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Riassunto per esame di legislazione dei beni culturali, Schemi e mappe concettuali di Diritto dei beni culturali

Riassunto libro l’ordinamento della cultura

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 06/06/2024

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sara-armillei-1 🇮🇹

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Scarica Riassunto per esame di legislazione dei beni culturali e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto dei beni culturali solo su Docsity! 1 Il diritto è il prodotto della cultura e della società in cui viviamo, perciò è un prodotto culturale. Il diritto non è immutabile, cambia in continuazione poichè determinato dalle decisioni pubbliche degli organi competenti che costruiscono il diritto sulla base di interessi economici, motivazioni culturali che sono il frutto del dibattito pubblico su questi temi. La differenza tra legge e decreto ministeriale risiede principalmente nella loro natura giuridica, nel processo legislativo attraverso cui vengono emanati e nel loro ambito di applicazione. ➔ Legge: ◆ Una legge è un atto normativo di carattere generale e astratto emesso da un'autorità legislativa, come il parlamento in molti sistemi legali. ◆ Le leggi sono emanate attraverso un procedimento legislativo formale che coinvolge dibattiti, votazioni e, in alcuni casi, l'approvazione di più camere legislative. ◆ Le leggi definiscono i principi generali e fondamentali del diritto e possono avere un'ampia portata, influenzando molteplici aspetti della vita sociale, economica e politica. ◆ In genere, le leggi possono essere modificate o abrogate solo attraverso un processo legislativo simile a quello che ha portato alla loro adozione. ➔ Decreto Ministeriale: ◆ Un decreto ministeriale è un atto amministrativo emesso da un ministro o da un organo esecutivo del governo in base a poteri conferiti dalla legge. ◆ I decreti ministeriali sono solitamente utilizzati per regolamentare e attuare le disposizioni contenute nelle leggi. ◆ A differenza delle leggi, i decreti ministeriali sono di natura più specifica e dettagliata, fornendo linee guida e istruzioni per l'applicazione delle leggi. ◆ Il processo per l'emissione di un decreto ministeriale può variare da paese a paese, ma di solito coinvolge la redazione del testo da parte del ministero competente, seguito da una fase di consultazione e, infine, l'approvazione da parte del ministro o dell'organo esecutivo. Articolo 9 comma 2: tutela del paesaggio e patrimonio storico artistico della nazione. Parla di “cose”, che possono avere anche una valenza immateriale (soprattutto per l’identità del nostro paese), anche un valore economico, ma i costituenti ritengono che questo articolo riguardi “COSE” o meglio beni di un particolare valore. È l’unica disposizione dei principi fondamentali (fino alla riforma costituzionale), che tutela direttamente determinate cose fisiche o materiali per il loro particolare valore per la nazione (cioè per la collettività di tutti i cittadini italiani, cosa diversa dallo stato). La particolarità di questa norma sta nel fatto di tutelare beni specifici in ragione del loro valore, quindi l’oggetto principale del nostro studio sono i beni culturali e paesaggistici che per il loro interesse artistico hanno un valore cosi particolare da distinguersi da tutti gli altri beni. Che si parli di cose e non direttamente di valori o beni materiali, lo ritroviamo nel codice dei beni culturali all’articolo 10 comma 1: da la definizione di beni culturali, ovvero le cose immobili e mobili che prenotano interesse artistico, storico archeologico ed etno antropologico. Per cose immobili si riferisce a edifici, monumenti, che non si possono far circolare. Definizione di diritto del patrimonio culturale: Il diritto del patrimonio culturale riguarda quindi cose di particolare valore e che per tale vengono regolate da un regime giuridico del tutto particolare rispetto a qualsiasi altro bene 2 che viene preso in considerazione —> l’insieme dei principi degli istituti giuridici e delle norme che definiscono il regime o la condizione giuridica di questi beni. Un diritto che disciplina l’azione e l’organizzazione dei soggetti a cui è demandata questa tutela che si concretizza nella conservazione, conoscenza e nella fruizione da parte della collettività. Sostanzialmente tutela un prodotto dell’agire dell’uomo. Parliamo di diritto dei beni culturali come quella branca del diritto che ha come oggetto i beni culturali e paesaggistici e che è composta da quei principi che definiscono la condizione giuridica di tali beni e definisce quali sono le organizzazioni che tutelano questi beni per la loro fruizione da parte della collettività. Altro fattore importante è che vi sono delle regole che permettono di risolvere le contraddizioni tra le norme o antinomie (contrasto tra due e più norme), e queste regole corrispondono a tre diversi criteri di risoluzione dei contrasti tra le norme: 1. Il primo criterio è quello cronologico, in base al quale una legge approvata successivamente prevale su una legge precedente, laddove ci sia un contrasto. La legge successiva determina questo fenomeno che si chiama “abrogazione”. Questo criterio funziona tra norme di uno stesso livello normativo. 2. Il secondo criterio è il criterio gerarchico. Se c’è un contrasto tra una legge e un regolamento esecutivo del governo (cioè tra due norme di livello diverso), in questi casi si adotta un criterio gerarchico. Esempio evidente è quello tra legge e Costituzione. Lo stesso vale per un contrasto tra una legge e un regolamento esecutivo del governo che determinerà la prevalenza della legge costituzionale rispetto a quella recente. 3. Il terzo criterio è quello della competenza, la costituzione determina anche le materie e l’oggetto su cui può essere esercitata quella potestà normativa e quindi gli organi che hanno la capacità di produrre atti giuridici dovranno sempre verificare che quell’atto rientri nella competenza che gli è stata assegnata. Ogni soggetto quindi può produrre norme giuridiche solo nelle materie di loro competenza. L’efficacia pedagogica dell’arte trae origine da un’intenzione politicamente orientata, per costruire il fermento da cui nasce un'opera d’arte. Il radicarsi dell’espressione artistica nel tessuto sociale, si manifesta attraverso la mediazione estetica. L’arte costituisce da tempo un valore ed è proprio la consapevolezza dei connotati ideologici che fa vertere la funzione dell’attività artistica a scopi politici. Gli artisti sono stati ritenuti colpevoli di un effetto di straniamento; anziché educare al controllo di se stessi, l’arte venne rimproverata di fomentare le passioni. Questo rigetto dell’arte era in qualche modo un rifiuto nei confronti del piacere; un’arte meramente edonistica non poteva svolgere alcuna funzione educativa. La funzione pedagogica venne messa a frutto sin dai tempi più remoti dell'antichità; furono le prime grandi religioni ad utilizzare l’arte nella ricerca del consenso. ci si rese conto anche del potere politico: ad esempio, i Medici nella firenze rinascimentale furono tra i primi a servirsi dell’arte, non solo come strumento di gloria e propaganda, ma anche come “l’oppio che stordisce i sudditi". Tuttavia, con l’avvento del Cristianesimo l’arte divenne fondamentale strumento del regno: il concilio di Trento si propose la diffusione del cattolicesimo tra le masse popolari anche per mezzo dell’arte, inducendo l’artista a lavorare con il teologo. 5 L’ordinamento è composto di fonti del diritto che possono essere collocate in tre diversi livelli ad ognuno dei quali ci sono molti atti normativi che condividono la stessa forza normativa. 1. Livello costituzionale: all’apice della gerarchia delle fonti che contiene la costituzione ma anche le leggi di revisione costituzionali. La garanzia della superiorità della Costituzione è che per modificarla serve un procedimento più complesso rispetto a quello che serve per modificare una legge (si chiama rigidità della costituzione). L’altra a garanzia della Costituzione è la Corte Costituzionale che secondo l’articolo 134 ha il compito di giudicare la conformità delle leggi rispetto alla Costituzione; 2. Livello primario: contiene tutte le fonti cioè legge, decreto legge e decreti legislativi, ma anche il referendum abrogativo (anch’esso è un atto normativo); 3. Livello secondario: di cui fanno parte i regolamenti del governo, quindi tutti i decreti regolamentari del presidente del consiglio, quelli ministeriali e tutti quegli atti espressione del potere esecutivo. La tutela dei beni culturali è prevista al livello più alto quindi costituzionale, e la sua tutela è inserita nei principi fondamentali e questo distingue l’ordinamento repubblicano dalle esperienze precedenti della nostra storia. La promozione della cultura e la tutela diventano dei compiti primari della Repubblica, riguardano tutti gli enti pubblici e tutta la collettività —> È questa l’importanza della svolta repubblicana. Periodo liberale e fascista dell’Italia pre repubblicana: Anche lo stato fascista era uno stato monarchico, possiamo pero dire che c’è una continuità tra l’Italia liberale e il regime fascista, pur avendo anche grandi differenze Questa legislazione può essere descritta per alcuni suoi caratteri: ● la centralità di una amministrazione espressamente dedicata alla tutela dei beni che andava d pari passo con la formazione di un qualificato corpo professionale; ● la presenza di centri di supporto all’elaborazione teorica e tecnica culturale, come la fondazione degli istituti di restauro, catalogo eccetera, destinai all’aggiornamento dei saperi che erano funzionali alla conservazione dei beni —> l’enorme patrimonio culturale era sparso per tutto il territorio nazionale in un contesto prevalentemente rurale e agricolo quindi un elemento trainante era la protezione dei beni perché l’esigenza immediata era quella di curare e preservare; ● limitazione della disponibilità del bene da parte dei titolari privati. Il Codex Iuris Canonici del 1918, emanato dalla Chiesa Cattolica, esercitava un forte controllo sulla pubblicazione e la diffusione di opere culturali e artistiche, specialmente quelle che trattavano argomenti religiosi. L'autorità ecclesiastica giocava un ruolo significativo nel determinare quali opere potessero essere diffuse e quali dovessero essere soggette a restrizioni o censura. La Legge Coppino del 1906 abolì il sequestro giudiziario degli stampati, contribuendo indirettamente al campo culturale e artistico attraverso l'istruzione. L'aumento dell'accesso alle opere artistiche stimolò una maggiore diffusione della cultura tra la popolazione. Di fatto, oltre allo spiccato interesse per l’identificazione del carattere di un certo bene; —> art.822 codice civile parla del demanio pubblico, ovvero un istituto giuridico che riguarda determinati beni ed elenca ciò che fa parte del demanio pubblico e ne fanno parte anche i beni culturali; l’altro elemento caratteristico di periodo storico è il museo, il quale diventa l’elemento centrale della gestione del bene culturale —> beni vengono funzionalizzati agli interessi prevalenti della loro conservazione che è la principale finalità di questa nuova legislazione; questa concezione vede nel museo una delle collocazioni privilegiate per la conservazione bel bene. 6 Durante il periodo fascista, il regime adottò politiche attive per coinvolgere gli artisti e ottenere il loro sostegno. Attraverso mostre, premi e acquisti d'arte da parte dello Stato, il regime cercò di promuovere un'ideologia artistica e culturale conforme ai suoi valori e obiettivi politici. Il Fascismo cercava l'appoggio degli artisti e Mussolini stesso riconosceva una grande importanza verso l'arte e gli artisti. Un ruolo di primo piano verso la ricerca dell'appoggio degli artisti fu svolto da Giuseppe Bottai, guidò il ministero dell'educazione nazionale tra il 36 e il 43. Il regime formulò un appello alla partecipazione attiva, militante, degli artisti alla causa del fascismo. Dal regime fascista non fu mai adottato il modello nazista che arrivò perfino a praticare roghi pubblici di libri e dipinti. Bottai e il regime formularono un piano nella ricerca del consenso artistico attraverso committenze, premi, istituzioni culturali, di acquisti di opere d'arte da parte dello stato, di mostre e di pubblicità sui giornali. In linea col progetto di politica culturale inteso a controllare le forze intellettuali, il governo fascista provvide a potenziare la rete di istituti culturali. Furono, ad esempio, istituiti i Litorali, ovvero delle competizioni artistiche giovanili alle quali potevano partecipare tutti gli alunni delle università iscritti al GUF (gruppo universitari fascisti). In queste competizioni era tollerata la libertà di espressione. Nel 1986 fu portato alla luce l'archivio dei fondi riservati del Minculpop e della Presidenza del consiglio che registravano dei fondi in nero destinati agli artisti sotto forma di stipendi o di acquisto di loro opere a favore della propaganda fascista. Qualsiasi tipo di manifestazione aveva necessariamente bisogno dell’approvazione del prefetto o del capo del governo. Nel 1939 venne emanata la legislazione di tutela sul patrimonio artistico, storico e paesistico: ● legge 1089 dei beni culturali: amplia la tutela amministrativa delle cose mobili e immobili; amplia il numero di beni da tutelare; si estendono i divieti di demolizione, restauro eccetera senza autorizzazione da parte del ministero; vi è un’amministrazione ministeriale dedicata che interviene direttamente nelle opere e che interviene per evitare il deterioramento di esse intervenendo con opere di conservazione e restauro; viene ammessa l’istituto dell’ espropriazione del bene non solo finalizzato alla conservazione ma anche all’incremento del patrimonio culturale o per fare ricerche. ● legge 1497 sulle bellezze naturali Legge del due per cento del 1942: si imponeva che per realizzare ogni opera pubblica doveva essere impiegata una quota non inferiore al due per cento dell'importo preventivato dei lavori da destinare alle opere d'arte figurativa. Questo servì a rafforzare la comunione tra artisti e poteri pubblici. Purtroppo gli artisti che potevano partecipare al progetto erano scelti dal regime. Il fascismo attua un massiccio intervento pubblico nel settore degli spettacoli in quanto si rese conto che, soprattutto il cinema, rappresentava un'arma potentissima per la propaganda. Il cinema divenne attività di interesse pubblico e quindi supervisionata dallo Stato. Legge del 25 giugno 1913 n 785: fu introdotta la censura cinematografica in Italia e una tassa di 10 centesimi per ogni metro di pellicola. Ciò fu di stampo puramente repressivo. Il cinema andava controllato perché non veniva considerato come una forma di espressione di pensiero ma bensì come un fenomeno spettacolare. 7 Nel 1924 fu creato l'istituto Luce portavoce della cinematografia ufficiale del Fascismo, trasformato poi nel 1925 in ente statale con l'incarico di diffondere la cultura Popolare. L'autentico bavaglio per gli artisti fu la censura. I decreti censori si succedettero per tutti gli anni 20 e l'attività più colpita negli anni fu quella cinematografica. Il Fascismo intese utilizzare la censura come strumento positivo di cultura. Non esisteva una censura preventiva vera e propria, poichè usata come un'autorizzazione. Dopo la guerra di liberazione, il principio della libertà di espressione artistica è stato consacrato nella costituzione del 1948. - L'art.33 comma primo dispone che "l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento" Questa norma aveva il suo antecedente nell'art. 142 della costituzione Weimar. Successivamente anche l'articolo 33 e l'art.9 saranno ripresi da questa costituzione. - L'articolo 9 indica tra gli obiettivi dello stato la promozione della cultura e della ricerca scientifica nonché la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e storico della nazione (riprende gli art. 150 e 158 della costituzione di Weimar che assegnavano al reich la protezione e la cura delle opere d'arte e dei monumenti storici) - L'art. 118 della costituzione italiana, dopo aver dichiarato libera la manifestazione di pensiero e inammissibile la censura, soggiunge che erano possibili deroghe per letteratura immorale e pornografica. Un peso decisivo nell’approvazione del primo comma dell’art.33 ebbe la memoria della condizione dell’arte durante il fascismo: dal dibattito assembleare emerge infatti che la garanzia costituzionale della libertà d’arte avrebbe dovuto impedire in futuro ogni manovra coercitiva da parte dei pubblici poteri; tuttavia, a causa della sommarietà del dibattito resta in ombra il nodo principale in quanto non sembra che i costituenti si posero il quesito di quale sia il clima istituzionale più propizio all'esercizio della libertà di creazione artistica. Il silenzio dei costituenti si presta a due diverse chiavi di lettura: che la libertà di espressione artistica fosse illimitata, oppure che il costituente non si pose il problema dei limiti inerenti alla libertà d’arte. L’articolo 9 è collegato alla svolta fondamentale, cioè alla promozione, alla fruizione della cultura e della ricerca scientifica. Ma è stata una delle disposizioni costituzionali più di battute dell’assemblea costituente, con un dibattito sui problemi di scuola pubblica e privata, fra promozione e libertà della cultura e sulla libertà dell’intervento pubblico nell’arte e nella scienza. L'articolo 9 è stato inserito nel testo costituzionale durante l'Assemblea Costituente, l'organo incaricato di redigere la nuova Costituzione italiana dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La tragedia della guerra e l'esperienza del regime fascista hanno profondamente influenzato i lavori dell'Assemblea Costituente, che ha cercato di creare un ordinamento giuridico che garantisse i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini, ma anche promuovesse la pace e la cooperazione tra le nazioni. In termini legislativi, l'articolo 9 fornisce una base costituzionale per l'adozione di normative volte a proteggere e conservare i beni culturali, comprendendo monumenti, opere d'arte, siti archeologici e altre testimonianze del patrimonio storico e artistico italiano. 10 L'arte non può essere ontologicamente oscena, piuttosto apre alla promozione più alta dei valori umani ("pensiero che libera"). Anche la libertà della scienza impone l'astensione dei poteri pubblici dal fissare limiti e condizioni nello svolgimento della ricerca scientifica, la scienza però non è fatta solo di ricerca teorica, ma anche di sperimentazione pratica, divulgazione dei risultati ect. Chiaramente l'assoluta libertà di ricerca può riguardare solo il primo punto, mentre nella sperimentazione delle ipotesi scientifiche vanno fatti salvi altri principi di rilievo costituzionale, come il valore primario della persona, con i vari corollari della dignità personale, integrità e diritto alla salute e il principio di uguaglianza. Purtroppo fino a pochi anni fa era difficile individuare misure normative diretta a limitare la libertà della scienza, in quanto i loro traguardi rappresentano un fattore di progresso civile per la comunità politica. La prima legislazione in materia di limiti alla ricerca scientifica si avrà soltanto nel 1992 a protezione degli animali. Oggi la situazione è profondamente mutata con la diffusione delle biotecnologie. La questione ha riguardato gli organismi geneticamente modificati, ovvero la materia vegetale il cui contenuto genetico è stato alterato e modificato. Lo Stato si riserva, non conoscendo gli esiti di questa commercializzazione, di poter limitare o vietare la coltivazione di OGM. L'art.13 della legge 2004 vieta qualsiasi sperimentazione sugli embrioni umani. La ricerca clinica e sperimentale è consentita solo a condizione che si perseguono finalità solamente terapeutiche e diagnostiche per la tutela della salute e dello sviluppo dell'embrione stesso, sempre che non vi siano metodi alternativi. Un altro divieto è imposto sugli interventi di clonazione attraverso il trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell'embrione. Inoltre la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi è assolutamente vietato. Lo sviluppo della cultura è considerato promozione della cultura stessa. Strettamente connessa alla libertà dell'arte e della scienza, è la libertà dell'insegnamento; esso è considerato come una prosecuzione della libertà scientifica ed artistica. L'insegnamento è un complesso di attività attraverso cui il docente divulga e trasmette la cultura al fine di rendere istruiti i discendenti. La scuola è l'apparato organizzativo composto da elementi materiali, tecnici e soprattutto personali, in cui l'insegnamento si esplica. L'insegnamento è uno strumento elettivo, ma non esclusivo per il conseguimento dell'istruzione. Ad esso si affiancano lo studio e la ricerca. L'indipendenza degli insegnanti e la qualità dell'insegnamento impartito ricoprono un ruolo centrale. La radice della libertà d'insegnamento sta nella libertà di manifestazione del pensiero, tale libertà si attiene sia ai metodi che ai contenuti dell'insegnamento stesso, che è personale, individuale. L'insegnamento svolto nell'ambito scolastico, deve rispettare gli obiettivi prefigurati del legislatore. Vi è libertà di pensiero, ma non di propaganda; avendo come obiettivo prioritario l'istruzione in un ordinamento democratico e cioè la formazione di una coscienza individuale critica, aperta e libera nello studente. —> Ricordiamo il pensiero di Max Weber secondo il quale "la cultura deve liberare, non incatenare!". L’articolo 33 della costituzione (comma 2) affida alla Repubblica il compito di dettare le norme generali sull’istruzione, fissando regole dirette a tutte le istituzioni scolastiche, sia pubbliche sia private; attribuisce poi allo Stato l’obbligo di garantire l’istruzione mediante l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e gradi.il principio cardine in materia di 11 istruzione è l’articolo 34: La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Con questo articolo si garantisce l’uguaglianza nell’accesso alla scuola, il divieto di discriminazione per sesso e nei confronti di portatori di handicap. Il diritto all’istruzione È proclamato anche dall’articolo 14 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in cui viene proclamato che l’istruzione inferiore deve essere impartita per almeno otto anni.i capaci meritevoli hanno diritto a conseguire i gradi più alti degli studi, attraverso un sistema di sostegni finanziari. Strettamente connesso alla libertà di insegnamento e il principio del pluralismo scolastico, che ammette la coesistenza a fianco alle scuole pubbliche anche di quelle private, a cui si assicura la parità riguardo i titoli rilasciati.alle scuole parità private è assicurata piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale, ma l’insegnamento va improntato ai principi di libertà stabiliti dalla costituzione. L’azione di pubblici poteri sulla cultura deve essere finalizzata ad estendere gli spazi di realizzazione e liberarla dai condizionamenti che ne intralciano lo sviluppo e ciò significa essenzialmente equilibrio rispetto ai vari modelli o espressioni culturali in gioco, al massimo sostenendo quelle manifestazioni creative più deboli. Da una parte quindi deve esserci una funzione interventistica delle istituzioni riguardo allo sviluppo delle espressioni culturali meno forti; Dall’altro neutralità rispetto agli esiti, soprattutto quando questi vadano in conflitto con il pensiero della classe politica dominante. Scienza e politica Esiste una distinzione tra: ● Ricerca scientifica libera: area in cui opera, attraverso docenti ricercatori, l’università in quanto sede primaria della ricerca scientifica ● Ricerca scientifica strumentale: affidata ad enti che curano in maniera autonoma una ricerca scientifica destinata ad obiettivi determinati Naturalmente gli organi di indirizzo politico non possono intervenire nello svolgimento delle attività di ricerca scientifica in quanto tale, che nella sua dimensione di libertà resta sempre garantita come valore primario dell’articolo tre della costituzione. Il traguardo che la costituzione persegue è quello della crescita del pluralismo culturale, in quanto strumento di sviluppo della personalità dei singoli della collettività nel suo insieme, ed è solo questo che deve muovere le istituzioni pubbliche nell’arena culturale. La scienza è un'attività speculativa sempre utile, dotata di due qualità: razionalità e universalità. Da questi due attributi nasce il fenomeno dell'istituzionalizzazione della scienza nel periodo in cui essa celebra la propria indipendenza dalla chiesa e dallo stato durante il XVI secolo, ossia il riconoscimento della sua validità e importanza. I canoni metodologici che la scienza si è impegnata a osservare sono tutt'altro che indifferenti ai modelli di governo della società per almeno due ragioni: 1. la politica descrive una scienza: vengono addirittura impartire lezioni universitarie di scienza e politica 2. ogni acquisizione scientifica è frutto di teorie che bisogna poi sottoporre a verifica pratica. Nelle società contemporanee cambia l'intensità dei rapporti tra scienza e politica visto che, a causa dell'elevato costo della scienza, viene spinta sempre di più verso il denaro pubblico e visto che chi spende denaro pubblico è sottoposto a resoconti, sono stati stilati dei complessi programmi e di controlli sulla scienza. 12 Persa la fiducia, nell'epoca moderna, che il progresso delle conoscenze rappresenti sempre e in ogni caso un bene per l'umanità, lo scienziato finisce per accettare gli obiettivi che gli vengono affidati senza che lui possa metterci bocca. La scienza contemporanea, quindi, ha scoperto di possedere una vocazione autoritaria i cui effetti possono essere devastanti sulla società: basti pensare alle risorse dell'informatica quando esse sono messe al servizio di un potere dispotico che se ne serve per esercitare il proprio controllo sulle masse. Sull'onda di tale consapevolezza, si afferma un sentimento nuovo nei riguardi della scienza: di diffidenza se non di aperta ostilità, alimentata anche dall'utilizzo di un linguaggio sempre più inaccessibile alla maggior parte della popolazione. Il fatto è che la scienza come ricerca disinteressata della verità, non sussiste più e con ciò sono venuti anche a mancare i principi di razionalità e universalità. L'atteggiamento verso la scienza è ambivalente: vi è infatti una politica PER la ricerca e una ATTRAVERSO la ricerca. La prima esprime l'insieme delle attività intraprese dallo stato per incoraggiare lo sviluppo della ricerca, la seconda allude all'utilizzazione dei risultati conseguiti dalla scienza per scopi politici generali. In particolare, possono individuarsi due modelli per quanto riguarda il rapporto tra scienza e politica: 1. DECISIONISTICO: ossia asserve la scienza alla politica accettando che siano le forze di governo a stabilire i fini e i campi d'intervento 2. TECNOCRATICO dove il rapporto si rovescia in nome dell'autonomia di ricerca. La mortificazione dell’articolo 9 della Costituzione per ciò che dice (polemica dei padri costituenti contro le ideologie fasciste) e per come lo dice (è una pseudo disposizione a cui si dovrebbe attribuire un valore etico politico); ha portato ad un'esaltazione dell'articolo 33, in particolare del primo comma, che recita: "L'arte e la scienza sono libere" con ciò si vuole arginare la tentazione di coltivare dottrine artistiche o scientifiche di stato. Quest'articolo è quindi avverso a qualsiasi forma di dirigismo politico nel settore della cultura. Qui gioca un ruolo chiave la distinzione tra "politica della cultura" e "politica culturale". La prima è lecita e benefica perché si tratta dell'impegno degli uomini in difesa dell'autonomia della cultura; la seconda è vietata, poiché si riferisce alla pianificazione della cultura stessa da parte delle autorità politiche. In questo quadro, viene però affermata la supremazia della Costituzione economica su quella culturale; l'interesse generale esige il controllo delle attività scientifiche per poterle rendere produttive. L'articolo 9 si spende in favore della doverosità dell'intervento di sostegno nei confronti di qualsiasi espressione intellettuale, a cui si addica l'attributo della scienza a prescindere dalle sue future applicazioni pratiche. Tra promozione della cultura e della scienza corre un rapporto di genere e specie. Il sostegno pubblico alla scienza non può obbedire a logiche diverse da quelle che governano la promozione artistica, l'una e l'altra sono due capitoli del libro sulla promozione culturale. Proprio da ciò deriva lo statuto di bene culturale dell'opera scientifica. —> Ma allora come si può determinare l'intervento pubblico? Non resta che affidarci al personaggio dell'esperto a condizione che esso non dia fiato alle correnti ufficiali o dominanti della Scienza, bensì all'intera comunità degli studiosi nelle sue molteplici articolazioni. Questa partecipazione garantisce che il procedimento dell'informazione delle volontà amministrative non rimanga segreto e accessibile alle sole autorità. 15 C’è una crescente sensibilità verso il patrimonio storico artistico e verso i danni del patrimonio, generati dalla rapida urbanizzazione e speculazione edilizia , ci furono molti provvedimenti in materia di beni culturali che per gli anni ‘60 e ‘70, quindi non c’è dubbio che la Commissione Franceschini fu molto importante per le norme dei beni culturali. Da allora ci fu maggiore attenzione e cambiamento nei beni culturali ma che non si concretizza in una legislazione organica della materia (per quello dovremmo aspettare ancora alcuni anni). La svolta avviene quindi con il pluralismo istituzionale, per cui il compito della tutela non è solo in campo allo Stato ma riguarda anche le autonomie territoriali. C’è anche una tutela istituzionale anche nei principi fondamentali poiché la troviamo nell’articolo 9. Articolo 1 del codice dei beni culturali: sono beni culturali le cose mobili e immobili appartenenti allo stato, alle regioni, agli enti pubblici territoriali eccetera, che rasentano un particolare interesse artistico, storico, archeologico e ento antropologico. Ci sono nuovi elementi come la fruizione e la valorizzazione e ciò presenta una novità rispetto alla legislazione precedente. Altro elemento di novità è quello relativo al comma 1: la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzione dell’articolo 117 —> questo articolo è stato introdotto nel 2001 con una riforma costituzionale e definisce il reparto di competenze legislative tra stato e regioni, e in questo articolo la Costituzione ci dice cosa è competenza esclusiva dello stato (raccolta nel comma 2 dell’articolo), cosa è competenza concorrente tra lo stato e le regioni (cioè sulle materie indicate nel comma 3, lo stato definisce i principi fondamentali della materia e poi le legislazioni sono a carico regioni); poi la competenza residuale delle regioni sugli altri elementi che non vengono citati nell’articolo. La pluri soggettività dei soggetti che si occupano della tutela dei beni culturali e paesaggistici è una grande novità e mette in luce un elemento della Costituzione, cioè quello di favorire il pluralismo anche sociale e istituzionale. Altra novità è che all’inizio del primo comma fa capire come il diritto è affidato alle vicende storiche e politiche, perché dice una cosa scontata (in attuazione dell’articolo 9), che è entrato in vigore molti anni dopo la nascita della Costituzione. È stata infatti la politica che ha determinato un ritardo nell’attuazione dell’articolo 9. Questo ritardo viene affrontato in maniera molto netta nel corso degli anni ‘90. C’è un’inversione di tendenze determinata da vari fattori: 1. il primo è l’Unione Europea che negli anni ‘90 inizia ad ampliare le sue competenze, e proprio in questo contesto cioè nella creazione di un mercato interno senza frontiere e della libera circolazione delle merci che viene, a livello europeo, sentita l’esigenza di una regolazione sul tema delle opere d’arte. In questo è importante ricordare il regolamento numero 3911 del 1992 che regolava le esportazione al di fuori del territorio dell’UE, o alla direttiva numero 7 del 1993: c’è una novità istituzionale, che determina la produzione di norme esterne al nostro ordinamento ma che incidono direttamente sul nostro ordinamento. 2. Altro fattore di cambiamento è che si avverte la necessità di una nuova legislazione organica della materia che si apra alla società civile e che tenga conto dell’articolazione della repubblica in enti territoriali che sono istituzioni che proprio per la loro vicinanza al territorio non possono che avere una funzione nella gestione dei beni che insistono sul proprio territorio di competenza, e alla loro fruizione. La fruizione non può non coinvolgere gli enti locali e regionali. Queste due esigenze porteranno al d.l n. 112 del 1998 che conferisce funzioni e compiti agli enti locali anche in materia dei beni culturali. 16 Altro passaggio importante è il Testo unico dei beni culturali, approvato con il decreto 9 ottobre 1999 n.490, che andò ad operare sull’impianto della legge del 1939 innovando in maniera significativa alcune materie e alcune procedure. La svolta determinante è la Riforma Costituzionale del 2001 che modifica il reparto di competenza in materia di beni culturali e paesaggistici, come? Tramite l’articolo 117, comma 2 e 3: tra le materie di competenza esclusiva sulla tutela del paesaggio, e nel terzo comma, alle regioni si assegna la funziona di valorizzazione —> lo stato mantiene la legislazione esclusiva in materia di tutela dei beni culturali mentre la valorizzazione diventa una materia concorrente, non è esclusiva a delle regioni ma è una materia in cui le regioni si occupano di legiferare sui principi fondamentali dettati della legislazione dello Stato. L’articolo 117 parla di funzioni legislative. La riforma del titolo 5 ha un impatto fortissimo perché le regioni sono investite di nuove funzioni. Questa diversa collocazione delle funzioni imponeva una rivisitazione e aggiornamento della legislazione dei beni culturali. Decreto legislativo 22 gennaio 2004 numero 42: viene istituto il Codice dei beni culturali, una legislazione organica di tutta la materia che a differenza del testo unico, opera delle forti innovazioni; si caratterizza per l’estensione dei soggetti, i destinatari coinvolti nella disciplina, nel riordino della disciplina, l’arricchimento del patrimonio fruibile, misure specifiche di valorizzazione che vedono la partecipazione dei privati. Il codice quindi è una ricognizione della legislazione esistenze ma ha dato una prospettiva di tutale verso il futuro è forse questo il merito del codice che ha segnato la strada politica dei beni culturali. Le soluzione avanzate rispetto alla situazione della fine degli anni ‘90, ma che ritroviamo nello spirito e nel programma riformatore che troviamo nella Costituzione del ‘48. È questo uno degli elementi che ci fa riflettere sul fatto di come il diritto e la politica non finiscono mai, come la nostre legge fondamentale non è una volta per tutte ma è in continua evoluzione e la sua attuazione. Articolo 118 della Costituzione: si parla di funzioni amministrative che possono essere attuate anche con norme di livello secondario, dice che le funzioni amministrative sono di regole attribuite ai comuni quindi l’ente più vicino al cittadino ma con l’idea che questo livello sia quello più idoneo ad amministrare il territorio salvo che sia necessario ricorrere all’ente più alto. La Costituzione qui si preoccupa delle forme di intesa e coordinamento in materia di tutela dei beni culturali proprio perché ci sono competenze diverse ci si deve mettere d’accordo e coordinare e questo è importante perché sono forme di cooperazione tra enti territoriali che sono fondamentale per la gestione del patrimonio culturale. C’è un riconoscimento da parte delle istituzioni pubbliche, dei privati che si organizzano per tutelare un bene pubblico. Le funzioni amministrative sono al livello secondario, sono quegli atti che si chiamano “regolamenti” che sono definiti come regolamenti amministrativi perché regolano la funzione di amministrazione delle istituzioni pubbliche; all’inizio anche questa funzione era affidata allo Stato, ed era un parallelismo con la funzione legislativa. La riforma del titolo 5 del 2001 ha cambiato le competenze sulla funzione legislativa ma ha anche riscritto l’articolo sulla funzione amministrativa: queste funzioni vengono affidate ai comuni perché sono l’ente più vicino al cittadino. Di base la regola è che sono affidate ai comuni ma se le questioni hanno una portata che va oltre il comune c’è un potere sussidiario che esercita quelle funzioni (provincia, regione, Stato). Comma 3 articolo 118: ci dice che la legge disciplina forme di coordinamento tra Stato e regioni e forme di intesa e ordinamento nella martoria dei beni culturali, le funzioni 17 amministrative devono essere coordinate. La legge che disciplina le forme e di intesa e coordinamento è il codice dei beni culturali. Ultimo comma: sussidiarietà orizzontale che richieda che Stato, Regioni eccetera, favoriscono l’autonomia delle attività dei cittadini legate alle funzioni amministrative, è l’idea che la società civile se si organizza per tutelare qualcosa di carattere generale e comune alla civiltà, lo Stato lo favorisce. Già nell’articolo 2 della Costituzione vediamo un favore verso le formazioni locali e un favorire questo tipo di associazionismo (parla di formazioni in cui l’individuo forma la sua personalità). Lo Statuto dei beni culturali: la nozione di beni culturali Articolo 2 comma 2 del codice dei beni culturali: sono beni le cose mobili e immobili che ai sensi degli articoli 10 e 11 presentano interesse storico, artistico eccetera, che vengono individuate dalla legge quale testimonianze aventi valore di civiltà. Per arrivare a questa definizione c’è stato un grande percorso che deve essere affrontato. La distinzione tra l’articolo 2 e il 10, è che mentre il primo definisce un concetto generale di bene culturale, l’articolo 10 individua le cose che rientrano in questo concetto generale e associano ai diversi tipi di cose, una diversa procedura di individuazione e un diverso regime giuridico. L’espressione “bene culturale” ha una sua storia abbastanza recente. La prima definizione giuridica compare nella legislazione italiana abbastanza recentemente. Per avere una prima definizione dovremmo attendere il decreto 112 del 1998, importante perché prima della riforma del titolo 5. —> Il concetto di beni culturali ha una sua origine dopo la seconda guerra mondiale e inizia a essere utilizzano negli anni ‘50, a livello di diritto internazionale, e in particolare compare per la prima volta nella Convenzione dell’Aja del 1954: questa convenzione in cui i paesi firmatari firmano sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Nel codice dei beni c’è la convenzione che è stata poi ratificata con la legge 7 febbraio n.279 del 1958 (perché solo con la ratifica la norma ha esecuzione nel nostro ordinamento). La convenzione all’articolo 1 da la definizione di beni culturali, e questa è la prima definizione in un testo normativo in cui si utilizza questa espressione. L’articolo 1 dice che sono considerati beni culturali: i beni mobili o immobili di grande importanza per la cultura dei popoli. La commissione Franceschini rivoluzionò il contenuto proponendo un'accezione nuova: faceva leva sulla storicità del bene culturale, segnando il passaggio, come metro di giudizio, dal criterio estetico a quello storico. ➔ Il “bene culturale” era quindi quel bene che istituisca testimonianza materiale avente valore per la civiltà. In questo contesto i confini della categoria in questione hanno subito un ulteriore avanzamento sotto la pressione della nozione antropologica di cultura che ha condotto a riconoscere spessore culturale ai beni demo antropologici (qualunque manifestazione di cultura umana) . Nella sua parabola storica, la nozione di bene culturale, partita dalla concezione estetizzante, varca i confini delle moderne accezioni culturali, sino a rischiar di sfociare nell'eccesso opposto del pan culturalismo, ossia l’eccessiva dilatazione della nozione attuale di bene culturale. 20 attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale ed a garantire la protezione e la conservazione. La tutela sia come regolazione normativa (disciplina), che come amministrazione concreta (esercizio delle funzioni), con la precisazione che queste funzioni possono anche sacrificare diritti patrimoniali sui beni culturali. Sono tre le finalità della tutela: l'individuazione dei beni che entrano a far parte del patrimonio culturale, la garanzia della protezione degli stessi e la loro conservazione. Le funzioni e le attività di tutela devono aprire, e se possibile dilatare, i confini della fruizione pubblica dei beni, la quale deve servire a preservare la memoria della comunità nazionale, il suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura. Una delle innovazioni più significative si ravvisa all'articolo 12 del codice, il quale stabilisce che: i beni culturali pubblici possono essere concessi in uso temporaneo per fini culturali o per manifestazioni temporanee, con apposita convenzione che stabilisca le modalità di utilizzo, di tutela e di manutenzione dei beni concessi. Nella versione originaria, la parte finale dell'articolo 12 stabiliva che se entro 120 giorni dalla ricezione della scheda non veniva comunicato alcun esito sulla verifica del bene culturale pubblico, ciò equivaleva a una negazione implicita con conseguente trasformazione del bene in demanio, rendendolo di fatto alienabile, a meno che il Ministero non avesse ritenuto la presenza di altre ragioni di interesse pubblico da valutare. Questa inerzia o ritardo nella conclusione, come menzionato in precedenza, portava alla perdita del valore del bene pubblico e poteva essere sfruttata per sanare le finanze. Tuttavia, successivamente l'articolo è stato modificato, e allo scadere dei 120 giorni, non è più possibile trarre automaticamente conclusioni sull'interesse culturale del bene pubblico. La dichiarazione di interesse culturale Al di fuori dell'elenco dei beni culturali ufficialmente riconosciuti, il Codice prevede una procedura di notifica che deve essere inviata al proprietario, possessore o detentore di beni che potrebbero essere considerati tali. Questa notifica è fondamentale per avviare il processo di tutela del bene culturale. La regione ha anche la facoltà di emettere dichiarazioni per specifiche categorie di beni che non sono di competenza statale. Una volta avviato il procedimento, il proprietario viene informato e il bene viene sottoposto a un controllo amministrativo in via cautelare. È importante che questo procedimento sia adeguatamente motivato, come richiesto dalla Costituzione. Il processo si conclude con la notifica della dichiarazione al proprietario, possessore o detentore del bene, a seguito della quale vengono imposte limitazioni alla sua disposizione. Se il bene è soggetto a pubblicità immobiliare, la dichiarazione deve essere trascritta nei registri immobiliari. Il Codice, in particolare all'articolo 21, sottolinea che le misure di protezione, come la rimozione o demolizione di beni culturali, lo spostamento di tali beni e lo smembramento di collezioni, richiedono l'autorizzazione del Ministero. Per quanto riguarda le misure di conservazione, queste devono essere garantite attraverso un'attività coordinata di studio, prevenzione e manutenzione. In questi due ultimi casi, l’oggetto è un immobile o un'area ancora non dichiarata di interesse culturale, poiché questa richiede l'approvazione di un progetto come previsto dall'art. 98 comma 2 del Codice. A causa dei frequenti terremoti che colpiscono l'Italia, è stata istituita un'Unità di Crisi Regionale per intervenire nelle prime fasi di emergenza e salvaguardare il patrimonio culturale. La prevenzione comprende attività volte a ridurre i rischi per i beni culturali nel loro contesto, mentre la manutenzione mira a mantenere l'integrità e l'identità del bene e delle sue parti. Altri punti chiave includono la gestione delle ricerche archeologiche e il 21 ritrovamento di beni culturali, riservate al Ministero in tutto il territorio nazionale. Le sanzioni penali per violazioni comprendono pene detentive e multe; l’arresto fino ad un anno e l’ammenda da 310 a 3099 € a chi: esegue ricerche archeologiche o opere di ritrovamento di cose indicate nell’articolo 10 senza concessione e chiunque non denuncia le cose indicate nell’articolo 10 rinvenute fortuitamente. Inoltre chi si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato è punito con la reclusione fino a tre anni e con multa da 31 a 516 € > furto d’arte. Infine, il Codice stabilisce che i beni culturali, mobili o immobili, possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando ciò migliora le condizioni di tutela dei beni stessi e il loro godimento pubblico. Tale espropriazione può avvenire per ragioni di interesse culturale, strumentale o archeologico, con procedure specifiche in ciascun caso. La normativa in materia di tutela dei beni culturali ha conservato la tripartizione tra: ● espropriazione del bene già dichiarato di interesse culturale (art.95) > il fine è di assicurare la miglior tutela e fruibilità pubblica del bene già dichiarato di interesse culturale; c’è una volontà di assicurare migliori condizioni di tutela e fruibilità del bene vincolato mediante l’acquisto al demanio pubblico e non è quindi richiesta la previa approvazione di un progetto di intervento, essendo sufficiente un atto di valutazione dell'utilità pubblica dell'esproprio del bene (già) culturale ● espropriazione per fini strumentali (art. 96) > possono essere espropriate per causa di utilità pubblica, aree ed edifici per isolare o restaurare monumenti, garantirne il decoro o il godimento del pubblico, facilitarne l'accesso ● espropriazione per interesse archeologico (art. 97) > il fine può essere quello di eseguire ricerche archeologiche Le modalità di individuazione dei beni culturali non sono altro che procedimenti amministrativi volti a qualificare un bene come culturale come tale, e assoggettarlo al regime di tutela particolare del codice dei beni culturali. La verifica dell’interesse culturale è disciplinata dall’articolo 12 del codice dei beni culturali, che riguarda in maniera specifica i beni individuati nell’articolo 10 comma 1 (cioè i beni di proprietà pubblica), questa categoria di beni è considerata presuntivamente un bene culturale fino alla verifica dell’interesse culturale che non è altro che un procedimento amministrativo attraverso il quale il Ministero dei Beni culturali accerterà se quel bene è effettivamente un bene culturale oppure no. La verifica dell’interesse culturale è un procedimento amministrativo (disciplinato dall’articolo 12 del codice), volto a verificare un bene come culturale in modo da assoggettarlo al regime di tutela e valorizzazione previsto dal codice. Il principale effetto giuridico dell’esito positivo della verifica dell’interesse è la sottoposizione alle norme del codice. I beni soggetti alla verifica appartengono allo Stato o a un ente pubblico o persone giuridiche senza scopo di lucro e devono essere appartenenti ad un artista vivente o morto non più di 70 anni fa. Il secondo procedimento amministrativo che riguarda i beni culturali è quello previsto dall’articolo 13, 14, 15, 16 e in parte anche 17 del codice: è la dichiarazione dell’interesse culturale. Riguarda i bene elencati al comma 3 dell’articolo 10, cioè i beni appartenenti soprattutto ai privati. Questa dichiarazione ha un procedimento diverso, che passa attraverso la valutazione del carattere del valore culturale di quei beni indicati; viene valutato l’interesse particolarmente importante (questa definizione non è presente nell’articolo 10 comma 1) di interesse storico, artistico, eccetera. Ricorre un interesse che deve essere qualificato per il suo interesse particolarmente importante, e proprio perché sono soggetti in mano a privati, l’ordinamento 22 gli assegna un procedimento diverso per assoggettarlo alla disciplina del codice e addirittura l’interesse culturale deve essere di particolare importanza. 1. La valorizzazione Sul piano legislativo, la valorizzazione dei beni culturali è rimasta nettamente penalizzata rispetto all'attività di tutela. La nozione di valorizzazione dei beni culturali esordisce nel 1975, dove si affidava al ministero dei beni culturali e ambientali il compito di provvedere alla manutenzione, tutela e valorizzazione dei beni culturali. La valorizzazione veniva individuata nell'incremento delle condizioni di godimento pubblico e nella naturale destinazione del bene alla fruizione collettiva. Affianco a questo significato ne emergeva un altro: la valorizzazione è strettamente legata all'incremento della qualità economica del bene, mediante l'assicurazione di maggiori entrate finanziarie. Ripugnerebbe alla nozione di cultura, fatta propria dalla Carta Costituzionale, un'idea di valorizzazione finalizzata al mero incremento economico del bene. Infatti la nozione di valorizzazione è rivolta allo sviluppo della cultura, a beneficio della collettività. L'articolo 148 pone per la prima volta sullo stesso piano tutela e valorizzazione; quest’ultima viene così definita: "ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali ed ambientali e ad incrementare la fruizione". Il riparto di competenza viene ancora rinnovato dalla riforma del titolo quinto della costituzione, la quale è costituzionalità la valorizzazione, inserendola tra le materie di legislazione concorrente. Il codice dei beni culturali ha riqualificato la valorizzazione come l'esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura, comprendendo anche la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. La valorizzazione dei beni culturali deve essere realizzata in modo da non compromettere le esigenze di tutela. Il Codice, in linea con la riforma costituzionale, delinea i settori in cui devono essere distribuite le competenze tra i diversi livelli di governo. Questo avviene combinando un criterio finalistico, come evidenziato dall'articolo 6, con un criterio di appartenenza derivato dagli articoli 102 e 112. In base a questi articoli, la legislazione regionale regola la fruizione e la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato, o di cui lo Stato ha trasferito la disponibilità secondo la normativa vigente. Tuttavia, è importante sottolineare che il Codice colloca la valorizzazione in una posizione subordinata rispetto alla tutela. La tutela dei beni culturali ha quindi una priorità superiore rispetto alla loro valorizzazione, specialmente quando queste due funzioni entrano in conflitto. In seguito alle modifiche apportate dai decreti legislativi n. 156 del 2006, n. 157 del 2006 e n. 62 del 2008, si sottolinea che eventuali passaggi dei beni culturali ai privati devono essere gestiti in modo da non compromettere la loro destinazione e fruizione pubblica. Verso la fine degli anni '90, l'articolo 148 definì in modo innovativo la gestione dei beni culturali come "ogni attività diretta ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione". In questa visione, la gestione ricevette un riconoscimento di pari dignità rispetto alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali. Fu attribuita anche una funzione di coordinamento reciproco, con particolare enfasi sul ruolo della gestione come presupposto per l'esercizio delle altre funzioni. Un'innovazione significativa fu l'introduzione della possibilità di trasferire la gestione dei musei agli enti locali, pur richiedendo un'attenta valutazione per garantire un'efficace 25 libera circolazione o della licenza di esportazione è punita con reclusione, multa e confisca del bene. La disciplina europea e internazionale Nel Trattato di Lisbona del 2009 emerge la consapevolezza dell'Unione Europea riguardo alla tutela e alla promozione della cultura. Nell'ambito del Trattato dell'Unione Europea, uno degli obiettivi dell'azione comunitaria è il contributo all'istruzione e alla formazione di qualità, nonché lo sviluppo delle culture degli Stati membri. Dopo la suddivisione in 3 pilastri prevista dal Trattato di Maastricht (comunitario; politica estera e di sicurezza comune; cooperazione di polizia e giudiziaria), l'Unione si impegna ora a rispettare la ricchezza della diversità culturale e linguistica e a vigilare sulla salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio culturale europeo. La cultura è considerata oggetto specifico di azioni atte a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri. La Carta di Nizza ribadisce la necessità di valorizzare, senza reprimere, le diversità culturali. Il Trattato di Lisbona mira al miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, alla conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale d'importanza europea, agli scambi culturali non commerciali e alla creazione artistica e letteraria. Tuttavia, tale formula non sembra contrapporre l'identità culturale europea a quella degli Stati membri, bensì limitare l'interesse comunitario a beni qualificanti per la civiltà continentale comune. Il principio fondamentale che continua a ispirare l'azione dell'UE in materia culturale è quello di sussidiarietà (il riconoscimento di una certa indipendenza a un'autorità subordinata rispetto a un'autorità di livello superiore, segnatamente a un ente locale rispetto a un potere centrale). Questo principio si traduce in politiche di sostegno, integrazione e contributi alle politiche culturali nazionali. L'Unione si impegna ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, a supportare e integrare le azioni di questi ultimi. Fra gli obiettivi dell'Unione Europea vi è quello di impedire l'esportazione di beni culturali al di fuori dell'Unione e di contrastare il traffico illecito di beni anche all'interno dell'Unione stessa. È stata introdotta una speciale tutela per determinate categorie di beni, senza contrapporsi alla legislazione nazionale. A fronte di varie difficoltà, il Parlamento e il Consiglio hanno elaborato una nuova direttiva che estende la tutela a qualsiasi bene definito culturale dal singolo stato membro, dalle collezioni pubbliche o dagli interventi di istituzioni ecclesiastiche. A livello internazionale sono state redatte convenzioni rivolte a rafforzare la protezione dei beni culturali. Tra queste: ➔ La Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato del 1954, ratificata in Italia nel 1958, che vieta il diritto di preda e impegna le parti a proibire qualsiasi atto di furto, saccheggio o sottrazione di beni culturali. ➔ La Convenzione Unesco del 1972 per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, ratificata in Italia nel 1972, che impegna gli Stati ad identificare, proteggere, conservare e valorizzare il patrimonio culturale. ➔ La Convenzione Unidroit del 1995 sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, ratificata in Italia nel 1999, che distingue tra restituzione e ritorno dei beni culturali in caso di esportazione illecita. La tutela internazionale dei beni culturali ha raggiunto nuovi traguardi con la Convenzione Unesco del 1972, che sottolinea il principio dell'interesse comune di tutti i popoli alla conservazione dei beni culturali eccezionali. Questa convenzione prevede la creazione di un elenco di beni culturali di valore eccezionale e istituisce un comitato intergovernativo per la protezione del patrimonio mondiale. Inoltre, la convenzione Unesco, prevede l'istituzione di 26 un comitato intergovernativo per la protezione del patrimonio mondiale, composto da 21 stati membri. Compito del comitato è definire ed aggiornare un elenco di beni culturali reputati di valore eccezionale e perciò meritevoli di particolare tutela al fine di assicurare la conservazione per le generazioni future: the World Heritage List. Altrettanto significativa è la Convenzione Unesco del 1970 sulla protezione e promozione delle diversità culturali, ratificata nel 2007, che mira al consolidamento di tutti gli aspetti della catena creativa culturale. A livello internazionale, molto importante è anche la Convenzione Unidroit del 1995, che distingue fra restituzione dei beni culturali rubati e il loro ritorno, in caso di esportazione illecita. La convenziona trae origine dalla convenzione Unesco del 1970 ed essa: prescinde dalla tutela del possessore in buona fede, offre al possessore la possibilità di restare proprietario del bene trasferendone la collocazione nello Stato d'origine, il bene esportato illecitamente viene equiparato a quello recuperato mediante scavi abusivi. Purtroppo questa Convenzione è firmata da pochi stati. A livello sovranazionale, la Convenzione quadro di Faro del 2005 rappresenta una tappa significativa, con l'obiettivo di costruire una società rispettosa delle diversità e del patrimonio culturale. Il governo dei beni culturali Le competenze dello Stato Il primo organico riparto di competenze fra Stato e enti locali è quello prospettato dal decreto legislativo n.112 del 1998, che riservava allo Stato, a norma dell'articolo 149, funzioni e compiti di tutela dei beni. Il vecchio ordinamento viene rinnovato dalla riforma del titolo V della Costituzione, approvato con legge costituzionale n.3 del 2001. Novità assoluta è poi la previsione che anche i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici, sono tenuti a garantirne la conservazione. Il codice pone, quindi, in una posizione di centralità il Ministero stesso, anziché lo Stato, per l'eventuale conferimento dell'esercizio alle regioni. In questa riforma, la valorizzazione dei beni culturali è affidata alla potestà concorrente Stato-regioni. Spetta inoltre alla legge statale la disciplina di forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela, con l'opportuno compito di coordinare i nuovi ordini di competenza territoriale nelle funzioni della tutela e della valorizzazione. Le funzioni amministrative, sia per tutela che per valorizzazione, sono attribuite ai comuni. Sembrano aprirsi nuove prospettive per il regime della tutela dei beni culturali. Queste aspettative sono state soddisfatte solo parzialmente dal nuovo Codice dei beni culturali, che ha disposto all'articolo 1, comma 3, che tutti gli enti territoriali debbano assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e ne debbano favorire la pubblica fruizione e valorizzazione. Anche gli enti soggetti pubblici nello svolgimento debbono assicurare ciò. Inoltre, anche i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione. Successivamente, il codice precisa all'articolo 4 che le funzioni stesse sono attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali, che le esercita direttamente o ne può conferire l'esercizio alle regioni tramite forme di intesa e coordinamento. Il codice reintroduce dunque il parallelismo delle funzioni legislative ed amministrative in materia di tutela dei beni culturali e pone in una posizione di centralità il Ministero stesso, anziché lo Stato, per l'eventuale conferimento dell'esercizio alle regioni. 27 Le competenze di regioni, province e comuni Il decreto legislativo n. 112 del 1998 ha stabilito che regioni, province e comuni partecipino all'attività di conservazione dei beni culturali (art. 149). Questi enti hanno il potere di formulare proposte riguardanti l'espropriazione dei beni mobili e immobili. Inoltre, possono avanzare proposte in merito al diritto di prelazione fino all'esercizio del diritto di acquisto, previa rinuncia dello Stato, e collaborano nella definizione di metodologie comuni per l'attività di catalogazione e di restauro tecnico-scientifico. Si evidenzia un modello di stretta relazione cooperativa e leale collaborazione tra enti centrali e periferici, con aperture alla società civile. La distribuzione delle competenze legislative in materia, stabilita con la riforma del Titolo V della Costituzione, conferma questa vocazione alla specialità dei beni culturali. Mentre la tutela rimane una competenza dello Stato, la valorizzazione dei beni culturali è inclusa tra le materie a potestà legislativa concorrente, con lo Stato che stabilisce i principi fondamentali. Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale successiva al 2001 ha riconosciuto l'intervento statale anche in materia di valorizzazione quando si tratta di beni culturali di cui l'amministrazione centrale ha la titolarità. Il codice dei beni culturali, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, attribuisce allo Stato le funzioni di tutela a "fini di garanzia dell'esercizio unitario" (articolo 4). Le regioni, i comuni, le città metropolitane e le province sono chiamati a cooperare con il Ministero nell'esercizio delle funzioni di tutela (articolo 5, comma 1), mentre il cuore delle funzioni in materia di tutela resta allo Stato, salvo per le provincie e le regioni ad autonomia speciale e le materie dell'articolo 5, comma 2. In sostanza, il Codice descrive un rapporto statocentrico con gli enti locali, che si trovano in una posizione essenzialmente ausiliaria. In materia di valorizzazione, il codice invoca il principio cooperativo tra Stato, regioni ed enti locali: l'articolo 7 afferma che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l'armonizzazione e l'integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici. L'articolo 112 stabilisce che lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Si mira a costruire un sistema integrato di valorizzazione fra enti territoriali, mediante una rete di accordi su base regionale e subregionale, fondato sulla priorità dello strumento partecipativo e consensuale, e che possono riguardare anche beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati. L’amministrazione dei beni culturali Il Ministero per i beni e le attività culturali Il decreto legislativo n. 368 del 1997 ha istituito il nuovo Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC). Questo Ministero ha il compito di provvedere alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, nonché alla promozione delle attività culturali. Inoltre, svolge attività di studio, ricerca, innovazione e alta formazione nelle materie di sua competenza, e si occupa della diffusione dell'arte e della cultura italiana all'estero. 30 periferiche con le regioni e gli enti locali. Tra le funzioni attribuite al segretario regionale ci sono quelle riguardanti i rapporti con la Commissione regionale per il patrimonio culturale, che si occupa di convocare e istruire la documentazione relativa alle proposte di interventi da inserire nei programmi annuali e nei relativi piani di spesa, individuandone le priorità. Inoltre, i segretari regionali si riferiscono al segretario generale e ai direttori generali centrali. Alle soprintendenze è invece garantito un ruolo primario a livello tecnico-scientifico nel presidio della funzione di tutela. La riforma del 2014 ha interessato le soprintendenze in un'ottica di accorpamento e semplificazione: sono state create 2 soprintendenze - Soprintendenze Archeologia e Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio - alle quali si affiancano le soprintendenze archivistiche. Tra gli organi periferici di maggiore interesse, oltre ai musei, il nuovo regolamento individua i poli museali regionali come organi incaricati di promuovere sul territorio la costituzione di un sistema museale integrato. Le strutture autonome Nel momento in cui fu dichiarato lo stato di emergenza dell'area archeologica Pompeiana per la situazione di grave criticità che la caratterizzava il 4 luglio del 2008, si è iniziato a considerare l'assegnazione di uno status autonomo ai musei, che li separa dalle soprintendenze. Tale status prevede la nomina del direttore tramite una selezione pubblica effettuata da una commissione di esperti. Inoltre, attribuisce al soprintendente un ampio corpus di competenze gestionali e di valorizzazione, che spaziano fino all'area della tutela. Questo progetto ambizioso prevede una separazione netta tra soprintendenze e musei autonomi, conferendo a quest'ultimi un'autonomia ampia e significativa. —> la funzione di tutela si esplica in misure finalizzate alla promozione e conservazione dei beni in una dettagliata disciplina della loro circolazione in norme relative ai ritrovamenti alle scoperte e in sanzioni di tipo amministrative e penale perché viola queste norme. l’individuazione del bene è il passaggio più importante per entrare della disciplina di tutela. Articolo 3 del codice spiega in cosa consiste la tutela—> consiste nell’esercizio delle funzioni nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni di interesse culturale, garantire la protezione e la conservazione ai fini della loro pubblica fruizione. La disciplina a cui viene sottoposto il bene individuato come bene culturale, quindi le misure di protezione, consistono in vincoli alla libera disponibilità del bene da parte del proprietario sia pubblico che privato e questi vincoli giuridici consistono in norme giuridiche (in particolare quelle degli articoli 20 e 21 del codice), sono misure di protezione. Il proprietario è vincolato dalla natura di bene culturale del bene in suo possesso. Tra le misure di protezione ci sono: 1. Interventi vietati al proprietario: si trovano nell’articolo 20, i beni individuati già come beni non possono essere distrutti, deteriorati o danneggiati 2. Interventi soggetti ad autorizzazione da parte del Ministero (come quelli previsti dall’articolo 21): per essere legittimi necessitano di un’autorizzazione quindi con una procedura di esame. La distinzione tra dichiarazione di interesse culturale e verifica dell’interesse culturale: differiscono per i soggetti a cui sono rivolte, la prima a soggetti privati, la seconda a soggetti pubblici i privati senza scopo di lucro. Ci sono degli obblighi positivi riguardo il bene che hanno diversa gradazione rispetto ai beni pubblici o privati. Il diritto da una gradualità ma anche un ventaglio di strumenti volti alla tutela. Le misure di conservazione sono obblighi di fare che si trovano negli articoli 29 e 30 del codice per esempio ci sono obblighi che gravano sugli enti pubblici di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni di loro appartenenza; gli obblighi dei privati sono di garantire la 31 conservazione dei beni culturali. Si devono fissare i beni di loro appartenenza nel luogo della sua destinazione in base a ciò che ha stabilito il sovrintendente (la fissazione della collocazione del bene deve essere fatto nel modo indicato dall’autorità pubblica). Ci sono anche obblighi imposti dal ministero che consistono in interventi conservativi come quelli previsti dall’articolo 32 del codice che possono essere imposti al privato o possono vedere il ministero agire direttamente sul bene. Questi sono una serie di vincoli giuridici. Ci sono poi attività volte alla conservazione, come nell’articolo 29 del codice che dice ; quindi una descrizione dell’attività amministrativa volta alla conservazione. L’articolo definisce ogni funzione che poi viene svolta. Le attività culturali L'inquadramento costituzionale Secondo la definizione contenuta nell'articolo 148, nell'ambito del trasferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, sono considerate attività culturali quelle rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura dell'arte. Per funzione di promozione si intende invece ogni attività diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali. Prima di addentrarci nella scienza giuridica, è necessario collocare la promozione delle attività culturali alla carta costituzionale. L'articolo 9 della Costituzione, all'interno dei principi fondamentali, stabilisce che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio artistico e storico della Nazione. Inoltre, l'articolo 33 della Costituzione afferma che arte e scienza sono libere, così come libero è il loro insegnamento. Secondo l'articolo 9, la Repubblica si impegna a promuovere lo sviluppo della cultura e del patrimonio artistico nazionale, sostenendo il progresso delle manifestazioni culturali e avendo riguardo anche verso quei beni non ancora realizzati ma in divenire. Si fa riferimento così a un'idea avanzata di cultura che può prescindere dalla consistenza materiale del bene: prosa, musica, teatro, tradizioni popolari manifestano un carattere culturale non meno delle espressioni puramente corporee. Il presupposto che anima la norma costituzionale è che la cultura non è libera se è abbandonata a sé stessa, per cui l'azione dei pubblici poteri deve estendere gli spazi di realizzazione e liberarla dai condizionamenti che ne intralciano lo sviluppo. La promozione culturale da parte delle autorità non significa cultura di Stato ad uso del potere pubblico. Al contrario, le regole impongono ai pubblici poteri un ruolo di garanzia del libero gioco delle diverse istanze culturali, sostenendo quelle energie intellettuali che faticano a trovare spazi, senza operare discriminazioni ispirate a interessi di parte. Il fine perseguito dalla Costituzione è la crescita del pluralismo culturale come strumento di sviluppo della personalità dei singoli e della collettività; con la promozione della cultura, le istituzioni si prefiggono di formare cittadini colti. L'azione dei pubblici poteri deve estendere gli spazi di realizzazione e liberare la cultura dai condizionamenti che ne intralciano lo sviluppo. Quando la legge pone il valore della libertà della cultura, intende impedire allo Stato di farsi latore di un'arte o scienza ufficiale mediante il sostegno di attività corrispondenti alle concezioni ideologiche dominanti. I poteri pubblici devono sostenere le attività culturali più deboli. La democrazia costituzionale impone un ruolo attivo alle istituzioni pubbliche nell'arena culturale, preservando la memoria storica e offrendo impulso alle nuove espressioni artistiche, in cui si manifesta l'identità delle generazioni contemporanee. Da una parte, si ha una funzione attiva delle istituzioni riguardo alla crescita delle espressioni culturali meno forti in gioco; dall'altra, neutralità rispetto agli esiti. La Carta fondamentale impone un equilibrio fra le espressioni creative, teso a ripristinare una condizione di 32 uguaglianza di opportunità, non di risultati. Non bisogna incoraggiare quelle attività creative che manifestino finalità antidemocratiche. Infine, tutela e promozione vivono in una traiettoria circolare, in quanto la promozione non può prescindere dalla tutela e valorizzazione delle espressioni culturali del passato, auspicando che la promozione sfoci nella tutela di un bene culturale futuro, come preferibile conclusione della sua azione. Il trattamento giuridico Il decreto legge numero 616 del 1977 sul trasferimento delle funzioni alle regioni ordinarie, all'art. 49, attribuisce a queste poteri d'intervento nell'ambito delle loro competenze in materia di beni culturali, includendo anche le manifestazioni culturali atipiche, come le tradizioni orali, i fenomeni folclorici, le manifestazioni artistiche e scientifiche più avanzate, e le tradizioni culinarie. Questo decreto ha sancito l'ingresso delle attività culturali nell'ordinamento giuridico italiano. È riconosciuta la necessità di tutelare e conservare non solo la consistenza materiale dei beni culturali, ma anche le attività svolte al loro interno, come librerie, caffè, trattorie, affinché rappresentino una testimonianza attuale di valori culturali idonei a perpetuarsi nel tempo. Il vincolo di continuazione impedisce che la chiusura dell'attività commerciale costituisca un reato contro il patrimonio culturale nazionale e la memoria locale. Tale vincolo comporta un divieto di alterazione della struttura materiale, limitando le facoltà di disposizione del proprietario su locali e arredi pertinenti. Coinvolgere il governo nel sostegno delle attività culturali è essenziale, non solo con interventi finanziari per la conservazione o il recupero dei locali storici, ma anche per la valorizzazione complessiva del contesto ambientale in cui si svolgono tali attività. Questo includerebbe il centro storico come nucleo urbano che racchiude la memoria della comunità. Il governo potrebbe predisporre agevolazioni per l'esercizio di determinate attività e vincoli per altre. Gli interventi dello Stato e degli enti locali per garantire le attività culturali sono stati finora lenti, frammentari e episodici, rendendoli difficilmente in grado di difendere il tessuto storico-culturale dei centri urbani. Le leggi di finanziamento La riflessione sul trattamento giuridico non può prescindere dall'esame delle norme promozionali di settori specifici della cultura. È opportuno ricordare le leggi di sostegno delle arti figurative, teatrali e musicali. Per le arti figurative, si menziona la legge del 29 luglio 1949, che impone alle amministrazioni dello Stato e ad altri enti responsabili dell'edificazione di nuovi edifici pubblici di destinare almeno il 2% della spesa totale all'abbellimento degli stessi mediante opere d'arte. In passato, l'ETI (Ente Teatrale Italiano), regolato dalla legge 14 dicembre 1978 n. 836, aveva il compito di promuovere la valorizzazione e la diffusione della cultura e delle attività teatrali, musicali e di danza. Tuttavia, l'ETI è stato soppresso nel 2010. Per quanto riguarda l'attività lirica e concertistica, la legge del 14 agosto 1967 n. 800 prevede specifici contenuti integrativi. La legge del 4 novembre 1965 n. 1213 forniva incentivi consistenti agli esercenti che proiettavano esclusivamente lungometraggi nazionali e ai produttori. Inoltre, all'interno del decreto legislativo n. 28 del 2004, va menzionata la Consulta Territoriale per le Attività Cinematografiche. Questo decreto prevede l'istituzione di una commissione di valutazione unica, denominata "Commissione per la Cinematografia", suddivisa in due sottocommissioni incaricate dell'individuazione dell'interesse culturale e della definizione della quota massima di finanziamento assegnabile. Dal punto di vista organizzativo, la Consulta Territoriale per le Attività Cinematografiche elabora 35 Negli ultimi anni, si sono verificate significative trasformazioni normative e giurisprudenziali nel campo delle attività culturali. Attualmente, sembra in corso uno sforzo di sistemazione della materia, nel quale dottrina e giurisprudenza cercano di definire un quadro normativo coerente alla luce dell'evoluzione recente, con l'obiettivo di costruire il futuro. Il diritto comunitario: La promozione delle attività culturali ha ricevuto grande rilievo a livello comunitario, parallelo allo sviluppo dell'Unione Europea negli ultimi decenni. Il Trattato sull'Unione Europea ha incluso fra gli obiettivi dell'azione comunitaria il contributo all'istruzione, alla formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri. Questo impegno si fonda sul principio del pluralismo culturale, sancito anche dalla Carta dei Diritti dell'Unione Europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000, la quale oggi gode dello stesso valore giuridico dei trattati. L'azione dell'Unione Europea si concretizza attraverso politiche di sostegno, integrazione e contributi alle politiche culturali nazionali, coerentemente con il principio della sussidiarietà, come previsto dall'articolo 167 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Il Trattato prevede l'intervento dell'Unione Europea nei seguenti settori culturali: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale d'importanza europea, scambi culturali non commerciali, e creazione artistica e letteraria. La normativa comunitaria distingue chiaramente tra la tutela dei beni culturali e la promozione delle attività culturali, evitando di contrapporre l'identità culturale europea a quella degli Stati membri. L'Unione Europea ha intensificato i suoi interventi in questo settore a partire dagli anni '90, impegnandosi nel sostegno di programmi culturali più ampi. Tra i programmi avviati dall'Unione Europea si annoverano il "Programma Caleidoscopio", adottato nel 1996 per incoraggiare la creazione artistica e promuovere la conoscenza culturale, il "Programma Arianna" del 1997, finalizzato a migliorare la cooperazione tra gli Stati membri nel settore della lettura e promuovere una conoscenza più ampia delle opere letterarie europee, e il "Programma Raffaello" del 1997, incentrato sulla cooperazione transnazionale nel settore dei beni culturali europei. Queste iniziative sono confluite nel "Programma Cultura 2000", mirato alla promozione e alla diffusione della cultura e della mobilità dei creatori. Successivamente, il "Programma Cultura 2000" è stato sostituito dal "Programma Cultura 2007", con validità per il periodo 2007-2013, e infine dal "Programma Europa Creativa 2014-2020". Il "Programma Europa Creativa" si propone di proteggere, sviluppare e promuovere la diversità culturale e linguistica europea, nonché il patrimonio culturale dell'Europa. In un contesto di crisi economica, si distingue per il consistente sostegno ai settori culturali e creativi. In sintesi, la promozione e la tutela delle culture viaggiano su un'unica traiettoria a livello comunitario, orientandosi verso l'integrazione delle molteplici identità culturali europee. Il paesaggio: secondo l'articolo 9, comma 2, della Costituzione Italiana, "la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione." L'espressione "paesaggio" indica genericamente il complesso di beni soggetti a particolare protezione, circoscrivendo tale concetto alla bellezze naturali. La nozione di paesaggio viene pertanto inclusa nei quadri naturali espressi dai valori paesistici, mentre non rientra nella disciplina costituzionale la fauna, la flora e altri elementi estranei alla natura stessa. Una diversa interpretazione, tuttavia, considera il termine "paesaggio" come il risultato di un processo creativo che coinvolge sia l'uomo che la natura, rappresentando una continua interazione tra la comunità e l'ambiente circostante. Il paesaggio è visto come la "forma del paese", che comprende città e campagne, l'ambiente visibile e invisibile, nonché ogni insediamento 36 naturale dove l'attività umana lascia tracce tangibili della propria storia. Questa visione ha permesso di superare la dicotomia tra il "bello" creato dall'uomo e la "bellezza" della natura. Le norme sopra citate riflettono anche una concezione dei beni principalmente estetica. Di conseguenza, le opere d'arte vengono considerate staticamente, con interventi pubblici finalizzati alla conservazione e protezione. Tali norme sono conosciute come leggi Bottai e hanno garantito per molti anni la tutela del patrimonio paesaggistico e artistico italiano. Il paesaggio nella evoluzione legislativa e giurisprudenziale Negli anni '70, il giudice delle leggi aderiva ancora a una concezione estetica del paesaggio: nella sentenza del 24 luglio 1972, la corte stabilì una separazione tra urbanistica e paesaggio, collegando quest'ultimo alla tradizionale nozione di bellezze naturali; in modo più esplicito, nella sentenza 29 dicembre 1982 n.239, la tutela del paesaggio era considerata come la protezione di un valore estetico-culturale legato alle bellezze paesaggistiche, con un criterio selettivo tra disciplina urbanistica e regolamentazione paesistica, con un'interpretazione restrittiva della protezione ambientale prevista nel decreto del presidente della repubblica 24 luglio 1977 n. 616. La svolta avvenne nel 1985 con l'entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, nota come legge Galasso: "la nozione di paesaggio deve ora ritenersi comprensiva di ogni elemento naturale e umano attinente alla forma esteriore del territorio". La legge Galasso delineò una regolamentazione improntata all'integralità e globalità, basata su un modello operativo non più conservativo e statico, bensì gestionale e dinamico. Il paesaggio dopo la riforma del titolo V della Costituzione: Negli ultimi decenni è diventato essenziale delineare chiaramente i confini tra la nozione di paesaggio e quelle affini, ovvero ambiente e governo del territorio. Inoltre, si è reso necessario ridefinire le esigenze di tutela paesaggistica considerando la presenza umana e le sue esigenze, al fine di trovare un bilanciamento degli interessi in gioco. La Convenzione europea del paesaggio, che ha ispirato ampiamente il codice dei beni culturali e del paesaggio, parla esplicitamente di "gestione di paesaggi", intendendo azioni finalizzate a garantire il governo del paesaggio per orientare e armonizzare le sue trasformazioni indotte dai processi di sviluppo sociale, economico e ambientale. Il paesaggio, infatti, non è statico, ma subisce cambiamenti nel tempo, richiedendo quindi una conservazione attenta insieme a una convivenza con l'uomo. Secondo l'articolo 117 della Costituzione, la tutela dell'ambiente ed ecosistema è di competenza primaria dello Stato, mentre la valorizzazione dei beni ambientali rientra nella competenza legislativa concorrente. In relazione al nuovo Titolo V della Costituzione, la Corte Costituzionale ha affermato nel 2007 che la tutela ambientale e paesaggistica precede la tutela di altri interessi pubblici assegnati alle Regioni, come il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. La tutela del paesaggio mira a riconoscere, salvaguardare e, se necessario, recuperare i valori culturali espressi dal paesaggio. Tutti i soggetti pubblici che intervengono sul territorio sono tenuti ad assicurare la conservazione dei suoi aspetti e caratteri distintivi. La valorizzazione, invece, consiste in attività dinamiche volte a promuovere la fruizione, il recupero e l'innovazione del paesaggio. La potestà regolamentare spetta ancora allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, mentre per tutte le altre materie è attribuita alle Regioni. Inoltre, tutte le funzioni amministrative sono attribuite al livello di governo più idoneo a garantire una gestione ottimale, spesso il comune. La Corte Costituzionale ha sottolineato che tutte le amministrazioni pubbliche devono impegnarsi in una reciproca collaborazione per valorizzare il paesaggio. Il metodo migliore 37 per rispettare lo spirito della Costituzione non è la contrapposizione, ma la collaborazione nel perseguire l'interesse comune. Per quanto riguarda la nozione di "beni ambientali", essa è definita dall'articolo 148 del decreto legislativo 31 maggio 1998, che identifica tali beni come testimonianza significativa dell'ambiente nei suoi valori naturali o culturali. Inoltre, l'articolo 138 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, ha precisato che i beni ambientali comprendono sia le bellezze naturali che le aree di interesse paesaggistico. Il codice dei beni culturali assume un ruolo fondamentale nella connessione tra beni culturali e paesaggio, riconoscendo il concetto di "patrimonio culturale" che comprende non solo i beni culturali tradizionali, ma anche i beni paesaggistici. Questa inclusione dei beni paesaggistici nel concetto di "patrimonio culturale" non è condivisa da tutti, poiché applica categorie giuridiche adatte solo al patrimonio storico-artistico, confondendo l'oggettività della natura con la soggettività delle manifestazioni umane. Beni e piani paesaggistici La nozione di beni paesaggistici, introdotta nel 1998, assume oggi un ruolo prevalente rispetto al concetto stesso di beni ambientali. I beni paesaggistici comprendono "gli immobili e le aree indicati all'articolo 134, costituenti espressioni dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge" (art. 2, comma 3, codice). Questa nozione sembra essere più aperta all'evoluzione futura della materia, poiché non fa più riferimento alla significatività della testimonianza, caratteristica dei beni ambientali. Il decreto legislativo n. 157 del 2006 ha attribuito sia allo Stato che alle regioni il compito di assicurare che il paesaggio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in base ai diversi valori espressi dai contesti che lo costituiscono. A tal fine, le regioni devono sottoporre il territorio a specifica normativa attraverso l'approvazione dei piani paesaggistici. Il codice specifica che l'elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni. I soggetti proprietari, possessori e detentori di immobili o aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge o in base alla legge, devono presentare alle amministrazioni competenti il progetto di intervento al fine di ottenere l'autorizzazione paesaggistica, qualora intendano intraprendere interventi che possano trasformare il paesaggio. Le attribuzioni alle regioni in materia di piani paesaggistici sanciscono l'affermazione di un'idea plurale del paesaggio. In materia di tutela, la competenza è statale, ma le regioni sono chiamate a cooperare attraverso piani paesaggistici, purché l'intervento normativo si risolva "in una maggior protezione dell'interesse ambientale", poiché la tutela del paesaggio è un valore primario che deve sottostare a qualsiasi altro interesse interferente. Le città d'arte: tendono ad essere identificate come nuclei urbani con una forte attrattiva turistica, comprendendo situazioni estremamente diverse, dai borghi medievali alle metropoli secondo criteri estetici ed urbanistici. Una definizione più precisa dovrebbe limitare il termine alle città particolarmente ricche di tesori artistici, ma anche così si otterrebbero risultati troppo generici. È necessario esplorare i legami tra il concetto di arte e quello di città, considerando che l'Italia ospita il 30% del patrimonio mondiale. Occorre prima di tutto definire il concetto di "centro abitato", basandosi sull'urbanizzazione delle aree e dei servizi. A questo si aggiunge il concetto di "vecchio centro abitato", utilizzato ad esempio nelle leggi antisismiche per indicare gli aggregati rimasti in piedi dopo un terremoto. Il concetto di "centro storico" non ha una definizione normativa. È importante distinguere tra l'aspetto culturale e quello urbanistico del centro storico: 40 Le garanzie di sicurezza Il ruolo del museo è principalmente quello di conservare e valorizzare il patrimonio culturale. A causa degli episodi di terrorismo culturale e dei furti nei musei, è necessario potenziare gli organi delle istituzioni museali. A tal fine, sono state adottate le prime misure normative con la legge n. 4 del 14 gennaio 1993. Questa legge prevede: ➢ Il controllo ininterrotto delle opere esposte o depositate in tutti i musei dotati di impianti audiovisivi di sicurezza; ➢ L'assegnazione temporanea negli studi museali di unità dipendenti da altri uffici dove il personale risulti in esubero rispetto alla dotazione organica; ➢ L'utilizzo del personale delle organizzazioni di volontariato per integrare il personale dell'amministrazione dei beni culturali e ambientali. Nel 1999, con l'articolo 733, viene contemplato il reato di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale. diritti del pubblico visitatore del museo L'intervento dei pubblici poteri nel contesto museale non può limitarsi alla semplice gestione del patrimonio. Il godimento collettivo dei beni museali comporta una serie di diritti culturali: a. Primo fra tutti, emerge il diritto di accesso ai locali e alle opere esposte nel museo. Ad esempio, nel 1992, su 100 musei ben 28 rimasero completamente chiusi, mentre tra i restanti 72, alcuni erano aperti solo un giorno all'anno. Queste carenze implicano una grave responsabilità delle istituzioni di governo, soprattutto per i musei di proprietà dello Stato e di altre collettività territoriali. Tuttavia, l'obiezione relativa alla scarsità di risorse è fragile e può essere superata con accorpamenti delle sedi museali per ottenere risparmi. Inoltre, l'obbligo di consentire la fruizione pubblica non implica necessariamente l'accesso gratuito per tutti. Nel caso di accesso a pagamento, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici stabiliscono i casi di libero accesso, i criteri per la determinazione del prezzo e le modalità di emissione, distribuzione e vendita dei biglietti. Inoltre, è prevista un'eventuale percentuale dei proventi dei biglietti da destinare all'Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori, gli scultori, i musicisti, gli scrittori e gli autori drammatici. I proventi della vendita dei biglietti agli istituti dello Stato sono destinati alla sicurezza e alla conservazione dei luoghi, mentre quelli venduti ad altri soggetti pubblici sono destinati alla valorizzazione del patrimonio. b. Oltre al diritto di accesso, vi è il diritto all'informazione e allo studio dei beni culturali. Gli operatori museali hanno la responsabilità di fornire apparati didascalici per le opere esposte e di offrire visite guidate. Tra i servizi aggiuntivi figurano il servizio editoriale e di vendita di cataloghi e sussidi informativi, i servizi relativi ai beni librari e archivistici, la gestione di raccolte discografiche e audiovisive, nonché l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali. Inoltre, è previsto un uso speciale del bene museale per scopi scientifici o didattici, che può includere il diritto di riproduzione delle opere esposte e il loro utilizzo per fini di ricerca. c. Infine, vi è il diritto a godere di un soggiorno confortevole nei locali del museo, con spazi adeguati per il riposo. l governo dei musei 41 È necessaria una chiara scelta normativa che stabilisca la forma di governo dei musei, poiché la legislazione regionale propone ora modelli di gestione collegiale, ora modelli monocratici centrati sul ruolo del direttore del museo. Tuttavia, nella prassi, il direttore rimane l'autentico dominus della sede museale. Nel 2002, la legge finanziaria ha concesso la gestione dei musei a soggetti pubblici non statali, ma ciò ha creato numerosi ostacoli normativi, poiché il processo di trasferimento della gestione dei musei e dei beni agli enti locali è stato considerato non funzionale alla promozione del bene museale. Per dare piena attuazione al dettato costituzionale, i singoli musei devono poter scegliere il proprio ordinamento interno. Tuttavia, per i musei degli enti locali, esiste già un modello organizzativo che garantisce la libertà d'azione culturale, basato sull'istituzione prevista nell'articolo 22 della legge 8 giugno 1990 numero 142, strumento di esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale di competenza dei comuni e delle province, dotato di autonomia gestionale. Con il decreto n. 171 del 2014, è stato avviato il processo di creazione di un sistema museale italiano, istituendo una nuova direzione generale per i musei (art. 20) e conferendo a 2 soprintendenze speciali e a 18 musei la qualifica di uffici di livello dirigenziale, dotati di autonomia gestionale. In Italia, il personale museale è scarsamente distribuito tra le varie sedi museali. È una delle facoltà riservate al Ministero stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato e utilizzare così il personale reclutato per integrare il personale dell'amministrazione dei beni culturali ambientali. Questa formula dovrebbe contribuire a ovviare alla scarsa distribuzione e alla carenza di personale. Gestione e circolazione del patrimonio museale Il regime dei beni culturali ospitati nei musei statali o degli enti pubblici territoriali è quello della demanialità, dunque non possono essere smembrati senza l'autorizzazione del Ministero competente. Il quadro normativo di riferimento è differente per le cose di interesse storico e artistico, custodite nei musei privati o negli enti pubblici non territoriali. Infatti, l'articolo 32, comma 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, prevede l'inalienabilità di tali beni, salvo che nelle ipotesi previste con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17. L'inalienabilità dei beni pubblici, che discende dalla loro natura demaniale, soddisfa le esigenze di sottrarli alla circolazione giuridica, consentendone la fruizione collettiva. Tuttavia, questa speciale protezione normativa può talvolta rivelarsi troppo rigida, ad esempio nel caso in cui il museo intenda disfarsi delle opere di minor pregio ricevute da lasciti o donazioni per finanziare il restauro. Nell'ordinamento giuridico, esistono due istituti che permettono ai musei una maggiore libertà. Il primo è il procedimento di demanializzazione (o sclassificazione), il quale richiede: A) indicazioni della destinazione d'uso in atto; B) misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene C) obiettivi di valorizzazione; D) la destinazione d'uso prevista; E) le modalità di fruizione pubblica del bene. L'autorizzazione per la demanializzazione è rilasciata dal soprintendente competente. In secondo luogo, l'articolo 58 del Codice dei beni culturali contempla lo strumento della permuta di beni culturali, sottoposta all'autorizzazione del Ministro competente. La politica degli acquisti viene gestita dall'amministrazione centrale. Il patrimonio culturale europeo: L'eccezione: il patrimonio culturale degli stati europei Nel 1957, il trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE), all'articolo 30, ha ammesso il mantenimento di restrizioni e divieti per la circolazione comunitaria, dettati da 42 esigenze di protezione del patrimonio artistico e archeologico nazionale. Questa disposizione ha stabilito una deroga alle regole stabilite dai Trattati dell'Unione Europea in materia di libertà di scambio e concorrenza. Tale deroga ha legittimato l'intervento regolativo e finanziario dei poteri pubblici nazionali nel settore culturale, escludendo la materia culturale dalle decisioni degli organi comunitari e conferendo una dimensione sovra-comunitaria, sia nei confronti della Comunità stessa che rispetto ai paesi esterni all'Unione Europea. La Comunità Europea, pur perseguendo la libera circolazione di merci e capitali, ha riconosciuto il mantenimento del monopolio delle politiche nazionali di settore e la legittimazione di aiuti finanziari interni ai paesi membri per quanto riguarda il patrimonio storico ed artistico. Tuttavia, l'eccezione culturale è stata vista con diffidenza e sospetto dalle istituzioni comunitarie, come testimoniato da una giurisprudenza che ha interpretato tale clausola restrittivamente, limitando le deroghe in modo tassativo. Queste decisioni riflettono il contrasto tra i Paesi membri, alcuni dei quali favorevoli a un approccio più libero nella disciplina della circolazione dei beni culturali, e altri, come l'Italia, orientati verso il rigoroso mantenimento dell'integrità del proprio patrimonio culturale. Il risultato è stato una delimitazione incerta e non sempre prevedibile degli ambiti di competenza a livello comunitario nel governo culturale. La Corte di Giustizia ha legittimato la regolamentazione comunitaria laddove vi siano in gioco principi comunitari del libero mercato e diritti fondamentali. La dimensione culturale ha assunto un carattere più significativo, oltre alla mera deroga al divieto di restrizioni della circolazione delle merci. Negli anni '70, gli Stati membri della Comunità Europea hanno cominciato a percepire l'importanza della cultura per lo sviluppo di nuove forme di coesione tra le popolazioni. Nel 1974, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione a favore della salvaguardia del patrimonio europeo. Tuttavia, nonostante l'attenzione data dalla prima commissione Delors del 1985 al patrimonio culturale, il tema non ha trovato sbocchi normativi concreti per tutti gli anni '80. La cultura dopo Maastricht: alla ricerca di un'anima per l'Europa. Dopo l'entrata in vigore dell'Atto Unico Europeo, si è diffusa la consapevolezza che l'Unione può emergere solamente attraverso il superamento di una visione puramente economica che ne aveva caratterizzato la sua nascita. Tale visione, che rapidamente si è concentrata sulle barriere alla circolazione di beni e servizi, ha lasciato poco spazio alla sfera culturale. Il Trattato dell'Unione Europea del 1992 riconosce specifiche competenze all'Unione in materia culturale; tra gli obiettivi dell'azione comunitaria, si prevede un contributo volto a promuovere un'istruzione e una formazione di qualità, nonché lo sviluppo pieno delle culture degli Stati membri. Diventa primario l'interesse per il fattore culturale, individuato come determinante per un'Unione sempre più stretta tra i popoli europei. La sintesi di questa nuova rilevanza è racchiusa nell'articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, come stabilito dal Trattato di Maastricht. La Comunità è tenuta a contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto della loro diversità nazionale e regionale, valorizzandone il patrimonio culturale. L'obiettivo è incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri, integrando e sostenendo, se necessario, azioni per: a) miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli b) la conservazione e la salvaguardia del patrimonio culturale di rilevanza europea c) gli scambi culturali non commerciali; d) la creazione artistica e letteraria. 45 beni culturali. Dopo l'istituzione del Trattato sull'Unione Europea, sono stati introdotti un regolamento di controllo regionale, con l'obiettivo di prevenire l'esportazione di beni culturali verso paesi esterni all'Unione, e una direttiva volta a contrastare il traffico illecito di beni culturali anche all'interno dell'Unione stessa. Per specifiche categorie di beni è stata prevista una particolare protezione, manifestatasi in un procedimento di restituzione che si affianca alla legislazione nazionale. Un regolamento stabilisce che l'esportazione dei beni culturali può avvenire solo previa presentazione di una licenza di esportazione rilasciata dall'autorità competente dello Stato membro in cui il bene è legittimamente situato. La Direttiva, invece, prevede una procedura mediante la quale lo Stato da cui è stato illegalmente sottratto un bene culturale può richiedere la restituzione presso le autorità competenti dello Stato in cui il bene è stato trasferito. Il Codice dei Beni Culturali italiano ha recepito questa disposizione, specificando che gli Stati membri possono intraprendere azioni di restituzione davanti all'autorità giudiziaria del luogo in cui si trova il bene. La Direttiva in esame sarà abrogata e sostituita da un'altra direttiva nel 2015, che amplia l'ambito di applicazione estendendo la tutela a qualsiasi bene culturale definito nel singolo Stato membro e semplifica l'esercizio dell'azione di restituzione. Nella pratica della governance culturale comunitaria emerge un modello più flessibile, che rispetta le differenze nazionali e regionali e, contemporaneamente, valorizza gli elementi di avvicinamento e coesione tra le comunità degli Stati membri, nel nome di un patrimonio comune che, dopo aver unito l'Europa sul piano economico, non può non farlo anche sul piano culturale. Il Consiglio Europeo, tramite la risoluzione del 23 maggio 2003, ha invitato gli Stati membri a esaminare i metodi per migliorare lo scambio di buone pratiche in merito alla dimensione economica e sociale della cultura, compreso il contributo delle attività culturali all'inclusione sociale. Un'altra iniziativa significativa è l'individuazione annuale della Capitale della Cultura, mirata a migliorare la comprensione reciproca tra i cittadini e valorizzare la ricchezza, la diversità e le caratteristiche comuni delle culture europee. La decisione del 16 aprile 2014 istituisce un'azione dell'Unione per le Capitali Europee della Cultura per gli anni dal 2020 al 2033, con l'obiettivo generale di tutelare e promuovere le diversità culturali in Europa. Sono da segnalare anche gli Itinerari Culturali Europei promossi dal Consiglio d'Europa dal 1987. Il Trattato di Lisbona introduce, inoltre, una grande innovazione, poiché il processo decisionale del Consiglio, dal 2014, è soggetto al voto a maggioranza qualificata, senza richiedere più il consenso unanime. Va sottolineato che l'abolizione del potere di veto degli Stati membri potrebbe avere conseguenze, forse decisive, per il rafforzamento degli indirizzi comunitari nel campo culturale. Alla ricerca di un patrimonio culturale dell'Unione La nozione di "patrimonio culturale di importanza Europea" non ha ancora acquisito un contenuto peculiare rispetto a ciascuna parte del patrimonio culturale nazionale, nonostante sia fissata nel trattato. È necessario chiarire cosa non costituisce un patrimonio culturale di importanza Europea. Questa nozione non deve implicare un'opposizione tra l'identità culturale dell'Europa unita e quella dei singoli Stati, privilegiando le manifestazioni culturali di uno Stato membro a discapito degli altri. La ricchezza culturale dell'Europa risiede proprio nella sua varietà. Così come non esiste una cultura europea uniforme ed esclusiva, non sarebbe accettabile una politica culturale europea interpretata come una pianificazione culturale al servizio di un'autorità sovranazionale. È necessario perseguire una politica delle culture europee, 46 ovvero un'azione di sostegno e aiuto finalizzata al loro confronto, scambio e arricchimento reciproco. È opportuno immaginare una prospettiva in cui l'Unione Europea si apra a un regime normativo e funzionale originale. Serve un nuovo regime destinato alla regolazione e all'amministrazione di un patrimonio culturale europeo. In questo senso si intravede un segnale importante che potrebbe preludere a un significativo livello normativo di disciplina. Questo regime potrebbe prendere la forma della promozione e valorizzazione dei beni culturali, che rappresentano contemporaneamente parte di un ancora non ben identificato patrimonio culturale dell'Unione e di uno Stato membro. La proposta di un marchio per il patrimonio culturale europeo si distingue da altre iniziative in quanto mira a identificare i siti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia dell'Unione Europea. La prima selezione dei siti è avvenuta nel 2013 e nel 2014 i siti sono stati confermati. Il 10 marzo 2015 il marchio è stato assegnato ad altri siti, tra cui la casa di Alcide De Gasperi e l'Acropoli di Atene, tra gli altri. Un tentativo di grande interesse è quello della Convenzione Quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, che definisce patrimonio comune d'Europa tutte le manifestazioni che costituiscono nel loro insieme una fonte condivisa di ricordo, comprensione e identità. Unità nella diversità: le identità concentriche del demos europeo Si ipotizza una prospettiva in cui una comunità meno gelosa dei propri privilegi nazionali possa regolare con fonti proprie un patrimonio culturale che rappresenti l'espressione diretta dei principi e valori su cui essa fonda la sua esistenza. Al momento, per l'individuazione di un patrimonio culturale europeo, la situazione attuale non consente di configurare il bene come parte integrante del patrimonio culturale dell'Unione. Tuttavia, si evidenzia l'affiorare di una dimensione di patrimonio culturale appartenente all'Unione Europea, che valorizza una lettura duale del regime culturale comunitario e sta alla base dell'azione dell'Unione. Si immagina quindi un futuro comunitario in cui la governance culturale, combinata con una crescita di dimensione identitaria, sia associata a una struttura legislativa e funzionale per l'Europa. L'emergere di una comunità europea fondata su un quadro di valori definito non implica la sostituzione con altre identità. Al contrario, già nella vita civile ogni cittadino sperimenta la condivisione di identità apparentemente contraddittorie e vive ruoli sociali differenziati. La diversità fa parte dell'identità europea così come della cultura europea, senza escludere altre appartenenze. Il cittadino europeo può essere paragonato alle matrioske russe che si incastrano una dentro l'altra pur formando una sola unità. L'esame degli accordi internazionali degli ultimi anni mostra un modo di rapportarsi differente al tema della diversità. Dal rispetto della diversità intesa come mero strumento per limitare l'esercizio delle competenze nazionali si è transitati ad un atteggiamento più aperto e positivo, con particolare riguardo ai paesi in via di sviluppo. La diversità culturale può essere protetta e promossa solo quando vengono garantiti i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali, il riconoscimento di pari dignità e il rispetto di tutte le culture, con il sostegno delle industrie culturali dei paesi in via di sviluppo. Da una comunità che si muove nel rispetto delle diversità si passa a una comunità che agisce per il rispetto della diversità. Nation building e retaggio culturale comune Oggi emerge una nazione europea in cammino che si auto percepisce come sintesi di generazioni passate, presenti e future, e si traduce nella volontà di vivere insieme secondo le medesime regole. Vi sono esperienze storiche, tradizioni e conquiste che sono allo stesso tempo sia di identità culturale nazionale sia di identità comunitaria, riversando così 47 sull'identità europea quanto di meglio le culture continentali hanno maturato dal passato. Dell'identità ancora in evoluzione sono la sovranità popolare, l'uguaglianza, i diritti inviolabili, la tutela delle minoranze e il pacifismo. Su quest'ultimo si deve fondare l'azione dell'Unione sulla scena internazionale. Questi principi gettano un ponte fra l'identità europea e le identità nazionali. Dalla distruzione del totalitarismo prende forma il modello democratico pluralista che si fonda sul riconoscimento dei diritti dell'uomo e vive del pacifico componimento degli svariati interessi che attraversano la società europea. La democrazia pluralistica significa la riscoperta della dimensione giurisdizionale per la risoluzione dei conflitti sul piano interno e internazionale, senza portarli sul piano bellico. Tali principi sono stati recepiti in una varietà di accordi fra gli Stati europei. Verso il patrimonio culturale dell'Europa Unita Se si vuole tentare di individuare una definizione delle manifestazioni concrete di questa appartenenza comune, un ottimo punto di partenza è la Convenzione di Faro del 2005. Secondo questa convenzione, rappresentano patrimonio culturale dell'Europa: a) tutte le forme di patrimonio culturale che costituiscono nel loro insieme una fonte condivisa di ricordo, di comprensione, di identità, di coesione nonché di creatività. b) ideali, principi e valori derivati dall'esperienza ottenuta grazie al progresso e nei conflitti passati, che promuovono lo sviluppo di una società pacifica e stabile fondata sul rispetto dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello stato di diritto. Questo patrimonio si lega alla cittadinanza europea in modo non astratto perché anticipa l'eventualità di programmare situazioni soggettive individuali intese sia come diritto di chiunque, da solo o collettivamente, di trarre beneficio dal patrimonio culturale. Sono i tempi della storia che non si anticipano, ma si prevedono, e scadono. Quel che importa è accompagnare nell'evoluzione senza imporre modelli precostituiti, ma piuttosto incoraggiando dinamiche di confronto, azione e crescita tra i vari attori che ne compongono lo sviluppo. Significa mantenere alto il dialogo sul tema, promuovere un processo di avvicinamento degli statuti culturali nazionali e iniziare ad immaginare regole e funzioni nuove per un patrimonio culturale comune. Ciò che importa è continuare ad interrogarsi intorno alla strutturazione di un demos europeo e ai suoi cruciali problemi di legittimazione politica. L'Europa rimane una comunità in movimento, soggetta ad un'evoluzione costante anche se molto addormentata e spesso impercettibile. Oggi appare la consapevolezza della necessità di realizzare uno spazio culturale comune per i cittadini europei, fondato su scambio e dialogo di cittadini, operatori e istituzioni. Non è infatti solo la cultura che si nutre di memoria, ma è la memoria stessa che si alimenta di cultura mentre la difficile realizzazione di una cittadinanza europea consapevole con tutto quanto ne deriva in termini di partecipazione e controllo intorno ai processi decisionali interni dell'Unione. Una democrazia costituzionale avanzata vive oggi di dibattito collettivo, sociale e intervento politico, cioè di una sfera pubblica propriamente detta. La Nation building europea è un cammino lento e difficile e dagli esiti incerti. Qualunque sia il traguardo, molto del successo dipenderà dalla capacità di aggregazione della Civitas Europea intorno alle proprie migliori eredità culturali. Insomma, ha bisogno di un patrimonio culturale che sia direttamente figlio dell'Unione e dei valori sopra richiamati.
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