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Riassunto "Ordinamento giuridico tra realtà e virtualità", F. Gentile, Cedam, 2005, Sintesi del corso di Teoria Generale Del Diritto

Riassunto di "Ordinamento giuridico tra realtà e virtualità" di F. Gentile per sostenere l'esame di Teoria e metodologia del diritto con il Prof. Elvio Ancona (Uniud)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 12/02/2020

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Scarica Riassunto "Ordinamento giuridico tra realtà e virtualità", F. Gentile, Cedam, 2005 e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Generale Del Diritto solo su Docsity! ORDINAMENTO GIURIDICO TRA VIRTUALITÁ E REALTÁ - F. Gentile La definizione di ordinamento giuridico Nonostante spesso il termine ordinamento giuridico venga utilizzato come sinonimo di diritto, in realtà con il termine diritto si fa riferimento al modo ed alle forme in cui ciascuna società si organizza, si ordina: di qui l’altra espressione ordinamento giuridico. Con l’espressione ordinamento si intende tanto l’organizzazione sociale, quanto il modo e le forme mediante le quali la società si organizza, ossia il sistema normativo. Nel linguaggio degli operatori giuridici, il vocabolo ordinamento è andato sempre più puntualmente indicando il sistema delle norme giuridiche. A conferma di ciò, possiamo fare riferimento a 3 citazioni: - Bobbio in “Teoria dell’ordinamento giuridico” del 1960: “Nella realtà le norme giuridiche non esistono mai da sole, ma sempre in un complesso di norme, che hanno particolari rapporti tra loro; tale contesto di norme si suole chiamare ordinamento”; - Gavazzi in “Elementi di teoria del diritto” del 1970: “L’idea di ordinamento richiama quella di una pluralità di enti tra loro connessi in modo tale da costituire un insieme: l’ordinamento giuridico è composto da una pluralità di norme”; - Lumia in “Lineamenti di teoria e ideologia del diritto” del 1973: “Le norme giuridiche non si presentano mai sole, ma organicamente collegate in un sistema cui si dà il nome di ordinamento giuridico”. Si può concludere che oggi, in un'ottica geometrica, prevale l'accezione di ordinamento giuridico quale insieme delle norme giuridiche, ma nel medesimo tempo si deve riconoscere che con esso non si designa un semplice coacervo, bensì un tutto ordinato, precisamente, un sistema di norme. Con l’espressione corrente di ordinamento, in particolare, si fa riferimento ad un procedimento esterno al processo della normazione consistente nel mettere ordine tra le norme attraverso un criterio ulteriore e diverso rispetto a quello che ha presieduto alla loro posizione. Kelsen A tal proposito rileva la tesi di Kelsen, secondo il quale la Grundnorm, ossia la norma fondamentale, organizza una pluralità di norme, costituendo il fondamento di validità di tutte le norme appartenenti all’ordinamento. Tali norme sono indicate da Kelnsen con il termine Soll-norm, che è l'espressione di una volontà sovrana di per sé gratuita e non condizionata, se non dalla effettiva capacità di affermarsi. La Grundnorm, quindi, non è una Soll-norm. La norma fondamentale non è posta ma “presupposta”; essa costituisce l’apriori della geometria legale, il cui compito è, appunto, quello di rappresentare come organizzate in un sistema ordinato, sulla base di una convenzione e dunque convenzionalmente, le Soll-normen poste dal sovrano. Soll-sätze è la formula utilizzata da Kelsen per designare queste rappresentazioni convenzionali delle Soll-normen operate dalla geometria legale sulla base del presupposto convenzionale della Grundnorm. In questo prospettiva, l’ordinamento giuridico è un sistema di rappresentazioni convenzionali di norme, elaborate dalla scienza giuridica sulla base del presupposto della norma fondamentale. Ciò significa che l’ordinamento giuridico è puramente virtuale. Di Robilant, a tal proposito, nel 1972 scrive: “La teoria dell'ordinamento costituisce un tentativo di ordinare fenomeni della realtà osservati con occhi impregnati di teoria: cioè un tentativo di ordinare fenomeni come se costituissero un ordinamento”. Viene evidenziata con chiarezza l'artificialità e l'astrattezza della geometria legale e del suo prodotto: l’ordinamento giuridico come sistema ordinato di norme, la sua non corrispondenza ad un ordine reale, la sua convenzionalità, essendo il risultato di una sistemazione puramente ipotetico-deduttiva. Il riconoscimento della virtualità dell'ordinamento quale sistema ordinato di norme, secondo i canoni della geometria legale, pone un problema del rapporto tra l'ordinamento giuridico virtuale, costruito dallo scienziato del diritto, dal geometra delle leggi, sulla base della norma fondamentale, l'ordinamento delle Soll-satze, e quello che di Robilant chiama “l'insieme dei fenomeni della realtà”. Innanzitutto è necessario chiarire di che cosa si tratta: se dell'insieme degli imperativi posti disordinatamente dal sovrano o piuttosto dell'insieme dei comportamenti personali intrecciantisi nelle intricate relazioni sociali che intercorrono tra i soggetti conviventi nella comunità politica. 1 Questa ambiguità deve essere chiarita perché altro è considerare l'ordinamento giuridico come strumento di controllo sociale, altro è considerarlo come modo di comunicazione civile. L'ordinamento giuridico viene spesso assimilato alle regole del gioco degli scacchi, considerando i soggetti componenti della comunità politica come se fossero delle pedine sulle quali esercita il dominio il giocatore. Ma sarebbe del tutto illusorio e quindi fallimentare, ritenere che i soggetti umani si muovano come delle pedine, per l'intervento cioè di una volontà ad essi esterna e sovrapposta, anziché per una decisione interiore ed autonoma. Di qui il problema dello scarto tra virtualità e realtà. Con l'accezione di ordinamento come sistema ordinato di norme il diritto, altro non è che lo strumento principe del controllo sociale: la legge altro non è se non il “comando del più forte”, espressione della volontà uscita vincente dal conflitto, in un mondo “incivile”. Secondo la geometria legale, infatti, il disordine, come non-ordine oggettivo, costituisce lo stato naturale degli individui. Ma la pretesa, sostenuta dalla geometria legale, di instaurare un ordine, anche solo virtuale, a partire da un non-ordine oggettivo, risulta contraddittoria in radice, a meno che non si accrediti l'uomo del potere di creare dal nulla, del potere di trarre l'essere dal non essere. Santi Romano La più originale opera italiana sull’argomento è il libro “L’ordinamento giuridico” di Santi Romano del 1917/1918. La teoria di Santi Romano muove dalla constatazione dell’inadeguatezza e dell'insufficienza della definizione di ordinamento come insieme di norme, elaborata dai formalisti: che il diritto si presenti anche come norma è chiaro, ma oltre ad essa sono fattori essenziali del processo di ordinamento l'organizzazione, la forza, l'autorità, il potere. In particolare Romano insiste sulla obiettività dell'ordinamento giuridico, che non può circoscriversi e limitarsi alle sole norme giuridiche. Per designare l’“ordinamento giuridico obiettivo” Santi Romano si serve della formula istituzione; ente o corpo sociale dotato di un'esistenza obbiettiva e concreta e di un'individualità esteriore e visibile; manifestazione della natura sociale e non puramente individuale dell’uomo; unità ferma e permanente, che cioè non perde la sua identità per il mutarsi dei suoi singoli elementi, delle persone che ne fanno parte, del suo patrimonio, dei suoi mezzi, dei suoi interessi, dei suoi destinatari, delle sue norme e così via. L'istituzione è un ordinamento giuridico, una sfera a sé, più o meno completa, di diritto obiettivo. Quanto all’oggettività come connotato del “dover essere” giuridico, non possiamo non ricordare Kelsen, che nella “Reine Rechtslehre” del 1960, si propone di mettere in luce i tratti che distinguono il “dover essere” implicito del comando di un brigante dal “dover essere” implicito nel comando di un pubblico ufficiale, che non sarebbero altro che i tratti della qualificazione giuridica; considerato che entrambe si presentano come “prescrizioni di un certo comportamento umano sotto la minaccia di mali”. Per raggiungere l'obiettivo, Kelsen propone di distinguere il “senso soggettivo” del dover essere da quello che in un primo momento chiama il “senso normativo” e poi il “senso oggettivo”. E conclude: nella misura in cui si prende in considerazione soltanto il senso soggettivo dell’atto in questione, non esiste nessuna differenza tra l’ordine di un brigante e l’ordine di un pubblico ufficiale, poichè una differenza si manifesta solo quando si considera il senso oggettivo. Ed egli ritiene di affermare il “senso oggettivo”, ossia la giuridicità, attraverso la presupposizione della norma fondamentale. Tornando a Santi Romano e alla sua teoria dell'ordinamento giuridico come istituzione, si pone il nuovo problema del rapporto tra le norme giuridiche, ciò che correttamente si chiama diritto, e il complesso dell’istituzione, di cui il diritto è solo una parte. La risposta di Romano è perentoria: l'istituzione non è fonte del diritto, ma fra il concetto di istituzione e quello di ordinamento giuridico, c’è sia perfetta identità. Santi Romano, inoltre, afferma che la legge non è mai, come comunemente si crede, il cominciamento del diritto, ma un'aggiunta al diritto preesistente o una modificazione di esso. Il legislatore non è, così, il creatore del diritto nel senso pieno e assoluto della parola, cioè il primo creatore, da ciò deriva la mancanza in lui del potere di annullarlo completamente, poichè per annullarlo dovrebbe decretare la fine stessa dello Stato. 2 Ed è proprio questa la differenza tra il rapporto contrattuale e il rapporto di dominio, che annulla l'autonomia tanto del servo che del padrone. Infatti, nonostante le apparenze, così come il servo dipende dal padrone, il padrone dipende dal servo, di cui ha bisogno per affermarsi come padrone. A questo punto non si può non rilevare come oggi vada prendendo piede, o riprendendo vigore, una concezione della legge come impulso all’autonomia. Se ne possono individuare i segnali in tutti i segmenti dell’esperienza giuridica: - nell’ambito del diritto pubblico, con la legge quadro sul pubblico impiego (l. 93/1983), che ha attribuito all’accordo tra Governo e sindacati la competenza disciplinarne significativi aspetti, prevedendo come condizione per l’inizio delle procedure contrattuali e la partecipazione ad esse delle organizzazioni sindacali he queste avessero adottato codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero; - nell’ambito del diritto processuale, con l’accentuato rilievo conferito al tentativo obbligatorio di conciliazione. Il discorso sull'autonomia non si può chiudere senza una riflessione su quella che rappresenta la principale novità giuridica del nostro tempo, introdotta nell'ordinamento giuridico di ogni stato europeo con l'adozione dei principi costituenti l'Unione Europea, secondo il dettato dei Trattati di Maastricht e Amsterdam. L'affermazione dell'obbiettivo di portare avanti il processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, quale appare nel preambolo del Trattato di Maastricht, ha riproposto, la concezione dell'ordinamento giuridico come processo da attuarsi il più vicino possibile a coloro le cui relazioni debbono essere regolamentate. In questa prospettiva, il successivo Trattato di Amsterdam, con il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, ha ribadito tassativamente che la Comunità legifera soltanto per quanto necessario, ossia quando gli obbiettivi dell'azione proposta non possono essere sufficientemente realizzati con l'azione degli Stati membri nel quadro dei loro sistemi costituzionali nazionali e perciò possono essere meglio conseguiti mediante l'azione della Comunità. Ed essa legifera preferibilmente mediante direttive che, mentre sono vincolanti per quanto concerne il risultato da raggiungere, lasciano alle autorità nazionali facoltà di scelta riguardo alla forma e ai metodi. Tutto questo viene detto alla luce del principio di sussidiarietà, per il quale l'intervento dell'istituzione superiore è giustificato soltanto se e nella misura in cui gli obbiettivi dell'azione proposta non possono essere sufficientemente realizzati dall'istituzione minore. Un principio rilevante anche all’interno di ciascuno degli Stati che, sottoscrivendo tali trattati, l’hanno recepito, riconoscendo quale autentica fonte dell’obbligatorietà delle norme, l’autonomia personale, che costituisce la specificità dell’essere umano. La controversia Se l'autonomia è il “germe” dell'ordinamento giuridico, la controversia ne costituisce lo “schema”. Innanzitutto, bisogna precisare che la controversia non è conflitto, ma misura dialettica, perché oggetto del conflitto è immediatamente il dominio sulla cosa o sulla persona ridotta a cosa, mentre oggetto della controversia è il riconoscimento del diritto sulla cosa che ciascuna delle parti rivendica come propria e persegue dialetticamente, dimostrando che nella tesi avversaria è presente qualcosa che, se radicalmente tematizzato, la fa cadere in contraddizione e la riconduce alla propria versione dell'ordine. Riflettendo sulla controversia è dato di capire meglio come nel processo dell'ordinamento giuridico si intreccino problematicamente ordine e disordine e d'intendere perché l’ordinamento giuridico non possa identificarsi immediatamente con l'ordine, avendo a che fare strutturalmente con il disordine, ma anche perché non possa essere ridotto a maschera virtuale del disordine, com'è toccato di fare al “geometra delle leggi”. L'intreccio di ordine e disordine è, quindi, un problema quotidiano per il giurista, il quale si trova ogni giorno coinvolto tra l'ordine della legge e il disordine della lite, ed esplica la sua funzione specifica nel senso dell’ordinamento. Se, come nella teoria della sovranità sviluppata dalla geometria legale, il disordine della lite fosse un non-ordine oggettivo, non vi sarebbe possibilità di successo per l'opera di ordinamento del giurista. Essa, infatti, si configurerebbe come un sovra-ordinamento, che non farebbe venir meno la lite, e dunque il disordine, ma solo ne neutralizzerebbe gli effetti in virtù di una pre-potenza, cioè della potenza di fatto esercitata da chi è pre-posto al controllo sociale. E questo finché il sovrano di fatto eserciti il potere; configurandosi peraltro la trasgressione della legge da parte dei sudditi come espressione della loro libertà individuale, del loro potere soggettivo. 5 Non vi sarebbe possibilità di successo per l'opera del giurista neppure se si identificasse formalisticamente la norma con il “testo preciso della legge”, poiché essa rileva soltanto nel momento in cui interviene nella composizione di una lite mediante la sua interpretazione della controversia. Nella controversia il disordine si manifesta come divergenza tra due vedute dell'ordine e l'ordinamento si realizza se ed in quanto fra queste si stabilisca un rapporto dialettico. La controversia, infatti, si risolve mediante il riconoscimento di ciò che è proprio delle parti in causa. La pretesa, infatti, di ciascuno al suo si configura come domanda d'essere rispettato in ciò che lo diversifica dagli altri, ma è altresì chiaro che tale diversità può essere definita solo a partire da ciò che ciascuno ha con gli altri in comune, ossia la naturale disposizione all'ordine. Così meglio si capisce anche perché la legge non è propriamente il diritto, ma piuttosto “aliquis ratio iuris”, come ribadisce Juan Vallet de Goytisolo. Il processo L'acquisita consapevolezza che l'ordinamento giuridico si compie mediante la trasformazione della lite in controversia, per cui il conflitto di due arbitrii viene tradotto nel confronto di due versioni dell'ordine, suggerisce di intendere come centrale nell'esperienza giuridica il momento del processo. Esso appare contraddistinto dalla partecipazione degli interessati all’iter, intendendosi per tal quanti siano destinati a subire l’efficacia dell’atto finale e dal contraddittorio, ch’è il dire e il contraddire, sul piede di simmetrica parità, i ordine a tutte le questioni che il processo pone e i cui risultati non possono essere tenuti in considerazione da parte dell’autore dell’atto finale. Il modulo del processo viene proposto, oltre che all'attenzione di chi deve applicare le leggi anche a quella di chi fa le leggi, per la struttura dialettica del contraddittorio che ne costituisce il momento più significativo e caratterizzante. La proposta è particolarmente suggestiva se si considera il fatto che nell’ambito della produzione legislativa si è andato sempre più diffusamente affermando il metodo della negoziazione, cioè la definizione dei contenuti normativi delle leggi con il contributo dialettico di chi è destinato a subire l’efficacia diretta dell’imperativo finale. In realtà, dal modulo del processo, nel quale il contraddittorio mette capo ad una sentenza, decisione formale conclusiva di un procedimento caratterizzato dalla dialetticità del confronto reale, risulta illuminato tutto l'arco della produzione legislativa di quel diritto che è stato definito come “ermafrodito” per essere il prodotto di un negoziato e di un voto assembleare. La pratica della negoziazione legislativa ha rimesso in primo piano il ruolo che la dialettica ha, da sempre, nel processo dell'ordinamento. In altri termini, dalla dialetticità della negoziazione legislativa, risulta come anche la legge, per essere fattore di ordinamento, prima di venire fissata dalla volontà, sia il prodotto del riconoscimento dialettico del suo di ciascuno. L'ordinamento giuridico, così, risulta avere una funzione: - teoretica, consistente nel riconoscere dialetticamente il suo di ciascuno; - pratica, consistente nel fissare e quindi nel sottrarre la soluzione raggiunta alla disponibilità arbitraria. L’una e l’altra attuenantesi mediante gli strumenti specifici della posizione della legge, del provvedimento amministrativo e della pronuncia giudiziale. Inoltre, emergono i caratteri della politicità e della positività dell’ordinamento. La prova della politicità dell'ordinamento giuridico può essere reperita muovendo dalla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale con la quale ha stabilito che l'ignoranza inevitabile della legge può scusare. Si fa riferimento alla necessità di richiedere come essenziale requisito di imputazione uno specifico rapporto tra soggetto e legge e, conseguentemente, tra soggetto e fatto considerato nel suo integrale disvalore giuridico, sicché deve essere colpita dalle conseguenze della sanzione solo la consapevole ribellione o trascuratezza nei confronti dell’ordinamento, inteso come processo di regolamento delle relazioni umane. Tale sentenza sembrerebbe diretta allo stesso legislatore, al fine di fargli rendere coscienza del fatto che la legge è destinata ad operare all’interno di un processo di autoregolamentazione di cui ciascun membro della comunità è protagonista. Per politicità, quindi, si intende l’intelligenza della giusta misura, di ciò che conviene ed è opportuno, necessario alla convivenza umana. Della positività dell'ordinamento giuridico la prova sembra più elementare, essendo immediatamente determinabile ciò in cui esso naturalmente consiste. É la positività, insomma, a 6 fare dei precetti legislativi, amministrativi e giudiziari, mediante i quali l'ordinamento giuridico operativamente si esplica, punto di riferimento per la convivenza umana. Riferimento sicuro proprio perché sottratto alla disponibilità meramente occasionale dell'individuo come gruppo. Proprio perché sulla positività la geometria legale ha fondato la propria concezione puramente volontaristica dell'ordinamento giuridico, è necessario precisarne l'autentico significato, percettibile attraverso l'analogia esistente tra la definizione di precetto e quella del concetto: con il concetto si rappresenta una cosa fissandone i tratti essenziali, mentre con il precetto giuridico si rappresenta un'azione, fissandone i tratti qualificanti ed essenziali. Come il concetto, con la sua fissità interlocutoria, costituisce un principio regolatore della conoscenza umana, nel senso che l'uomo mediante il concetto, o meglio mediante la rete dei concetti, in cui si unificano le precedenti esperienze, si apre ad esperienze nuove, così il precetto, con la sua fissità interlocutoria, esercita la funzione di modello per l'azione umana, nel senso che l'uomo trova nel precetto, o meglio nella rete dei precetti, in cui sono raccolti tutti i tratti qualificanti di un rapporto, le indicazioni utili per disporsi alla relazione con gli altri. A seguito della contrapposizione tra natura e diritto postulata dalle geometrie legali moderne, che hanno radicato nel subconscio del moderno operatore giuridico un preconcetto difficile da estirpare, risulta necessario recuperare la coscienza della naturalezza del diritto. Ed è proprio nella scoperta del principio di sussidiarietà che il giurista ritrova la via per il riconoscimento della naturalezza del diritto: viene in tal modo prospettato, come determinante nella qualificazione giuridica dell’ordinamento, non tanto il criterio della competenza, ma il criterio sostanziale della funzionalità, cioè dell'idoneità degli strumenti al perseguimento degli obbiettivi e dell'adeguatezza di questi alla natura. L'alternativa nel modo di concepire l'ordinamento giuridico, viene definita da due metafore, quella dell'assorbire e quella dell'aiutare. L'una, quella dell'assorbire, significativa dell'idea di dominio, di controllo, al limite di riduzione del personale al tipico. L'altra, quella dell'aiutare, significativa dell'idea di sostegno, di incremento, al limite di integrazione nel senso della piena realizzazione del personale nel sociale. La metafora dell'assorbire rappresenta efficacemente la concezione geometrica dell'ordinamento giuridico come sovrapposizione della volontà sovrana della collettività sulla volontà anarchica degli individui, come assorbimento, e quindi annullamento, della persona reale dei singoli nella persona virtuale dello stato. La metafora dell'aiutare rappresenta, invece, efficacemente la concezione dialettica dell'ordinamento giuridico per la quale le radici dell'ordinamento giuridico delle realizzazioni interpersonali, anche quando ad aiutarlo è lo stato, devono essere ricercate, nella natura dell'uomo, nella sua naturale autonomia. Il compito del giurista consiste nel contribuire all'ordinamento giuridico della comunità, mediante la traduzione del conflitto, portato alla sua attenzione, in controversia, ossia sottoponendo l'arbitrio di un appetito momentaneo alla disciplina di una regola razionale destinata a valere nel tempo. La consapevolezza della natura interlocutoria del proprio operare, essendo destinato ad innestarsi in un processo che, prima o dopo di esso, si regge e si compie sulla base della capacità personale d'autonomia, impedisce al giurista d’accontentarsi di un ordinamento virtuale, che il potere, quand'anche legittimato dalla volontà dei consociati, può solo sovrapporre alla conflittualità interindividuale, assunta come insanabile, affermandosi piuttosto che come superamento di essa come sua canonizzazione, al limite giungendo a negare valore persino all'autonomia contrattuale. SECONDO CODICILLO Su linguaggio e diritto L'accostamento di linguaggio e diritto è antico quanto la storia della civiltà. Alla metà del XX secolo, nell'ambito del Gruppo di Vienna, è scoppiata la passione per l'analisi del linguaggio, essendo apparso immediatamente presumibile che il giurista, inteso come colui che opera col diritto, avendo per oggetto di studio un linguaggio, il linguaggio del legislatore, ed usando nella propria ricerca il linguaggio comune, fosse particolarmente esposto al pericolo di non porsi criticamente di fronte al linguaggio, cioè di adoperare senza scrupoli i mezzi della lingua quotidiana per fini cui essi non sono stati destinati e non sono adeguati. Il problema sta nel fatto che il significato di una parola non sarebbe qualcosa di intrinsecamente e definitivamente legato ad essa, ma dipenderebbe soltanto dalle regole che per l’uso di essa sono fissate in un sistema dato di linguaggio, perciò, ovviamente, alle espressioni del linguaggio giuridico, non si connetterebbero delle cose, alla realtà, ma si perseguirebbero soltanto gli scopi prefissati. 7
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