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riassunto pedagogia della famiglia, Appunti di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

riassunto del volume P. Zini accompagnamento formativo per genitori divisi

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 16/04/2019

19giulia98
19giulia98 🇮🇹

4.3

(70)

47 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto pedagogia della famiglia e più Appunti in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! ACCOMPAGNAMENTO FORMATIVO PER GENITORI DIVISI Introduzione Nell’attuale contesto, l’instabilità coniugale è un fenomeno sempre più diffuso, che spesso si risolve nello scioglimento del legame matrimoniale. Il divorzio ha ripercussioni su tutto il sistema relazionale della famiglia, esso modifica le relazioni genitoriali – amicali – sociali, influendo su status, residenza e rapporti economici delle persone coinvolte. Osservandolo, si può notare la complessità e la multidimensionalità del fenomeno in quanto esso postula il riferimento a molteplici fattori, tra cui la problematicità del quadro valoriale delle famiglie contemporanee e la conseguente temporaneità del legame coniugale. Il divorzio interpella la riflessione pedagogica, la quale mira alla ricerca di opportunità e risorse anche nelle situazioni di criticità e fragilità. Nello specifico la proposta educativa può risultare preziosa in merito all’esercizio della genitorialità nelle situazioni di divorzio. Quest’ultima viene assunta come chiave di lettura con cui affrontare la questione, nella consapevolezza che il divorzio acquista tratti caratteristici peculiari in base alla presenza o meno di figli. La domanda che ci si pone a questo proposito è: quale sostegno educativo può essere offerto ai genitori divisi? Per rispondere è necessario esplorare alcuni temi tra cui il conflitto e la sua gestione, la sofferenza connessa con la decisione di coppia di divorziare, la genitorialità e le differenti forme di parenting dopo la separazione e gli effetti del divorzio sui figli. Inoltre, per progettare interventi di sostegno occorre approfondire il tema dei bisogni educativi dei genitori divorziati. Per rilevarli si è dovuto entrare in contatto con l’esperienza ed i vissuti di alcuni genitori. La ricerca pedagogica quindi chiama in causa le persone con le loro storie, predisponendo focus group per rilevare le problematicità incontrate, l’aiuto ricevuto per affrontare e l’aiuto desiderato. In base ai bisogni emersi, ci si è soffermati su una specifica tipologia di sostegno, ovvero quella formativa in particolare una tipologia di formazione che assume le forme dell’accompagnamento, con il quale aiutare e sostenere gli adulti ad acquisire consapevolezza circa i propri compiti educativi e a svolgere la propria funzione genitoriale. Nel testo si analizza quindi l’accompagnamento educativo dei genitori divorziati osservandolo come uno strumento relazionale che, in una prospettiva di resilienza, aiuta ad intravedere anche nella sofferenza suscitata dal fallimento del progetto coniugale inedite opportunità di sviluppo e di crescita, finalizzate al benessere personale e familiare. CAP. 1 – Separazione e divorzio oggi 1. Fotografia della situazione Dagli anni ’60 ad oggi la famiglia ha subito numerose trasformazioni. Pati utilizza in particolare due termini per segnalare le modificazioni che si verificano in campo familiare: a. Parcellizzazione = compresenza di differenti sistemi domestici in virtù della diversa composizione ed organizzazione dei membri b. Democratizzazione = processo da cui sono scaturite sia nuove forme di coniugalità, contraddistinte dalla reciprocità del legame di coppia, sia inedite modalità genitoriali contrassegnate dalla circolarità comunicativa tra i membri Accanto a queste modificazioni si colloca anche la progressiva privatizzazione della famiglia, sempre più sola e con meno occasioni di scambio e confronto. Ciò ha delle ripercussioni anche sulla genitorialità connotata da una crescente sensazione di insicurezza ed incertezza. Oggi si assiste in altre parole ad una e vera propria crisi del concetto di famiglia. Infatti sembra che la definizione di famiglia data dall’articolo 29 della costituzione, che la indica come una società naturale fondata sul matrimonio, non rispetti più le famiglie contemporanee che infatti scelgono forme alternative di convivenza alternative al divorzio. Si nota poi anche una nuova percezione del sistema familiare da parte di ampi settori di popolazione. La famiglia tradizionale era contrassegnata dall’indissolubilità del matrimonio e si ispirava al valore della continuità temporale del legame (per sempre). A questa visione di contrappone oggi un investimento temporaneo del finché dura. Davanti al conseguente calo dei matrimoni, la pedagogia cerca di identificare le cause di questo fenomeno. Negli anni ’90, quando iniziò a diffondersi questa situazione, galli sosteneva che la riluttanza di certi giovani a contrarre matrimonio deriva da svariate ragioni tra cui timore di non essere idonei a supportare i doveri che ne derivano, fragilità della loro struttura personale, emancipazione femminile, ristrettezze economiche ecc. Invece, tra coloro che decidono di sposarsi, notiamo un innalzamento dell’età: ci si sposa dopo i 30 anni (35 gli uomini – 32 le donne) e questo può essere ricondotto a difficoltà economiche e lavorative che rendono faticosa la progettazione della propria vita in autonomia dalla famiglia d’origine. Sappiamo poi che è aumentata la scelta del rito civile a discapito di quello religioso. A causa della continua diminuzione dei matrimoni, anche le separazioni e i divorzi hanno subito un rallentamento. Tuttavia, questi fenomeni tendono ad aumentare a causa della situazione di crisi economica che caratterizza il nostro paese in quanto, si nota come ad esso segue un peggioramento delle condizioni economico – sociali dei membri della famiglia. può essere considerato solo come la soluzione di una crisi ma, una crisi essa stessa che comporta numerose conseguenze. 2. Quadro giuridico In tutti i paesi occidentali la regolazione giuridica del divorzio si è orientata verso obiettivi condivisi. Dagli anni ’70 le riforme in materia di diritto di famiglia hanno superato il modello divorzio – separazione, privilegiando il modello divorzio – fallimento. Si tratta di un passaggio caratterizzato da una diversa considerazione del divorzio: anziché l’idea di sanzione nei confronti del coniuge colpevole, che quindi viene penalizzato o privato di alcuni diritti, prevale quella del rimedio da dare al fallimento del matrimonio. Di conseguenza, il divorzio viene concesso non prima di aver accertato una colpa ma, dopo la rilevazione dell’impossibilità della coppia di continuare a vivere insieme. Il divorzio è preceduto dalla separazione, la quale rappresenta uno stato transitorio di sospensione dei diritti e doveri del matrimonio. Dal punto di vista normativo, in Italia il divorzio è stato introdotto con la legge 898 del dicembre 1970 a cui seguì un referendum popolare svoltosi nel maggio 1974 con il quale si propose di abrogare la legge istitutiva del divorzio. Prima di questa legge, il codice civile del 1942 sanciva lo scioglimento del matrimonio solo con la morte di uno dei due coniugi. L’articolo 6 della legge 898 sanciva una forma di affidamento esclusivo dei figli ad uno dei due genitori, assegnando al tribunale il compito di ispirarsi unicamente all’interesse del minore. Proprio per questo motivo però la legge ha subito alcune modificazioni nel 1978 e successivamente anche nel 1897. Nel marzo di quest’anno, con la legge 74 si è disposto che il giudice può optare in alterativa all’affidamento esclusivo per quello congiunto o alternato qualora lo ritenga opportuno per il minore. La legge poi ha abbreviato da cinque a tre anni il tempo che deve intercorrere tra la separazione e il divorzio. La norma italiana, in base all’articolo 150 del codice civile, che venne poi modificato con l’articolo 32 della legge 151 del 1975, riconosce due forme di separazione, quella consensuale e quella giudiziale. Con la legge 54 del febbraio 2006 definita Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli si vuole salvaguardare la relazione del figlio con entrambi i genitori per il benessere del minore. Tale aspetto è stato stabilito anche dalla convenzione ONU sui diritti del fanciullo stipulata a New York nel novembre 1989. Nell’art. 9 si riconosce quindi il diritto del minore di mantenere con entrambi i genitori regolari rapporti personali e contatti diretti. Questo diritto nei casi di divorzio si traduce nella tutela della relazione con tutti i membri della famiglia. Inoltre, all’art. 18 della stessa convenzione sancisce che entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo. Secondo la stessa legge i genitori conservano l’esercizio della potestà genitoriale e per tanto devono provvedere al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito. Fino al 2005 prevaleva l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre. Dal 2006 invece, con l’introduzione della nuova legge, la quota di affidamento concessi alla madre si è fortemente ridotta, a vantaggio dell’affido condiviso. Questo significa che, si è fatta progressivamente strada l’idea della co – genitorialità la quale rimanda sia ad una gestione coordinata della funzione genitoriale sia all’avvaloramento della responsabilità a cui sono chiamati entrambi i genitori. La normativa invece garantisce quello che viene identificato nella bi – genitorialità, favorendo così il contatto del minore sia con il padre sia con la madre, indipendentemente dal rapporto tra questi. Di conseguenza non si punta l’attenzione su come praticare l’affidamento condiviso in caso di conflitto dato che la normativa punta soprattutto sul tema dell’uguaglianza dei genitori in termini di diritti e doveri. Ai giorni nostri è possibile osservare come l’introduzione della legge abbia modificato alcune caratteristiche delle sentenze di separazione emesse dai tribunali (in particolare è stata riscontrata una diminuzione significativa dell’indicatore riguardante l’affido esclusivo alle madri mentre gli altri indicatori non hanno subito variazioni). Oltre a ciò si può notare come, una volta innalzate le modalità di gestione dell’affidamento condiviso e la ripartizione del tempo dei figli tra i genitori, emerge che i bambini tendono a trascorrere la maggior parte del tempo con il genitore primario. Questo significa che spesso, l’affido condiviso non garantisce ai coniugi uguali tempi di frequentazione dei figli. Altra importante novità offerta dalla legge del 2006 riguarda l’introduzione della possibilità della mediazione tra coniugi. Più specificatamente, si dichiara che il giudice sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti per consentire che i coniugi tentino una mediazione per raggiungere un accordo in vista della tutela del benessere morale e materiale dei figli. In particolare si ricordano due interventi legislativi recenti in merito alla separazione e al divorzio: • D.L. 132 del settembre 2014 modificato poi con la legge 162 del novembre dello stesso anno = legge che prevede il ricorso agli accordi extragiudiziali per giungere alla separazione personale o allo scioglimento del vincolo piuttosto che alla modifica di precedenti provvedimenti o accordi. Tale modalità può essere impiegata solo nei casi di separazione e divorzio consensuale (non necessità l’intervento del giudice). Tale norma prevede al suo interno due diverse procedure: • Negoziazione assistita da uno o più avvocati • Procedura davanti al sindaco che svolge la funzione di ufficiale di stato civile. Forma usata principalmente per coniugi senza figli o con figli maggiorenni indipendenti. L’obiettivo primario della legge è la recessione del carico giudiziario. • Legge 55 del maggio 2015. Prima di tale legge il divorzio poteva essere ottenuto dopo tre anni di separazione legale. Oggi invece, se il divorzio è consensuale, bastano 3 mesi mentre se è giudiziale 12. Tuttavia, dai recenti studi è emerso come l’obiettivo di delle due leggi di alleggerire il carico di lavoro dei tribunali sia stato raggiunto solo parzialmente. Infatti, al calo dei procedimenti di separazione consensuale non è corrisposta la diminuzione dei procedimenti consensuali di divorzio. Nonostante ciò, si può affermare che entrambe le nuove leggi sono finalizzate alla semplificazione e alla riduzione dei tempi procedimentali della crisi matrimoniale anche se così facendo le leggi concorrono a togliere significato al matrimonio e alla sua stabilità o meglio, veicolano e diffondono una rappresentazione delle relazioni coniugali e familiari all’impresa della precarietà. 3. La temporaneità del legame coniugale oggi Oggi il legame coniugale assume le forme di una relazione tascabile, che offre nell’immediato una serie di giustificazioni le quali, una volta venute meno, consentono la chiusura e l’archiviazione della relazione. Si tratta di un legame che a livello superficiale sembra rispondere ai bisogni contingenti delle persone ma che, a livello profondo rifiuta il senso di responsabilità verso la famiglia. Di conseguenza subentra il concetto di amore liquido di Bauman, il quale ci parla di un legame che ha perso i tratti di stabilità per assumere quelli dell’imprevedibilità, fragilità e fuggevolezza. Oggi domina infatti un sistema caotico, contraddistinto da povertà relazionale e culturale: prevale l’ottica del valore singolo che ha preso il sopravvento a discapito del valore della famiglia. Pati afferma che i fattori di crisi prosperano a causa del tramonto di alcuni valori socio – culturali ed etici che fino agli anni ’70 hanno permesso di tutelare la stabilità – continuità del vincolo di coppia. Tra le difficoltà coniugali che determinano la temporaneità del legame occorre porre l’attenzione sulle seguenti: • Perdita dell’ottica progettuale = viviamo oggi in una cultura del tutto subito e adesso, la quale rende le persone incapaci di proiettarsi nel domani, di assumere uno sguardo volto al futuro. Questo comporta l’incapacità coniugale ma anche individuale di coltivare con impegno il significato principale dell’amore coniugale. Viene meno il progetto inteso come proiettare la propria immagine in avanti. Di conseguenza l’amore, tratto caratteristico del legame coniugale, vede prevaricare la passione a discapito del progetto, di quelle dimensioni spirituali (agape). Nelle famiglie di oggi risulta poi difficile trovare anche i valori del prendersi cura. Così come le loro definizioni, anche i bisogni dei separati e dei divorziati e le forme di sostegno sono differenti. I primi vanno infatti aiutati a chiarire le situazioni di incomprensione così da ricucire eventualmente il rapporto, i secondi invece vanno sostenuti nel percorso di ricostruzione della propria identità personale e genitoriale. Nell’identificazione di alcuni tratti caratteristici del divorzio possiamo trovare poi la processualità che lo contraddistingue, più precisamente un graduale disinvestimento emotivo di uno o entrambi i coniugi. La decisione di separassi nasce infatti da problemi e disagi che la coppia sta vivendo. In altri parole la separazione è esito di un percorso iniziato tempo prima in cui agiscono emozioni, atteggiamenti e pensieri più o meno espliciti. Questo significa che i rapporti coniugali non si frantumano da un giorno all’altro ma che, sono esito di un lungo processo molto doloroso. Packard già negli anni ’80 sosteneva che tra le ragioni dell’instabilità coniugale vi sono i nuovi stili di vita ispirati dall’individualismo, la frammentazione della famiglia, il declino delle convinzioni religiose. In particolare oggi assistiamo ad un decadimento della concezione di famiglia come sistema che di conseguenza porta i singoli ad essere indicati come individualità e non come parti in relazione con altre. Per quanto riguarda invece la frammentazione è bene analizzare il fenomeno delle costellazioni familiari, ovvero le nuove forme di essere famiglia oggi. Accanto alla famiglia fondata sul matrimonio troviamo infatti diverse tipologie di convivenza. Sull’ultimo aspetto che riguarda invece il venir meno delle convinzioni religiose, è bene ricordare come questo evento sia legato al processo di secolarizzazione in cui l’influsso delle istituzioni religiose stanno perdendo forza. Altri studiosi pongono invece attenzione su altri aspetti che determinano il fenomeno del divorzio, come per esempio cause di natura sia sociale che culturale. Nelle prime si esaminano il graduale superamento dell’economia familiare e il declino del modello di famiglia basato sul male breadwinner. In passato l’economia familiare portava gli individui, in particolare le donne, ad essere intrappolati nella famiglia. Oggi invece con il declino del breadwinner a causa dell’entrata massiccia delle donne nel mercato del lavoro sono nate nuove forme di divisione dei compiti e responsabilità familiari. Nelle cause di natura culturale invece possono essere identificati tre processi: i mutamenti delle aspettative riposte nel matrimonio causate dalla diffusione dell’individualismo, il processo di secolarizzazione e il declino dell’ideologia patriarcale. Per quanto riguarda le aspettative oggi riscontriamo un’accentuata idealizzazione del matrimonio, che viene considerato più come strumento per sé che come luogo di relazione, idealizzazione a cui corrisponde un basso investimento dove quindi vige la tendenza all’autonomia e alla realizzazione personale a scapito della solidarietà familiare. La secolarizzazione porta con sé il rischio di un disinvestimento valoriale nei confronti del matrimonio a cui si collegano in modo più temporaneo i valori della fedeltà e stabilità. Invece il declino dell’ideologia patriarcale, con conseguente modifica e ridefinizione dei compiti e delle funzioni all’interno della famiglia, ha rotto i tradizionali equilibri. Altri studiosi ancora mettono l’accento sul fatto che la frantumazione del vincolo matrimoniale è l’effetto di una data concezione dell’unione stessa. Oggi infatti il legame matrimoniale è inteso come un qualcosa di provvisorio e temporaneo e quindi, scindibile. La multidimensionalità del divorzio è dovuta anche alla molteplicità dei livelli che contrassegnano questa vicenda esistenziale. Nel 1970 Bohannan individuò sei gradi di divorzio: emozionale, legale, economico, comunitario, genitoriale e psicologico. • Divorzio emotivo = inizia nel momento in cui uno dei due coniugi riduce il proprio investimento affettivo sulla relazione con l’altro. Questo porta ad un’asimmetria tra i due perché spesso uno decide e l’altro subisce. Si tratta di una dimensione contrassegnata da alta conflittualità e rende difficile ogni tentativo di negoziazione. L’esito è il deterioramento del rapporto di coppia. • Divorzio legale = riguarda l’ufficializzazione della decisione. Procedimento giuridico che può essere affrontato in maniera costruttiva o vendicativa. Di conseguenza, in base alla normativa italiana, troviamo una separazione consensuale e una giudiziale. • Divorzio economico = riguarda la discussione sulla divisione dei beni e sull’assegno familiare. Fase molto delicata perché può appesantire le difficoltà finanziare già esistenti. • Divorzio della comunità = fase in cui gli ex coniugi affrontano la prima fase di divorzio nel contesto sociale. Concerne il cambiamento delle relazioni sociali (es. ripercussioni nelle famiglie di origine). Di conseguenza, il divorzio è accompagnato da sentimenti di abbandono e solitudine. • Divorzio genitoriale = una delle prime difficoltà manifestate dagli ex coniugi è la gestione dei ruoli genitoriali, i quali essendo disgiunti da quelli coniugali permangono anche dopo il divorzio. Occorre quindi assumere responsabilità nei confronti dei figli, per il bene dei quali è necessario cooperare. • Divorzio psichico = avviene quando la coppia divisa ha elaborato e compreso l’esperienza della separazione. Implica la capacità di vivere senza una persona accanto e divenire emotivamente indipendenti. Un altro interessante modello di analisi sul divorzio è quello proposto da Kaslow e Schwartz i quali offrono una lettura evolutiva che considera la famiglia come organismo con un proprio ciclo di vita. Essi dividono il divorzio in tre fasi e consigliando per ognuna differenti tipologie di sostegno: • Pre – divorce = fase di presa della decisione. Nella coppia si possono manifestare sentimenti contrastanti che vanno dalla disillusione, incredulità alla disperazione, angoscia, rabbia, senso di perdita. Gli autori consigliano terapia di coppia o il gruppo di terapia di coppia. • During divorce = fase in cui si svolge la separazione. Le emozioni caratterizzanti di questo stadio sono depressione, distacco, confusione, tristezza anche se i sentimenti più forti sono la solitudine e il sollievo. In questa fase è consigliata la terapia individuale o familiare. • Post divorce = fase contrassegnata dal riequilibrio dei sentimenti dei due coniugi, dalla stabilizzazione del nuovo stile di vita con le conseguenti routine. Le persone ricercano nuovi interessi, altre amicizie aprendosi così all’esterno. Per favorire l’accettazione della nuova situazione e incrementare la fiducia in sé vengono proposte o terapie congiunte genitore – bambino o terapie familiari. Come detto precedentemente è interessante osservare il fenomeno della separazione e del divorzio in base allo sviluppo della famiglia e al suo ciclo vitale. A questo proposito sono state individuate tre tipologie familiari: • Famiglia separata a relazione chiasmatica, costituita da coppie giovani che si separano dopo la nascita del primo figlio. In questo caso è la famiglia d’origine che si attiva e sostituisce il partner, esercitando così una funzione co parentale. La nascita di un figlio dovrebbe rafforzare l’unione tra i coniugi in una relazione io – tu ma, non sempre è così e quindi la relazione è tra un voi famiglia di origine e un noi di coppia. Questo provoca deresponsabilizzazione e delega. • Famiglia a doppia separazione, costituita da una coppia con figli adolescenti. La separazione viene definita doppia perché da un lato c’è quella dei coniugi mentre dall’altro, vi è la separazione – individualizzazione dell’adolescente che richiede il riconoscimento della sua identità e della sua autonomia. • Famiglie ricostruite, cioè con nuovi partner che hanno assunto le funzioni genitoriali. Importante in questa situazione comprendere la natura dei ruoli genitoriali e i suoi effetti sulla dinamica della famiglia ricostruita. Per elaborare una classificazione, altri studiosi prendono in esame la modalità di gestione del conflitto coniugale. Ricordiamo Anthony che parla di divorzio buono e divorzio cattivo. Nel primo caso il legame coniugale si trasforma in un rapporto amichevole mentre nel secondo, prevalgono l’animosità, le recriminazioni e i conteziosi. A seconda delle modalità e degli esiti di gestione del conflitto il divorzio può avere differenti effetti sulle relazioni parentali. A questo proposito ricordiamo la classificazione proposta da Emery il quale identifica tre diverse forme di divorzio, quello cooperativo, distante e ostile. Nel primo i due ex coniugi cooperano per il benessere del figlio, nel secondo le relazioni sono contraddistinte da • Conflitto esterno = concerne gli altri. Per affrontarlo occorre poter offrire aiuto senza essere coinvolti. Quadrante che chiama in causa l’assunzione di una giusta distanza per evitare di essere coinvolti nel conflitto. • Conflitto organizzativo = si tratta del conflitto di un insieme di persone finalizzate al medesimo scopo (es. famiglia che a tutti gli effetti è intesa come un’organizzazione). Per fronteggiarlo occorre evidenziare l’area della coesione che implica la capacità di comunicare i problemi e la volontà di trasformare il conflitto in un’occasione di cambiamento. In tutte queste forme di conflitto va precisato che l’altra persona è vista come un possibile ostacolo alla realizzazione dei propri obiettivi. Infatti emerge in tutti i conflitti una difficoltà nella comunicazione dato che tra le parti coinvolte non si attivano scambi di opinione, spiegazione del proprio punto di vista, ascolto del punto di vista dell’altro. In questo modo si cristallizza il conflitto e si alimenta la convinzione di essere uno contro l’altro. Alle difficoltà di comunicazione si associano poi quelle di ascolto con conseguente difficoltà ad aprirsi all’altro e ad un’opinione diversa dalla propria. A questo proposito è possibile individuare diversi stili di porsi nel conflitto: attaccante – difensore alla ricerca della controparte da combattere, remissivo incline cioè a mantenere la pace e consapevole di perdere nel caso in cui sorga il conflitto, sfuggente e propendo a negare l’esistenza del conflitto, congelatore cioè fermo sulla propria posizione. Tra queste diverse modalità di affrontare il conflitto si possono trovare degli elementi comuni: • I conflitti sono impostati in modo da avere un vincitore e un perdente • Gli attori si chiudono sulle loro idee • I bisogni dell’altro non sono presi in considerazione • Si tende ad evitare il conflitto piuttosto che ad affrontarlo • La dimensione dell’auto criticità è assente Da ciò emerge come l’incontro con soggetti dalle idee diverse dalle nostre generi divergenze che possono sfociare in crisi di diversa natura. Con il concetto di crisi si indica la rottura di un precedente stato di equilibrio. Galli evidenzia tre tipologie di crisi: esistenziali cioè connesse con le diverse fasi dell’età adulto e quindi legate al naturale processo di crescita; accidentali cioè dovute a eventi critici e imprevisti che vanno a modificare il proprio contesto esistenziale e vocazionali, cioè esito dello stato di vita scelto. Così come per il conflitto anche al concetto di crisi viene associata una valenza negativa. Questo però non è del tutto corretto in quanto la crisi oltre che a provocare una rottura dell’equilibrio raggiunto, apre a nuove possibilità e cambiamenti. Jespers rileva entrambe queste caratteristiche affermando infatti che tutto subisce un cambiamento dal quale l’individuo esce trasformato sia andando verso una nuova risoluzione sia andando verso la decadenza. Entra in gioco a questo punto il concetto di scelta, in quanto la crisi impone alla persona di compiere scelte che possono portarla a rivedere il suo progetto esistenziale, offrendo anche nuove possibilità. La crisi suscitata dal conflitto può essere di due forme: crescita e sconfitta. Questo significa che può essere l’occasione per ritrovare nuova armonia oppure, diventare fattore di rischio per la qualità della relazione. La linea che separa queste due forme è data dalla gestione del conflitto. Si utilizza il termine gestione e non soluzione del conflitto proprio per evidenziare la dimensione processuale aperta quindi alla trasformazione. Questo ci dice come nella coppia possiamo quindi avere un conflitto distruttivo contraddistinto da dominio, manipolazione e attacco e, un conflitto costruttivo contrassegnato da disponibilità, impegno ed ascolto. Possono anche prevalere strategie di evitamento del conflitto con conseguente caduta nell’isolamento e nel non riconoscimento dell’altro. Da queste tre forme di conflitti emergono due relazioni di coppia diverse tra loro. Da un lato il conflitto induce a radicalizzare le proprie posizioni, chiudendo gli spazi comunicativi e impedendo l’ascolto, oppure assumere una posizione passiva davanti al prevalere dell’altra parte. Dall’altro lato, quando il conflitto è vissuto in modo costruttivo può avvalorare il tema del confronto, attivando così una revisione al cambiamento. La famiglia sana quindi è in grado sia di fronteggiare il conflitto sia di volgerlo a beneficio di tutti i membri e questo può avvenire grazie all’attivazione di processi cooperativi e abbattendo quelli competitivi. Solo in quest’ottica il conflitto diventa occasione di crescita per tutta la famiglia. Di conseguenza, si prefigura l’esigenza di una pedagogia del conflitto e della crisi in modo che l’individuo sia orientato a farne un motivo di sviluppo e uno stimolo evolutivo. Questo significa che i coniugi devono essere preparati al conflitto in quanto esso sarà presente nella loro relazione. Inoltre, dovrebbero essere educati a stimolare il conflitto, considerarlo motore di cambiamento in quanto necessario allo sviluppo personale e familiare. Così facendo i conflitti diventa oggetto di riflessione non per trovare risposte ma, al contrario per fare domande, per giungere alla trasformazione e alla progettualità. Secondo Galli tale pedagogia si sviluppa grazie a tre valori: dialogo, ascolto e perdono. In particolare dialogo e ascolto sono i due presupposti per una corretta comunicazione, per un reale incontro con l’altro e soprattutto con il suo punto di vista. Inoltre, favorisce la comprensione empatica della persona con cui si è in relazione. Di conseguenza, la pedagogia del conflitto implica la necessità di imparare a vedere il mondo attraverso gli occhi dell’altro mantenendo però la propria identità. Il perdono si configura invece come un mezzo che l’uomo ha a disposizione per salvaguardare un rapporto compromesso e per rispondere con fiducia e accettazione al dolore subito. Esso quindi permette di liberarsi dal rancore (è però una scelta), è l’esito di un lungo cammino e quindi si può parlare di un processo del perdono proprio per il fatto che non è immediato e perché costa energie. Rimanda alla categoria della gratuità, è un dono che libera dalla colpa. Sappiamo però che la liberazione è doppia: oltre che ad essere rivolta all’offensore, è anche per l’offeso a cui viene tolta rabbia e rancore. Il perdono inoltre implica il riconoscimento delle fragilità dell’altro ma anche delle proprie proprio perché se riconosco i miei limiti, non mi stupisco di quelli presenti negli altri. Spesso il rischio è credere che perdonare significa dimenticare ma questo è impossibile perché non si possono cancellare i ricordi della nostra mente, l’unica cosa che si può rimuovere è il veleno legato a questi ricordi. Pati identifica tre criteri che caratterizzano il conflitto come fattore di crescita. Più precisamente, il conflitto è positivo se non annulla l’altro e non offende la sua identità, se è circoscritto nelle cause che lo hanno generato, se le persone coinvolte manifestano la volontà di trovare punti di incontro. L’impegno da parte di entrambi è fondamentale per porre fine al conflitto e questo, riporta alla luce il tema della scelta in quanto, le persone possono decidere di so – stare nella situazione conflittuale, attuando cambiamenti per farvi fronte oppure, possono rimanere schiacciati, incapaci di trovare una via d’uscita. 2. La sofferenza per la fine del progetto coniugale e familiare Ogni divorzio implica rottura, una rottura di equilibri, legami, affetti, abitudini. La rottura però è anche cambiamento, il quale può essere catastrofico perché distrugge precedenti certezze, determina disorientamento, ansia e dolore per la perdita subita. Di conseguenza, si nota come il divorzio sia fattore di sofferenza. A questo proposito, già Everett e Volgy, negli anni ’90, sostenevano che il divorzio rappresenta l’evento evolutivo più traumatico e di vasta portata dell’esperienza umana. Si tratta di una sofferenza diversa per ciascuna persona e per ogni storia, solitamente soggettiva ma che, solitamente scaturisce dalla fine del proprio progetto coniugale. Sappiamo però che la sofferenza va riconosciuta e legittimata e non considerata come un ingombro o come un ostacolo nei confronti di un condiviso ottimismo. Tuttavia, ci troviamo oggi in una società analgesica in cui il dolore viene emarginato e occultato e in questo modo si effettua o una scongiura o una rimozione del tema. Sappiamo però che i media, enfatizzano il dolore in quanto lo propongono continuamente producendo banalizzazione o assuefazione nei suoi confronti. Assistere alla spettacolarizzazione di eventi dolorosi infatti abitua all0accadere di questi fenomeni. Di conseguenza diventa difficile dare a quelle sofferenze il giusto valore. Rari sono invece i casi in cui ci si interroga sulla sofferenza o ci si fa patto segreto è costituito anche da parti di sé che vengono affidate all’altro. Questo significa che, nel momento della separazione, si perde questa parte di sé consegnata all’altro. Di conseguenza, si sente l’urgenza di ridefinire il sé dato che sono venuti meno ruoli, identità e componenti della propria personalità come quella di coniuge che fino a poco tempo prima contribuiva a conferire alla persona uno status sociale e a costruire la sua identità. I due ex coniugi sperimentano poi una situazione di isolamento da cui faticano ad uscire in quanto, si trovano ad essere separati da tutto e da tutti. Questo genera quindi solitudine e smarrimento proprio perché vengono a meno i punti fermi della propria identità esistenziale. Tra i compiti di sviluppo del dopo divorzio si impone l’urgenza a delineare un’identità altra rispetto a quella precedente. In altre parole c’è la necessità di avviare una riprogettazione esistenziale non più ancorata alla propria immagine di moglie o di marito. Questo non significa negare la propria storia, il proprio passato ma ripartire da esso per intraprendere nuove strade. Oltre a questo i due ex coniugi devono sviluppare relazioni con amici, colleghi per affrontare l’isolamento, considerato uno dei principali effetti del divorzio. Per ritornare a riprogettare è necessario superare ed elaborare il lutto legato al divorzio. Si parla di lutto perché il divorzio si configura come un’esperienza di perdita in quanto la relazione che fondava il progetto coniugale viene meno. A confermare ciò si può osservare come le tappe che vengono attraversate da una perdita causata da un lutto sono sperimentate anche nel divorzio. Martinez afferma che queste tappe sono le seguenti: • Esperienza di separazione o provazione in cui si è costretti a tagliare i legami con la persona venuta a mancare • Esperienza di assestamento e adattamento ad una nuova situazione e ad una nuova identità • Esperienza di restaurazione il cui scopo è recuperare il senso della vita Occorre a questo punto fare una distinzione tra perdita e lutto. La prima indica la situazione oggettiva che si presenta con il venire a mancare di una persona importante della nostra vita. La seconda invece, è la risposta soggettiva e lo stato psicologico della persona che ha subito la perdita, include diversi stati emotivi che accompagnano chi soffre. Potremmo dire allora che la perdita è l’evento che causa il lutto il quale, dipende dalle percezioni e rappresentazioni della perdita stessa. In questo caso la perdita è il divorzio mentre il lutto, il modo di viverlo. Per questo motivo davanti al divorzio si possono manifestare emozioni e reazioni differenti che dipendo dalla persona, dalle circostanze e dalla relazione intrattenuta con l’ex coniuge. Occorre però sottolineare il fatto che il lutto esige sempre uno sforzo, in quanto non è qualcosa che ci succede ma bensì, qualcosa a cui noi partecipiamo attivamente. Diversi sono allora i modelli di elaborazione del lutto. Bowlby e Parkes nella loro teoria del lutto identificano 4 fasi: • Fase del torpore = detta anche fase della disperazione, contraddistinta da un senso di stordimento e protesta. La persona vive uno stato di calma apparente dovuta ad una chiusura emozionale conseguente al rifiuto e sulla negazione della realtà • Fase dello struggimento e della protesta = la realtà della perdita inizia ad essere accettata dalla persona che tende a sentirsi svuotata e frammentata • Fase di riorganizzazione e di distacco = in questa fase avviene una riorganizzazione della propria vita. Inizia così a svilupparsi un senso di normalità La teoria mette in luce il passaggio da una fase di stordimento, alla possibilità di provare distacco, provando sia protesta che collera sia uno stato depressivo e confusionale. Tutte queste reazioni rientrano nella normalità del processo di elaborazione del lutto ma, la durata temporale e l’intensità con cui verranno vissute determineranno la normalità o la patologia. Altra interessante teoria utile e applicabile anche per comprendere la dinamica del superamento del lutto del divorzio è quella proposta da Kubler – Ross per spiegare le dinamiche psicologiche più frequenti che la persona vive quando gli viene diagnosticata una malattia grave. Nello specifico sono 5 le fasi: • Fase della negazione della perdita o del rifiuto attraverso l’attivazione del meccanismo di difesa del rigetto della realtà • Fase della rabbia, caratterizzata dalla collera e dal tentativo di rispondere all’interrogativo perché • Fase della contrattazione dove la persona prova a verificare cosa è in grado di fare, in quali progetti può riporre speranza • Fase depressiva, in cui si prende coscienza di ciò che sta accadendo • Fase dell’accettazione dove la persona ha modo di elaborare quanto è successo e giungere all’accettazione della propria condizione Altra teoria ancora è quella di Schuchardt, pedagogista tedesca che identifica otto fasi attraversate dalle persone che sperimentano situazioni di sofferenza: • Schock = l’evento che genera sofferenza mette in discussione la propria quotidianità. All’inizio della situazione spesso vi è la negazione della realtà, reazione frutto di un meccanismo di difesa che ha una funzione adattiva in quanto offre del tempo per assumere consapevolezza di quanto sta accadendo • Accoglienza della sofferenza = avviene dal punto di vista cognitivo e razionale, mentre l’accettazione emotiva è più complessa • Insorgenza di emozioni e sentimenti = in questa fase emerge la componente emotiva, contraddistinta da rabbia e aggressività verso sé e gli altri • Iperattivismo = le emozioni attivano la persona, la spingono ad agire impiegando energie e risorse per ricercare soluzioni che spesso appaiono miracolose in quanto vorrebbero eliminare la situazione che provoca sofferenza • Possibile comparsa di rassegnazione e depressione = i tentativi di trovare soluzioni della fase precedente falliscono e le energie vengono meno e questo può generare rassegnazione e depressione • Consapevole accettazione della situazione = fase segnata dalla capacità di convivere con il limite, con la sofferenza. Non è da confondere con la rassegnazione • Accettazione della sofferenza e attivazione delle potenzialità presenti = la persona si apre alla trasformazione di sé • Possibilità di aiutare gli altri = fase che avvia alla solidarietà, allo scambio con coloro che stanno vivendo sofferenza per aiutarli nella ricerca di un rapporto nuovo con il dolore La presenza di modelli differenti ci porta a rilevare come non sia possibile definire un unico modo di vivere il lutto. Possiamo comunque riscontrare alcuni elementi comuni alle differenti teorie infatti, tutte delineano un possibile itinerario che permette di passare dal rifiuto della sofferenza alla riprogettazione esistenziale. Interessante allora è anche la teoria di Emery che prende le mosse dall’idea che il divorzio sia una particolare esperienza di lutto dato che non ha mai veramente fine. Questo sembra essere vero soprattutto nelle situazioni in cui con il matrimonio sono stati generati figli. In queste occasioni infatti la rottura non può essere definitiva poiché gli obblighi genitoriali sospingono i soggetti a mantenere la relazione. Nella teoria di questo autore sono delineate una successione di stadi, e più precisamente propone un modello ciclico del lutto in cui le persone si muovono ciclicamente dentro a tre fasi contraddistinte da amore, rabbia e tristezza. Il modello da lui proposto si qualifica per vari motivi: • Per aver assegnato un ruolo centrale ai sentimenti, • Per aver rilevato un’oscillazione tra queste tre emozioni • Per aver messo in luce il bisogno di integrare sentimenti contraddittori figli e la loro educazione. I legami si configurano come sempiterni, in quanto non sono eliminabili o annullabili ma possono essere trasformati. Il divorzio quindi si configura sia come scioglimento del legame sia come sua riformulazione. È importante infatti non riproporre le stesse modalità relazionali utilizzate fino ad ora ma, è necessario riformulare i rapporti educativi, rapporti che riguardano tutto il sistema familiare e sociale: il divorzio ha ripercussioni non solo sugli ex coniugi e sui figli ma anche sulle relazioni intergenerazionali, parentali e amicali. Per il genitore divorziato si pone l’esigenza di ridefinire e rinegoziare una serie di rapporti e confini, ciò che regolano le relazioni e che, quando una coppia si separa tendono a spostarsi e a sfaldarsi. Emery nel suo modello sistemico del processo di divorzio metteva in luce il fatto che la negoziazione di nuovi confini riguarda sia il mondo interiore di ciascun soggetto sia i rapporti con gli altri (figli, amici, ex coniuge). Si tratta di confini caratterizzati principalmente da due dimensioni, quella di intimità e quella di potere. La prima indica la vicinanza emotiva e pone ad un’estremità amore e odio e all’altra indifferenza. La seconda invece rappresenta la capacità di un soggetto di esercitare influssi sull’altro. Le prime relazioni che devono essere negoziate sono quelle con l’ex coniuge in quanto questa ridefinizione assume un peso rilevante per il benessere dei figli. Questo implica che i due genitori trovino un giusto equilibrio tra le dimensioni dell’intimità e del potere. A queste relazioni seguono poi quelle con i figli, relazioni ugualmente descritte in termini di intimità e potere dato che i diversi stili genitoriali possono essere identificati come una combinazione di queste dimensioni. La riformulazione delle relazioni con i figli è però complessa. Oltre alle relazioni tra ex coniuge e con figli, occorre che venga ridefinita anche la relazione padre – figlio – madre. Emery a questo proposito ha usato il termine lealtà per rappresentare i conflitti concernenti intimità e, quello di alleanza per indicare le problematiche riguardanti l’esercizio del potere. Il rischio, in relazioni complesse è che il divorzio ponga i figli in una condizione di dilemma triangolare irrisolvibile, ovvero quello del conflitto di lealtà in cui, essere leali verso un genitore sembra mancanza di lealtà nei confronti dell’altro. Ulteriore rischio riguarda l’alleanza e lo schieramento con uno dei due genitori. Una possibile soluzione, per raggiungere l’omeostasi, è quella in cui i figli si mantengano equidistanti da entrambi i genitori, stabilendo cioè con ognuno delle relazioni indipendenti. Se ciò non avviene, i figli possono adoperare altre strategie come la mediazione della comunicazione e della relazione tra i genitori, attuare comportamenti affinché i genitori concentrino la loro attenzione su di loro, formando alleanze con uno dei due oppure allontanandosi da entrambi. Differenti sono però le forme di parenting che questa negoziazione delle relazioni familiari sviluppano, forme che hanno effetti sul benessere dei figli. Emery identifica tre forme di divorzio. Il primo è detto cooperativo, contrassegnato da due genitori che sanno riconoscere le emozioni che stanno vivendo e che riescono a stabilire i giusti confini (forma da preferire), il secondo è detto distante perché i genitori, nonostante stiano sperimentando forti emozioni come tristezza, rancore, rabbia ecc. fanno in modo di nasconderle agli occhi dei figli infine, il terzo tipo è detto ostile proprio perché rabbia e dolore prendono il sopravvento ed i genitori non riescono a nasconderlo. Anche altri ricercatori hanno definito tre tipologie di relazioni parentali simili alle precedenti: • Cooperativa = vi è comunicazione frequente tra i due genitori, caratterizzata da forme di collaborazione e sostegno reciproco • Disimpegnata o parallela = contraddistinta da un disimpegno reciproco, scarsa comunicazione. Il rapporto con i figli non è toccato anche se, vi è minore capacità di collaborazione • Conflittuale = prevale ostilità e quindi situazioni di conflittuali Interessante è però una ricerca che esamina i fattori che determinano differenti relazioni di coparenting. Si tratta di uno studio che fa riferimento alla definizione di co – parenting fatta da Feinberg inteso come il modo in cui i genitori esercitano insieme il loro ruolo parentale. Esso può assumere tre diverse caratteristiche, ovvero supporto, conflitto palese, conflitto segreto. Il supporto contraddistingue relazioni positive e collaborative, il conflitto palese rimanda a comportamenti ostili tra gli ex partner caratterizzati da insulti e liti e infine, il conflitto segreto è una manifestazione indiretta del conflitto che spesso include la triangolazione (alleanza del figlio con uno dei due genitori). La ricerca ha poi tentato di comprendere i fattori che determinano il coparental support. È emerso che esso è associato a tre elementi: la soddisfazione per la sentenza di divorzio, per il ruolo genitoriale assunto dal padre e la consapevolezza dell’importanza della figura paterna. I conflitti palesi sono invece legati allo stress mentre i conflitti segreti oltre che allo stress anche all’età del figlio (sono le madri con figli grandi a sperimentare più stress e come conseguenza a mettere in atto relazioni triangolari). In merito alla negoziazione dei legami è bene fare una distinzione tra genitore affidatario e non, distinzione che spesso si riduce a differenze di genere. Questo significa che la negoziazione del rapporto con i figli non si pone sullo stesso piano per madri e padri. Le prime dopo la separazione devono fronteggiare la quotidianità della presenza dei figli e della responsabilità nei loro confronti mentre i secondi, sono chiamati a ridefinire i rapporti in assenza della quotidianità. Nella ricerca Caritas emerge che dopo la separazione sono molti gli uomini che vedono un cambiamento nel rapporto con la prole, cambiamento percepito e identificato come negativo dai padri e come positivo dalle madri. Questo porta a comprendere che, spesso per i padri è proprio il rapporto con i figli ad alimentare senso di colpa e fallimento perché avere dei figli da accudire in queste situazioni di separazione diventa uno stimolo a reagire, per far fronte alla crisi che si sta vivendo. I padri in questo senso non possono contare su questa spinta. A proposito di questo tema, numerose ricerche cercano di rispondere all’interrogativo riguardante quanto tempo il bambino dovrebbe passare con ciascun genitore? La risposta mira a rilevare ripercussioni del divorzio sulla relazione padre – figlio e madre – figlio. Per i figli sembra significativo passare la notte a casa del padre perché in questo modo si va a creare un setting più familiare, relazioni più vicine in cui appunto, padre e figlio possono relazionarsi in modo più naturale. Collegato a questo discorso vi è il secondo interrogativo che sorge ovvero se sono i numeri di giorni trascorsi con il padre a determinare la qualità relazionale con lui anche anni dopo il divorzio. La ricerca di Fabricius, Braver e Diaz risponde in modo affermativo a questa domanda: nello specifico sono stati presi in considerazione circa 1000 studenti universitari con genitori che avevano divorziato quando avevano 16 anni. È emerso che il numero di giorni al mese in cui hanno vissuto con il padre è correlato fortemente alla qualità attuale della loro relazione. Questi dati ci permettono di svolgere due considerazioni: • Emerge la positività del modello si shared parenting in cui vi è un esercizio condiviso della genitorialità • Mostrano la necessità di per i non residential parent di trascorrere tempo con i propri figli, elemento indispensabile per lo sviluppo di buone relazioni Tali considerazioni chiamano anche in causa le modalità operative con cui viene gestito l’affidamento condiviso e più precisamente si prende in considerazione il tempo trascorso dai figli con i genitori. È bene allora rilevare che spesso c’è una ripartizione di tempo squilibrata nei confronti del genitore primario. Di fronte a questa complessità è necessario riflettere su quali sono i compiti di sviluppo ed evolutivi dei genitori divorziati. Carter e McGoldrick analizzano allora le fasi che conducono dalla decisione di divorziare al post divorzio, indicandone i relativi compiti di sviluppo: • Decisione di divorziare = fondamentale in questa fase è l’accettazione della propria responsabilità nel fallimento del matrimonio per evitare che si attribuisca tutta la colpa all’altro • Pianificazione della rottura del sistema familiare = importante giungere ad accordi su temi pratici come questioni economiche, affidamento dei figli, visite del genitore • Fattori di rischio = aumentano la probabilità di esiti negativi nei bambini in quanto in essi troviamo le caratteristiche del conflitto coniugale • Meccanismi di rischio = spiegano come e perché c’è una relazione tra un fattore di rischio e un esito di qualche tipo. Possono essere di due tipi: mediatori e moderati. I primi sono meccanismi attraverso cui i fattori di rischio sono collegati con gli esiti del bambino mentre, i secondi specificano la forza e la direzione tra fattori di rischio ed esiti • Esiti = definiti come le disposizioni dei bambini al comportamento, al pensare e al sentire che siano relativamente costanti e stabiliti nel tempo e nei vari contesti processuali Tale approccio considera poi il contesto nel quale si verificano i processi legati al conflitto coniugale. In questo senso si prende in considerazione la famiglia allargata e il contesto socio culturale. Di conseguenza, emergono diverse variabili che possono assumere il ruolo di mediatori o di moderati. A questo proposito viene ricordato l’approccio della teoria della sicurezza emotiva che mira a rilevare le ripercussioni del conflitto sulla sicurezza emotiva del bambino. Il modello di Demo e Fine, utilizzato per spiegare le modalità di adattamento al divorzio da parte di genitori e figli parte da due presupposti: il primo riguarda la presenza di una considerevole variabilità circa le modalità con cui i bambini, i giovani e gli adulti si adattano e quindi superano la situazione di divorzio mentre il secondo, riguarda la fluidità dell’adattamento al divorzio, ovvero le variazioni che esso potrebbe subire nel tempo. Per quanto concerne gli elementi che influiscono sull’adattamento sono presi in considerazione i fattori di rischio e quelli protettivi. Nei primi rientrano le interazioni conflittuali nella famiglia prima e dopo il divorzio e le difficoltà finanziarie. Nei secondi invece troviamo strategie di coping, alti livelli di supporto sociale, genitorialità competente. Il bilanciamento tra questi due aspetti determina la qualità dell’adattamento e delle reazioni alla situazione di divorzio. La situazione di divorzio poi, quando questa si ripercuote sui figli, è vissuta da essi in modo diverso a seconda dell’età, sesso, educazione ricevuta, qualità del legame famigliare e modelli culturali in vigore. Circa l’età, Cigoli segnala i rischi in base al loro essere piccoli, adolescenti o giovani. Più precisamente nei primi c’è il rischio della disgregazione dell’unione divina in quanto i figli più piccoli sentono la necessità di sperimentare una garanzia nell’unione. Nel caso degli adolescenti e giovani invece il rischio è quello di non riuscire a passare dalla condizione infantile a quella adulta. Ulteriore difficoltà per i figli adolescenti è legata alla riduzione della specificità di genere, in quanto sembrano essere più simili tra loro maschi e femmine figli di divorziati che non ragazzi dello stesso sesso. Questo è riconducibile al fatto che gli adolescenti nelle situazioni di divorzio sono più accumunati dal vivere la stessa situazione, lo stesso problema. Interessante è anche l’analisi delle reazioni dei bambini al divorzio svolta da Wallerstein e Kelly, ripresa poi da Bogliolio e Bacherini. Tali autori distinguono tra infanzia, preadolescenza e adolescenza. Nell’infanzia le reazioni più frequenti sono la negazione della situazione o l’attivazione del pensiero magico così da modificare il corso degli eventi. Oltre a questi meccanismi di autodifesa i bambini provano spesso rabbia perché si sentono provati di ciò che gli appartiene cioè la loro famiglia. È presenta anche l’ansia e il senso di colpa in quanto temono di essere responsabili della separazione dei genitori. Nella preadolescenza i ragazzi vivono conflitti di lealtà nei confronti di uno due genitori. Inoltre, mettono in atto comportamenti trasgressivi al fine di ricevere attenzioni. Per quanto riguarda invece gli adolescenti, la differenza più marcata rispetto agli altri due stadi è che, il figlio difficilmente vivrà la separazione come uno shock dato che conosce il divorzio perché ne ha avuto esperienza con amici e conoscenti. Il rischio è però che abbia una rappresentazione negativa dell’essere famiglia inoltre, può provare rabbia ed aggressività nei confronti del genitore che ha dato inizio alla separazione. Per i genitori, s’impone la necessità di considerare il rischio che i propri rischi possano provare senso di colpa o angosce di abbandono così come possono diventare vittime dell’illusione di una riconciliazione. Quali sono allora le strategie che devono essere adottate dai figli per fronteggiare le situazioni di frammentazione familiare? Secondo Emery sono inclini a ripristinare l’equilibrio della propria famiglia grazie a diverse tattiche, ad esempio possono tentare di risolvere i problemi dei genitori, assumendo il ruolo di mediatori, oppure possono cercare di porre fine alle liti comportandosi o come pesti o come angeli. Ancora possono prendere le distanze da entrambi. In queste strategie emergono i rischi per i figli di crescere come bambini parentificati che svolgono le funzioni genitoriali, infatti all’apparenza sembrano ragazzi forti e autonomi ma questo non gli permette di rimanere bambini. Questo provoca il fenomeno della genitorializzazione del figlio che deve offrire sostegno emotivo ai due genitori, i quali a loro volta non possono cedere nell’errore di mettere in mezzo i figli nelle loro discussioni, chiedendogli di scegliere uno dei due o proiettando su di essi le loro emozioni. Nel complesso sembra che i figli assumono un ruolo attivo, ruolo che mette in luce la loro capacità proattiva e di ripresa. Inoltre, sembra che i figli che vivono una situazione di divorzio acquistino diverse competenze tra cui quella di condurre la loro vita tra due anelli e questo, li induce a entrare in contatto con la dualità e, di conseguenza a sviluppare competenze di gestione e negoziazione. Questo ci dice come non necessariamente la situazione di separazione o divorzio implichi conseguenze negative per i figli anche se, non bisogna dimenticare che questa esperienza lascia comunque delle tracce. Viene chiamata allora in causa in questo caso la loro capacità di resilienza, risultato della gestione del dolore che muove dal riconoscimento che i genitori gli saranno sempre accanto e saranno in grado di comprendere il loro punto di vista. Per questo motivo, il compito più importante svolto da padri e madri è capire e supportare i figli nel trovare il loro personale modo di elaborare e vivere il divorzio. Si configura per tanto il concetto di famiglia resiliente, associato all’identificazione di fattori protettivi che moderano la relazione tra l’esposizione ad un rischio e la capacità della famiglia di essere competenti nel realizzare le funzioni tipiche di questo sistema. Emerge allora in altre parole la capacità di superare le situazioni difficili facendo emergere e sviluppando le proprie risorse e potenzialità. Di conseguenza, notiamo come gli effetti sui figli possano essere uno, nessuno o centomila. A questo proposito è bene prendere in considerazione la dichiarazione dei diritti dei figli del divorzio, delineata da Packard nella quale possono essere trovate alcune indicazioni riguardo i compiti educativi dei genitori: • Diritto d’incontrarsi con i genitori e di intrattenersi con loro in caso di ricorrenze o eventi scolastici speciali • Diritto di non essere spettatori di discordie familiari e di non essere obbligati a patteggiare per l’uno o per l’altro genitore • Diritto che i genitori si consultino su aspetti essenziali della vita della prole • Diritto di esigere che il loro presenza i genitori abbiano un contegno civili e non rissoso CAP. 3 – Uno sguardo con e sui genitori divorziati 1. Fare ricerca con i genitori Quando si affronta il tema della genitorialità nelle situazioni di separazione implica il contatto con l’esperienza e i vissuti delle persone. Questo accade anche quando si fa ricerca pedagogica sulla famiglia o ricerca educativa in generale. Oggetto di tale ricerca è infatti la pratica educativa la quale, risulta essere fondamentale per indagare le esperienze dei soggetti coinvolti. La ricerca pedagogica si caratterizza da due aspetti, da un lato il fatto di essere una ricerca situata con l’obiettivo di comprendere in profondità una situazione circoscritta mentre dall’altro, ha un intento formativo per i soggetti. In questo senso la ricerca ha una duplice finalità: è strumento per conoscere, descrivere e spiegare ma anche per agire, prevedere e gestire. A questo proposito ricordiamo Erickson il quale, sostiene che l’orientamento principale della ricerca educativa è dato dall’analisi di alcune questioni importanti come il capire che cosa sta accadendo in una specifica situazione educativa e, che significato hanno gli accadimenti per le persone che li vivono. La ricerca educativa offre allora uno sguardo sull’invisibilità della vita quotidiana, così da farla emergere. Da queste affermazioni scaturisce che la ricerca pedagogica chiama in causa le e empowerment dato che gli attori avevano preso parte al processo di costruzione di conoscenze e contemporaneamente, avevano preso consapevolezza delle proprie risorse. La finalità è stata allora duplice, ovvero esplorativa perché aveva l’intento di esaminare e comprendere gli stati d’animo, i bisogni e le risorse dei genitori separati ma anche propositiva perché voleva offrire indicazioni per il loro sostegno educativo. Per lo svolgimento della ricerca è stata utilizzata la tecnica del focus group basato su una discussione di gruppo condotta da un moderatore detto anche facilitatore, focalizzata su un argomento e ha lo scopo di raccogliere informazioni utili agli obiettivi di ricerca. Tre sono le caratteristiche più importanti del focus group: prima fra tutte è il fatto che la fonte di informazioni è il gruppo che attraverso la discussione e i confronto fa emergere opinioni e punti di vista diversi tra loro, successivamente vi è lo scopo principale del focus group cioè quello di raccogliere e analizzare le informazioni sull’oggetto indagato per rispondere ai perché della ricerca, infine c’è la presenza del moderatore che guida la discussione anche se il suo intervento è minimo. Il focus group infatti è uno strumento efficace per lo studio di alcuni temi, in particolare permette di affrontare argomenti delicati e complessi. Infatti grazie al confronto e al clima positivo che si va a creare che le persone riescono ad esprimersi liberamente anche su tematiche molto personali. Le fasi in cui si articola un focus group sono quattro: • Pianificazione = richiede la definizione dello scopo che si vuole raggiungere, le modalità di reclutamento dei partecipanti, i temi e i metodi di analisi dei dati. Fase fondamentale perché da essa dipendono quelle successive • Reclutamento = in questa fase è importante enunciare le caratteristiche delle persone che si vogliono coinvolgere, l’ampiezza del gruppo e i metodi per reclutarle in quanto è necessario reclutare persone in gradi di rispondere alle domande proposte • Discussione di gruppo = richiede di scegliere il grado di strutturazione del focus group che quindi può essere non strutturato o strutturato • Analisi dei dati = fase che permette di esaminare, categorizzare e interpretare i dati emersi dal focus group. Per far sì che sia utile è bene che le discussioni siano registrate così da non perdere le informazioni raccolte. Diverse sono poi le tipologie di focus group, differenti in base a tre elementi ovvero composizione dei gruppi, grado di strutturazione e ruolo del moderatore. Per quanto riguarda il primo aspetto è bene ricordare che le scelte della composizione dei gruppi dipendono da alcuni aspetti come la conoscenza o meno dei membri tra di loro, l’omogeneità o l’eterogeneità interna, il numero dei partecipanti (mini group composto da 4 – 5 persone, full group composto da 8 – 10 persone), la scelta di organizzare il focus a uno o più stadi ecc. Per quanto riguarda invece il grado di strutturazione prima di tutto si parte dalla sua definizione, cioè un lungo continuum che va da gruppi semi strutturati a strutturati. Infine abbiamo il ruolo del moderatore che può essere di vari tipi come per esempio molto marginale dove si limita a proporre il tema e le regole così da lasciare libera la discussione, limitato cioè con semplici interventi per agevolare la discussione oppure ampio ovvero con un forte controllo sia sul contenuto delle riflessioni che sulle dinamiche relazionali. Nel caso di genitori divorziati o separati il focus group è stato condotto per stadi, in particolare sono tre i focus group effettuati con un gruppo di persone che non si conoscevano tra loro e un grado di omogeneità interna soprattutto per quanto riguarda l’oggetto di studio: le persone infatti dovevano essere separate, divorziate o in attesa di divorzio. Per la fase di reclutamento essendo complessa, il ricercatore si è appoggiato alle scuole anche se, al primo focus group erano presenti solo 7 persone. Questo però non è stato un elemento negativo anzi, ha permesso al moderatore di cogliere meglio le necessità dei soggetti. Il piccolo gruppo ha poi favorito la creazione di un rapporto più stretto tra i partecipanti e questo ha permesso loro di esprimersi con più libertà. Il limite che è emerso riguarda però la poca disponibilità di posizioni su questo tema. Per quanto riguarda il grado di strutturazione i tre focus group semi strutturati sono stati svolti con lo stesso gruppo. Per ciascun focus group è stato elaborato un canovaccio con i temi da affrontare e le domande da porre. Il moderatore ha svolto però un ruolo limitato perché interveniva solo per dare regole al gruppo, per dare un inquadramento rispetto alla ricerca, offrire input e agevolare la discussione. Al termine della riflessione, la registrazione del focus group è stata trascritta e, sul testo emerso è stata condotta un’analisi del contenuto identificando i temi emersi ed alcune categorie interpretative. Inoltre, il testo è stato anche analizzato utilizzando il programma per la statistica testuale Tlab. All’inizio del primo focus è stata consegnata ai partecipanti una scheda di dati socio – anagrafici con lo scopo di reperire informazioni come età, numero di figli e la loro età, anno del matrimonio, anno della separazione e del divorzio. Ciascun focus group durava all’incirca due ore (uno svolto ad aprile, uno a maggio e uno a giugno 2017) e sono stati svolti presso il CeSPeF (centro di studi pedagogici sulla vita matrimoniale e familiare) presso l’università Cattolica nella sede di Brescia. Principalmente i partecipanti al focus group erano donne e, di conseguenza le narrazioni sono state esclusivamente femminili. L’età media delle partecipanti si aggirava intorno ai 37 anni mentre quella dei figli era piò o meno intorno ai 12 anni. I matrimoni sono durati circa 14 anni, 4 delle partecipanti avevano già ottenuto il divorzio mentre le altre 3 erano ancora in attesa. Per ogni tema proposto veniva prima posta una domanda generica così da indurre i partecipanti a parlare a lungo mentre in seguito le domande erano più specifiche. Nel primo focus si è puntata l’attenzione su aspetti come gli stati d’animo, i bisogni e le forme di sostegno ricevute e desiderate. Nel secondo si è sottolineato il tema della genitorialità in particolare, è stato chiesto di descrivere la propria situazione di genitore separato soffermandosi su risorse e criticità. Sempre nel secondo focus è stato chiesto di descrivere anche i propri figli con i punti di forza e debolezza. Il terzo invece ha avuto come oggetto il contesto di vita dei genitori, infatti è stato chiesto di identificare le occasioni che hanno facilitato o ostacolato il proprio ruolo genitoriale. I contesti principali che sono emersi sono stati la famiglia, la scuola, le associazioni sportive dei figli, il mondo del lavoro, la chiesa. Il focus si è concluso con la richiesta di sottolineare le strategie sperimentate per fronteggiare la situazione indicando poi quelle che effettivamente hanno funzionato. Per sintetizzare quanto emerso sono stati presi in considerazione gli attori coinvolti nelle separazioni ovvero la persona, l’ex coniuge, i figli, i parenti e il sociale e per ciascuna categoria si sono delineate diverse problematicità soprattutto inerenti all’aiuto che hanno ricevuto per affrontarle e l’aiuto desiderato. 2. Io persona I focus group hanno permesso di esplorare i vissuti dei partecipanti ai quali è stato chiesto di rappresentarsi in riferimento alla propria situazione di separazione o divorzio. Dai loro racconti emergono soprattutto due problematiche: una legata al fallimento e una all’isolamento. In riferimento alle prime criticità le persone, la collegano la fine del loro progetto familiare e all’infrangersi delle proprie certezze. La fine del legame è quindi esito di un processo lungo, complesso e difficilmente frutto di una decisione impulsiva. Alcuni genitori infatti descrivono la separazione come un trauma che li ha portati alla depressione in quanto questa situazione di fallimento è destabilizzante poiché provoca una serie di cambiamenti nell’organizzazione della propria quotidianità e negli equilibri relazionali. I punti fermi per la persona, cioè matrimonio e famiglia vengono meno e questo crea caos e confusione. Le emozioni che i partecipanti collegano al fallimento sono rabbia, rancore e senso di colpa, provato verso di sé, verso i figli e verso tutti. È un senso di colpa che coinvolge gli iniziatori e i non. È allora interessante rilevare come questa sensazione di fallimento sia pervasiva, induca le persone a non potercela fare a ricominciare. Questo perché la separazione ancora le persone ad una visione legata all’oggi e questo genera difficoltà a prefigurarsi nel domani e a progettare un nuovo inizio. Francini proprio a questo proposito dice che il patto infranto dalla separazione lascia la persona con una mancanza nell’articolazione sul futuro. Finzi sostiene invece che la separazione è sempre traumatica perché confronta i coniugi con il fallimento di un forte progetto di vita. Inoltre, questa situazione di fallimento spinge le persone al cambiamento, ad intraprendere un percorso diverso riguardante il sé, la propria casa, il rapporto con i figli, con gli amici ecc. Alcuni addirittura hanno cambiato Entra allora in gioco il tema dell’empowerment che indica l’aumento di capacità, lo sviluppo delle potenzialità, il cammino di responsabilizzazione. Questo ci dice come il genitore separato e divorziato oltre ad essere portatore di un bisogno, ha dentro di sé anche delle risorse utili per darvi risposta. Analizzando i racconti delle persone sono allora emerse due coppie di parole: fallimento e cambiamento; isolamento e libertà. Da queste riflessioni si riconosce che il divorzio implica una rottura ma, offre anche nuove opportunità. La sfida a cui sono allora chiamati i genitori divorziati è quella della riprogettazione esistenziale. In questo senso, Iori sostiene che perseguire margini di poter essere e di attese è uno dei compiti educativi affidati ai genitori e a coloro che li accompagnano o li aiutano nelle difficili fasi di separazione e post – separazione. Occorre offrire sostegni in particolare nei confronti di due aspetti: l’identità e il confronto. Il primo rimanda al sostegno affinché la persona possa ricostruire la propria identità mentre il secondo, rimanda alla necessità di offrire spazi e tempi di confronto tra persone che stanno vivendo o hanno vissuto l’esperienza della separazione così da favorire la condivisione ed alleviare la sensazione d’isolamento. L’intervento educativo messo in atto davanti a questi bisogni è da attuare nella prospettiva dell’empowerment al fine di intraprendere un percorso di potenziamento della persona la quale, è chiamata ad assumere consapevolezza non solo delle proprie difficoltà e punti di debolezza ma anche delle risorse e dei propri punti di forza. Si prefigura allora un cammino di responsabilizzazione dei genitori che ha come scopo renderli liberi, autonomi e consapevoli nello svolgimento del loro compito educativo. 3. L’ex coniuge Le narrazioni svolte nei focus group permettono di svolgere alcune riflessioni sul rapporto che ciascun coniuge intrattiene con l’ex partner. È bene ricordare che le narrazioni offrono una visione al femminile in quanto nel primo focus era presente solo un uomo. Quali sono quindi le problematiche che maggiormente emergono in merito alla relazione con l’ex coniuge? Principalmente le problematiche riguardano la gestione sia del conflitto sia della genitorialità, le quali coinvolgono la triade padre – madre – figlio. • In merito al conflitto i coniugi mettono in luce la difficoltà nel comunicare, nell’avviare un dialogo con l’altro. Le relazioni sono contraddistinte infatti da rabbia e rancore. A causa di questo mancato dialogo, viene chiesto ai figli di dare informazioni e comunicazioni all’ex, con il rischio di metterli in mezzo. Anche il momento in cui il padre riporta a casa il figlio dopo il week end trascorso insieme, non riesce ad essere occasione per avviare una conversazione. Questa difficoltà a comunicare, che spesso assume le forme di chiusura totale, è causa dell’incapacità di assumere una genitorialità condivida. Difficilmente allora si potrà dare vita ad una relazione di co – genitorialità se tra i due ex coniugi non c’è un rapporto. Questo perché la co – genitorialità fa riferimento ad una gestione coordinata della funzione genitoriale da parte dei due genitori che devono condividere la responsabilità verso i figli. In questa definizione emergono tre parole chiave: coordinamento, accordo, collaborazione che contrassegnano una relazione basata sul dialogo e lo scambio, dove quindi i genitori assumono un ruolo paritario, di uguaglianza in termini di diritti, doveri e responsabilità. • Per quanto riguarda la genitorialità ciò che risulta difficile è stabilire con l’ex una linea educativa coerente e condivisa. Principalmente è il tema delle regole e il tema dell’autorità ad emergere con forza. Il tema pedagogico dell’autorità educativa chiama in causa il bilanciamento tra l’amore e l’autorità, la quale esige di essere accompagnata da amore anche perché i figli necessitano della presenza di entrambi i valori. La loro diversa combinazione dà come risultato quattro differenti stili genitoriali: ci sono genitori autoritari che si mostrano severi e offrono poca comprensione e supporto ai figli; genitori permissivi che quindi manifestano molto amore e affetto ma stabiliscono poche regole; genitori, genitori trascuranti che hanno uno scarso interesse nei confronti dei figli e infine genitori autorevoli cioè amorevoli e giusti. Quest’ultimo stile sembra essere quello più funzionale in quanto presenta un buon bilanciamento tra valori dell’autorità e dell’amore. I problemi legati alla genitorialità riguardano anche questioni pratiche riguardanti il mantenimento economico dei figli. Si raccontano storie in cui non vengono dati i soldi del mantenimento e le spese straordinarie sono un optional. In questi casi si assiste ad una deresponsabilizzazione e ad una rinuncia ai doveri che il proprio ruolo impone. Secondo la legge 54 del 2006 l’affido condiviso prevede che entrambi i genitori mantengano la potestà genitoriale e pertanto provvedano al sostentamento economico dei figli in misura al reddito. I doveri principali sono quindi quelli di formazione, istruzione, custodia e protezione dei figli. Anche la decisione e l’organizzazione del tempo che i figli devono trascorrere con il padre, spesso genera conflitti. Dai focus emerge infatti che i padri trascorrono poco tempo con i figli, e questo si traduce nel fatto che il padre ha una posizione residuale con tempi di frequentazione non paragonabili a quelli della madre. Oltre al tema dei tempi, vi è anche quello degli spazi, in quanto alcune volte le case dei padri sono inadeguate a ospitare i figli. Sarebbe invece importante che i figli riconoscessero la casa del padre come la loro, per far questo è però necessario che abbiano a disposizione uno spazio per sé, per le proprie cose. Importante è anche il ruolo del contesto, che secondo la riflessione pedagogica non rappresenta solo una cornice nel quale le persone si muovono, non è qualcosa di statico o neutro. Il contesto ambiente infatti veicola messaggi e interagiscono con le persone condizionando le loro vite. Nelle storie narrate è stato poi nominato l’oggetto valigia a significare che nella casa del padre si va di passaggio, senza lasciare cose proprie. Emerge poi il fatto che le madri vivono con ansia e fatica il tempo che i figli trascorrono con il padre. Fatica che riguarda soprattutto due momenti: il durante e il dopo. In primo luogo faticano ad accettare il modo in cui l’altro genitore gestisce i momenti passati con i figli. In secondo luogo è faticosa la loro gestione al rientro a casa. Quale aiuto allora i genitori hanno trovato per fronteggiare le problematiche relative alla mancata comunicazione con l’ex coniuge e alla difficoltà ad esercitare la cogenitorialità? Due mamme raccontano di aver ricevuto un aiuto dal mediatore familiare, alla presenza del quale sono riuscite a prendere decisioni con l’ex coniuge su questioni riguardanti i figli. L’obiettivo della mediazione sta quindi nella ricerca di un accordo su questioni che concernono la coppia e la famiglia. In questo modo si riesce a gestire il conflitto alla presenza di una terza persona neutrale ed imparziale che li aiuta a conseguire un accordo in merito alla ri organizzazione della vita familiare dopo la separazione. L’obiettivo della mediazione infatti è consentire il permanere della relazione di cogenitorialità anche dopo il venir meno della coppia così che il minore conservi significativi rapporti con entrambi i genitori. Tuttavia, la mediazione non può essere utilizzata in tutti i casi di separazione o divorzio, infatti essa si rivolge a coloro che vogliono assumersi le proprie responsabilità genitoriali, che vogliono raggiungere un accordo condiviso con l’altro. La mediazione assume in questo senso il significato di un intervento di educazione familiare poiché mira a far crescere i genitori e a far in modo che si rimpossessino delle responsabilità connesse al ruolo. Con l’aiuto del mediatore infatti si riscoprono nuovi lati positivi dell’ex e questo ha conseguenze positive anche sui figli. In particolare però l’aiuto desiderato riguardava la possibilità di stabilire un rapporto con l’ex coniuge basato sul rispetto reciproco: Iori affermava infatti che il compito educativo dei genitori è mantenere un legame nell’ottica che la condivisione genitoriale è un compito al quale non si può rinunciare. Nonostante ciò, spesso avviare un dialogo e una relazione positiva con l’ex partner non è facile dato che si manifesta l’esigenza di stabilire nuovi confini, rinegoziare il rapporto di coppia e sviluppare una nuova capacità relazionale. Alcuni intervistati infatti avrebbero voluto intraprendere percorsi insieme all’ex coniuge, avrebbero voluto essere supportati nel comprendere quale immagine dare ai figli dell’altro genitore. Si manifesta poi l’esigenza di ridimensionare l’idealizzazione fatta dai propri figli in quanto spesso vi è discordanza tra i valori dei i due genitori. Importante allora che i figli acquistino consapevolezza su questa diversità. In sintesi potremmo dire che le problematiche principali riguardano la comunicazione, l’elaborazione di regole condivise, il mantenimento economico e il tempo / spazio che si condivide con i figli. Viene in dei genitori. Questo significa che l’autore nega una relazione lineare tra disgregazione coniugale e disagio dei figli. Due sono stati quindi i bisogni che emergono: la necessità di avere un rapporto positivo con l’ex coniuge se si vuole una relazione buona anche con i figli e il conoscere le caratteristiche evolutive dei figli in modo da comprendere i loro comportamenti e le loro reazioni. 5. Gli altri Nei focus group è stato preso in considerazione anche il proprio contesto di vita, le persone, le istituzioni con cui i genitori si relazionano. In particolare sono stati presi in considerazione i parenti, gli amici, la scuola, la chiesa, il lavoro ecc. ciascun contesto preso con le proprie specificità anche se, i genitori divorziati hanno sperimentato etichette e abbandono. Secondo questi genitori la società di oggi tende infatti a stigmatizzare le persone separate e divorziate e questo spesso è causato dalla troppa rigidità dell’educazione religiosa, la quale identifica la famiglia come un sistema fondato sul matrimonio, una famiglia che deve resistere a tutto. Di conseguenza le persone si sentono differenti e inadeguate. Questo giudizio è poi amplificato dai social tanto che alcuni hanno eliminato i propri profili sui social network dopo la separazione. Durante il terzo focus group si è tentato di riflettere sul ruolo svolto dagli altri domandandosi se essi hanno facilitato o ostacolato il proprio compito genitoriale. La risposta è stata corale e tutta rivolta sul secondo aspetto (ostacolato). Dopo una riflessione più approfondita però i genitori raccontano che forse sono stati loro a porsi in modo diverso e a cambiare relazione nei confronti dei diversi contesti. Inoltre, i genitori raccontano di aver vissuto pressione da parte di chi gli stava accanto a ripensare alla scelta di separazione. Agli iniziatori è stato chiesto di rivedere le proprie decisioni mentre ai non iniziatori di perdonare il coniuge e di dargli un’altra possibilità. In entrambi i casi questi consigli sono stati però percepiti come inadeguati. Questi racconti sostengono quanto affermato da Barbagli e Saraceno in merito allo status di separando e poi di separato il quale, comporta una serie di conseguenze sul piano sociale, dalla collocazione degli individui nella rete familiare alla loro posizione nella stratificazione sociale. È opportuno allora esaminare racconti inerenti a diversi contesti: • La famiglia di origine e i parenti = entrambi sembrano avere un influsso molto forte sui vissuti dei genitori. Per Cigoli la dimensione cruciale relativa al processo di divorzio è inerente alla modalità con cui le generazioni precedenti trattano la fine dello scambio coniugale e rilanciano l’azione generativa. Emerge quindi un duplice ruolo della famiglia nei confronti della separazione, uno positivo e uno negativo. Circa il primo alcuni genitori sostengono di essersi sentiti rassicurati, di aver sentito la loro vicinanza mentre circa i secondi invece sostengono che i propri genitori hanno vissuto il divorzio come un vero fallimento. Gli intervistati invece volevano un decentramento dal punto di vista dei propri genitori affinché capissero lo stato di sofferenza. In entrambe le posizioni assunte dalla famiglia d’origine emerge con evidenza il forte coinvolgimento nella separazione o nel divorzio dei figli al punto di sostenere che la famiglia di origine sperimenta la perdita. Anche le relazioni con i propri genitori, fratelli, e parenti necessitano di una ridefinizione dopo l’evento. • Gli amici = nei loro confronti si è sperimentato l’abbandono. Sembra infatti che gli amici siano in imbarazzo e per evitare di patteggiare con uno dei due si allontanano. Raccontano che le persone sono più disposte ad aiutare chi ha subito la decisione e non chi l’ha presa. In altri casi, quando gli amici sono rimasti accanto, i genitori riferiscono di essere a disagio con loro e che preferiscono non frequentarli. Emerge poi che è più semplice incontrare e frequentare chi ha vissuto una situazione analoga. • La scuola = tutti i genitori intervistati sono consapevoli della necessità di collaborare con la scuola, informandola della separazione e del divorzio affinché gli insegnanti siano attenti a cogliere segnali di disagio da parte dei figli così da comunicarli poi alla famiglia. La scuola infatti viene identificata come luogo di vita che può aiutare i propri figli favorendo l’espressione dei loro vissuti e delle proprie emozioni. I genitori vorrebbero dalla scuola un aiuto pratico per esempio la convocazione di entrambi i genitori alle riunioni, l’adozione di due rid che faciliti la divisione delle spese scolastiche, la partecipazione dei bambini a creare un doppio regalo per le festività ecc. In merito a questa ultima questione, si segnalano profondi conflitti e l’invocazione di un aiuto esterno per richiamare i propri doveri e responsabilità. Tuttavia è bene riflettere se la scuola sia l’istituzione più appropriata per svolgere questo ruolo. A volte infatti i genitori si lamentano del fatto che gli insegnanti leggono alcuni comportamenti dei figli come esito della separazione, inoltre criticano i temi assegnati sulla famiglia. Nasce spontanea allora la domanda inerente a quale immagine la scuola può dare di famiglia. Fino al decennio scorso questo quesito non necessitava di risposte anche se forse è opportuno che la scuola faccia riferimento alla carta costituzionale che, all’articolo 29 definisce la famiglia come una società naturale fondata sul matrimonio senza però negare le trasformazioni che oggi la famiglia sta subendo. Questo tema si ripropone parlando delle feste che si vivono a scuola, descritte da tutti come un problema. I genitori desiderano infatti una scuola in cui le feste siano per i bambini e che non coinvolgano l’intera famiglia per evitare conflitti. Questa però non sembra essere la soluzione più adeguata in quanto, il nodo è ancora collegato alla relazione tra i due genitori, una relazione difficile e complessa che dovrebbe però garantire l’educazione dei figli. I genitori durante le riflessioni hanno portato come esempio anche le associazioni sportive dei figli, la chiesa, al contesto lavorativo descritto come l’unico ambiente neutro in quanto, dove emergono buoni rapporti con i colleghi è più facile trovare supporto. Alcune volte però i colleghi sembrano sostenere i genitori, facendo diventare così il luogo di lavoro come un contesto in cui non c’è spazio per la propria storia personale, le proprie emozioni. Analizzando i diversi contesti si nota come ciascuno di essi porti con sé presupposti per ostacolare o facilitare la persona nel proprio percorso di separazione e divorzio. In quest’ottica, accanto all’abbandono e all’etichettamento, in alcuni casi si è sperimentata anche accettazione e accoglienza. A conferma di ciò, è bene ricordare la ricerca di Kalmijn e Groenou che ha indagato gli effetti del divorzio sull’integrazione sociale ed è giunta alla conclusione che non c’è una chiara relazione tra i due aspetti: in alcune dimensioni dell’integrazione sociale si può riscontrare l’isolamento dopo il divorzio mentre, in altre si mette in luce l’integrazione e l’effetto liberatorio. Qual è allora l’aiuto desiderato per fronteggiare le problematiche presenti nelle relazioni con i propri ambiti di vita davanti alla mancanza di aiuto? È difficile rispondere perché da un lato viene riproposta l’esigenza di un sostegno per aiutare le persone a riprogettare la propria esistenza e il proprio universo personale e relazionale. Dal contesto sociale alcuni avrebbero però voluto un aiuto sulle questioni pratiche. L’aiuto auspicato allora riguarda la possibilità di poter essere indirizzati sulla gestione della separazione. CAP. 4 – L’accompagnamento formativo dei genitori divorziati 1. Il sostegno educativo ai genitori divorziati Il sostegno ai genitori per molti anni è stato visto in ottica sostitutivo – riparatoria, considerando la famiglia sempre più incompetente e irrilevante, e per molti aspetti perdente rispetto alle altre agenzie educative. Secondo questa prospettiva, gli interventi di sostegno alla genitorialità sono stati intesi come risposta ad un’incapacità degli adulti ad assolvere ai propri compiti. Alla famiglia quindi si guardava come elemento da sostituire o contenere, perché bisognosa di un intervento esterno. L’educazione familiare ci permette di avvicinarci alla genitorialità con occhi nuovi, così da considerare la famiglia come soggetto col quale partire per creare un sapere discorsivo su come crescere le nuove generazioni dato che l’obiettivo sembra essere quello di potenziare. Importante allora la definizione di sostegno, inteso come modalità educativa fondata sulla centralità del soggetto, della rete relazionale in cui vive e sulla valorizzazione delle sue risorse. Di conseguenza si deve considerare il soggetto nelle situazioni di normalità e, intendere il sostegno indirizzato ad esaltare tutti gli interventi che mirano a promuovere l’autonomia delle persone, la loro capacità di scelte autodeterminate. Il fine degli interventi con la famiglia è quello di alla promozione di reti informali in cui poter condividere problemi e fatiche. In questo modo si origina il concetto di una società che vede la genitorialità come un bene sociale che appartiene a tutti: è questo l’approccio della comunità educante che diventa lei stessa un soggetto educante. Sempre in merito all’obiettivo del confronto è importante sviluppare e sostenere una mentalità pubblica di comprensione e sostegno alle coppie separate. Quali allora le possibili forme di intervento che si possono attuare? Partiamo dal fatto che il sostegno della famiglia durante la separazione non sia oggetto di attenzioni adeguate e questo si traduce nel fatto che i genitori vivono questa fase difficile in solitudine. Esistono però alcuni panorami di servizi o gruppi che accompagnano i genitori divorziati nei loro compiti educativi. Due allora sembrano essere gli approcci del porgere aiuto: un approccio che mira al controllo e all’adattamento sociale perché suggerisce comportamenti adattivi da mettere in atto e un approccio orientato alla responsabilità perché sostiene le persone nel processo di riconoscimento del proprio fallimento coniugale e nell’assunzione di responsabilità nei confronti dei figli. Le forme di sostegno potrebbero quindi essere riassunte nel continuum informale – formale. Nel primo troviamo i gruppi di auto mutuo aiuto intesi come vere e proprie occasioni di cambio e condivisione di incertezze in quanto molti gruppi sono strutturati nella forma famiglia aiuta famiglia dato che lo scopo primario è attuare un cambiamento e promuovere responsabilità. Nel secondo troviamo invece le esperienze dei gruppi di formazione condotti da un facilitatore che aiutano a supportare l’immagine identitaria della persona separata. Anche la mediazione fa parte di questa dimensione in quanto costituisce uno spazio neutro di incontro – confronto tra genitori. Attraverso questo strumento la coppia riesce ad elaborare il conflitto e ad assumersi le proprie responsabilità genitoriali. Ulteriore strumento o servizio è quello offerto dallo spazio neutro che promuove l’esercizio di relazione così che per i figli, venga attuata anche nei casi più problematici una relazione con entrambi i genitori. Interessanti sono anche i gruppi di parole rivolti ai figli dei divorziati. Sono esperienze di carattere psicopedagogico che favoriscono la discussione tra gruppi di coetanei che vivono la stessa situazione con lo scopo di fare chiarezza su quanto è successo. Quella che quindi si prospetta è una rappresentazione sistemica dei diversi sostegni alla genitorialità in situazioni di divorzio in cui viene chiamata in causa la corresponsabilità di più soggetti informali e formali e questo permette al genitore di sperimentare la presenza e la vicinanza di una pluralità di figure significative, trovando in ciascuna occasioni di ascolto e rielaborazione. Difficile però è trovare occasioni del genere in quanto è presente una frammentazione dei servizi e questo impedisce la creazione di interventi integrati e di rete. 2. Le risorse dei genitori divorziati Secondo la prospettiva pedagogica occorre ideare e attuare azioni a favore della famiglia, con la famiglia e non sulla famiglia in quanto è necessario rispettare e promuovere la sua autonomia. Il sostegno educativo quindi non può non considerare la famiglia come protagonista. Questo significa che bisogna concentrarsi non solo sui bisogni ma anche sulle risorse, sulle potenzialità che i genitori divorziati possiedono. In particolare le risorse che i genitori mettono in atto riguardano: • Io persona = la separazione permette di far emergere i propri desideri e volontà. Essi pensano infatti di essere liberi di riprogettare la vita, riscoprendosi più veri. Altra grande risorsa è quella della resilienza • Ex coniuge = i partecipanti affermano di poterlo guardare dalla giusta distanza, riuscendo a rilevare i suoi limiti e le sue difficoltà e questo permette di evitare sentimenti come rabbia o delusione • Figli = i genitori sono risorse molto importanti nonostante le difficoltà. Devono essere presenti e dimostragli che possono contare sempre su di loro • Altri = le risorse sono quelle legate alla riorganizzazione dell’universo relazionale. Inoltre i genitori hanno dichiarato il desiderio di essere aiuto per altri che stanno vivendo la stessa situazione. I partecipanti hanno raggiungo l’ultimo grado dei livelli proposti dalla Schauchard, contrassegnato dalla possibilità di aiutare altri che vivono la sofferenza. Numerose sono allora le risorse dei genitori divorziati dalle quali gli interventi devono partire in quanto, seppur i due ex coniugi siano invischiati in una crisi, questa presenta anche delle potenzialità tipiche dei cambiamenti. Erikson vede infatti la crisi come una svolta necessaria, un momento in cui lo sviluppo deve procedere servendosi delle risorse di crescita. Due sono di conseguenza le parole chiave: • Empowerment = indica il processo di ampliamento delle potenzialità del soggetto in modo da aumentare le abilità personali e la possibilità di controllare attivamente la propria vita. Buscaglioni lo definisce un processo di ampliamento delle possibilità che il soggetto può praticare e tra cui scegliere. Gualandi invece ritiene che esso sia teso a favorire l’acquisizione di potere così da moltiplicare le possibilità. Il concetto esprime in sintesi la possibilità di singoli, gruppi o comunità di aumentare e rafforzare le proprie capacità al fine di giungere alla realizzazione personale. Di conseguenza l’empowerment è il risultato di un processo dinamico che sostiene l’autostima e il sentimento di sé come persone capaci e competenti. Da questa risorsa le persone imparano progressivamente ad assumere un ruolo da protagonista nella costruzione del proprio progetto di vita, operando scelte e prendere decisioni responsabili. Al contrario le persone disempowerment si sentono inadeguate, sfiduciose verso sé stesse. Tale percezione di impotenza blocca la persona che non riesce più ad affrontare le situazioni problematiche. Il termine nella sua declinazione sociale indica sia la capacità del soggetto sia una forma di intervento. In entrambi i casi al centro è posto lo sviluppo del sentirsi capaci di agire. Bisogna però sottolineare che quando si accompagna la persona nel percorso di riconoscimento e avvaloramento delle proprie risorse, non bisogna rischiare che essa neghi le difficoltà. Occorre invece permettergli di allargare lo sguardo, provando a cercare in sé stessa le capacità per risolvere le situazioni difficili. Interessante a questo punto identificare due tipologie di risorse, quelle interne e quelle esterne al soggetto. Le prime sono per esempio le motivazioni, le conoscenze, il problem solving mentre le seconde, sono per esempio la qualità dei rapporti sociali, la situazione economica. Entrambe le risorse vanno considerate, soprattutto quelle interne che devono essere trasformate in azione. Il potere di azione infatti secondo Zimmerman richiede controllo, consapevolezza e partecipazione. Il primo indica la capacità di influire sulle decisioni, la seconda la capacità di comprendere il funzionamento delle strutture di potere e dei processi decisionali mentre, l’ultima rimanda all’operare per ottenere risultati desiderati. Il potere di azione deve essere poi collegato al contesto di riferimento e proprio per questo, la logica dell’empowerment non può limitarsi alla descrizione di temi di potenziamento e autonomia in quanto deve contestualizzare l’intervento in rapporto ad una certa situazione. L’approccio educativo basato sull’empowerment implica il passaggio da interventi incentrati sul problema a interventi incentrati sulle capacità e competenze personali. Oltre al soggetto, l’approccio basato sull’empowerment deve attivare con esso le risorse che si trovano nel contesto in cui la persona vive. Per questo motivo bisogna rafforzare la rete informale presente nella comunità locale. In altri termini si tratta di tessere legami che, secondo Kilpatrick possono essere di tre tipi: bonding (coesione interna al contesto familiare), bridging (caratterizzato da relazioni che istituiscono pinti tra gruppi e mondi diversi) e linking (relazioni con persone e istituzioni collocabili a diversi livelli di potere). • Resilienza = diverse sono le definizioni di resilienza, ricordiamo quella della fisica, secondo la quale la resilienza è la capacità di un corpo di non rompersi dopo uno scontro; oppure quella del linguaggio psicopedagogico che la considera come la capacità di adattamento davanti a situazioni molto stressanti incontrati durante il ciclo della vita. Secondo Walsh la resilienza è invece la capacità di riprendersi, di uscire più forti e pieni di nuove risorse dalle avversità. È una risposta attiva alle crisi e quindi è qualcosa di più della sopravvivenza o del superamento di una situazione complessa poiché implica un miglioramento. Spesso si confonde con l’invulnerabilità ma, questo è sbagliato perché essere resilienti significa riconoscer la fragilità umana, provare dolore ed essere Nella prima tipologia troviamo approcci definibili come addestramento in funzione del trattamento in funzione del trattamento, nella seconda rientrano invece addestramento di abilità in cui si aiuta la famiglia a superare specifiche lacune e infine, nella terza addestramento per il miglioramento dove l’impego di metodi psicoeducativi è finalizzato al miglioramento della qualità della vita. Altra distinzione può essere fatta in base al livello di prevenzione che l’intervento si pone. Ci può essere una prevenzione primaria rivolta a tutta la popolazione che ha l’obiettivo di aumentare le competenze interpersonali, una prevenzione secondaria destinata a persone a rischio con l’obiettivo di abbassare il livello di stress e la probabilità di crisi controllando i comportamenti problematici e infine quella terziaria che lavora sul disagio che tende a ripristinare il livello di funzionalità precedente. Un modello molto diffuso nell’ambito della formazione è quello dell’addestramento, finalizzato all’acquisizione di abilità specifiche come per esempio i corsi di parent training ovvero un insieme di interventi di formazione dei genitori all’uso dei metodi comportamentali. Essi mettono in luce l’esigenza di una formazione per i genitori che venendo coinvolti possono promuovere lo sviluppo dei propri figli. Tuttavia questi gruppi portano con sé anche dei rischi, tra cui quello di professionalizzare il ruolo genitoriale proponendo tecniche standardizzate, togliendo così la sua spontaneità. Inoltre, è presente anche il rischio di aumentare la dipendenza dei genitori dagli esperti e questo riduce la loro capacità di affrontare i problemi servendosi delle proprie risorse. Altra prospettiva interessante è quella proposta da Galli, il quale negli anni ’60 ha sviluppato la scuola dei genitori la quale procurava agli sposi una formazione umana in quanto cercava di liberarli da sentimenti di inferiorità, ansia che incidevano negativamente sul processo educativo dei figli. Pati a questo proposito sottolinea la necessità che le scuole dei genitori partano dalla conoscenza dei cotesti di appartenenza dei singoli evitando l’uniformità. Importante allora che la scuola dei genitori comprenda l’assetto funzionale di ciascuna famiglia così da suscitare l’accettazione delle situazioni nuove e l’adattamento creativo ad esse. Quali sono invece le esperienze di formazione intraprese con i genitori divorziati? Negli ultimi anni si sono sviluppati diversi programmi rivolti a genitori divorziati, i quali possono dividersi in tre macro categorie in base ai contenuti proposti: child – focused information che mettono in luce le diverse reazioni dei bambini al divorzio e le tecniche per aiutarli ad affrontarlo; parent – focused information che riguardano le modalità dei genitori per fronteggiare il divorzio; court – focused information che si focalizzano sulle pratiche e i documenti del divorzio. La formazione può però riguardare anche interventi di accompagnamento che aiutano e sostengono gli adulti ad assumere consapevolezza dei propri compiti educativi e a svolgere la propria funzione genitoriale. Paul, che da anni si occupa del tema dell’accompagnamento, per descrivere questo concetto fa riferimento a tre sinonimi: condurre, scortare e guidare. • Condurre = delinea l’accompagnamento come direzionalità da seguire, mediante una progressione di fasi. In questo modo si incitano le persone, seguendole e controllandone il percorso. • Scortare = chiama in causa la protezione nell’accettazione sia di aiuto sia di cura educativa. • Guidare = propone un’idea di accompagnamento come orientamento rispetto a una decisione da prendere. In base a questi significati, l’accompagnamento si configura come un camminare insieme in quanto, si connota come una forma di sollecitudine verso l’altro, riconosciuto come soggetto di un legame relazionale e di una valorizzazione come essere nella sua piena umanità. Biasin identifica 8 tratti semantici che compongono la matrice la matrice dell’accompagnamento: • Il legame perché l’accompagnamento implica una messa in comune • L’alleanza perché vi è un reciproco riconoscimento • L’asimmetria perché la differenza dei due soggetti fa leva su una simmetria contraddistinta dal rispetto reciproco • Il movimento perché l’accompagnamento implica un viaggio con delle tappe da superare • La transizione perché nell’accompagnamento vi è il passaggio da una situazione ad un’altra • La direzionalità perché nel movimento caratteristico dell’accompagnamento c’è intenzionalità, un orientamento preciso • La tensionalità perché si ha un fine, una meta da raggiungere • Le circostanze in quanto il contesto determina le modalità dell’accompagnamento Secondo Cravero invece è interessante mettere in evidenza come l’accompagnare sia un particolare significato di educare che presuppone che l’altro oltre ad essere incoraggiato e sostenuto, voglia applicarsi e mettersi in gioco. Di conseguenza, l’accompagnamento educativo richiama il saper diventare. Ma perché si pone la necessità di accompagnare i genitori? La risposta parte dal riconoscimento della continuità dei processi di apprendimento genitoriale proprio perché padri e madri non si nasce ma si diventa. Questo significa che l’accesso alla maternità e alla paternità è frutto di apprendimento: Pati configura infatti la funzione dei due genitori in termini di graduale costruzione che implica l’evoluzione dei soggetti interessati e la consapevole accettazione dei doveri che ne derivano. La genitorialità si configura allora come un iter educativo attraverso il quale i genitori si assumono le proprie responsabilità. Ci si allontana quindi dall’idea che essere genitori possa essere improvvisato (la genitorialità implica la cura del figlio e l’assunzione dei compiti educativi volti alla promozione della sua umanizzazione). Essa è contraddistinta dal divenire, è soggetta al cambiamento e proprio per questo, è necessario formarsi per potervi far fronte. Di conseguenza si può affermare che non esistono formule o manuali di istruzioni per essere genitori. Questo perché ciascuna coppia è chiamata a definire le proprie regole e a decidere le modalità che guidano il proprio modo di educare i figli nella consapevolezza dell’unicità della situazione educativa coniugale e familiare. Infatti si apprende ad essere genitori nello scambio con il partner e con i figli, entrambi rapporti contraddistinti dalla reciprocità che facilità l’apprendimento grazie anche ai feedback e i rimandi che l’altro ci offre. La relazione all’interno della famiglia è quindi circolare ed integrativa. In molti casi è però necessario un apprendimento che provenga dall’esterno della famiglia: c’è la necessità di una formazione che li qualifichi come educatori e che permetta loro di acquisire conoscenze in merito alle frasi di crescita che ogni famiglia attraversa. Questo è ancora più necessario nel caso dei genitori divorziati dato che per loro viene meno l’apprendimento che nasce dal confronto del padre. Altra domanda che sorge riguarda il come progettare un accompagnamento formativo che risulti efficace. Per rispondere a questo quesito occorre prima di tutto chiedersi come l’adulto apprende da queste considerazioni così da predisporre interventi di accompagnamento utili. In particolare sono gli studi dell’andragogia che, nel corso del tempo hanno delineato un insieme di principi fondamentali dell’apprendimento in età adulta, applicabili a tutti i contesti in cui gli adulti si formano. I principi fondamentali in questo caso sono 6: • Bisogni di sapere = gli adulti sono motivati ad apprendere quando percepiscono che i messaggi offerti sono spendibili per la soddisfazione di alcuni bisogni. Questo richiama la necessità di una progettazione condivisa della formazione così da promuovere un apprendimento efficace e utile. Il principio in parole assegna poi un ruolo importante alla fase del contratto formativo e proprio per questo è necessario stabilire un patto con i partecipanti, dichiarando il perché, il cosa e i come dell’apprendimento, le finalità e le aree tematiche. • Apprendimento auto – diretto = gli adulti sono orientati verso un apprendimento basato sulla vita reale e questo implica l’assegnazione di un ruolo rilevante alle situazioni concrete e non ai singoli contenuti. Si sente quindi l’esigenza di impiegare una varietà di dispositivi, metodi e tecniche che permettano il collegamento della proposta formativa a casi reali così da coglierne la concretezza e non correre il rischio di creare una netta linea di demarcazione tra quello che si fa in formazione e la vita di tutti i giorni. Questo principio rimanda l’attenzione alla progettazione di percorsi di formazione in cui sia assegnato un ruolo di protagonista al partecipante che di conseguenza sarà responsabile del proprio percorso di crescita. Quattro sono allora i cardini di un accompagnamento formativo che sostiene le famiglie e i genitori nei loro compiti educativi: esperienza, riflessività, socialità e azione. Intrecciando questi quattro elementi nasce un processo ciclico che deve essere attraversato e riattraversato dai genitori. Si parte dalla loro esperienza, le loro pratiche familiari che devono essere sottoposte ad un pensiero riflessivo a cui segue la condivisione e il confronto. Il punto di arrivo è invece l’azione, il cambiamento. • Esperienza = avvalorarla nel processo di accompagnamento implica riconoscere le pratiche familiari come vere e proprie forme di conoscenza e la possibilità di poter apprendere da esse. Questo significa assegnare un ruolo centrale alle famiglie che quindi diventano vere esperte della propria situazione. Esse infatti nei percorsi di accompagnamento formativo sono portatrici di competenze ed esperienze che diventano il bacino da cui attingere durante la formazione. Questo approccio permette di diffondere una cultura della genitorialità competente che aiuti a consolidare processi di responsabilizzazione civile tesi ad una genitorialità sociale allargata. Si parla in questo caso di apprendimento esperienziale che muove dalla consapevolezza che non tutte le esperienze sono educative. Dewey a questo proposito afferma che esperienze educative sono quelle che favoriscono l’espansione e l’arricchimento della persona. • Riflessività = alcune volte l’esperienza si traduce in sola operatività e ripetitività e, in queste condizioni la semplice partecipazione ad un contesto esperienziale non garantisce l’apprendimento. C’è bisogno allora di un pensiero riflessivo su tale esperienza per evitare il rischio che essa sia cieca. Secondo Dewey la riflessione è quel tipo di pensiero che consiste nel ripiegarsi mentalmente su un soggetto e nel rivolgere ad esso una seria considerazione. Anche Arendt sosteneva che gli uomini possono fare esperienze significative solo quando possono parlare e attribuire reciprocamente un senso alle loro parole. La riflessività può essere di due tipologie: reflection in action e reflection on action. Nel primo si riflette nel corso dell’azione senza però interromperla, apportando modifiche mentre si sta agendo mentre, nel secondo si riflette sull’azione già avvenuta (ci troviamo in una situazione di sospensione dell’azione che ci permette di ripensare su quanto accaduto). La seconda tipologia è quella che maggiormente è utilizzata nell’accompagnamento. Di conseguenza, emerge che i contesti di formazione si delineano come laboratori di pensiero riflessivo in cui i partecipanti si interrogano sul loro modo di agire, in quanto lo scopo è promuovere la crescita del genitore riflessivo, definito da Formenti come l’adulto che partendo dalla propria operatività, elabora un pensiero sul proprio ruolo di educatore, sui desideri e i bisogni che lo fondano. In altre parole l’obiettivo è fare in modo che i genitori acquisiscano la consapevolezza rispetto ai propri comportamenti genitoriali e saperi impliciti. • Socialità = asse che rimanda alla partecipazione nella consapevolezza che apprendere implica partecipare ai processi conoscitivi e relazionali che contraddistinguono le pratiche. C’è apprendimento quindi se si verifica scambio di esperienza. È il caso dell’apprendimento attraverso l’interazione. Esso non appare più come un processo individuale ma come un processo di partecipazione sociale fondato sulla pratica. Rispetto all’accompagnamento dei genitori è necessario riconoscere che il genitore per aumentare le competenze dialogiche con i propri figli, dovrebbe avere la possibilità di condividere con altri genitori il proprio modo di rapportarsi ai figli. Nella formazione è poi importante recuperare un elemento dal forte valore educativo cioè la convivialità che si nutre del gusto dell’incontro, di scambio e confronto di esperienze. Importante allora sperimentare la piacevolezza della formazione, del trovarsi insieme e condividere emozioni e pensieri: è questo il caso della formazione leggera che facilita un incontro spontaneo ed autentico. • Azione = l’obiettivo dell’accompagnamento però non può essere solo quello di facilitare la presa di consapevolezza, al contrario deve tendere all’azione e al cambiamento. Questo significa che l’accompagnamento deve porre le premesse perché l’altro possa educarsi al cambiamento. In educazione l’offerta di finalità e obiettivi deve essere qualificata dall’istanza del dover essere, ossia dalla proposta di un certo cammino formativo in grado di rendere funzionale non ciò che il soggetto è in un certo momento della sua vita ma, a ciò che esso può e deve diventare. La consapevolezza diviene quindi il presupposto per il cambiamento in quanto la riflessione produce un cambiamento perché comporta la conferma e lo sviluppo delle teorie con cui si interpreta l’esperienza consentendo di prendere decisioni o intraprendere azioni che si basano sui suoi risultati. Basando l’accompagnamento su questi quattro elementi esso assume le forme di una formazione umanistica che pone al centro la persona e tende alla crescita ed allo sviluppo della medesima. È personalizzata e personalizzante perché prende le mosse dalle pratiche e dall’avvaloramento delle risorse soggettive e mira e potenziarle. Oltre a ciò, l’accompagnamento risulta essere di tipo trasformativo: tale formazione, partendo dalle pratiche riflessive e sull’esperienza, permette di trasformare la realtà e la nostra conoscenza di essa. Proporre quindi un accompagnamento che permette di sostenere il genitore nello sviluppo e nella messa in discussione delle proprie pratiche, implica rafforzare nei genitori il senso di autocontrollo e autodeterminazione sulla propria vita. Questo non significa dire loro cosa fare ma, aiutarli a rappresentarsi altri scenari, modalità e strategie. Quale ruolo allora deve assumere il conduttore di percorsi di accompagnamento per genitori? Egli dovrebbe essere un professionista dell’empowerment in grado di riconoscere le risorse delle famiglie, un agente che facilita lo sviluppo delle competenze genitoriali, un promotore di resilienza familiare, deve assumere il ruolo di facilitatore dell’apprendimento e dei processi trasformativi. In questa prospettiva l’educazione si configura come un processo circolare co – costruito nella relazione reciproca che si instaura tra educatore ed educando. L’accompagnamento formativo è quindi un lavoro di cura che richiede tempo e, proprio per questo implica la messa in discussione nell’ottica che per cambiare gli altri prima di tutto deve impegnarsi a cambiare sé stesso. All’accompagnatore – formatore si richiedono molteplici competenze psicologiche, pedagogiche, relazionali, comunicative, metodologiche, trasformative ecc. È necessario allora riconoscere questa figura complessa: deve quindi essere approvata la legge 205/2017 la quale, all’art. 594 – 601 tutela e riconosce la professione del pedagogista e le sue competenze e specificità.
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