleone li obbligò a ripiegare verso nord-est, avanzando contemporaneamente nei territori delle legazioni pontificie dell’Emilia-Romagna e creando governi provvisori a Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, dove, nel gennaio del 1797, queste quattro città fondarono la Repubblica cispadana che adottò come bandiera il tricolore verde, bianco e rosso. Gli austriaci furono nuovamente sconfitti in Veneto presso Arcole (15-17 novembre 1796) e presso Rivoli Veronese (14- 15 gennaio 1797). Nel febbraio del 1797 Bonaparte riuscì, dopo un lungo assedio, a impadronirsi anche della fortezza di Mantova, l’ultimo caposaldo imperiale rimasto in Italia. Poi, varcate le Alpi, si spinse in territorio austriaco, fino a un centinaio di chilometri dalla capitale Vienna. A questo punto, i suoi avversari accettarono di firmare un accordo preliminare per interrompere le ostilità. Il trattato di pace definitivo fu siglato il 17 ottobre 1797 a Campoformio, presso Udine, dove era di stanza il comando austriaco. Gli Asburgo rinunciarono ufficialmente ai Paesi Bassi austriaci, a tutti i territori conquistati dai francesi sulla riva sinistra del Reno, alla Lombardia e all’Emilia; ma furono parzialmente compensati con i territori della Repubblica di Venezia che Napoleone aveva attaccato con un pretesto nel maggio del 1797. Le “repubbliche sorelle” italiane Come già nella Francia del 1789, così nell’Italia del 1796 gli uomini della borghesia e del popolo avevano sognato una sorta di mondo alla rovescia, dove i primi diventassero gli ultimi e gli ultimi diventassero i primi: un mondo dove i privilegi dell’aristocrazia fossero cancellati e i governanti obbedissero a una Costituzione. Chi nutriva speranze rivoluzionarie collaborò dunque con le armate francesi per rovesciare le dinastie legittime, rimpiazzando le monarchie con altrettante repubbliche. Nel giugno del 1797, buona parte della pianura padana si era riunita sotto le insegne della nuova Repubblica cisalpina, con Milano capitale, che un mese dopo aveva incorporato anche la Repubblica cispadana. Contemporaneamente, era caduta la secolare Repubblica aristocratica di Genova, che fu rovesciata dai francesi e rinacque come Repubblica ligure. Nonostante gli entusiasmi rivoluzionari, molti patrioti italiani compresero presto che le “repubbliche sorelle”, che avevano assunto la Francia come modello politico e istituzionale, non sarebbero state considerate alla pari rispetto alla Grande Nazione: ne sarebbero state, piuttosto, sottomesse. Inoltre, nell’ottobre del 1797 il “tradimento” di Bonaparte nei confronti della Serenissima provocò sconcerto e delusione in molti Italiani che avevano accolto con speranza i francesi, vedendo in loro dei liberatori. In pochi mesi la geografia politica della penisola era stata radicalmente modificata; i cambiamenti non si arrestarono nemmeno dopo che Napoleone fu richiamato in patria, nel novembre del 1797, perché l’espansione francese continuò sotto il comando dei suoi generali. Nel febbraio del 1798, con un pretesto, l’esercito francese occupò lo Stato pontificio, depose papa Pio VI dal potere temporale e vi installò la nuova Repubblica romana. Quindi si spinse più a sud, a occupare il Regno di Napoli: il re Ferdinando IV di Borbone fu costretto a fuggire in Sicilia e nel gennaio del 1799 nacque la Repubblica partenopea. L’annessione del Piemonte alla Francia, che costrinse i membri di casa Savoia a riparare in Sardegna, e l’occupazione della Toscana (nel marzo del 1799) sancirono il controllo francese su quasi tutta la penisola. Le quattro repubbliche italiane si affiancarono alle altre due repubbliche sorelle nate fuori dai confini francesi: quella batava, creata nel 1795, e quella elvetica, creata nel 1798. Nei loro territori furono promulgate costituzioni modellate su quella francese del 1795; furono soppressi sia i privilegi feudali sia i titoli nobiliari, e incamerati i beni ecclesiastici; furono proclamate l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libertà di associazione, di stampa e la parità fra i culti. Le repubbliche sorelle erano dunque formalmente libere e uguali fra loro; tuttavia, non furono mai sullo stesso piano della Francia. Ben presto le nomine per gli incarichi pubblici furono imposte o direttamente effettuate dalle autorità francesi. In Italia, in particolare, Bonaparte, che all’inizio aveva sostenuto l’azione dei patrioti democratici e fidò poi i ruoli di maggiore responsabilità a esponenti dei gruppi politici più moderati, spesso appartenenti alla nobiltà e talvolta già aventi esperienze di governo, e, soprattutto, ritenuti capaci di assicurare il buon funzionamento dei nuovi governi che avrebbero dovuto rimanere subalterni alla Francia. Delusi da questi sviluppi, diversi patrioti italiani passarono all’opposizione clandestina. Le autorità francesi reagirono con la repressione: La seconda campagna d’Italia e i trattati con Austria e Gran Bretagna Bonaparte era arrivato ai vertici del potere grazie ai suoi trionfi militari e sapeva che avrebbe consolidato la propria posizione solo se fosse riuscito a terminare la guerra che ancora opponeva la Francia alle potenze della seconda coalizione. Per questo motivo, sei mesi dopo essere diventato primo console, assunse il comando dell’esercito, varcò le Alpi e sfidò nuovamente gli austriaci in territorio italiano; il 14 giugno 1800 li sconfisse nella decisiva battaglia di Marengo, presso Alessandria, e poi li inseguì e sconfisse anche in Baviera. Di nuovo minacciati dalla possibilità di un attacco a Vienna, gli austriaci firmarono, nel febbraio del 1801, la pace di Lunéville, la quale sostanzialmente riconfermava le condizioni già previste dal trattato di Campoformio del 1797 che l’Austria aveva disatteso. Dopo la firma di questo accordo, anche la Gran Bretagna iniziò a valutare la possibilità di cessare la guerra con la Francia. Al termine di lunghe trattative, nel marzo del 1802, venne dunque firmata la pace di Amiens: gli inglesi riconsegnarono alla Francia le Piccole Antille, conquistate durante la guerra dei Sette anni, ottenendo in cambio l’isola di Ceylon; i Francesi accettarono di riconsegnare l’Egitto all’Impero ottomano e Malta ai Cavalieri dell’ordine di San Giovanni. Nel 1802 anche l’Italia centro-settentrionale venne riorganizzata: in gennaio la Repubblica cisalpina fu ribattezzata Repubblica italiana e dotata di una Costituzione simile a quella francese del 1799. La presidenza fu assunta da Bonaparte, che nominò come suo vice il nobile moderato milanese Francesco Melzi d’Eril. Rinacque anche la Repubblica ligure, mentre il Piemonte fu annesso alla Francia, che controllava anche le amministrazioni di Parma e Piacenza. Sul trono della Toscana sedeva lo spagnolo Lodovico di Borbone, in seguito a un accordo fra Napoleone e la corona di Spagna. Di fatto, la Francia non era più direttamente minacciata alle frontiere e in Europa era tornata la pace; così, sempre nel 1802, Bonaparte decise di inviare una flotta sull’isola di Hispaniola, in parte occupata dalla colonia francese di Saint-Domingue, con l’obiettivo di sedare la rivolta di schiavi neri che era in atto fin dal 1791. Il concordato con la Santa Sede In qualità di primo console, Bonaparte si rivelò un abile politico e affrontò i problemi interni della Francia con grande determinazione. Fra i suoi primi atti ci fu quello di sbarazzarsi sia degli avversari giacobini, che lo accusavano di aver tradito gli ideali della Rivoluzione, sia degli avversari realisti, che vedevano in lui un usurpatore del legittimo potere monarchico. Con i primi, Napoleone adottò una repressione spietata; con i secondi, invece, mantenne un atteggiamento generalmente più morbido, perché intendeva dimostrare al mondo di essere un governante moderato, che aveva reciso ogni legame con il passato rivoluzionario e i suoi eccessi. Anche per questo motivo Bonaparte promosse una pacificazione della Repubblica con la Chiesa di Roma e, nel 1801, stipulò con papa Pio VII un concordato. Il Cattolicesimo fu riconosciuto come «religione della maggioranza dei francesi» (ma non come religione di Stato); fu assicurato il mantenimento del clero a spese pubbliche; la Santa Sede si impegnò a riconoscere la Repubblica francese e rinunciò alla restituzione dei beni ecclesiastici confiscati ottenendo, come ricompensa, la libertà di azione pastorale sul territorio francese e la cancellazione della norma secondo cui i parroci d’oltralpe dovevano essere di nomina popolare. Il consenso ottenuto grazie alla ratifica del concordato e alla firma dei trattati di pace di Lunéville e Amiens permise a Bonaparte di farsi proclamare, con un secondo plebiscito indetto nel 1802, console a vita; pochi giorni dopo questa consultazione, il Senato gli attribuì anche il potere di designare il proprio successore. La politica interna di Napoleone Sin dai primi mesi del suo consolato Napoleone avviò un’opera di riorganizzazione della Francia. Il modello statale che aveva in mente era fortemente accentrato sul piano amministrativo e caratterizzato da un apparato burocratico efficiente. Per prima cosa, definì nel dettaglio le competenze dei vari ministeri, che comunque rispondevano direttamente al primo console. Poi, introdusse la figura istituzionale del prefetto: un funzionario di carriera, dipendente dal Ministero degli Interni e incaricato di svolgere un ruolo di raccordo fra il potere centrale e la periferia. Ai prefetti spettava il compito di rappresentare il governo facendo applicare le leggi, mantenendo l’ordine pubblico, controllando gli amministratori locali e sovrintendendo alle operazioni di leva. Per rispondere alle nuove esigenze di ordine e sicurezza che emergevano dal paese dopo un lungo periodo di rivolgimenti, Bonaparte rinnovò e rese più efficiente l’apparato di polizia, trasformandolo in un potente strumento di controllo e di repressione delle opposizioni. Inoltre, selezionò una nuova classe dirigente: sia scegliendo uomini che, indipendentemente dai loro legami con le passate stagioni politiche, ritenne capaci e degni di fiducia; sia, fin dall’inizio, stabilendo le modalità di formazione per i funzionari e i tecnici che, in futuro, sarebbero entrati a far parte dell’amministrazione statale. Per questo motivo centralizzò il sistema dell’istruzione pubblica, potenziando in particolare quella secondaria, incentrata sui licei, sulle università e sui Napoleone promosse anche l’attività della commissione scientifica che definì nuove unità di misura (il metro, il litro e il chilogrammo) standardizzate e basate sul sistema metrico decimale, così da favorire gli scambi commerciali sia interni sia internazionali. La Francia fu riorganizzata anche dal punto di vista giuridico. Fin dal 1801 Bonaparte avviò la redazione di un nuovo Codice civile, che fu emanato nel marzo del 1804. La promulgazione di questo testo rappresenta la più importante realizzazione di Napoleone in qualità di statista, il suo principale contributo al progresso della civiltà francese ed europea. Il Codice civile riaffermò alcune fra le più importanti conquiste della Rivoluzione francese: l’uguaglianza giuridica dei cittadini davanti allo Stato, la laicità dello Stato stesso, la libertà di pensiero e di culto. Al tempo stesso, tutelò la borghesia mettendola al riparo da attacchi come quello che i sanculotti le avevano mosso nella fase più radicale della Rivoluzione. Infatti, l’intera legislazione era imperniata sul principio della tutela della proprietà privata, mentre non vi si trovava alcun cenno ai due diritti più importanti per i sanculotti: il diritto all’esistenza (cioè il diritto dei poveri di sfamarsi, a costo di danneggiare i commercianti) e il diritto al lavoro (cioè il diritto di non restare disoccupati, a costo di danneggiare gli imprenditori). A ulteriore difesa degli interessi dei ceti borghesi, il Codice vietò agli operai di riunirsi in organizzazioni e reintrodusse la schiavitù nelle colonie dove era stata abolita. Nel Codice civile figuravano molti articoli dedicati alla famiglia, che regolavano i rapporti tra marito e moglie, genitori e figli, fratelli e altri parenti. Ai figli maggiorenni venne riconosciuto il diritto di sposarsi senza il consenso dei genitori, e ai figli secondogeniti il diritto di ereditare una quota di patrimonio uguale a quella del primogenito. Al tempo stesso, il Codice civile fece della famiglia patriarcale, incentrata sulla figura del padre e marito, il fulcro del nuovo ordine sociale. Non solo fu stabilito che il padre potesse far incarcerare i figli ribelli per una durata fino a sei mesi, ma venne sottolineata l’inferiorità giuridica della donna (l’articolo 213 recitava: «La moglie deve obbedienza al marito»). Il divorzio fu mantenuto, ma con molte limitazioni, che andavano soprattutto a scapito delle donne. Con il Codice civile, Napoleone riuscì là dove il Direttorio aveva fallito: impose un nuovo ordine civico basato sugli interessi della borghesia. Ma l’importanza storica del Codice consiste anche nel fatto che i principi in esso sanciti si diffusero ben presto anche fuori dei confini francesi. Nei decenni successivi, vari Stati del continente si ispirarono al Codice napoleonico per sviluppare la propria legislazione in merito alla famiglia e alla proprietà. Dal consolato all’impero Nonostante la sua scalata al potere sembrasse inarrestabile, Napoleone dovette superare alcuni ostacoli anche dopo l’elezione a console a vita. Le sue ambizioni preoccupavano gli oppositori: non più solo i giacobini, da sempre molto critici nei suoi confronti, ma anche gli intellettuali, che in un primo tempo lo avevano appoggiato e ora iniziavano a diffidare di lui, delusi, in particolare, dal suo autoritarismo e dal disprezzo dimostrato per la rappresentanza parlamentare. Caratteri, questi, che sommati alla tendenza a servirsi ripetutamente dello strumento plebiscitario e del prestigio militare per la conquista del potere, iniziarono a delineare un modello politico definito in senso spregiativo “bonapartismo”. Per giunta, la guerra contro la Gran Bretagna era ripresa nel 1803, e questo aveva aggravato il malcontento dei sostenitori della monarchia. Fu proprio in seguito alla scoperta di una congiura organizzata dai realisti, nel 1804, che Napoleone riuscì a volgere la situazione a proprio favore. Sostenendo che solo una nuova dinastia, ovviamente quella di Napoleone, avrebbe garantito la sicurezza del regime, fece preparare una nuova Costituzione (detta “dell’anno XII”) e indisse un altro plebiscito, in cui si chiedeva ai francesi di votare a favore oppure contro la trasformazione della Repubblica in impero ereditario. Il plebiscito fu un trionfo: i “sì” furono tre milioni e mezzo, mentre soltanto 2500 persone ebbero il coraggio di votare “no”. La maggior parte degli elettori contrari, per timore della polizia napoleonica, pensò fosse più prudente starsene a casa. Così il 2 dicembre 1804, nella cattedrale parigina di Notre-Dame, fu celebrato il trionfo di Napoleone che, alla presenza di papa Pio VII, cinse da solo la corona di imperatore dei francesi. A soli dodici anni dalla morte di Luigi XVI, si ricostituiva in Francia un regime monarchico assoluto. L’assolutismo di Napoleone era però di un nuovo tipo. Innanzitutto, perché il potere regale non era più considerato di origine divina, ma veniva descritto come direttamente derivato dalla volontà della nazione. Poi, perché la totale concentrazione dei poteri pubblici nella persona del sovrano era resa possibile dall’appoggio pressoché incondizionato di tre importanti componenti della società: una ricca borghesia formata da notabili, funzionari e agiati proprietari terrieri (ben disposti ad assecondare i voleri di Bonaparte in cambio di quella stabilità politica ed economica che garantiva le migliori condizioni per fare affari); una nuova nobiltà, ufficialmente istituita nel 1808, della quale entrarono a far parte uomini e donne legati a Napoleone da vincoli di amicizia o parentela, o premiati per i loro meriti e per la fedeltà dimostrata all’imperatore; e, infine, un esercito disciplinato e fedelissimo. Pochi mesi dopo, Napoleone ottenne anche il titolo di re d’Italia. L’incoronazione ufficiale si svolse a Milano il 26 maggio 1805, mentre il compito di governare il nuovo regno fu affidato al figlio di Giuseppina, Eugenio di Beauharnais. L’Europa di Bonaparte Dopo il successo contro la quinta coalizione, l’impero napoleonico raggiunse il proprio apice, oltre che la massima estensione. Napoleone controllava direttamente un territorio immenso, ed era riuscito a imporre come sovrani di molti paesi europei i propri parenti più stretti e alcuni dei generali che gli erano più fedeli. Nel 1809, con il consenso di alcuni prelati francesi, divorziò dalla prima moglie Giuseppina, che non gli aveva dato un erede, e nel 1810 sposò Maria Luisa d’Asburgo, figlia dell’imperatore d’Austria. Questo matrimonio tutto politico imparentò l’ex ufficiale còrso, giunto al potere grazie alla Rivoluzione, con la più antica e prestigiosa casata europea. Un anno più tardi da tale unione nacque un erede maschio, a cui venne attribuito il titolo di “re di Roma”, quasi a significare che l’impero napoleonico era altrettanto glorioso di quello dei Cesari. Fino al 1812 l’Europa godette di un interludio di pace; eppure, nonostante le apparenze, le basi sulle quali si reggeva l’impero napoleonico non erano così salde. Al suo interno cresceva il malcontento dei tradizionali oppositori di Bonaparte: i democratici, i nostalgici della monarchia borbonica e anche molti cattolici, indignati per il trattamento inflitto a papa Pio VII (che rimase prigioniero dei francesi dal 1809 al 1814); inoltre, dopo anni di campagne militari e di sacrifici economici, aggravati dalle conseguenze del blocco continentale, ampi settori della popolazione iniziavano a nutrire perplessità sulle scelte di Bonaparte. Ovviamente, le proteste erano più vivaci nei paesi satelliti, dove a molti l’imperatore appariva ormai come un tiranno. Nuove insurrezioni antifrancesi scoppiarono, oltre che in Spagna, in Olanda, in Tirolo e nell’Italia centro-settentrionale (1809). La campagna di Russia Gli accordi di Tilsit, sottoscritti nel 1807, erano serviti a Napoleone e allo zar Alessandro I per consolidare i propri imperi, ma presto iniziarono a essere disattesi. La Russia, infatti, non rispettò l’impegno di interrompere i traffici commerciali con la Gran Bretagna perché il blocco continentale (da cui si ritirò ufficialmente nel 1810) avrebbe pesantemente danneggiato la sua economia: e così, attraverso il mar Baltico, il legname e il grano russi continuarono a viaggiare verso la Gran Bretagna e le merci inglesi continuarono a raggiungere la Russia. Napoleone non reagì subito a queste provocazioni, perché sapeva che avrebbe avuto bisogno dell’appoggio russo per piegare definitivamente la Gran Bretagna. Tuttavia, alla fine del 1811 si convinse della necessità di punire lo zar, costringendolo a rispettare l’alleanza che aveva sottoscritto; iniziò quindi a preparare una nuova campagna militare. Nel giugno del 1812, alla testa di un esercito di oltre 700.000 uomini e senza neppure una dichiarazione formale di guerra, Napoleone entrò in territorio russo. Cominciò ad avanzare verso Mosca, mentre l’esercito dello zar, comandato dal generale Kutuzov, arretrava intenzionalmente, adottando la tattica della terra bruciata: tattica che si rivelò fatale alle truppe napoleoniche, abituate a rifornirsi praticando il saccheggio dei territori occupati. Il 7 settembre la Grande Armée sconfisse gli avversari nella battaglia di Borodino; la strada per Mosca era ormai aperta. Ma quando vi giunsero, una settimana più tardi, gli invasori si trovarono di fronte una città vuota e avvolta dalle fiamme di un gigantesco incendio doloso. Napoleone si ritrovò in una situazione molto delicata: lo zar continuava a rifiutarsi di trattare, e rimanere lontano dall’Europa a lungo per costringerlo a capitolare rappresentava per lui un rischio troppo elevato; inoltre, in mancanza di rifornimenti, la Grande Armée non avrebbe potuto resistere al rigido inverno russo. Così, in ottobre, dopo un mese di esitazione, Bonaparte ordinò la ritirata. Ma fu una decisione tardiva. Sulla via del ritorno le sue truppe dovettero affrontare la più terribile delle prove: la battaglia contro il “generale Inverno”. Molti soldati morirono per il freddo, le malattie e la fame; altri furono catturati o scelsero di disertare e consegnarsi al nemico; altri ancora, persero la vita in battaglia, o cercando di respingere gli attacchi a sorpresa degli uomini di Kutuzov, o affogati nelle acque gelate del fiume Beresina. Al momento di lasciare i confini russi, la Grande Armée di Bonaparte contava appena 100.000 soldati laceri e affamati. La battaglia di Lipsia e il crollo dell’impero napoleonico La disfatta subita nella campagna di Russia mostrò chiaramente che Napoleone non era più invincibile. Approfittando della difficoltà di Bonaparte, i suoi avversari ripresero slancio: la Gran Bretagna, la Prussia, la Russia e l’Austria organizzarono contro di lui una sesta coalizione, che sconfisse i reparti superstiti della Grande Armée nella battaglia di Lipsia (16-19 ottobre 1813). Essa è conosciuta anche come “la battaglia delle nazioni”, perché vi parteciparono eserciti appartenenti a quasi tutti i popoli d’Europa, per i quali il principio di nazionalità stava divenendo un’idea sempre più centrale. Alla sconfitta delle truppe napoleoniche fece seguito l’invasione della Francia: meno di sei mesi dopo, il 31 marzo 1814, gli eserciti della coalizione entrarono a Parigi. Napoleone fu costretto ad abdicare, e con lui vennero spodestati i titolari di tutti i regni dei Bonaparte. Dalla penisola iberica alle terre di Germania, gli antichi regnanti tornarono a insediarsi sui loro troni: fu la cosiddetta Restaurazione, stabilita dalle potenze vincitrici riunitesi in congresso a Vienna nel settembre del 1814. A Napoleone venne riconosciuta soltanto la sovranità sull’isola d’Elba. Il trono di Francia fu occupato da Luigi XVIII di Borbone, fratello di quel Luigi XVI che i rivoluzionari francesi avevano ghigliottinato ventuno anni prima. La fuga dall’Elba e i “cento giorni” Napoleone, tuttavia, non si arrese. Nel febbraio del 1815 fuggì avventurosamente dall’isola d’Elba, sbarcò nel sud della Francia, arruolò un manipolo di fedelissimi e marciò su Parigi, dove in tanti lo accolsero trionfalmente. Il 20 marzo Bonaparte riuscì a riconquistare il potere a Parigi; Luigi il giorno prima era fuggito dalla capitale, per rifugiarsi in Belgio. Ancora una volta, Napoleone sembrò in grado di ribaltare le sorti del conflitto che da quasi vent’anni lo opponeva ai monarchi d’Europa. Per consolidare il proprio potere, promulgò una nuova Costituzione liberale, garantendosi così l’appoggio dell’opinione pubblica rimasta fedele agli ideali del 1789. Ma il suo nuovo impero durò poco più di tre mesi, i famosi “cento giorni”: i suoi avversari formarono una settima coalizione, decisi a sconfiggerlo una volta per tutte. Il piccolo esercito che era riuscito a ricostituire fu sbaragliato dagli anglo-prussiani a Waterloo, presso Bruxelles, il 18 giugno 1815. Poco dopo un milione di soldati stranieri, britannici, prussiani, tedeschi, russi, invasero nuovamente la Francia e riportarono sul trono Luigi XVIII. L’esilio di Napoleone a Sant’Elena La fine politica di Napoleone era arrivata. Il 22 giugno 1815 abdicò per la seconda e ultima volta, e poi cercò di imbarcarsi per gli Stati Uniti. Ma non ci riuscì e decise quindi di consegnarsi agli inglesi, salendo a bordo della nave HMS Bellerophon, esattamente un mese dopo la sconfitta di Waterloo. I patti prevedevano che, in cambio della resa, gli avversari gli avrebbero concesso di trascorrere il resto dei suoi giorni in Gran Bretagna o negli Stati Uniti in qualità di privato cittadino. Tuttavia gli inglesi non mantennero fede a tale promessa e, per evitare future sorprese, decisero di confinare Napoleone nell’isolotto di Sant’Elena, sperduto in mezzo all’Atlantico, dove rimase prigioniero fino alla morte, avvenuta il 5 maggio 1821. Ma neppure laggiù Bonaparte restò inoperoso, dato che nei sei anni di esilio scrisse le proprie memorie: il cosiddetto Memoriale di Sant’Elena. Più che il racconto delle tante battaglie combattute e vinte, l’ex imperatore volle lasciare una specie di testamento politico, riaffermando i valori della Rivoluzione francese e sottolineando i meriti del Codice civile. Non solo in Francia, ma in tutta Europa, molti si sarebbero dimostrati pronti ad ascoltarlo: il Memoriale di Sant’Elena fu infatti uno dei libri più venduti del XIX secolo.
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