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RIASSUNTO OLTRE ABITA IL SILENZIO DI ENRICO TERRINONI, Sintesi del corso di Letteratura

Riassunto di un saggio eretico di teoria della traduzione pubblicato ad aprile del 2019 e scritto da Enrico Terrinoni, professore di letteratura inglese all'Università per Stranieri di Perugia, oltre che traduttore e anglista. L'opera si presenta come una riflessione profonda sull'atto della traduzione, ci fa riflettere sulla stessa parola "traduzione" e come essa sia parte di noi e della nostra vita.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Ludovica197
Ludovica197 🇮🇹

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Scarica RIASSUNTO OLTRE ABITA IL SILENZIO DI ENRICO TERRINONI e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! OLTRE ABITA IL SILENZIO-ENRICO TERRINONI CAPITOLO PRIMO Vivere, esistere, forse raccontare. Tradurre vuol dire trascrivere i silenzi del vissuto e i suoi rumori, traslare le sue voci e forme in un piano che sfugge, perchè vita e biografia sono un libro con testo a fronte. Importante il ruolo di un particolare inchiostro chiamato memoria, una memoria a cui ritornare ma pure un rimembrare da cui ripartire. Umberto Eco ha suggerito come la traduzione sia una specie appartentente al genere interpretazione e che il genere umano è contraddistinto dal gene traduttivo. Interpretare è infatti nella nostra genetica, e lo dimostra un pensiero secondo il quale possiamo parlare di cultura in termini di memoria non ereditaria. Gli esseri umani sono esseri per naturea interpretanti, come indica la nostra innata tendenza a decifrare l'altro, appunto a voler interpretare i suoi comportamenti e i suoi pensieri dunque a voler capire. L'interpretazione è dunque una specie del genere vita e si configura sempre come una forma di scrittura interiore. Sempre Eco suggerisce che tra i primi utilizzi del termine traslatio c'è proprio l'accezione di cambiamento. Tuttavia, questo dato di fatto non viene facilmente digerito dal senso comune, che ci predispone ad accettare con non poco scetticismo la sola idea secondo cui tradurre significhi non già interpretare, ma anche cambiare. William Blake spiega nei suoi proverbi che qualsiasi cosa possa essere pensata o sognata è realtà, questo perchè la verità profonda appartiene al sogno, non al visibile. Un'opera non letta è non interpretata e dunque non vive; ma è al contempo impossibile non presupporne una sorta di inconscio latente, da risvegliare. Un libro chiuso è un cadavere da riesumare, e tramite l'atto di essere letto gli è data la possibilità di riesumare. Le nostre parole devono apparire oscure perchè è con quelle che ci definiamo e facendolo intessiamo il nostro essere disegni, trasformandolo talvolta in inchiostro svanente, talvolta in un chiostro eterno. Quando l'autore parla al lettore, non lo fa a voce alta o da un palco ma sussurra telepaticamente, da non morto a non ancora vittima. Ci muoviamo, scriviamo, parliamo, sempre traducendoci, ovvero spostandoci in uno spazio da cui nessun viaggiatore pare essere davvero mai ritornato; ma questo spazio non è la morte. La questione più importante da porsi è se siamo davvero padroni delle nostre parole. Bisogna padroneggiare le forme e le regole di un idioma se le si vuole piegare ai propri interessi. Nel parlare descriviamo, si penserà, in realtà a guardare bene la differenza tra word e world non è che una semplice elle una minuscola, in significante consonante liquida, col compito di separare il dominio liquido delle parole da quello solido del mondo; ed è la stessa elle di language. Il suono e la sua assenza sono le radici profonde del nostro universo verbale. Le opere che leggiamo ci dominano parlandoci, permettendoci di scegliere di volta in volta come essere lette, come assegnare al proprio fruitore questa o quella voce, punti di vista da cui ricreare il mondo ce sperimentiamo ogni giorno. Componente importante, tra letteratura e poesia: la muscia, musica e parole che creano mondi, un connubio sonoremantico. Letteratura e musica compagne da tempi immemori, sono sempre un impegno, anche quando non ne danno l'impressione, lo sono perchè l'impegno non è cultura ma natura e fa appello al nostro essere esseri sensienti ovvero fatti di senso e di sensazioni. Se nel passaggio dal testo alla sua traduzione si dice talvolta che a perdersi sia la musica, a volte non si parla della musica intrinseca dei versi, ma di quella musica che si perde che non è recuperabile ovvero la melodia di accompagnamento delle parole, come nei caso dei lirici greci. La musica vera anche quella delle parole, è nella nostra mente, poichè o suoni, persino quelli del silenzio, producono senso attaverso alchimie ignote seppur misurabili e di cui possiamo percepire soltanto il risultato finale. Capire è un viaggio non una meta, poichè ha a che fare fondamentalmente con quanto è in gran parte inconoscibile; e bisogna essere consapevoli che l'inconoscibile è si sconosciuto ma solo finchè non lo sarà più. Le parole le cerchiamo in noi stessi ma le prendiamo e le pretendiamo dagli altri. Il linguaggio è: strumento di emancipazione ed evasione e anche grammatica non percepita delle coercicione. Se la letteratura risce molto spesso a dare un senso di libertà, è solo il letterario, la sua anima ribelle che ci porta via, che ci fa fuggire e sfuggire e che ci condanna a mai finire di errare. Nel testo sul formalismo e sullo strutturalismo di Fredric Jamenson dal titolo The Prison-House of Language si equiparano i limiti e i confini del nostro mondo con quelli del nostro linguaggio. Come a suggerire che per espandere l'uno dobbiamo espandere gli altri. Questo perchè la mente, come l'universo è in continua espansione. Superare i limiti del nostro linguaggio equivale a spingere un pò più in là il perimetro del cortile della prigione che quello stesso linguaggio ci ha edificato attorno; perchè il confine si rivela essere accettazione di una fine connaturata ma al contempo un invito a superarla. L'uomo è opera aperta e in movimento al tempo stesso; e così le sue traduzioni e così il suo esser tradotto. Viviamo allora in continua fuga da noi stessi? Libertà sulla parola, libertà delle parole, parole in libertà. Poichè in latino liber significa sia libero che libro c'è da chiedersi se quel che capita ai libri, cioè di essere parlati, avvenga anche alle persone: sia a chi parli come un libro stampato sia a chi sia stato reso libero proprio dai libri. Ma interpretare, tradurre si applica anche ai sogni? Di notte veidamo immagini, storie, la nostra mente ci dice qualcosa e racconta un qualcosa che la maggior parte delle volte ha un significato specifico, si tratta anche qui di tradurre? La mente non si ferma mai e neanche il linguaggio e dunque nemmeno la nostra capacità di interpretare e tradurre ciò che vediamo e sentiamo. Quel che reprimiamo di giorno, si presenta in forma libera e incontrollata di notte. Quando traduciamo dobbiamo essere consapevoli che non siamo più padroni delle nostre parole, le stiamo affidando ad altri, e nel momento stesso in cui viene tale passaggia del testimone, la primordiale trinità composta da autore, testo e lettore si transustanzia in un ulteriore trittico fatto dal traduttore, dal nuovo testo e dal nuovo lettore; in traduzione tutto si muta. Siamo le parole che produciamo o quelle che interpretiamo? Siamo autori di nuove parole o lettori di vecchi lemmi abusati? Chi sei tu, autore senza di noi? Un testo illeggibile non è un testo che non può essere letto, perchè tutto può essere letto, ma un testo che non può essere compreso, ma cos'è la comprensione? Può essere univoca o condurre a tutte le direzioni? CAPITOLO SECONDO Come si fa a raccontare le parole? E come si può, tramite le parole, raccontare di sè e degli altri, quando il nostro verbo, che già abita, non il mondo, ma la selva dei sensi e dei testi, viene poi riscritto e ricomposto nelle menti altrui? Come può il principio di verificabilità non arrendersi di fronte all'insondabile dell'interpretazione, che è sempre futuro sebbene giochi a carte col passato? Nessuna scienza mai, può arrivare a trascrivere quel che resiste e muta nella mente di un altro. Saranno però forse i nostri sensi a fornirci una qualche forma di verificabilità? I nostri sensi, non sempre hanno parole che sappiano esprimere appieno il loro agitarsi di fronte ai fenomeni. La memoria è forse l'unico modo di tenere in vita i morti e di restituire loro quel che han perduto con la vita, il tempo. Wake di Joyce, un libro capace di mettere in crisi leggi della logica come il principio di non contraddizione, ma anche quello del terzo escluso. La sua opera definitiva, il libro della notte, informa ogni possibile considerazione riguardo alle implicazioni di un linguaggio dormiente messo a letto in tutti i sensi: e sono questi sonni che dobbiamo disturbare. William Blake, teorizzò che per raggiungere la saggezza è necessario affidarsi alle ali dell'eccesso. Un eccesso estatico, una psichedelia dell'anima, non soltanto il piacere del testo. Il piacere della lettura ha sopratutto a che fare con strategie di interpretazione che ambiscono all'ampliamento dei nostri orizzonti e delle nostre facoltà cognitive. Le canzoni di un tanto popolare cantautore avranno certamente raggiunto molte menti e cuori, ciò che a maggior ragione le rende degne di essere esaminate con dovuta profondità, rinvenendo nelle loro strutture segrete l'appeal che le contraddistingue. Infatti non sempre sentiamo le canzoni per puro piacere, spesso queste divengono parte integrante del nostro vivere, e ne modellano le aspettative più di quanto non siamo inclini ad ammettere. La nostra mente a volte mente, è menzognera come la letteratura, poichè vive all'interno dei propri labirinti infiniti, aperti all'infinito. Una mente in grado di ricordare l'infinitudine degli universi. Universi linguistici da interpretare La traduzione è infatti prima di tutto un trasportare quanto pensato e detto da altri, al di qua, della nostra mente. Tradurre è in fin dei conti tutto quel che facciamo ogni qual volta ci disponiamo ad accogliere un contatto con l'esterno. Tradurre è il solo modo di avvicinarsi criticamente a un testo, di conoscerlo, di articolarlo e disarticolarlo, per poi rimetterne insieme i pezzi: operazione che non cessa di essere una medesima anche quando si tratti di testi scritti nella propria lingua. Si tratta di percorsi ignoti ,eppure consumati dal passo stanco o solerte di studiosi o letterati, o anche da quello lievemente più veloce di lettori onnivori che si muovono da opera a opera, da autore ad autore, da genere a genere, per ricomporre sempre un nuovo mosaico di nessi. La traduzione va intea come prmo passaggio di ogni possibile atto di comprensione. La traduzione andrebbe insegnata già nei primi anni di scuola, come avviene per la storia. Permettere a giovanissime menti di confrontarsi con la fluidità dei messaggi quando questi passano da un sistema liguistico e culturale a un altro, e allenarle dunque sin da subito all'innata ambiguità del linguaggio e a quella ancor più fuoriviante della comunicazione è certamente una palestra migliore di tanti metodi didattici assai più soggetti a verifiche e scientificità. Il termine riprodurre dice già da sè che in traduzione come in qualunque lettura, si tratta sempre di fare qualcosa di nuovo, pur sempre quasi la stessa cosa. Il traduttore è innanzitutto un poeta, nel senso greco del termine: un modellatore, uno che forgia, uno che sa fare e contraffare. Il senso delle parole è sfuggente non può essere colto in tutte le sue sfaccettature affidandosi a griglie interpretative neanche delle più raffinate. Importante è la traduzione collettiva che appartiene alla storia della circolazione dei testi religiosi ed è proprio dai testi religiosi che deriva gran parte della conoscenza attuale del fenomeno traduttivo. In questa chiave le versioni della Torah e della Bibbia in trduzione si dimostrano terreno di ricerca più che atturale nella discussione della traduttologia, in quanto forniscono squarci sulla pratica delle traduzioni collettive oggi quasi esclusivamente confinate ad ambiti non letterari e sempre dettate da necessità commerciali. Attualmente, la traduzione viene vista come un atto puro e solitario, mentre anticamente era il gesto di andare verso gli altri che non conosciamo, una continua ricerca di collaborazione e aiuto reciproco, una delle forme di un socialismo che permea la nostra natura. Un testo per dirsi vivo non può fare fare a meno dell'autore ma neanche del lettore, l'autore è colui che dà vita e che crea ma il lettore fa sì che rimanga vivo. Senza traduzione non avremmo civiltà e forse il cosiddetto scontro di civiltà di questi bui anni è anche in parte dovuto alla scarsità di traduzione, di comunicazione. Se la libertà del traduttore coincide con il suo dovere di comunicare, questa libertà deve essere sempre condizionale: una libertà al condizionale. Parlare oggi dell'invisibilità del traduttore va di moda, ma non sono in molti a volere davvero che il traduttore divenga visibile; c'è la necessità di ripenare i ruolo non come entità alle spalle dell'autore ma come voce dell'autore stesso. La traduzione è tutto ciò che facciamo, da quando veniamo al mondo a quando ci dilenguiamo nell'ignoto; tutto è traduzione, lacrime in musica, sentimenti in parole, paura in silenzio. CAPITOLO QUARTO Leggere, ma ancor di più tradurre, porta all'esplorazione dei labirinti mentali. La traduzione è una pianta con salde radici nella nuova lingua e non un fiore reciso destinato ad appassire dopo poco tempo. Ci sono sempre tanti modi di migliorare una versione, nuovi significati da cogliere, nuove idee da trsmettere, perchè se un'opera è davvero grande, è come un organismo vivente e allora cresce, accumula saggezza e si riproduce. Nella traduzione tutto è collegato, ogni cosa è un ponte verso altre idee. L'importante è partire dal testo e dall'idea che questo abbia una propria integrità: in quanto ha innegabilmente visto la luce in seguito a un intreccio di intenzioni rispecchiiate in un tessuto linguistico che dobbiamo accettare come unitario e immutabile, prima di riscrivere le trame e modificarlo nella nostra mente. Importante è anche l'incomunicabilità: ossia la sensazione che il pensiero non possa esser colto senza distorsioni, che non possa cioè giungere al destinatario così com'è stato formulato. Possiamo identificare più di un'affinità tra il tradurre e l'essere. L'essere non è mai statico, si tramuta, si traduce in qualcosa di visibile e percepibile nei canali dell'esistenza, ed è in grado di assumere forme sempre in movimento. Se la traduzione consente di potenziare la nostra capacità percettiva attraverso l'associazione per logica o l'affinità tra idee distanti,allora siamo al cospetto di un potere enorme: quello di ricreare il mondo. E dunque di non concentrarci sempre e solo sulla meravigliosa caducità del fiore reciso, per guardare invece alla radice della nuova pianta, che se in fiore, porterà probabilmente a nuovi frutti. Il testo invece, oltre ad essere tutto ciò che viene definito come nero su bianco, è anche: un gesto, dei graffiti, un lamento, un urlo, e testi sono anche le cose che ci circondano. Testo è qualunque cosa si possa leggere, e il verbo leggere è tra i più figurativi. Come nel caso di leggere correttamente una partita di calcio; per secoli ci si è concentrati a leggere le stelle o persino le linee della mano o i fondi delle tazze di caffè, davvero c'è da credere che ogni cosa sia leggibile e nulla illegibile. Il che porterebbe per logica anche a dichiarare che nulla è intraducibile. Un linguista ha affermato "è il vostro discorso che leggete nel mio testo" il che può essere letto in due modi: 1. leggendo ci appropriamo, non indebitamente ma per necessità, di qualcosa che apparteneva ad altri e ne facciamo quel che ci pare e piace 2. leggendo ci appropriamo, non indebitamente ma per necessità, di qualcosa che è stato scritto da altri, ma che a questi altri non appartiene se non nel silenzio effimero della composizione, e dunque, una volta che l'abbiamo fatto nostro, ne disponiamo come ci pare e piace. In entrambi i casi, esiste una certa dose di libertà nella lettura, che diviene dunque inevitabilmente strumentale. Il testo si presta ai nostri bisogni, insomma, e se così è, possiamo migliorarlo o anche peggiorarlo, ma il miglioramento è sempre altamente soggettivo; mentre lo stile ha a che fare con l'intimità dello scrivere. Importante è la definizione di auto-traduzione, cioè quando parliamo di un autore che decide di tradursi in un'altra lingua oppure decide di scrivere in una lingua non sua; si parla dunque del tradurre se stessi. Ma nell'auto-traduzione: stiamo traducendo le nostre parole o quelle che, nell'essere nuovamente proferite, sono ormai degli altri? Tradurre è instantaneamente essere altro ed essere l'altro. Già Boudelaire avvertiva che il poeta altro non è che un traduttore, la traduzione è scrittura e la scrittura è una forma di traduzione, che ne innesca altre, a partire dalla lettura e da tutte le modalità dell'interpretazione. CAPITOLO QUINTO Quando leggiamo un testo, il nostro modo di decodificarne i segreti ha una ricaduta ovvia e immediata sulle scelte interpretative che guideranno l'immediata prosecuzione della lettura. La comprensione è sempre una tappa intermedia di un procedimento più ampio, che va identificato ancora una volta con la cornice dilatata dell'esistere, anch'esso un viaggio, più che una meta. Tradurre non è solo un viaggio nel passato, è sopratutto un incamminarsi verso il futuro. La dimensione di quel che è stato è fondamentale in quanto è su quello che si fonda lo slancio richiesto al traduttore. Tradurre non è equazione perfetta, perchè è l'idea di cambiamento a non prevedere affatto questa possibilità. La resa traduttiva implica talvolta l'arrendersi, il costituirsi e il restituirsi, ma anche il re-istituirsi. Se scrivere è tradurre, questo è perchè tradurre è scrivere, e scrivere si può su un muro o nella mente, su un corpo con le proprie deiezioni, su pezzetti di carta al vento o su lembi di carta igienica in carcere. Scrivere lo è ovunque esso sia. La misura dell'uomo è la misura dei suoi sogni. Il significato delle parole e delle concatenazioni linguistiche è mobile qual piuma al vento: il vento mutevole delle espressioni è la cifra, la misura di quel che siamo, poichè quel che siamo è esseri comunicanti che dicono mai la stessa cosa pure dicendola, e sono messi in comune, in comunione, non dalla razionalità ma da una inevitabile fluttuante relazionalità.
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