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Razzismo e Identità: La Costruzione di Etnie e Gerarchie Sociali, Sintesi del corso di Pedagogia

Teorie del razzismoEtnicità e IdentitàStoria sociale moderna

La storia e le teorie del razzismo, dalla definizione di etnocentrismo di William Graham Sumner al moderno antisemitismo e al neorazzismo. come le teorie sulla razza sono nate dalla necessità di classificare e gerarchizzare l'umanità, e come il colore abbia sempre funzionato come fattore discriminante. Vengono discusse le origini del razzismo in Europa, con un focus particolare sull'antisemitismo e sull'antiziganismo.

Cosa imparerai

  • Che gruppi etnici sono stati oggetto di persecuzioni in Europa e perché?
  • Che teorico americano ha coniato il termine etnocentrismo?
  • Come il colore ha funzionato come fattore discriminante nella storia?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 30/08/2021

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marianna-messina-1 🇮🇹

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Scarica Razzismo e Identità: La Costruzione di Etnie e Gerarchie Sociali e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! CLASSIFICARE, SEPARARE, ESCLUDERE. RAZZISMI E IDENTITA’ di Marco Aime CAP.1 L'INVENZIONE DELLE RAZZE Punti di vista A coniare la definizione di etnocentrismo fu il sociologo americano William Graham Sumner nel 1906: «Etnocentrismo è il termine tecnico che designa una concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e tutti gli altri sono classificati e valutati in rapporto a esso». Si tratta dunque di un atteggiamento valutativo, che può esprimersi sia in giudizi sia in azioni. Pensiamo anche agli stereotipi che ogni gruppo umano ha costruito rispetto agli altri. È condivisa ormai l'idea che i tedeschi siano ferrei, gli svizzeri precisi, i francesi romantici ma anche all’interno sono fioriti diversi stereotipi come i napoletani allegri e furbi, i romani sbuffoni... Lo stereotipo è l'equivalente culturale della caricatura: il caricaturista individua un dettaglio curioso e caratterizzante del soggetto e ne riduce la figura a quel particolare. Lo stesso procedimento fa nascere lo stereotipo, che riduce un gruppo, una nazione a un dettaglio, accomunandone tutti i membri e schiacciandoli su quel particolare. Il riconoscimento della diversità, sebbene in accezione negativa, non porta però sempre e automaticamente a un atto violento. Un esempio ci viene dall'Africa: tra alcuni gruppi etnici intercorre un tipo di rapporto definito “parentela scherzosa”: quando due membri dei rispettivi gruppi s'incontrano, si scambiano una serie di prese in giro e di insulti basati sullo stereotipo che uno ha dell'altro, dopodiché si salutano cordialmente. Tale atteggiamento sancisce la differenza, ma la traduce in forma ironica, depotenziandone cosi ogni espressione violenta. Si tratta, come ha scritto Radcliffe-Brown, di «una combinazione peculiare di cordialità e antagonismo: la relazione scherzosa è una mancanza di rispetto consentita». L'’etnocentrismo porta a guardare il mondo da un centro, che è sempre il luogo dove siamo noi. Si tratta comunque di un sentimento più o meno condiviso, che poggia sul piano emotivo, più che su quello razionale. Inoltre, l’'etnocentrismo propone una divisione tra Noi e gli Altri accomunando questi ultimi in una sorta di “non-Noi” generale. Più di uno studioso individua i primi sintomi di razzismo moderno nella celebre istituzione spagnola alla fine del Quattrocento nota come Limpieza de sangre, che prevedeva solo a chi era spagnolo e cristiano da generazioni potesse accedere alle cariche pubbliche. In questo modo venivano esclusi gli ebrei, i musulmani e gli zingari. Nel momento in cui differenze che potevano essere considerate culturali, religiose, vengono percepite come innate e razzismo vero e proprio. Viene meno ogni eventualità che gli individui possano cancellare le differenze mutando la loro identità. Classificare per comprendere Aime racconta di un amico congolese, che più di trent'anni fa venne in Italia a studiare veterinaria e racconta spesso del suo primo impatto con il nostro paese e con il mondo occidentale in generale. Tra le tante cose che lo colpirono fu che in occidente i cani hanno le razze, da loro c'è un solo tipo di cane. Con tale esempio l’autore afferma che la società occidentale è ossessionata dalla necessità di classificare. Classificare per esistere Le teorie della razza nascono da una triade: pensare, classificare, gerarchizzare gli esseri umani. Cosî, a partire dalla fine del Settecento, la ricerca della distinzione tra le “razze umane” diventerà l'argomento primario. E’ significativa la rappresentazione dell'epoca dei tre re Magi. Melchiorre è un re tipicamente bianco e non a caso porta l'oro, il dono più prezioso; Gaspare, rappresentato con un turbante, è un asiatico e porta incenso, dono di valore, ma inferiore all'oro; infine Baldassarre, il cui volto nero tradisce le origini africane, porta la mirra, dono amaro, che simboleggia la durezza della vita. Quei tre personaggi rappresentano la visione dell’epoca e mettono in evidenza una gerarchia fondata sull’etnocentrismo. La linea del colore Rileggendo le prime definizioni razziali e analizzando le varie e moderne espressioni di razzismo, balza agli occhi quanto il colore abbia funzionato e continui a funzionare da fattore discriminante e da punto di riferimento per classificare chi è cromaticamente diverso. AFRICA> L'esempio più ovvio è la negativizzazione delle persone provenienti dall’Africa, che hanno sofferto terribilmente il razzismo sulla loro pelle, a causa della loro pelle, ma discriminazioni su base cromatica sono state effettuate anche sui nativi americani, i “pellerossa”, e su cinesi e giapponesi, divenuti “gialli”. Cheick è un ragazzo africano, ha 19 anni vive in un paese nei dintorni di Torino. Ogni giorno prende il treno per raggiungere il capoluogo piemontese e si reca nel posto dove svolge il suo apprendistato. Egli vive con una famiglia italiana che lo ha accolto e adottato all'interno di un progetto della pastorale migranti. Per rendere più agevole il percorso dalla stazione al posto di lavoro, i suoi genitori gli hanno comprato una di quelle bici pieghevoli. Un giorno passando per la stazione si reca all'ufficio informazioni dell'agenzia di trasporti. Lascia la bicicletta fuori dall'ufficio e quando la riprende si sente bloccare da tre poliziotti che gli chiedono di che fosse quella bicicletta. Umiliato, tornò a casa e dopo una pausa di riflessione decide di rendere pubblico il fatto. Non era la prima volta che gli accadeva una cosa del genere e da quel giorno fu costretto ad andare in giro con lo scontrino per paura delle accuse. La visione biancocentrica è dominante. In occidente il nero viene associato al lutto, all'uomo nero con cui spaventare i bambini, ma anche a qualcosa di illegale come lavoro nero, pagamento in nero... Non a caso quando usiamo l’espressione “uomo (o donna) di colore”, di fatto pensiamo solo ed esclusivamente a qualcuno che ha la pelle nera. Contemporaneamente il pensarci bianchi ci esime dal fardello di essere di qualunque colore, ci fa ritenere di essere privi di colore. Ricordiamo la vicenda di Luca Traini, il giovane neofascista che sparò a otto persone di pelle scura per vendicare una ragazza uccisa da un nigeriano. Razze, nazioni e razzismo Todorov parla del “razzialismo”, ideologia che vede nella razza umana il vero motore della storia. Si fonda su 5 principi fondamental 1. l’esistenza delle razze, come raggruppamenti umani che condividono caratteristiche fisiche comuni e il timore per gli incroci tra le razze (mixofobia); 2. la relazione causale tra le differenze fisiche e culturali. Alla suddivisione del mondo in razze corrisponde un altrettanto netta divisione per culture; 3. il comportamento dell’individuo dipende in massima parte dal gruppo razzial-culturale (o etnico) di cui fa parte; 4. esiste una gerarchia unica dei valori, sulla base della quale ordinare le culture come superiori o inferiori 5. una volta sta i “fatti” se ne ricava un giudizio morale e un ideale politico. e Kwame Anthony definisce “racialism” la convinzione che vi siano specie che ci consentono di ripartirle su una limitata serie di razze. Il razzialismo si distingue dal razzismo solo perché non prevede azioni conseguenti alla classificazione razziale, mentre il secondo diventa la linea guida di una politica applicata, che si traduce in rapporti di potere. La demonizzazione dell’ebreo ilrazzismo elaborato o teoretico —> nel caso in cui sia il prodotto di una teoria formulata in modo preciso e che sancisca la superiorità degli uni sugli altri. Si contrappone a un razzismo ordinario, spontaneo che vive di relazioni emotive e di pregiudizi—> è così e basta, non necessita di teorizzazioni. Il razzismo elaborato può essere istituzionale cioè previsto dalle leggi come nel caso delle leggi razziali o quelli statunitensi Jim Crow. Il razzismo sociologico, è una forma di razzismo esercitata individualmente o collettivamente da persone razziste in un sistema che non lo prevede. Il razzismo di inclusione in cui le vittime rimangono all’interno della società che li discrimina dalla quale vengono sfruttati per motivi economici, per esempio lo schiavismo negli Stati Uniti. AI contrario il nazismo prevedeva l'espulsione l’annientamento, in questo caso si parla di razzismo di esclusione. Non è facile trovare società contemporanee esenti da forme di razzismo, ciò che le distingue è la misura con cui vengono esercitate. CAP.2 Nell’Europa postbellica l’idea di escludere ed eliminare gli esseri umani sulla base della razza sembrava essersi assopita (placata/calmata). L'intera collettività europea pareva essersi dotata di anticorpi sufficienti affinché certe cose non accadessero più. Non fu così in altre parti del mondo. Per esempio, negli stati uniti continuavano a vigere le leggi razziali. Ricordiamo quel No pronunciato da Rosa Sparks all'ordine di alzarsi, mentre rientrava a casa in autobus. Proprio allora fece irruzione nella storia del mondo occidentale una generazione nuova: la gioventù, i quali praticavano manifestazioni di piazza contro questi fenomeni di razzismo e si ribellavano alle figure adulte. Proprio in questi anni se si fosse girato per le strade di Torino sarebbe stato possibile leggere cartelli con scritto “non si affitta a meridionali”. Essi venivano chiamati terroni in segno spregiativo. Non si registravano episodi di violenza, ma di diffidenza a considerare i meridionali al pari di quelli del Nord. Il fatto che fossero italiani aveva poca importanza: erano diversi per dialetto, abitudini, tradizioni. E soprattutto erano poveri. Il lavoro in fabbrica contribuì ad integrare, in quanto l'operaio piemontese, torinese doveva trovarsi a gomito a gomito a lavorare con uno siciliano, pugliese, partecipando anche alle lotte operaie.. Verso la fine degli anni Settanta e soprattutto nel decennio seguente si inizia a sviluppare quella forma di individualismo. Gli ultimi due decenni del Novecento sono anche gli anni in cui si inizia a parlare di globalizzazione e il fenomeno migratorio comincia a scuotere l'Europa, mettendo in crisi farsi largo la paura dell’“invasione”. immaginario collettivo, in cui inizia a Sul piano economico, il progressivo decentramento delle produzioni industriali ha ridotto di molto le opportunità di lavoro in tutto il continente, generando insicurezze e incertezza verso il futuro. È nata cosi quella società liquida di incertezze di cui parla Zygmunt Bauman. Anche sul piano culturale la globalizzazione ha innescato processi ansiogeni, provocando una frammentazione identitaria Per la sua collocazione geografica, il nostro paese si è trovato in prima fila nel gestire gli arrivi via mare, e la prima accoglienza. Il fascismo e le leggi razziali hanno introdotto divieti di contatto o mescolamento. In questo modo in Italia non abbiamo mai sviluppato un reale interesse per l'Altro, per il diverso. Cosi alla fine degli anni Ottanta l'approdo di stranieri che fuggivano dai loro paesi sulle nostre coste meridionali ha sconvolto il nostro immaginario. Su questa nuova scena si è precipitata una destra xenofoba (xenofobia= paura e odio per tutto ciò che è straniero). Ideologia: «Il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale». società sempre più fragili, come inquietante e pericoloso. È venuta meno la fede nel progresso che aveva caratterizzato i tre secoli precedenti. Il passato è reso sempre più inutile dalla vorticosa rivoluzione in corso, mentre il futuro è immerso nella liquidità. L'accelerazione ha prodotto una detemporalizzazione: il tempo non è più il motore di una storia da fare, di un compito politico da svolgere, di un fine da raggiungere. Si arriva così al cosiddetto “ presentismo”, una condizione nella quale il presente è diventato l’unico orizzonte. Nuovi linguaggi Negli anni a cavallo del millennio, abbiamo assistito anche a una trasformazione progressiva, ma radicale, della comunicazione politica. Sono gli anni della rete, il web 2.0 consente connessioni sempre più veloci imponendo un linguaggio nuovo. C'è sempre meno scarto tra il linguaggio scritto e quello parlato. Il linguaggio scritto si fa sempre più vicino a quello orale. Potremmo dire che la comunicazione stessa ha sostituito la politica. Se prima si doveva passare attraverso i comizi di piazza o i giornali, ora la rete consente una comunicazione diretta. IL linguaggio è sempre meno formale, sempre più “popolano”. Un rituale “contro” Nel corso dei suoi studi condotti in Africa meridionale negli anni ‘50, Gluckman formulò l’espressione “rituali di ribellione”, in riferimento a certe manifestazioni collettive in cui i rappresentanti dell'autorità o del potere possono essere oggetto di scherno e di irriverenza, ma solo nei termini e nel contesto specifico del rituale. Tali riti possono venire messi in atto quando si manifestano scontri fra due aspiranti al trono. Ogni relazione prevede uno scambio e il riconoscimento dell'Altro, oppure la sua negazione. Per identità si intende essere quello che non è un altro. Ogni identità, per sussistere, si avvale di qualche cosa di diverso (un’altra identità?), altrimenti non potrebbe realizzarsi. Abbiamo bisogno di uno specchio, che non rifletta l'immagine di noi stessi, ma quella di colui o coloro da cui vogliamo distinguerci. Nel 1871 E. Tylor, uno dei padri fondatori dell’antropologia culturale, coniava la definizione: «La cultura, presa nel suo significato etnografico più ampio, è quell'insieme che include conoscenze, credenze, arte. morale, legge, costume e ogni altra capacità e usanza acquisita dall'uomo come appartenente a una società». Due passaggi della frase di Tylor sono particolarmente importanti: 1. «acquisita dall'uomo»: l’autore sottolinea come la cultura non sia un elemento innato, ma il prodotto di un'educazione prolungata, di una costruzione sociale. La cultura è quindi il prodotto di un lungo e articolato processo di costruzione (questo dato è stato contestato da molte teorie razziali) 2. l'appartenenza a una società, concetto che ribadisce il fatto che tutti noi cresciamo in una rete di relazioni codificate dagli usi della nostra comunità, ma anche che tali usi sono soggetti a cambiamenti, poiché nessuna comunità è mai completamente isolata. La tradizione sarebbe quindi un insieme di pratiche, solitamente regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale e simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità con il passato. Ciò che spesso viene chiamato tradizione è in realtà “tradizionalismo”, cioè la rappresentazione cosciente di un'eredità culturale più o meno autentica. Il problema è che in tutte le epoche ha prevalso l’idea che ci sia una sola appartenenza fondamentale e cosi superiore a tutte le altre da ridurla all’unica possibile. Secondo Bauman si definisce «straniero» chi non si adatta alle mappe cognitive, morali o estetiche del mondo e con la sua semplice presenza rende opaco ciò che dovrebbe essere trasparente Uno spettro si aggira per l'Europa: quello del tribalismo. Il termine “tribù” è stato utilizzato per la prima volta dagli antropologi evoluzionisti del XIX secolo, e in particolare da Henry Morgan, per indicare l’organizzazione politica di società situate a un certo stadio (barbarie) dell'evoluzione dell'umanità. Superato l'approccio evoluzionista, si è continuato a utilizzare il termine, spesso contrapposto a quello di nazione, per indicare gruppi i cui appartenenti si rifanno a un'origine comune. CAP.3 Il neorazzismo è una forma di razzismo, più sfumata in cui lo straniero viene identificato come icona di ogni male, diventa portatore di malattie, terrorismo, disoccupazione, disagio culturale. I più ostili verso gli immigrati sono gli italiani più fragili, anziani e disoccupati, mentre il dato scende tra gli imprenditori. In generale per gli italiani l'immigrazione aumenta la criminalità. Nonostante i dati ci dicano che i reati sono in diminuzione e i media fanno cambiare la percezione. L'avversione verso lo straniero dei giorni nostri è un misto di risentimento sociale, paura, rabbia, sentimenti che hanno portato a un progressivo indebolimento dello spirito civico e democratico del paese. Ecco la finalità essenziale del neorazzismo: negare diritti agli altri, e il primo diritto è l’accesso al territorio di cui pensiamo di essere padroni.
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