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Riassunto neuropsicologia - Università Mercatorum, Dispense di Neuropsicologia

Riassunto completo del corso di neuropsicologia, con evidenziate le risposte alle simulazioni fornite dalla piattaforma.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 09/01/2023

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Scarica Riassunto neuropsicologia - Università Mercatorum e più Dispense in PDF di Neuropsicologia solo su Docsity! CAPITOLO 1: IL FUNZIONAMENTO NEUROFISIOLOGICO: UNITÀ CELLULARI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE Quando parliamo di sistema nervoso intendiamo un’unità morfo-funzionale altamente specializzata nell'elaborazione di segnali bioelettrici. Schematicamente possiamo dividere il sistema nervoso in due componenti principali: 1. Sistema nervoso centrale (SNC); 2. Sistema nervoso periferico (SNP); Le strutture che compongono il Sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico sono il cervello e il midollo spinale; i nervi, fasci di fibre nervose strettamente avvolte da tessuto connettivo, portano i segnali dal sistema nervoso centrale ai distretti periferici e da questi ultimi al sistema nervoso centrale o ai gangli, piccole masse costituite dall’aggregazione dei corpi cellulari dei neuroni, che formano il sistema nervoso periferico. Funzioni del sistema nervoso Il sistema nervoso è in grado di ricevere, integrare e trasmettere impulsi nervosi:  Quando parliamo di ricezione dell’input sensoriale parliamo di afferenza sensoriale. La ricezione dell’input sensoriale può avvenire grazie alla ricezione di segnali provenienti dall’ambiente che vengono trasmessi dai recettori ai centri di integrazione.  L’integrazione consiste nell’interpretazione dei segnali sensoriali attraverso il sistema nervoso centrale e nella successiva formulazione e integrazione di risposte adeguate.  Emissione dell’output motorio (efferenza motoria): consiste nella trasmissione dei segnali dai centri di integrazione, attraverso il sistema nervoso periferico, alle cellule effettrici. Una cellula nervosa, o neurone, è costituita da tre parti che sono il corpo cellulare, i dendriti e gli assoni. Il corpo cellulare contiene la maggior parte degli organelli. I dendriti sono ramificazioni che ricevono i segnali da altri neuroni e li conducono al corpo cellulare; mentre gli assoni possono essere anche molto lunghi e trasmettono i segnali ad altre cellule. Il corpo cellulare, anche detto soma o perikaryon, contiene il nucleo ed il citoplasma ad esso attiguo. Nella maggior parte dei vertebrati gli assoni sono mielinizzati, ossia circondati da un involucro lipidico isolante (guaina mielinica) prodotto da cellule di sostegno specializzate: gli oligodendrociti nel SNC e le cellule di Schwann nel SNP. Schematicamente quindi i neuroni sono formati da:  DENDRITI: sottili processi che si ramificano e ricevono segnali di ingresso provenienti da altre cellule nervose;  ASSONE: origina dal corpo cellulare ed è in grado di condurre impulsi elettrici per tratti molto estesi sino alle terminazioni sinaptiche o a cellule e organi bersaglio;  SOMA: contiene nucleo e organuli necessari per la sintesi di RNA delle proteine. Le principali differenze tra assoni e dendriti possono essere che gli assoni portano le informazioni via dal corpo cellulare mentre i dendriti portano le informazioni al corpo cellulare. Gli assoni hanno la loro superficie liscia mentre i dendriti presentano una superficie rugosa per la presenza di spine dendridiche. Di assone generalmente ce n'è uno solo per cellula mentre i dendriti sono generalmente molti per ogni cellula. Gli assoni non hanno ribosomi, al contrario dei dendriti, e possono essere mielinizzati, mentre i dendriti non lo sono. Infine gli assoni si ramificano lontano dal corpo cellulare mentre i dendriti si ramificano vicino al corpo cellulare. Nel sistema nervoso centrale ci sono due tipi di fenomeni che si possono verificare: la convergenza e la divergenza.  La convergenza è un fenomeno per il quale un elevato numero di segnali vengono trasmessi allo stesso neurone, questo è un tipico fenomeno che avviene nelle cellule corticali piramidali.  La divergenza è un fenomeno dove la diffusione di segnali provenienti da un singolo neurone ha molteplici bersagli. I neuroni possono essere classificati per il numero di processi e dal tipo di processi, in quanto questi determineranno la loro forma; in particolare possiamo classificare i neuroni in:  I neuroni unipolari costituiscono la classe più semplice di neuroni. Hanno un solo processo primario, in generale fornito di molte ramificazioni. Una di queste è l’assone mentre le altre servono come strutture dendritiche di ricezione. Sono caratteristici del sistema nervoso degli invertebrati; nei vertebrati vanno a formare i gangli del sistema nervoso autonomo.  I neuroni pseudounipolari sono cellule che si sviluppano inizialmente come cellule bipolari; i due processi vanno in seguito incontro a fusione formando un unico assone che emerge dal corpo cellulare e si suddivide quindi in due branche: l’una decorre verso la periferia mentre l’altra entra nel midollo spinale.  I neuroni bipolari hanno un corpo ovoidale che dà origine a due processi: un dendrite, che porta informazioni provenienti dalla periferia al corpo, e un assone, che invia informazioni al sistema nervoso centrale. Molti neuroni bipolari sono di natura sensitiva.  I neuroni multipolari predominano nel sistema nervoso dei vertebrati. Hanno un unico assone e una o più branche dendritiche che, in generale, possono nascere da ogni parte del corpo cellulare. Quando ci riferiamo alla loro funzione i neuroni possono essere classificati come:  I Neuroni sensitivi: portano alla periferia del corpo al sistema nervoso centrale le informazioni necessarie sia per la percezione che per la coordinazione motoria.  I Motoneuroni: portano ordini, dal cervello o dal midollo spinale, ai muscoli o all’apparato ghiandolare.  Gli Interneuroni: costituiscono la classe di neuroni di gran lunga più numerosa e comprendono tutte le cellule del sistema nervoso che non siano specificatamente sensitive o motrici. Sono suddivisi a loro volta in interneuroni di ritrasmissione o di proiezione che posseggono assoni lunghi e trasmettono informazioni a distanze considerevoli, da una regione cerebrale all’altra. Gli interneuroni locali hanno invece assoni brevi ed elaborano informazioni all’interno di circuiti locali. Per funzionare normalmente i neuroni hanno bisogno del supporto delle cellule gliali. Esistono due tipi di cellule gliali, le cellule di Shwann nel SNP e gli oligodendrociti nel SNC, che sono particolari cellule che avvolgono gli assoni con la guaina mielinica. Le cellule gliali servono da elementi di sostegno, dando forma e consistenza al tessuto nervoso. Il sistema nervoso periferico contiene due tipi di cellule gliali, le cellule di Schwann e le cellule satelliti, mentre il SNC ne contiene quattro tipi:  Astrociti  Oligodendrociti/Cellule di Schwann  Microglia  Cellule ependimali Istologicamente gli astrociti sono divisi in due sottoclassi, fibroso e protoplasmatico. Il primo si trova nella sostanza bianca, il secondo nella grigia. Nel tessuto patologico troviamo la glia reattiva. Questa viene a volte identificata come astroglia. La funzione principale degli oligodendrociti è la formazione di guaine mieliniche attorno agli assoni. Le cellule di Schwann nel SNP e gli oligodendrociti nel SNC sostengono gli assoni e li isolano formando la mielina. Le cellule di Schwann sono gli oligodendrociti che ricoprono le fibre nervose periferiche. Nel sistema nervoso periferico una cellula di Schwann avvolge di mielina un solo assone mentre nel sistema nervoso centrale un oligodendrocita può rivestire con la mielina diversi assoni vicini. La microglia è rara o assente nel normale tessuto nervoso centrale, ma è comune nei siti di infiammazione e lesioni. La funzione principale è la rimozione delle cellule morte e di altri detriti tramite  L’assenza di un elemento strutturale che connette le cellule  La presenza di vescicole presinaptiche (neurotrasmettitori) Sinapsi elettriche. Possono essere trasmesse sia depolarizzazioni sia iperpolarizzazioni. Sinapsi chimiche. Solo una depolarizzazione presinaptica è efficace per la trasmissione. L’arrivo di un potenziale d’azione nella terminazione di un assone presinaptico determina l’apertura di canali Ca2+ voltaggio-dipendenti. Di conseguenza, la concentrazione degli ioni Ca2+ aumenta in queste zone e ciò determina la fusione delle vescicole sinaptiche che contengono il neurotrasmettitore con la membrana citoplasmatica (endocitosi). Così le vescicole liberano il loro contenuto nella fessura sinaptica (esocitosi). Il neurotrasmettitore diffonde attraverso la fessura sinaptica e si lega a recettori specifici sulla membrana postsinaptica. I recettori, a loro volta, aprono o chiudono canali ionici. La trasmissione sinaptica chimica comporta due diversi processi: un processo di trasmissione, che provvede alla liberazione di una sostanza chimica capace di trasmettere il messaggio, e un processo recettivo, mediante il quale il neurotrasmettitore si lega a molecole di recettori situati sulla membrana della cellula postsinaptica. Una vasta gamma di sostanze chimiche può fungere da neurotrasmettitore, ma l’azione che essi esercitano sull’elemento postsinaptico non dipende tanto dalla loro struttura chimica quanto dalle proprietà dei recettori che li riconoscono e con i quali essi si legano. Due tipi di neurotrasmettitori:  Neurotrasmettitori eccitatori: Inducono l’innesco di potenziali d’azione  Neurotrasmettitori inibitori: Riducono la capacità della cellula di innescare potenziali d’azione. Esistono due famiglie di recettori: 1. Recettori che modificano direttamente le condizioni di accesso ai canali, detti recettori ionotropici. 2. Recettori che controllano indirettamente l’accesso ai canali e sono accoppiati con G-protein, detti recettori metabotropici:  Hanno un’unità recettiva che riconosce il neurotrasmettitore.  Tale unità è lontana dai canali ionici. CAPITOLO 4: ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO: INTRODUZIONE Una sezione è individuata da un taglio lungo un piano all’interno dell’organo. I vari piani di sezione sono individuati da assi e sono:  Piano orizzontale: individuato dall’asse sinistro-destro e dall’asse antero-posteriore. Nel caso dell’encefalo, è anche chiamata sezione trasversale;  Piano coronale: individuato dall’asse laterale e dall’asse dorso-ventrale;  Piano sagittale: è perpendicolare all’asse laterale. Le sezioni che non passano per il punto medio sono parasagittali. I termini anteriore, posteriore, superiore e inferiore si riferiscono all’asse longitudinale del corpo, che è dritto. I termini dorsale, ventrale, rostrale e caudale si riferiscono all’asse longitudinale del SNC (prosencefalo e tronco encefalico/midollo spinale). Termini direzionali:  Rostrale > verso il naso (anteriore – verso l’alto)  Caudale > verso la coda (posteriore – verso il basso)  Dorsale > posteriore  Ventrale > anteriore La complessità organizzativa di organismi pluricellulari ha portato alla formazione di cellule specializzate per le funzioni di elaborazione dello stimolo, i neuroni. Queste cellule specializzate, assieme alle cellule di sostegno formano il sistema nervoso. Esse sono in grado di:  recepire gli stimoli in entrata (attività afferente o sensitiva)  elaborare risposte adeguate (attività efferente o motoria) Nei vertebrati si distinguono:  sistema nervoso centrale (SNC): detto anche nevrasse, contenuto in involucri ossei;  sistema nervoso periferico (SNP): costituito da tutti gli elementi nervosi che collegano l’ambiente e l’interno dell’organismo al nevrasse. Dal punto di vista embriologico, l’encefalo si sviluppa a partire da 3 vescicole del primitivo tubo neurale:  Prosencefalo, che evolve in Telencefalo e Diencefalo;  Mesencefalo;  Romboencefalo, da cui originano bulbo, ponte e cervelletto. Il sistema nervoso centrale è costituito dall'encefalo e dal midollo spinale. Il suo compito è di identificare, interpretare e integrare gli impulsi che arrivano dai neuroni sensoriali, generare una risposta adeguata e trasmetterla ai neuroni motori. L’encefalo e il midollo spinale sono protetti da tre membrane chiamate meningi. Le meningi sono un sistema di membrane che, all’interno del cranio e del canale rachidiano, rivestono il SNC e proteggono l’encefalo e il midollo spinale. Sono:  Dura madre: è fortemente fibrosa e pertanto è molto dura. Contiene vasi venosi che drenano il sangue dal SNC attraverso cavità dette seni venosi;  Aracnoide: interposta tra dura madre e pia madre; è formata da due foglietti, foglietto parietale, che aderisce alla dura madre, e foglietto viscerale, che è in rapporto con la pia madre. Ha uno spessore maggiore della pia madre;  Pia madre: strato di connettivo che si trova direttamente al di sopra della superficie cerebrale. Contiene le arterie che irrorano il sistema nervoso. Ventricoli cerebrali: cavità dell’encefalo a forma di corno contenenti il liquido cerebro-spinale; sono 4:  2 ventricoli laterali (I e II): sono i più grandi e corrono lungo i 2 emisferi cerebrali. Formano una curva che entra nel lobo temporale;  2 ventricoli discendenti (III e IV): il III è quello mediale con un canale che attraversa il mesencefalo e stabilisce una comunicazione tra III e IV ventricolo. Il IV ventricolo si trova a livello del bulbo e del ponte ed è continuo con il canale centrale del midollo spinale. Gli emisferi cerebrali nell’uomo sono caratterizzati dalla presenza di giri o circonvoluzioni e solchi. Gli emisferi cerebrali sono collegati dal corpo calloso, una struttura fibrosa di materia bianca, e sono suddivisi in regioni chiamate lobi, nominati a seconda dell’osso piatto del cranio vicino al quale si trovano:  Lobo frontale: si trova rostralmente rispetto al solco centrale. Il giro pre-centrale fa parte di questo lobo;  Lobo parietale: si trova caudalmente rispetto al solco centrale, ed è separato dal lobo temporale dalla scissura di Silvio;  Lobo temporale: presenta un giro temporale superiore, mediale e inferiore. È separato dal resto dell’encefalo dalla scissura laterale;  Lobo occipitale: si trova nella parte più caudale dell’encefalo. Contiene la scissura calcarina, che ospita la corteccia visiva primaria, la prima regione corticale che riceve gli input visivi provenienti dalla retina. Il sistema nervoso periferico (SNP) è posto fuori dagli involucri ossei ed è costituito da formazioni nervose: nervi spinali e nervi encefalici, che trasmettono impulsi:  dagli organi extranervosi (informazioni afferenti)  verso gli organi extranervosi (informazioni efferenti) I nervi encefalici e spinali sono costituiti da:  fibre afferenti: fibre sensitive che portano informazioni al centro partendo dalla periferia;  fibre efferenti: portano informazioni alla muscolatura scheletrica liscia, al miocardio, alle ghiandole. Sia le fibre afferenti che le fibre efferenti possono avere funzioni:  somatiche: fibre sensitive somatiche e motrici somatiche, collegate alla risposta volontaria;  vegetative: fibre sensitive e motrici viscerali, collegate alle risposte involontarie. I nervi periferici possono contenere sia fibre somatiche che vegetative (nervi misti) oppure solo alcuni di essi. Il sistema nervoso periferico si può dividere in due parti:  Sistema nervoso somatico o volontario;  Sistema nervoso autonomo o vegetativo. Il sistema nervoso volontario è costituito dalle fibre nervose periferiche che inviano informazioni sensoriali al sistema nervoso centrale e dalle fibre nervose motorie che comandano la contrazione e la distensione dei muscoli scheletrici. È costituito dai nervi cranici e dai nervi spinali. Il sistema nervoso autonomo comprende l'insieme di fibre nervose che corrono lungo la colonna vertebrale e che innervano gli organi interni e le ghiandole, svolgendo funzioni che generalmente sono al di fuori del controllo volontario. I fasci di nervi del sistema nervoso autonomo, detto simpatico, generalmente stimolano l’attività di un organo, mentre quelli del fascio parasimpatico la rallentano o la bloccano. CAPITOLO 5: ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO: LA CORTECCIA CEREBRALE Il cervello umano è tra i più grandi, relativamente al peso, e presenta un maggior numero di circonvoluzioni rispetto alle altre specie. Nel ratto e nel gatto la curvatura dell’encefalo è minima. I primati più specializzati hanno una maggiore superficie della corteccia cerebrale e un maggior numero di circonvoluzioni. I primati meno specializzati hanno una corteccia olfattiva più vasta, comparativamente al resto della corteccia, chiamata neocorteccia. La neocorteccia, struttura molto sviluppata nei mammiferi, è organizzata in 6 strati. La corteccia paraippocampale, chiamata anche allocorteccia, è organizzata in 3 o, in alcune regioni specializzate, 4 strati. Il lobo limbico è quella parte della corteccia cerebrale che forma una sorta di bordo attorno al corpo calloso e al diencefalo. È detto anche il 5° lobo. Il sistema limbico è l’insieme di strutture collegate al lobo limbico dal punto di vista funzionale, che comprende:  Corteccia cingolata o giro del cingolo: è una parte molto interna della corteccia cerebrale, immediatamente adiacente al corpo calloso. È distinta in giro del cingolo anteriore, mediale e posteriore. Nella zona anteriore e ventrale del giro del cingolo anteriore è presente la corteccia subgenuale, chiamata così perché si trova sotto un ginocchio di corpo calloso; nella zona più ventrale del giro del cingolo posteriore si trova, invece, la corteccia retrospleniale, situata posteriormente rispetto allo splenio del corpo calloso. La corteccia cingolata è una regione neocorticale.  Ippocampo: regione allocorticale situata nel lobo temporale mediale. Presenta uno strato più denso, chiamato giro dentato, e una struttura arrotolata chiamata corno di Ammone.  Talamo: complesso di nuclei situato nel diencefalo.  Amigdala: complesso di nuclei che si trova nel lobo temporale mediale, anteriormente all’ippocampo. Presiede all’elaborazione delle emozioni e della cognizione sociale.  Bulbo olfattivo, che continua con il tratto olfattivo. L’olfatto è l’unico senso che non passa dal talamo prima di raggiungere la corteccia.  Corpi mammillari: due piccoli tubercoli che sporgono dalla parte omentale dell’encefalo e fanno parte del diencefalo. Hanno la stessa origine embriologica del talamo e sono ad esso connessi tramite il villo talamico, anch’esso facente parte del lobo limbico. indagare le caratteristiche funzionali degli organi e degli apparati nei quali il radiofarmaco si localizza.  La Tomografia a Emissione di Singolo Fotone (SPECT) è una tecnica simile alla PET che adopera una radiazione ionizzante, i raggi gamma. È in grado di ricostruire la distribuzione tridimensionale della radioattività all’interno di organi e tessuti del corpo umano. La radioattività è dovuta a sostanze in grado di emettere fotoni, somministrate al paziente.  La Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) permette di vedere il cervello in attività sfruttando le variazioni di ossigenazione del flusso sanguigno (effetto BOLD – Blood Oxygen Level Dependent) dove il sangue fa da mezzo di contrasto. La fMRI è una tecnica di imaging biomedico non invasiva che fornisce una mappa delle aree cerebrali funzionalmente eloquenti, ovvero coinvolte nello svolgimento di un determinato compito cognitivo, come parlare, leggere, muovere una parte del corpo ecc. Le aree cerebrali che vengono reclutate durante lo svolgimento di un compito sono anche quelle in cui viene consumato più ossigeno. Di conseguenza, varia il rapporto tra Ossiemoglobina e Deossiemoglobina presenti nelle aree reclutate dall’attivazione. Tale variazione viene rivelata dal segnale di risonanza magnetica e tradotta in immagini.  Deossiemoglobina: Paramagnetica > presenta momento magnetico diverso da 0 e si orienta rispetto al campo magnetico. La presenza di deossiemoglobina crea una distorsione del campo magnetico applicato.  Ossiemoglobina: Diamagnetica > presenta momento magnetico pari a 0 e non si orienta rispetto al campo magnetico.  La Magnetoencefalografia (MEG) si basa sulla misurazione dei campi magnetici prodotti dall'attività elettromagnetica dell'encefalo. Viene usata per valutare le fluttuazioni del campo magnetico che l'organismo produce; studia dunque la funzionalità cerebrale tramite la misura di tale campo magnetico generato dall'attività elettrica cerebrale. Southern, Northern and Western Blot sono tecniche di ricerca molecolare utilizzate per analizzare le molecole cellulari (DNA, RNA e proteine). Il patch clamp ("blocco di area") è una tecnica usata per misurare le correnti che attraversano singoli canali ionici presenti nella membrana cellulare. CAPITOLO 7: SVILUPPO ED EVOLUZIONE DEL CERVELLO La fecondazione è un processo in cui il gamete maschile (aploide, 1n) e quello femminile (aploide, 1n) si fondono per formare lo zigote, cellula uovo fecondata (diploide, 2n). La fecondazione degli ovociti femminili può avvenire in un arco di tempo di circa 24 ore dopo l’ovulazione della cellula uovo. In tale periodo, chiamato capacitazione, gli spermatozoi devono soggiornare per alcune ore all’interno delle vie genitali femminili. L’ingresso dello spermatozoo nella cellula uovo scatena la reazione corticale: 1. impedisce l’ingresso di altri spermatozoi; 2. stimola il completamento della meiosi. Lo zigote inizia lo sviluppo dividendosi ripetutamente (segmentazione) e originando una massa di cellule (blastomeri) detta morula. Da 3 a 5 cellule diventeranno placenta, il resto delle cellule serviranno per formare il bambino. All’interno della morula si crea una cavità ripiena di liquido nella quale sporge una piccola massa di cellule (nodo embrionale). Dal nodo embrionale si forma un disco, chiamato blastodisco che è formato da due foglietti di cellule sovrapposti:  epiblasto: rivolto verso la cavità amniotica;  ipoblasto: rivolto verso il blastocele. La blastocisti determina la formazione del blastodisco caratterizzato da 2 strati di cellule. La successiva gastrulazione determina la gastrula. La gastrulazione determina il differenziamento del nodo embrionale in tre foglietti embrionali:  Ectoderma (epiblasto)  Mesoderma (il nuovo foglietto)  Endoderma (ipoblasto) L’Endoderma darà origine a: apparato respiratorio, digerente e ghiandole ad esso annesse e apparato urinario. Il Mesoderma darà origine a: muscolatura, apparato urogenitale, vasi sanguigni, sangue e ossa. L’Ectoderma darà origine a: epidermide e annessi cutanei, porzioni di organi di senso e sistema nervoso. L’ induzione neurale è un processo mediante il quale alcune cellule del foglietto più esterno dell'embrione, ectoderma, cominciano a trasformarsi in tessuto nervoso. Dal mesoderma ha origine la notocorda che formerà le ossa del sistema nervoso centrale, tra le quali la colonna vertebrale. La notocorda induce la formazione del sistema nervoso differenziando tramite fattori chemioattvi le cellule dell’ectoderma in cellule cutanee e neuroblasti. o Il primo atto della formazione del sistema nervoso è la formazione della placca neurale. o La placca neurale forma un’invaginazione che scende sotto la superficie dell’embrione con la formazione di pieghe neurali che prendono il nome di creste neurali. o Le creste neurali si uniscono e si fondono formando il tubo neurale. Appena il tubo neurale si chiude la cavità si riempie di liquido cerebrospinale e le cellule cominciano a dividersi a grande velocità. Comincia il processo proliferativo, un rapido moltiplicarsi delle cellule per mitosi. La cessazione del processo mitotico innesca la successiva migrazione: un movimento ameboide, su un substrato, verso la destinazione definitiva. Durante la migrazione le cellule iniziano il processo di differenziazione conferendo l’indirizzo definitivo. La morte cellulare programmata serve alla formazione di sinapsi stabili e veloci. Dopo essersi formato il tubo neurale, caudalmente diverrà sistema nervoso periferico, medialmente midollo spinale mentre rostralmente genererà 3 vescicole encefaliche:  Romboencefalica → cervelletto, ponte, midollo allungato;  Mesencefalica: fa sì che l’encefalo curvi dalla polarità rostro-caudale ad una dorso-ventrale → acquedotto cerebrale, peduncoli cerebrali, lamina quadrigemina, substanzia nigra;  Proencefalica → telencefalo, diencefalo. All’estremità anteriore del tubo neurale si costituiscono tre importanti aree encefaliche:  Proencefalo  Diencefalo  Telencefalo  Mesencefalo  Romboencefalo  Metencefalo  Mielencefalo Successivamente queste tre aree si dividono ulteriormente. Questo processo è chiamato encefalizzazione. Alla nascita il cervello non è completamente sviluppato, esso è solo un terzo di quello adulto. Il suo sviluppo prosegue per tutto il primo anno. Le aree associative prefrontali raggiungeranno la piena maturità soltanto a 20 – 25 anni.  Alla nascita le fibre nervose non sono rivestite di mielina e il neonato non è in grado di controllare i propri movimenti ma reagisce ai rumori e segue con gli occhi gli oggetti in movimento  Al raggiungimento di 1 anno circa il cervello aumenta di volume e le fibre nervose si rivestono di mielina.  Al raggiungimento di 5 anni circa maturano i centri del linguaggio, il bambino parla ed è in grado di leggere e scrivere.  Al raggiungimento di 15-16 anni circa il cervello ha raggiunto una capacità più o meno simile a quella di un adulto, ma i gruppi cellulari che formano la materia grigia andranno avanti a svilupparsi fino a oltre 20 anni. CAPITOLO 8: SVILUPPO ED EVOLUZIONE DELLE FUNZIONI COGNITIVE Le caratteristiche dello sviluppo cerebrale sono:  Stabilità: l’organizzazione delle cellule e delle strutture cerebrali risponde a un programma genetico che specifica l’ordine con cui le strutture si costituiscono e in parte il ritmo a cui questo avviene.  Plasticità: capacità del cervello di adattarsi e modificare le sue caratteristiche strutturali e funzioni alle necessità del momento.  Unicità: l’espressione genica differisce anche in due cloni. Apprendimento nervoso:  generazione di sinapsi (sinaptogenesi).  selezione di legami nervosi: questa fase si estende per oltre 10 anni (il cervello continua a specializzarsi sino alla pubertà)  i processi di generazione e potatura delle sinapsi si verificano in tempi e ritmi diversi a seconda delle aree corticali, secondo un programma genetico. Le funzioni cognitive sono tutti quei processi mentali di ordine superiore che ci permettono di conoscere il mondo. Sviluppo delle funzioni cognitive:  Codificazione: passaggio alla memoria (informazioni rilevanti vs. irrilevanti);  Automaticità: sforzo consapevole vs. nessuno (minore) sforzo;  Costruzione di una strategia: tecniche;  Auto-modifica: adattare conoscenze pregresse;  Metacognizione: consapevolezza di sapere. L’orientamento è la capacità cognitiva di base. Lo sviluppo dell’orientamento è strettamente legato alla capacità di attenzione spaziale, che nel suo sviluppo assume una forma:  Implicita, quando avviene in assenza di movimenti oculari;  Esplicita, quando il bambino inizia ad usare i movimenti del capo e quelli degli occhi per orientarsi. Attenzione: capacità cognitiva di ordine superiore, determina la capacità di selezione degli stimoli presenti nell’ambiente. Sviluppo dell’attenzione:  Prime settimane di vita: la capacità di selezionare gli stimoli agisce come meccanismo di preferenza: comincia l’aggancio e lo sgancio dagli stimoli.  4 mesi: alla capacità di selezionare gli stimoli, si aggiunge l’abilità di mantenere per un tempo sempre più prolungato l’attenzione verso un dato stimolo selezionato. Memoria: sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell’informazione. Expertise: costruzione di una conoscenza estesa e approfondita rispetto a un certo dominio. Strategia: chunking (dividere il dominio in sotto-fasi o sotto-categorie in modo da spezzettarlo e accumulare le conoscenze una per volta). Implica la conoscenza organizzata intorno ad idee e concetti importanti ed è costruita attraverso nodi e interrelazioni.  Embolica: il trombo si stacca dalla parete del vaso che lo contiene e migra in altre regioni del circolo, e raggiunge i vasi cerebrali più piccoli. L’embolia si verifica frequentemente nei pazienti che, a causa di altri danni, rimangono allettati per molto tempo. La circolazione nelle gambe è ridotta e si possono formare dei trombi di piccola dimensione, che finiscono nel circolo sanguigno e raggiungono le arterie cerebrali (ictus cerebrale), le arterie coronarie (infarto del miocardio) o le arterie polmonari (edema polmonare). Se il trombo è piccolo e va ad occludere un’arteriola o un gruppo di capillari, è più probabile che anche la lesione sarà più piccola. Il tema delle lesioni è fondamentale per comprendere alcune funzioni cerebrali: o Funzioni segregate tra di loro: indipendenti o parzialmente indipendenti; o Funzioni integrate: interagiscono tra di loro, quindi se si perde una delle 2 funzioni, si perde anche quella integrata. La degenerazione neuronale può essere causata da: 1. Degenerazioni da malnutrizione; 2. Morbo di Alzheimer; 3. Morbo di Parkinson, coinvolge i neuroni dopaminergici della sostanza nigra; 4. Corea di Huntington; 5. Degenerazione con l’avanzare dell’età. CAPITOLO 10: LINGUAGGIO E LATERALIZZAZIONE Il linguaggio umano ha caratteristiche peculiari che lo distinguono da tutte le altre forme di comunicazione:  Creatività: siamo in grado di creare e capire immediatamente una serie infinita di frasi significative per mezzo di regole grammaticali.  Forma: il linguaggio fa un uso infinito di un numero limitato di suoni.  Contenuto: a differenza della comunicazione gestuale, il linguaggio può raffigurare e comunicare idee astratte, con significato del tutto indipendente dalle situazioni contingenti.  Uso: il linguaggio è un mezzo di comunicazione sociale. Ogni volta che parliamo o scriviamo perseguiamo uno scopo sociale. Dopo la morte di “Tan”, Paul Broca che ne aveva studiato il caso eseguì l’autopsia del cadavere e scoprì una grave lesione nella corteccia cerebrale inferiore sinistra, situata subito davanti alla corteccia motoria primaria. Quest’area, che oggi porta il nome di area di Broca, è coinvolta nella produzione del discorso. Area di Wernicke. Localizzazione: prima circonvoluzione temporale sinistra. Ruolo: comprensione del linguaggio, centro uditivo-verbale. Altre regioni coinvolte nell’elaborazione del linguaggio:  Fascicolo Arcuato: connette l’area di Broca all’area di Wernicke;  Network frontale, parietale e temporale sinistro: organizzazione sintattica;  Regioni motorie e somato-sensoriali: implicate nella coordinazione dei muscoli bucco-facciali per la produzione del linguaggio. Col termine lateralizzazione si intende la localizzazione di una funzione principalmente nell’uno o nell’altro emisfero cerebrale. Una corretta lateralità è fondamentale per il normale sviluppo di ogni essere vivente. Il processo di lateralizzazione nell'uomo termina a 7-8 anni. Le capacità linguistiche dell’uomo dipendono dall’integrità di diverse aree specializzate che si trovano prevalentemente nelle cortecce di associazione dei lobi temporale e frontale. Nella stragrande maggioranza delle persone le funzioni linguistiche sono localizzate nell’emisfero sinistro. L’emisfero destro è invece specializzato nell’analizzare i suoni e le differenze di ampiezza, timbro e diversi aspetti della musica. I collegamenti tra i suoni delle parole e i loro significati sono rappresentati nella corteccia temporale sinistra. I circuiti alla base dei comandi motori che coordinano la produzione di discorsi sensati si trovano soprattutto nella corteccia frontale sinistra. Il contenuto emotivo del linguaggio è ampiamente controllato dall’emisfero destro. Intervento chirurgico dello «split brain» (cervello diviso): recisione di tutte e quattro le vie di connessione interemisferica. È grazie a questi esperimenti di Joseph Bogen che è stato possibile scoprire la specificità dei due emisferi cerebrali nelle diverse sotto-funzioni del linguaggio. Lateralizzazione manuale e lateralizzazione cerebrale:  90% della popolazione: destrimane  96%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero sinistro;  4%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero destro.  10% della popolazione: mancina  70%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero sinistro;  15%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero destro;  15%: entrambi gli emisferi vengono utilizzati in modo equivalente. La lateralizzazione cerebrale e la lateralizzazione manuale generalmente coincidono, ma possono non coincidere. Ascolto dicotico: tecnica di analisi delle funzioni cognitive e cerebrali utilizzata in psicologia e in neuroscienze per lo studio delle asimmetrie emisferiche, dell'attenzione e della coscienza. 1. Sillaba presentata soltanto all’orecchio destro; il soggetto ripete. 2. Sillaba presentata soltanto all’orecchio sinistro; il soggetto ripete. 3. Sillabe diverse presentate simultaneamente ai due orecchi. Gli studi hanno evidenziato che i destrimani, in caso di stimoli verbali, quando interrogati sullo stimolo meglio percepito tendono a riportare quello presentato all'orecchio destro, mentre viceversa avviene per gli stimoli non verbali. Test di Wada, o «dell’amital sodico»:  Somministrazione di un blando anestetico, introdotto dentro una delle due arterie carotide interne;  Il farmaco viene iniettato in un emisfero alla volta;  L’anestetico azzera momentaneamente qualsiasi funzione linguistica in uno dei due emisferi;  Ciò permette di valutare l'emisfero non anestetizzato. Specialmente se l’iniezione è applicata all’emisfero sinistro il paziente sperimenta disturbi del linguaggio, tanto da non riuscire a capirlo o ad esprimersi in assoluto. Anche se non in grado di parlare, molto spesso dopo l’iniezione i pazienti possono ancora cantare. Questo accade perché i network cerebrali relativi alla percezione musicale sono prevalentemente localizzati nell’emisfero destro, mentre quelli che sostengono la lingua parlata, scritta ed ascoltata nell’emisfero sinistro. CAPITOLO 11: I DISTURBI DEL LINGUAGGIO ORALE L’afasia consiste in un deficit profondo delle capacità di comprendere, elaborare e produrre messaggi linguistici. Le afasie sono una perdita o alterazione della funzione del linguaggio causata da un danno cerebrale. La causa più comune delle afasie è la malattia vascolare. Il metodo dell’osservazione clinica delle afasie si fonda sull’analisi delle diverse prestazioni linguistiche nelle modalità orale e scritta, entrambe sempre coinvolte nel disturbo. In base alle alterazioni quantitative dell’espressione orale, gli afasici si dividono in due gruppi:  Afasia non fluente  Afasia fluente Il modo in cui si svolge il discorso permette di distinguere le afasie fluenti e non fluenti. Afasia non fluente: riduzione del flusso verbale, l’eloquio spontaneo è scarso, le parole sono prodotte con fatica; le frasi sono brevi e con struttura sintattica semplificata. Al massimo grado si ha la totale soppressione del linguaggio (detta anche anartria). Nei casi meno gravi l’emissione della parola è lenta e caratterizzata da numerose pause. Con questo linguaggio ridotto all’essenziale, il malato riesce tuttavia a comunicare il proprio pensiero. Afasia fluente: il flusso verbale è quantitativamente normale o anche aumentato (fino alla logorrea). L’articolazione è corretta, la”melodia” è normale (ascoltando da lontano senza percepire le parole, si ha l’impressione di un linguaggio normale). Quello che è alterato è il significato delle parole. Il suo linguaggio è costituito da parole sbagliate, simili a quelle giuste come suono (parafasie), da parole inventate prive di senso (neologismi), da perifrasi usate al posto di singole parole (circumlocuzioni). Spesso il malato ripete più volte una parola o una frase (perseverazione). Nei casi più gravi, il linguaggio è del tutto incomprensibile e si ha l’impressione di ascoltare un gergo o una lingua sconosciuta (jargonafasia). Di regola il malato ignora di parlare male (nosoagnosia) e si arrabbia perché non viene capito. È possibile analizzare i deficit dei pazienti afasici in una prospettiva neurolinguistica che distingue le diverse competenze linguistiche in base al livello di elaborazione:  Competenze fonologiche: studio dei suoni della lingua;  Competenze semantico-lessicali: conoscenza delle parole e del loro significato;  Competenze sintattico-grammaticali: regole del sistema linguistico. Un deficit fonologico si caratterizza per la presenza di parafasie fonemiche (sostituzioni, omissioni, aggiunte e trasposizioni), anche multiple, che talvolta rendono le parole bersaglio irriconoscibili.. Il termine parafasia formale si riferisce agli errori fonemici che sostituiscono parole comunque esistenti. Il deficit semantico-lessicale: si riconosce innanzitutto una difficoltà a recuperare le parole, che viene detta anomia; nel caso di un semplice ritardo nell’evocazione di una parola bersaglio si parla di latenza anomica. Il deficit può d’altra parte manifestarsi con un errore nella scelta delle parole:  Sostituzioni con termini di significato affine (parafasie semantiche);  Sostituzioni con parole senza relazione di significato (parafasie verbali). Il deficit sintattico-grammaticale si riconosce nelle difficoltà nel corretto uso:  dell’ordinamento delle parole  nella formulazione della frase  selezione delle parole e dei suoni che hanno funzioni grammaticali. Tra le afasie fluenti abbiamo:  Afasia anomica: incapacità di nominare intenzionalmente un oggetto.L'anomia si presenta improvvisamente, all'interno di un discorso fluente e chiaro; probabilmente, la causa si riferisce ad una lesione simile a quella riscontrata nell'afasia transcorticale di tipo sensoriale, ma di lieve entità.  Afasia sensoriale o di Wernicke: il nome deriva dall'area cerebrale compromessa dalla lesione. Infatti, un danno a livello della regione di Wernicke genera possibili disturbi della produzione e della comprensione del linguaggio; il paziente elabora un codice linguistico particolare, artificioso e ricco di neologismi, talvolta incomprensibili.  Afasia di conduzione o di ripetizione: malgrado il soggetto afasico si sforzi di ripetere le parole per imitazione, questi presenta una grave difficoltà nella ripetizione dei vocaboli.  Afasia transcorticale sensoriale: la ripetizione delle parole viene compromessa solo in parte. I pazienti tendono ad essere pressoché logorroici, parlando in modo fluido, ma privo di senso compiuto. Tra le afasie non fluenti abbiamo:  Afasia dinamica: le capacità di comprensione rimangono intatte, malgrado le competenze di eloquio vengano drasticamente ridotte. Una moderna classificazione diagnostica delle agrafie tiene conto dell’analisi dettagliata sia quantitativa che qualitativa degli errori commessi nella scrittura e nella produzione di simboli, dividendo le agrafie in: o Agrafie periferiche o Agrafie centrali I pazienti con disgrafia periferica mostrano alterazioni della risposta scritta, ma eseguono bene i compiti di spelling o di composizione di lettere mobili. Tra le disgrafie periferiche troviamo:  Disgrafie dovute ad errori grafemici;  Disgrafie dovute ad errori allo grafici;  Digrafie dovute ad errori nella formazione delle parole;  Disgrafia da eminegligenza con errori che riguardano o solo l’inizio delle parole (eminegligenza sinistra) o la fine delle parole (eminegligenza destra). I pazienti con disgrafia centrale compiono lo stesso numero e tipo di errori indipendentemente dalla modalità di produzione della risposta. Tra le disgrafie centrali troviamo:  Disgrafia fonologica: errori morfologici e derivazionali;  Disgrafia profonda: errori semantici in prove di scrittura;  Disgrafia lessicale o superficiale: errori di regolarizzazione;  Disgrafia da deficit del buffer grafemico: errori grafemici con tutti i tipi di stimoli. CAPITOLO 13: IL CONTROLLO DEL MOVIMENTO Il movimento è costituito da un insieme di strutture nervose e muscolari che permette ad un essere vivente di muoversi, e quindi di poter vivere. Distinguiamo due principali tipi di movimento: movimento volontario e riflesso nervoso. Il movimento volontario implica che vi siano dei meccanismi neurali sottostanti che permettono di scegliere i muscoli adatti e come farli funzionare. Implica che vi sia un piano che porti all’azione e alla scelta dei muscoli adatti: tale piano è detto il “piano motorio”. Il movimento volontario implica quindi la «progettazione» dell’atto motorio stesso. Fasi della progettazione dell’atto motorio:  Decisione di compiere un movimento:  Influenzata da aspetti motivazionali e ideazionali;  Prevalentemente a carico della corteccia frontale.  Coordinazione dei parametri spazio-temporali dell’atto motorio volontario:  Ampiezza, velocità, intensità, durata, traiettoria;  Questa coordinazione è garantita da: nuclei della base (movimenti lenti), talamo e cervelletto (movimenti più rapidi).  Esecuzione: trasferimento dell’impulso dal motoneurone superiore al motoneurone inferiore. L’individuo, però, spesso si muove secondo movimenti che conosce molto bene e su cui effettua solo un controllo generale (automatismi). Il riflesso nervoso è un fenomeno che consiste in una risposta involontaria, fissa e automatica, con la quale l‘organismo reagisce a un determinato stimolo. Si realizza attraverso una serie di collegamenti nervosi tra la struttura recettrice dello stimolo e la struttura effettrice della risposta. Questo circuito nervoso è detto «arco riflesso». I riflessi vengono classificati in somatici o viscerali, a seconda che riguardino funzioni della vita di relazione o funzioni della vita vegetativa. Tra i riflessi somatici vengono distinti:  i riflessi esterocettivi, o riflessi superficiali, attivati da stimoli che agiscono su esterocettori;  i riflessi propriocettivi,o riflessi profondi, attivati da stimoli che agiscono su propriocettori. I riflessi somatici esterocettivi possono essere indotti dalla stimolazione della cute o delle mucose. I più comuni riflessi cutanei sono il riflesso nervoso addominale, il riflesso plantare. I riflessi somatici propriocettivi o profondi sono provocati da stimoli che agiscono sui propriocettori muscolotendinei, cioè su recettori localizzati all'interno dei muscoli scheletrici, nelle capsule articolari e nei legamenti. I riflessi viscerali sono responsabili di diverse attività vegetative quali la vasomotilità, la sudorazione, le modificazioni della pupilla alla luce e all‘accomodazione, le variazioni dell‘attività cardiaca, il controllo degli sfinteri vescicale e rettale. Nella corteccia motoria vi è una rappresentazione del corpo per cui ad ogni singolo punto di essa è deputato il controllo di una ben definita area del corpo. Del sistema motorio fa anche parte il cervelletto, situato nella parte posteroinferiore della scatola cranica. Esso si collega con la corteccia motoria e i nuclei della base affinché i movimenti siano continui e non a scosse, coordinando l'azione dei diversi muscoli. Il cervelletto è quindi responsabile del controllo del tono muscolare involontario. È inoltre una struttura pari: presenta 2 emisferi che sono collegati a livello di una struttura impari chiamata verme del cervelletto. I nuclei della base sono responsabili della programmazione motoria. Essi sono:  nucleo caudato, costituito da testa, corpo e coda del caudato;  putamen;  globo pallido, diviso in un segmento interno ed esterno. Il midollo spinale ha il compito di trasmettere al cervello gli stimoli sensoriali, ricevere dal cervello gli impulsi motori e trasmetterli ai muscoli. A livello di ciascuna vertebra fuoriesce una coppia di nervi, detti nervi spinali: sono 33 paia ed entro ciascuno troveremo sia fibre motorie che sensitive. Ciascuna fibra è isolata dalle altre perché avvolta da una guaina mielinica, cioè costituita da mielina. Le informazioni che ci giungono dalla sensibilità dei muscoli e tendini, dalle articolazioni, dalla pelle e dal ”senso dell’equilibrio” fungono da segnali che guidano il controllo nervoso per l’esecuzione corretta del movimento secondo un certo schema mentale, che mano a mano viene costruito e immagazzinato nella memoria procedurale. Tutte queste sensazioni determinano la cinestesia, ovvero il “senso del movimento”. Esso è dato dunque dall’insieme delle sensazioni che provengono dal:  Tatto;  Articolazioni, tendini e muscoli;  Vestibolo-labirinto (senso dell’equilibrio) dell’orecchio interno. La persona si mette in contatto con la realtà mediante gli organi di senso e i nervi che portano tale sensibilità. Questi, unitamente ai centri nervosi superiori che ricevono le informazioni, vengono detti “canali percettivi”. I canali percettivi sono i seguenti: visivo, olfattivo, gustativo, tattile, vestibolare, muscolo- articolare, dolorifico, piacere-benessere, organico-viscerale. Dal canale muscolo-articolare invece ci giungono le percezioni della posizione degli arti e della colonna vertebrale. CAPITOLO 14: IL CONTROLLO DEL MOVIMENTO E LE SUE BASI ANATOMICHE A livello micro, l’unità fondamentale per il movimento è il motoneurone. È la cellula nervosa su cui convergono tutte le informazioni provenienti dalle altre parti del sistema nervoso e che invia il segnale finale al muscolo, attraverso il proprio assone, che forma il nervo periferico motorio. I motoneuroni sono classificabili in:  Motoneuroni somatici: innervano direttamente i muscoli scheletrici;  Motoneuroni branchiali: innervano direttamente i muscoli branchiali;  Fibre efferenti post gangliari: innervano indirettamente il cuore o i visceri. Essi innervano i neuroni del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico. È possibile inoltre distinguere:  Motoneurone superiore: l’insieme dei neuroni corticali e sotto-corticali dell’encefalo, il cui assone è coinvolto nel controllo motorio;  Motoneurone inferiore: l’insieme dei motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale o dei nuclei motori dei nervi encefalici, il cui assone innerva la muscolatura striata scheletrica;  I motoneuroni alpha, suddivisi in alpha 1 (grosse cellule con voluminosi assoni destinate ai muscoli «bianchi») e alpha 2 (cellule meno voluminose che innervano i muscoli rossi destinati alla funzione tonica);  I motoneuroni gamma: piccole cellule motorie con assone sottile la cui funzione è quella di innervare il fuso neuromuscolare. L'unità motoria è dunque costituita da un motoneurone alpha e da un certo numero di fibre muscolari striate. La giunzione neuromuscolare si avvale del neurotrasmettitore acetilcolina.  Midollo spinale. Ruolo: riflessi spinali; generazione di modelli per la locomozione. Riceve informazioni da: recettori sensoriali. Invia informazioni a: talamo, tronco encefalico, cervelletto, corteccia motoria.  Tronco encefalico. Ruolo: postura, movimenti oculari e delle mani. Riceve informazioni da: cervelletto, recettori sensoriali. Invia informazioni a: midollo spinale.  Aree motorie della corteccia cerebrale. Ruolo: programmazione e coordinazione di movimenti complessi. Riceve informazioni da: talamo. Invia informazioni a: tronco encefalico, midollo spinale, cervelletto, gangli della base. Importante: tutte le afferenze alla corteccia sono di tipo eccitatorio. Aree motorie della corteccia cerebrale sono:  corteccia motoria primaria;  corteccia premotoria e motoria supplementare.  Cervelletto. Ruolo: monitora le informazioni uscenti dalla corteccia cerebrale e aggiusta il movimento. Riceve informazioni da: midollo spinale, corteccia cerebrale. Invia informazioni a: tronco encefalico, corteccia cerebrale (notare: tutte le informazioni uscenti sono inibitorie). Cervelletto, in particolare:  vestibolo-cervelletto (archicervelletto): mantenimento equilibrio e stabilizzazione dello sguardo;  spino-cervelletto (paleocervelletto): movimento tronco e arti;  cerebro-cervelletto (neocervelletto): programmazione movimento volontario.  Talamo. Ruolo: contiene nuclei di collegamento che trasferiscono le informazioni alla corteccia cerebrale. Riceve informazioni da: gangli della base, cervelletto, midollo spinale. Invia informazioni a: corteccia cerebrale.  Nuclei della base. Ruolo: programmazione motoria. Riceve informazioni da: corteccia cerebrale. Invia informazioni a: corteccia cerebrale, tronco encefalico. Le vie discendenti sono un gruppo numeroso ed eterogeneo di vie nervose, caratterizzate dal fatto di avere come bersaglio centri nervosi situati a un livello gerarchicamente inferiore rispetto a quello di origine. Le vie discendenti motorie hanno origine sia dalla corteccia cerebrale sia dal tronco encefalico. Tre originano dalla corteccia cerebrale: 1. Fascio corticospinale laterale; 2. Fascio corticospinale anteriore; 3. Fascio cortico bulbare. Quattro originano dal tronco encefalico: 1. Fascio rubrospinale; 2. Fasci reticolo spinali; 3. Fascio tettospinale; 4. Fasci vestibolospinali. volte possono far pensare che qualcuno abbia messo quella parte del corpo affianco. L’eminegligenza motoria consiste nel trascurare l’uso spontaneo degli arti di sinistra pur senza deficit motori. I pazienti possono manifestare una reale paralisi di metà del corpo e quindi la metà sinistra è completamente paralizzata. I pazienti affetti da emisomatoagnosia possono presentare anosognosia, cioè la tendenza non solo ad ignorare la parte del corpo colpita ma anche la malattia stessa. In altri casi i pazienti sono in grado di riconoscere la malattia ma hanno nei confronti della stessa un distacco emotivo e la tendenza all’indifferenza, definita anosodiaforia. Altri disturbi della consapevolezza corporea sono:  Somatoparafrenia: negazione dell’arto plegico e negazione della patologia in atto, spesso associato quindi all’anosognosia.  Anosognosia: negazione della malattia e anosognosia per l’emiplegia. La negazione esplicita verbale è definita anosognosia e l'indifferenza è stata definita anosodiaforia. L’emisomatoagnosia è un disturbo non facilmente rilevabile. Per valutarlo si fa riferimento all’osservazione clinica. Test del pettine e del rasoio: in questo test ai pazienti viene chiesto di far finta di radersi (per le donne mettere la cipria) e di pettinarsi. Ai pazienti vengono concessi 30 secondi per eseguire la simulazione. L’esaminatore conta il numero di “rasoiate” e di “colpi di pettine” eseguiti. Per ciascuna prova viene dato un punteggio che valuta sia quantitativamente che qualitativamente l’azione. All’emisomatoagnosia si possono associare altri disturbi neurologici:  Emianestesia, perdita della sensibilità dell’emisoma controlaterale alla sede della lesione.  Fenomeni allucinatori, come la percezione di movimento dell’arto plegico o la presenza di arti sovrannumerari. Un disturbo del controllo dello spazio corporeo specifico della capacità di identificazione e localizzazione di parti del proprio corpo è definito autotopoagnosia. Altri disturbi della localizzazione corporea:  Agnosia digitale: autotopoagnosia limitata alle dita;  Sindrome di Gerstmann: sindrome caratterizzata da: agnosia digitale, disorientamento destra sinistra sia sul proprio corpo che su quello dell’esaminatore, agrafia e acalculia;  Lesione ipotizzata: giro angolare sinistro. La valutazione della localizzazione di parti corporee si può realizzare attraverso prove formalizzate. La batteria di test maggiormente utilizzata comprende test verbali e non verbali. Gli errori tipici dei pazienti possono essere:  Errore di localizzazione, si tocca una parte del corpo diversa;  Errori di contiguità;  Errori funzionali. Quando il disturbo della localizzazione corporea si riferisce su un’altra persona, come l’esaminatore, nominiamo questo disturbo somatotopoagnosia. La somatotopoagnosia fa riferimento a lesioni del lobo parietale sinistro e per questa tipica localizzazione è spesso associata ad afasia ed aprassia ideomotoria. La rappresentazione corporea è uno schema complesso, definito schema corporeo, che consta di:  Conoscenze spaziali: estensione del corpo, localizzazione delle parti corporee.  Conoscenze strutturali: come è fatto il corpo e le sue parti.  Conoscenze semantiche: conoscenze enciclopediche relative al corpo e alle sue parti. CAPITOLO 17: I DISTURBI DELLO SPAZIO EXTRACORPOREO La sindrome di eminegligenza spaziale o negligenza spaziale unilaterale, denominata anche emiinattenzione o con il termine inglese neglect indica una patologia caratterizzata da difficoltà ad esplorare, prestare attenzione, percepire e agire nel mondo esterno, nello spazio controlaterale alla lesione cerebrale. Quando il disturbo impedisce anche di immaginare questo spazio viene definito eminegligenza immaginativa. I due sintomi fondamentali che caratterizzano il neglect sembrano essere i seguenti:  una ridotta capacità di rispondere a stimoli presentati nell'emispazio controlaterale alla lesione, in assenza di deficit delle aree sensoriali primarie;  una marcata riduzione nella capacità di esplorare attivamente l'emispazio contro laterale alla lesione. L’eminegligenza spaziale nella maggior parte dei pazienti va incontro ad un recupero spontaneo, a distanza di giorni o di poche settimane dall'insorgenza della lesione cerebrale. Conseguenze comportamentali del neglect:  incapacità di vestirsi, radersi, truccarsi la metà sinistra del corpo;  omissione del cibo nel lato sinistro del piatto. I singoli pazienti con neglect possono presentare manifestazioni cliniche molto diverse tra di loro, con deficit selettivi in compiti diversi o a livelli diversi. Le dissociazioni più rilevanti sono:  La dissociazione tra sistemi di riferimento: si riferisce ad un’eminegligenza che può essere di tipo egocentrico o allocentrico.  La dissociazione tra i settori dello spazio: fa riferimento al corpo e all’eminegligenza che riguarda il proprio corpo o quello degli altri.  La dissociazione tra meccanismi causali: fa riferimento ad un’eminegligenza percettiva.  La dissociazione tra modalità sensoriali: si riferisce ad un’eminegligenza che può riguardare un senso.  La dissociazione tra compiti: fa riferimento ai compiti di cancellazione.  La dissociazione tra materiali: si riferisce al neglect del viso e il neglect associato a dislessia. Le strutture anatomiche più frequentemente sede di lesione nei pazienti con eminegligenza spaziale sono le aree corticali parietali. La lesione in alcuni casi può riguardare i gangli della base e il talamo. I compiti neuropsicologici impiegati ai fini diagnostici, prognostici e riabilitativi sono:  Compiti per valutare il neglect per lo spazio vicino (test di barrage, disegno su copia e tracing e bisezione di linee e Landmark Task con risposta manuale):  compiti con componente visuo-motoria: tipicamente coinvolgono la modalità visiva e implicano una risposta motoria (di solito uso della mano ipsilaterale);  compiti percettivi.  Compiti per valutare il neglect di tipo rappresentazionale;  Compiti per valutare il neglect corporeo personale.  Test di barrage. È un compito per valutare il neglect dello spazio vicino. Compiti che richiedono l’esplorazione visuo-motoria. Al paziente è richiesto di barrare con una matita, usando la mano ipsilaterale, tutti gli stimoli presentati su un foglio posto di fronte a lui. È libero di muovere testa ed occhi. Consentono di distinguere i pazienti con emianopsia (perdita della metà del campo visivo) dai pazienti con neglect.  Disegno su copia. Il disegno su copia consente di evidenziare la tendenza del paziente ad omettere o ad alterare alcune o tutte le parti di sinistra del modello da copiare.  Bisezione di linee. Nel compito di bisezione di linee il paziente deve usare l’arto controlaterale alla lesione cerebrale per segnare la metà di alcuni segmenti presentati su un foglio. Compiti per valutare il neglect per lo spazio vicino:  Compiti percettivi: coinvolgono solo la modalità visiva e non implicano una risposta motoria. Compiti per valutare il neglect di tipo rappresentazionale:  Disegno su comando verbale e spontaneo;  Descrizione verbale di immagini mentali;  Localizzazione di città/stati su una mappa. Compiti per valutare il neglect corporeo personale: il neglect si può presentare in presenza di disturbi dello spazio corporeo che viene valutato con l’osservazione dei gesti quotidiani o con scale standardizzate che riproducono o mimano gesti. Al paziente può venir chiesto di toccarsi con la mano destra parti del corpo a sinistra. CAPITOLO 18: LA VISIONE La vista è la modalità sensoriale più sviluppata nell’uomo. Il sistema visivo non registra semplicemente i segnali luminosi presenti nell’ambiente, ma li elabora dando vita ad una percezione organizzata attraverso meccanismi con forte componente cognitiva, che permettono di interpretare l’immagine e le associano un significato. Per capire il meccanismo della visione umana dobbiamo distinguere tre parti:  L'occhio: un sistema ottico che forma e proietta le immagini su una superficie sensibile.  La retina: una superficie sensibile che raccoglie le immagini, ne fa una prima elaborazione e trasmette l'informazione ai centri superiori.  Il cervello: un elaboratore dei dati provenienti dalla retina che li elabora ulteriormente e "forma" l'immagine definitiva. Occhio: è l’organo sensoriale del sistema visivo. Anatomia dell’occhio:  Membrana esterna: sclera, cornea;  Membrana intermedia: uvea, coroide, corpo ciliare e iride;  Membrana interna: retina, fovea, disco ottico. Retina: la superficie sensibile dell'occhio è costituita dai fotorecettori (i bastoncelli ed i coni). Gli assoni delle cellule gangliari si riuniscono in modo da formare il nervo ottico. Fotorecettore: neuroni specializzati che si trovano sulla retina. Nella struttura dei fotorecettori si possono identificare tre parti:  segmento esterno: caratterizzato da strutture membranose (chiamate "dischi"), su cui sono posizionati i pigmenti che reagiscono allo stimolo dei fotoni (luce che arriva in "pacchetti" detti quanti);  segmento interno: caratterizzato dalla presenza degli organelli interni;  terminazione sinaptica: permette la trasmissione dei segnali dal fotorecettore alle cellule bipolari mediante sinapsi. Tipi di fotorecettori: o Bastoncelli: sono più sensibili al movimento, sono impiegati per la visione al buio (scotopica) e si concentrano nella zona periferica della retina. o Coni: si concentrano nella zona centrale della retina (la fovea) e sono deputati alla visione dei colori (fotopica) e alla visione distinta. Tutto il fondo dell'occhio è ricoperto dai fotorecettori, tranne che in un punto, dove convergono i nervi e i vasi sanguigni della retina, pertanto questo punto non è sensibile alla luce, è una zona senza informazioni. Tuttavia, il cervello riesce a ricostruire l'immagine mancante attraverso un processo chiamato "filling in". Decussazione: incrocio di fibre nervose costituenti i nervi ottici. La decussazione avviene nel chiasma ottico. Un oggetto nell’emicampo sinistro proietta alla porzione nasale della retina sinistra e a quella temporale della retina destra. La porzione nasale sinistra incrocia nella parte destra del chiasma per cui tutto quello che è presente nell’emicampo sinistro “viene visto” dall’emisfero destro e viceversa. Le fibre che decussano si associano a quelle della metà laterale del nervo ottico del lato opposto, che non decussano e formano i tratti ottici, che fuoriescono posteriormente al chiasma.  percepire l’orientamento delle linee  percepire la distanza, la profondità e lo spessore  Modalità tattile  Modalità uditiva. Disturbi della percezione visiva dello spazio (disturbi visuo-spaziali). Consistono in:  disturbo nella capacità di localizzare gli stimoli;  disturbo della percezione dell’orientamento di linee;  disturbo nella percezione della distanza (profondità e spessore). Disturbo di coordinazione visuo-motoria. Sono rappresentati dall’atassia ottica o visuomotoria. Questo disturbo consiste in una spiccata imprecisione di movimenti dell’arto superiore verso un obiettivo posto nel campo visivo Sindrome di Bàlint-Holmes: è caratterizzata dai seguenti quattro sintomi: aprassia dello sguardo, atassia ottica, deficit attentivi, deficit di valutazione delle distanze degli oggetti. È costituita dall'associazione di tre disturbi neuropsicologici:  Simultaneoagnosia: incapacità ad osservare una scena nel suo complesso e nella tendenza a prestare attenzione a un solo dettaglio alla volta.  Atassia ottica: incapacità di indicare o raggiungere col dito gli elementi presentati per via visiva, a differenza degli stimoli presentati per altri canali sensoriali che riescono ad essere raggiunti.  Aprassia dello sguardo: consiste nell'incapacità di spostare lo sguardo verso uno stimolo visivo. Il deficit attentivo più frequentemente osservato nei pazienti con sindrome di Balint-Holmes consiste nell'incapacità di notare altri oggetti presenti nel campo visivo mentre se ne fissa uno, disturbo definito simultaneoagnosia ventrale o di Wolpert. Tale disturbo consiste nell'incapacità di cogliere il significato complessivo di una scena pur riuscendo a descriverne i singoli elementi. Secondo alcuni autori questo disturbo è dovuto alla difficoltà di sganciare l'attenzione spaziale dal punto di fissazione per dirigerla in qualsiasi punto del campo visivo. Sindrome evolutiva da disfunzione dell’emisfero destro, è una sindrome dovuta a disfunzione dell’emisfero destro che si caratterizza nei bambini per la presenza dei seguenti disturbi: disturbi visuo- spaziali, difficoltà in compiti matematici, difficoltà in compiti di disegno, presenza di eccessiva timidezza: tendenza ad evitare lo sguardo altrui, assenza di accentuazioni prosodiche e gestuali che normalmente accompagnano il linguaggio parlato. Disturbo della memoria spaziale. Incapacità di ricordare e richiamare informazioni di tipo spaziale nel breve termine e nel lungo termine. Disturbi dell’orientamento topografico. Il disorientamento topografico consiste nella perdita del senso dell'orientamento spaziale e nell’ incapacità di collocarsi adeguatamente entro le condizioni spaziali, nonché rispetto alla propria persona e all'ambito in cui ci si trova. Quando si manifesta in modo graduale, la mancanza di orientamento rispetto allo spazio può essere conseguenza del naturale processo di invecchiamento. In altri casi, questo sintomo dipende da lesioni alle strutture del sistema nervoso centrale o da patologie degenerative cerebrali. Paramnesia reduplicativa per i luoghi. È una sindrome delirante caratterizzata dall'alterata identificazione dei luoghi, per cui il soggetto crede che un luogo o una scena sia stata duplicata, che esiste in due o più posti contemporaneamente, oppure che è stato "trasferito" in un altro luogo. Fa parte delle sindromi da falso riconoscimento ed è di solito associata a casi di lesioni all'emisfero cerebrale destro. Tipi di fenomeni reduplicativi:  Primo tipo: la reduplicazione produce un vero e proprio mondo parallelo;  Secondo tipo: la reduplicazione si sposta da un posto all’altro. Disturbi nella percezione tattile dello spazio. Possono manifestarsi a livello:  Tattile superficiale  Dolorifico  Termico  Vibratorio Disturbi nella percezione uditiva dello spazio:  Afasia di Wernicke  Agnosia uditiva  Amusia: incapacità di riprodurre suoni musicali o ritmi  Tinnito: percezione di un segnale acustico costante  Acufene: percezione di una sensazione sonora derivante esclusivamente da attività all’interno del sistema nervoso centrale senza alcuna attività vibratoria meccanica a livello della coclea e non correlata a qualsiasi stimolazione esterna. Via n.1: via occipito-parietale. Coinvolta in operazioni visuo-spaziali. Deficit in sede occipito-parietale provocano disfunzioni nell’analisi delle caratteristiche visuo-spaziali. Conseguenze di una lesione occipito-parietale: o Achinetopsia: disturbo della percezione del movimento degli oggetti; o Atassia ottica: disturbo del raggiungimento di un oggetto sotto la guida della vista; o Sindrome di Balint Holmes. Via n.2: via occipito-temporale. Coinvolta in riconoscimento degli oggetti, identificazione della forma degli oggetti, stereopsi globale. Deficit in sede occipito-temporale provocano disfunzioni nel riconoscimento (oggetti, volti). Conseguenze di una lesione occipito-temporale: o Deficit del riconoscimento di colori: acromatopsia; o Deficit del riconoscimento di volti: prosopagnosia; o Agnosie visive per gli oggetti. CAPITOLO 21: I DISTURBI DEL RICONOSCIMENTO: LE AGNOSIE L’agnosia è un disturbo percettivo che consiste nell’incapacità di riconoscere gli oggetti. Per comprendere il meccanismo delle agnosie possiamo utilizzare un modello secondo cui il riconoscimento degli oggetti avviene a due livelli di analisi:  al primo livello (livello percettivo) avviene l’integrazione dei dati sensoriali elementari in forme complesse;  al secondo livello (associativo) avviene il confronto tra ciò che viene percepito e le conoscenze immagazzinate nella memoria. Un deficit del primo livello porta all’agnosia appercettiva, un deficit del secondo all’agnosia associativa. Si parla di agnosia appercettiva quando il soggetto, in assenza di un danno sensoriale, non è in grado di unificare i contenuti della percezione in un’unità strutturata. Si distinguono tre tipi di agnosia appercettiva:  L’agnosia per la forma: il paziente non riesce a ricavare la configurazione esterna dell’oggetto;  L’agnosia integrativa: il paziente fallisce nell’integrare le singole caratteristiche dell’oggetto in una struttura complessiva unitaria;  L’agnosia trasformazionale: il paziente non riesce a trasformare la struttura globale dell’oggetto. L’agnosia associativa, invece, si presenta quando un paziente, la cui analisi percettiva è integra, non è in grado di confrontare la rappresentazione percettiva strutturata di uno stimolo con le conoscenze presenti nel cosiddetto “magazzino semantico” e quindi di attivare le conoscenze relative all’oggetto evocato, dandogli un nome o rievocandone l’uso. Il paziente può essere in grado di riconoscere visivamente un coltello o un cacciavite come oggetti conosciuti, ma non sa dire a cosa servano. Secondo la qualità sensoriale dell’oggetto che non viene riconosciuto distinguiamo:  Agnosia visiva: incapacità di riconoscere gli oggetti visti, indipendentemente da disturbi periferici dell’apparato visivo. Distinguiamo tra le agnosie visive:  Agnosia per le cose: oggetti, immagini di oggetti, colori.  Agnosia per lo spazio: il malato ignora tutti gli oggetti situati in una metà dello spazio (di solito quello di sinistra).  Agnosia per i volti: Prosopoagnosia. Incapacità di riconoscere il volto dei familiari e nemmeno il proprio volto riflesso da uno specchio. Esiste anche una forma di agnosia topografica, come incapacità di riconoscere o ricordare i tipici luoghi familiari o domestici. A queste si aggiunge l’agnosia per i colori, cioè l’impossibilità di riconoscere i colori, da non confondere con il daltonismo, che è, invece, un disturbo della vista.  Agnosia tattile (Astereoagnosia): incapacità di riconoscere gli oggetti con il tatto (senza l’aiuto della vista). Tra le agnosie tattili collochiamo anche:  amorfognosia, che riguarda la forma e le dimensioni degli oggetti;  ailognosia, che investe una valutazione corretta del peso e delle caratteristiche materiali/termiche degli oggetti;  asimbolia, cioè l’agnosia tattile propriamente detta, l’agnosia delle dita, detta anche agnosia digitale in quanto incapacità di riconoscere le proprie mani;  onosoagnosia, vale a dire l’incapacità di riconoscere la propria patologia;  autotopoagnosia, che implica l’incapacità di individuare e indirizzare le diverse parti del corpo nello spazio. Somatoagnosia: il malato ignora la presenza di una parte del proprio corpo realmente presente.  Agnosia uditiva: incapacità di riconoscere i suoni (in assenza di sordità). Secondo le qualità degli stimoli sonori, si distingue:  sordità verbale;  amusia per canzoni, note, strumenti, ritmi, ecc.; agnosia per i rumori (incapacità di riconoscere gli oggetti dal suono che producono). Sede della lesione: in genere lesioni bilaterali delle aree associative acustiche in regione temporale posteriore. Amnesia semantica: è un tipo di agnosia visiva per gli oggetti, in cui il soggetto ha perso le conoscenze sulle cose, in qualunque modo si cerchi di evocarle. Afasia tattile: l’afasia tattile è un raro tipo d’agnosia tattile, in cui il soggetto è incapace di riconoscere il nome di uno stimolo tattile conseguente ad una mancata attivazione della parola da parte degli stimoli che provengono dai centri uditivi. Afasia ottica: è un raro tipo d’agnosia visiva per gli oggetti, in cui il soggetto è incapace di evocare il nome di uno stimolo visivo conseguente al suo mancato riconoscimento, oppure ad una mancata attivazione della parola da parte degli stimoli che provengono dai centri visivi. La diagnosi dell’agnosia, spesso di difficile interpretazione, va effettuata tramite alcuni test mirati, che permettono non solo di individuare il disturbo, ma anche di definirne la gravità.  Test del Bottom-Up (o test «dalla periferia al centro»). Si tratta di un test dove il paziente deve stabilire se l’oggetto raffigurato nell’immagine appartiene alla realtà oppure è un oggetto immaginario.  Test dell’ippogrifo di Riddoch ed Humphreys. Il soggetto viene interrogato sulla possibile esistenza o meno delle figure rappresentate in una serie di disegni. Concetto di unità funzionale: un gruppo di strutture anatomiche collegate tra loro attraverso vie nervose per garantire l’espletamento di una funzione. L’unità funzionale dell’attenzione ha diversi livelli di strutture anatomiche che garantiscono la sua funzione:  Primo livello: il tronco cerebrale, in particolare la sostanza reticolare. Questo livello è l’interruttore generale che garantisce e mantiene lo stato di veglia.  Secondo livello: diencefalo, in particolare ipotalamo, talamo, nucleo caudato. Permettono il riflesso di orientamento su uno stimolo esterno.  Terzo livello: La corteccia, in particolare le aree prefrontali della convessità e le aree mesiali dei due lobi frontali. Garantiscono la coscienza, la memorizzazione, il contenuto programmatorio dei processi psichici. Si definisce controllo attentivo la capacità di orientare pensieri e comportamenti in maniera flessibile nei confronti di uno stimolo. Il controllo attentivo ha due sottoprocessi:  allocazione di risorse attentive;  monitoraggio e/o rilevamento del conflitto tra stimoli. Esistono due effetti principali che denotano come può variare la risposta attentiva e il controllo attentivo:  Effetto Flanker: il tempo necessario per elaborare un bersaglio circondato da stimoli incongruenti (flanker) è più lungo rispetto a quando i flanker sono congruenti.  Effetto della preferenza globale (effetto Navon, READ): i processi percettivi sono temporalmente organizzati in modo che essi procedano dalla struttura globale verso un’analisi degli elementi più fine. La corteccia prefrontale dorsolaterale e il cingolo anteriore sono coinvolti nel controllo attentivo. Esiste un network di regioni cerebrali che include la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), la corteccia parietale e la corteccia del cingolo.  La DLPFC, sostenuta dalla corteccia parietale, sembra essere importante nel sottoprocesso di allocazione delle risorse attentive;  Il cingolo dorsale sembra essere implicato nel sottoprocesso relativo al monitoraggio e/o rilevamento del conflitto tra stimoli. CAPITOLO 24: BIOLOGIA DELLE EMOZIONI Le emozioni sono un insieme complesso di configurazioni chimiche e neurali, in risposta ad uno stimolo emozionalmente adeguato, che determinano modificazioni transitorie nello stato del corpo e delle strutture cerebrali che costituiscono la base del pensiero. Le emozioni sono processi di breve durata a fronte di uno stimolo che provocano cambiamenti a 3 livelli:  Cognitivo: si attribuisce un significato personale allo stimolo e alle sensazioni fisiologiche;  Comportamentale: espressioni facciali, postura, tono della voce e reazioni;  Fisiologico: modificazioni fisiche e fisiologiche riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il battito cardiaco, ecc. Il complesso sistema neurofunzionale responsabile delle risposte emotive è stato esaminato dapprima mediante gli studi neuroanatomici e poi attraverso l’analisi delle alterazioni comportamentali in pazienti affetti da lesioni cerebrali specifiche. Negli ultimi anni i metodi di ricerca si avvalgono di moderne apparecchiature che riescono a studiare il cervello in vivo, grazie a moderne tecniche di neuroimaging. Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono quelle identificate come appartenenti al lobo limbico. Papez fu il primo ad ipotizzare che le strutture limbiche fossero determinanti nell’elaborazione delle emozioni. Il sistema limbico non costituisce un circuito chiuso ma caratterizzato da un alto grado di interazione con molte aree corticali e strutture sottocorticali. MacLean integrò il circuito di Papez con altre regioni: amigdala, nuclei del setto, ecc. costituenti il sistema limbico. Aree del sistema limbico importanti in riferimento alle emozioni sono amigdala e ipotalamo. L’amigdala è interconnessa con aree regolanti il comportamento. Ha la funzione di regolare la paura e le emozioni negative molto intense per la decodifica di informazioni salienti ed elaborazione di espressioni facciali ambigue. Si attiva bilateralmente quando si tende a fare previsioni positive sul futuro, solo a destra se i pronostici sono pessimisti. L’ipotalamo attiva il sistema nervoso autonomo sia simpatico che parasimpatico, determinando modifiche nel battito cardiaco, pressione arteriosa, respiro, sudorazione, diametro pupillare, caratteristici dell’attivazione emozionale. Sistema di neuroni:  Magnicellulari che liberano direttamente nel circolo generale neuropeptidi;  Parvicellulari che fanno da tramite tra il sistema nervoso centrale e i neuroni che liberano peptidi nel sistema portale ipofisario. L’insula è un’area corticale profonda distinta in due regioni:  Anteriore: centro di elaborazione olfattivo e gustativo;  Posteriore: connessa con aree uditive, somato-sensoriali, premotorie. Regola l’emozione del disgusto. Regola anche l’enterocezione, ovvero il senso di sé. Corteccia prefrontale dorsolaterale, che pianifica il comportamento esecutivo anche in relazione all’emozione. Corteccia del cingolo coinvolta nell’attribuzione di contenuti emozionali e media il comportamento motivato. Il cingolo anteriore elabora la tristezza. Corteccia prefrontale mediale elabora diversi processi emotivi ed affettivi nella sua parte più rilevante. Corteccia orbitofrontale: questa parte consente il controllo emozionale e motivazionale. L’ippocampo si colloca nel lobo temporale profondo, è coinvolto nei processi di memoria ed è fondamentale per la formazione delle paure apprese. Il giro ippocampale è coinvolto nel riconoscimento dei volti e nella percezione delle emozioni di sorpresa. Il talamo è un insieme di nuclei profondi. I nuclei ventrali e mediali e i dorso-laterali sono molto rilevanti per i processi emozionali. I nuclei della base:  Caudato:connesso con l’insula,coinvolto nella percezione del disgusto;  Striato: connesso con il cingolo, è coinvolto nella motivazione e nelle emozioni di aggressività;  Corpi mammillari:coinvolti nel processo di memoria;  Nuclei mediali del setto: proiettano fibre sull’ippocampo. Il sistema dei neuroni specchio è attivo quando un soggetto esegue un movimento o quando il soggetto vede lo stesso movimento eseguito da un altro. Funzionale all’apprendimento imitativo: i neuroni specchio sono attivi durante la visione e l’esecuzione di azioni mai viste prima. L’attivazione di questo sistema di neuroni non comporta l’esecuzione dell’azione stessa: questo avviene grazie a comunicazioni neuronali di tipo inibitorio localizzate nella corteccia prefrontale. Danni a carico di tale sistema inibitorio possono causare la ripetizione automatica dei comportamenti imitativi (ecoprassia). CAPITOLO 25: I DISTURBI DELLA MEMORIA 3 modalità di organizzazione del materiale:  Memoria sensoriale: sistema di selezione e registrazione attraverso cui le percezioni accedono al sistema mnestico;  Memoria a breve termine: si limita a 15-20 secondi circa, a meno che il materiale non venga richiamato - Memoria di lavoro;  Memoria a lungo termine: l'informazione viene immagazzinata in forma codificata sia in senso semantico che per associazioni. Le funzioni della memoria a lungo termine sono:  Registrazione: capacità di aggiungere nuovo materiale;  Ritenzione: conservare conoscenze che possono essere riportate alla coscienza successivamente;  Rievocazione: accedere alle informazioni immagazzinate tramite un richiamo;  Richiamo: recupero volontario di materiale (effetto primacy e recency);  Riconoscimento: identificazione di elementi appresi in precedenza attraverso la rimembranza o conoscenza. L’oblio. Prima ipotesi è quella secondo cui esso è causato dal tempo: tanto più è ampio l’intervallo tra l’apprendimento e la rievocazione, tanto più facile sarà dimenticarsi. In realtà, però, non è sempre così: accade, in situazioni particolari, di ricordarsi perfettamente un evento anche se è accaduto molto tempo prima, o di dimenticarsi qualcosa avvenuto solo pochi istanti prima. Amnesia: perdita di capacità di memoria, di solito a causa di lesioni o rimozione chirurgica di parti del cervello. Un'amnesia pura è relativamente rara. Due grandi categorie di amnesia:  Retrograda: perdita di ricordi per eventi precedenti al danno;  Anterograda: perdita della capacità di immagazzinare nuovi ricordi di eventi dopo i danni. Per richiamare le immagini vengono attivate la corteccia prefrontale destra e la corteccia paraippocampale in entrambi gli emisferi. Per richiamare le parole, vengono attivate la corteccia prefrontale sinistra e la corteccia paraippocampale sinistra. Lo storage della MLT si verifica nella corteccia.  Amnesia diencefalica - danno al talamo mediale e ai nuclei mammillari;  Amnesia del lobo temporale mediale - danno alla formazione dell'ippocampo, uncus, amigdala e aree corticali circostanti. L’amnesia può avere origine da:  Alterazioni organiche  Alterazioni psicogene Tra le alterazioni organiche troviamo:  Amnesia Lacunare: perdita di memoria spesso conseguente a trauma cranico che interessa uno specifico periodo di tempo molto limitato;  Amnesia Anterograda/Retrograda: perdita di memoria in genere causata da trauma cranico, intossicazioni da sostanze;  Amnesia Globale: quadro clinico nel quale si riscontrano sia l’amnesia anterograda che l’amnesia retrograda;  Blackout alcolico: l’abuso di alcol, anche episodico, causa spesso piccoli blackout di memoria che interferiscono con la capacità di ricordare eventi ed episodi recenti fino a cancellare del tutto la consapevolezza di quanto è stato fatto o detto in stato di ubriachezza;  Sindrome di Korsakov: malattia degenerativa indotta da carenza di vitamina B1 con danni al nucleo medio-dorsale del talamo, i corpi mammillari, l’ippocampo e le regioni frontali con conseguente amnesia anterograda e retrograda;  Confabulazione: si verifica in stato di coscienza lucida in associazione con amnesia di origine organica (Korsakov):  Confabulazione di imbarazzo: alterazione transitoria, in cui il paziente cerca di coprire vuoti di memoria;  Esercizio fisico: i soggetti affetti da disturbo cognitivo lieve che svolgono regolarmente esercizio fisico hanno un rischio minore di sviluppare demenza rispetto a quelli che non lo fanno.  Riabilitazione cognitiva: comprende l’insegnamento individuale di strategie e abilità, in modo da ottimizzare in modo specifico le funzioni cognitive del soggetto. CAPITOLO 27: LA PLASTICITÀ CEREBRALE La memoria a breve termine ha una certa durata limitata nel tempo e nello spazio. La memoria a lungo termine, invece, non ha limiti né di tempo e né di spazio: ci permette di ricordare episodi lontani nel tempo e può contenere una quantità infinita di informazioni. Durante l’apprendimento ci sono dei cambiamenti nella struttura sinaptica che una volta consolidati consentono la formazione della traccia in memoria. Se questi cambiamenti sono transitori e reversibili, avremo la memoria a breve termine. Se invece sono persistenti e stabili, si avrà la formazione della memoria a lungo termine. Per plasticità cerebrale, quindi, si intende la capacità dell'encefalo di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a seconda dell'attività dei propri neuroni. I cambiamenti nella struttura sinaptica a seguito della formazione della traccia in memoria costituiscono la capacità di plasticità neuronale, che implica quella cerebrale.  Fenomeni a breve termine: dovuti a modificazione della liberazione di neurotrasmettitore;  Fenomeni a lungo termine: associati a modificazioni funzionali e strutturali dell’elemento post- e pre-sinaptico. Affinché si formi la memoria a lungo termine sono necessari due processi:  l’espressione genica;  il cambiamento strutturale della morfologia delle sinapsi. Con espressione genica si intende quella serie di eventi che, dall'attivazione della trascrizione di un gene, conducono alla produzione della proteina corrispondente. Alla base dell’apprendimento vi è la legge di Hebb: due neuroni ripetutamente stimolati insieme formano tra loro un legame simbolico, per cui all’attivazione di uno corrisponde anche la risposta dell’altro. Il ruolo centrale nei processi di plasticità è svolto dal calcio; l’ingresso del calcio è l’elemento chiave per capire come noi apprendiamo. Le strutture coinvolte sono l’assone del neurone presinaptico e la spina dendritica del neurone postsinaptico. In seguito al potenziale d’azione vi è da parte del neurone presinaptico il rilascio del neurotrasmettitore che in questo caso è il glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del SNC. I recettori per il glutammato possono essere metabotropici o ionotropici:  Metabotropici: mGluR, 7 domini transmembrana.  Ionotropici: sono canali onici glutammato-dipendenti.  AMPA: sinapsi più veloci ed ampie. 4 subunità (da GLUA1 aGLUA4);  KAINATO: risposta ampia che decresce lentamente. 4 subunità (da GluK1 a GluK4).  NMDA: sinapsi più lente e durature. 3 subunità (GluN1 – GluN3). Il neurotrasmettitore maggiormente implicato nei processi di plasticità è il glutammato. Quando la trasmissione sinaptica viene modificata per brevi periodi siamo in presenza di un processo di plasticità neuronale chiamato «potenziamento a breve termine». La trasmissione sinaptica può essere modificata per brevi periodi da diversi meccanismi che agiscono sull’efficienza di rilascio di neurotrasmettitore:  Nella facilitazione sinaptica si verifica una successione di potenziali d’azione molto ravvicinati.  In seguito ad una scarica di potenziali d’azione ad alta frequenza, l’arrivo di nuovi potenziali d’azione può evolvere in un aumento della quantità di neurotrasmettitore liberato con un conseguente aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici. Questa forma di rafforzamento della trasmissione sinaptica prende il nome di potenziamento post-tetanico.  A seguito di potenziali d’azione ripetuti, la trasmissione sinaptica può registrare un graduale indebolimento, definito depressione sinaptica: i meccanismi di sintesi di nuovo neurotrasmettitore e di riciclo delle membrane non sono abbastanza rapidi da bilanciarne la perdita. I processi di plasticità neuronale conseguenti a stimoli di memoria avvengono prevalentemente nell’ippocampo, struttura molto plastica. L’ippocampo ha all’interno tre circuiti:  Via perforante: fibre che arrivano al giro dentato dell’ippocampo;  Fibre muscolidi: vanno dal giro dentato a CA3;  Collaterali di Schaffer: da CA3 a CA1. Negli anni 70 è stato dimostrato che una breve stimolazione ad alta frequenza in una di queste tre vie dell’ippocampo induce una risposta post-sinaptica molto elevata. Nello specifico, un impulso a neuroni in area CA3 induce una risposta elevata nei neuroni CA1. Questo fenomeno è definito potenziamento a lungo termine (LTP): è un aumento della forza della trasmissione sinaptica che si verifica con l'uso ripetitivo della stessa e che può durare fino ad alcuni minuti. È possibile affermare che, per poter avere un pieno consolidamento della traccia mnestica, devono avvenire tre processi a livello neuronale:  Induzione, di cui è responsabile lo ione calcio. Recettori chiave: NMDA;  Consolidamento: morfogenesi o cambiamento strutturale delle spine dendritiche;  Mantenimento LTP (stabilizzazione delle spine). Questa avviene attraverso i recettori AMPA. CAPITOLO 28: LA PLASTICITÀ CEREBRALE: MEMORIA E APPRENDIMENTO LTP: aumento riverberante, da CA1 a CA3, dell’efficacia sinaptica che può durare da ore a giorni. Le caratteristiche del LTP sono:  Cooperatività. È il fenomeno che si può avere quando si stimolano contemporaneamente più gruppi di fibre, poiché in questo caso si vanno a sommare tutti i contributi depolarizzanti di ogni assone. Dunque: più fibre si stimolano, più si ha la possibilità di indurre LTP.  Associatività. Si ha quando gli input sinaptici provenienti da due o più assoni condividono lo stesso bersaglio post sinaptico.  Specificità. Se non sia ha combinazione di fase, solo l'assone trasportante il tetano verrà indotto verso la LTP. Fasi del potenziamento a lungo termine (LTP): 1. Una scarica di potenziali d'azione porta alla liberazione di glutammato dalla terminazione presinaptica. 2. Il glutammato liberato si lega a recettori sia NMDA che non-NMDA della membrana postsinaptica. Questi ultimi determinano un ingresso di ioni sodio. 3. Gli ioni sodio depolarizzano la membrana postsinaptica. 4. La depolarizzazione della membrana post-sinaptica porta non solo ad un potenziale post-sinaptico eccitatorio, ma anche ad un’uscita degli ioni Mg attraverso i canali ionici associati ai recettori NMDA. 5. Normalmente, gli ioni Mg bloccano i canali ionici associati ai recettori NMDA, così la loro rimozione consente un ulteriore ingresso di ioni Na e Ca nella terminazione post-sinaptica. 6. L'ingresso di ioni calcio porta all’attivazione di una protein-chinasi postsinaptica, che è responsabile dell’induzione iniziale della LTP, che è quindi un evento post-sinaptico. 7. Rilascio di glutammato. 8. Il mantenimento della LTP, oltre a richiedere la persistente attivazione della protein-chinasi, è dovuto all’inserimento dei recettori AMPA su sinapsi silenti. Il primo effetto della LTP è il cambiamento delle spine dendritiche che è il cambiamento della morfologia delle sinapsi. Le sinapsi infatti sono costituite da assone pre-sinaptico, fessura sinaptica, dendriti post- sinaptici. Il risultato di questi cambiamenti morfologici è l’aumento della neurotrasmissione. Affinché gli effetti della LTP persistano nel tempo, è necessaria non solo la presenza del calcio, poiché i neuroni senza altre stimolazioni cesserebbero di secernere il glutammato. Si pensa che il calcio sia il responsabile della produzione di messaggeri, definiti fattori di plasticità retrograda, i quali dal neurone post-sinaptico ritornano al presinaptico e gli “dicono” di continuare a secernere il glutammato. Con la polimerizzazione, i monomeri tendono a legarsi tra loro formando dei polimeri di actina, che si inseriscono nelle estremità del dendrite e lo allargano, inducendo anche la formazione di nuove spine. L’LTP consta di tre fasi: induzione, consolidamento e mantenimento. La long term depression (LTD) consiste nella diminuzione dell’efficacia di una sinapsi. Fasi: 1. Alle sinapsi Schaffer Collateral dell’ippocampo viene generalmente applicato uno stimolo elettrico a bassa frequenza per un tempo prolungato. 2. Tale treno di stimoli provoca l’apertura dei canali NMDA, permettendo il passaggio di ioni calcio. 3. Il segnale del calcio agisce poi su una cascata biochimica che attiva proteine quali la calcineurina e la proteina-fosfatasi. Queste fosfatasi "smontano" l'apparato biochimico/strutturale creato in precedenza nella LTP e portano progressivamente la sinapsi verso i valori di base. 4. L’aumento del calcio può anche venire da altre fonti, come per esempio i canali al calcio voltaggio- attivati, il reticolo endoplasmatico. 5. Nel caso di LTD NMDA-dipendente, il sito di espressione della depressione è prevalentemente postsinaptico e comporta cambiamenti nelle proprietà dei recettori AMPA. Le neurotrofine sono delle proteine responsabili, durante la formazione e lo sviluppo del SNC, della proliferazione, della sopravvivenza e della differenziazione e crescita dei neuroni. Le neurotrofine si spostano sia con meccanismo anterogrado che con meccanismo retrogrado e quindi sono così espresse a tutti i livelli dei neuroni e possono essere secrete in due modi: secrezione costitutiva per cui esse sono liberate normalmente senza la necessità di uno stimolo elettrico; secrezione regolata che è appunto regolata dall’attività elettrica del neurone. CAPITOLO 29: LA PLASTICITÀ CEREBRALE: NEUROGENESI Neurogenesi è un termine che indica la capacità dei neuroni di rigenerarsi e di rinascere. La neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo è possibile grazie al fatto che i nuovi neuroni, definiti granuli, si formano molto vicini alla loro destinazione finale. La struttura più studiata dove avviene la neurogenesi è l’ippocampo, che presiede ai processi di memoria e di apprendimento. Esperimento 1. Si voleva dimostrare che i nuovi neuroni che nascono nel giro dentato dell’ippocampo vanno ad inserirsi nel circuito della memoria e dell’apprendimento. Gli autori hanno diviso i ratti in due gruppi: il gruppo di controllo riceveva un’iniezione di soluzione salina, che non aveva alcun effetto sul sistema nervoso centrale del ratto, mentre il gruppo sperimentale riceveva l’iniezione di una tossina chiamata MAM, nociva per il DNA, che influiva sullo sviluppo dei nuovi neuroni, ma non intaccava la salute dei neuroni già maturi. Gli autori hanno poi suddiviso i ratti in: ratti che venivano studiati dopo sei giorni dal trattamento e ratti che venivano studiati dopo 14 giorni. Questi periodi furono scelti perché entro 6 giorni i nuovi neuroni non possono entrare a far parte del circuito perché non sono ancora formati, mentre lo erano a 14 giorni. È stato riscontrato che:  il numero di nuovi neuroni era significativamente maggiore nei ratti che avevano ricevuto la soluzione salina rispetto ai ratti che avevano ricevuto il MAM, e ciò dimostra che nel secondo gruppo di ratti la neuro genesi è stata effettivamente impedita;  Sonnolenza soggettiva: riflette il bisogno di sonno ma anche il desiderio di sonno.  Sonnolenza oggettiva: esistono metodiche oggettive di valutazione della veglia. Metodi per valutare la sonnolenza:  MSLT (Multiple Sleep Latency Test). Si esegue in laboratorio: si valuta strumentalmente il tempo che il paziente impiega ad addormentarsi, quando messo in condizioni idonee e favorenti il sonno e invitato ad addormentarsi.  MWT (Maintenance of Wakefulness Test). È simile come modalità ma prevede che al paziente venga impartita la consegna di restare sveglio, quindi di “resistere” alla voglia di dormire Fasi del sonno  Stadio 1: onde theta, ridotta risposta agli stimoli sensoriali; il soggetto, se risvegliato, dichiara di non essersi addormentato; improvvise contrazioni muscolari.  Stadio 2: complessi k e fusi del sonno; i soggetti, se risvegliati, dichiarano di aver dormito.  Stadio 3 e 4: ritmo delta.  fase REM (Rapid Eye Movement): attività desincronizzata + movimenti oculari rapidi + aumento della frequenza cardiaca e respiratoria e della pressione. Fenomeni tonici: che si mantengono per tutta la durata dell’episodio Fenomeni fasici: che compaiono saltuariamente durante l’episodio I neuroni prevalentemente coinvolti nel sonno REM sono i GABAergici. Il sonno è un processo nervoso attivo e ritmico: o Pacemaker circadiano localizzato nell’ipotalamo, influenzato dal ciclo luce-buio, da fattori interni, ormonali e temperatura; Il circuito talamo-corticale: lo stato di coscienza e le transizioni tra veglia-sonno sono controllate dall’oscillatore talamo corticale. CAPITOLO 31: REGOLAZIONE DEGLI STATI CORPOREI INTERNI Il concetto di omeostasi rappresenta la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità interna. Equilibrio stazionario: in realtà l’ambiente interno subisce continuamente lievi fluttuazioni. L’organismo è un sistema aperto che scambia energia e materia con l’ambiente esterno. Per mantenere lo stato di omeostasi l’organismo segue la cosiddetta «legge dell’equilibrio di massa»: la costanza di una data sostanza è mantenuta se le entrate sono uguali alle uscite dall’organismo. La maggior parte dei sistemi di controllo dell'organismo agiscono mediante un meccanismo a feedback negativo.  Feedback negativo: la variazione di un parametro da controllare attiva una risposta che contrasta la perturbazione iniziale, riportando il parametro controllato al valore originale.  Feedback positivo: produce un ulteriore incremento del disturbo, che permette però di portare a compimento processi che in condizioni di riposo sono inattivi, amplificando il segnale di partenza. Per mantenere un equilibrio omeostatico sono richiesti:  un sistema di sensori, che misurano la variabile controllata;  un centro di integrazione dove la misura è paragonata ad un valore di riferimento;  un sistema di effettori capaci di modificare il parametro da controllare, riportandolo al valore di riferimento ogni volta che esso si modifica. Non tutti gli animali hanno stessa capacità di regolazione omeostatica. Un animale viene definito «regolatore» quando utilizza meccanismi omeostatici per compensare il cambiamento interno in risposta ad una fluttuazione esterna. Molti animali, soprattutto quelli che vivono in ambienti stabili, vanno incontro a variazioni di parametri in relazione a determinati cambiamenti ambientali e vengono definiti «conformi». I livelli della regolazione omeostatica sono:  Livello molecolare: ad esempio, l’inibizione feedback limita la quantità dei prodotti finali che si formano per l’azione di un sistema enzimatico;  Livello cellulare: interviene il fenomeno dell’inibizione da contatto, per il quale in una popolazione di cellule il processo della mitosi si arresta quando queste divengono così numerose da toccarsi. L’inibizione da contatto è persa in alcune patologie come i tumori, e questo spiega l’inarrestabile produzione degli elementi cellulari neoplastici.  Livello organismico: i vari meccanismi operano con differenti modalità. Esempio: le ghiandole endocrine. L’attività di sintesi ormonale delle ghiandole endocrine è governata dagli eventi che si verificano nei sistemi regolati dagli stessi ormoni. L’aumento della glicemia stimola la secrezione di insulina, la quale a sua volta aumenta l’utilizzazione periferica del glucosio, con conseguente diminuzione della sua concentrazione ematica. Omeostasi delle riserve energetiche: esistono meccanismi fisiologici per mantenere costanti le riserve energetiche in risposta alla disponibilità di cibo e alle spese energetiche. La regolazione dell’omeostasi energetica è regolata da:  Segnali efferenti: fame, attività fisiche, livelli ormonali, riproduzione e crescita.  Segnali afferenti:  A corto termine, prodotti ad esempio durante i pasti;  A lungo termine, prodotti dalle riserve energetiche. La zona del SNC coinvolta nell’omeostasi energetica è l’ipotalamo. Esso è costituito da diversi nuclei, ognuno di essi svolge una funzione diversa, ma tutti sono coinvolti nei riflessi omeostatici. Di grande importanza è anche l’ipofisi, il cui lobo anteriore è detto adenoipofisi e quello posteriore neuroipofisi. L’adenoipofisi sintetizza ormoni, la neuroipofisi non li sintetizza ma li rilascia. Ipotalamo endocrino: complesso di neuroni che hanno sviluppato la capacità di secernere ormoni che giungono all’ipofisi. Composto da neuroni parvicellulari e magnocellulari:  Neuroni parvicellulari: secernono fattori di rilascio;  Neuroni magnocellulari: secernono ormoni peptidici strettamente correlati con la neuroipofisi. Ormoni prodotti dalla neuroipofisi: o Ossitocina: coinvolta nella secrezione del latte durante i processi di suzione; o Vasopressina: mantiene il bilancio idrico dell’organismo. CAPITOLO 32: ORMONI E COMPORTAMENTO SESSUALE Alla strutturazione dell’identità sessuale concorrono fattori biologici, psicosessuali e relazionali. L’identità sessuale è dinamica, perché espressione di un vissuto modificabile da fattori endogeni ed esogeni, biologici e psichici. Si distinguono:  Il sesso biologico: caratteristiche fisiche (genere, maschile o femminile);  L’identità di genere: si riferisce alla percezione di se stessi, cioè al fatto che ci si senta maschi o femmine;  L’ideale di genere: aspettative culturali relative ai comportamenti maschili e femminili;  L’identità di ruolo: è il derivato della divisione sessuale del lavoro, dei diritti e delle responsabilità. Identità di genere: si costituisce sulla base di determinanti sociali e culturali elaborate in un certo sistema di relazioni, sedimentate in pratiche, comportamenti ed aspettative sociali che tradizionalmente vengono ascritte alla categoria distintiva maschio/femmina. Ideale di genere: relativa all’orientamento del proprio desiderio o méta sessuale, su un partner, oggetto di desiderio.  dello stesso sesso: orientamento omosessuale  del sesso opposto: orientamento eterosessuale In una stessa persona il desiderio e il comportamento sessuale possono essere presenti in entrambe le direzioni, si parla in tal caso di orientamento bisessuale. Identità di ruolo: relativa al vissuto del proprio ruolo sociale, maschile o femminile. In passato, la funzione sessuale era stata rappresentata come un modello lineare trifasico: desiderio, eccitazione, orgasmo. Oggi prevalgono i modelli circolari. Le quattro fasi del modello circolare sono:  Desiderio  Eccitazione  Orgasmo  Risoluzione e soddisfazione Il desiderio sessuale coinvolge le stesse aree cerebrali, nell’uomo e nella donna. L’eccitazione sessuale cerebrale (mentale o soggettiva) comporta simili meccanismi neurobiologici. Esiste tuttavia una maggiore attivazione dell’area occipitale visiva, nel maschio, e temporo-parietale nella donna. L’eccitazione sessuale periferica non-genitale, somatica è simile nei due sessi, con differenze qualitative mediate dagli ormoni sessuali. L’eccitazione sessuale genitale è diversa tra uomo e donna a causa delle differenze anatomiche negli organi genitali. L’orgasmo segue le medesime vie a livello cerebrale e di midollo spinale. A livello genitale si differenzia per l’associazione all’eiaculazione nell’uomo e per la possibilità di orgasmi multipli nella donna. La soddisfazione, per definizione soggettiva, è ritenuta di crescente importanza nel vissuto dell’esperienza sessuale, in uomini e donne. Nel desiderio sessuale gioca una parte fondamentale lo stimolo biologico-istintuale. Tale stimolo è fondato su basi anatomiche e neurofisiologiche, oggi definito come “interesse sessuale”, il cui primo significato è di promuovere il mantenimento della specie, attraverso la procreazione. Si tratta di un processo attivato dal testosterone in entrambi i sessi. Una componente importante dello stimolo biologico-istintuale sono gli ormoni. Gli ormoni particolarmente coinvolti nello stimolo biologico istintuale del desiderio sessuale sono:  gli androgeni: nell’uomo e nella donna sono gli ormoni più rappresentati a livello plasmatico. Hanno il ruolo più potente nell’accendere il desiderio fisico istintuale e fra di essi prevale il testosterone;  il deidroepiandrosterone (DHEA), ormone surrenalico prodotto in elevate quantità durante e dopo la pubertà, sembra contribuire alle basi fisiche e psichiche del desiderio;  gli estrogeni, nella donna, agiscono come modulatori della femminilità e del benessere psicofisico;  i progestinici hanno un effetto diverso a seconda delle loro caratteristiche, androgeniche, antiandrogeniche o simili al progesterone naturale;  la prolattina ha un ruolo inibitorio in entrambi i sessi;  l’ormone tiroideo, se carente, può ridurre il desiderio sessuale in entrambi i sessi;  l’ossitocina, neuro-ormone che presenta un picco plasmatico in coincidenza con l’orgasmo;  la vasopressina, neuro-ormone, sembra contribuire alla modulazione centrale del desiderio. Un altro stimolo importante nel desiderio sessuale è quello motivazionale-affettivo, collegato mediante la fantasia e l’immaginario erotico al bisogno di piacere e di amore. La funzione sessuale richiede l’integrità anatomica e funzionale del sistema limbico. È possibile affermare sulla base degli studi: o che il controllo autonomo ed endocrino della risposta sessuale sia mediato dall'ipotalamo;  la memoria di lavoro, ovvero i meccanismi cognitivi che consentono il mantenimento on-line e la manipolazione dell'informazione necessaria per l'esecuzione di operazioni cognitive complesse. La compromissione dei processi esecutivi descritti dà luogo a un quadro clinico definito «sindrome disesecutiva». In una prospettiva neurobiologica, un ampio accordo è presente in letteratura sul considerare la corteccia prefrontale il principale substrato neurale di tali funzioni. Per tale ragione, la sindrome disesecutiva viene indicata in letteratura anche come «sindrome frontale». La sindrome frontale è un quadro clinico caratterizzato da deficit cognitivi e disturbi comportamentali, emotivi e motori. I sintomi critici per la diagnosi di questa patologia sono:  incapacità di astrazione e di pianificazione;  perseverazioni e mancanza di flessibilità nella formulazione e nell'uso di strategie cognitive;  alterazione della personalità e del tono dell'umore con manifestazioni maniacali o depressive;  comportamenti di imitazione. La sindrome frontale è un quadro clinico la cui frequenza è correlata ad eventi traumatici di varia natura. Il lobo frontale sottende alle funzioni esecutive attraverso tre fondamentali sistemi: o Il sistema frontale dorsolaterale: controlla la pianificazione di azioni sequenziali e l’elaborazione di strategie; o Il sistema frontale orbito-mediale: interagisce con gli aspetti della motivazione, dell’emozione e dell’iniziativa; o Il sistema frontale cingolato anteriore: media il comportamento motivato. Circuito dorsolaterale. Sostiene le funzioni cognitive, di memoria ed attentive. Circuito orbito-mediale. Media risposte empatiche e socialmente appropriate. Circuito cingolato anteriore. In caso di lesione causano: ridotta motivazione, ridotta iniziativa, ridotta partecipazione emotiva, mutismo acinetico, linguaggio monosillabico. Corteccia prefrontale dorsolaterale. Facile distraibilità, tendenza ad orientare l’attenzione verso stimoli non rilevanti rispetto al contesto, ridotta capacità di giudizio e valutazione critica delle circostanze. Lesioni della corteccia prefrontale dorsolaterale. Il comportamento è disorganizzato e caotico, non appropriato rispetto al fine prefissato. Rigidità comportamentale, risposte ripetitive. Corteccia prefrontale orbito frontale. Alterazione dei processi decisionali, alterazione dei processi di risoluzione di problemi. Lesioni della corteccia prefrontale orbitofrontale. Alterata regolazione di comportamenti socialmente adattivi, pazienti incapaci di rispettare le norme sociali, di decidere in modo vantaggioso per se stessi. Lesioni della corteccia cingolata anteriore  Mutismo acinetico: marcata apatia, mancanza di iniziativa e di attività spontanea, profonda indifferenza alle proprie necessità. Il caso di Phineas Gage Phineas Gage era un giovane di 25-27 anni, capo di un piccolo gruppo di operai che spianava il terreno per costruire ferrovie negli Stati Uniti: la tecnica utilizzata allora consisteva nel far esplodere porzioni di terreno per poi riempirlo con i binari. Quello che lui stava facendo al momento dell’incidente era la sistemazione della polvere da sparo con una spranga di metallo sul fondo di un buco scavato per far esplodere il monticolo di terra. In quel momento una scintilla ha fatto esplodere la carica di polvere da sparo e la spranga è passata attraverso la parte inferiore dello zigomo di Phineas Gage, attraverso l’orbita, ledendo tutta la porzione cerebrale che ha trovato sulla sua strada e poi fuoriuscendo. Ci si aspettava che il soggetto morisse per le ferite, ma sopravvisse perché la spranga con la velocità aveva cauterizzato immediatamente la ferita. Dopo l’incidente, tuttavia, cambiò il comportamento dell’individuo: la spranga aveva danneggiato la regione orbito-frontale, in parte anche la regione ventro-mediale, e in parte anche la corteccia del cingolo anteriore. Phineas Gage, dall’essere una persona seria, posata, professionale, divenne un individuo sgradevole, scurrile: questa lesione sembrava aver investito le sue capacità morali. Un caso analogo a quello di Phineas Gage è il caso di Elliot. Era un paziente con intelligenza superiore che faceva il broker di banca. Dopo una lesione in una regione analoga a quella Phineas Gage, anche Elliot manifestò delle alterazioni nel comportamento, correlate ad una completa incapacità di decidere. CAPITOLO 35: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: RITARDO MENTALE Il ritardo mentale è definito come un incompleto o insufficiente sviluppo generale delle capacità mentali. Secondo il DSM V, per porre diagnosi di ritardo mentale, il deficit delle funzioni intellettive è una condizione necessaria. Per la diagnosi del ritardo mentale è fondamentale valutare il Quoziente Intellettivo (QI) dell’individuo attraverso test psicometrici. Il quoziente intellettivo è espresso attraverso il rapporto tra:  Età mentale, ovvero l’età del soggetto calcolata in relazione a come ha eseguito il test, cioè in base alle sue abilità cognitive;  Età cronologica, ovvero l’età anagrafica del soggetto. Il DSM V afferma che la disabilità intellettiva, per essere tale, deve compromettere il funzionamento personale in tre specifici domini. Per affermare che un dominio è compromesso, la condizione necessaria e sufficiente è che questo deve essere compromesso in modo da rendersi necessario un supporto al soggetto in un ambito. I tre domini adattivi compromessi nel ritardo mentale sono:  Dominio concettuale: include le abilità di linguaggio, lettura, scrittura, matematica, ragionamento, conoscenza, memoria;  Dominio sociale: si riferisce a consapevolezza dei pensieri e sentimenti altrui, empatia, giudizio sociale, capacità nelle relazioni interpersonali, la capacità di fare e mantenere amicizie;  Il dominio pratico: include autogestione come ad esempio la cura personale, le responsabilità lavorative, la gestione del denaro. Nel caso di ritardo mentale a seguito di lesioni encefaliche di natura traumatica si può anche usare la definizione di “disordine neurocognitivo”. È fondamentale differenziare tra ritardo mentale lieve e funzionamento intellettivo limite.  Ritardo mentale lieve: relazioni sociali soddisfacenti. Relativamente alle aspettative per l’età, difficoltà nell’apprendimento miste, orientamento spazio-tempo con supporto in una o più di queste aree. Nell’età adulta spesso raggiungono una autonomia lavorativa.  Ritardo mentale moderato: si associa a marcati ritardi dello sviluppo durante l’infanzia. Possono sviluppare un certo grado di indipendenza nella cura di sé, discrete abilità scolastiche e capacità comunicative. Progressi negli apprendimenti molto lenti, orientamento temporale e uso del denaro marcatamente limitato.  Ritardo mentale grave e gravissimo: cause biologiche. Spesso comorbilità con altre patologie: paralisi cerebrale, epilessia, deficit sensoriali. Vi è compromissione di alcune competenze visuospaziali come l’accoppiamento e l’ordinamento. L’eziologia del ritardo mentale può manifestarsi a livello di diverse cause:  Rischi prenatali: rosolia, toxoplasmosi, sifilide, HIV. Incompatibilità del sangue materno e fetale, malnutrizione materna, tossicità in gravidanza da uso di tabacco, alcool, farmaci, droghe.  Rischi perinatali: prematurità ed asfissia.  Rischi postnatali: encefalite, meningite, traumi e tumori cerebrali, cause cerebrovascolari, lesioni cerebrali. Cause genetiche  Anomalie cromosomiche, trisomie dei cromosomi non sessuali (la trisomia 21 o sindrome di Down), delezioni;  Sclerosi tuberosa;  Neurofibromatosi;  Galattosemia: incapacità del neonato di metabolizzare il galattosio, una componente del latte. Cause più comuni, responsabili di circa il 30% di tutte le cause individuabili di ritardo mentale:  Sindrome di Down  Sindrome X fragile  Sindrome di Prader Willi Sindrome di Down: le persone con sindrome di Down hanno un aspetto caratteristico con occhi all'insù, macchie di Brushfield (macchie nell'iride), il naso piccolo e la faccia schiacciata. Una piega di Simian (piega palmare singola) è presente nel 50% delle persone affette da tale sindrome. Le persone con sindrome di Down hanno un ritardo mentale ed un maggior rischio di sviluppare demenza in avanti con gli anni. Sindrome dell’X fragile: questa sindrome si sviluppa quando c'è un’area abnorme in uno dei cromosomi X. Le persone con questa sindrome hanno giunture rilassate, faccia lunga con grandi orecchie, testicoli larghi, anormalità cardiache ed una testa larga con il naso lungo. Numerosi comportamenti sono associati con l'X- Fragile inclusi comportamenti di tipo autistico e iperattività. Sindrome di Prader-Willi: è dovuta alla perdita di materiale del cromosoma 15 paterno che causa ritardo mentale e anormalità fisiche associate ad un insaziabile appetito, grossa sovralimentazione, obesità, pica, strapparsi la pelle, irritabilità e cocciutaggine. Le persone con questa sindrome si mostrano spesso arrabbiate, aggressive, con comportamenti di sfida se i loro comportamenti per procurarsi il cibo vengono ostacolati e hanno disturbi di personalità parzialmente dovuti alla sensibilità nei confronti del loro aspetto fisico. Per i test psicometrici al di sotto dei 4 anni di vita si utilizzano le scale che esprimono un quoziente di sviluppo (QS). Test psicometrici per la valutazione del quoziente intellettivo:  Wechsler Preschool and Prymary Scale of Intelligence (4-6 anni)  Wechsler Intelligence Scale for Children (6-16 anni)  Wechsler Adult Intelligence Scale (dopo i 16 anni)  WAIS-R (adulti)  Disegno figura umana (3-13 anni) Test psicometrici per la valutazione del quoziente di sviluppo:  Bailey Scales of Infant Development II (1-42 mesi)  Griffiths’ Mental Development Scales (0-2 anni e 2-8 anni) Test per valutare l’adattamento nei diversi domini di vita:  Vineland Adaptative behavior Scale (VABS)  Adaptative Behavior Scale (ABS)  Adaptative Behavior Inventory (ABI) CAPITOLO 36: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: SCHIZOFRENIA Emil Kraepelin, raggruppa, sotto l’unica denominazione di “demenza precoce”, l’ebefrenia, la catatonia e la demenza paranoide, individuando nelle tre forme un comune processo degenerativo. Bleuler Eugen introduce il concetto di schizofrenia, letteralmente “scissione della mente” Avere una «Teoria della Mente» vuol dire essere capaci di attribuire a se stessi e agli altri degli stati mentali differenti per spiegare e predire il comportamento. Gli stati mentali propri e altrui permettono di comprendere e legare assieme le azioni e di dare un’interpretazione coerente a ciò che accade. Nel bambino con disturbo dello spettro autistico la teoria della mente è deficitaria, pertanto i soggetti con disturbi dello spettro autistico sarebbero incapaci di rappresentarsi lo stato mentale di se stessi e degli altri e del pensiero altrui. Questo deficit di mentalizzazione spiegherebbe alcuni sintomi, come il deficit di comunicazione intenzionale, immaginazione e socializzazione, assenza di attenzione condivisa, della capacità di imitare. Il deficit di coerenza centrale fa riferimento a problematiche più generali che consentirebbero di cogliere la struttura complessiva di uno stimolo e le relazioni con il contesto. Deficit nelle funzioni esecutive: deficit nelle capacità di inibire una risposta o di posticiparla, l’abilità di pianificare una sequenza di azioni, rappresentarsi un compito. CAPITOLO 38: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: DEMENZE Con il termine di demenza si definisce una sindrome clinica caratterizzata da perdita delle funzioni cognitive, di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative della persona e da rappresentare un deciso peggioramento rispetto ad un precedente livello funzionale della persona stessa. L’acronimo BPSD sta per behavioral and pschological symptoms of dementia. La demenza è una sindrome complessa determinata da una combinazione di fattori genetici e ambientali, responsabili della perdita di un numero sufficiente di neuroni e connessioni sinaptiche. Si tratta di una compromissione globale delle funzioni corticali superiori, comprese: la memoria, la capacità di far fronte alle richieste della vita di ogni giorno, la capacità di svolgere le prestazioni percettivo-motorie già acquisite in precedenza. Tutto ciò in assenza di compromissione dello stato di vigilanza. Il sospetto diagnostico si fonda:  sul confronto con l’efficienza mentale precedente l’esordio della malattia;  sull’osservazione attuale del malato. Questi caratteri consentono di differenziare le demenze dalle oligofrenie (che sono stati d’insufficienza mentale presenti fin dall’inizio della vita). La demenza è caratterizzata anche da sintomi non cognitivi. Vengono definiti come un gruppo eterogeneo di sintomi da “alterazione della percezione, del contenuto del pensiero, dell’umore o del comportamento, che si osservano frequentemente in pazienti con demenza”. Sono sintomi secondari, cioè espressione del tentativo di adattamento del soggetto ai sintomi cognitivi e al deficit di funzionamento che ne consegue. Includono: o alterazioni dell’umore: depressione, labilità emotiva, euforia; o sintomi psicotici: deliri, allucinazioni e misidentificazioni o falsi riconoscimenti; o sintomi neurovegetativi: alterazioni del ritmo sonno-veglia, dell’appetito, del comportamento sessuale; o disturbi della personalità: indifferenza, apatia, disinibizione, irritabilità; o disturbi dell’attività psicomotoria: vagabondaggio, acatisia o comportamenti specifici: agitazione, aggressività verbale o fisica. Le demenze possono essere classificate in primarie e secondarie. Le demenze primarie si dividono tra:  Demenze Degenerative Pure: demenza di Alzheimer, demenza fronto-temporale, demenza da atrofie corticali posteriori;  Demenze Degenerative “plus”: demenza a corpi di Lewy, Parkinson- demenza. Le demenze secondarie, cioè dovute ad altre condizioni patologiche, si dividono in:  Da Patologie dirette del SNC: vascolari, infettive, demielinizzanti, malattie metaboliche del SNC, traumatiche, tumorali;  Demenze secondarie da patologie sistemiche: metaboliche, disendocrine, tossiche, disimmuni. Un’altra possibile classificazione distingue demenze corticali e sottocorticali. In fase conclamata:  Decadimento intellettivo. Non è in grado di eseguire un ragionamento, risolvere un problema, fare calcoli, svolgere il proprio lavoro. Si isola dal mondo e si racchiude in un cerchio sempre più ristretto di abitudini, al di fuori delle quali non è più capace di operare.  Confusione mentale. Malato disorientato nello spazio, nel tempo, nel riconoscimento delle persone, nel riconoscimento della propria identità.  Perdita della memoria. Ricordi recenti dapprima, antichi successivamente. Il demente tende a negare il difetto mnesico. Il depresso endogeno invece lamenta un difetto della memoria recente, in realtà non compromessa.  Disturbi dell’affettività: ansia e depressione lasciano posto ad uno stato di apatia. Fenomeni accessori: alcune sindromi amnesiche sono caratterizzate dalle pseudo-amnesie, consistenti in “ricordi” errati, creduti reali dal malato. Se ne distinguono due tipi:  i falsi riconoscimenti (errori presente-passato): il malato attribuisce ad una persona o ad un luogo del presente l’identità di persone o luoghi appartenenti alla sua storia passata  i falsi ricordi (errori fantasia-realtà o “confabulazioni”): il malato fabbrica “ricordi” con la fantasia. La malattia di Alzheimer (MdA) costituisce circa il 50-60% di tutte le forme di demenza. 3 differenti gradi di espressione clinica:  MdA preclinica: assenza di segni clinici evidenti ma presenza di dati strumentali, biochimici, genetici, che ne fanno ipotizzare il futuro sviluppo;  Deterioramento cognitivo lieve;  Demenza conclamata. Aspetti neuropatologici generici: cervello diffusamente atrofico, prevalentemente a livello dei lobi frontali e temporali; circonvoluzioni assottigliate, solchi corticali allargati; terzo ventricolo e ventricoli laterali dilatati in modo simmetrico; diffusa perdita neuronale a livello corticale, e gliosi secondaria. Aspetti neuropatologici specifici: degenerazione neuro-fibrillare; placche senili, accumuli di materiale amorfo extracellulari, costituito da neuroni degenerati. CAPITOLO 39: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE Le malattie neurodegenerative sono un gruppo di alterazioni in cui si ha una distruzione graduale dei neuroni. Le malattie neurodegenerative sono patologie caratterizzate dalla perdita lenta e progressiva di una o più funzioni del sistema nervoso. Le malattie neurodegenerative sono causate da un difetto di uno o più geni che coinvolgono la differenziazione e la funzione del neuroectoderma e suoi derivati. Le mutazioni possono avvenire per:  Delezione: sindrome di Prader-Willi, sindrome di Angelman;  Mutazioni puntiformi: sindrome di Charcot-Marie Tooth tipo 1, forme familiari di SLA;  Espansione di un trinucleotide: distrofia miotonica, sindrome da ritardo mentale x-fragile, malattia di Huntington;  Malattie geneticamente eterogenee: malattia di Parkinson e malattia di Alzheimer. Malattia di Alzheimer. La demenza è la perdita delle funzioni intellettive come il ricordare, il pensare, il ragionare, di gravità tale da rendere la persona malata incapace di svolgere gli atti della vita quotidiana. Tra le cause della malattia: Il deficit della memoria e la progressiva compromissione delle funzioni cerebrali, tipiche della malattia di Alzheimer, sono dovuti alla degenerazione di una popolazione particolare di neuroni, chiamati colinergici perché rilasciano acetilcolina importanti per le funzioni complesse come la memoria e il ragionamento. Fattori di rischio: età, storia familiare di demenza, trauma cranico con perdita di coscienza, depressione; Ereditarietà: la malattia di Alzheimer è in parte geneticamente determinata. Autosomica dominante, a insorgenza precoce:  gene che codifica per la proteina proteina APP → cromosoma 21;  gene che codifica per la proteina presenilina 1 → cromosoma 1;  gene che codifica per la proteina presenilina 2 → cromosoma 14. Forma ad esordio tardivo:  gene che codifica per l’apolipoproteina E → cromosoma 19. Malattia di Parkinson. Si tratta di un disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato principalmente da degenerazione di alcune cellule nervose situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera. Queste cellule producono un neurotrasmettitore, cioè una sostanza chimica che trasmette messaggi a neuroni in altre zone del cervello. Il neurotrasmettitore in questione, chiamato dopamina, è responsabile dell’attivazione di un circuito che controlla il movimento. Sindrome clinica caratterizzata da specifici deficit motori: tremore, acinesia, rigidità, instabilità posturale. Corea di Huntington. Si tratta di una delle più gravi malattie neurodegenerative ed è caratterizzata da movimenti involontari di tipo coreico, disturbi psichici e demenza. Vi è un’alterazione delle capacità cognitive, dei movimenti e del controllo emotivo. Ha un andamento ingravescente, per cui i sintomi e il disturbo cognitivo peggiorano col progredire della malattia. Altro sintomo comune è la disartria, che si manifesta come un’alterazione della capacità di articolare il linguaggio, spesso associata alla difficoltà di deglutizione. Il gene responsabile della malattia di Huntington è denominato IT15 e contiene all’interno della regione codificante una sequenza trinucleotidica CAG ripetuta in numero variabile di volte. Nei cromosomi normali la sequenza CAG è ripetuta tra 6 e 35 volte ed è trasmessa in modo mendeliano, mentre nei cromosomi che trasmettono la malattia di Huntington la stessa sequenza nucleotidica è ripetuta più di 40 volte. Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). È una malattia neurodegenerativa tipica dell’età adulta caratterizzata dalla progressiva paralisi muscolare, causata dalla degenerazione dei motoneuroni nella corteccia motoria primaria, nel tratto corticospinale e nel midollo spinale. I motoneuroni sono le cellule responsabili della contrazione della muscolatura volontaria preposta in primo luogo al movimento, ma che presiede anche funzioni vitali come deglutizione, fonazione e respirazione: la loro degenerazione comporta la paralisi progressiva dei muscoli da loro innervati. Ipotesi eziologiche:  Eccitotossicità glutammatergica: il glutammato determina un aumento dell’afflusso di calcio intracellulare che si traduce in un’attivazione enzimatica che culmina nella degenerazione e necrosi cellulare;  Stress ossidativo: aumento radicali liberi;  Disfunzione mitocondriale: alterazioni biologiche e biochimiche, aumento livelli di calcio al loro interno, riduzione attività della catena respiratoria. CAPITOLO 40: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ Il «Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività» o «Attention Deficit Hyperactivity Disorder» (DDAI o ADHD) è la più recente etichetta diagnostica utilizzata per descrivere bambini che presentano problemi di attenzione, impulsività e iperattività. La prevalenza di ADHD è stimata tra il 3% e il 5% dei bambini in età prescolare. Il 70-80% dei soggetti con ADHD ha almeno un altro disturbo psicopatologico associato. Solo il 20-30% dei bambini diagnosticati ha solo ADHD. Dettagli riguardo la comorbidità psichiatrica: L’ereditabilità varia tra 0 e 1. Questi indici valgono per un tratto specifico in una data popolazione in condizioni specifiche. L’ereditabilità può cambiare come il risultato di un cambiamento dell’ambiente. Ci sono 3 categorie di interazione gene-ambiente che influenzano lo sviluppo dell’individuo e sono di tipo:  Passivo  Evocativo  Attivo Le influenze genetiche passive sono causate dal fatto che i genitori, che sono imparentati con i propri figli, danno un ambiente come conseguenza del loro genotipo che corrisponde a quello che i figli hanno ereditato insieme al loro genotipo. Le influenze evocative sono quelle per le quali i figli ricevono risposte dagli altri, che sono influenzate dal genotipo. Le influenze di tipo attivo sono quelle per cui una tendenza geneticamente indotta a manifestare un comportamento porta a una pressione ambientale. CAPITOLO 42: COMPROMISSIONE COGNITIVA SECONDARIA A DISTURBI DELL’UMORE I disturbi dell’umore sono disturbi psichiatrici caratterizzati da un’alterazione nella regolazione degli affetti. I principali disturbi dell’umore sono:  Disturbo depressivo maggiore (unipolare)  Disturbo bipolare I  Disturbo bipolare II Disturbo depressivo maggiore unipolare. Almeno uno dei sintomi è costituito da: umore depresso, marcata diminuzione di interesse per tutte le attività, significativa perdita di peso o aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, faticabilità o mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati. Disturbo Bipolare I: secondo il DSM, per fare diagnosi di disturbo bipolare I è necessario e sufficiente che vi sia un episodio maniacale nell’anamnesi purché tale episodio non sia meglio spiegato da schizofrenia e relativo spettro. L’età media di esordio è di 18 anni. Disturbo Bipolare II: secondo il DSM, per la diagnosi di disturbo bipolare II è necessaria la presenza di almeno un episodio ipomaniacale e uno depressivo maggiore. Episodio maniacale: si caratterizza per un innalzamento abnorme del tono dell’umore; l’umore è espansivo o irritabile; deve perdurare almeno una settimana e compromettere la vita quotidiana. Umore persistentemente elevato o irritabile e persistente aumento di attività o energia per almeno 1 settimana, con 3 (4 se umore irritabile) dei seguenti criteri: autostima ipertrofica o grandiosità, ridotto bisogno di sonno, logorrea, fuga delle idee, distraibilità, aumento dell’attività finalizzata, coinvolgimento in attività piacevoli ma pericolose, marcata compromissione funzionale. Episodio ipomaniacale: umore persistentemente elevato o irritabile e persistente aumento di attività o energia per almeno 4 giorni, con 3 (4 se umore irritabile) tra: autostima ipertrofica o grandiosità, ridotto bisogno di sonno, logorrea, fuga delle idee (l’associazione delle idee è superficiale e rapida), distraibilità, aumento dell’attività finalizzata, coinvolgimento in attività piacevoli ma pericolose, marcata compromissione funzionale. Differenze tra episodio maniacale e ipomaniacale:  Durata minima per fare diagnosi (1 settimana per maniacale, 4 giorni per ipomaniacale);  Nell’episodio maniacale, il paziente può manifestare sintomi psicotici, nell’episodio ipomaniacale le manifestazioni psicotiche sono assenti. Lo studio degli alberi genealogici dei pazienti ha dimostrato che il disturbo bipolare è una malattia familiare, e questo fa pensare che esista una predisposizione genetica, anche se un gene specifico non è stato individuato. Il rischio sembra essere cumulativo: più persone in una famiglia ne soffrono, più è probabile che un nuovo membro ne soffra. È stata identificata una mutazione nel gene DAT (dopamine transporter) specificamente associata al disturbo bipolare, ma non alla schizofrenia e alla depressione. La correlazione tra disfunzioni cognitive e funzionamento psicosociale nel disturbo depressivo risulta complessa e di difficile comprensione a causa dell’eterogeneità dei sintomi e degli episodi depressivi, delle capacità cognitive e dei domini di funzionamento psicosociale. Valutazioni oggettive delle prestazioni cognitive suggeriscono che i pazienti con depressione melanconica abbiano una compromissione significativamente maggiore della memoria e della funzione esecutiva, rispetto ai pazienti con depressione non melanconica. Le alterazioni cognitive maggiormente presenti nella patologia depressiva riguardano le funzioni esecutive, il problem solving, l’attenzione e la memoria a breve termine e di lavoro. Particolarmente compromessa è l’abilità di set-shifting task. Tale funzione esecutiva garantirebbe la flessibilità cognitiva permettendo al soggetto di spostare l’attenzione tra compiti diversi. Questa capacità faciliterebbe l’adattamento del soggetto a nuove e inusuali situazioni in modo rapido ed efficiente. Inoltre, studi neuropsicologici sulla depressione maggiore hanno ipotizzato l’esistenza di uno specifico deficit di performance della memoria di lavoro (working memory) frutto di una disfunzione della corteccia prefrontale dorsolaterale. Il riscontro di compromissioni cognitive nell’ambito dei disturbi bipolari è un rilievo molto frequente nella pratica clinica, durante gli episodi critici ma anche nelle fasi intercritiche. I deficit cognitivi sono presenti non solo in tutte le fasi del disturbo fin dall’esordio, ma anche nei soggetti con rischio genetico di disturbo bipolare e nei familiari di primo grado dei pazienti. Le anomalie cognitive osservabili sono molto spesso associate al riscontro di anormalità strutturali e funzionali nel network limbico e corticale. L’episodio maniacale, in particolare, si caratterizza per deficit cognitivi dell’attenzione, della memoria di lavoro, della flessibilità mentale e della memoria verbale. In generale, invece, la compromissione cognitiva (attenzione, memoria e funzioni esecutive) è maggiore nel disturbo bipolare I. Varie ricerche hanno evidenziato, inoltre, un decorso più sfavorevole nei soggetti che all’inizio del trattamento mostravano maggiori deficit cognitivi, individuando un ruolo predittivo di questi ultimi sulla prognosi del disturbo bipolare. CAPITOLO 43: COMPROMISSIONE COGNITIVA SECONDARIA ALL’USO DI SOSTANZE La dipendenza da sostanze è quella condizione psichica e talvolta anche fisica derivante dall'interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione. Alcuni concetti chiave:  Craving: desiderio impulsivo verso una sostanza psicoattiva o un oggetto/comportamento gratificante;  Tolleranza: si verifica quando una data dose di sostanza, dopo somministrazioni ripetute, produce un effetto minore di quello ottenuto alla prima somministrazione;  Astinenza: insieme dei sintomi che compaiono quando si è lontani dalla sostanza/condotta patologica;  Ricaduta: ritorno all’assunzione della sostanza o alla condotta patologica dopo un periodo più o meno protratto di astensione. Tra le più frequenti conseguenze dell’uso in acuto di cannabinoidi vi è l’induzione di un effetto euforizzante o “high”. Una dose di 2.5 mg risulta sufficiente a determinare tale azione psicoattiva, comprendente la riduzione dell’ansia, dell’allerta e delle tensioni, accompagnate da un incremento delle capacità socializzanti. Mentre l’evidenza indica che l’abuso di cannabinoidi da parte di consumatori abituali è associato a incremento della frequenza di disturbi d’ansia e di altri problemi psichiatrici, recenti studi epidemiologici non hanno confermato tale dato. Accompagnando l’euforia, e spesso contribuendovi, la cannabis produce alterazioni percettive. I colori possono essere percepiti come più brillanti, i suoni come più intensi e le emozioni più significative. La percezione spaziale può venire distorta ed il trascorrere del tempo viene alterato tale da apparire più rapido. Ogni deficit cognitivo prodotto dall’assunzione di cannabis in adolescenza può avere implicazioni non favorevoli per il successivo funzionamento in ambito scolastico, lavorativo e sociale anche in età adulta. Quindi uno dei fattori che più influisce sui deficit neuropsicologici secondari all’uso di cannabis è l’età d’esordio. Medina e colleghi hanno esaminato il volume cerebrale di un gruppo di consumatori di cannabis adolescenti, dopo un mese di astinenza. In una delle prime analisi, è emerso che i consumatori di cannabis adolescenti non differivano in modo significativo dai gruppi di controllo sani nel volume ippocampale, anche se le correlazioni tra volume ippocampale e memoria verbale risultavano anomale rispetto ai soggetti di controllo. Inoltre, è stato rilevato che un incremento dell’uso di cannabis o la presenza di sintomi di dipendenza predicevano fortemente un maggiore volume dell’ippocampo sinistro. Simili anomalie della struttura cerebrale sono state riscontrate in adolescenti con disturbo bipolare. Gli studi su adolescenti con fMRI hanno rilevato anomalie della corteccia prefrontale, dei pattern di attivazione limbica e parietale nei consumatori di cannabis, rispetto ai gruppi di controllo, in risposta all’inibizione cognitiva, della memoria verbale di lavoro e della memoria spaziale di lavoro. Adolescenti consumatori mostrano un’eccessiva attivazione delle aree della corteccia prefrontale durante un compito di memoria verbale. Recenti studi hanno dimostrato che i soggetti affetti da dipendenza da cocaina mostrano avere funzioni esecutive significativamente compromesse rispetto al gruppo di controllo, ma l’età d’inizio della dipendenza risulta determinante quando si esaminano le singole funzioni neuropsicologiche e gli schemi di consumo. In particolare, i consumatori precoci mostrano performance peggiori in: memoria di lavoro, attenzione sostenuta e memoria dichiarativa, mentre i consumatori tardivi evidenziano peggiori prestazioni nell’attenzione divisa. Il fatto che, a parità di anni di consumo, l’età d’inizio implichi tali differenze è una dimostrazione di come la cocaina e le sostanze di abuso più in generale interferiscano con lo sviluppo neuropsicologico in adolescenza. Studi di neuroimmagine evidenziano che vi è un’alterazione della connettività tra aree parietali e prefrontali nei consumatori di cocaina. Dai 12 anni di età vi è una diminuzione della materia grigia corticale nei lobi frontali e parietali, ciò spiegherebbe il motivo per cui i soggetti consumatori precoci presentano alterazioni specifiche a livello delle funzioni esecutive. CAPITOLO 44: LA VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DELLA MEMORIA La valutazione dei disturbi di memoria avviene attraverso la somministrazione di test neuropsicologici. Questi ci permettono di comprendere se le prestazioni del paziente in particolari compiti si discostino (e di quanto) o meno da quelle considerate “normali” per soggetti di età, scolarità e sesso analoghi a quelli del paziente stesso. I punteggi ottenuti ai test dai pazienti vengono a questo scopo confrontati con quelli ottenuti agli stessi test da campioni di soggetti di controllo (senza patologie) aventi le stesse caratteristiche anagrafiche dei pazienti stessi. Prima di procedere alla valutazione testistica delle funzioni mnesiche, è indispensabile raccogliere informazioni precise circa le funzioni che sono necessarie per un’adeguata performance testistica:  Funzioni globali: livello di coscienza, attenzione, concentrazione, motivazione, velocità di elaborazione dell’informazione; si tratta di funzioni indispensabili per la fissazione ed il richiamo della traccia mnestica; Test MF 20 e MF 14: si mostra una figura-modello accompagnata da altre figure, in cui solo una è identica al modello. Il bambino deve scegliere più velocemente possibile la figura uguale al modello. Gli indici osservati sono:  Il tempo di latenza: tempo di prima risposta;  L'accuratezza: numero di errori. Si assume che un tempo di latenza breve e un alto numero di errori siano rappresentativi di uno stile di risposta impulsivo. Età di somministrazione: 5 – 7 anni (MF14), 6 – 14 anni (MF20). Il test valuta: l'attenzione sostenuta, le strategie di ricerca visiva, il controllo della risposta impulsiva. Test per la valutazione dell'attenzione nell'Adulto Continuous Performance Test o CPT: vengono mostrate una serie di lettere al ritmo di circa una al secondo. Tra tutte le lettere presentate il soggetto deve identificare la lettera stimolo. Il CPT è un test di valutazione dell’attenzione sostenuta. Claridge 1 e 2: è costituito da una serie random di numeri semplici, che l’esaminatore deve leggere in tre minuti. Il paziente deve battere un colpo sul tavolo ogni volta che si presentano un numero pari seguito da due numeri dispari ed uno pari. Il punteggio viene calcolato sommando il numero di risposte corrette, che va da 0 a 9, il numero di falsi allarmi e di omissioni. Il Claridge è un test per la valutazione dell’attenzione sostenuta. Test di barrage di una lettera dell'alfabeto: il test prevede la presentazione al soggetto di un foglio di carta bianca sul quale, in modo casuale, sono scritte le lettere dell'alfabeto. L'esaminatore colloca il foglio di fronte al soggetto, si accerta che riesca a leggere alcune lettere e poi dice: "Faccia un segno su tutte le lettere A che trova su questo foglio". Il test valuta l'attenzione selettiva. Test delle matrici attentive: vengono mostrate al soggetto tre matrici; ciascuna di esse è costituita da 13 righe di 10 numeri da 0 a 9 ciascuna, disposti in una sequenza casuale. Il soggetto deve sbarrare tutti i numeri uguali a quelli stampati in cima alla matrice. Viene calcolato il numero di risposte esatte, il numero di falsi allarmi e le omissioni. Test per la valutazione dell’attenzione selettiva Stroop color word interference test: è una prova articolata in tre subtest:  leggere una lista di nomi di colori;  dire il nome dei colori che presentano alcune macchie di colore;  dire il nome del colore in cui sono stampate alcune denominazioni di colore (per esempio: se c’è la parola “verde” scritta in giallo, bisogna dire “giallo”). Il test valuta lo shifting attentivo. Paced auditory serial addition task o PASAT: vengono presentati dei numeri oralmente; il soggetto deve sommare coppie di numeri, sommando ogni numero al precedente. Test di valutazione dell’attenzione divisa uditivo-verbale; nell’esecuzione del compito sono anche coinvolte l’attenzione selettiva e sostenuta. Test of everiday attention (TEA): misura, in situazioni tipiche della vita quotidiana, tutte le componenti dell’attenzione (l'attenzione selettiva, l'attenzione sostenuta, lo switching attentivo e l'attenzione divisa).  Shifting attentivo visivo: prevede il conto visivo dei piani in ascensore; la ricerca del piano è effettuata con conteggio di una serie di simboli visivi che rappresentano i piani, ma la direzione dell’ascensore in salita o in discesa può variare e viene indicata da frecce;  Attenzione selettiva: il soggetto deve segnare con un pennarello il maggior numero di stimoli target, in un certo intervallo di tempo, sulla mappa di una città;  Attenzione divisa: il soggetto deve, contemporaneamente al compito precedente (barrare simboli), anche contare una serie di suoni;  Attenzione sostenuta: al soggetto viene presentata uditivamente una serie di 2 lettere seguite da una serie di 3 numeri. Nel caso in cui il biglietto termina con 2 numeri uguali, il soggetto deve scrivere su un foglio le prime 2 lettere del biglietto. CAPITOLO 46: VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DELLE FUNZIONI ESECUTIVE Le funzioni esecutive sono definite come quelle abilità cognitive necessarie per programmare, mettere in atto e portare a termine con successo un comportamento finalizzato a uno scopo. Includono quindi processi cognitivi e di autoregolazione che consentono il monitoraggio e il controllo di pensieri e azioni, quali l’inibizione, la pianificazione, la flessibilità attentiva, l’individuazione e correzione di errori, la resistenza alle interferenze. Il modello teorico più utilizzato per lo studio e la valutazione delle funzioni esecutive è l'analisi fattoriale. All' interno di questo paradigma teorico vengono individuate tre componenti nucleari delle funzioni esecutive:  Controllo inibitorio;  Memoria di lavoro;  Flessibilità cognitiva. Test per la valutazione del controllo inibitorio Il Go-No-Go Task: quando viene sottoposto al test Go-No-Go, il soggetto deve: o produrre risposte rapide in condizioni di Go; o inibire la risposta in condizione di NoGo. Nei compiti Go-No-Go il numero di errori che il soggetto fa nelle condizioni di NoGo (dare una risposta quando non si dovrebbe) viene preso come indice del controllo inibitorio. Stroop Test: il test prevede che il paziente denomini il colore dell’inchiostro con cui sono scritti i nomi dei colori; in questo caso è necessario inibire l’automatica tendenza a leggere le parole e prestare attenzione al solo colore dell’inchiostro. Test per la valutazione della memoria di lavoro Digit Span: è un test di misurazione dello span di memoria verbale. Il digit span è composto da due differenti test:  Digits forward (ripetizione di cifre in avanti);  Digits backward (ripetizione di cifre a rovescio). Il test consiste di coppie di sequenze di numeri. L'esaminatore legge la sequenza numerica. Quando la sequenza è ripetuta dal soggetto correttamente, l'esaminatore legge la sequenza successiva, che è più lunga di un numero rispetto la precedente, e continua così fino a che il soggetto fallisce una coppia di sequenze o ripete correttamente l'ultima sequenza composta da nove numeri. Un forward span di 6 o + è nei limiti normali. Test di Corsi: lo stimolo è costituito da una tavoletta di legno in cui sono incollati 9 cubetti. I cubetti sono numerati dal lato rivolto verso l'esaminatore. Il somministratore è seduto di fronte al soggetto e tocca con l'indice i cubetti in una sequenza standard di lunghezza crescente. Appena terminata la dimostrazione della sequenza, l'esaminatore chiede al soggetto di riprodurla toccando i cubetti nello stesso ordine. Vengono presentate tre sequenze per ogni serie. Se il soggetto riproduce correttamente almeno due sequenze su tre, si passa ad esaminare la serie successiva. Il numero di cubetti relativo alla serie più lunga, per la quale sono state riprodotte correttamente almeno due sequenze, costituisce il punteggio del test che rappresenta lo span di memoria spaziale di quel soggetto. Test per la valutazione della flessibilità cognitiva Trail Making Test: TMT-A TMT-B: è un test di attenzione e flessibilità cognitiva composto da due parti, A e B. Il corretto svolgimento della parte A richiede adeguate capacità di elaborazione visiva, riconoscimento di numeri, conoscenza e riproduzione di sequenze numeriche, velocità motoria. Il corretto svolgimento della parte B, oltre alle predette abilità, necessita di una flessibilità cognitiva e di una capacità di shifting nella norma. Trail Making Test A: TMT-A: il soggetto deve unire in sequenza con una matita i numeri dall’1 al 25. Deve svolgere il compito nel più breve tempo possibile. Trail Making Test B: TMT-B: viene presentato al soggetto un foglio dove sono rappresentati numeri e lettere disposti in modo casuale. Il soggetto deve compiere simultaneamente due compiti: collegare, sia in ordine progressivo che alternato, numeri e lettere (cioè: 1-A-2-B-3-C- ecc...), unendo, quindi, in maniera alternata, i numeri (dall’1 al 13) e le lettere (dalla A alla N). Wisconsin Card Sorting Test o WCST: il soggetto ha davanti a sé 4 cartoncini con disegnate figure diverse per una o più caratteristiche di colore, forma o numero. Uno alla volta gli vengono presentati 128 cartoncini con figure analoghe a tre dei modelli per qualcuno dei caratteri. Il soggetto deve porre ogni cartoncino sotto al modello con cui reputa condivida qualche caratteristica, e dopo ogni scelta l’esaminatore lo informa se l’assegnazione è stata “giusta” o “sbagliata”. Vengono dapprima dichiarate giuste le assegnazioni effettuate per colore, e, dopo 10 risposte corrette consecutive, quelle eseguite per forma, e infine quelle per numero, senza che nel corso della prova il soggetto sia mai avvertito di quando il criterio “giusto” cambia. Si calcolano il numero di categorie identificate dal soggetto, gli errori commessi e gli errori perseverativi. Test che indagano aspetti più globali. Test della torre di Londra: utilizzato per la valutazione delle capacità delle funzioni esecutive fondamentali. Su tre pioli di diversa lunghezza il soggetto dovrà collocare le palline colorate, in un numero prestabilito di mosse e con una serie di regole. Nonostante non esista una diagnosi specifica di deficit delle funzioni esecutive, numerosi sono i quadri clinici nei quali palese è una difficoltà di programmazione, organizzazione, controllo comportamentale o flessibilità nell’adattarsi a situazioni nuove. Oggetto di particolare attenzione ed approfondimento in letteratura è il funzionamento esecutivo di bambini ed adolescenti con i seguenti quadri clinici:  Disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD);  Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA);  Disturbi generalizzati dello sviluppo (DGS);  Sindrome di Gille de la Tourette. Un deficit a carico del dominio inibitorio sembrerebbe caratterizzare tutti i quadri clinici; accanto ad esso è possibile osservare:  compromissione di memoria di lavoro e vigilanza in bambini ed adolescenti con ADHD;  problemi a carico di flessibilità cognitiva, pianificazione e memoria di lavoro in bambini ed adolescenti con DGS;  cadute specifiche della performance in prove volte alla valutazione della memoria di lavoro in bambini ed adolescenti con diagnosi di DSA. Una valutazione neuropsicologica del funzionamento del soggetto risulta dunque fondamentale per coglierne punti di forza e di debolezza e quindi per delineare un trattamento riabilitativo che sia: immunitario e quello digestivo diminuiscono. Esternamente i segni somatici dell'ansia possono includere pallore della pelle, sudore, tremore e dilatazione pupillare.  Dal punto di vista emotivo, l'ansia causa un senso di terrore o panico, nausea e brividi.  Dal punto di vista comportamentale, si possono presentare sia comportamenti volontari che involontari, diretti alla fuga o all'evitare la fonte dell'ansia. Scale di valutazione dell’ansia Anxiety Scale Questionnaire - ASQ. Gli item dell’ASQ sono a scelta multipla. Viene richiesto al soggetto di indicare come generalmente si sente o si comporta e quindi, in definitiva, la valutazione è rivolta all’ansia- tratto. Gli items sono suddivisi in:  Fattore O, Apprensione: alti valori in questo fattore indicano persone irritabili, incapaci di dormire a causa di inquietudini, di scoraggiarsi facilmente e di essere tormentate dai rimorsi.  Fattore Q4, Tensione: indica un livello di frustrazione generale.  Fattore Q3, Mancanza di controllo: alti livelli indicano poca importanza all’approvazione sociale, poco riguardo per la propria reputazione. Bassi livelli indicano carattere coercitivo, controllato.  Fattore C, Instabilità emotiva: alti punteggi descrivono persone che tendono ad annoiarsi facilmente delle cose, che hanno reazioni nevrotiche sotto forma di fobie, come disturbi psicosomatici, difficoltà nel sonno, comportamenti isterici ed ossessivi.  Fattore L, Sospettosità: alti punteggi indicano individui che disprezzano la mediocrità, scrupolosamente corretti nel comportamento ed infastiditi da chi ha atteggiamenti di superiorità. State-Trait Anxiety Inventory – STAI. Può essere considerato come il primo strumento in cui l’ansia-tratto e l’ansia-stato vengono valutate separatamente. Composto da due sub-scale: STAI T-Anxiety Scale (o Forma X-2) e STAI S-Anxiety Scale (o Forma X-1) per la valutazione, rispettivamente, dell’ansia-tratto e dell’ansia- stato. Dello STAI esiste anche una versione per bambini, lo STAIC. Hamilton Rating Scale for Anxiety - HRSA o HAM-A. Scala di valutazione dell’ansia più conosciuta e più ampiamente utilizzata. Non ha finalità diagnostiche, ma serve solo a quantificare l’ansia nei pazienti già diagnosticati come sofferenti di disturbi ansiosi. Esplora 14 categorie di sintomi. Self-rating Anxiety State – SAS. Scala di autovalutazione dell’ansia, composta da 20 item; il paziente deve valutare, su di una scala da 1 a 4, la frequenza con cui i sintomi descritti negli item si manifestano; per 5 item, che esplorano il benessere, il punteggio è opposto rispetto agli atri 15 che esplorano la sintomatologia ansiosa. La componente cognitiva comporta aspettative di un pericolo diffuso e incerto. Nello specifico, in condizioni d’ansia, si verificherebbe:  La sopravvalutazione dei segnali di pericolo;  La sottovalutazione delle capacità personali di fronteggiare il pericolo. Le distorsioni cognitive nell’ansia comprenderebbero inoltre:  Perfezionismo patologico o timore dell’errore: legato al timore intollerabile di commettere errori anche trascurabili nelle prestazioni e alla convinzione che questi errori siano fonte di danni personali gravi oppure segnale di profonda inadeguatezza personale.  Intolleranza dell’incertezza: l’attenzione del soggetto ansioso rimane ristretta sulle possibilità negative; egli vede solo i possibili sbocchi pericolosi.  Obbligo/bisogno di controllo: è l’unica alternativa alla paura di una catastrofe concepita dai soggetti ansiosi; il “controllo” è l’indispensabile condizione per la tranquillità per gli ansiosi ed è inteso come convinzione di non averne a sufficienza.  Autovalutazione negativa e intolleranza emozioni negative/paura della paura: ogni cosa negativa che potrebbe accadere è un riflesso di come sei tu come persona. Tra gli strumenti per la valutazione dell’ansia, ne esistono alcuni che valutano la sua componente cognitiva. Cognitive-Somatic Anxiety Questionnaire – CSAQ. Questa indaga separatamente le componenti cognitive e somatiche dell’ansia. Somatic, Cognitive, Behavioral Anxiety Inventory – SCBAI. Scala di autovalutazione messa a punto per valutare componenti principali dell’ansia: somatica, cognitiva e comportamentale. Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è un grave quadro clinico che nella sua forma cronica si sviluppa solo in una piccola parte di sopravvissuti a un trauma. Successivamente all’evento traumatico i sintomi del disturbo post traumatico da stress più frequenti sono: Sintomi intrusivi associati all’evento come: ricorrenti e involontari ricordi spiacevoli dell’evento traumatico; ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto e le emozioni del sogno sono collegati all’evento traumatico; flashback in cui il soggetto sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando. Marcata reattività associata all’evento traumatico: ipervigilanza e forti risposte di allarme; problemi di concentrazione; difficoltà relative al sonno. Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico: tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all’evento traumatico; tentativi di evitare fattori esterni che suscitano ricordi spiacevoli relativi all’evento traumatico. Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento traumatico: incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento traumatico; persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative relative a se stessi, ad altri o al mondo; persistente stato emotivo negativo. Un fenomeno che si riscontra spesso nei pazienti con DPTS è la dissociazione. Dissociazione: i ricordi traumatici non sono integrati nella memoria narrativa ma vengono archiviati come stati affettivi o come frammenti residui, che si riaffacciano alla coscienza quando un evocatore qualunque li riattiva. Durante un’esperienza traumatica, la dissociazione consente di osservare l’evento da spettatore, di non provare dolore o stress o di provarlo in misura limitata, proteggendo il soggetto dalla consapevolezza della vera portata di ciò che ha subito. Esistono strumenti di valutazione della componente dissociativa del PTSD: Peritraumatic Dissociation Experiences Questionnaire – PDEQ. È un questionario per la valutazione della sola componente dissociativa nella risposta ad un trauma in coincidenza o nelle immediate vicinanze del trauma stesso. Questionario composto da 10 items, che includono derealizzazione, amnesia, esperienze di estraneazione dal corpo ed alterata percezione del tempo. Presso la Cattedra di Psichiatria dell’Università degli Studi di Siena è stato inoltre elaborato un questionario in autovalutazione per il DPTS. Il questionario è diviso in due parti: La prima parte del test comprende gli item relativi alle seguenti dimensioni: reazione soggettiva all’evento; sintomi legati al "rivivere" l’evento (RI), in forma di ricordi ricorrenti, sogni, flashback, disagio di fronte a stimoli collegati all’evento; evitamento delle situazioni collegate all’evento. Nella seconda parte del test sono valutati gli item relativi a: sintomi di "numbing" (NU), ossia attenuazione della reattività generale, in forma di distacco dall’ambiente, dalle persone care, perdita di interesse in attività significative, sensazione di un futuro già abbreviato; iperarousal (IP), comprendente ipervigilanza, esagerate risposte d’allarme; sintomi neurovegetativi; irritabilità, disturbi del sonno e sintomi dissociativi (DI): depersonalizzazione, derealizzazione. CAPITOLO 49: IL REFERTO NEUROPSICOLOGICO E LA RESTITUZIONE DEI RISULTATI Possiamo schematizzare il percorso valutativo nei seguenti passi:  Analisi della domanda: si esamina il problema e la richiesta.  Anamnesi neuropsicologica: il processo anamnestico è una ricostruzione quanto più dettagliata possibile della storia clinica e sociale dell’individuo. Per ottenere più informazioni possibili, il neuropsicologo deve utilizzare più fonti: familiari, cartelle cliniche, medico di base, medico inviante.  Colloquio (intervista neuropsicologica preliminare): viene effettuato col paziente (quand’è possibile) e con i familiari. Ha un duplice scopo: consente al neuropsicologo di ottenere informazioni ma anche di fornirle.  Somministrazione dei test neuropsicologici: si utilizzeranno in principio test che forniscono un quadro cognitivo generale del paziente ed in seguito test specifici per valutare le funzioni cognitive che risultano più compromesse.  Stesura della relazione: la comunicazione dei risultati al paziente e ai familiari è seguita dalla stesura del referto che deve contenere le informazioni anagrafiche, il richiedente ed il motivo dell’esame, l’anamnesi neuropsicologica, la descrizione qualitativa e quantitativa delle funzioni cognitive esaminate, le conclusioni ed in fondo la tabella dei punteggi ottenuti ai test. Il referto espone una grande varietà di informazioni e deve specificare le fonti diverse da cui derivano e le procedure diverse con cui sono state raccolte. Le affermazioni devono avere un significato chiaro e univoco e fare riferimento ai fatti; il richiamo a costrutti psicologici e la concettualizzazione sulla base di modelli teorici deve essere giustificata sulla base dei fatti, e non sostituirsi ad essi. La lunghezza e la struttura sono variabili a seconda degli scopi. Il momento della restituzione, che avviene al termine di una valutazione neuropsicologica, è una fase estremamente delicata, oltre che di profonda responsabilità, nella quale il soggetto e la famiglia vengono informati dallo specialista neuropsicologo rispetto a quanto emerso dalla valutazione. Il momento della restituzione rappresenta per il paziente ed i familiari l’inizio di un processo di analisi e riflessione, che può suscitare reazioni di paura e nuove domande. All’interno di un referto è necessario chiarire da chi è stato richiesto l’esame neuropsicologico ed è possibile consigliare visite da altri specialisti. CAPITOLO 50: TECNICHE DI RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA Le potenzialità di recupero del paziente cerebroleso stanno alla base di ogni programma riabilitativo dei deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali. La riabilitazione neuropsicologica è lo studio delle opportunità riorganizzative assunte dal cervello in seguito, ad esempio, ad una lesione. I processi cognitivi ed emotivo- motivazionali possono essere alterati da lesioni o disfunzioni cerebrali di diversa origine. Queste andrebbero a modificare il comportamento, la condizione di salute della persona, le sue relazioni familiari e la sua integrazione sociale, ridurrebbero inoltre la sua autonomia nella vita quotidiana. I pazienti con disturbi di consapevolezza dei propri deficit vengono guidati a prendere coscienza delle ricadute funzionali nella vita quotidiana ma anche delle risorse presenti. Un adeguato funzionamento nel mondo reale può avvenire anche in presenza di scarse capacità cognitive se la persona è in grado di avere consapevolezza delle proprie abilità, potendo supplire a quelle mancanti. In generale il trattamento riabilitativo cognitivo mirato all’intervento diretto sul deficit può essere differenziato in:  Approccio restitutivo: il cui obiettivo è quello di riportare la funzione deficitaria alla stessa efficienza pre-morbosa, cioè ricostruire le funzioni cognitive compromesse.  Approccio sostitutivo (compensativo): il cui obiettivo è portare le funzioni integre a vicariare la funzione deficitaria, cioè trovare delle strategie alternative di compenso. Esistono diversi strumenti di riabilitazione neuropsicologica: ognuno di questi si focalizza su determinate aree problematiche e su specifici disturbi. La riabilitazione cognitiva nella schizofrenia, ad esempio, è un programma di intervento finalizzato al miglioramento delle funzioni cognitive deficitarie. Gli obiettivi della riabilitazione cognitiva nella schizofrenia sono: Social Cognitive Skills Training (SCST). È un programma di intervento sulla social cognition ottenuto integrando esercizi tratti dal metodo TAR e dal metodo SCIT. Composto da quattro moduli di crescente complessità: elaborazione delle emozioni, percezione sociale, attributional bias, mentalizzazione. Metacognitve Training (MCT). È un programma di training metacognitivo per persone affette da schizofrenia. Il metodo ha lo scopo di rendere i pazienti consapevoli dei propri deficit così da poterli correggere ed evitare la formazione e il mantenimento di credenze patologiche. È composto da moduli incentrati sui comuni errori cognitivi e sulle tendenze anomale nella risoluzione dei problemi. Le sessioni sono volte a sensibilizzare il paziente su tali distorsioni, indurlo a riflettere criticamente, oltre ad integrare e cambiare il suo attuale repertorio di risoluzione dei problemi. Ciascun modulo comincia con elementi psicoeducazionali e normativi, in cui i pazienti familiarizzano con un dominio. CAPITOLO 52: PROGNOSI ED EFFICACIA DELLA RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA La riabilitazione neuropsicologica ha lo scopo di risolvere, per quanto possibile, la disabilità del paziente rispetto al suo ambiente di vita. I fattori predittivi del recupero funzionale dei disturbi neuropsicologici sono:  Grado di motivazione e livello attentivo: un paziente motivato e con un buon livello di attenzione ha maggiori possibilità di miglioramento di un paziente scarsamente motivato e con un basso livello di attenzione.  Età: soggetti più giovani hanno relativamente maggiori possibilità di recupero.  Grado di scolarità: il livello di scolarità potrebbe essere un fattore importante. Esso potrebbe rappresentare un insieme di comportamenti e di attributi cognitivi che si sommano alle capacità di partecipare e di trarre vantaggio dalla riabilitazione.  Livello intellettivo: numerosi lavori hanno dimostrato che i pazienti con una migliore prestazione pretraumatica ai test di intelligenza possono ottenere valutazioni più positive ai test neurologici e psicometrici 5-8 anni dopo aver subito un trauma cranico aperto.  Fattori clinici: gravità del quadro clinico.  Fattori neurologici: sede ed entità di una lesione, tempo trascorso dall’esordio della cerebro- lesione oppure gravità della patologia e tempo trascorso dall’esordio della stessa.  Grado di consapevolezza: i pazienti con maggiore consapevolezza partecipano più attivamente alla riabilitazione.  Controllo interno: i pazienti che hanno un controllo interno, cioè che pensano di controllare ciò che accade loro, presentano un tasso migliore di ripresa del lavoro e di adattamento psicosociale, rispetto a quelli che hanno un controllo esterno, cioè che credono che siano soprattutto il destino o la fortuna gli aspetti determinanti.  Modalità relazionali.  Alleanza terapeutica. Fattori non predittivi del recupero funzionale dei disturbi neuropsicologici sono costituiti invece da:  sesso: nella maggior parte dei lavori non si è trovata differenza di miglioramento tra i due sessi;  dominanza manuale: non si è trovata differenza tra i due gruppi. Studi di casi singoli. Il sistema per distinguere gli effetti specifici di un trattamento da quelli aspecifici é proprio quello di ricorrere al disegno "A B incrociato". Questo modo di procedere prevede semplicemente che si divida il materiale su cui si intende riabilitare il paziente in due porzioni, A e B, per le quali la prestazione si é dimostrata inficiata in modo equivalente al momento della partenza dello studio. Si procede poi a riabilitare la sola porzione A per un determinato periodo di tempo. Alla fine di questo periodo si potrà constatare se la prestazione alla porzione A è migliorata. In caso affermativo, probabilmente, il trattamento è stato efficace. Se non è migliorata quanto la prestazione alla porzione A, la differenza é dovuta al trattamento specifico. L’eventuale miglioramento in B rispetto al momento di partenza é la misura dell’efficacia generica. Si procederà poi a riabilitare la porzione B, lasciando stare la porzione A, per un certo tempo. Se il trattamento é efficace e duraturo, alla fine le prestazioni in A e B dovrebbero essere equivalenti e a un livello superiore rispetto all’inizio del trattamento. Studi di gruppo. In questo modo di procedere si assegnano in modo random pazienti aventi stesse caratteristiche di età, scolarità, quadro cognitivo e patologia responsabile dello stesso, in due gruppi, A e B. Si procede poi ad effettuare due differenti tipi di riabilitazione nei due gruppi o a riabilitare solo il gruppo A per un determinato periodo di tempo. Alla fine di questo periodo si potrà constatare se la prestazione del gruppo A è migliorata in modo significativo rispetto al gruppo B. In caso affermativo, probabilmente, il trattamento cognitivo è stato più efficace rispetto al trattamento riabilitativo effettuato nel gruppo B. Efficacia di un trattamento di riabilitazione cognitiva nella demenza di Alzheimer: caso clinico. Il soggetto è un imprenditore in pensione con la licenza elementare che lamenta principalmente problemi di disorientamento, memoria e attenzione che interferiscono negativamente nello svolgimento delle sue attività quotidiane e che hanno portato anche ad un ritiro dalle nomali attività sociali. Disegno sperimentale. È stato utilizzato per lo studio un disegno di analisi sul caso singolo con inversione di fase A-B-A-B, in cui la fase A corrisponde alla valutazione nella condizione di pre-intervento mentre la fase B alla valutazione nella condizione di post-intervento. Procedura. L’intervento è consistito in due cicli terapeutici bisettimanali di un’ora per tre mesi l’uno, separati da un periodo di riposo di tre mesi, raggiungendo una durata complessiva di trattamento di nove mesi. Nei momenti iniziali e finali di ogni ciclo è stata effettuata una valutazione neuropsicologica. Programma riabilitativo. Lo schema terapeutico prevedeva un’applicazione della ROT nella fase iniziale e finale della seduta per stimolare gli orientamenti spaziotemporali. ROT: (Reality Orientation Therapy). Si tratta di un intervento guidato attraverso compiti standardizzati, orientati a specifici domini cognitivi per stimolare le funzioni cognitive principalmente inficiate in questo ambito. Poi nella parte centrale si effettuava il training cognitivo centrato sulla attenzione, sulla memoria e sul linguaggio. Nel training dell’attenzione si proponevano esercizi di barrage semplici e multipli per stimolare l’attenzione selettiva, esercizi con il paradigma del doppio compito per l’attenzione divisa e compiti finalizzati alla focalizzazione su determinati stimoli per l’attenzione sostenuta. Per il training della memoria sono state utilizzate le seguenti metodiche: effettuare elaborazioni sull’informazione che deve essere ricordata creando legami semantici nell’ambito dell’informazione da ricordare; recupero differito dell’informazione precedentemente data ad intervalli di tempo crescenti. Per il training del linguaggio ci si è concentrati sulla stimolazione della fluenza verbale attraverso esercizi di produzione secondo un criterio fonologico e semantico, produzioni di parole usando tabelle alfabetiche e generazione di sinonimi e contrari di vari vocaboli. La valutazione è stata condotta utilizzando dei test neuropsicologici somministrati prima e dopo l’intervento riabilitativo in entrambi i due cicli terapeutici. CAPITOLO 53: RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA DEI DISTURBI DELLA MEMORIA (MNEMOTECNICHE) Le sindromi dismnesiche (o amnesie) sono costituite da tutte quelle forme di disfunzione del sistema della memoria di lungo termine. La compromissione grave e selettiva della memoria a lungo termine è indipendente da parametri dello stimolo, come le sue caratteristiche verbali o non-verbali o la modalità sensoriale di presentazione. I disturbi di memoria che si possono osservare sono in particolare disturbi di memoria esplicita episodica. In questi pazienti solitamente non risultano danneggiate la memoria a breve termine, la memoria implicita, la memoria esplicita semantica ed i processi di analisi percettiva. Il quadro, caratterizzato dunque da disturbi selettivi di memoria esplicita episodica, viene chiamato amnesia pura. Caratteristiche del paziente mnesico: Nei pazienti con amnesia pura è possibile osservare un deficit di memoria episodica anterograda (amnesia anterograda), che si manifesta come difficoltà a memorizzare a lungo termine e ricordare nuove informazioni di vario tipo, ovvero informazioni che vengono date al paziente dopo la comparsa dell'amnesia pura. Tra le metodologie riabilitative per le amnesie distinguiamo:  Metodi esterni “passivi”: metodi caratterizzati dal fatto che il paziente riceve passivamente informazioni che sostituiscono la sua insufficiente memorizzazione.  Metodi esterni “attivi”: metodi basati sul fatto che il paziente viene sollecitato ad utilizzare autonomamente strategie che gli sono state suggerite o che egli stesso ha imparato a scoprire con la guida del riabilitatore.  Metodi interni: metodiche più direttamente finalizzate ad esercitare e migliorare le funzioni mnesiche del paziente (mnemotecniche o tecniche di memorizzazione).  Metodi cognitivi: metodiche che cercano più direttamente di migliorare le funzioni mnesiche. Metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di ausili esterni passivi. Significato della metodologia: utilizza ausili esterni “passivi” nel cui uso il paziente è coinvolto in modo più passivo. Ausili esterni = si basa su segnali forniti dall’ambiente. Passivi = gli ausili non vengono gestiti dal paziente. Metodiche riabilitative: addestramento del paziente ad un uso corretto ed abituale degli ausili esterni passivi nelle attività quotidiane, creando sia situazioni di vita reale, sia situazioni simulate. Difficoltà per il riabilitatore: nel paziente con grave amnesia è possibile incontrare difficoltà nell'addestramento ad un uso abituale degli ausili esterni passivi. È spesso necessario sollecitare il paziente ripetutamente all'uso degli ausili. Obiettivo: migliorare l'orientamento spaziale e temporale, facilitare il ricordo di appuntamenti ed il ricordo di varie informazioni utili per il paziente. Pazienti in cui è opportuno utilizzare gli ausili esterni passivi: pazienti con grave amnesia o con amnesia associata a deterioramento intellettivo. I metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di ausili esterni passivi prevedono:  Adattamento alle condizioni ambientali: modificazioni dell'ambiente in cui il paziente vive, mediante cartelli, etichette e segnali.  Terapia di orientamento nella realtà (ROT): consiste nell'informare ripetutamente il paziente su ciò che sta accadendo o accadrà nel corso della giornata, per migliorare il suo orientamento spaziale e temporale e la sua comprensione degli eventi che lo riguardano. Metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di ausili esterni attivi. Significato della metodologia: si basa sull’uso di ausili esterni "attivi" nel cui uso il paziente è coinvolto in modo più attivo. Ausili esterni = si basa su segnali forniti dall’ambiente. Attivi = gli ausili vengono gestiti in maniera diretta ed attiva dal paziente. Metodiche riabilitative: addestramento del paziente ad un uso corretto e abituale degli ausili esterni attivi nelle attività quotidiane, in modo tale che il paziente possa apprezzare i vantaggi che offrono tali ausili. Difficoltà per il riabilitatore: il paziente può rifiutarsi di usare gli ausili esterni attivi o può usarli in modo improprio. Obiettivo: migliorare l'efficienza del paziente nelle attività quotidiane.
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