Scarica Riassunto per esame Istituzioni di Storia Contemporanea, prof.Roccucci-Merlo, libro consigliato Storia e globalizzazione e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA E GLOBALIZZAZIONE parte prima: tramonto dell’Eurocentrismo Dalla civiltà alle civiltà Alle origini della nostra storia Il terremoto di Lisbona avvenuto nel 1755 ha segnato un passaggio fondamentale per lo sviluppo di una nuova visione più moderna della storia. Rappresenta, infatti, un evento drammatico che ha toccato profondamente la storia europea e il suo successivo sviluppo. Questo terremoto, infatti, influì sulla polemica tra Bossuet e Voltaire. Il primo vedeva la storia come un corso universale di eventi umani guidati dalla Provvidenza. Esisteva dunque una mente superiore che guidava gli eventi. Voltaire,invece, negava l’influenza di forze esterne e si proponeva di passare a una visione solamente umana della storia. Anche lui però riteneva esistesse una legge universale nascosta della storia, da intendersi come il concatenamento degli eventi verso il compimento della civiltà. Alla Provvidenza fu sostituito il progresso. Con l’evoluzione della storia si comincia ad avere la certezza di un’esistenza certa di una concatenazione interna degli eventi, ovvero un legame necessario fra passato e presente. Anche Kant laicizza la storia e propone una ricostruzione degli eventi in base alla concreta esperienza dell’ uomo. Anch’egli credeva nell’esistenza di leggi universali che controllano l’andamento della storia. L’intervento della natura sostituisce la Provvidenza. La natura guida gli uomini a realizzare un ordine civile universale. Il fine della storia è realizzare quest’ ordine. In Voltaire e Kant la storia è vista come progresso e anche storia universale. Il progresso comporta un nesso tra presente e passato, presupponendo un futuro che riepiloga tutto il passato. Tra XIX e XX secolo si sviluppa il cosiddetto eurocentrismo. L’Europa viene vista al centro del progresso della civiltà umana. Si riconosce, dunque, la superiorità europea e l’inferiorità delle altre civiltà. Il legame tra spazio e tempo nasce per soddisfare il problema del nesso che lega le esperienze dei diversi popoli facendole convergere verso l’unità. I diversi livelli di civiltà (collocati in spazi diversi) corrispondono a diversi stadi della stessa civiltà umana (collocati in momenti diversi). Herder tra il 1784 e il 1781 pubblica le Idee per la filosofia della storia dell'umanità. Viene qui espressa l’idea di storia come unico progresso della civiltà, che si svolge in luoghi e tempi diversi, prima in Asia e poi in Europa. Esiste una legge profonda del progresso, per cui tutta la vicenda umana segue una logica ascendente: ciò che viene dopo è superiore a ciò che viene prima. L’esigenza di universalità della storia crea un confronto tra l’idea di contemporaneità (cronologicamente ) e non contemporaneità (storicamente). Dunque ciò che avviene in Oceania nel 700 non è storicamente contemporaneo a ciò che succede in Europa nello stesso periodo. Preglobalizzazione Nel Novecento la dilatazione degli orizzonti, ovvero la scoperta dell’esistenza di tante realtà extra-europee, ha fatto perdere centralità all’Europa. Si può parlare in questo periodo di preglobalizzazione, cioè un’intensificazione dei collegamenti che ha reso sempre più contemporanei eventi in aree lontane. Si comincia quindi a denunciare la visione di una storia universale eurocentrica. Max Weber rifiutava l’idea di universalità della storia, dove la civiltà europea era superiore, mentre riconosce l’importanza dell’Europa verso il cammino della modernizzazione. La rivoluzione degli spazi ha mutato anche il modo di percepire la dimensione temporale. C’è una maggiore percezione della simultaneità tra gli eventi, grazie allo sviluppo delle comunicazioni e delle reti di trasporto. Si comincia a percepire una funzione sociale del tempo, che permette di tenere in contatto le relazioni umane (es. Razionalizzazione del tempo pubblico per avere riferimenti comuni) e inoltre cambia il modo di percepirlo. Nel Novecento acquisiscono importanza la soggettività, la relatività e la particolarità. In letteratura Wilde, Proust, Joyce e Kafka, in arte Paul Cezanne e in filosofia Bergson, hanno dato molto spazio all’analisi dei diversi tempi personali. Si può parlare di “storia soggettiva” , passando ad un approccio più psicologico della storia, dove il soggetto della storia coincide con il suo oggetto. Benedetto Croce, non erroneamente, diceva che la storia è vita. 《Tramonto dell’ Occidente》 Ci furono molte reazioni negative alla rivoluzione del tempo e dello spazio e del crollo dell’egemonia europea. Con la Prima Guerra Mondiale, l’Europa è stata costretta a fare i conti con nuove presenze. Le conseguenze furono lo svilupparsi di sentimenti melanconici, di rimpianto del passato e l’intuizione che da questo declino potessero aprirsi nuove strade. Spengler con l’opera, Il Tramonto dell’Occidente, pubblicata tra il 1918 e il 1922, afferma che la civiltà europea ha esaurito la sua parabola ascendente, ma che questo declino avrebbe coinciso con una fase di dominio imperiale su tutto il mondo. Secondo Spengler la visione eurocentrica ritrae la vanità dell’uomo occidentale. Per l’autore, ogni civiltà - ne identifica 8 - ha un inizio, uno sviluppo ed una fine. Ma la civiltà occidentale è l’unica che perdura nell’epoca contemporanea (le altre sono già finite) e dunque anche qui è implicita una supremazia dell’Europa. Il tramonto occidentale sarebbe stato dunque un tramonto dorato. La storia universale esprime l’identità europea e la sua supremazia nel mondo. Husserl, con l’opera La crisi delle scienze europee, sostiene che la crisi dello storicismo coincide con uno smarrimento della vocazione europea. Dalla storia universale alla storia generale: un passaggio incompiuto La decolonizzazione ha spostato l'interesse della storia verso i paesi asiatici e africani, sconvolgendo i tradizionali studi storici. Bisogna abbandonare l’idea di una storia unitaria e lineare e accettare la pluralità delle civiltà, che si sono sviluppate a ritmi diversi rispetto a quelli europei. Nel 1966 furono avviati due progetti per stendere la storia dell’Africa, per secoli ritenuta inferiore rispetto agli altri Paesi (Hegel lo definiva un Paese “solo natura e niente storia”) : la Storia generale dell’Africa, promossa dall’Unesco, e la Cambridge History of Africa. L’obiettivo era quello di raccontare la storia del popolo africano inteso come totalità. Emersero però molti ostacoli: la difficoltà a disegnare una storia unitaria dell’Africa, trovare date unificanti per tutto il Continente. Si ricorse dunque alla storia europea per tracciare la storia dell’Africa. Nel 1972 Ki-Zerbo pubblicò la Storia dell’Africa nera, che rappresenta il primo tentativo di scrivere una storia unitaria dell’Africa, dalle origini al tempo presente. Egli sosteneva che l’Africa era assente dalla storia dell’Europa, ma che questo Paese era ricco di storia, anche se ricostruirla in modo unitario era molto difficile. Non era facile superare il monopolio europeo. Braudel, negli anni Sessanta, attraverso il metodo della comparazione, pubblica la storia del Mondo attuale - in due volumi: il primo dedicato alle civiltà extraeuropee e il secondo alle civiltà europee. Egli privilegia gli spazi, ma con ciò vengono meno le relazioni tra le civiltà, soprattutto tra quelle fisicamente lontane. Tracciare una “storia del mondo” è apparsa un’impresa colossale che non poteva essere affrontata da un unico storico. Negli anni Settanta c’è l’esigenza di sostituire al modello evolutivo eurocentrico, un modello mondialista, equilibrato e paritario. Viene cioè riconosciuta una pari dignità di tutti i popoli e di tutte le civiltà. L’indebolimento del pregiudizio eurocentrico ha dato il via ad una storia sempre più contemporanea. La distinzione tra “contemporaneità cronologica” e “contemporaneità storica” è sempre più improponibile. Si è diffusa una visione al plurale del mondo che non mette, però, in evidenza le relazione che si sviluppano nel tempo anche tra realtà lontane nello spazio. In seguito alla decolonizzazione si è abbandonato il modo universalistico di fare la storia. Crisi della modernizzazione come interpretazione universale Secondo Braudel la civiltà attuale ha avuto inizio nel XVIII nell’Europa settentrionale. Dal 1750 circa l’uomo è entrato nella modernità. Braudel sottolinea che l’epoca moderna è diversa dalle altre per lo sviluppo della tecnica. E’ l’epoca infatti di una lotta per il dominio delle possibilità aperte dalla tecnica. In sede storica, dire modernità è dire Europa: infatti qui la modernità è nata e si è diffusa in tutto il mondo. Si comincia a parlare di un passaggio graduale da una storia universale di tipo eurocentrico ad una storia generale, capace di far posto a tutte le civiltà. Le teorie evolutive sviluppatesi negli anni Cinquanta e Sessanta hanno alla base una teoria del progresso. Lo sviluppo sembra essere legato ad una stagione dell’economia dove paesi “avanzati” e non conobbero una crescita molto intensa. Dietro la visione evolutiva si nasconde un’identificazione tra modernizzazione e occidentalizzazione. Le teorie sulla modernizzazione tralasciavano la dimensione temporale, a causa della mancanza di consapevolezza che determinate fasi non potevano ripetersi allo stesso modo in contesti diversi da quello europeo. parte seconda: Avvento della globalizzazione e deriva della storia Il nuovo disordine mondiale Il 1968: la prima “generazione globale” Negli ultimi anni del Novecento, il mondo ha subito profonde trasformazioni. E’ cominciato a emergere un nuovo disordine mondiale, caratterizzato dalla formazione di molte situazioni diverse dentro un mondo sempre più complesso. La globalizzazione ha infatti fatto emergere nuove identità etniche, religiose e culturali. Nel mondo occidentale sono sorti diversi movimenti sociali come quelli degli studenti e delle donne; movimenti politici per risolvere il problema ecologico del mondo. Il 1968 è un anno molto importante. I Sessantottini sono “la prima generazione [cresciuta] all’ombra dell’arma atomica”. Il progresso tecnologico e la modernizzazione portavano con sé una costante minaccia di autodistruzione. Le proteste nel 1968 rappresentavano anche una denuncia di massa verso il progresso e conseguentemente della bomba atomica. Ma la bomba atomica non rappresentava l’unico esempio dei pericoli che venivano dal progresso: la produzione industriale sempre più ampia, crescita degli agglomerati urbani, incremento del traffico automobilistico…. Iniziò una fase in cui ci si interrogò sulla modernizzazione. Nel 1968 cresce la percezione che il nemico viene dall’interno, dalla spinta autodistruttiva dell’uomo. Nessuno si sentiva più al sicuro. Appariva necessario pensare ad un futuro svincolato dal progresso ed è in questo che consiste la carica utopica che caratterizza il movimento del sessantotto. I giovani del Sessantotto hanno vissuto con intensità la frattura generazionale, accusando le generazioni precedenti di aver voluto o di non avevano impedito il terrore della modernizzazione. Assunsero quindi atteggiamenti violenti contro chi era venuto prima. Questa generazione è stata caratterizzata da una sorprendente capacità di agire e di fiducia nelle possibilità del cambiamento. Erano convinti di poter cambiare il mondo. Guerra in Vietnam e “morte della patria” La guerra in Vietnam ha unito i giovani in una contestazione contro tale guerra. Questo conflitto rifletteva la sostanziale contrapposizione Est-Ovest: Il Vietnam del Nord era appoggiato dai comunisti e il Vietnam del Sud dagli occidentali. La guerra fu vissuta come un modo per liberare un Paese del Terzo Mondo dall’egemonia della superpotenza americana e ciò causò una grave crisi; un piccolo popolo riuscì a fermare il paese leader dell’Occidente. La televisione - siamo nell’era dell’informazione - mostrò la cruda realtà di questa guerra causando un impatto immediato su milioni di persone. Si attivò una mobilitazione sorprendente volta al raggiungimento della pace. Il conflitto in Vietnam ha creato un distacco sempre più marcato nei confronti della guerra In questo periodo venne meno la fiducia nei confronti dello stato e dunque i giovani americani del Sessantotto non si sentivano più tenuti a dare la propria vita per il proprio Stato. Nel 68 si espresse dunque una nuova tendenza verso la deterritorializzazione. Esso indica dica una progressiva perdita di rilevanza della localizzazione di un territorio dato, per quanto riguarda le attività sia per quanto riguarda le relazioni umane. Questo termine viene utilizzato anche per indicare quel fenomeno che porta gli uomini ad allacciare legami non più in base ai confini nazionali ma in relazione a flussi economici o a interessi comuni. Ne consegue una nuova identità determinata non più da spiriti nazionalistici ma in funzione di interessi comuni. Declino del bipolarismo e marginalità europea Riguardo la guerra in Vietnam, i sessantottini erano contro entrambi i blocchi, occidentale e comunista. Ma il loro atteggiamento utopico e irrealistico ha causato la loro dispersione dopo poco tempo. Gli ex ragazzi del 68 presero posizioni politiche di sinistra, ovvero antiamericane. La guerra in Vietnam rappresenta in realtà la contrapposizione Nord-Sud e non più solo Est-Ovest. E’ stata una guerra di indipendenza nazionale alimentata da un sentimento patriottico molto forte. Negli anni Settanta e Ottanta l’Internazionale comunista entrò in crisi; si resero sempre più espliciti i loro interessi nazionali, contraddicendo i principi di solidarietà con i popoli in lotta per la libertà. A partire dagli anni Settanta, il Terzo Mondo si schierò contro i paesi del Primo (occidentale) e Secondo Mondo (sovietico) accentuando sempre di più la contrapposizione tra Nord e Sud. La contrapposizione bipolare Est-Ovest veniva sempre meno. In questi anni emerse un nuovo disordine mondiale e un sistema internazionale privo di regole unitarie e carente di leadership unificanti sullo sfondo di una crescenta marginalità europea. La guerra in Vietnam creò attriti tra Stati Uniti e Europa, ma queste tensioni non hanno segnato mai una vera e propria separazione. In molti paesi europei ci si attivò a favore delle vicende internazionali connesse al pericolo nucleare e ai problemi di pace. Società complessa e post-modernità “Globalizzazione” è un termine difficile da identificare chiaramente. Allo stesso modo anche il passaggio alla società complessa o post-moderna è di difficile interpretazione. Per alcuni studiosi, la società post-industriale cominciò ad emergere nel 1948; per altri con la controcultura degli anni Sessanta (es. pop art…). C0è anche chi sostiene che non si possono formulare definizioni sulla società post-moderna. Il dibattito sulla società complessa è iniziato negli anni Settanta (anche se il termine è più antico). Secondo LeGoff, dopo il 1975, il fallimento dei grandi sistemi socio-economici ha determinato un'accelerazione della crisi del progresso. La società post-moderna è caratterizzata da una trasformazione del modello di produzione industriale (catene di montaggio) e per questo motivo era inizialmente chiamata società post-fordista. Il dibattito sui limiti dello sviluppo risale agli anni Settanta. C’era una maggiore consapevolezza che l’inquinamento ambientale e l’industrializzazione avrebbe prodotto effetti irreversibili. Beck chiama la società post-industriale “società del rischio”. Negli anni Quaranta inizia il dibattito sulla società dell’informazione che viene fatta coincidere con quella post-industriale. Un’altra caratteristica della postmodernità è il passaggio dall'universalismo al relativismo, ovvero l’abbandono del carattere unitario della modernità a cui viene sostituita una pluralità di orientamenti. Numerosi sono dunque i livelli in cui si compie il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Cultura delle differenze, critica della narrazione e perdita del tempo Baudrillard affermava che l’epoca post-moderna ha perso i contatti con la realtà e così, conseguentemente, anche la storia. Tale trasformazione è stata vista negativamente da alcuni (Baudrillard) e positivamente da altri. La filosofia francese, ad esempio,ha insistito molto sull’assenza di una forza dominatrice della storia. Inoltre era contraria ai progetti di progresso prodotti dalla modernità. L’attenzione va verso la discontinuità che è incompatibile con la forma letteraria del racconto storico. Viene dato più rilievo alle eccezioni e agli scarti. La storia ha perso la sua funzione totalizzante. In questo periodo avviene il passaggio dal post hoc all’ ego propter hoc: un evento che avviene dopo un altro non presuppone che il primo sia la causa del secondo. A partire dagli anni Settanta si è diffuso un atteggiamento critico contro la storia precedente, in particolare contro quella ottocentesca. Esasperando però tali critiche della narrazione storica si potrebbe incrinare il rapporto con la dimensione temporale, che è una componente importantissima della storia. Foucault diceva che l’epoca presente è l’epoca dello spazio e della simultaneità. Ciò porta con sé i rischi impliciti che l’era della globalizzazione è priva di storia. Si produce una frammentazione del continuum temporale. Passato fuori contesto e tramonto della memoria La sensibilità post-moderna immette il passato nel presente senza mediazioni. Nel mondo contemporaneo il soggetto è decentrato, non pensa se stesso in termini storici o temporali: l'individuo stesso è un'entità discontinua. Inoltre, in questo periodo, la memoria ha perso il suo valore fondamentale e si è trasmessa sempre meno attraverso le vie tradizionali. Siamo nella crisi delle tradizioni dove il passato non viene più sentito come comune. Il decostruttivismo che caratterizza l’epoca contemporanea ha ridotto i legami con i sensi di appartenenza. Internet ha introdotto l’espressione “gruppi a storia zero”, gruppi che non hanno nessuna relazione con il passato. Il mutato atteggiamento verso il passato è scaturito tra la fine degli anni Settanta e fine anni Ottanta in relazione ai cambiamenti sociali e culturali che hanno messo in crisi i tradizionali sensi di appartenenza comune. Il declino della memoria è stato visto come una minaccia per la conservazione dell’identità nazionale. Così avvenne un “restauro” della memoria per trasmettere anche alle nuove generazioni il proprio passato collettivo - in particolare esperienza della Shoah. Storia e memoria sono imprescindibili e per questo, il declino della memoria, ha influito anche sulla storia. Nella società post-moderna, soprattutto alla fine del Novecento, si è intensificata la tendenza a parlare del passato e furono istituite nuove cattedre di storia nelle Università. Negli ultimi tempi molte figure si sono interessate della storia e del passato, anche per finalità pratiche come quelle ideologiche e politiche. parte terza:Interpretare il Novecento Il secolo di Auschwitz “Unicità” della Shoah L’interpretazione del Novecento, del secolo della globalizzazione, è stato attraversato dalla tensione tra universalismo e relativismo poiché manca un aspetto universalizzante in grado di conferire specificità a questo secolo. Tra fine Settecento e inizio Ottocento i secoli cominciarono ad essere caricati di proprio significato e caratterizzati da proprie esperienze storiche. Cercando di interpretare il XX secolo si è ricorso al tentativo di universalizzare gli eventi storici usando i campi di sterminio come chiave interpretativa generale; oppure si è tentato di sviluppare una storia in chiave relativistica dove esistono realtà diverse . Per molto tempo si è guardato al Novecento come un secolo spezzato dalla Seconda Guerra Mondiale. Questa visione venne assunta tra gli anni Sessanta e Settanta poiché prima si era ancora restii ad accettare tale eredità del passato. Successivamente la persecuzione degli ebrei iniziò ad acquisire uno spazio interpretativo sempre più centrale. Auschwitz è diventato il simbolo degli orrori del XX secolo e della Shoah. Auschwitz e la Shoah per la loro “unicità” sono posti fuori dalla storia per non banalizzarli e renderli un episodio come altri attraverso la storicizzazione. Attraverso la storicizzazione infatti, questo “male assoluto” verrebbe frammentato attraverso le diverse interpretazioni. L’unicità sollecita la memoria. Esistono moltissimi documenti che raccontano la verità dei lager, ma ciò non garantisce un riconoscimento universale della Shoah. Infatti il negazionismo può non credere nell’esistenza di questi documenti e conseguentemente non credere nell’esistenza della Shoah. A causa quindi di questa corrente letteraria è stato necessario ricorrere alla storia. L’atteggiamento opposto al negazionismo è la “sacralizzazione” di Auschwitz, che lo svuota della realtà concreta e lo rende un qualcosa di astratto e irreale. Anche qui la storia può evitare questo problema. La storicizzazione degli eventi ha dato molto spazio alle testimonianze, ma rimane ancora un evento incomprensibile. Totalitarismo e modernità La comparazione tra comunismo e nazismo, per l’uso organizzato di una violenza, esercitata su scala vastissima e con risorse moderne, è stata oggetto di molte critiche e discussioni. Molti, infatti, hanno rifiutato tale comparazione. Le radici delle teorie del totalitarismo sono collegate alla persecuzione nazista degli ebrei in Europa come reazione e opzione a favore delle vittime. I primi ad usare questa parola furono Giovanni Amendola, Luigi Sturzo e Mussolini (in chiave positiva). Negli anni ‘30, in Francia, si affermava che gli stati totalitari rappresentavano una degenerazione politica. Negli anni ‘40, Fraenkel metteva in discussione il collegamente tra Stato tradizionale e regimi totalitari. Neumann negava che il Terzo Reich potesse essere definito uno Stato, poiché era privo di una chiara struttura politico-istituzionale. Anche Hannah Arendt affrontò questo tema nell’opera Origini del totalitarismo pubblicata nel 1951. Rimase sconvolta per l’inutilità dello sterminio. Secondo la Arendt le origini di questi eventi vanno collocati nella degenerazione degli stati nazionali tra la fine dell’800 e inizi ‘900, in una situazione di crisi. Il totalitarismo è una realtà differente dalle forme politiche tradizionali e per questo si astiene dal definirlo Stato. E’ una “patologia sociale”, un movimento internazionalista, antistituzionale e proiettato in un'azione distruttiva su scala mondiale. Ella propose una comparazione tra nazismo e stalinismo, applicando anche al mondo sovietico la categoria del totalitarismo. L’essenza del totalitarismo si ritrova nell’assenza dei diritti umani riscontrabili nei lager e nei gulag. Per altri, l’essenza del totalitarismo, è riscontrabile nel controllo totale da parte del regime sulla vita quotidiana dei cittadini e sui loro pensieri (es. 1984 di Orwell). Il totalitarismo rappresenta una novità assoluta del XX secolo, in profonda rottura con le realtà politico-istituzionali del passato. O movimenti totalitari sono profondamente segnati dal legame con la modernità. In Italia Nolte venne ripreso da Del Noce e De Felice. Essi ritengono superiore il fascismo, in quanto realtà italiana, moderna e rivoluzionaria. Revisionismo e “Historikerstreit” Al revisionismo sono stati attribuiti significati diversi: nel XIX secolo ha avuto fortuna nel contesto religioso protestante; in ambito comunista per denunciare deviazioni dai princìpi marxisti; revisionisti sono coloro che proponevano una revisione dei trattati di pace dopo la Prima Guerra Mondiale; in America mettevano in discussione la politica statunitense durante la guerra fredda. Negli ultimi decenni del Novecento, la parola revisionismo è entrata in rapporto con la Shoah per ridimensionarne la portata. Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento, la storiografia revisionista ha dato importanza ad una ricostruzione storica del fascismo (es. De Felice) ed ha assunto un atteggiamento critico nei confronti del comunismo. Ma ciò che rimane fuori dal comunismo e dal fascismo non viene preso in considerazione. Il dibattito tra gli storici - Historikerstreit - si è svolto in Germania negli anni Ottanta in risposta ad una crisi dell’identità tedesca causata dalla globalizzazione. Il revisionismo si inserisce, dunque, come reazione alla globalizzazione. Questo è un processo di internalizzazione obbligata che travolge gli Stati. I revisionisti lo giudicano negativamente, mentre altri positivamente. Nolte pose in relazione bolscevismo e nazismo, dichiarando che il primo è la causa indiretta del secondo. Sul piano ideologico l'estremismo universalistico del bolscevismo provoca nel nazismo l’estremismo nel particolare. Negli anni Quaranta affermava il carattere originario del fascismo in cui comprendeva anche il nazismo. Alle teorie di Nolte si oppose Habermas, che considerava positivamente la modernizzazione e le sue implicazioni internazionalistiche. Un altro punto del dibattito fu la critica delle teoria del totalitarismo. Secondo ciò Stalin e Hitler sono comparabili. Da una parte le critiche affermavano l'assoluta incomparabilità tra comunismo e nazismo; secondo Nolte non bisognava solo comprarli, ma giungere alla consapevolezza che il nazismo deriva dal comunismo. Hobsbawm nega che il comunismo sia stato un sistema totalitario. In molti casi gli orrori dei gulag e del lager è rimasto nel silenzio. Dissoluzione del comunismo e fine della guerra La fine del comunismo rappresenta l’evento epocale che concludeva la fine del XX secolo. Fukuyama affermava che la storia avesse una direzione e quindi un compimento:la storia conduce alla libertà. La caduta di Berlino rappresenta l’evento culminante della storia sotto il segno della libertà e dunque questo rappresenta la “fine della storia”. Per Dahrendorf il 1989 rappresenta la rivoluzionaria unificazione del mondo attorno alla democrazia. Entrambi concordano che la caduta del muro segnò la fine della guerra fredda con il riconoscimento della superiorità morale dell’Occidente. Dahrendorf sosteneva però che il socialismo sarebbe stato rilevante nel dibattito politico anche dopo la guerra; invece Fukuyama credeva che il motivo della vittoria fosse stata la democrazia americana. Queste interpretazioni vertono più su un piano etico, filosofico e sociologico, non guarda alle cause della caduta del comunismo. Solitamente l’interpretazione di un secolo di basa sugli eventi inaugurali. Ad esempio la Rivoluzione francese rappresenta l’evento inaugurale dell’epoca contemporanea per la sua influenza sugli avvenimenti del periodo successivo. Le rivoluzioni in generale si presentano come spartiacque tra vecchio e nuovo. Nelle interpretazioni del Novecento, soprattutto quelle del “secolo breve”, l’evento conclusivo è stato preso come chiave di lettura. Il XX secolo inizia con la Prima Guerra mondiale e termina con la caduta del muro di Berlino. Per Nolte il crollo del comunismo è stato causato dal ritorno delle nazionalità. L’idea di progresso universalistico propria del bolscevismo in realtà era inesistente proprio per il suo fallimento. Per Nolte e Hobsbawm il Novecento è stato dominato dallo scontro tra fascismo e comunismo e ritengono che il riemergere delle nazionalità sia stato un fattore fondamentale per la caduta del bolscevismo. Per Nolte questo è una liberazione, mentre per Hobsbawm è motivo di delusione. Per Hobsbawm la fine del comunismo è il motivo per cui la rilettura del Novecento è da fare in chiave negativa. Secondo Furet il Novecento è stato caratterizzato anche da un ritorno vittorioso del liberalismo. La dissoluzione dell’Urss rappresenta l’evento finale che illumina tutta la vicenda precedente. L’universo comunista si è dissolto da solo e la sua fine ne ha sottolineato l’inconsistenza, annullandone anche l’origine (Rivoluzione d’ottobre) poiché ha una funzione reazionaria,in opposizione al futuro. Anche le speranze che ha suscitato si sono rivelate conseguentemente solo un’illusione. Le cause del fascismo e comunismo vanno ricercate nella disgregazione dei regimi precedenti dopo la Prima Guerra mondiale. Le debolezze del secolo breve sono rappresentate dalla rimozione di aspetti rilevanti del passato, ovvero non prendono in considerazione la storia dopo il 1945. Alla rimozione del passato corrisponde la negazione del futuro. Ogni speranza si è annullata proclamando la fine della storia. Le tesi revisioniste si sono sviluppate dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss anche se in realtà il mondo post comunista è cominciato prima della caduta del muro. parte quarta: Fare storia nel mondo globalizzato Nazione, stato e democrazia La costruzione dello stato moderno L’interesse per il locale e le identità ha favorito il gusto della storicità, la quale è intesa come ricostruzione dall’interno. In un mondo frammentato l’umanità è spinta a riconoscersi in un’appartenenza comune. La globalizzazione ha rinnovato l’attenzione verso il tema delle nazioni, ma cambiando l’approccio storico e gli interrogativi a cui rispondere. Lo stato nazionale non rappresenta un modello universale, poiché non tutte le civiltà sono destinate a diventare degli Stati, secondo l’ottica eurocentrica. Inoltre si comincia a riflettere sull’impossibilità di far coincidere Stato e Nazione; infatti il primo è un’organizzazione legale e politica mentre la seconda e’ una comunità di persone. A fine Novecento, c’è sempre più l’esigenza di affrontare in chiave storica il rapporto tra etnie, stati e nazioni. Il tema delle identità etniche era stato affrontato anche negli anni Cinquanta. Gli storici mettevano in evidenza il loro carattere culturale e non biologico. Le etnie sono formazioni contingenti che si sviluppano nel tempo e sono soggette a continue variazioni. Il dibattito ha investito anche i rapporti tra etnie e nazioni. Secondo i primordialisti le nazioni sono realtà molto antiche che coincidono con le etnie; i modernisti, invece, le nazioni sono emerse tra il XVIII e il XIX secolo (Inghilterra primo esempio di nazione XVI secolo). Lo stato nazionale moderno implica una nazione territoriale diversa dalla nazione etnica. Verso la fine dell’età moderna il legame con il territorio ha acquisito un nuovo spessore politico, economico e culturale. Anticamente, per molto tempo, i confini territoriali hanno circoscritto lo spazio economico e le prevalenza politiche, culturali ed economiche di un gruppi etnico. Nazioni occidentali e nazioni orientali Il dibattito storiografico negli ultimi decenni del Novecento ha riguardato le diverse modalità attraverso cui si è realizzato il passaggio dalle etnie alle nazioni, con particolare riferimento al ruolo dello Stato. Una nazione può essere vista “dall’alto” come una costruzione sociale ad opera delle élites dirigenti che progressivamente hanno creato una cultura omogeneizzata; oppure “dal basso ”, come una comunità culturale frutto di un lungo processo storico, in gran parte spontaneo. In entrambi i casi le nazioni rappresentano l'anello intermedio tra etnie e stati, attraverso cui il cittadino si lega allo Stato. George Mosse nel 1974 afferma che i caratteri autoritari degli stati danno vita alle nazioni, creando un collegamento tra origini del totalitarismo ad espressioni di nazionalismo. Molti storici ritengono che la creazione di una società di massa con un’identità nazionale è tra il 1890 e il 1914. Tra secolarizzazone e fondamentalismo Religione e modernità Nel mondo globalizzato, anche le religioni sono emerse come identità. Gli eventi dell’11 settembre 2001 hanno enfatizzato in modo drammatico la questione del ruolo delle religioni nel mondo globalizzato. Per vari decenni del XX secolo, le religioni sono state descritte come un passato ormai definitivamente tramontato. Per Durkheim nel mondo moderno la religione è virtualmente finita. Nel XIX, la Chiesa cattolica si è sentita sempre più estranea alla laicizzazione del mondo moderno e più in pericolo. Negli ultimi decenni, in Italia, si è accesso un rinnovato interesse verso la religione, soprattutto nel loro rapporto con il potere politico e la modernità. Secondo Miccoli, il processo ideologico di secolarizzazione tipico della modernità trova l’opposizione della Chiesa cattolica. Secondo Menozzi l’espressione secolarizzazione indica il processo storico con cui la società e la cultura si liberano dal controllo religioso. La Chiesa è contraria alla laicizzazione poiché è contraria all’emancipazione dell’uomo. Secondo Paolo VI, la Chiesa deve accogliere positivamente la secolarizzazione, mentre per Giovanni Paolo II la secolarizzazione è un fenomeno globalmente negativo. La Chiesa cattolica, difendendo il proprio potere, si troverebbe sempre più estranea dalla modernità. Il “risveglio del sacro” Quest'espressione è stata usata per descrivere fenomeni avvenuti fuori dai paesi europei a partire dalla rivoluzione khomeinista avvenuta in Iran nel 1979. Tra la fine del ‘900 e l'inizio del XXI secolo si è sviluppato il fondamentalismo. Questo è caratterizzato dal principio di infallibilità delle letture, per cui esclude qualunque mediazione del testo sacro. Questo principio però viene utilizzato dal protestantesimo, dal mondo islamico e quello ebraico, mentre per il cristianesimo risulta un problema. Infatti il credente cristiano è accompagnato dalla mediazione della Chiesa. I fondamentalismi sono caratterizzati da una profonda fiducia nella loro capacità di comprenderne i contenuti e saperli applicare alla propria vita. Al contrario l'integralismo cattolico esaspera il principio dell'autorità della Chiesa, con il risultato di allontanare il credente dal testo sacro. Il fondamentalismo, contrariamente al tradizionalismo, richiama alla tradizione in maniera selettiva, spesso reinventandola e creando conflitti all'interno delle comunità religiose. Il fondamentalismo, inoltre, è “anti-moderno”, rifiuta il relativismo e afferma l'universalismo. Emerge in momenti di crisi della tradizione, durante cambiamenti sociali e culturali. In realtà, però, il fondamentalismo appare profondamente dipendente dai processi di modernizzazione: come nel'uso di moderne tecnologie di comunicazione e propaganda. Costituisce un aspetto centrale della modernità. Le finalità religiose fondamentaliste entrano in conflitto con lo Stato, ma al tempo stesso è usato come strumento di rafforzamento di un’identità in crisi. Il fondamentalismo religioso è profondamente collegato al contesto storico contemporaneo quale generale espressione della crisi delle tradizioni che Beck ha definito “detradizionalizzazione”. La scomparsa delle religioni non sembra esserci compiuta, anche grazie ai processi migratori che hanno costituito un osmosi di religioni. Modernità e religione convivono negli stessi contesti. Verso la contemporaneità Il XX secolo si è rivelato diverso da ciò che si era detto dopo il 1989 sul “secolo breve”; appare piuttosto come una lunga e complessa transizione attraverso cui sono passate anche le Chiese cristiane. Nel 2000 si è aperto un dibattito sul bilancio dei martiri cristiani del ‘900 in tutto il mondo. Il numero è apparso sorprendentemente alto e di grande vastità. Anche il mondo extra-europeo ha influito molto. Già Pio IX e Leone XIII avevano sviluppato una politica orientale della Santa Sede, cosicché la Chiesa cattolica ha cominciato ad incontrare anche seguaci di altre religioni. Benedetto XV è stato il primo a difendere i diritti umani dei non cattolici - genocidio degli armeni -, ha inoltre preso le distanze dal “colonialismo religioso” ( = spedizione missionarie) e dai nazionalismi europei. Dopo di lui si cominciò ad intendere la Chiesa come il rapporto tra universalità e località, dove la prima è al servizio della seconda. La “svolta extra-europea” intrapresa da lui e proseguita da altri ha permesso alla Chiesa cattolica di instaurarsi anche in realtà al di fuori del mondo occidentale, inserito in un disegno universale. Il conflitto con la modernità ha spinto la Chiesa a diventare sempre più contemporanea, ma l’ha allontanata dalla vita quotidiana di milioni di persone. Grazie al Concilio Vaticano II questa situazione fu superata. Il Concilio Vaticano II ha permesso alla Chiesa di ricollocarsi in un più ampio orizzonte mondiale, riprendendo in modo più chiaro la propria missione. Nell'evoluzione della Chiesa cattolica hanno avuto grande importanza le due guerre mondiali. La Prima mise in difficoltà l'unità della Chiesa, tanto che Benedetto XV si oppose alla guerra a sostegno della pace. Questo comportamento gli attirò l'attenzione della comunità europea. Si sono innestare nuove relazioni tra la Chiesa e le masse. Con Pio XI si cerco di trovare i modi più adatti per convivere con fascismo, nazismo o comunismo, contrapponendosi al primo per l'uso strumentale della religione e al secondo per il razzismo e l'antisemitismo. Pio XII, ricordato come il “papa della pace”, ha cercato di collocare la Chiesa su una posizione di imparzialità e neutralità, preferendo la via della democrazia. La Chiesa nella transizione I percorsi compiuti dalla Chiesa in Europa e fuori dall'Europa sono stati fusi da papa Giovanni XXIII e il concilio Vaticano II. Questo Papa, secondo l'ecclesiastico Angelo Roncalli, favorì il passaggio da una Chiesa museo (estranea alla dimensione storica) ad una chiesa giardino (dove le stagioni diverse producono il cambiamento). Il Concilio Vaticano II è stato definito il “Concilio della Storia” poiché ha valorizzato il rapporto della Chiesa con il suo passato ed ha rivalutato tanti aspetti di una tradizione più antica. La Chiesa cattolica non si dimostra intransigente nei confronti della modernità, né è ossessionata da un recupero del passato. È piuttosto fedele ad elementi considerati caratteristici della propria identità come il ruolo centrale del Papa e di Roma, mentre ha modificato alcuni atteggiamenti che sottolineavano la distanza della Chiesa dalla contemporaneità. Nella Chiesa cattolica del Novecento la novità è stata introdotta attraverso la continuità. Il Concilio ha “aggiornato” tutti gli aspetti della vita della Chiesa, compreso il rapporto con le altre religioni. Dopo la caduta del comunismo, le tradizioni cristiane hanno conosciuto un declino. Si è acceso un dibattito nella convinzione che il mondo fosse ormai entrato in una fase di eclissi del sacro. Il centro della Chiesa cattolica si è spostato all'esterno rispetto al continente della “cristianità”. Per contrastare questo declino la Chiesa cattolica ha cercato di contrastare la secolarizzazione, attraverso una rievangelizzazione che nei paesi extra-europei era stata molto positiva. Furono rivolte critiche a Pio XII dopo il 1963 per la sua condotta durante la guerra, in particolar modo per la mancata denuncia pubblica riguardo lo sterminio degli ebrei e per la sua mancata apertura verso la modernità. L'attenzione ai Papi è molto importante, tanto che l'atteggiamento di un singolo può mimare l'intera Chiesa. Le religioni contro il fondamentalismo Gli ultimi anni del Novecento hanno obbligato la Chiesa cattolica a ripensare al rapporto con le altre culture. Il XXI secolo è composta da società multietniche, multiculturali, dove la Chiesa deve confrontarsi con i problemi di convivenza e di conflitto causato dalla globalizzazione. L'ecumenismo ha unito tutte le Chiese cristiane ed ha trovato un punto d'incontro con le altre chiese monoteiste. Così il documento firmato dai cattolici o esponenti di altre religioni ha cercato di annullare le distanze e rimuovere i conflitti. In realtà si sono costituiti nuovi motivi di separazione. La globalizzazione e i nuovi processi di interdipendenza tendono a ridurre le distanze, favorendo sia l'avvicinamento che la conflittualità tra credenti. Nel 1986 Giovanni Paolo II ad Assisi ha promosso un incontro per la pace tra i leader di tutte le religioni mondiali, dove culture differenti hanno trovato un comune terreno di incontro. Dopo l'11 settembre 2001 scoppia una “guerra religiosa” tra le religioni e i fondamentalisti, considerati come un nemico interno. L’incontro nel gennaio 2002 ad Assisi indetto sempre da Giovanni Paolo II sancisce la presa di posizione delle religioni contro il fondamentalismo. La religione acquisisce così una nuova funzione pubblica. L'inizio del XX secolo rappresenta una ripresa delle religioni per far fronte ad un nemico comune. Oggi il cattolicesimo rappresenta la radice di