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riassunto "nella rete della violenza", Sintesi del corso di Sociologia

riassunto del testo proposto dalla professoressa Diana Salzano nel corso di Teoria della Società Digitale

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 03/01/2024

sof.fiore
sof.fiore 🇮🇹

4.3

(9)

41 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto "nella rete della violenza" e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! BULLISMO E CYBERBULLISMO Gran parte della letteratura sul bullismo e il cyberbullismo è di matrice psicopedagogica, giuridica e criminologica, ma la Sociologia della comunicazione, che più specificamente si occupa dei media e delle loro implicazioni può offrire una prospettiva di indagine nuova e peculiare attraverso un’analisi comparata dei due fenomeni. Bullismo e cyberbullismo, infatti, pur consistendo entrambi di comportamenti devianti, violenti e patologici, sono comunque, in prima istanza, forme diverse di comunicazione: in un caso vis a vis e nell’altro online. Secondo un’intuizione fondamentale di McLuhan, quando il medium cambia, cambia il messaggio. Ogni mezzo di comunicazione implica cioè un particolare brainframe che «inquadra» i contenuti veicolati, conferendo loro un significato specifico. È quindi facile intuire che i comportamenti violenti e devianti agiti offline sono altra cosa da quelli messi in atto in Rete. Il bullo agisce offline, il cyberbullo online. Un cyberbullo inoltre può delinquere in uno spazio e in un tempo illimitati e può essere anche un bullo offline, e soprattutto non è necessario che sia un soggetto abitualmente deviante. Il gruppo online si forma in modi specifici, basato sull’omofilia (somiglianza tra individui in una o più caratteristiche rilevanti), la fiducia, condivisione di idee e interessi, ma non sempre si creano legami bonding (interni). Spesso si creano legami bridging online, appunto dei legami ponte, più effimeri e superficiali. Può accadere che questo tipo di legami, in virtù della loro natura debole, possano dar vita a un male relazionale, che si traduce nel semplice assemblaggio di persone pronte alla violenza. Nel cosiddetto dark web, ad esempio, la violenza esplode in tutta la sua forza gruppale, infatti, il cyberbullismo, è solo il più “innocuo” dei crimini. Vi è una crescente disabitudine all’ascolto delle proprie emozioni, e troppo spesso accade un ingorgo emotivo, che può sciogliersi in un vortice in cui l’affettività esplode dando sfogo ai peggiori istinti (la Rete facilita questi processi). Mentre la famiglia e la scuola ancora si interrogano sul da farsi e ancora delegano l’una all’altra la responsabilità dell’azione educativa, i giovani si dedicano a pratiche autoformative di tipo cognitivo ed emotivo, con sempre minore riflessività. Non è facile trovare genitori che accompagnino i figli nell’uso corretto dei media digitali, mentre è più facile trovare genitori assenti o iperprotettivi. La scuola oscilla tra timidi programmi di educazione digitale e totale ostracismo nei confronti dell’uso della Rete da parte dei propri studenti. Il divario tra saperi istituzionali e saperi mediatici può essere colmato solo grazie a nuovi codici e ad un linguaggio competitivo con quello dei media, in termini di prossimità al quotidiano e alle aspettative dei giovani. Il cyberbullismo arreca intenzionalmente un danno a un altro individuo anche se non necessita di essere reiterato, come il bullismo, in quanto l’azione si diffonde rapidamente e permane nel tempo grazie alle dinamiche che muovono le nuove tecnologie e la Rete. Sia il bullismo tradizionale, sia il cyberbullismo sono fenomeni in evoluzione poiché si stanno diffondendo forme di prevaricazioni rivolte a gruppi minoritari. Si parla infatti di bullismo discriminatorio, e nello specifico di bullismo omofobico quando odio e violenza si rivolgono a omosessuali, bisessuali e transessuali. Mentre ad esempio il bullismo etnico si manifesta verso un immigrato. Manifestazione di odio particolarmente cruenta è quella verso i disabili. Il bullismo discriminatorio ha a che fare con altri due elementi: età e genere. L’essere più piccolo o più grande rispetto al gruppo di appartenenza, o l’appartenenza ad un genere, attira angherie e soprusi. LA SPETTACOLARIZZAZIONE DELL’ODIO A metà degli anni Settanta si comincia a riflettere sui modi di sentire e sulla gestione delle emozioni. In questo periodo nasce la sociologia delle emozioni, un ambito di studi con due diverse concezioni delle emozioni: una positivista (emozioni considerate fenomeni sociali misurabili quantitativamente) e una antipositivista (emozioni considerate fatti cognitivi legati a processi mentali degli individui). Parallelamente all’interesse scientifico nei confronti delle emozioni, si registra una trasformazione culturale caratterizzata dal dilagare dell’emotività nei diversi ambiti della vita umana. Emerge un’idea di uomo emozionale, che si sente realizzato nel momento in cui si possono esprimere liberamente le proprie emozioni. I social media rappresentano il palcoscenico dove viene esibita l’ascesa della dimensione emotivoaffettiva. Attraverso film, fiction, videogiochi riemerge l’irrazionale come emozione forte, e oggi le emozioni devono essere provate con un ritmo più rapido. Oggi le emozioni si sono trasformate in oggetti da esternare e giustificare all’interno del modello di comunicazione sociale. I social media in particolare hanno cambiato il senso della posizione della comunicazione, rappresentando il luogo dove molto spesso prende forma lo spettacolo dell’odio. Lo sharing, che rappresenta l’attività costitutiva dei social media, si basa su due processi: il momento di produzione dei contenuti da parte degli utenti, e la condivisione di contenuti creati da altri utenti. L’audience può dunque entrare in contatto con i contenuti offensivi generati in qualunque momento grazie a 4 fattori: 1. Persistance: i contenuti durano nel tempo sulla Rete; 2. Visibility: un pubblico potenzialmente ampio può essere testimone dei contenuti in Rete; 3. Spreadibility: contenuti condivisibili e potenzialmente virali; 4. Searchability: contenuti si ricercano con facilità. Non bisogna considerare solo i social media come principali responsabili della diffusione di questi fenomeni; infatti, dimensione tecnologica e dimensione culturale sono realtà connesse. I migranti, ad esempio, sono una delle categorie più colpite sui social media nel nostro Paese, e le cause di questo fenomeno vanno rintracciate anche nella contaminazione tra media e politica. Narrazioni ad alto tasso di angoscia e criminalità hanno influito negativamente sulla diffusione di pregiudizi nei confronti dei migranti, e poche le eccezioni di iniziative volte invece a documentare le condizioni di vita e le difficoltà affrontate dai migranti stessi nel nostro Paese. Le notizie di migranti diventano oggetto di discussione sui social media su cui si scatenano gli haters. Ad esempio, significativi i picchi di tweet xenofobi, in corrispondenza di alcune notizie di cronaca commentate da Matteo Salvini. Alla pari dell’hate speech online, anche il cyberbullismo trova nei social media il palcoscenico adatto dove viene esibito l’odio finalizzato a colpire la vittima. Il cyberbullismo è un atto intenzionale aggressivo perpetrato da un individuo o da un gruppo, nel quale vengono utilizzati strumenti telematici in modo continuo nel tempo contro una vittima che non è in grado di difendersi. Forme di aggressione messe in atto dai cyberbulli sono schematizzate in 4 tipologie di comportamenti: 1. Scritto-verbale: comportamenti messi in atto tramite smartphone, messaggi, chat, website; 2. Visiva: l’invio o la diffusione di video o immagini compromettenti tramite Internet; THE SOCIAL NETWORK HATER? La vera rivoluzione avviene col passaggio dall’uso di tecnologie desktop all’utilizzo di tecnologie mobili. Alle prime sono legate gli immigrati digitali, con le seconde nascono e crescono i digital natives. Due sono gli aspetti che caratterizzano le forme di comunicazione e socializzazione degli immigrati e dei nativi digitali: da un lato l’anonimato, dall’altro il tempo. Riguardo all’anonimato in passato per accedere alle chat era necessario scegliere uno pseudonimo dietro cui si celava la propria identità. Oggi invece l’anonimato scompare quasi del tutto, perché nelle piattaforme di uso comune gli utenti utilizzano il proprio nome e cognome per parlare con persone che già conoscono. Secondo elemento di discontinuità è legato al tempo. Agli inizi dell’utilizzo della rete Internet la chat line rappresentava un’attività residuale a cui ci si dedicava quando non si sapeva cos’altro fare, con confini chiari e ben segnalati. Oggi il contatto è perenne, grazie alla diffusione delle reti Wi-Fi e agli abbonamenti dati più accessibili. Rispetto agli immigrati digitali, i nativi sono poco fedeli alle piattaforme online, pronti a migrare rapidamente verso nuove App, come ad esempio TikTok. A differenza degli immigrati digitali le relazioni sociali dei nativi digitali sembrano essere caratterizzate da precarietà, leggerezza e un crescente analfabetismo emotivo. Vi è una mancanza di consapevolezza e di controllo delle proprie emozioni e dei comportamenti che da esse scaturiscono. Questa incapacità a relazionarsi con le emozioni altrui interessa comunque anche gli adulti. In passato Pierre Lévy vedeva la costruzione di un legame sociale esprimersi all’interno della cybercultura fondata sulla condivisione del sapere e sull’apprendimento cooperativo. La cybercultura rappresentava il principio per la nascita di un’intelligenza collettiva. Se gli immigrati digitali hanno conosciuto il passaggio dalla cultura di massa alla cultura digitale, i nativi sono nati all’interno di quest’ultima e agiscono secondo le sue logiche. Tra gli effetti negativi della cultura digitale vi è un appiattimento delle pratiche di produzione e consumo, tant’è che gli immigrati digitali hanno cominciato a comportarsi come i nativi, spesso con la stessa superficialità e inconsapevolezza. Oggi le bacheche digitali dei social network si sono trasformate da piazze di discussione civile in arene pubbliche in cui riversare la rabbia e le proprie frustrazioni, dove a prevalere non è più il confronto ma lo scontro. Brutalità che è forse conseguenza di una crescente solitudine che ci fa sentire un unico insieme all’interno di una dimensione digitale che rende il contesto relazionale mobile e pervasivo. I social network haters sono una rete di individui che sentono la necessità di doversi scagliare a ogni costo verso chiunque possa esprimere un’opinione o pubblicare un contenuto a loro sgradito, attraverso i social media che sono un veicolo privilegiato di incitamento all’intolleranza e all’odio verso gruppi minoritari. L’odiatore non è più l’anonimo leone da tastiera, vuole anzi farsi riconoscere, mentre i bersagli dell’offesa sono sempre gli stessi (donne, omosessuali, disabili). Cosa possiamo fare dunque? In primis bisogna individuare il disagio e incontrarlo nel dialogo, un dialogo che richiedere una profonda conoscenza e comprensione dell’altro, condizione che risulta sempre più difficile all’interno di ambienti digitali. Le principali piattaforme sociali online si stanno adoperando per limitare i comportamenti devianti. È il caso della piattaforma Facebook, che di recente si è dotata di standard che descrivono cosa è e cosa non è consentito fare all’interno della propria community, al punto da poter limitare la libertà di espressione per tutelare i valori di autenticità, sicurezza e privacy. BULLISMO E CYBERBULLISMO: DUE FENOMENI A CONFRONTO Il bullismo viene definito come un sistemico abuso di potere, dominio continuo e ripetuto teso a intimidire, manipolare e ferire un’altra persona. Gli aspetti distintivi del bullismo sono 3: 1) Comportamenti di prevaricazione diretta (fisica e verbale) e indiretta (relazionale); 2) Prevaricazioni reiterate nel tempo; 3) Queste azioni coinvolgono sempre gli stessi soggetti che nel tempo cristallizzano il proprio ruolo come “bullo” e “vittima” all’interno di gruppi stabili (scuola, classe) e alla presenza di altri soggetti. I partecipanti assumono diversi ruoli ben definiti: 1) Il bullo accompagnato dai bulli gregari è il bullo dominante che manifesta un forte bisogno di potere; 2) I bulli gregari che aiutano il bullo dominante senza però prendere l’iniziativa nell’avvio delle prepotenze, mentre i sostenitori rinforzano il bullo con incitamenti e azioni dirette; 3) La vittima che può essere passiva (soggetto che tende ad isolarsi e a colpevolizzarsi) o anche provocatrice (adotta inconsapevolmente un comportamento che irrita i bulli) 4) Gli spettatori, che non intervengono per paura di essere vittimizzati e spesso si disinteressano di ciò che sta accadendo. Il cyberbullismo è definito come azione aggressiva, intenzionale ed effettuata attraverso l’utilizzo di strumenti elettronici di contatto, che si ripete più volte nel corso del tempo a danno di una vittima che non riesce facilmente a difendersi. Il cyberbullismo mira a recare intenzionalmente un danno ad un altro. Per quanto riguarda lo squilibrio di potere i cyberbulli si ritengono più esperti nell’uso della tecnologia, e a conferire potere non sarebbero comunque le competenze, bensì l’anonimato. Sembra che più sia distante la persona su cui si compie la prevaricazione, e più sul bullo agisce il disimpegno morale. Nel mondo virtuale non essere riconoscibili, permette di attivare un processo di depersonalizzazione e de- umanizzazione, attraverso il quale la vittima diviene un oggetto inanimato. Si parla di bullismo discriminatorio quando la relazione bullo-vittima presenta tutti gli indicatori descritti per il bullismo tradizionale e la vittima appartiene a un gruppo minoritario. Sono stati individuati sei fattori riconducibili al bullismo discriminatorio: un diverso orientamento sessuale (bullismo omofobico); appartenere a un’etnia diversa (bullismo etnico); essere portatore di una disabilità; fare parte di uno specifico sesso; avere una determinata età; professare una fede religiosa diversa. EDUCAZIONE EMOTIVA E RELAZIONE D’AIUTO L’intervento pedagogico finalizzato a instaurare un rapporto dialogico tra gli adulti e i giovani tiene conto del contributo di molte discipline: sociologia, psicologia dello sviluppo, semiotica. Le esigenze che emergono sono orientate a promuovere nei giovani l’acquisizione di modelli comunicativo-comportamentali improntati al rispetto, accettazione delle peculiarità di cui ognuno è portatore, al fine di poter relazionarsi in modo efficace. Comunicare ricorrendo a correte modalità d’interazione per garantire un processo educativo di crescita orientata alle relazioni. Comunicare rappresenta la modalità di espressione del sé, è la porta di accesso per relazionarsi con l’altro. Nel suo Discorso Rousseau sostenne che le scienze e le arti non hanno contribuito a migliorare gli uomini ma li hanno corrotti. Attraverso le arti e le scienze gli individui si sentono portati a volere apparire piuttosto che essere, indotti, ad assumere schemi comportamentali artificiali, lontani dalla loro autentica natura. Rousseau può essere considerato precursore di quanto a distanza di secoli si sarebbe venuto a creare. L’epoca post-moderna è un periodo caratterizzato dalla crisi della ragione, con la celebrazione della ragione umana e della conoscenza scientifica, e con la crisi antropologica, dove l’uomo postmoderno è considerato privo di qualità, e ha come unica realtà la replicazione della sua vita quotidiana (l’identità gli viene fornita dai beni che gli appartengono). L’importanza riconosciuta al ruolo delle emozioni ha registrato un interesse scientifico già verso la metà del Seicento con la nascita della scienza empirica. Il filosofo Thomas Brown suggerì di ricorrere al termine di emozione, evidenziando la necessità di determinare l’importanza della vita, delle emozioni, e dei sentimenti. Adam Smith fornì un significativo contributo ponendo le fondamenta di quella che potremmo definire la scienza delle emozioni in quanto sostenne che per la loro importanza, potessero essere considerate il collante per tenere insieme il tessuto sociale. Riassumendo, la ragione, per raggiungere una completezza necessitava della sfera emozionale. Anche Rousseau sostenne l’importanza del ruolo delle emozioni nelle scelte quotidiane, ritenendo che l’uomo ha la possibilità di recuperare lo stato di natura, solo ascoltando i propri sentimenti. Nell’Ottocento invece Darwin attribuì dignità scientifica alla sfera emotiva. Attraverso gli studi darwiniani le emozioni non solo assursero alla stessa importanza del camminare, respirare, e mangiare, ma risultarono essere in possesso anche degli animali. Naturalmente i diversi approcci non erano condivisi all’unanimità. Ad esempio, per Freud non era necessario tenere in considerazione la mente o psiche, poiché non è facile trattare i sentimenti in maniera scientifica. Nei soggetti che adottano condotte vessatorie è stata rilevata la mancanza, parziale o totale di due importanti emozioni: la vergogna e il senso di colpa (emozioni indispensabili per poter valutare le conseguenze negative delle azioni aggressive). L’analfabetismo emotivo, oltre a generare il disagio di non sapere individuare e riconoscere le proprie e altrui emozioni, si accompagna alla mancanza di parole per poter esperire il mondo interiore, rivelando una incapacità nel nominare le emozioni. Le neuroscienze affettive hanno fatto emergere che il potere delle emozioni non genera necessariamente risposte positive, e la loro alterazione è all’origine delle principali malattie psicosomatiche e dei disturbi psicologici. Già dalla scuola dell’infanzia gli insegnanti potrebbero progettare percorsi di educazione alle emozioni primarie poiché queste vengono riconosciute a partire dal loro quarto anno di vita. Educare emotivamente per far acquisire ai giovani le competenze utili alla gestione della propria vita emotiva facilitandone l’adattamento psico-sociale. È dunque opportuno un intervento precoce della scuola nell’educare gli alunni alle emozioni. L’obiettivo da raggiungere è quello di rendere i giovani capaci di riconoscere e contenere le emozioni negative che potrebbero sfociare in atteggiamenti di bullismo. Il docente assumerà una duplice connotazione ponendosi sia come medium per aiutare i bambini ad analizzare il proprio comportamento aggressivo, sia come figura di riferimento nella costruzione e crescita emotiva di ogni studente.
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