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Riassunto "Nouvelle Vague" di Vito Zagarrio, Appunti di Storia Del Cinema

Riassunto del testo "Nouvelle Vague - Il cinema del nuovo millennio" di Vito Zagarrio

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 08/02/2023

Erika-Procaccino
Erika-Procaccino 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Nouvelle Vague" di Vito Zagarrio e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! 1 Nouvelle vague italiana Il cinema del nuovo millennio Vito Zagarrio Premessa – Il cinema ai tempi del Virus Il cinema al tempo del virus, vivendo e studiando il cinema nel 2020/2021, che presenta uno scenario apocalittico, per il cinema ma soprattutto per il pianeta. Il Coronavirus ormai da due anni scompagina la vita quotidiana degli esseri umani. L’Italia, che per prima dopo Cina e Corea subisce il violento impatto del virus Covid-19, è prima incredula, poi stupefatta e impaurita. Se si rivede oggi Contagion di Steven Soderbergh (2011), sembra in realtà di guardare un telegiornale: quegli stadi adattati a immensi ospedali, il medico che si immola per gli altri morendo del virus, la ricostruzione «alla moviola» del primo contatto attraverso un pipistrello, la corsa di massa verso il vaccino. Il cinema ha sempre intuito gli eventi e annusato le catastrofi incombenti. Il virus è la presa d’atto di un processo di mutazione che era già in corso, il cinema è mutato, lo spettatore della sala cinematografica è emigrato sulle piattaforme: Netflix, Sky, Amazon. E la diversa fruizione dell’immagine in movimento, accoppiata alla grande mutazione evocata dal virus, influisce sugli stessi plot delle serie (e dei film veicolati su piattaforma), dove emerge il tema del corpo e della sua fluidità nel tempo e nello spazio. Il comparto dell’audiovisivo, come quello delle performing arts, è in crisi, e si rifletterà sulla distribuzione e sull’esercizio: è difficilissimo organizzare un set con l’incubo dei continui tamponi, tenendo impossibili distanze di sicurezza. I set e i palcoscenici sono stati fermi a lungo, è dilagata la disoccupazione in un settore fondamentale dell’industria dell’entertainment. Ma il virus ha anche creato una nuova estetica: i festival, i convegni, le conferenze, le lezioni universitarie avvengono sull’«interfaccia» del desktop di un computer, creando inquietanti ma anche affascinanti icone che ricordano le arti elettroniche. Trionfa l’estetica dello split screen: l’inquadratura viene frantumata in puzzle di sotto-schermi. Il virus ha imposto una riorganizzazione dei mediascape. La didattica a distanza (DAD) impone un ripensamento del rapporto con l’allievo: si è perso il contatto diretto Lo schermo del computer raffredda il rapporto emozionale con lo studente, ma permette l’esperienza nuova della condivisione. Un fenomeno simile è avvenuto nei festival di cinema à impossibilitati a organizzare eventi dal vivo, stante la chiusura di cinema e teatri, i festival hanno dovuto inventare nuove formule: trasformare le singole proiezioni da eventi singoli a mini-distribuzioni on demand su piattaforma. È prevalsa la logica del concerto, rispetto all’evento del solista. Nella didattica online, nei festival online, nei convegni e nelle conferenze, nelle presentazioni e nelle riunioni si è dovuto concertare piuttosto che lasciare all’azione individuale. Con la pandemia, in Italia è cambiato drammaticamente il moviegoing à col primo lockdown chiudono sale cinematografiche e soprattutto si fermano tutte le produzioni cinematografiche. Il comparto dell’audiovisivo è in ginocchio. 2 Dopo il secondo lockdown, è rimasta la diffidenza del pubblico verso la sala, un luogo ormai bruciato rispetto alle consuetudini di una volta. Il cinema non è solo quello della sala, ma si può fruire attraverso i tanti schermi esistenti, dal computer al telefonino, dall’iPad al web. Come l’eterna Fenice, il cinema risorgerà dalle ceneri di questo virus. Introduzione Il cinema italiano del nuovo millennio Dopo la Transizione Nel 1999 l’autore (Zagarrio) ha pubblicato un libretto chiamato Cinema italiano anni Novanta, questo era uno dei primi volumi dedicati al nuovo cinema italiano. Erano poche le riflessioni dedicate a una cinematografia, quella italiana, che non era apprezzata in patria. Quell’agile volumetto offriva un panorama esauriente del fenomeno di un cinema giovane, che rivendicava il suo diritto a esistere. In un volume parallelo, all’alba degli anni 2000, parlava di un cinema della transizione, per indicare un periodo in cui il cinema sembrava in grande movimento, ma il cui approdo era incerto. C’era in quel periodo, tra la fine del secolo e svolta del terzo millennio, un fervore di riflessioni su un cinema senz’altro in mutazione. Si poteva già fare un quadro complessivo, non più connotato solo dal filo rosso del cinema giovane, ma allargato a più generazioni e più leve operanti insieme in questo decennio, dai veterani esordienti, da Monicelli ai Taviani, da Bertolucci a Moretti, da Soldini a Muccino. Un “decennio di transizione” à la definizione dello storico Rosario Villari. Secondo Villari eravamo in una società che rischiava di essere a-storica, assistevamo impotenti a fenomeni di degrado culturale, di abbassamento della capacità critica, ma al tempo stesso vivevamo un periodo di passaggio, erano scomparsi i grandi punti di riferimento del passato e ancora non si vedevano all’orizzonte i nuovi scenari. Forse la transizione è meno vaga, nel 2020. C’è stato un qualche approdo, e l’approdo del cinema pare migliore che non quello della società italiana, del paese legale. Era difficile, nel 2001, se non impossibile, fare la storia di un decennio che era ancora in corso. Troppo recenti erano i fenomeni da osservare, troppo freschi i casi da analizzare, mancava la giusta distanza storica. Ciò premesso, si tentavano i primi bilanci, cercando di orientarsi in una fase in cui troppo contraddittori erano gli elementi di giudizio. Anche il cinema italiano viveva una vasta mutazione genetica, quella causata dall’irruzione del digitale, di internet, della virtualità, che già influiva fortemente sui modi di produzione, sui processi lavorativi. Sulla formazione delle professionalità. Si trattava di una enorme rivoluzione tecnologica in atto, una trasformazione che già vedeva i vari mezzi contaminarsi, convergere e fondersi insieme: pellicola e digitale, film e televisione, cinema ed elettronica, e poi il vasto mondo della rete. Stavamo assistendo a una mutazione genetica a livello planetario. A inizio 2000 si tornava a parlare di primavera del cinema italiano, così come si è parlato, per il decennio precedente di rinascita. Si assisteva, all’alba del nuovo millennio, a un forte cambiamento dei contenuti, delle ispirazioni, della visione del mondo del nostro cinema. 5 importanti, e visioni del mondo, che hanno cambiato il modo di studiare la storia e il giudizio stesso su autori e film. Facciamo alcuni esempi: l’analisi del gender, cioè il genere sessuale, che hanno fatto ripensare a tutta la storia del cinema di solito dominato da un male gaze (sguardo maschile), da qui anche i woman studies, la prospettiva femminista. L’attenzione al tema LGBQT. Negli anni 10 del nuovo millennio, in particolare, si è assistito, su riviste specializzate ma anche tra le pagine dei più importanti quotidiani nazionali, a un ritorno in auge della secolare discussione sul tema del realismo/anti-realismo, resa necessaria dagli sviluppi e dalla conclusione della stagione post moderna. Dietro le nozioni di realtà e di realismo c’è un enorme dibattito filosofico che noi qui possiamo solo sfiorare, ma che è senz’altro il retroterra teorico che innerva una delle maggiori tendenze di rinnovamento del cinema del nuovo millennio. Il computer ha profondamente trasformato la comunicazione, molto più che la stampa del 15° secolo o la fotografia del 19°; e si pensi in particolare all’influenza dell’estetica del videogame sul cinema. Ed ecco allora l’irruzione del videogioco nell’immaginario audiovisivo internazionale. Il cinema italiano scimmiotta questi modelli di immaginario à ecco Game Therapy, presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2015, con grande seguito di folla giovanile e giovanissima appassionata di web per la presenza nel cast di youtubers come Favij. Grazie al meccanismo narrativo, gli eroi, che si muovono tra parodia dell’action e la commedia giovanile, si trovano alle prese con stanze virtuali che giocano con gli sfondi dei film di genere: dal film sulle guerre mediorientali al film in costume medievale. I due amici cominciano a esplorare questi diversi set ricostruiti con una certa dovizia di particolari, uno proiettato nell’ambiente virtuale, l’altro a difendere la posizione e il controllo mentale dietro la console della macchina. Alla fine, uno dei due amici sceglierà di essere risucchiato nel gioco e di abbandonare la vita reale, che promette invece all’atro una qualche normalità. Il film non piace ai cinefili esperti di videogame, ma il puzzle è interessante e dimostra comunque quanto sia importante il modo di produzione del film, che si chiude grazie alla notorietà di nomi riconoscibili di Youtube. Siamo comunque di fronte a un cinema di fuochi d’artificio, un cinema basato sulla motion capture, sulla computer graphic, sul lavoro corporeo degli stunt accoppiato a una pura reinvenzione della realtà. L’animazione diventa dunque il motore estetico ed economico-politico della nuova logica delle immagini in movimento: dalla Pixar alla nuova Disney, dal tanto cinema tratto dai supereroi della Marvel al cinema in 3D e alla VR. La realtà virtuale, in particolare, offre inediti scenari allo spettatore degli anni duemila, che può interagire con le immagini in movimento. L’immaginario contemporaneo nazionale, oggi, non può non fare i conti con l’America: il cinema hollywoodiano da un lato, le serie televisive dall’altro. La forza dell’immagine americana caratterizza una diversa strategia estetica; propone una linea che può coniugare un gusto alla moda influenzato dal digitale e dal web con una certa nostalgia per l’analogico, per un cinema-cinema che pur usando le tecnologie avanzate del post-mediale rimanda a un desiderio di immagine pura ben 6 più antico. Si può dire che si è accentuata, nel panorama internazionale dell’audiovisivo, una forbice tra un cinema mainstream tutto interno al sistema industriale e un cinema digitale-resistenziale, low budget e antisistema. Un’attenzione particolare va dedicata alle tendenze della messa in scena nella seconda decade del nuovo millennio: prendiamo il piano sequenza, o la ripresa in soggettiva. Al long take sono stati dedicati due libri recenti che testimoniano dell’importanza di questa scelta di montaggio. Una scelta estetica che è stata ampliata dall’irruzione del digitale, da un lato, e da un sempre più largo uso della steadycam. La soggettiva, o meglio il «first person shot» è un altro punto di vista ricorrente dell’audiovisivo contemporaneo, dal cinema d’autore al porno. Oggi non si può parlare di cinema senza parlare di televisione. A cavallo tra vecchio e nuovo secolo la serialità è diventata una delle frontiere più importanti dell’universo audiovisivo contemporaneo. Una storia del cinema italiano oggi non può non essere anche storia delle serie, partendo dall’analisi dell’influenza del modello americano, che ha fatto da traino estetico e produttivo alla serialità europea. Pensiamo alle serie italiane più gettonate e di qualità: Gomorra, Suburra. Non a caso anche gli scrittori si avventurano nell’ideazione e direzione di serie. Il cinema italiano del nuovo secolo si inserisce in questo scenario complesso. Si tratta di un cinema che ha una sua grande storia alle spalle e su cui storici e critici hanno speso molte analisi, dal cinema muto al neorealismo, dai grandi maestri come Rossellini, De Sica, Fellini, Antonioni, Visconti, Pasolini, al cinema «moderno» di autori come Bertolucci e Bellocchio. Oggi il cinema italiano vive su un doppio binario: da un lato sconta una crisi cominciata molti anni fa, almeno dalla metà degli anni settanta, dall’altro offre un intrigante panorama di giovani autori, che fa gridare alla nascita di una nouvelle vague italiana. Una «nuova onda» che si può provare ormai a storicizzare: il terminus a quo (partenza) è il 2008, data in cui vincono due importanti premi al festival di Cannes Il divo di Paolo Sorrentino e Gomorra di Matteo Garrone, due autori il cui cammino è cresciuto in parallelo. Il terminus ad quem (fine), invece, è probabilmente non il 2020 ma il 2018, quando escono Loro 1 e Loro 2 di Sorrentino e Dogman di Garrone. Sono anni importantissimi, in cui la percezione del cinema italiano è cambiata, è cambiata la risposta dello spettatore: mentre il pubblico lo ha sempre snobbato e i cineasti si sono sempre pianti addosso, ora c’è una diversa atmosfera; il cinema italiano miete successi all’estero e ha una sua nuova visibilità, vive una sua primavera. Lo dimostrano l’Oscar come migliore film straniero a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, l’Oscar alla migliore sceneggiatura a Call Me by Your Name di Luca Guadagnino. Alcuni registi della nuova generazione sono chiamati a Hollywood, a dimostrazione del loro talento: Gabriele Muccino, Guadagnino, Stefano Sollima sbarcano in America, a conferma di un’attenzione per la qualità della messa in scena italiana. Se non una vera «nouvelle vague», dunque, c’è senz’altro «una nuova tendenza» del cinema italiano, di quello che ho proposto di definire il New- New Italian Cinema, mutuandolo dagli studi sulla Hollywood contemporanea. 7 Interessante è soprattutto l’esplosione del cinema del reale, cioè una moltitudine di documentari dedicati a temi sociali, o comunque alla registrazione e interpretazione della realtà italiana contemporanea. Sono molti i documentari che fanno capire l’importanza di questo nuovo prodotto ibrido tra docu e fiction e restituiscono l’immagine di un paese contraddittorio ma anche pieno di elementi di fascinazione. Intimamente legata alla nuova idea documentaria è la presenza persino ossessiva del paesaggio nel nuovo cinema italiano. Un fenomeno dovuto a molti fattori: uno di questi è il grande evento della rivoluzione digitale, che consente, con l’accesso a nuove pratiche di ripresa e di montaggio, una presa diretta sulla realtà, una registrazione dei fenomeni sociali con una camera stylo in grado di prendere immediati appunti sociali. Il digitale è non solo il formato ormai tipico e il denominatore comune dei documentari, ma è anche una scelta politica contro la grammatica e il modo di produzione hollywoodiani. Anche se si passa al versante del cinema mainstream troviamo elementi di novità. Agli estremi della forbice alcuni elementi si toccano: il comune desiderio di sperimentazione dei film sottesi dalla videogame logic e dei video alternativi, autoriali e d’essai, la grande distribuzione e il cinema invisibile, il mainstream e il fuori norma. Strategie estetiche che lavorano «oltre il corpo del film», nozione ormai implosa che cerca una sua nuova definizione anche terminologica. Siamo di fronte dunque a uno scenario eccitante fatto di epocali cambiamenti. Un panorama articolato che necessita di nuovi strumenti di indagine della complessità contemporanea. È questo anche il dilemma di partenza di questo libro. Fuggire da questo paese o «resistere»? 10 Parliamo di tre opere passate sempre a Venezia, tre opere che sottolineano ancora una volta i grandi temi che seguiremo in questo libro: La ragazza ha volato di Wilma Labate, Atlantide di Yuri Ancarani e Freaks Out di Gabriele Mainetti. Labate è una delle esponenti storiche del cinema al femminile, sia come capacità di rappresentazione di quell’universo, sia come resilienza delle cineaste in un’industria macho-centrica. La regista è una «veterana» del cinema degli anni novanta, ed è anche una cineasta militante. In questo suo ultimo film indipendente girato a Trieste, racconta la storia di una ragazza (Alma Noce) stuprata e messa incinta da un ragazzo volgare, che decide di non abortire contro lo stesso volere dei genitori. Atlantide, invece, è un film di tutt’altro altro tipo: Yuri Ancarani è un filmmaker e videoartista ravennate, che è abituato a mescolare tecniche di racconto e tecnologie di riprese, narrando angoli mai visti della realtà contemporanea: in questo caso racconta la vita dei ragazzi della laguna veneziana, che passano la vita sui barchini, dei velocissimi e leggerissimi mini-motoscafi su cui si può condensare una esistenza. Con effetti visivi originali e intriganti, il cineasta fa il videoartista, scatenando la fantasia visiva. Il regista fa dei canali veneziani una sorta di tunnel spazio- temporale, alla maniera di Odissea nello spazio di Kubrick. Si tratta di film che servono per i discorsi successivi che faremo: l’emersione del tema del gender da un lato, la forza del paesaggio, nel caso di Ancarani accoppiato a quello – determinante nella nuova generazione di cineasti – della «capacità visionaria». Una visionarietà che esplode nel terzo film, il già citato Freaks Out. Mainetti porta alle esterne conseguenze le contaminazioni di Lo chiamavano Jeeg Robot: gioca ancora col tema dei super-eroi, ma ne fa dei mostri che si trovano a lottare in una Roma occupata dai nazisti. Il cinema ricomincia. I successi ai festival e i premi maggiori fanno capire che si va verso una lenta ripresa dopo il grande trauma. Dal disorientamento alla speranza: 2020-2021 Cinema vuoti, teatri vuoti. Oltre allo stato d’ansia generalizzato, i cinema serrati e gli stadi deserti del 2020/inizio 2021 sono una metafora delle difficoltà della società in cui viviamo. Non soltanto sono chiuse le sale cinematografiche, ma tutto il settore dello spettacolo è in ginocchio: le produzioni non lavorano, i film vengono gestiti con grande difficoltà, attori e tecnici sono disoccupati. Una situazione che si rifletterà sulle sale, se e quando riapriranno. Stilare una filmografia del 2020 sarà impresa ardua, anche perché molti film «escono» ormai direttamente sulle piattaforme web (Netflix o Sky), Il Covid «rivela» dunque una crisi della centralità della sala che era già percepibile da anni. È utile fare il punto dei film italiani che o sono brevemente usciti in sala prima della chiusura, o sono apparsi nei festival. Venezia e Roma soprattutto, che inevitabilmente danno il polso della produzione italiana.A Venezia 2020 si vedono alcuni film interessanti da molti punti di vista, e che confermano la presenza di registe e registi ormai di sicuro valore: - Miss Marx di Susanna Nicchiarelli; - Notturno di Gianfranco Rosi; - Le sorelle Macaluso di Emma Dante; - I predatori di Pietro Castellitto; sono, oltre ad altri film e documentari collaterali, gli esempi maggiori. 11 Venezia 2020, dunque, anno drammatico della pandemia, fornisce un ritratto di sintesi di varie tendenze del cinema italiano contemporaneo. Un modo per monitorare la «salute» del cinema, ora che la malattia – quella vera – è la protagonista. Significativa è la presenza italiana alla Festa del Cinema di Roma 2020, un festival realizzato in piena pandemia, che ha scontato dunque la mancanza di un pubblico da «festa» appunto, ed è stato segnato da brividi di inquietudine. Ma guardare al cinema italiano in quella occasione significa aggiungere altri tasselli a un panorama filmico di tutto rispetto; dove magari le cose più interessanti non sono nella vetrina maggiore. È interessante analizzare i due maggiori premi italiani al cinema, il David di Donatello e i Nastri d’argento, organizzati nel 2020 in emergenza (il David è stato fatto tutto con collegamenti online con i candidati e i premiati). Il David per il miglior film va a Il traditore di Bellocchio. Nella cinquina c’erano Martin Eden di Pietro Marcello, Il primo re di Matteo Rovere, Pinocchio di Matteo Garrone: dunque tre tipici esponenti del nuovissimo cinema, ognuno con le sue tipicità. Il 22 giugno 2021, invece, con la pandemia in fase discendente, i Nastri d’Argento vengono consegnati al Maxxi di Roma. È un’edizione caratterizzata dalla valorizzazione del cinema delle donne: Miss Marx è eletto film dell’anno, e ben cinque premi vanno a Le sorelle Macaluso, premiato anche per la migliore regia e la migliore produzione. Ma non c’è solo cinema «al femminile»: viene premiato ad esempio L’incredibile storia dell’isola delle rose, come migliore commedia, premiato anche per l’interpretazione di Elio Germano: vince in quattro categorie, e porta a casa un quinto Nastro da quest’anno anche per il produttore della commedia. Il cinema ricomincia. Con questo viatico, si comincia timidamente a tornare in sala; siamo già nel maggio del 2021, ma i film sono in sala d’attesa da molti mesi. Pochi i film in genere, ma pochissimi quelli italiani che rischiano l’uscita. Le uscite vengono centellinate, dunque, ma i film cominciano a ricomparire in sala; che è poi, nonostante le possibili teorizzazioni di una rilocazione dell’esperienza filmica, di quell’esperienza il luogo principe. Provando a uscire dalla pandemia, si riaprono i cinema, anche se con timide uscite di film e pochi spettatori presenti. Si apre la stagione delle arene, che consentono meglio delle sale di rispettare le distanze sociali. Si tratta di film del 2019-2020, che escono solo adesso a causa dell’emergenza sanitaria. Piano piano (settembre-ottobre 2021), il pubblico comincia a rifrequentare i cinema, come gli stadi, anche se con una maggiore timidezza rispetto alla fase pre-pandemica. Prima della clausura: Il 2020, Ante Covid-19 Attraverso la sua icona attoriale, Giorgio Diritti legittima il suo mondo autoriale e la maturità del cinema italiano: è un regista «glocal», legato alle sue radici ma anche interessato a viaggi nella storia e nella geografia del mondo. Opere che rivelano un percorso coerente e non compromissorio, e identificano un autore con un suo mondo e un suo stile. 12 Vediamo ora il biennio che chiude gli anni dieci del nuovo secolo: 2018-2020. Parto dal «caso» del 2018: Dogman. Il film di Matteo Garrone è senz’altro uno dei più bei film di questi ultimi anni. Cinema allo stato puro, emozione forte, un film che parte dal «realismo» per viaggiare verso il visionarismo più assoluto. Il talento registico di Garrone ha dimostrato di essere uno dei registi più bravi del nuovo cinema italiano. Il suo destino è accomunato a quello di Sorrentino: insieme hanno vinto due premi importanti al Festival di Cannes 2008 per Gomorra e Il divo, insieme continuano a far discutere del loro cinema, con Dogman (in concorso a Cannes 2018) e con Loro 1 e Loro 2. Il film di Garrone gioca coi generi (il noir, il crime), innestandoli in un contesto quasi «neorealista», finendo con l’addentrarsi nell’onirico, nei labirinti dell’inconscio. Il tutto con la scoperta di un meraviglioso non-attore, preso quasi dalla strada, che ha finito col vincere il premio come migliore attore a Cannes. Dogman è un film che gioca con gli elementi del postmoderno e del neobarocco, coniugandoli con la tradizione neorealista e documentarista italiana. Eccellente la fotografia, ottima la scenografia. Dogman rappresenta una svolta del cinema italiano contemporaneo, e della sua intensa «primavera». Ammore e malavita (2017) conferma lo stile dei fratelli Manetti, che hanno sempre giocato sui generi e sulla loro contaminazione: fin dal loro esordio, Consegna a domicilio. Ammore e malavita, che è un pastiche tra musical, commedia, gangster movie e sceneggiata napoletana. I fratelli Manetti, dunque, confermano il loro gusto e la loro tendenza a giocare con i codici generici del film, creando puzzle divertenti ma non banali. In quest’ultimo caso, la trama è quella di un boss della camorra che, ferito, si finge morto per cambiare vita. Al suo posto viene ucciso un sosia. Ma lo scambio è scoperto da un’infermiera, che a quel punto è segnata. Per ucciderla viene incaricato il fedele sgherro del boss, che però scopre che l’infermiera è il suo vecchio amore. L’amore prevale sul dovere, e il giovane gangster si mette contro l’intera banda del boss. Da qui una serie di colpi di scena e di battaglie a suon di mitra, sulla scorta del più tipico film d’azione. Ma il tutto raccontato con i toni di un musical. Detto così sembra un progetto convenzionale e naïf; ma invece i Manetti possiedono un loro mondo riconoscibile, fatto di ironia e di cinefilia, girano bene ma senza gli estetismi di certi loro colleghi contemporanei, con una ironia e una leggerezza sorprendenti, mai banali. Da questi David del 2018 emerge quindi un panorama interessante del cinema italiano, all’insegna del rinnovamento e della sperimentazione. La speranza è però anche nel fatto che le narrazioni postcoloniali (vale a dire le tematiche che concernono la rappresentazione del migrante, in particolare africano) sono adottate anche dal cinema mainstream nell’Italia degli anni duemila. Ad esempio, nella nuova commedia italiana contemporanea, dotata ormai di ottimi sceneggiatori e attori (a volte ripetitiva) che fa spesso i conti con l’Altro. Si prenda ad esempio Io, loro e Lara di Carlo Verdone, storia di un missionario in Africa che si porta dietro in Italia delle donne locali che inevitabilmente diventano prostitute; o il campione di box office Quo Vado? di Gennaro Nunziante/Checco Zalone, che finisce in Africa, dove la ragazza del protagonista è impegnata in una sua missione umanitaria. E il film, la cui comicità è tutta giocata sul politicamente scorretto, finisce all’insegna della speranza di un futuro basato sulla tolleranza e la fratellanza. 15 A volte la nozione apraiana si confonde con quella di difficult film (è un concetto diffuso a livello di leggi europee), cioè un cinema difficile, vuoi dal punto di vista del linguaggio vuoi da quello dei modi di produzione scelti. A volte finiscono col rientrare nel «fuori norma» film difficilmente distribuibili o malamente distribuiti; in quel caso diventa sperimentale la veicolazione del prodotto. Indizi di un cambiamento Evoluzione di questi vent’anni del nuovo millennio, identificando alcuni crossing points (date cruciali, casi emblematici, evidenti linee di tendenza). Il 1° agosto del 2014, alla Casa del Cinema di Roma, una folta rappresentanza di filmmaker delle maggiori associazioni di autori (Anac, 100 Autori ecc.) incontrano il nuovo Ministro della Cultura Dario Franceschini, e per la prima volta dopo tantissimo tempo non si avverte una reciproca ostilità, quella che una volta contrapponeva il mondo del cinema al governo. Sarà che il governo è cambiato, e c’è al potere il giovane Matteo Renzi che pare aprire, a differenza dei governi precedenti alla cultura e alla scuola; ma è vero anche che dopo tanto tempo si sente parlare di un comparto audiovisivi che chiede una nuova legge sul cinema ma al tempo stesso si sente forte sul piano internazionale. Il cinema italiano miete successi all’estero e ha una sua nuova visibilità, vive una sua primavera. Il nuovo clima si percepisce anche alla Mostra di Venezia, e al Festival internazionale di Roma 2014, dove i film italiani magari non vincono i premi principali ma postulano una forte presenza di una cinematografia che, pur in mancanza di una vera e propria industria, dimostra una vasta articolazione di generi e temi, e soprattutto permette di identificare una nuova identità del paese. Se non una vera nouvelle vague, dunque, c’è senz’altro una nuova tendenza» del cinema italiano, il New-New Italian Cinema. Ci sono anzi molte tendenze, delle linee tematiche, estetiche, produttive sintetizzate nei seguenti quindici punti: 1. La nuova visibilità del cinema italiano. 2. La sua capacità di rappresentare la nazione. 3. La qualità media dei film del nuovo secolo (in particolare le opere prime). 4. Il ricambio generazionale. 5. L’idea documentaria. 6. L’irruzione del paesaggio. 7. I nuovi modi di produzione. 8. La mutazione digitale. 9. I generi (in particolare la nuova commedia). 10. La capacità del cinema di anticipare la storia. 11. Il rapporto tra cinema & storia, tra cinema & ideologia. 12. Lo sguardo dell’Altro. 13. Il gender. 14. La rappresentazione della «diversità». 15. Le eredità dei padri. 16 Molti di questi punti si mescolano: il tema del gender (o del transgender) si mescola spesso con quello dell’etnia e della razza; il contesto produttivo ha fortemente a che fare con la grande mutazione digitale; le eredità dei padri fondatori del cinema italiano postbellico si allungano sulla commedia come sul cinema d’autore. 2008-2018: La nuova visibilità del cinema italiano Non si può non partire dal successo internazionale di La grande bellezza, un film di svolta del nuovo cinema italiano, Academy Award 2014 (Oscar) come miglior film straniero, diventato una sorta di ambasciatore della cinematografia italiana all’estero. Presentato in concorso a Cannes 2013, con grandi attese per l’industria italiana, divide fortemente pubblico e critica; è volutamente una riflessione sulla forma, ma ambisce ad essere anche «politico» nella sua rappresentazione di uno spaccato dell’Italia da Basso Impero. Si tratta certamente di un film di grande spessore, che conferma l’autorialità del regista napoletano, un film ambizioso che si misura col Fellini di Roma e de La dolce vita, un film girato con maestria. Si tratta anche di un film che può lasciare perplessi: per le stesse ragioni che lo fanno ammirare, La grande bellezza può apparire anche compiaciuto, narciso, autoreferenziale, nel modo in cui guida alla scoperta della «grande bellezza» nascosta nelle pieghe di Roma. Quella di Sorrentino, dunque, è anche una riflessione, appunto, sulla grande bellezza, sull’estetica del cinema e dell’immagine. Simili osservazioni si possono fare per Il divo dello stesso Sorrentino e Gomorra di Matteo Garrone, due film che, con il doppio premio a Cannes 2008, si pongono come primo punto di svolta del nuovo millennio. Due film che, come La grande bellezza, ambiscono a ragionare su una nuova estetica visionaria del cinema italiano. I due film accomunati dal doppio premio della giuria del festival di Cannes sono firmati da registi appartenenti alla nuovissima generazione, alla meglio gioventù del nostro cinema. Gomorra, tratto dal best seller di Roberto Saviano non sia un film di denuncia, un film di messaggio sociale alla maniera del cinema civile degli anni sessanta e settanta. È piuttosto un film incubico, una metafora sull’Italia di oggi e sui destini dello stesso cinema, sospeso tra autorialità e genere. La forza del film di Sorrentino è nel suo progetto metafisico, a Sorrentino interessa la messa in scena, il senso dell’inquadratura, il movimento della macchina da presa. Il cinema del reale e i nuovi modi di produzione Sono molti i documentari che fanno capire l’importanza di questo nuovo prodotto ibrido tra docu e fiction e restituiscono l’immagine di un paese contraddittorio ma anche pieno di elementi di fascinazione. Intimamente legata alla nuova idea documentaria è la presenza persino ossessiva del paesaggio nel nuovo cinema italiano. Un fenomeno dovuto a molti fattori: uno è il grande evento della rivoluzione digitale, che consente, con l’accesso a nuove pratiche di ripresa e di montaggio, una presa diretta sulla realtà, una registrazione dei fenomeni sociali con una camera stylo in grado di prendere immediati appunti sociali. Il digitale è non solo il formato ormai tipico e il denominatore comune dei documentari, ma 17 è anche una scelta politica contro la grammatica e il modo di produzione «hollywoodiani» la scelta obbligata, dunque, per un film che ambisce a una rivoluzione etica. Fattore fondamentale in questo trend è la già citata istituzione delle Film Commission, considerato giustamente da Gian Piero Brunetta uno dei punti positivi e uno dei momenti di svolta dei modelli produttivi e quindi dell’immaginario anni duemila. Si vedano gli esempi recenti di un cinema medio (quanto a modello produttivo) ma di qualità (quanto a modelli espressivi), tutti all’insegna di un paesaggio diventato sempre più personaggio, e anche elemento cruciale per la chiusura del progetto. I nuovi sistemi produttivi legati al territorio (Film Commission ma non solo) hanno favorito insomma la definizione di nuove «mappe» italiane. E hanno finito con l’influire sulla stesura delle sceneggiature, persino sull’ideazione delle storie. I generi e la nuova commedia Pure se si passa al versante del cinema mainstream troviamo elementi di novità. Uno di questi è il neo-noir, che permea non solo le serie televisive più interessanti come Romanzo Criminale, Gomorra – La serie, e Suburra, ma anche tutta una serie di film dove l’elemento noir è fondamentale. In questo senso, è molto utile al discorso sul rinnovamento dei generi, e in generale su una possibile «nouvelle vague» italiana, il saggio di Francesco Crispino La vague noir: “Nel cinema italiano dell’ultimo decennio è in atto una vera e propria mutazione genetica. Facile da individuare per chi osserva il fisiologico cambiamento di pelle che vi si sta verificando e da cui affiora un’epidermide sempre più scura. Il segno distintivo del cinema italiano delle ultime stagioni sia l’attrazione verso l’altra faccia della commedia e della spensierata assenza di opacità e di rilievo chiaroscurale da cui è caratterizzata, soprattutto nella sua versione più frequentata degli ultimi trent’anni. Un’irresistibile attrazione verso quella darknesszone costituita da ambienti cinici, malsani, corrotti, messi in forma da illuminazioni livide, plumbee, dove è il buio a prevalere e, soprattutto, abitata da personaggi in cui trionfa l’assenza di valori o il loro più o meno consapevole travisamento. Un’epoca che probabilmente tra qualche anno ricorderemo per il suo «cinema nero»”. Anche la commedia è cambiata, chiede una sua ri-legittimazione; e chiede soprattutto di essere analizzata nelle sue differenti tipologie, quanto ad autori, modelli culturali, tematiche, modi recitativi, divi, caratteristi. Il panorama della nuova commedia italiana è troppo vasto per essere ridotto a «genere», quando è invece un fenomeno culturale molto più ampio, un modo di essere della nostra (nel caso della commedia ancora superstite) industria. La commedia rappresenta una identità di paese, ed è spesso l’unico modo per stare nel mercato. Molti cineasti, appartenenti soprattutto alla nuova generazione di esordienti della fine degli anni 90 e dei 2000, hanno scelto il genere come loro cavallo di battaglia, come cifra stilistica e come provocatoria carta culturale. 20 La messa in scena e la retorica dello sguardo Viviamo un periodo esaltante del cinema italiano, anche se rimangono elementi di contraddizione: - Il perdurare della crisi del box office e degli apparati legislativi; - La proliferazione di una serie di film estremamente interessanti che coprono tutto lo specchio delle forme espressive possibili, dal cinema d’autore più classico al film popolare, dal cinema del reale alle commistioni di generi. Lo dimostrano i quattro film in concorso al Festival di Venezia 2017, che esprimono un interessante ventaglio di opzioni registiche, e lo confermano i tre film italiani in concorso per il Leone d’Oro di Venezia 2018. C’è la sensazione che esista una estetica della messa in scena del nuovo cinema italiano, o meglio che emergano differenti declinazioni di questa estetica. Esistono tendenze comuni nella regia, nella messa in scena della nuova generazione cinematografica? O comunque esiste un disegno cosciente di riflettere in maniera matura anche se con modalità diverse sulla forma del nuovo millennio? Bisogna partire da Paolo Sorrentino, l’autore che più ha riflettuto sull’estetica filmica. Ma non c’è solo sorrentino ed esiste invece una leva di giovani cineasti che propongono nuovi scenari per la regia italiana. Il piano sequenza e la retorica dello sguardo in Sorrentino Di Sorrentino analizziamo le due forme di racconto e di montaggio apparentemente in contrasto: da un lato il piano sequenza, cioè una scena risolta con una sola inquadratura; dall’altro il montaggio analitico, cioè una scena risolta con molti tagli al suo interno. Un esempio lampante in cui Sorrentino giustappone le due tecniche è il finale de Le conseguenze dell’amore. Dove appena finita una lunga, ossessiva, sequenza Sorrentino sceglie un altro registro: il montaggio alternato, cioè passa dalla narrazione del presente al flashback, e poi il montaggio analitico. Alternato è quando la memoria di Titta fa ricostruire allo spettatore cosa è successo di una valigetta piena di banconote di cui il protagonista deve rispondere. Il piano sequenza è sempre stato una sorta di biglietto da visita dell’autore. Un modo per rivendicare con forza il proprio ruolo artistico, contro la più facile logica del montaggio analitico. Ma allo stesso tempo una visione etica della vita: l’idea di non manipolare la realtà, di rispettare il tempo e lo spazio, di coinvolgere lo spettatore nella particolare retorica filmica. Il piano sequenza è un piano che da solo svolge le funzioni di una sequenza, costituita da una sola inquadratura, senza stacchi di montaggio. Il primo elemento caratterizzante è il rifiuto del montaggio classico, l’altro è il rigoroso rispetto dell’unità di tempo e luogo. Strettamente connessa alla nozione di piano sequenza è quella di profondità di campi, con cui s’intende una particolare costruzione del fotogramma articolata su più piani, tutti perfettamente a fuoco. Ma si tratta pur sempre di un montaggio, che è presente sebbene non in forma particolare, come montaggio interno, che si costruisce non più a partire dal rapporto fra diverse inquadrature, bensì all’interno di una stessa sequenza, con quelli che di solito si definiscono come sotto-inquadrature. 21 Tutto ciò viene problematizzato in epoca digitale à da un lato perché solo grazie al digitale si possono realizzare interi film in piano sequenza, dall’altro perché le nuove tecnologie degli effetti speciali permettono manipolazioni dell’immagine tali da mettere in dubbio il reale movimento di macchina. Come fare a capire se si tratta di one shot sequences genuine o si tratta di manipolazioni digitali? Alcuni film si pongono come cult proprio grazie all’uso del piano sequenza à Irreversible, un film che accoppia l’uso esasperato del piano sequenza all’esplosione della narrazione, alla maniera dei puzzle films. Da un lato infatti il film è strutturato in lunghi piani sequenza; dall’altro inizia dalla fine per risalire fino all’inizio del film, con un montaggio reversibile. Possiamo individuare altri elaborati piani sequenza nel cinema di Sorrentino che testimoniano di come questa scelta estetica sia un biglietto da visita fondamentale per il regista, sulla base di una lunga tradizione autoriale che va da Welles a Renoir, da Visconti ad Antonioni. Il piano sequenza nel nuovo cinema italiano Sorrentino è davvero un maestro della messa in scena. Talvolta eccessivo, narcisista, autoreferenziale, non c’è dubbio però che abbia una grande coscienza della regia. Ma non c’è solo Sorrentino. Ci sono altri registi bravi che si esibiscono nel piano sequenza. C’è Matteo Garrone, che fino a prima di Il Racconto dei Racconti è stato anche responsabile dell’inquadratura, facendo lui stesso l’operatore di macchina. Esistono nel nuovo cinema italiano alcuni casi di film che hanno l’ambizione di un esercizio estetico sul pano sequenza. Un amore di Gianluca Tavarelli, un regista di talento in seguito diventato famoso per le sue regie televisive: un film che racconta una storia d’amore che si sviluppa nei decenni, in cui ogni episodio è costruito in piano sequenza. Certo, si tratta di esperimenti un po’ estremi, che propongono volutamente un’alternativa all’estetica del cinema mainstream, o peggio a quella della cosiddetta fiction italiana, dove il piano sequenza è proibito da funzionati miopi che reputano questa scelta registica lenta per il pubblico e troppo intellettuale, cosa che non avviene nella serialità americana. In generale il nuovo cinema italiano ama il long take à la steadycam o la macchina a mano seguono spesso l’attore da dietro. Coscienza della messa in scena Al di là del piano sequenza, si può notare una grande consapevolezza dela messa in scena, un dominio dell’inquadratura, una forza dell’immagine che deriva da uno sguardo maturo sul reale. Uno dei maestri, in questo senso è Gerrone à il senso formale dell’inquadratura di Garrone si può cogliere in tutti i suoi film, dall’impegno estetico del suo primissimo corto fino a Gomorra. Accanto a lui c’è una bella leva di giovani che mostrano il loro talento registico. Esiste una forte riflessione sulla messa in scena senza la quale ogni contenuto resta vano. Non si può registrare una linea estetica unitaria, la compattezza di una scuola; ma siamo di fronte a un cinema espanso che ha fatto crollare i muri tra corto, lungometraggio, documentario, video-arte, installazione, la distinzione tra finzione e realtà, tra cinema narrativo e non. 22 Possiamo cogliere alcune costanti registiche, che derivano anche dalla rivoluzione digitale, dalle nuove modalità di ripresa e di montaggio: ad esempio la macchina a mano. C’è una regia all’americana, c’è un filone del cinema post-americano, e c’è la stessa nuova commedia italiana mainstream che, pur collocandosi su una tradizione solida e commerciale sperimentata, mostra registi abili, capaci di mettere insieme pacchetti di abili attori. È difficile identificare un’onda costante, un processo coerente. Di certo ci troviamo davanti a una o più generazioni che esprimono il senso di una regia consapevole e matura che distingue soprattutto le nuove generazioni, una ricerca di un proprio stile, che corrisponde poi a una identità culturale e nazionale, a un nuovo sguardo sulla realtà con occhi non banali. 25 promozione e alle industrie tecniche, consistenti in contributi sia in conto capitale che in conto interessi. Ma una cosa resta soprattutto nel Decreto Urbani à il reference system, un sistema che, facendo perno su un teorico intento meritocratico, dovrebbe aiutare le commissioni di valutazione nella scelta dei progetti meritevoli di finanziamento basandosi su informazioni oggettive relative al potenziale artistico e di mercato del progetto filmico. In concreto, per ogni progetto di film per cui viene chiesto un contributo da parte dello Stato, viene presa in considerazione la sceneggiatura, il curriculum del produttore e dei professionisti coinvolti. Tale sistema di valutazione si traduce in un punteggio che vincola le commissioni a tener presenti i progetti ideati e proposti da produttori e artisti eccellenti, e che viene calcolato sulla base di precisi criteri stabiliti all'art. 8 comma 2 del decreto legislativo13. Per ovvie ragioni, il punto d), che prende in considerazione, ai fini della valutazione automatica, il risultato dei precedenti progetti ed eventuali successi, delle componenti professionali che partecipano al film, è quello più attaccato dagli autori. È il punto più politico. Chiarezza, trasparenza normativa e reference system sono per il ministro gli elementi cardine sui quali poggia il decreto legislativo. Il sistema dovrebbe supportare le tradizionali commissioni nella scelta dei soggetti e dei progetti meritevoli di finanziamento, privilegiando chi nel recente passato ha prodotto cinema di qualità e cinema capace di catalizzare l’attenzione del pubblico. In concreto, parallelamente alla tradizionale lettura della sceneggiatura, ciascun progetto viene valutato anche tenendo conto del curriculum del produttore e del cast. Il sistema del reference limita l’arbitrio e la giuria delle commissioni, che hanno l’arduo compito di determinare, sulla base di una sceneggiatura provvisoria, le sorti di finanziamento di un intero progetto cinematografico; di conseguenza dovrebbe porre un limite anche alle possibili influenze della politica in fatto di finanziamento, contrapponendo a possibili pregiudizi di tipo ideologico l’oggettività del curriculum professionale di chi opera nel cinema. L’obiettivo di questa riforma dovrebbe quindi essere quello di massimizzare l’efficienza del settore, dando trasparenza e oggettività. Questo in teoria. Ma tale sistema di valutazione ha vari risvolti negativi, e penalizza soprattutto i più deboli e i più piccoli à si tiene conto del curriculum dei professionisti che vi sono coinvolti, piuttosto che dell’idea in sé. Il regista, gli attori o gli sceneggiatori che hanno ottenuto in passato qualche premio o sono entrati in concorso a qualche festival, hanno più possibilità di accedere al FUS, indipendentemente dall’effettivo valore del progetto in sé. Non è un caso se la maggior parte dei progetti approvati sono legati a una solida distribuzione e hanno già dimostrato qualche rapporto con le reti televisive. Abbiamo altre cose positive nel decreto Urbani à il potenziamento dei finanziamenti regionali, che contribuiscono a potenziare le Film Commission, e la regolamentazione del product placement (la possibilità di inserire marchi e prodotti all’interno dei film, cosa molto diffusa all’estero). 26 Legge Franceschini à Legge Cinema e audiovisivo, novembre 2016. Dopo un’attesa di quasi mezzo secolo, la nuova legge del cinema sembra essere il primo reale provvedimento dopo la 12/13 del 1965, volto a garantire, come afferma il ministro, “regole trasparenti e più risorse per film, sale e giovani”. Elementi di maggiore rinnovamento: - Viene istituito un Consiglio superiore del cinema e dell’audiovisivo, organo consultivo e di indirizzo a carattere tecnico-scentifico, dotato di un ruolo strategico con compiti «di consulenza e supporto nella elaborazione e attuazione delle politiche di settore, nonché nella predisposizione di indirizzi e criteri generali relativi alla destinazione delle risorse pubbliche per il sostegno alle attività cinematografiche e dell’audiovisivo»; - Viene poi riorganizzato il fondo per lo sviluppo degli investimenti per il cinema e audiovisivo, a sostegno di interventi finanziari ottenuti attraverso incentivi fiscali e contributi automatici che unificano le risorse del Fus Cinema e del tax credit e che dovrebbero attivare un virtuoso meccanismo di «autofinanziamento»; - Vengono poi attivati i cosiddetti «contributi automatici» e i «contributi selettivi». I contributi, sia selettivi che automatici, non sono più elargiti sul progetto sotto forma di sostegno alla produzione, come una volta; bensì a posteriori, sui risultati concreti, mediante un sistema di valutazione che, intrecciando e sovrapponendo criteri economici e culturali, attribuisce a ogni film un punteggio in base al quale il produttore si vedrà accreditare una certa cifra. Cifra che non potrà incassare ma solo reinvestire, entro tre anni, nella produzione, nella scrittura o nello sviluppo di un film, un documentario, un cortometraggio o una serie. - È previsto inoltre un aiuto sostanziale e concreto per le giovani leve del cinema italiano. Ogni anno, tra il 15% e il 18% del fondo statale per lo sviluppo cinematografico dovrà essere utilizzato per opere prime e seconde, giovani autori, start up, piccole sale, festival e rassegne di qualità, oltre che per l’attività della Biennale di Venezia, dell’Istituto Luce Cinecittà, del Centro Sperimentale di Cinematografia. Il decreto del ministro Franceschini era atteso con grande speranza, ma non tutti erano d’accordo. Benvenuti al sud (e al nord): l’immaginario delle film commission Uno dei temi centrali del nuovo modo di produzione italiano è il ruolo delle Film Commission, l’importanza delle realtà locali, l’ulteriore spostamento del baricentro rispetto a quello che già segnalavo per gli anni novanta. Le Film Commission sono figlie del D.LGS. n.112 del 31 marzo 1998 che ha conferito alle regioni e agli enti locali compiti e funzioni dello Stato in campo amministrativo. Quello delle Film Commission è uno dei dati produttivi che ha influenzato l’immaginario del cinema italiano contemporaneo: un giorno gli storici (non solo del cinema) che analizzeranno il cinema dei duemila come «fonte» per ricostruire la società che lo ha prodotto, si troveranno di fronte a moltissime apparizioni della Mole Antonelliana. Forse penseranno a una centralità di quel simbolo e della città cui appartiene nella cultura e nell’immaginario iconico del periodo oggetto di studio. Noi sappiamo 27 invece che dipende dall’efficienza della Film Commission di Torino e del Piemonte, che ha spesso condizionato le scelte produttive del cinema di questi anni. Le Film Commission, infatti, hanno rilegittimato il paesaggio italiano, di nuovo nella declinazione rurale e in quella urbana. Un fenomeno dovuto ad altre ragioni produttive: già dalla metà degli anni ottanta il modello di un’industria cinematografica romano-centrica si era incrinato. Per colpa, ma anche grazie alla grande crisi in cui il cinema era piombato, i cineasti avevano formato piccole società indipendenti operanti ognuna nel proprio territorio. Ecco che allora erano nate unità produttive regionali e locali, lontane da una Roma sempre più identificata con la Cinecittà corrotta e burocratizzata, e si erano creati gruppi di cineasti aggregati intorno a modi di produzione glocal. Avviene tra fine anni ottanta e novanta una vera rivoluzione produttiva, che fa emergere realtà prima decentrate, e che sarà ancora di più valorizzata dall’esplosione del digitale, tra metà novanta e anni duemila. È grazie a questo inedito contesto economico e produttivo che nasce un nuovo immaginario, legato anche alla riscoperta del paesaggio regionale. Il cinema contemporaneo, specie quello più giovane e indipendente, non solo sceglie ma è anche costretto da ragioni politico-finanziarie a praticare una cultura del decentramento territoriale, a inventare percorsi nuovi su aree inedite. Questo vale anche e specialmente per la nuova commedia italiana, uno dei fenomeni più interessanti del cinema del nuovo millennio. Vari studiosi hanno parlato di «paesaggi meridiani», e di come le nuove politiche produttive influenzino l’immaginario del Sud. Il Mezzogiorno italiano, in effetti, con i suoi paesaggi rurali e urbani, è diventato protagonista del nuovissmo cinema italiano. Le Film Commission sono diventati motori centrali nella costruzione di una nuova identità del film nazionale negli anni duemila. A volte capita che si crei un paesaggio meridionale pensato per stereotipi e non necessariamente legato al territorio «reale». Ma gli esperimenti più interessanti, pur quando discutibili, vengono proprio dalla provincia, o almeno da aree periferiche che costituiscono invece il vero rinnovamento del cinema italiano. Un cinema italiano che può diventare glocal. Certo, c’è in queste operazioni il rischio di un certo folklore. Esiste il rischio di sottolineare degli stereotipi, ma l’attenzione alla regionalità (paesaggi urbani e rurali, dialetti, topoi locali) ha certamente contribuito a creare una identità nazionale. Stesse considerazioni si possono fare per l’immaginario settentrionale. Il ruolo delle Film Commission esplode soprattutto quando si deve narrare la città. Torino e il Piemonte diventano cruciali in questo ridisegnarsi del cinema italiano. La strategia rivoluzionaria di quella Film Commission condiziona non solo le location, ma anche le sceneggiature, e dunque l’ideazione stessa del cinema italiano degli anni duemila. Spesso uno snodo del racconto porta il film verso Torino, anche quando non sembra essercene bisogno. 30 Se prima, negli anni 90, il cinema tendeva a essere claustrofilo, costretto a spazi angusti, nel nuovo millennio il film italiano ha sentito il bisogno di allargare lo sguardo, di aprirsi a mappe e geografie osservate in maniera diversa dalle generazioni precedenti. È certo che i nuovo sistema delle film commission ha favorito la definizione di nuove mappe del territorio italiano. È un processo, quello del de-centramento dell’industria nazionale, iniziato già negli anni 90, che ha portato alla luce un paesaggio italiano dimenticato. È su questa nuova cultura iconica che si può innestare il cinema degli anni 2000, quello delle film commission, che fa ormai dei finanziamenti locali una regione produttiva essenziale e addirittura un modello espressivo e stilistico di trama e di racconto. 31 L’Engagement della forma: Politica, Ideologia, Estetica Abbiamo molteplici declinazioni della nozione di impegno nel nuovissimo cinema italiano. Un impegno che sta in alcune tematiche ricorrenti, dal tema dell’immigrazione a quello della diversità, da quello del gender a quello della periferia. Ragionare sull’impegno impone di ragionare sull’estetica. Se dovessi schierarmi oggi di fronte alla vecchia querelle tra forma e contenuto, sarei senz’altro a favore della forma. La tesi di questo capitolo, dunque, è che il cinema sia tanto più «politico» quanto più è alta la sua forma. Anche la parola politica è piuttosto ambigua, cosa vuol dire applicata all’immagine in movimento? Vale la pena rileggere le osservazioni di Gramsci à quando sosteneva che un’opera d’arte, quando è davvero arte, è sempre rivoluzionaria. L’idea è molto chiara à quando un testo tocca una corda artistica, quando fa scattare quel misterioso déclic che fa care i conti con il concetto di bello, ebbene lì accade un momento di rivoluzione. Parafrasandola possiamo affermare che l’arte è sempre politica, influisce sulla società, sulla cultura, sull’immaginario, sulle coscienze e sulle intelligenze. L’irruzione del politico nella società e nel cinema Alcuni convegni, eventi e movimenti in questi venti anni hanno riportato alla ribalta il tema del rapporto tra cinema e politica. Un convegno romano dedicato, appunto, a cinema e politica, una serie di saggi e volumi dedicati all’impegno nella cultura e nel cinema della postmodernità, vari film che riportano al centro del dibattito questa relazione che ha dominato tanta riflessione sul film dalle origini a oggi. Un convegno romano del 2009 fa capire quanto sia variegata la tipologia di approcci al tema. Molto interessanti sono alcuni volumi sul terreno della militanza e dell’impegno. Un’attenzione particolare, in questo senso, va riservata alle rivisitazioni americane di Gramsci, e in particolare della sua teoria sull’egemonia. Il visionarismo come posizione politica Il cinema italiano degli anni 2000 ha prodotto alcuni testi inquietanti, capaci di anticipare gli eventi della storia. Nanni Moretti è centrale nel nostro discorso su cinema e politica: lui che ha fatto politica culturale e politica pura. Moretti utilizza la politica come agone, come battaglia quotidiana e continuo giudizio etico. Dal mondo della nuova commedia mainstream italiana, comunque, arrivano testi interessanti. A volte si tratta di prodotti che vanno a rimorchio della cronaca politica, e che arrivano in ritardo rischiano di non far ridere. L’impiego della forma Ragionando dei rapporti con la politica non si può non affrontare l’enorme problema di come il cinema abbia rappresentato, nel nuovo millennio, i temi emergenti della nuova società italiana: l’immigrazione, il gender, la sessualità, la diversità, la famiglia, il terrorismo, la criminalità organizzata, la miseria, la crisi. 32 La rosa di film che, con codici diversi, mettono in scena i confitti della società è ampia. Si tratta spesso di film eccellenti e legati a una nuova generazione di filmmaker, ma a volte anche di prodotti esteticamente mediocri che diventano magari cult movies e oggetti di studi all’estero solo grazie al loro contenuto, alle loro topics che non sempre corrispondono a un’altezza estetica. Ma basta rappresentare la società, o in qualche modo denunciarne le contraddizioni, per fare di un prodotto audiovisivo un film politico? Non basta parlare di politica, o trattare temi sociali, per fare di un film un testo politico. È vero che i migliori esempi di una relazione tra cinema e politica si trovano quando i due elementi della discussione, forma e contenuto, si sposano. La politica sta nel linguaggio, nella grammatica filmica, nel graffio che non è mera denuncia, nello stile, che va dal grottesco all’onirico, nell’uso dei generi e del mix-genre. Proposta di film di cui è politica la forma: sia quando i film non sono direttamente politici o politicizzati; sia quando affrontano duri temi della storia e della società, ma lo fanno in modo stra- ordinario. Alcuni testi sono quelli di vecchi maestri delle generazioni del 900: ad esempio Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani. Ma molti sono i film della nuovissima generazione, quelli più invisibili e meno mainstream, che cercano di elaborare un linguaggio diverso, atipico sia rispetto ai canoni cine-televisivi ampiamente accettati, sia ai codici tradizionali della grammatica filmica: Sette opere di misericordia dei gemelli De Serio. Sono tutti questi dei film fuori norma. Fuori formato, fuori dalle norme, fuori dalle regole e dalle convenzioni dell’immagine in movimento italiana. Sta forse qui l’ultima frontiera del politico. 35 Una nuova generazione di cineasti, dunque, si cimenta con il fenomeno resistenziale, da cui è anagraficamente lontana. I film tra la fine degli anni 90 e i duemila segnalano un nuovo interesse generazionale per la questione della Resistenza, e corrispondono al desiderio della stessa generazione di tornare ai padri fondatori del neorealismo, saltando quella degli zii politici e dei fratelli maggiori. È doveroso spendere qualche parola su come anche il documentario abbia trattato l’argomento. Nella storia del cinema italiano classico è vasto il ventaglio di testi che hanno messo in scena il fascismo ma oggi spesso, non c’è più lo sdegno che aveva accomunato la generazione resistenziale e quella del 68. Il regime rischia di diventare una scenografia, un background proiettato in un green screen. È uno dei tanti scenari possibili di un film in costume. 36 Il cinema del Reale L’officina del reale Il cinema del reale è uno dei fenomeni più interessanti della scena italiana del nuovo millennio. Ma che vuol dire cinema del reale? Tutte le definizioni, come sappiamo, sono sempre uno qualcosa da ridiscutere, a partire da documentario per arrivare a film. Il reale è un filo rosso che ha cucito tutta la nostra cultura. Il grande cinema italiano ha sempre fatto i conti con la nozione di realtà. Lo slogan cinema del reale è diventato di moda cavalcando l’onda del Festival Cinéma du Réel, indagando sul nuovo documentario italiano, ibridato con la finzione e contaminato dalla necessità della messa in scena. Il nuovo documentario italiano del nuovo millennio è diventato forse più importante del cinema “normale”. È uno dei fenomeni più eclatanti di un cinema, invece, fuori norma, un cinema indipendente dal punto di vista del modo di produzione, e sperimentale nelle vie espressive che sceglie. Il cinema di Mario Balsamo impone la domanda su cosa voglia dire cinema del reale e se non esistano molte dimensioni altre, ai confini della realtà. Balsamo è un cineasta multitasking: regista, ma anche autore capace di riflettere in modo teorico sul cinema, docente, organizzatore culturale e intellettuale. Il cinema del reale diventa cinema nella messa in scena, l’officina del reale. Nei casi più riusciti, la finzione ci apre gli occhi sul reale, e viceversa naturalmente à definizione teorica molto calzante col nuovo documentario italiano. L’essere umano si mette in gioco nel documentario anche autorappresentandosi. Nelle vite reali non c’è una trama, ma vi fa irruzione di tanto in tanto un senso profondo dell’esistenza. La realtà (singolare) è diventata un melting plot di realtà (plurale) in cui c’è dentro, a ogni buon conto, la finzione. Per tutti i film di Balsamo, da Sognavo le nuvole colorate ai primi corti, essi hanno il dono dell’ironia e dell’auto-ironia, della leggerezza e della tenerezza. Ma hanno anche uno spleen, un dolore di fondo, un malessere del vivere che ogni tanto passa nello sguardo dell’autore. C’è il senso della vita che passa, dell’invecchiamento, della morte. Ecco allora l’officina del reale che diventa una bottega dell’irreale, un’area dove sperimentale con la realtà, la realtà diventa il punto di partenza per un’avventura nel terreno dell’immaginario. La mutazione del documentario negli anni 2000 Siamo nel 2015 ed è evidente come il cinema del reale sia una delle identità più importanti del nuovo cinema italiano. La mera equazione “documentario = ritorno al reale” è ambigua à bisogna capire cos’è questo reale, e il nuovo documentario italiano appare essere cruciale per la sua attenzione alla forma piuttosto che al contenuto. 37 Costante da non sottovalutare nel documentario degli anni 2000 è la nutrita presenza femminile. Il cinema del reale, dai pionieri degli anni 70/80 a quelli degli anni 90, sino alla proliferazione di nuovi documentaristi degli anni 2000, è uno dei fenomeni più importanti del cinema italiano del nuovo secolo. Si tratta di un panorama esauriente del documentario contemporaneo, che rifiuta una differenziazione rispetto al cinema narrativo più tradizionalmente inteso, che rivendica l’esistenza di una nuova generazione e di una nuova mentalità di filmmaker, e fotografa temi sociali come l’immigrazione, il dopo-terremoto, il nucleare e le sue conseguenze, la battaglia politica, le contraddizioni dell’industria. Il mio paese Come suggerisce il titolo del festival di Pesaro, il nuovo documentario italiano cerca di tastare il polso del paese reale. L’Italia è, all’inizio del nuovo secolo, e in particolare dopo l’inizio della grande crisi economica, una nazione senza nerbo e senza entusiasmi, da cui chi può fugge alla ricerca di altri lidi. Sono soprattutto i documentari, appunto, a riflettere sull’Italiano di oggi, a tentare di disegnarne un panorama attendibile, al di là delle tendenze escapiste del peggior cinema commerciale e dei prodotti più o meno rassicuranti o riconcilianti. Una nuova legittimazione In questo secondo decennio del 2000, il documentario italiano è diventato protagonista di un sommovimento estetico e di una serie di iniziative che hanno fatto capire il rinnovato interesse per il cinema della realtà. Tra i maggiori responsabili di questo nuovo interesse per il docu e di questa inedita esplosione di prodotti, è senz’altro la rivoluzione digitale à ricordiamo che tra la metà degli anni 90 e 2000 è avvenuta una mutazione profonda delle tecniche, degli apparati di ripresa, di montaggio, e di postproduzione, dello stesso modo di pensare dell’intero immaginario collettivo. L’ascesa del documentario è diventato uno dei fenomeni più interessanti anche grazie alle diverse commistioni tra i generi. Ricordiamo che all’inizio vi era del pregiudizio nei confronti del documentario, considerato solo ancella del cinema narrativo, e ora questo è scomparso, e anche grazie alla rivoluzione digitale - il docu non è più solo una palestra per l’apprendistato per un film di finzione, quello a cui tutti puntano. Si può fare un documentario anche dopo un lungometraggio di finzione. Si tratta di un buon segnale per confermare che il cinema non è più solo quello tradizionale che si vede nella sala cinematografica, ma è fatto di tante cose à corti e mediometraggi, videoarte e arti elettroniche, fiction televisiva e serie tv, e anche un documentario sempre più ibridato tra fotografia della realtà e finzione. Non è solo il cinema narrativo lo strumento per indagare la memoria e intervenire sul presente, ma lo è anche il documentario, un genere emerso con forza negli anni 2000 come forma capace di guardare 40 2. Il dibattito sull’impegno possibile nel nuovo millennio: di certo, il tema della migrazione impone una riflessione sulla possibilità di una nuova militanza intellettuale, pur sullo sfondo della crisi delle grandi ideologie novecentesche; 3. L’indagine dal punto di vista del gender, un modo di attraversare i vari approcci analitici della contemporaneità puntando sulle differenze sessuali, sulla rappresentazione del femminile. Il nuovo-nuovo cinema italiano tra la fine degli anni 90 e i 2000 ha ben riflesso la mutazione della società italiana di questo periodo magmatico, si è messo in relazione con quello che una volta si chiamava il paese reale. La rappresentazione di un alieno è diventato dunque uno dei temi portanti di un cinema italiano attento alla realtà, la cui casistica è vasta. È un tema, quello dell’emigrazione, che è stato studiato in tutte le sue variabili in questi ultimi anni, grazie anche all’iniziativa di un gruppo di studiosi di Oxford che ha provocato, a cascata, tutta una serie di iniziative, di riflessioni, di idee. Migrazione e militanza nel nuovo cinema italiano Parliamo de il vizio della speranza di Edoardo De Angelis, vincitore del premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma 2019. De Angelis ha sempre lavorato sul tema della diversità e che si può mettere in gioco con un altro film del nuovissimo cinema italiano. Il film di De Angelis si inserisce in una ormali lunga tradizione di opere che affrontano il tema dei migranti della Campania, e in particolare in quell’area del Volturno diventata metafora di una certa Italia del nuovo millennio. Basti pensare alla location surreale di Dogman. Anche il film Sembra mio figlio di Quatriglio riflette sul tema della migrazione. Quatriglio viene da una formidabile serie di documentari, al documentario ha dedicato molta parte della sua carriera, anche di docente. Ha al suo attivo un’opera prima, L’isola, che aveva molto a che fare con un’estetica del documentario e che allo stesso tempo doveva molto alla tradizione del neorealismo. La regista punta molto, sia come documentarista che come docente, al tema della relazione: prima di pensare alle riprese, bisogna stabilire delle relazioni con il soggetto interessato, ottenerne la fiducia, muoversi in maniera non invadente e corretta. Anche nel caso di questo suo secondo film di finzione, Quatriglio parte da una relazione. Si tratta di un film sostenuto da una regia matura, nonostante l’esilità del plot. Quatriglio sfida lo spettatore a seguire una storia raccontata per indizi, per avvicinamenti successivi, in maniera non didascalica. Periferie e profezie Due dei film premiati al Festival internazionale del cinema di Roma del 2012, firmati da due degli esponenti della giovane leva del cinema italiano, che affrontano il tema dell’immigrazione. Uno è Cosimo e Nicole di Francesco Amato, che ha vinto come miglior lungometraggio nel concorso «Prospettive Italia». L’altro è Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, vincitore del Premio opera prima e seconda e del Premio speciale della giuria. 41 Il film di Amato racconta la storia di due giovani, Cosimo e Nicole appunto, un italiano e una francese, che si sono incontrati durante gli scontri del G8 di Genova, si sono amati e si sono trasferiti in Francia. All’inizio del film, infatti, troviamo il protagonista maschile (interpretato da Riccardo Scamarcio) a lavorare, da «emigrante», in un supermercato dove troviamo anche la protagonista femminile (Clara Ponsot). Ma dalla Francia i due amanti ripartono per ri-trasferirsi a Genova, dove lavorano con un amico impresario teatrale. Ma qui succede il dramma: mentre montano il palco di un concerto rock, cade dai tubi innocenti un immigrato clandestino. Credutolo morto, i due protagonisti e l’impresario (Paolo Sassanelli) si fanno prendere dal panico e abbandonano il ragazzo ghanese in una discarica. L’immigrato, però, non è morto, viene portato in coma in ospedale, e alla fine, forse anche grazie alla compagnia della ragazza – tormentata dal rimorso – si risveglia. Si tratta, dunque, di un film complesso anche se non risolto, che declina il tema dell’immigrazione con i codici sia del noir che del travel film e che racconta in modo interessante le avventure di questi due personaggi border line. Alì ha gli occhi azzurri, invece, proviene da un precedente documentario di Giovannesi, Fratelli d’Italia, che raccontava alcuni casi di nuovi italiani. Il piglio è misto tra genere e film di denuncia, ritratto di periferie urbane e melodramma familiare, instant movie sulla scuola multietnica e documentario antropologico. Ne viene fuori il ritratto inedito di un italiano «diverso», di un alieno ma non troppo, che rimanda anche ai molti film degli anni novanta-duemila sul disagio giovanile e sugli outskirts metropolitani. Alcuni autori si distinguono per la particolare sensibilità e l’insistente interesse verso le tematiche relative all’immigrato. Vorrei fare su alcuni di essi una più approfondita riflessione, partendo dall’autore che mi pare più ossessivamente interessato al tema, un regista scomparso prematuramente: Carlo Mazzacurati. Un altro regista che ha sempre dedicato la sua opera di documentarista e di filmmaker alla diversità etnica e culturale è Corso Salani. Della generazione precedente bisogna invece ricordare Giuseppe Tornatore, nel cui cinema il tema dell’immigrazione irrompe in maniera prepotente con La sconosciuta. Bisogna poi fare un omaggio a due «vecchi» maestri: Vittorio De Seta ed Ermanno Olmi. De Seta, forse il massimo documentarista italiano, tornava al cinema dopo molti anni proprio con questo tema. Ermanno Olmi, invece, chiude la sua carriera proprio, non a caso, con il tema dell’immigrazione. Ma torniamo alle generazioni più giovani, quelle che hanno rivoluzionato il New-New Italian Cinema e arricchito gli anni duemila di nuove tematiche. Autore la cui filmografia ha come filo rosso proprio il tema dell’Altro, inteso sia come «alieno», immigrante, sia come «diverso»: Matteo Garrone. Vari autori si sono affacciati alla ribalta del «nuovissimo cinema italiano», grazie proprio al tema dell’emigrazione: penso su tutti a Andrea Segre, altro regista che proviene dal documentario. Temi e ossessioni ricorrenti 42 Siamo dunque di fronte a un ampio panorama in mutazione di prodotti, opere, «cose» commiste tra documentario e finzione, corto e lungometraggio, film e video, che evidenzia varie costanti nel cinema che si mette in relazione con gli «alieni»: a) un desiderio di «realismo» che riporta la nuova generazione di cineasti verso un’«etica neorealista» e vira a sua volta verso un «iperrealismo» di sapore postmoderno; b) l’irruzione di un inconscio che permette una lettura psicanalitica di molti film che fanno i conti con un «Altro» che non può che essere anche un «Altro da sé», in termini freudiani; c) la rivoluzione digitale, che consente, con l’accesso a nuove pratiche di ripresa e di montaggio, una «presa diretta sulla realtà», una registrazione dei fenomeni sociali con una camera stylo in grado di prendere immediati appunti «politici». Il digitale è non solo il formato ormai tipico e il denominatore comune dei documentari, ma a volte è anche una scelta «politica» contro la grammatica e il modo di produzione «hollywoodiani»; la scelta obbligata, dunque, per un film che ambisce a una rivoluzione etica. Digitale, però, significa oggi anche una rilocazione dell’esperienza visiva, e dunque ecco che l’immagine del migrante si deve cercare non solo nel cinema narrativo e nel documentario tradizionali, ma anche nei servizi televisivi, nel filmati di Youtube, nelle tante schegge di immaginario che lo spettatore può cogliere distrattamente via telefonino o alla metropolitana. C’è probabilmente alle spalle delle inquietudini e degli imbarazzi che provocano i film sull’immigrazione qualcosa che pesca nel passato lontano degli italiani, nel loro immaginario collettivo, nelle loro paure inconsce di un Altro che assomiglia molto a un Altro da sé. Il ribaltamento dei ruoli e delle parti (l’Italia da popolo che pratica la migrazione a popolo che subisce la migrazione) ha provocato certamente un corto circuito e un trauma che ha evidenziato la natura psicanalitica del rapporto con l’Altro. Attraverso il tema dell’immigrato, dell’altro, dell’alieno, si può indagare sui vari elementi sensibili della società italiana come del suo cinema: il gender, l’etnia, la sessualità, la famiglia, la scuola, la televisione, il cinema stesso. Il tema dell’emigrazione è diventato ormai una delle esigenze più importanti del narrare contemporaneo, un pre-testo per descrivere l’intero ex Bel Paese, un filtro per coglierne le identità in trasformazione. Personaggi e famiglie C’è un pari trattamento nella costruzione dei personaggi, esiste una «pari opportunità» di personaggio per i protagonisti dei tanti film sull’Altro? Dal momento in cui l’immigrazione diventa un fenomeno massiccio cambia anche l’idea di famiglia, o almeno se ne ipotizzano le mutazioni. Se negli anni duemila entrano nella ribalta i «nuovi italiani», il cinema ipotizza i vari scenari possibili di una trasformazione destinata a incidere in profondità nei nuclei fondanti della società: la famiglia, appunto, la scuola, il lavoro. 45 “Così ridevano”. La nuova commedia italiana La commedia italiana e l’identità Oggi la commedia chiede una sua ri-legittimazione; e chiede soprattutto di essere analizzata nelle sue differenti tipologie, quando ad autori, modelli culturali, tematiche, modi recitativi, divi, caratteristi. È significativo come il Davide di Donatello 2016 sia andato a una commedia. Certo che sia un fatto inedito. Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, a sorpresa, ha battuto sul filo di lana del film d’autore Youth di Sorrentino, o Il racconto dei racconti di Garrone. Ha detto Carlo Verdone, che non può prescindere da una registrazione della realtà, che la sua commedia è un documento della realtà che osserva attorno a lui. Attraverso la commedia del New new Italian Cinema, si possono registrare le mutazioni dei fenomeni sociali, dalla sessualità alla famiglia, dalla politica all’economia, dalla scuola alla società in genere. Si può dunque riabilitare la commedia degli anni 2000, troppo spesso associata al cinepanettone o a quella giovanilistica di Moccia. Ecco che allora la commedia riflette i temi sociali sul tappeto à l’emigrazione, l’omosessualità, persino l’irruzione del paesaggio, grazie alla nuova forza delle Film Commission. Vediamo come la commedia tasti il polso delle dinamiche sociali, delle ansie e dei conflitti, pur risolti in maniera rassicurante. Un tema, quello dell’omosessualità maschile e femminile, fortemente presente nel cinema italiano, comico o drammatico. Fortemente ancorato alla crisi sociale è il fortunato Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, diventato un piccolo cult e modello da imitare per i produttori à storia di un gruppo di ricercatori disoccupati che, per sopravvivere, si inventano spacciatori di una nuova droga limiti della legalità. Molti altri sono i temi della contemporaneità che costituiscono il serbatoio da cui la commedia degli anni 2000 attinge. Il cinema italiano ha declinato anche in commedia una delle sue principali ispirazioni del nuovo millennio à la nuova immigrazione e il problema dell’integrazione tra culture e etnicità diverse. Il problema dell’alterità può essere o etnico o sessuale: il pubblico italiano, ad esempio, ha totalmente assimilato il tema una volta conflittuale dell’omosessualità. Se gli italiani sono ancora razzisti, non sono più omofobi; anzi il personaggio del gay o della lesbica diventa quasi trendy, quasi indispensabile nella miscela della sceneggiatura media. Si vede come l’Italia dei 2000 stia cambiando. E si vede come la commedia riconfiguri un’identità italiana. È vero perciò che spesso, per parlare dell’identità italiana contemporanea, si adottano modelli esteri o modelli antichi. Vediamo allora quali siano i modelli di riferimento delle commedie odierne: Benvenuti al Sud, film diretto nel 2010 da Luca Miniero, è l’esplicito remake del film francese del 2008 Giù al Nord. Il genere commedia La commedia italiana degli anni 2000 offre un panorama di tipologie con sfumature differenti: 1. I nuovi autori della commedia, gli specialisti di uno sguardo ironico sulla società; 2. Gli autori con la A maiuscola e non specialisti del genere che civettano con la commedia; 3. Gli autori specializzati in una commedia alta, a volte venata di nostalgia o di dramma; 46 4. I comici anni 80/90, registi e interpreti. Su tutti il fenomeno Checco Zalone, che per ragioni a volte sconosciute raggiunge vette di ascolti mai eguagliate in precedenza; 5. I nuovi professionisti del genere, più o meno talentuosi o venati di autorialità; 6. E il cinepanettone non più scorregione, quello che è passato dalla ditta De Sica-Boldi alla coppia Lillo e Greg, con esiti più surreali e meno scontati. Ha cambiato volto. Il caratterista nel nuovo secolo Il cinema italiano continua a offrire professionisti di valore, dagli sceneggiatori ai registi agli attori. Si vedano alcuni prodotti interessanti, con declinazioni atipiche della commedia, che slitta nel dramma: Gli ultimi saranno gli ultimi, di un esperto di commedie come Massimiliano Bruno che però azzarda una storia che finisce in tragedia. Le fortune della nuova commedia dipendono molto da una eccellente classe di attori, che hanno fatto fare un salto qualitativo a un cinema italiano della crisi che non sempre usava i suoi talenti migliori per la commedia. Il cinema italiano ha cambiato volto. Ha cambiato nello sguardo, nella fotografia, nella luce, nel look, nello stile registico, nelle storie raccontate. Lo ha cambiato nei volti dei protagonisti, nella recitazione degli attori. La recitazione degli attori e delle attrici è uno dei motivi portanti di quella certa nuova tendenza. Ora l’industria sembra essere rinata grazie soprattutto alla commedia, macro-genere nazionale, che ha causato una riaffezione del pubblico alla produzione del proprio paese. La commedia degli anni 2000 non è quella scollacciata dei film di Natale. E non è neanche solo la commedia all’italiana, di cui del resto è erede. Si tratta di una commedia ben scritta e diretta, spesso colta e venata di citazioni dai classici del cinema, fondata sul lavoro di una nuova generazione di sceneggiatori e scrittori. Dal punto di vista dell’ideologia la commedia del nuovo millennio pome due grossi problemi: quello della continuità o della rottura con la commedia precedente, e quello dell’escapismo o meno rispetto alle problematiche storiche e sociali. 47 Diversità italiane. Gender, etnicità, sessualità È molto importante il concetto di altro nel cinema del nuovo millennio, un tema altamente psicanalitico, che fa emergere un altro da sé e impone un’analisi dell’inconscio. Si può ragionare sulle diversità nel cinema italiano contemporaneo, declinando tale nozione in vari modi: 1. La diversità sessuale: si apre il cruciale capitolo su LGBQT, su come il tema gay e lesbico sia stato sdoganato nel cinema del nuovo millennio, e su come esso sia addirittura diventato un argomento ricorrente e quasi obbligatorio del film italiano, sia quello mainstream che quello di nicchia; 2. I marginali; 3. I mostri; 4. Gli alieni e l’Alien; 5. L’ideologicamente diverso; 6. L’identità differente: diversità culturali/geografiche/di classe; 7. Un cinema diverso/una generazione diversa. Si tratta di una generazione (o di più nuove generazioni) che fa e pensa cinema in maniera diversa dai decenni precedenti, grazie anche alle possibilità che il digitale offre di fare film a basso costo, in modo indipendente, senza necessariamente grandi cast, puntando più che al successo nel mercato mainstream, a un circuito diverso fatto di festival, di sale d’essai, di convegni internazionali. Gender e omosessualità Non si po' affrontare il tema dell’omosessualità senza fare riferimento a Pasolini. È un argomento che ha permeato la vita e la carriera artistica del poeta-regista, come dimostra il suo romanzo postumo Petrolio. Giuseppe Bertolucci, che da Petrolio ha tratto un intenso, anche se durissimo, video: Il pratone del Casilino, film del 1996. Secondo le dichiarazioni di Bertolucci: il protagonista è un eroe, qualcuno che l’immaginario collettivo ha inviato a compiere un’esperienza unica nella selva oscura delle pulsioni omosessuali. E lui ritorna riportando alla continuità i risultati della sua esplorazione, i frutti dolorosi del suo piacere. Questo testo misto e ibrido (video, film, play teatrale), come spesso accade alle opere di G. Bertolucci, permette di partire per una sintetica mappatura della rappresentazione dei temi GLBT nel cinema italiano contemporaneo. Cover boy e Call Me By Your Name, sono tutti film che dimostrano di come la tematica gay irrompe nel cinema italiano del nuovo secolo. Tema declinato in vario modo, dalla commedia all’investigazione del transgender. Il tema LGBQT invade il cinema italiano del nuovo millennio. Soggettisti e sceneggiatori, evidentemente, devono tenere conto dei tempi, e monitorare la modern family italiana come hanno da tempo fatto le serie tv statunitensi. Ma a volte pare che il tema e il politically correct diventi un must del plot e della scrittura. Alla fine del secondo decennio del secolo, il tema è ormai sdoganato, come è giusto che sia; ma c’è come l’impressione che ci sia una qualche strategia commerciale. Restando nel tema del gender, vedo 50 La legacy pasoliniana In una conferenza David Forgacs ha analizzato l’opera di Pasolini alla luce di alcune parole chiave. Parole che si riferiscono a temi provocatori, ma al tempo stesso parole politiche: 1. Terra e fango; 2. Trash; 3. Escrementi; 4. Contaminazione. Attorno a queste parole d’ordine, Forgacs ha ricostruito quasi tutto Pasolini scrittore e regista. Una bellissima lezione, che stimola, insieme al film di Ferrara, a indagare le eredità di Pasolini, la sua influenza su cineasti, storici e teorici di tutto il mondo, e in particolare sui registi italiani. Egli danza, l’eredità di Fellini Fellini incrocio intermediale Se si analizzano la biografia e la filmografia di Fellini, si nota come questo grande genio del cinema sia al centro di un reticolo di relazioni che ne fanno un incrocio fondamentale della cultura italiana e internazionale: crossing point di media, di stili, di metodologie che pratica e con cui lo si può studiare, di strategie autoriali, di generazioni, di ere storiche. Quello che colpisce, infatti, ripensando alla sua straordinaria carriera, è la grande versatilità del maestro, che passa dal comico al tragico, dal grottesco al postmoderno. Ripensando all’intera avventura biografica e creativa di Fellini, si coglie l’apparente copresenza contraddittoria di due poli opposti. Da un lato il cinema popolare che solo recentemente è stato sdoganato dalla critica ma che in Fellini appare naturalmente presente. Anche questa doppia anima viene colta dai suoi eredi e dal molto cinema che a lui fa riferimento. E parlando di mito felliniano non si può non ri-approdare al cinema di Paolo Sorrentino. Sorrentino e il nuovo cinema italiano La grande bellezza è un film ambizioso che si misura col Fellini di Roma e de La dolce vita. Sorrentino volutamente lancia una sfida postmoderna al grande maestro, con una certa dose di presunzione nelle proprie capacità ma anche di nostalgia per un cinema che non c’è più. Se si mettono a confronto il film di Sorrentino e La dolce vita si trovano delle simili strategie narrative: • La struttura a episodi, ad esempio, che permette a Fellini di raccontare la Roma della fine degli anni 50 e a Sorrentino la Roma del nuovo millennio; • Il tema del gender, sia nel senso della mascolinità del protagonista e del suo male gaze, che nella rappresentazione del mondo e del corpo femminile; • Il rapporto conflittuale con la religione. A tratti il film di Sorrentino sembra un calco del capolavoro di Fellini, ma è una copia in senso postmoderno, come rielaborazione e transito di e da un testo precedente. 51 Quella di Sorrentino è una bella sfida, che permette al regista napoletano di proporre il manifesto di un nuovo cinema italiano, visionario, anti-realista, teorico e cinefilo, aperto a essere indagato con metodologie alte, dall’estetica alla psicanalisi, dal post-strutturalismo alla filosofia. Il mito felliniano penetra inevitabilmente nel nuovo cinema italiano, quello che ne rinnova lo stile e l’immaginario dalla fine degli anni 80 in poi. Ecco qual è l’eredità di Fellini, secondo Tornatore: la capacità di mettere in scena elementi spettacolari della realtà, realizzandoli con materiali poveri, gli alberi fatti di cartone, il pavone fatto con un uccello finto, il mare fatto di plastica. Testimonianze di una capacità immaginativa unica, particolare, non usuale. Se l’influenza di Fellini è dichiarata in Tornatore, alcuni elementi del suo gusto penetrano anche in altri registi del nuovo cinema italiano. Pensiamo a Garrone, il cui nome viene spesso appaiato a quello di Sorrentino per la simile capacità visionaria.
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