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Riassunto opere manuali Arte Greca e Arte Romana, Schemi e mappe concettuali di Archeologia

Brevi descrizioni delle opere d'arte contenute nei manuali di Arte Romana (Papini) e di Arte Greca (Bejor, Castoldi, Lambrugo), preparare per l'esame del corso di Archeologia Classica con Laboratorio per l'Elaborato Scritto (Riconoscimento delle opere d'arte), tenuto dal Professor F. Sacchi nell'A.A. 2020/2021

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 23/09/2023

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Scarica Riassunto opere manuali Arte Greca e Arte Romana e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Archeologia solo su Docsity! RIASSUNTO MANUALI DI STORIA ARTE GRECA E ROMANA ARTE ROMANA 1) corredi delle tombe maschili 80 e 185, provenienti dalla necropoli dell’età del ferro di Osteria dell’Osa, sul lato nord- orientale della via Prenestina antica (secolo IX a.C.). Gli scavi permisero la valutazione delle caratteristiche fisiche e morfologiche dei defunti, delle condizioni di vita quotidiana e delle professioni svolte dalle popolazioni dispiegate nell’insediamento. La necropoli dell’Osa è legata con la fiorente Gabii, colonia di Alba Longa. Presso la sezione della protostoria dei popoli latini del Museo nazionale Romano è possibile visionare la presenza di materiali scavati negli ultimi decenni e una ricostruzione accurata dello sviluppo della necropoli. 2) carrello con figure di bronzo dalla tomba femminile 2 della necropoli dell’Olmo Bello di Bisenzio, con funzione di bruciaprofumi o di trasportatore di acqua lustrale. Risale all’VIII sec. a.C. La ricca decorazione figurata, dal complesso significato ideologico, rappresenta attività e riti che scandiscono la vita del personaggio cui era dedicato: scene di vita animale che alludono al mondo oscuro che incombe sull’uomo; scene di caccia e di aratura, di duelli e anche amorosi. La decorazione non ha riscontri nel mondo greco. 3) mosaico sul lato sinistro dell’abside della basilica di San Vitale a Ravenna. Nel pannello si vede l’imperatore con in mano una patera d’oro, preceduto dall’arcivescovo Massimiano, con in mano una croce, e affiancato da due chierici con vangeli e incensiere. Giustiniano, al centro della scena, è accompagnato da tre funzionari e da sei guardie del corpo. Alcuni identificano nel personaggio alla destra dell’imperatore il generale Belisario, mentre alla sua sinistra Giuliano L’Argentario. Giustiniano indossa sandali purpurei ornati di pietre preziose, indossa una tunica bianca, ornata lateralmente da una fascia d’oro, stretta in vita dal cingulum (cintura che distingueva i funzionari pubblici) e sopra il manto di porpora, chiuso a destra da una fibbia preziosa. Il corteo procede verso destra, ed è quindi aperto dal vescovo, preceduto dai due diaconi, come nel rituale dell’ingresso vescovile. Nel pannello di destra è raffigurata l’imperatrice Teodora col suo seguito. Risale al 547 d.C. circa. 4) sarcofago di Palmira: il defunto, disteso a banchetto su un materasso, compare con vesti partiche (pantaloni, caffettano e mantello) e un vaso per bere perduto nella sinistra. Sulla fronte della cassa, al centro, l’individuo è nuovamente rappresentato in atto di sacrificare quale sacerdote, con la tunica e la toga, abiti da cittadino romano, ma non con il capo velato secondo le norme romane. 5) lenzuolo funebre da Saqqara: encausto e tempera su lino; risalente al 2 sec. d.C.). Il defunto ha un viso incorniciato da un’acconciatura di moda durante l’età antoniniana. Al suo fianco, il dio Anubi, dalla testa di sciacallo, e la mummia, sono raffigurati alla maniera egizia. 6) arco di Costantino: dedicato dal senato e dal popolo romano presso il Colosseo, nel 315 d.C. in occasione dei decennali dell’imperatore e in memoria della vittoria ottenuta su Massenzio nel 312 d.C. Si tratta di un arco a tre fornici, di cui il centrale è più ampio, con colonne libere sulla fronte. L’iscrizione non nomina esplicitamente Massenzio, chiamato “tiranno” e come garante della vittoria chiama in causa una generica suprema divinità o il genio di Costantino. L’arco risorse sistematicamente al riutilizzo di materiali di spoglio da monumenti di imperatori precedenti di fama riconosciuta: i buoni imperatori del 2 sec. d.C. (Traiano, Adriano, Marco Aurelio). Il reimpiego è testimoniato dalle 8 statue traianee di Daci sulla sommità delle colonne, dai rilievi pertinenti al grande fregio traianeo collocati sui lati corti dell’attico e all’interno del passaggio del fornice centrale, dagli 8 tondi adrianei con scene di caccia posti a due a due sui fornici minori. A un’officina costantiniana sono da ascrivere i tondi sui lati est ed ovest con il Sole e la Luna sul carro, i bassorilievi dei plinti delle colonne, le chiavi degli archi con divinità, le divinità fluviali sui fornici laterali e le Vittorie con trofei sul fornice centrale, i busti loricati di imperatori e di divinità nei passaggi dei fornici minori. Il lungo fregio a mezz’ala offre eventi in sequenza: sul lato ovest l’imperatore parte da Milano, sulla facciata rivolta verso l’esterno assieda Verona e affronta vittorioso l’esercito di Massenzio su Ponte Milvio, a est fa il suo ingresso a Roma, sulla facciata rivolta verso l’interno tiene il discorso al popolo dai rostra nel foro romano. Lo spoglio di edifici più antichi è una prassi non nuova dalla seconda metà del 3 sec. d.C.: non solo quale frutto di una volontà di risparmio sui costi quanto anche per una mutata estetica. 6.1) discorso dai rostra nel Foro Romano, sul lato settentrionale dell’arco di Costantino: la scena ha luogo nel Foro Romano e sullo sfondo sono probabilmente riconoscibili la basilica Iulia, l’arco di Tiberio, i Rostri col parco imperiale e l’Arco di Settimio Severo. L’imperatore si trova assiso al centro, in posizione rigidamente frontale e ingrandito gerarchicamente. Ai lati del palco, si trovano le due statue di Adriano, a destra, e di Marco Aurelio, a sinistra. 6.2) dettaglio del fregio costantiniano con la carica della cavalleria che sconfigge i pretoriani di Massenzio durante la battaglia del Ponte Milvio sul Tevere. 7) rilievo funerario con scene di corsa circense: a destra una quadriga in corsa nel circo Massimo, con una spina resa abbastanza dettagliatamente. A sinistra un togato di pieno prospetto e con un rotolo: si tratta del defunto dominus della fazione del circo che partecipò all’allestimenti di quei ludi, unito nel gesto della dextrarum iunctio alla consorte, vista di tre quarti. Le dimensioni delle figure dipendono dalla loro importanza: il cavallo montato a un personaggio appartenente al personale del circo è più piccolo della quadriga, mentre la testa del togato è più grande del corpo, a sua volta di taglia superiore rispetto persino alle strutture dell’impianto. 8) rilievo con Marco Aurelio in atto di libare su un altare portatile. Sullo sfondo il tempio di Giove Capitolino con quattro colonne corinzie sulla fronte e acroteri, di cui quello centrale è una quadriga. Al fianco di questo tempio, l’edificio con alla sommità figure di venatores va in via ipotetica identificato con l’aedes Thensarum, che ospitava i carri sacri usati per trasportare le statue di divinità durante le processioni trionfali e circensi. Databile intorno al 176 d.C. 9) base della colonna di Antonino Pio, scoperta in Campo Marzio nel 1703, nel luogo dove oggi si trova l’obelisco di piazza Montecitorio. Sul lato principale (sud) l’imperatore e la consorte, Faustina Maggiore, ascendono al cielo sulle spalle di un genio alato, accompagnati da Roma armata e dalla personificazione del Campo Marzio, che tiene nella mano sinistra l’orologio solare di Augusto. Il raggiungimento dello stato di divi contrasta con la raffigurazione a est e ovest della parata militare intorno al rogo, compiuta da tanti piccoli cavalieri e pretoriani. 10) frammenti di rilievo dell’Ara Pietatis: pompa sacrificale sullo sfondo del tempio di Mater Magna sul Palatino, come si evince dalla decorazione del frontone; a destra del tempio un personaggio togato con ritratto lavorato in epoca tetrarchica. Età di Claudio. 10.1) la processione sul fregio principale del recinto dell’altare rappresentava il ritorno di Claudio a Roma nel 43 d.C., dopo la trionfale campagna bellica in Britannia. L’imperatore è ricevuto dai principali esponenti del senato, delle gerarchie sacerdotali e della sua famiglia, che lo conducono fino al tempio di Marte Ultore, dove si svolge la cerimonia del sacrificio di un toro. Uno dei pannelli di facciata raffigura Iside/Cerere probabilmente su un carro con Triottolemo che sparge le sementi sulla terra, simbolo del ritorno dell’età dell’oro a Roma, con l’arrivo dell’imperatore. 11) Pompei, necropoli di Porta Ercolano, tomba-cenotafio ad altare costruita da Naevoleia Tyche per i suoi liberti e liberte e per il marito Munatius Faustus, un Augustale. Sulla fronte: raffigurazione della distribuzione di grano, atto di munificenza grazie al quale l’uomo ottenne l’onore. Al di sopra, il busto della donna compare tra due sportelli lignei. Raffigurazione di nave mercantile sul lato destro, forse un riferimento a come il protagonista fece fortuna. Risalente al 1 sec. d.C. 12) ara funeraria, con lo scultore intendo a realizzare un’imago clipeata al cospetto del committente. 2 secolo d.C. 13) rilievo con raffigurazione del trionfo partico di Traiano: blocco superstite di un altorilievo alto 1.72 m e rinvenuto a Preneste, forse pertinente a un monumento pubblico locale in onore del divo Traiano in occasione della vittoria riportata sui Parti dopo il 117 d.C. L’imperatore si trova sul carro trionfale, con il torso frontale e la testa girata di tre quarti. Un servus publicus gli pone sul capo una corona gemmata. Il carro, decorato con una vittoria alata che regge una palma e una corona, è trainato da quattro striminziti cavalli. Al fianco di questo, in parte coperti dalla ruota, due littori di piccola misura. Davanti ai cavalli c’è un giovane di spalle che volge il capo verso Traiano; dietro otto littori in veduta frontale, di misura maggiore rispetto a quelli davanti al carro, ma comunque più piccoli rispetto all’imperatore. 14) Ara Pacis: piccolo fregio dell’altare interno con pompa sacrificale. Fregio con processione, lato lungo meridionale del recinto; tra i personaggi riconoscibili, spiccano al centro Livia e alla sua destra, col capo velato, Agrippa, alla cui veste si tiene un fanciullo vestito con una corta tunica e identificato come Gaio Cesare. Pannello con Enea a Lavinium, lato ovest a destra della porta. Pannello con dea seduta con putti (Tellus), affiancata da due Aurae velificantes su un drago marino e un cigno, lato est, sinistra della porta. Si tratta di uno dei principali monumenti augustei, considerata l’opera chiave per comprendere il fenomeno artistico. Il monumento, decretato dal senato il 4 luglio del 13 a.C., in occasione del ritorno di Augusto dal suo viaggio nelle province, e dedicato il 30 gennaio del 9 a.C., consta di un recinto perimetrale che racchiude l’altare su cui i magistrati, i sacerdoti e le vergini Vestali sacrificavano ogni anno. All’interno, nella parte inferiore del recinto si trovava la raffigurazione di un tavolato ligneo a delimitazione dello spazio inaugurato dei templa minora. Il registro superiore è decorato da festoni e bucrani intervallati da patere e coppe. All’esterno il recinto è separato da una fascia a svastica. Nel recinto superiore le scene prevedono a nord e sud un corteo di più tardo di quelli assegnati ad Augusto (forse collegato alla celebrazione dei ludi saeculares); ma la particolare acconciatura, di moda nel decennio 30-20 a.C., induce a pensare che il tipo Louvre vada collocato subito dopo il tipo Alcudia. Gli elementi del volto, di un uomo ormai maturo, ci sono ancora tutti, ma appare una pacata pensosità, un equilibrio accentuato dalla chioma non più ribelle, ma con una granfia ben ordinata, a ciocche regolari, che sottolinea l’acquisita consapevolezza del proprio compito di pacificazione. 33) tipo Prima Porta: l’ultimo ritratto creato quando Ottaviano assume il cognomen di Augustus. Il volto ritorna giovanile, ma perde i tratti fisionomici più dissonanti. La capigliatura, più vivace del tipo Louvre, è molto meno agitata rispetto ai tipi ritrattistici precedenti e sottomessa a uno schema ben preciso, con il gioco di ciuffi che si dispongono con andamento a forbice o a tenaglia sulla fronte. La statua proviene dalla Villa di Livia a Prima Porta; è stata realizzata in marmo pario. Mostra il principe loricato in atto di sollevare il braccio come in procinto di parlare con gli astanti. Sulla corazza compare la raffigurazione della riconquista ai Romani (personificati dal dio Marte, accompagnato dal cane) dei vessilli perduti da Marco Licinio Crasso nel 53 a.C. durante la battaglia di Carre contro i Parti. Varie figure di contorno inseriscono l’evento in una dimensione cosmica: in alto la quadriga del Sole e forse Caelus, insieme a Ros, personificazione della rugiada, e l’Aurora. A destra e a sinistra della scena centrale due personificazioni sedute di province sottomesse. Ancora più in basso, Apollo, sul dorso di un grifo alato, e Diana in groppa a una cerva. Nel registro inferiore, Tellus, dea dell’abbondanza sdraiata con cornucopia. 34) Nerone nel terzo tipo (“Museo delle Terme”), creato nel 59 d.C. in occasione del primo quinquennio del suo regno. Nerone, partito da un taglio di capelli a calotta con la frangia, derivato da schemi pregressi della famiglia giulio-claudia, passa a ritratti nei quali sono accentuati gli elementi più specifici del volto, rotondeggiante e grassoccio, col collo pronunciato. Costruisce una sua immagine personalizzata, dominata da una nuova caratteristica acconciatura con ampia frangia a falcetto sulla fronte (di moda per i bambini dell’età di Claudio). 35) Vespasiano nel tipo “principale” creato nel 70-71 d.C. Vespasiano volle distinguersi dai modi del ritratto neroniano, accentuando il realismo dei tratti facciali. Di qui l’accentuata caratterizzazione di molti suoi ritratti. 36) dalla Casa del Bracciale d’Oro, a Pompei, pannello con giardino dipinto entro un pergolato illusionistico con pinax con il toro Apis attorniato da due sfingi accovacciate. In basso una transenna a cannucciata. 37) colonna Traiana: le due guerre daciche condotte dall’imperatore (101-2; 105-6 d.C.) divennero la principale fonte di finanziamento della costosa politica interna. Grazie al bottino fu costruito l’omonimo foro con la colonna al suo interno, eretta per decisione del senato e del popolo, anche se ovviamente fu l’imperatore a sollecitarne l’iniziativa. La colonna è composta da 29 rocchi monolitici in marmo di Luni, il suo basamento si sviluppava per 6 m circa e presentava l’altezza straordinaria con toro e capitello dorico compresi di 100 piedi circa. È stata inaugurata nel 113 d.C. ed è attorniata da due costruzioni quasi quadrate. Nelle fonti tardoantiche la colonna è definita “coclide”, (alla lettera, “a chiocciola”), per la presenza di una scala ellittica all’interno e per lo sviluppo delle scene che la decorava. La colonna, su una modanatura a toro ornata da foglie di alloro (attributo del trionfatore), si inscriveva nella tradizione già repubblicana della colonna onoraria, qui coronata dalla statua loricata in bronzo di Traiano (per sollevare l’onorato al di sopra dei mortali). Fu un monumento celebrativo dell’imperatore: sul fregio ricorre quasi 60 volte, quasi sempre di profilo e a piedi e per lo più in lorica, in plurimi ruoli, religioso, civile e militare. I rilievi, disposti a nastro, costituirono un equivalente visivo dei Commentarii de bello Dacico redatti dall’imperatore in persona. Sul fregio, i rilievi con 150 scene, narrano dal basso verso l’alto in ordine cronologico lo svolgimento delle campagne militari in Dacia. Si tratta di una rielaborazione dei dati storici attraverso filtri figurativi e per mezzo del ricorso ripetitivo a temi topici visivamente efficaci per la celebrazione di slogan ideologici, valori etici e virtù cardinali della politica imperiale: discorsi ufficiali, sacrifici, disboscamenti e costruzione di accampamenti e navi, ricevimenti di ambascerie o di prigionieri, marce, viaggi e battaglie. Si tratta di un monumento spettacolare che mirava insieme al foro a impressionare mediante la rappresentazione meticolosa di grandi imprese rese leggendarie. Si è anche generato l’equivoco di una compassione per le figure dei vinti: tuttavia, le scene delle fughe disordinate e del suicidio collettivo dei Daci si armonizza con la corrente figurativa che sin dall’età ellenistica privilegiava l’espressione tragica dei sentimenti per suscitare impressioni forti, visualizzando il topos del panico e della disperazione dei barbari rispetto alla più razionale violenza dei Romani. Di fronte alla superiorità del vincitore non poteva esserci pietà per i vinti. 37.1) intorno all’accampamento, un corteo di soldati, vittimari e animali (toro, ariete e maiale) nel rito purificatorio (lustratio) dei suovetaurilia sfila per il sacrificio augurale agli dei. Nella scena successiva, Traiano osserva una figura in corta tunica da lavoro caduta da un mulo, con un oggetto nella mano destra, forse un presagio beneaugurante. 37.2) una Vittoria, vestita di chitone e mantello e inquadrata da due trofei, è in atto di scrivere su uno scudo i successi di Traiano; a destra la città identificata con quella da cui partì la seconda spedizione dacica: Ancona, con un tempio all’interno di un portico e l’arco posto sul molo con tre divinità. 37.3) suicidio di Decebalo, punto culminante del fregio. 37.4) scena del suicidio collettivo dei Daci. 37.5) scena con Traiano al timone di una nave della flotta militare danubiana impegnata in una spedizione di soccorso in Mesia. L’illustrazione vuole comunicare un messaggio simbolico: Traiano è il gubernator che guida il suo esercito, così come regge in prima persona il timone dello Stato. 38) statua loricata di Adriano con ritratto in una variante orientale del tipo “Stazione Termini”. La statua lo ritrae nell’atto di calpestare un barbaro partico, motivo molto diffuso su monete, ma raro nella statuaria. I programmi figurativi delle statue loricate dell’imperatore illustrano la perfetta fusione politico-culturale delle componenti elleniche e romane: le immagini della Lupa Romana si associano all’immagine di Atena attorniata da una civetta, animale a lei sacro, e da un serpente, che rimanda all’eroe Erittonio. 39) Busto loricato di Adriano nel tipo Stazione Termini, elaborato all’inizio del suo regno, nel 117 d.C.: ulteriore segno della grecofilia di Adriano è ravvisabile nella sua barba. Questa sancì quasi una rivoluzione per la presentazione dell’uomo di potere, destinata a durare sino ad alcune versioni dei ritratti dei tetrarchi. Adriano portava i capelli arricciati con il pettine e con la barba voleva nascondere le cicatrici sul suo viso fin dalla nascita. 40) immagini di Antinoo: proliferano dopo la sua morte. Il suo ritratto è noto in un unico tipo con due varianti in base all’arrangiamento sulla fronte della folta chioma. 41) Centauro anziano: a Villa Adriana non sorprende la frequenza di lettura da archetipi ellenistici, o in un linguaggio formale affine alla sfera bacchica, che si confermavano benissimo alla decorazione degli spazi ameni di una villa: come u due centauri capitolini di Aristeas e Papias. Il centauro era una volta cavalcato da e tormentato da un erote. 42) colonna Aureliana: i Marcomanni nel 169-70 riuscirono a superare il confine dell’Italia, assediando Aquileia. La riscossa romana si ebbe nel 171-5. La guerra poi riprese nel 178-9 fino al 180, anno della morte dell’imperatore. Le imprese vennero celebrate sulla colonna in Campo Marzio, definita centenaria. Il fregio a spirare è diviso in due metà dalla figura di Vittoria tra trofei al centro del lato est, per separare le due spedizioni germaniche. L'ideatore del progetto concepì un’opera che combinava scene tipiche con altre dai precisi riferimenti storici. Tra i pochi identificati, “il miracolo della pioggia, che salvò i Romani, circondati dai Quadi decisi a catturarli approfittando del caldo e della sete. In marmo lineare, come quella Traiana, la colonna Aureliana cercò di superare la precedente tramite una statua di comportamento più grande e con un basamento in origine di altezza quasi doppia. Le scene di combattimento non sono di massa, ma ridotte a duelli; rare le note paesaggistiche e architettoniche. Il rilievo della colonna Aureliana è più profondo (10 cm) rispetto a quello della colonna Traiana (4 cm). Per l’imperatore è frequente la presentazione frontale. La scelta ne rese più Chiara e simbolica la presentazione. Si moltiplicano i quadri di guerriglia, sterminio, esecuzioni, devastazioni di villaggi e maltrattamenti. Furono guerre violente, contro selvaggi da punire brutalmente: i nemici sono per lo più ritratti morenti, sconfitti o in fuga, con segni di dolore e terrore che ne deformano i visi. 42.1) Vittoria tra due trofei (senza chitone, a differenza della colonna Traiana) inscrive sullo scudo i successi di Marco Aurelio). 42.2) l’imperatore in tunica e paludamentum arringa la truppa. 42.3) accampamento fortificato con all'interno l'imperatore. Da un cinta urbica forse un messaggero entra di dorso. La rappresentazione spaziale si frantuma secondi due diverse prospettive, una per le figure l'altra per il paesaggio. 43) sarcofago proveniente dalla via Tiburtina, presso Portonaccio, a Roma. Sulla cassa è raffigurato un combattimento tra Romani e barbari. Sul coperchio scene del excursus ideale della coppia di defunti; da destra verso sinistra, presentazione del neonato alla madre, matrimonio e, in segno di clementia, sottomissione di due barbari davanti a un generale con lorica e paludamentum. Risalente al 2 secolo d.C. 44) busto loricato di Marco Aurelio, proveniente da una via a Lanuvium, identificata come quella degli Antonini. Il busto è realizzato nel quarto tipo, elaborato nel 169 o nel 172. 45) Commodo nel quinto tipo. I ricci finemente cesellati contrastano con la levigatezza porcellanata del volto. Si tratta di un lavoro splendido, denominato di un imperatore detto di bell’aspetto, con i capelli naturalmente ricci e biondi. 46) busto loricato di Settimio Severo: nel 193 d.C., anno in cui vari generali si scontrarono per riuscire a ottenere la porpora imperiale, Settimio Severo decise di seguire una strategia di legittimazione di ampio respiro, culminante con la proclamazione di filiazione adottiva da Marco Aurelio. Il suo secondo tipo ritrattistico (tipo dell'adozione) mostra un'accentuata assimilazione perfino nei lineamenti del viso a quelli di Marco Aurelio; barba e capelli passano in età antoniniana una voluta eco della foggia dell’ultimo tipo ritrattistico di Marco Aurelio (il quarto). 47) busto loricato in alabastro di Settimio Severo: l'innesto sul ramo della famiglia degli Antonini è ancora molto sensibile nel nuovo ritratto: le masse di riccioli sono pettinate sulla fronte con quattro coccoli spioventi, che ricordano la divinità egizia Serapide. 48) arco di Settimio Severo: dedicato dal senato e dal popolo di Roma, l'arco commemora le vittorie sui Parti (194-5 e 197-8). Due grandi iscrizioni gemelle in lettere in bronzo dorato ricordano l’imperatore e i suoi figli (il nome di Geta fu poi eraso a seguito della damnatio memoriae) che avevano conservato lo Stato e ingrandito l'impero. L’intenso dinastico era enfatizzato dalla presenza sull’attico di statue in bronzo dorato dell’imperatore e del figlio su un carro a sei cavalli, fiancheggiato da figure equestri e altri elementi. L'apparato decorativo annunciava una teologia della vittoria, immagini di soldati romani con prigionieri parti, vittorie alate tropeofore e geni delle Stagioni quali segno della felicitas temporum. 49) arco degli Argentari: situato presso il vicus Tuscus, grande arteria di collegamento tra il foro e l’area portuale, che assicuravano al monumento buona visibilità. Su ciascuna faccia interna dei piloni si trovano diversi rilievi. Sul pannello orientale più grande sono raffigurati Settimio Severo a capo velato, in atto di offrire una libagione su un altarino e Giulia Domna, con ma mano destra alzata in segno di preghiera e caduceo nella sinistra. Geta, in origine presente, fu eraso per la damnatio memoriae. L’inquadratura è frontale: gli occhi sono distolti dall’azione, fissi sullo spettatore. L’adozione della frontalità finisce per trasformare i personaggi in perfette incarnazioni della maestà imperiale e i gesti compiuti diventano meri simboli. 50) Caracalla nel tipo “unico imperatore”: una volta eliminato il fratello, Caracalla operò un deciso cambiamento di immagine. Il suo ritratto più diffuso lo mostra estremamente energico: il collo, piegato verso sinistra, doveva accentuare nelle sue intenzioni un’inesistente somiglianza ad Alessandro Magno. 51) Sarcofago dell’ufficiale L. Publio Peregrino: nel secolo 3 d.C. divengono popolari le stilizzazioni dei defunti come filosofi e uomini di cultura. Le loro immagini appaiono sempre più di frequente sulle casse dei sarcofagi, intenti alla lettura o all’insegnamento, seduti su semplici sgabelli o alte cattedre, accompagnati dalle spose, da filosofi di professione, e talora dalle Muse al completo. Il centurio legionis Peregrino di rango equestre preferì alle confuse mischie di battaglia una raffigurazione quale uno dei sette sapienti in atto di leggere un papiro. 52) sarcofago di Plotino: risalente al 280 d.C.; il protagonista (forse di rango equestre, informazione rintracciabile dalle calzature ai suoi piedi) indossa la tunica sotto la toga drappeggiata come un mantello greco. Il personaggio è rappresentato come filosofo, con rotolo in posizione di lettura, circondato da donne della famiglia e da filosofi. 53) sarcofago detto di “Balbino”: si tratta di un sarcofago a kline attribuito all’imperatore Balbino (non sono mancate ipotesi che contestano questo riconoscimento). I due sposi sono raffigurati sul coperchio e sulla fronte. L’uomo è intento a offrire un sacrificio su un altare portatile, incoronato da una Vittoria e affiancato da Marte, in compagnia della moglie con la spallina della tunica che scivola dalla spalla sinistra (motivo che ne esalta la bellezza e la assimila a Venere), accompagnata da Fortuna, da un amorino e da Virtus. La stessa coppia torna anche sul margine destro della cassa, in un quadretto di nozze, con la donna completamente avvolta da un mantello (palla) e l’uomo in toga nell’atto di stringerle la mano destra (nell’atto della dextrarum iunctio), espressione di concordia. Risalente alla metà del 3 sec. d.C. 54) sarcofago detto “Grande Ludovisi”: risalente alla metà del 3 sec d.C., è stato realizzato in un unico blocco di marmo per un’altezza complessiva di 2.30 m. La fronte è decorata da un concitato combattimento tra Romani e barbari, forse Goti. La scena della battaglia è rappresentata da ammassi inestricabili di figure aggrovigliate che ne occupano tutta la superficie. Senza partecipare direttamente alla battaglia, domina al centro emergendo dal fondo un cavaliere senza elmo, segnato sulla fronte con un marchio enigmatico a X e con un braccio destro disteso. In passato è stato identificato con uno dei figli di Decio. Oggi l’identificazione è discussa: può trattarsi di un legatus Augusti pro praetore, che, sul coperchio conservato a Magonza, siede sulla sella castrensis innalzata su un podio, vestito di tunica e paludamentum, accompagnato da littori e soldati, in atto di ricevere un gruppo di Germani. 55) colonna in porfido con tetrarchi: i ritratti dei nuovi Augusti e Cesari esprimono il nuovo mondo della tetrarchia. I loro volti si assomigliano a coppie pur senza essere identici, perfetta espressione di una concordia di governo 76) sarcofago con Selene ed Endimione: dall'inizio del 2 sec. d.C. tende a prevalere la forma a basso parallelepipedo, in cui la base è molto più allungata dell'altezza: le immagini sono caratterizzate da figure distribuite sulla superficie in modo chiaro e separato da spazi. L'iscrizione indica un reimpiego da parte di una coppia di genitori per la figlia "carissima" (KRM: carissimae) in età tardoantica. 77) sarcofago a lenos (nuovo tipo di cassa piuttosto alta e con angoli arrotondati, la cui forma deriva dalla similitudine alle tinozze per il vino, con chiari rimandi bacchici) con Selene ed Endimione. La defunta è officiata sul coperchio a lato della tabella epigrafica. Il sarcofago è destinato da una liberta a sua madre, morta a 50 anni e 10 mesi. Risalente all'inizio del 3 sec. d.C. 78) sarcofago di Admeto e Alcesti, con teste-ritratto della coppia sposata. Se nelle prime casse predominano le ghirlande, in seguito prevalgono le scene mitologiche. Il protagonista maschile, magister quinquennalis, del collegio dei carpentieri, compare 3 volte sulla cassa; mentre, la moglie con il volto personalizzato solo al centro, era stata sacerdotessa di Magna Mater, come indicato da oggetti di culto sul coperchio. Risalente al 160 d.C. circa. 79) sarcofago con Achille che regge tra le braccia Pentesilea morente, con teste-rittatto dei defunti e con coperchio antico ma non pertinente. Al centro del gruppo, Achille è incarna la virtus, mentre sostiene la bella regina delle Amazzoni dignitosamente morente tra le sue braccia, con gli sguardi divergenti per sottolineare la tragicità del distacco. Risalente al 3 sec. d.C. 80) sarcofago attico (oggi ai Musei Capitolini) decorato su ben quattro lati con scene della vita di Achille. Sulla fronte: momento culminante dello svelamento dell'eroe a Sciro. Le figure sono tanto fitte da fare quasi scomparire il fondo del rilievo. Sul coperchio, i due sposi sono sdraiati su kline; la cassa fu forse lavorata ad Atene. Di norma le teste-rittatto sulle klinai erano lasciate sbozzate per ricevere l'ultimo tocco appena giunte a destinazione: per il carattere attico del ritratto maschile, parte della critica ha ipotizzato che la testa sia stata rifinita da un artigiano di formazione ateniese che o accompagnò il sarcofago esportato oppure operò in una filiale urbana. Risalente al 3 sec. d.C. 81) sarcofago di Velletri: risalente al 150 d.C., per la sua realizzazione sono stati usati tre blocchi unici di marmo differenti. È eccezionale anche la selezione di più miti offerti sulle quattro facce e legati alla morte, all’aldilà e alla speranza di salvezza dei defunti. Nel registro superiore: le fatiche di Ercole; su quello inferiore, miti e scene del repertorio funerario. ARTE GRECA -ETÀ PROTOGEOMETRICA E GEOMETRICA (X-VIII SEC. a.C.) 1) coppa di Nestore: risalente alla seconda metà del VIII sec. a.C.; prodotto a Rodi e rinvenuto in una tomba dell’emporio di Pithecusa (Ischia). È uno dei più antichi documenti di scrittura alfabetica greca. Nell’iscrizione, inneggiante con vivacità all’ambiente conviviale e ai piaceri del vino e dell’amore, l’allusione all’eroe omerico Nestore ribadisce la natura dei valori etici e morali dell’élite aristocratica di età geometrica. 2) skyphos di Eleusi: risalente al periodo Geometrico Medio; sulla vasca sono dipinte due scene che, stando all’attuale documentazione, sono tra i più antichi esempi di composizione figurata su ceramica. Su uno dei due lati una nave ha appena toccato terra e un uccello vi si posa; qualcuno dei marinai ancora si attarda sui banchi, mentre due individui, armati di tutto punto, sono già scesi a terra e un terzo con arco e frecce partecipa a sua volta all’attacco piratesco. Un convulso scontro è raffigurato dall’altro lato della coppa: mentre alcuni arcieri incalzano, due giacciono colpiti a terra. Si tratta evidentemente della storia di un ricco personaggio greco che partecipò a spedizioni d’oltremare e ad attacchi pirateschi; per queste sue gesta era conosciuto e di queste si vantava a banchetto. 3) anfora attica con scena di prothesis (GT), proveniente dalla Bottega del Dipylon. Il vaso, alto 1,55 m., è un esempio di mirabile equilibrio tra la tessitura geometrica, tanto fitto da non lasciare requie allo sguardo, e il pannello figurato con scena di prothesis (esposizione del defunto), collocato sul diametro massimo dell’anfora. Sul letto funebre è steso il defunto, per alcuni una donna in tunica, per altri un uomo avvolto in un telo, come narrato per Patroclo nell’Iliade. Un fanciullo si aggrappa con gesto d dolore alla testata del letto; ai piedi due figure inginocchiate e due sedute, portando le mani al capo, sono impegnate nel lamento rituale. 4) cratere attico con scena di ekphorà (GT), proveniente dalla Bottega del Dipylon. Il vaso, alto 1,23 m., presenta un episodio di ekphorà dal sapore fortemente omerico. Il corpo del defunto è trasportato su un carro funebre trainato da una coppia di cavalli al compianto, cui partecipa l’intera comunità aristocratica, con gli opliti e i loro carri, in allusione allo svolgersi di giochi funebri. -ETÀ ORIENTALIZZANTE 5) Apollo di Mantiklos: intorno al 700 a.C. Mantiklos dedicò all’Apollo di Tebe una statuetta in bronzo, con dedica in esametri. Il bronzetto rappresenta verosimilmente Apollo con l’arco nella sinistra e forse le frecce nella destra, ora perduta. La figura è costruita attraverso un potenziamento delle singole masse dei pettorali, dell’addome, dei glutei, delle cosce, col risultato della costruzione di un volume solido e potente. Un solco verticale attraversa l’intera figura e costituisce il discrimine rispetto cui vengono assemblate le cosce muscolose con le ginocchia ben marcare, il torace asciutto e il lunghissimo collo. La linea centrale spartisce anche i dettagli del volto triangolare, fissando la posizione della bocca. Questa espressione della forma dell’essere come addizione assiale di volumi è alla base della scultura dei secoli VII-VI a.C.; ed è il punto di partenza per la costruzione di figure a grandezza naturale e per la nascita e lo sviluppo della scultura monumentale greca. 6) Dama di Auxerre: considerata una delle più riuscite manifestazioni dello stile dedalico. Si tratta di una statua femminile, in pietra calcarea a tutto tondo, di dimensioni già notevoli (meno di 1 metro), ma ancora inferiori al vero. È stata trasportata al Louvre nei primi anni del Novecento. La fanciulla è cinta da un peplo aderente, in origine ravvivato da policromia. Un’alta cintura chiude la veste alla vita; le spalle sono avvolte in una mantellina. I capelli, acconciati in trecce, con corta frangia a riccioli, paiono calcati sulla testa come una pesante parrucca di foggia orientale. La rotondità plastica del seno e delle braccia contratta con le sproporzioni delle mani e dei piedi. Il volto è contrassegnato da grandi occhi ipnotici e da una larga bocca. Il gesto del braccio destro piegato al petto ne fanno verosimilmente una statua votiva, ma non possiamo dire se raffiguri una dea o più verosimilmente dedicante. 7) kore di Nikandre: la scultura è alta circa 2 m., in marmo di Nasso. È presente una dedica: Nikadre, di famiglia aristocratica, dedica la kore ad Artemide, probabilmente nel delicato momento delle nozze (momento di passaggio all’età adulta). La scultura rappresenta una donna in posizione eretta, con le braccia aderenti al corpo, vestita di peplo cinto in vita. I capelli si dispongono in maniera simmetrica in trecce ai lati del volto; i lineamenti della statua sono molto rovinati. 8) fregio figurato dell'aryballos con Bellerofonte e Chimera: l'aryballos, di forma allungata, proveniente da Tebe, mette in scena un tema molto caro ai Corinzi. Su una decorazione secondaria di raggi e trecce, il pittore dipinge due fregi figurati: in basso una caccia alla lepre; nel punto di massima visibilità, la lotta di Bellerofonte contro la Chimera. L'eroe si avventa con coraggio contro la Chimera, mentre è saldo in groppa al suo destriero alato, Pegaso. La tendenza a decorare, tipica della ceramica protocorinzia, si coglie nella scelta dell’artista di inserire ai lati della mitica lotta due sfingi che non hanno nulla a che fare con il soggetto. 9) olpe Chigi: alta meno di 1 m., segna il passaggio dal periodo Protocorinzio Medio a quello Tardo: le figure sono disposte in profondità in spazi finalmente liberi da riempitivi geometrici e con estesi ritocchi policromi a bianco, giallo, rosso e bruno. Nel primo fregio, partendo dall’alto, schiere di opliti stanno facendo conversione al suono di un auleta (richiamo alla potenza militare di Corinto). Nel punto di massima espansione del vaso troviamo incastonato un gruppo di quattro efebi e una scena cruenta di caccia al leone. L’episodio mitico rappresentato è il giudizio di Paride. Sopra il piede si trova una caccia a lepri e volpi. Tra le fatiche (caccia a lepri e volpi e al leone) in cui il giovane aristocratico di Corinto avrebbe dovuto dare prova della sua virtù, l’episodio mitico assume il valore di prefigurazione delle nozze splendide. 10) anfora del Pittore di Polifemo: alta più di 1 m., è stata rinvenuta a Eleusi; vi era inumato un bambino. Ne è decorato solo uno dei due lati (l'altro destinato a riempitivi): rappresenta Perseo che, dopo aver decapitato Medea, il cui corpo resta a fluttuare nell'aria, fugge inseguito dalle sorelle di questa, mentre Atena resta a difenderlo. Iconografia Gorgoni: su corpi sottili, vestiti di improbabili gonne, posano teste immense. Sul collo dell’anfora, la scena che dà il nome al pittore: Odisseo, il cuore corpo in bianco si distingue nettamente da quello dei compagni, trafigge l'occhio di Polifemo. -ETÀ ARCAICA 11) kouros da Capo Sounion: databile intorno al 600-590 a.C. È ancora costruito secondo l'ordinamento additivo delle membra, anche se manca lo stacco netto tra busto e gambe che veniva sovente marcato attraverso la cintura. Il torso è longilineo, le cosce rigonfie formano un profilo continuo col busto. Le braccia sono possenti e le mani chiuse a pugno all'altezza delle cosce. Il kouros porta avanti la gamba sinistra, il passo è solo accennato. 12) Kleobis e Biton: si tratta si due statue gemelle, rinvenute nel tempio di Delfi. Ritraggono Kleobis e Biton, due fratelli, che, secondo la leggenda, dopo aver tirato, al posto dei buoi, il carro della madre, sacerdotessa di Hera, finì al santuario di Argo, furono premiati dagli dei col privilegio di una morte dolce e repentina. I giovani si addormentarono per sempre. Della possente muscolatura sono evidenziati gli elementi principali: ginocchia, solchi inguinali, pettorali; arco toracico e linea alba (separa i muscoli addominali) sono indicati solo da incisioni. Il volto e l'acconciatura riflettono il canone dedalico. 13) kouros di Tenea: la statua ha una chiara destinazione funeraria: si tratta di un estremo omaggio al defunto. Alto circa 1 m e mezzo, realizzato in marmo pario, abbandona la costituzione geometrica del corpo per arrotondare i volumi e fondere le membra in senso più naturalistico. Nel volto fa la sua comparsa il caratteristico “sorriso arcaico”, ottenuto sollevando verso l’alto gli angoli delle labbra. 14) Gruppo del Moskophoros: il Moskophoros è un giovane barbato che porta sulle spalle un vitello da offrire alla dea Athena. Si tratta della prima scultura dedicata sull’Acropoli di Atene, poco dopo il 566 a.C. Il gruppo è stato offerto da un certo Rhombos, che deve aver vinto un ricco premio, forse lo stesso vitello, in una gara in onore della dea. Il corpo robusto, dalle membra contratte a supportare il peso dell’animale, è fasciato da un mantello attillato. La ricerca anatomica è accurata, gli addominali ben definiti, i volumi del corpo sono ben arrotondati e trattati con delicatezza. Lo sguardo dell’osservatore è attratto dallo schema a X, ottenuto dal perfetto incrocio tra le zampe dell’animale e le braccia dell’uomo. 15) cavaliere Rampin: statua di cavaliere ricostruita da Humphry Payne accostando tra loro un torso equestre dell’Acropoli e la testa del Louvre, detta Rampin, dal nome del collezionista. Il giovane aristocratico ha la testa leggermente girata e inclinata verso la spalla sinistra e reca sul capo una corona di quercia. La nobiltà del personaggio è affidata all’elaborata pettinatura, che circonda di riccioli il viso: contrasta con la levigatezza del volto dagli zigomi alti e gli occhi a mandorla. Anche la corta barba è finemente arricciata. 16) kore con peplo: alla stessa mano del Cavaliere Rampin, è attribuita la “kore con peplo”, dai tratti anatomici fini e delicati, giocati sulla linea curva. La fanciulla porta un chitone finemente pieghettato e un pesante peplo. La visione della statua, di modeste dimensioni, è ora falsata dalla perdita quasi totale del colore, cui era affidata l’elaborata decorazione del peplo, che rendeva la scultura estremamente vivace. 17) kore di Antenore: si distingue per le dimensioni (più di 2 m) e per l’aspetto imponente la kore scolpita da Antenore intorno al 520 a.C. Il corpo robusto, dalle spalle quasi mascoline, dal volto massiccio, emerge dall’elaborato panneggio a pieghe tubolari con vigore insolito. Pur conservando lo schema e l’abito della kore, la statua abbandona la leziosità ionizzante in favore di una monumentalità architettonica che preannuncia una nuova concezione della figura umana. 18) kore di Euthydikos: la kore mantiene il costume ionizzante, ma perde la sua leziosità tardoantica. Il volto è largo e massiccio; la bocca ha perso il suo caratteristico sorriso arcaico: gli angoli delle labbra tirati verso il basso hanno favorito il soprannome di “kore triste” o “kore imbronciata”. I capelli sono divisi in due larghe bande. Sul vestito le pieghe del mantello accentuano il carattere di robustezza del corpo. 19) Efebo biondo: chiamato così per le tracce di colore sui capelli. Della statua si conservano solo la testa e il bacino. I capelli sono ancora lunghi, ma raccolti in due trecce che girano intorno al capo. Gli occhi hanno ancora il taglio a mandorla, ma grazie alla presenza del sacco lacrimale acquistano una nuova vitalità. La bocca ha conquistato la sua dimensione naturale. È interessante il fatto che i frammenti del bacino consentano di ricostruire che la statua dell’atleta era in movimento. 20) Efebo di Kritios: Kritios è uno degli scultori pi noti dell’epoca. Il giovane atleta è raffigurato stante, in appoggio sulla gamba sinistra, tesa, mentre la destra, libera, è piegata, col ginocchio portato in avanti. L’anca sinistra è leggermente più alzata di quella destra. Il braccio sinistro era disteso lungo il corpo, il destro doveva essere proteso in avanti a sostenere un’offerta. La testa, che reca la stessa acconciatura dell’Efebo Biondo, è leggermente inclinata verso destra. sgraziata e sbilanciata, puntando il piede destro in avanti, col corpo gettato all’indietro e il braccio destro in alto in segno di stupore. La contrapposizione non è affidata solo alla posizione e ai movimenti dei corpi, ma anche dal contrasto del morbido panneggio della veste di Atena e il corpo nudo di Marsia, dalla bellezza verginale della dea e dal vigore selvaggio del sileno. 34) Atena Lemnia: dedicata sull’Acropoli dai coloni ateniesi dell’isola di Lemno e realizzata in bronzo da Fidia. L’originale fu portato a Costantinopoli, dove era ancora conservato nel Medioevo. La dea è raffigurata stante, vestita di un ampio peplo, a fitte pieghe, con l’egida portata negligentemente di traverso sul petto, mentre guarda il suo elmo, tenuto in mano nella destra protesa. Con la sinistra, sollevata, si appoggia alla lancia. Si nota la contrapposizione tra il lato destro portante, contratto, su cui si concentra l’azione, e l’apertura del lato sinistro, cui corrisponde la gamba in movimento. L’opera allude alla pacifica colonizzazione dell’isola di Lemno: la dea, posate le armi, accetta un pacato colloquio con gli uomini. La testa dai folti capelli ricci, trattenuti da un alto nastro, è quasi androgina e sottolinea il lato maschile della vergine guerriera. 35) Nike di Paro: statua caratterizzata dalla delicatezza del modellato e dall’eleganza delle forme. Il peplo è sciolto e la Nike è colta nell’atto di librarsi in volo. Il vento del movimento ascensionale della dea, che tocca il suolo solo con la punta del piede sinistro, appiattisce le pieghe sulle gambe. Le forme del corpo risaltano sotto la stoffa pesante che copre e svela allo stesso tempo. 36) cratere del Pittore dei Niobidi: sul lato principale si riconoscono Apollo e la sorella Artemide nell’atto di saettare gli sfortunati figli di Niobe, che si era vantata di avere una prole più numerosa di Latona. Da notare la linea ondulata e irregolare del terreno, la disposizione su più piani e l’espediente di nascondere o adagiare i caduti dietro le balze del paesaggio. Sul lato opposto: compaiono varie figure di eroi pervase di mestizia, con lo sguardo abbassato o perso nel vuoto. Al centro, si trova Eracle, armato di arco, ben riconoscibile per la clava e la leontè; alla sua sinistra è identificabile la sua guida, Atena. Si tratta con ogni probabilità della rappresentazione della discesa di Eracle negli Inferi. La pacata serietà degli eroi, ciascuno immerso nel proprio mondo interiore, richiama la capacità del pittore di rendere con immagini l’indole e lo stato d’animo dei suoi personaggi. -ETÀ CLASSICA 37) Partenone: i lavori di ristrutturazione dell’Acropoli iniziarono nel 447 a.C., per volere di Pericle che riesce a far votare all’assemblea del popolo un decreto che destina a questo fine una parte dei tributi versati dagli alleati della Lega delio-attica. È Fidia, secondo le fonti antiche, a ricoprire il ruolo di direttore dei lavori. Il primo edificio a essere progettato e costruito sull’Acropoli al tempo di Pericle fu il Partenone, affidato agli architetti Ictino e Callicrate. I lavori iniziarono nel 447, per terminare nel 438 a.C.; nel 432 a.C. era completata anche la decorazione scultorea. Il Partenone non ha l’altare, che di norma negli edifici sacri è posto a est. Il verso altare di Atena, che costituiva l’arrivo della processione delle Panatenee, era situato tra il Partenone e l’Eretteo, dove si trovava la cella del vecchio tempio di Atena Polias. Ogni anno un nuovo peplo veniva offerto all’antichissimo simulacro della dea. Il Partenone è stato quindi costruito per custodire la grande statua crisoelefantina della dea e le altre offerte a lei dedicate, una sorta di tesoro, ideato per diventare il simbolo della potenza di Atene. La pianta del Partenone, concepito come tempio dorico peripetero con 8 colonne sui lati corti e 17 su quelli lunghi, si caratterizza per le dimensioni eccezionali della cella. Questa è divisa in due ambienti sseparati, il più grande dei quali, a est, occupava la statua della dea. I colonnati interni vengono per la prima volta disposti a pi greco e addossati alle pareti per aumentare lo spazio della navata centrale. Sulla parete esterna della cella, in alto, correva un fregio continuo con il famoso corteo delle Panatenee. Le prime sculture ad essere messe in opera sono state sicuramente le metope, in marmo pentelico, scolpite ad altorilievo. Ogni lato dell’edificio era devoluto a illustrare un grande evento mitico: la gigantomachia a est, l’amazzonomachia a ovest, la centauromachia a sud, la conquista di Troia a nord. I miti oppongono la civilizzazione alla barbarie, l’ordine al caos ed esaltano la grandezza di Atene. Fregio sulla cella: rappresenta la processione in occasione delle Panatenee, con l’offerta del peplo alla dea. La processione iniziava nell’angolo sud-occidentale dell’edificio, dove si divideva in due cortei di cavalieri, carri e personaggi a piedi. Entrambi convergevano sul lato est, in corrispondenza dell’entrata della cella, dove avveniva la consegna del peplo. Il momento festivo offriva l’occasione ideale per unire passato e presente e proiettare la città verso un futuro glorioso. Si tratta di un avvenimento corale, legato al culto della patria, fortemente intriso di religiosità che coinvolge tutte le componenti della società ateniese: uomini, donne, vecchi e giovani, intellettuali e popolani potevano identificarsi nei personaggi del fregio e riconoscere i vari momenti della cerimonia. È il momento della festa e non vi è nulla di brutto e di faticoso. La cavalcata degli efebi è l’esaltazione della gioventù ateniese, secondo il principio del kalos kai agathos dell’antico mondo dei kouroi. I portatori di hydriai hanno la dignità dei cittadini di pieno diritto; i volti sono anonimi, i corpi atletici non avvertono il peso dei recipienti pieni di acqua: lo sforzo non rientra nel programma fidiaco che proietta la processione in una dimensione atemporale. Le fanciulle sono il ritratto ideale delle spose e delle madri ateniesi, i gesti misurati, il volto reclinato con modestia e virtù; i vecchi che le accompagnano sembrano godere di un’imperitura giovinezza. Gli dei seduti per la cerimonia sono umanizzati: calmi, rilassati, più grandi dei mortali che supererebbero del doppio in altezza se si alzassero in piedi. Le sculture dei frontoni sono state certamente sistemate per ultime, poco prima dell’inizio della guerra. Il frontone est rappresentava la nascita di Atena; quello ovest la contesa tra Atena e Poseidone per il possesso dell’Attica. Nel frontone est, la prodigiosa nascita di Atena dal cervello di Zeus avviene alla presenza degli dei in una dimensione cosmica, tra la quadriga di Helios, il sole, nell’angolo meridionale del timpano, e quella di Selene, la luna. Nel frontone ovest lo scontro tra le due divinità si colloca nel centro della scena, ma entrambi i personaggi arretrano, con movimento centrifugo, allontanandosi l’uno dall’altra come colpiti dai prodigi da loro stessi generati. Il centro del frontone doveva essere occupato dall’olivo fatto nascere da Atena, grazie al quale la dea vince sul suo avversario. Nel frontone est, nell’ala sinistra, alla quadriga di Helios segue la figura di Dioniso che, volgendo le spalle alla scena principale, brinda al sorgere del sole; Iris, in rapida corsa verso l’esterno, porta la lieta novella, accolta da Demetra e da Kore. Nell’ala destra, Hestia, seduta, si sta lentamente volgendo verso il centro, mentre Afrodite resta mollemente adagiata sul grembo della madre Dione. Sul frontone ovest, Cecrope, mitico re di Atene, arbitro della contesa, ne osserva lo svolgimento in appoggio sulla spira serpentina che fa parte del suo corpo. I corpi sono carichi di tensione. Anche i cavalli partecipano di questa inquietudine. 38) Propilei: una volta terminato il Partenone, per dotare l’Acropoli di un ingresso monumentale fu chiamato l’architetto Mnesicle che tra il 437 e il 433 a.C. costruì i Propilei, che sostituirono il modesto ingresso dei tempi di Pisistrato. I Propilei si compongono di un corpo centrale rettangolare, con due facciate simmetriche, da cui si poteva accedere a due ambienti laterali. Per superare le differenze di livello, il corpo centrale era attraversato da una rampa in leggera salita. Le facciate, esastile, di ordine dorico, erano sormontate da frontoni. 39) Eretteo: edificio costruito dopo la pace di Nicia del 421 a.C., interrotto per il disastro in Sicilia del 413, ripreso dopo il 409 a.C. Si tratta più di un santuario che di un tempio. Il nome deriva da Eretteo, uno dei primi re mitici della città. L’Eretteo si compone di un corpo centrale rettangolare, diviso in due ambienti, che si apre a est con un portico di sei colonne ioniche; alla parte occidentale dell’edificio si appoggiano due corpi laterali: un pronao tetrastilo e la celebre loggetta delle Cariatidi, che fungeva da accesso alla tomba dell’eroe attico Cecrope, figlio di Eretteo e re di Atene. 40) Doriforo: è l’opera più famosa di Policleto. La copia rinvenuta nella palestra sannitica di Pompei è stata realizzata tra 2 e 1 sec. a.C.; era posta davanti all’ingresso principale. È probabile che il giovane fosse identificato con Achille, eroe che spesso veniva onorato nei ginnasi. Il giovane è raffigurato in un momento di transizione del camminare, mentre inizia ad avanzare con la gamba sinistra arretrata, spostando tutto il peso sulla gamba destra stante. Il braccio destro è steso lungo il fianco, il sinistro, piegato in avanti, portava la lancia appoggiandola alla spalla. La struttura del corpo è massiccia, muscolosa. La testa volge verso la sua destra. Il tronco, collocato contro la gamba destra, è stato introdotto dal copista per ragioni di statica. La statua riflette il ritmo chiastico: alla gamba destra portante corrisponde la sinistra flessa; al fianco destro contratto, il sinistro rilassato; nell’atto dell’incedere la spalla destra e la caviglia sinistra si alzano, mentre l’anca e il ginocchio sinistro si abbassano. 41) Diadumeno: l’atleta è colto nell’atto di cingersi la fronte con una benda in segno di vittoria. La replica più nota è la statua di Delo, risalente al 2-1 sec. a.C., nella quale il copista ha aggiunto un ramo d’albero con mantello e una faretra, che trasformano il giovane atleta nel dio Apollo. La statua raffigura l’atleta con la consueta ponderazione: alla gamba destra di carico, corrisponde la spalla sinistra sollevata; alla gamba sinistra flessa e arretrata, la spalla destra abbassata; la testa girata verso destra, con lo sguardo rivolto verso il basso; le braccia sollevate e aperte in modo da reggere le estremità della benda. 42) Efebo Westmacott: il giovane è raffigurato stante, nell’atto di togliersi dal capo la corona per offrirla alla divinità. Il ritmo policleteo oppone alla gamba sinistra stante, caricata del peso del corpo, il braccio destro sollevato, la gamba destra flessa al braccio sinistro inerte. La testa è rivolta verso destra, seguendo il movimento, su cui è concentrata l’azione. Per bilanciare l’azione, il bacino è leggermente girato verso sinistra. 43) gara di Amazzoni: intorno al 435 a.C., gli scultori più famosi del tempo partecipano a una scommessa indetta dal santuario di Artemide a Efeso per una statua di amazzone ferita. Secondo Plinio parteciparono: Fidia, Policleto, Cresila e Fradmone. Le statue erano in bronzo e per il voto degli stessi maestri si aggiudicò la vittoria l’amazzone di Policleto. Le statue sono note attraverso copie romane che iconograficamente si assomigliano: le amazzoni sono ferite al seno destro, scoperto, e vestite di un succinto chitone. Amazzone di Fidia: concordemente identificata con la copia Mattei; un’altra buona copia era nella villa di Adriano a Tivoli: la figura si appoggia alla lancia con la mano destra sollevata, caricando la gamba del peso del corpo; la gamba sinistra, ferita, è portata in avanti, libera dal peso. Per le amazzoni di Policleto e Cresila, l’attribuzione di copie romane è più incerta. È stata attribuita a Policleto la copia realizzata dal copista Sosicle, conservata ai Musei Capitolini di Roma, che raffigura l’amazzone nell’atto di strapparsi la veste per alleviare il dolore della ferita; al collo è agganciato un mantello che ricade sul dorso. Il braccio destro doveva essere appoggiato alla lancia per alleggerire il peso del corpo, che grava sulla gamba sinistra. Il lato destro, che non deve sostenere il peso, è più libero. Anche l’amazzone che si appoggia a un pilastrino e alza a fatica il braccio destro è stata attribuita a Policleto. Si è notato, tuttavia, che la posizione in appoggio rompe con la tradizione che voleva che il centro di gravità di una figura immobile ricadesse nella zona inquadrata dai piedi. È parso, quindi, ragionevole attribuire questa amazzone a Cresila, noto per il suo stile innovativo. 44) cratere eponimo del Pittore di Pronomos: il vaso, rinvenuto a Ruvo di Puglia, raffigura un gruppo di attori che si prepara a recitare un dramma satiresco. Al centro, Dioniso e Arianna, e nel registro inferiore Pronomos. 45) pelike della cerchia del Pittore di Pronomos: la pelike per le figure viste di schiena e di scorcio, disposte su più piano, per la presenza di dettagli naturalistici, come le rocce e le piante disposte in ordine sparso, potrebbe sottintendere un modello di maggiori dimensioni. È rappresentata una scena di gigantomachia. Proviene da Tanagra, in Beozia. 46) cratere del Pittore di Talos: raffigura il gigante di bronzo, eroe di Creta, ucciso dalle arti magiche di Medea per aver tentato di impedire lo sbarco degli Argonauti nell’isola. Il gigante aveva un solo punto debole: una vena del piede. Talos sul cratere è dipinto in bianco-giallo per indicare la sua natura bronzea ed è raffigurato mentre si abbandona, vinto, tra le braccia dei Dioscuri. -ETÀ CLASSICA 47) Eirene e Plutos: subito dopo la pace di Antalcida (386 a.C.), la città di Atene vuole celebrare l’avvenimento con una grande statua dal forte contenuto propagandistico. Nell’Agora viene innalzata la statua della pace, Eirene, rappresentata da una maestosa figura femminile, che custodiva la neonata ricchezza, Plutos. Non si tratta di una statua di divinità, ma di personificazioni di concetti terrei, di aspirazioni della vita di tutti i giorni: pace e ricchezza, in stretto rapporto. L’esecuzione dell’opera era stata affidata a Cefisodoto. Perduto l’originale in bronzo, l’opera è stata riconosciuta in alcune copie di età romana. Protagonista è la figura femminile stante, che porta un mantello sul peplo dalle lunghe pieghe; il braccio destro è sollevato nel reggersi allo spettro. Con il braccio sinistro regge il coprotagonista, una figura di bimbo, dalle forme arrotondate, che muove nello spazio i piccoli arti. Le teste, rivolte l’una verso l’altra, sottolineano lo strettissimo legame tra le due figure. Eirene piega la testa verso il basso, mentre il piccolo la alza verso di lei, protendendo verso il volto rassicurante la piccola mano destra, mentre con la sinistra fa forza sul braccio che lo sostiene. 48) Afrodite Cnidia: nella bottega di Cefisodoto si formarono vari scultori, ma uno in particolare, suo figlio, Prassitele, raggiunse la fama massima. Ci sono tante storie che riguardano questa opera, tra cui quella del suo acquisto. Un’ambasceria degli abitanti di Coo si reca ad Atene, nella bottega di Prassitele, per commissionargli la statua di culto per il nuovo santuario della dea che la loro città in quegli anni sta terminando. Quando la statua è pronta e gli ambasciatori tornano per prenderla, rimangono a bocca aperta nel vedere che l’artista ha rappresentato la dea della bellezza in una totale nudità. Non se la sentono di prendere la statua e preferiscono un’Afrodite più tradizionale che Prassitele aveva in bottega. Poco dopo giungono ad Atene ambasciatori da parte degli abitanti di Cnido, che stanno a loro volta costruendo alla dea un tempio nuovo. A loro questa immagine della dea piace tantissimo e l’acquistano per poi portarla nella loro città. Della statua abbiamo un elevatissimo numero di copie di età romana. La dea è rappresentata in piedi, mentre si accinge a bagnarsi. Nel far questo, poggia con la mano sinistra la veste su un vaso; ciò consente di spostare il baricentro della figura. La mano destra è portata avanti, a coprire l’inguine, in un gesto di apparente pudicizia. Attirano l’attenzione i morbidi passaggi tra i piani, l’assenza di gesti bruschi, la lucentezza delle superfici del marmo pentelico. 49) Hermes e Dioniso: rappresenta un giovane nudo che con la destra porge un grappolo d’uva a un bambino che regge sul braccio sinistro. Il giovane è a sua volta appoggiato a un tronco d’albero, sul quale ha lasciato cadere la veste. Il torso si inarca, con un movimento accentuato dal sollevarsi del braccio destro che sposta il baricentro al di fuori dello riposta nel fodero. Il mantello gli ricade dietro le spalle, appena sollevato dall’alzarsi della gamba destra. In basso sulla sinistra, il grande corpo del mostro marino, che Perseo ha appena ucciso, sottolinea la drammaticità dell’evento. 64) Achille a Sciro: la copia più ricca di pathos e di sapiente disposizione di personaggi proviene dalla Casa dei Dioscuri a Pompei, che purtroppo non è la meglio conservata. Dominano due figure centrali, che formano con i corpi un triangolo. I gesti sono bruschi, pieni di movimento, le ginocchia piegate nella foga. Sulla destra si trova Odisseo, indicato dal caratteristico copricapo da marinaio, il pileo; con la destra afferra il braccio dell’altra figura, dalle vesti e dal biancore tipico di una fanciulla, ma dal possente aspetto, con la spada stretta nella destra e lo sguardo intenso: si tratta di Achille, che ormai svelato viene tenuto alle spalle dall’altra figura maschile, Diomede. 65) Teseo liberatore: il quadro è dominato dal corpo di Teseo, simile a una statua, nella ponderazione e nelle proporzioni, che volge lo sguardo bruscamente, conscio dell’impresa compiuta. I fanciulli ateniesi, salvati da morte certa e atroce, lo festeggiano: uno gli bacia la mano destra, un altro gli abbraccia la gamba sinistra, altri ancora esultano sulla destra, davanti alle mura del labirinto. Steso sul terreno alla sinistra, il grande corpo senza vita del Minotauro, nella stessa posizione che ricorda il mostro marino sconfitto da Perseo. -PRIMO ELLENISMO E ARTE DI PERGAMO 66) Helios: tra il 304 e il 293 a.C. Rodi incarica Carete di realizzare una statua bronzea di Helios. Secondo Plinio, il colosso misurava più di 30 m. Collocato presso l’imboccatura del porto, si diceva che le navi entrando gli arrivassero appena alle ginocchia. Una copia romana è stata rivenuta presso Santa Marinella (Roma): ci mostra il dio che avanza, nudo, con un passo ampio e deciso, simile a quello dell’Apollo del Belvedere. Ha la mano sinistra abbassata a reggere l’arco e tiene alta con la destra una fiaccola dorata che con i suoi bagliori fungeva da faro. 67) sarcofago di Alessandro: si tratta di un grande sarcofago, con coperchio a doppio spiovente, e i quattro lati della cassa decorati a rilievo. È del tutto possibile che vi fosse sepolto Abdalonimo, che lo stesso Alessandro aveva posto come suo satrapo sul trono di Sidone. Appare evidente come sulle pareti del sarcofago siano ricordate proprio le vicende che portarono questo re al trono, e i motivi del suo legame preferenziale con Alessandro. La cassa, provvista di tetto a doppio spiovente con tanto di acroteri, è concepita come un tempio funerario. su uno dei lati lunghi è rappresentata una battaglia tra Greci e Persiani. Vi irrompe Alessandro, la figura più a sinistra, ben riconoscibile nei suoi tratti fisionomici. Il suolo appare cosparso di caduti. Al centro in nudità eroica forse Efestione al quale era stata concessa l’apoteosi nel 324 a.C. Più chiara la scena di caccia sull’altro lato lungo: al centro un cacciatore, a cavallo, viene assalito dal leone. A destra e a sinistra accorrono altri due cavalieri vestiti alla greca. Con loro collaborano strettamente altri due cacciatori, a piedi, chiaramente indicati come persiani dalle vesti. Stessa cooperazione si trova nella scena di destra: greco ferma cerco tenendolo per le corna e persiano infligge il colpo finale. Unione per scopo comune della caccia: tema molto caro ad Alessandro Magno. 68) Afrodite Capitolina: l’originale deriva in modo molto stretto dall’originale prassitelico. È diversa l’acconciatura, più complessa e sofisticata, con i capelli riuniti in un alto nodo alla sommità del capo, da dove ricadono nuovamente sulle spalle. Viene abbandonata la naturalezza di un tempo: il lasciar cadere le vesti per l’immersione a favore di un maggiore coinvolgimento dello spettatore: come se fosse sorpresa proprio in quel momento, la dea accenna a coprire con le mani la propria nudità. 69) Afrodite di Capua: in questa copia le braccia sono andate perdute, e sono state integrate in età moderna; erano certamente staccate completamente dal corpo, per tenere verosimilmente uno specchio e altri oggetti da toeletta. 70) Afrodite di Milo: attraverso una serie di curiose peripezie, arriva al Louvre, in una Parigi in piena Restaurazione, dove viene estremamente apprezzata e vista come simbolo di sognata libertà sessuale perduta insieme al passato. Rispetto alle altre Afroditi, un accentuato classicismo dà alla statua una maggiore solidità, e alla testa una forte simmetria dà l’impressione che lo sguardo si volga all’infinito. L’autore rende più leggiadra la solida impostazione del busto con l’accentuare la curvatura dell’anca destra. 71) Afrodite Accovacciata: la dea piega le ginocchia per avvicinarsi all’acqua del bagno, tanto da sedersi sul tallone destro. Compie una rotazione, accentuata dall’incrociarsi delle braccia. La testa, piena di espressione, con la bocca semiaperta, si volge in direzione opposta rispetto a quella delle gambe. 72) Nike di Samotracia: a Rodi viene comunemente collegata la Nike proveniente da Samotracia e oggi al Louvre. È stata trovata a metà 1800 in una vasca circolare a Samotracia spezzata in più frammenti. L’intero monumento era composto da una prua di nave, che dominava lo specchio d’acqua della vasca, e dalla figura della dea della Vittoria, che in un’impetuosa apparizione scendeva appoggiandosi sulla prua. L’accostamento alla vasca e l’inserimento della prua della nave fa pensare si debba trattare di una vittoria ottenuta sui mari. L’impeto dell’apparizione viene testimoniato dalla grandezza delle ali dalle penne rigonfie, l’ampiezza del passo ne mostra la rapidità. Il chitone, a causa della velocità, si schiaccia contro le pareti più avanzate del corpo, diventando quasi trasparente. 73) Donario Galata: nel 230 a.C. circa, Attalo I riporta una vittoria fondamentale sui Galati, una popolazione barbarica, che si era dedicata a vessare le città greche dell’Asia Minore settentrionale, imponendo spesso tributi. La loro disfatta fu una vera e propria liberazione. Per celebrarla, Attalo I dedica ad Atena un grande donario, composto da varie statue disposte su un piedistallo. Due delle statue sono state individuate in altrettante copie romane di altissima qualità. La prima statua, proveniente dalla collezione Ludovisi, oggi al Museo Nazionale Romano, è un’opera di intensa drammaticità, che si avvale della contrapposizione di due figure: la prima è la poderosa immagine di un guerriero barbaro, rappresentato in tutto il suo vigore, che ancora tiene parzialmente sollevata per braccio una seconda figura, un personaggio femminile, dalle membra ormai abbandonate alla morte. La possente muscolatura indica l’estremo valore, il brusco volgersi a lato e verso l’alto del capo ne mostrano l’orgogliosa fierezza: fierezza di barbari che, vinti, pur di non cadere nelle mani del nemico, davano la morte alla propria famiglia e a se stessi. Stessa drammaticità nella statua del Galata morente, oggi ai Musei Capitolini. La drammaticità nasce dai continui contrasti: il corpo muscoloso del guerriero è ormai a terra, abbandonato sul proprio scudo. Il braccio destro ancora si tende, nell’estremo e disperato tentativo di tenersi sollevato. È tutto inutile: la testa è ormai piegata verso il basso. L’altro braccio sembra voler fermare il sangue che sgorga da una ferita sulla coscia destra. Ben più grave e minuziosa è quella rappresentata sul costato. 74) Toro Farnese: si tratta di una copia romana in marmo trovata nelle Terme di Caracalla. L’originale in bronzo doveva risalire al primo Ellenismo, perché ne conosciamo numerose repliche nelle arti minori. Vi sono rappresentati i gemelli Anfione e Zeto, figli di Zeus e Antiope, che legano Dirce, regina di Tebe alle corna di un toro. Il supplizio doveva punirla delle ingiuste persecuzioni che aveva inflitto alla loro madre. Il groviglio di movimenti confluisce in un’azione unitaria. tutto il mito si condensa davanti agli occhi dell’osservatore. Esce dal contesto la figura femminile che osserva la scena in secondo piano: è stato dimostrato che si tratta di un’aggiunta del copista romano. 75) Principe delle Terme: si tratta di un giovane uomo stante in nudità eroica con il peso sulla gamba destra, appoggiato con la mano sinistra a una lancia. Il corpo è estremamente muscoloso con i muscoli esageratamente rigonfi. La testa è leggermente rivolta verso destra, che è sicuramente un ritratto. La barba è resa a rapide incisioni. Per l'identificazione si è pensato a un principe pergameno. Tutti i dinasti ellenistici vengono rappresentati con la sottile tenia, che cinge il loro capo. Qui manca. La somiglianza con Attalo II è notevole; le fonti testimoniano anche molte statue che rappresentavano Attalo II quando ancora non era re e affiancava il fratello Eumene nel reggere lo stato. 76) altare di Pergamo: a Eumene II si deve la ristrutturazione dell’Acropoli di Pergamo. Al centro della terrazza il re fa costruire un gigantesco altare. Su un basamento quadrangolare, poggiavamo 5 gradini, sui quali si elevava un alto zoccolo rivestito di marmo, che sorreggeva lo spazio destinato ai sacrifici: qui si trovava l’altare vero e proprio che si prolungava in due ali in modo da fiancheggiare la scalinata d’accesso. È eccezionale la decorazione: fregio alto 2,30 m correva lungo lo zoccolo, raffigurando la lotta tra dei e Giganti. Secondo fregio di dimensioni minori nelle pareti interne del portico che dava spazio alle imprese di Telefo, figlio di Eracle, progenitore della dinastia degli Attalidi. Grande fregio: la lotta cosmica è rappresentata attraverso singole monomachie che si succedono con ritmo serrato. In ciascuna, una o più divinità si trovano vittoriosamente opposte ad altrettanti giganti. Le figure strabordano dal listello di base. La dimensione sovrumana del mito viene posta davanti allo spettatore con una continua esasperazione delle masse. Le divinità principali sono poste sul lato orientale, opposto alla gradinata, il primo a essere visto da chi entrava nella piazza del santuario. Le figure di Zeus e Atena costituiscono un richiamo al più classico dei modelli: Atena e Poseidone nel frontone occidentale del Partenone. Busto del padre degli dei è rappresentato nudo, mentre la veste, cadendo, gli copre le gambe. Molto enfatizzati sono il movimento delle vesti e lo spessore delle pieghe. Tutto è volto a impressionare lo spettatore con lo scatenarsi di una sovrumana energia. I corpi dei contendenti si dispongono su diagonali divergenti. La dea Atena afferra per i capelli il mostro alato che cerca scampo piegando il ginocchio destro verso la terra. Il braccio è sollevato bruscamente per afferrare il braccio della contendente e allentarne la presa. A destra la madre degli sconfitti, Ghe, volge al cielo gli occhi in un gesto di plateale disperazione. Sopra di lei si trova la figura di Nike, compagna di Atena. Fregio della Telefeia: rilievo molto meno pronunciato, i personaggi non riempiono tutto lo spazio, sono disposti su diversi piani. La sua costruzione è concordemente attribuita a Eumene II. Si è a lungo rimasti incerti riguardo la data precisa. I frammenti ceramici nelle fondazioni dell’altare hanno dimostrato che fu iniziato dopo le vittorie contro i Galati del 168-5 a.C. -MEDIOEVO ELLENICO 77) Piccolo Donario pergameno: Pausania nella sua narrazione dell’Acropoli di Atene parla anche di un monumento fatto erigere da re Attalo che rappresenta con parecchie statue le guerre contro i Giganti, le Amazzoni, i Galati e i Persiani. Il più grave problema è quello della datazione: o alla fine del 3 sec a.C. quando Attalo I strinse ad Atene i suoi rapporti con Roma oppure dopo il 59 a.C. quando Attalo II salì al trono. La prima risposta in generale è quella preferita. 78) gruppo del Laocoonte: opera realizzata in un unico marmo da tre scultori rodii Agesandro, Polidoro e Atanodoro. Viene rappresentata la morte di Laocoonte, stritolato da due mostruosi serpenti usciti dal mare. Il suo corpo muscoloso disegna una diagonale che iniziando con la possente gamba sinistra, continua con il torso e dalla linea alba, con il braccio destro che si protende, ma il gomito si piega improvvisamente all’indietro. Le grosse ciocche di capelli incorniciano il volto contratto con lo sguardo rivolto all’insù, la bocca aperta in una morsa di dolore. Il corpo è ormai avvolto dalle spire. Sulla sinistra e sulla destra, i due figli di Laocoonte sono preda delle spire dei mostri. Il figlio più piccolo, a sinistra, reclina ormai la testa all’indietro, incapace di opporsi, mentre quello di destra sembra riuscire a liberarsi dalle spire. In tempi recenti gli studiosi si sono divisi in due filoni: gli uni lo ritengono un capolavoro originale dell’ultimo Ellenismo, creato a Rodi nel corso del I sec a.C.; altri lo credono una copia romana fatta da tre ottimi copisti di Rodi, Agesandro, Polidoro e Atanodoro. 79) Sperlonga: il mare ne lambisce l’enorme ingresso e fu fatto entrare artificialmente nella caverna con la costruzione di un primo bacino, che dava in un’ampia vasca circolare ancora più interna. Al centro del bacino era lasciata una specie di piccola isoletta rettangolare destinata ai banchetti. La grotta era appartenuta all’imperatore Tiberio. L’insieme doveva essere riccamente decorato di sculture. Al centro della vasca circolare: troneggiava nella penombra un colossale gruppo di Scilla. Il mostro emerge dalle acque e assale la nave di Odisseo, brandendo con arma il timone. Il timoniere cerca disperatamente di fuggirle, ma Scilla l’ha già afferrato con la destra per i capelli e sta per trascinarlo tra i flutti. Oltre la vasca circolare sul fondo della caverna, un piedistallo accoglieva il gruppo più colossale: il ciclope Polifemo, addormentatosi per il troppo vino, sta per essere accecato da Odisseo e i suoi compagni. Dell’eroe abbiamo la testa, coperta dal caratteristico pileo dei marinai. 80) mosaico con colombe: Plinio attribuisce a Soso la creazione delle colombe, posatesi sull’orlo di un bacile mentre si abbeverano specchiandosi nell’acqua. Questo permette all’artista uno studio delle varie disposizioni assunte dagli animali e del riverbero della luce. 81) mosaico nilotico: lo scorrere del fiume Nilo è il grande protagonista. Dal basso all’alto è rappresentato tutto il suo corso, risalendo dal porto di Alessandria attraverso zone sempre meno abitate da uomini e sempre più popolate di animali esotici e talora fantastici, rappresentati con minuziosità di particolari e indicati con il loro nome in greco.
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