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Riassunto Per Kubrick. Dodici sguardi critici, Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Riassunto del libro per l'esame di Forme della messa in scena a.a. 2021/22 con il prof Zagarrio

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 27/01/2023

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Scarica Riassunto Per Kubrick. Dodici sguardi critici e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! Per Kubrick. Dodici sguardi critici Tra lirismo e classicità. La geografia dell’azione negli esordi di Stanley Kubrick Analizzando la carriera di Kubrick, appare corretto parlare di esordi. Rivolgiamo uno sguardo ai primi due lungometraggi  sembra che dopo Paura e Desiderio (P&D) ci sia stata una volontà da parte del regista di tornare radicalmente sui propri passi per realizzare un film, Il bacio dell’assassino (IBDA), che appare come un punto di ri-partenza nella sua carriera. Ripartenza tesa a gettare le basi di un nuovo percorso. Tentando di inquadrare questo “doppio esordio”  necessario notare come negli anni ’50 negli USA rappresentino un decennio preso tra due forze opposte. - Anni di un’affermazione dello stile classico hollywoodiano; - Iniziano a definirsi alcune linee di tendenza che porteranno alla nascita della New Hollywood. Piano produttivo  interessante l’esistenza in quegli anni in America di una doppia via per il cinema indipendente: - Da una parte si ritrova «il rifiuto totale di ogni rapporto con l’industria dominata dalle major; - Dall’altra si cerca una qualche forme di «dialogo con quel sistema» al fine di garantire una buona circolazione dei film. Sotto questa prospettiva la realizzazione dei due film esibisce alcuni embrionali segnali di un passaggio dal primo al secondo modello produttivo. Possiamo considerare IBDA un film indipendente al pari di P&D. Ciò nonostante, è altrettanto vero che il secondo film inaugura un dialogo con i generi cinematografici che resterà pressoché costante per l’intera carriera del regista. Sembra dunque che Kubrick stia cercando in questi anni il proprio personale modo di essere “autore”. In P&D si ritrova una volontà autoriale radicale, che è esibita mediante una costante avversione nei confronti della geografia dell’azione che supporta lo stile classico, la quale garantisce e giustifica una “naturale” adesione da parte dello spettatore ai punti di vista che il regista propone nel film. P&D  i personaggi appaiono sopraffatti da un ambiente che non riescono a dominare e che finisce per “immobilizzarli” sul piano narrativo. Da qui quell’effetto complessivamente “lirico” e “straniante” che caratterizza il film. La geografia dell’azione sembra ripristinata nel secondo film contraddistinto da uno schematismo narrativo che si contrappone alle atmosfere rarefatte del film precedente (IBDA): - un’ambientazione urbana tipica di molti film noir degli anni ’40; - tipizzazione evidente dei personaggi e caratterizzazione delle loro psicologie e dei loro vissuti - alcuni personaggi hanno dinamiche riconducibili ai canoni del genere noir: il malavitoso, l’infatuazione del protagonista maschile nei confronti della protagonista femminile, l’incombenza di un passato tragico. L’intera vicenda del film è scandita all’interno di una struttura narrativa solida. Tutto appare saldamente strutturato in questo film che si fonda su una trama sostanzialmente lineare e che è caratterizzato da un finale che non lascia interpretazioni. Personaggi che sono portatori di un’azione trasformativa, a differenza di quelli del film primo film che emergono prevalentemente a livello introspettivo ed esistenziale. Primo film  Kubrick sembra voler aderire a quello che Grodal definisce = ideale artistico di derivazione romantica, incentrato sulla restituzione di una visione del mondo originale e sulla presa di distanza da un contenuto emotivo troppo diretto. Secondo film  troviamo un modello maggiormente bilanciato, frutto della negoziazione tra una forma che continua ad apparire “alta” e contenuto che risulta maggiormente per lo spettatore medio. Possiamo sostenere che si ritrovi in P&D una volontà (esibita) di tralasciare «il livello medio dell’interazione concreta (narrativa) per evocare significati permanenti, astratti e soggettivi». Un film “artistico”, nel senso in cui vuole esserlo P&D, si contraddistingue anche per le specifiche caratteristiche dei contenuti che questo veicola e che legittimano una sua lettura filosofico-esistenziale. In P&D il montaggio assume quella funzione che Bazin definisce di trasformatore estetico. La logica che si ritrova alla base del concatenamento delle immagini in questo film è debitrice delle sperimentazioni proprie della poetica di alcuni cineasti. Si genera molto spesso in P&D una narrazione disincorporata (disembodied)  cioè la strutturazione di sequenze in cui l’azione dei personaggi non è tesa a un’interazione costruttiva con l’ambiente al fine di raggiungere uno scopo reale, ma che ci restituisce piuttosto le tracce di una vicenda che «ha luogo in un mondo interiore, soggettivo». Grodal ritiene che una tale strategia solleciti una rete di associazioni tese a privilegiare procedimenti di astrazione. Un cinema che non scende a patti con i gusti del grande pubblico; un cinema che intende favorire l’accesso dello spettatore a un livello allegorico-metaforico che soggiace alla concretezza delle azioni visibili sullo schermo. Resta intesa la funzione descrittivo-analitica insita nel richiamo a un modello “artistico” di questo tipo, tesa cioè a individuare e analizzare delle peculiarità estetiche. Un film “artistico”, in questo senso, non è necessariamente migliore di un film “medio”. Lo stesso Kubrick rinnegherà fortemente P&D, lo bollerà come esercizio giovanile e cercherà di prenderne le distanze. In tal senso, possiamo leggere la “sterzata” di Kubrick nella produzione del suo secondo film come un tentativo di rinsaldare il nesso tra uno stile visivo riconoscibile, e non trasparente, con una struttura narrativa caratterizzata dall’azione orientata dei personaggi: un modello incorporato (embodied), fondato su «azioni compiute da agenti umani per i quali i processo mentali sono strettamente legati alle azioni fisiche finalizzate a scopi reali». Da qui la possibilità di rintracciare per IBDA modelli di riferimento “alti”. Nome su tutti  Orson Welles, ma emerge in questo film anche il dibattito di Kubrick nei confronto dell’eleganza stilistica e compositiva di Max Ophuls. Modelli capaci di conciliare uno stile visivo ricercato con un piacere narrativo che poggia sull’azione orientata dia personaggi e sulle dinamiche evolutive del racconto filmico. La classicità a cui approda Kubrick con IBDA è filtrata attraverso la lente di quei registi che sarebbero stato consacrati “autori” della critica europea. L’approdo a questo modello stilistico consente al regista di non screditare il potenziale visivo dei suoi film senza dover necessariamente rinunciare al piacere della narrazione. Orizzonti di gloria Di Pierre Sorlin Mentre la 2° GM costituisce, per il cinema, una fonte inesauribile, ci sono pochi film sulla 1°. Tre opere  Orizzonti di gloria (Kubrick), Per il re e la ptria (Losey) e Uomini contro (Rosi), affronteranno un tema di coi non si parlava mia. variazioni si enuncia fin dall’inizio un tema per poi elaborarlo e trasformarlo, qui invece non c’è un motivo originario enunciato: le riprese e variazioni dello stesso motivo sono accuratamente mascherate e confuse nell’intreccio. Lo stile di Kubrick appare fondato sul motivo del Perturbante (ripetizione mascherata). Inoltre, egli inserisce delle ripetizione nelle ripetizioni. Di ripetizione si può parlare su due piani differenti: Hjelmslev  si può distinguere una ripetizione nelle forme del contenuto e una ripetizione nelle forme dell’espressione. Consideriamo il primo tipo: riguardano le strutture dei racconti. La forma modello del racconto kubrickiano è basata sulla ricorrenza di situazioni e figure analogiche: motivo del doppio. Un vero e proprio tour de force sul tema del doppio lo troviamo in Lolita. Quility è una vera e propria incarnazione del Perturbante. Qui Kubrick compie una svolta, e acquista piena coscienza della propria poetica che diviene anche una forma stilistica. Quility è il protagonista del film o, meglio, lo è in quanto ombra di Humbert. La maggiore innovazione di Kubrick rispetto al romanzo  avere spostato il centro di attenzione da Humbert a Quility, ovvero dal protagonista alla sua ombre. Kubrick ha chiaramente capito che il grande tema e la grande invenzione del romanzo era la serie dei molteplici travestimento adottata da Quility. Nella sceneggiatura di Nabokov il primo incontro tra Humbert e Quility si consuma rapidamente. Nel film invece la conversazione è più lunga, insistente e tenebrosa. Sellers-Quility parla molto in fretta, affannosamente, mangiandosi gran parte delle parole, ma così fa anche in modo che Mason-Humbert, e lo spettatore con lui, riceva l’impressione di continue insinuazioni. Sellers affoga il suo interlocutore sconcertato in un profluvio di parole, manifestando però anche una certa sofferenza, come se cercasse disperatamente di nascondere qualcosa. La messa in scena kubrickiana è molto semplice e oltremodo simbolica: si tratta praticamente di un solo piano d’insieme in cui sono stati inseriti dei primi piani e delle soggettive. Tutti e due i personaggi guardano verso di noi. Lo spettatore si trova diviso: da una parte sa chi è Quility, dall’altra si identifica con Humbert. Quility è in una posizione letteralmente ambigua, perturbante, noto e sconosciuto. La scena poi, iniziata con l’ingresso di Quility, termina in modo simmetrico con l’uscita di Humbert. La sequenza è costruita come se si trattasse di un piccolo componimento in due strofe, con una serie di ripetizioni e di rime. La struttura rimata del montaggio crea una serie di incontri di sgaurdi mancati, struttura illusoria e fuorviante, ponendoci sulla soglia fra un sapere (nostro) e un non sapere (di Humbert). L’assonanza è una delle forme del Perturbante: il ritorno di un suono dentro un’altra parola; è una ripetizione mascherata ma anche sottolineata, il ritorno di una cosa che è e non è la stessa. Più avanti Kubrick, affascinato da questo gioco del ritorno di Quility, lo ripete di sua iniziativa, andando ben oltre il romanzo, ed è qui che si vede come il film sia una interpretazione molto forte del romanzo. Nella sceneggiatura di Nabokov, Humbert incontra effettivamente Quility al collage di Beardsaley. Nel film, invece, a questo punto della storia troviamo un altro mascheramento che per lo meno diabolico. Anche qui la situazione p psicoanalitica e sembra alludere al gioco fra coscienza e inconscio. Quility si presenta a Humbert nelle vesti un certo professor Zempf, si fa trovare in casa di Humbert al buio e lo minaccia di condurre un’indagine sulla sua vita privata. Infine, Quility ritorna sotto forma di fantasma telefonico per stuzzicare di nuovo Humberto nella notte in cui aiuta Lolita a scappare dall’ospedale. Un altro confronto può essere utile  Lolita è del 1962 e Psycho del 1960, non sembra inverosimile che Kubrick abbia voluto fare una parodia di Hitchcock: mentre Psycho racconto un caso di schizofrenia, in Kubrick si tratta di paranoia, una specie di parodia della schizofrenia. Anche la conclusione-epilogo dei due film è molto simile. Dalla ripetizione al film strutturale Dopo Lolita, Kubrick avvia una serie di ripetizioni: non si abbandona ad essa, ma continuamente la rielabora, ne fa un sistema di ricerca e di approfondimento, per scoprire l’uguale nel diverso e anche il diverso nell’uguale. La ripetizione diventa lo strumento stilistico ed euristico che Kubrick usa per sviluppare un’opera che è un autentico macrotesto, ed è anche una poetica. L’opera di Kubrick da questo film in poi ha come tema le strutture antropologiche dell’immaginario. La ripetizione gli serve per mostrare che il regno apparentemente sconfinato dell’immaginario umano è di fatto esiguo e poverissimo, ripetitivo e banale. Nell’opera di Kubrick la ripetizione assolve una funzione non solo estetica, ma anche tematica. Questa riflessività totale è intrisa di una profonda malinconia, in cui si esprime il senso di claustrofobia, di angustia per la constatazione che c’è sempre un grumo di desiderio e di immagini strutturalmente analoghi. Tutti i personaggi: Stranamore, Alex, HAL 9000, Redmond Jack hanno ambizioni napoleoniche che li destinano però a diventare parodie di se stessi. In questo sono tutti figli di Humbert Humbert, progenitore paranoico. Per evitare l’identificazione con questi personaggi, esiste sempre in ogni film anche un POV estraneo e lontano; in ciascun film c’è più di una scena che distanzia. Questo punto di vista, che potremmo chiamare disidentificante è sempre una figura retorica: spesso una soggettiva dal POV di personaggi inesistenti o altre volte uno zoom indietro che sembra interminabile. - Queste soggettive senza soggetto sono il punto di forza del Perturbante, poiché ci immettono in una doppia corsia contraddittoria: da un parte siamo noi che guardiamo, dall’altra parte sentiamo che lo sguardo di cui siamo partecipi è superiore, che non è possibile raggiugerlo, quindi siamo noi e non siamo noi. - Nell’altro caso, a produrre disidentificazione è lo zoom lentissimo. Siamo davanti a un paradosso, poiché con questo movimento siamo vicini e nello stesso tempo lontani, siamo dentro e nello stesso tempo siamo fuori. In questi momenti, i Perturbante è l’enunciazione stessa, il Perturbante siamo noi. Con Il Dottor Stranamore Kubrick riprende la stessa tecnica: usa lo stesso attore, Peter Sellers, per interpretare diversi personaggi. L’effetto è quello di un gioco metatestuale, in cui Kubrick non solo sbeffeggia l’America, ma deride anche il genere cinematografico usato per sbeffeggiare l’America, cioè la commedia, poiché mette i personaggi contro se stessi. IDS è una commedia che deride se stessa: dato che le parti sono interpretate dallo stesso attore, il film ci rigetta continuamente al di fuori della rappresentazione, ci costringe a riprendere la nostra posizione di spettatore, oltre naturalmente al fatto che cita espressamente Lolita, nel metodo. Quello che in Lolita è diegetico, qui è profilmico, stiamo guardando la genesi e la struttura del film. Più che un lavoro di destrutturazione, Kubrick mette in atto un lavoro di risoluzione dei generi. Per ogni genere che affronta cerca di realizzare il film finale che pone termine al genere stesso, essenzializzandolo, svelandone i meccanismi, i personaggi e le situazioni; realizza dei film, per così dire strutturali, delle forme- contenitori in cui ogni storia è anche un paradigma per tutte le storie simili. Non aggredisce soltanto i generi ma, attraverso questi, anche le varie branche del sapere e della cultura occidentale, smontandole con le armi di una filosofia analitica sottile che lavora continuamente sul filo dei paradossi. Barry Lyndon  usa il periodo storico per illustrare la crisi dell’uomo moderno. I personaggi si comportano in modo rituale, tanto da far pensare a una messa in scena della quale sono consapevoli. Tutto si ripete ciclicamente. Kubrick fa in modo che il racconto di una vita diventi il racconto della vita. La storia di Barry, infatti, è semplicemente un paradigma di tutte le storie e di tutte le vite. Se nel romanzo il capitano Barry è un diverso, un infiltrato, nel film è un autentico eroe romantico. Quindi è veramente un eroe, e al tempo stesso non lo è. Questa partenza, che gli conferisce un’aureola di nobiltà, è subito rovesciata, perché Barry parte con la mamma, indizio di un infantilismo atroce, in cui possiamo leggere gli elementi non soltanto della tragedia, ma anche della parodia. Prima definizione dell’opera di Kubrick: in ogni genere che affronta, riesce a fare l’ultimo film possibile, quello che non solo condensa il genere, ma che lo simbolizza e che lo analizza. Con ogni film aspira a risolvere dentro un genere tutte le potenzialità del cinema scoprendo che la somiglianza è l’altra faccia della differenza. Istanti lunghi come minuti. Kubrick e Malick Di Fabrizio Borin In tre film diretti da l'americano Malick è possibile trovare ascendenze kubrickiane di regia, poetica e stile: la rabbia giovane (‘73), i giovani del cielo (‘78), la sottile linea rossa (‘98). Un’altra similitudine tra i due registi consiste nell’aura di mistero e nascondimento che avvolge entrambi. Le storie sui personaggi del mondo del cinema da sempre si nutrono di elementi contrapposti. in ragione della sua posizione davanti alla macchina da presa, l'interprete ha sempre un volto, un corpo dominio pubblico; ciò non accade invece per la figura del regista, che stando dietro alla mdp risulta essere non inquadrabile, non visibile, una figura priva dell'abbinamento nome-volto, esclusivo appannaggio degli attori protagonisti. i due registi considerati si segnalano per la loro autostima in questa scelta di autoisolamento selvatico. È questa una cifra che non può non risultare nel trasferimento di linee espressive dall’autobiografico al film, nelle tematiche predilette, in alcuni aspetti ossessivamente ripetuti, nelle vite dei personaggi e nei loro sofferti destini individuali. Destini già in partenza segnati dal tema della solitudine, del disagio, del conflitto tra generazioni, dall’assurdità delle vicende umane, dall’imprevedibilità dei comportamenti, dalla follia. Ripercorrendo le disavventure dei due sarà possibile ritrovare in Malick alcuni topoi kubrickiani. Il distacco partecipato tra film e osservatore, creato già da Kubrick con l'uso della voce off, e quel senso di svuotamento drammatico che progressivamente sembra mangiarsi le identità dei personaggi, mentre fa crescere lo spazio intorno e i problemi da cui essi sono soffocati, sono tipici tocchi di regia che si impongono imperiosamente anche in Malick. Portandosi dietro questo pesante bagaglio Malick ripropone la ricerca della Sopravvivenza da parte del suo Individuo Prigioniero, pretendendo, come Kubrick, quel cortocircuito ludico che scatta tra autore, testo e spettatore. Se i due registi esemplificano la mitologia cinematografica odierna per il fatto di essersi autoesiliati, essersi resi inaccessibili alle stesse ritualità della società dello spettacolo di cui sono parte attiva, il tutto è una precondizione di ulteriori somiglianze anche dal punto di vista di riconoscibilità di alcune tematiche, quali: conflittualità senza via di uscita e simultaneo rifiuto delle convenzioni consolatorie, attenzione per gli effetti del caso, scavo dei comportamenti dell’anima, quando essa è posta di fronte a sollecitazioni tremende. Il regista Malick lo fa presentando situazioni esasperate, terminali, in cui si arriva al cuore del La grandezza del cinema di Kubrick non è nella provvista formale delle sue risorse, nella monolitica essenza del suo sguardo, nella capacità unica di gestire e controllare la macchina cinema, la sua grandezza sta nella percezione nitidissima dei limiti intollerabili della fatuità di tale concezione. C'è qualcosa di toccante nel cinema di Kubrick, ovvero il non detto, il non rivelato, del credo nella divinità della regia del regista. Della ricerca di quel punto, quell’inezia, che annulla ogni regia, ogni scelta stilistica, ogni movimento di macchina, e che si impadronisce dell’inquadratura contro ogni volontà autoriale. Questo qualcosa è iscritto nella stessa messa in scena, che mentre allestisce una forma inespugnabile, prepara inconfessabile la registrazione di qualcosa che a tale forma non appartenga e non sia riducibile , e di cui l'attore è il centro propagatore: qualcosa di inspiegabile, insistente e ottuso. Lo spazio e il racconto Di Roberto De Gaetano Esiste una relazione tra lo spazio e le pratiche di configurazione simbolica del mondo che attraversa livelli e linguaggi diversi: dal linguaggio verbale a quello iconico, dalla composizione architettonica alla configurazione narrativa. L’estetica classica distingue tra arti spaziali e arti temporali, e vede la forma-spazio come specifica condizione di operatività semantica, che può anche trasformare e costruire un'immagine non lineare, e quindi anomala, del tempo. Secondo il modello analitico di Ejzenstejn, la messa in scena è il profilo grafico dell'azione, il tracciato spaziale che presiede alla logica drammaturgica, mentre la messa in inquadratura è l' incorniciamento della messa in scena nella successione dei quadri, attraverso il taglio e lo scorcio. Tagliare significa delimitare il campo visivo costruendo bordi che delimitano lo spazio e incorniciano l'azione; Scorciare significa adottare un punto di vista dal quale profilare lo spazio. Il cinema mette in opera fin dai suoi procedimenti costitutivi il suo rapporto stretto con lo spazio e sarà il montaggio che, sempre secondo Ejzenstejn, definirà il concatenamento delle inquadrature e lo scorrimento narrativo e temporale del film. Questo modello Ejzenstejniano, contrapponendo due ordini (quello spaziale affidato alla composizione dell’inquadratura, e quello temporale affidato all’operazione di montaggio) non nasconde la loro co- implicazione secondo la famosa definizione dell’inquadratura come “cellula di montaggio”. Secondo l'autore di questo saggio è più opportuno parlare di due livelli diegetici invece che di una contrapposizione tra livello iconico e narrativo: uno dei due livelli didattici concerne l'istanza di racconto dell’immagine (l'inquadratura), l'altro riguarda l'istanza narrativa connessa alla successione delle immagini (il montaggio) perché la relazione tra visivo e narrativo non può essere pensato in termini puramente disgiuntivi. Deve invece essere pensata come un rapporto dialettico tra due tendenze contrapposte: una tendenza alla sintesi spaziale del “visto” e una allo svolgimento temporale del “narrato”. Il cinema di Kubrick si sviluppa su questa linea di confine, che attraversa costantemente visivo e narrativo, iconico e diegetico. L’inquadratura costituisce il raccordo costante del narrativo al visivo, e il montaggio svolge la densità iconica delle immagini-quadro. È esemplificativo Barry Lyndon, dove il gioco è tutto costruito sul passaggio dalla cornice iconica allo sviluppo narrativo e viceversa. Il primo diventa scioglimento della densità semantica della seconda, che a sua volta contestualizza, incornicia lo sviluppo diegetico. È molto utilizzata la voce off, il cui effetto è proprio quello di costruire il tessuto connettivo delle scene-quadro: presentazione del contesto d'azione, funzione di raccordo, di anticipazione e commento. Esistono due forme della narrazione: una che va verso lo scioglimento dell'intreccio narrativo, l'altra che raccoglie nella cornice-quadro la forza del racconto. La narrazione sorregge il concatenamento dei quadri attraverso la voce off, che tiene insieme le vicende di Barry Lyndon, e il racconto incornicia la storia attraverso la disposizione visiva di tutti quegli elementi scenici che testimoniano l'epoca. Barry Lyndon opera un concatenamento e un passaggio costante tra il tempo della storia del personaggio protagonista, il tempo grande della storia (cioè il Settecento) e lo spazio delle inquadrature-limite che raccolgono nella cornice ottica della visione le forme (oggetti, abiti, profili, paesaggi) del racconto. Le inquadrature-racconto formano il contesto in cui si sviluppa l'azione: contesto spaziale (giardini, palazzi, campi di battaglia), e temporale (il tempo “grande” della Storia). Il racconto del Secolo ’700 è affidato alla forza delle inquadrature. La storia è il cristallizzarsi dell’azione pubblica in atteggiamenti, abiti, modi, arredi. La storia si fa quadro-tappezzeria, racconto “intemporale” delle logiche e delle forme che reggono la prassi umana, privata e pubblica. La monumentalità della Storia -e soprattutto la sua adattabilità- viene assorbita e “compressa” nella spazialità intemporale (situabile, ma non databile) nel racconto iconico. Le forme dello spazio attraversano tutto il cinema di Kubrick, divenendo non solo oggetto di composizione figurativa ma anche spazi-ambienti della messa in scena. Shining costituisce un cortocircuito vertiginoso tra lo spazio e il tempo. Lo spazio stesso non è più un mero contenitore di forze, ma diviene per primo una forza che preme e devasta, che nasconde e disorienta. L' Overlook Hotel non è uno spazio vuoto ma è uno spazio svuotato, in cui permangono intatti i segni della civiltà e la loro disponibilità all'uso. L'enormità rimane come impossibilità di commisurazione con l'umano. Lo spazio sottolinea questa sproporzione fra la disponibilità d'azione e la sua impossibilità effettiva. La richiesta conoscitiva dello spazio si scontra con l'inadeguatezza dei soggetti e, interrotta la possibilità d'azione, che presuppone unità conoscitivo e morale, lo spazio diventa un luogo di veggenza, di sviluppo di forza visionaria: così lo shining si sostituisce all'acting, e lo spazio diventa la tavola di sovrapposizioni ottiche e allucinatorie. Uno spazio allucinatorio attraversato da visioni che emergono da stratificazioni temporali incise nei luoghi (come l'antico cimitero indiano, sulle rovine del quale è stato edificato l'hotel, o le vicende della famiglia del precedente custode). Figure e materie emergono dallo spazio e dal tempo di una visione puramente allucinatoria: sono le pieghe e le continue deviazioni di uno spazio isolato e intricato, un intreccio di corridoi e stanze senza centro. La veggenza sostituisce la percezione, lo spazio allucinatorio sostituisce il mondo- ambiente, lo shining sostituisce l'azione, e soprattutto l'immagine del tempo come coesistenza, come stratificazione, sostituisce quella del tempo come linea. L’intricato mondo dell'hotel di Shining è una grande figura del tempo non lineare, del sovrapporsi di linea spazio-temporali. L' ineluttabilità dei rapporti fra passato, presente e futuro: il presente si fa ritorno al passato, il passato si fa antico presente (come suggerisce la foto a fine film). L'indicibilità temporale è accompagnata dalla indiscernibilità fra percezione e allucinazione. Ma la figura esemplare è sicuramente il labirinto: un interno senza esterno, dove esterno e interno si scambiano continuamente di posto; uno spazio senza centro, e quindi senza ancoraggio. Quando la possibilità di uscire manca, la presa conoscitiva cede e il labirinto è il luogo del ritorno del sempre uguale → perso il filo della ragione rimane solo quello della follia. Il labirinto è lo spazio piegato, una curvatura infinita che ha un inizio, forse una fine, ma sicuramente ha un “mezzo”: Il girare e rigirare come modalità dell’inoltrarsi in uno spazio labirintico. In questo film lo spazio è angolare, dalle continue deviazioni, una linea spezzata in cui l'azione assume le forme del ritornare su, della ripetizione . È la ripetizione maniaco ossessivo di Jack e il ritornare sui suoi passi di Danny per uscire dal labirinto (ripercorrere cancellare le tracce). Lo spazio labirintico è lo spazio senza possibilità di controllo, e di conseguenza una figura del tempo non- lineare, del tempo simultaneo, senza datazione. È il tempo della veggenza, dello sguardo allucinatorio, controllato da oggetti e forme della visione; a questo si contrappone lo sguardo onnipotente, che comprende lo spazio dall' alto, lo sguardo di Jack sul modello del labirinto. Questo sguardo di Jack attiva l'identità tra il modello e il reale: l’unica condizione per affermare l’onnipotenza e la totalità del controllo. Lo sguardo controlla il modello, ovvero la riduzione mentale e in scala del mondo. Ma il controllo al di fuori del modello diviene impossibile- lo spazio non è controllato, è lo spazio che controlla il soggetto che vi è collocato. La centralità dello spazio compositiva o tematica, la costruzione dell'inquadratura o della messa in scena, rimanda a quello che è l'approdo del cinema di Kubrick: l'invenzione di mondi cerebrali. Quando si parla del suo cinema non si può affrontarlo ricercando verosimiglianza o realismo nell’immagine-azione. Lo scarto che il regista opera nei confronti dell’immagine- azione, e cioè dei generi, è quello di prenderne l'involucro e aprirne fratture che spesso diventano il senso stesso dell’intero film. Kubrick non rilegge i generi, e quindi non li ha cambiati. Non è la dinamica dei generi interessare il regista, se non nelle forme per cui un genere porta con sé sempre un'immagine del mondo. È invece il mondo di Kubrick che attraversa i generi, si modifica si altera e assume connotati di una cartografia cangiante, che è sempre e comunque una cartografia mentale. Tracciati, luoghi e icone mentali, non ambienti d’azione attraversati da quelle “forze” che sono personaggi, ma spazi che sono essi stessi forze, figure logiche astratte. Un' identità tra il mondo e il cervello: non solo il mondo che si fa mentale, ma il cervello stesso che si fa mondo. Sono la figurazione spaziale, le geometrie armoniche e disarmoniche dello spazio a rispondere a mondi mentali stratificati (di cui l'Overlook e il labirinto di Shining sono un esempio rilevante). Il cervello è attraversato da buchi, scissioni, logiche che sovvertono la sua sanità: perversioni, manie, schizofrenie, ossessioni, costituiscono e danno vita alle cartografie instabili di mondi cerebrali. Il cervello è aspirato da qualcosa che lo sottrae alla sua integrità e interiorità e che conduce il corpo a violenze aberranti. Il carattere precipuo del cinema di Kubrick risiede allora nell’aver costruito le molteplici facce di un mondo cerebrale utilizzando le architetture dei generi classici . Far vedere dietro un apparente dinamica d'azione la voragine che succhia il soggetto negli abissi interni o esterni, o quella che afferma l'identità dell’interno e dell’esterno sotto il segno di una medesima forza sconcertante: è questa la potenza e la logica del cinema di Kubrick. Shining e la struttura ironica dell’esperienza Di Enrico Carocci Kubrick ha elaborato variamente le forme della comunicazione umoristica in modo da allentarsi dal sentimentalismo che era alla base del mainstreaming hollywoodiano; è stato l’«ultimo modernista», che accosta termini opposti senza tentare di conciliarli e insistendo anzi sulla loro irriducibilità. Di questa forma novecentesca del sentire, Kubrick è stato uno die principali interpreti in ambito cinematografico. L’ambiguità del senso, la dinamica per cui situazione ed eventi vengono mostrati con precisione letterale ma il loro senso risiede altrove, costituiscono il cuore dell’esperienza strutturalmente ironica che Kubrick ha offerto ai suoi spettatori. Questa modalità qualifica quella forme del sentire alla quale ci rifermano quando utilizziamo l’aggettivo kubrickiano. Kubrick e il postmoderno Di Paolo Russo Un aspetto fondamentale che da Lolita accompagna il cinema di Kubrick è la voglia di rappresentare il processo di produzione della soggettività attraverso la produzione di significato. Una preoccupazione che esprime con la coercizione, attraverso la visione, dello spettatore nel processo di costruzione di senso da assegnare al testo Anche Eyes Wide Shut costruisce questa relazione biunivoca tra l’atto della visione filmica e la produzione della soggettività. Si propone in questo saggio un'analisi di tipo psicoanalitico, interessante quando derivata da un approccio metapsicologico che investe i processi di identificazione che il film provoca nello spettatore (e che al contempo si distanzi dalla supposta introspezione psicologica di stampo modernista del personaggio Bill, che a Kubrick non interessa). Processi e meccanismi che chiamano in causa categorie concettuali che riguardano la formazione del soggetto (narcisismo, paura della castrazione, rimozione, proiezione, feticismo, scopofilia) e rimettono in gioco temi cari al regista come il doppio e lo sdoppiamento, l'Altro da sé l’Unheimlich e lo specchio. Tutti i film di Kubrick raccontano una disgregazione, uno sfilacciamento (familiare, a livello sociale e ideologico, o in prospettiva filosofica o storica), ma sempre ci presentano una costruzione narrativa che presiede a un processo di identificazione e successivo annullamento del Soggetto, che coinvolge anche lo spettatore. Eyes Wide Shut è dominato da simmetrie e equilibri strutturali e temporali. Possiamo dividere il film in 5 atti, composti a loro volta da blocchi narrativi fatti di rimandi e contrapposizioni interne, secondo uno schema ben preciso: - Atto 1: il primo atto mette in evidenza il doppio asse su cui avanzerà l'intreccio e su cui si basano i rapporti tra Bill e gli altri personaggi. Alice, infatti, rappresenta la sfera privata, mentre l'amico Zigler quella pubblica e sociale. La sequenza della festa nella villa e quella del successivo ritorno a casa dei protagonisti danno il via al sogno-incubo-realtà di Bill, nonché alle scelte linguistiche della regia (steady a procedere, steady che accerchia, c/c, zoom, carrello a co-stringere; - Atto 2: innesca il processo di annullamento del protagonista attraverso una serie di episodi e di incontri, in un percorso che culmina col rituale orgiastico nella villa; - Atto 3: completato dal sogno di Alice che viene solo raccontato, e in questo atto si ripropone il duplice asse pubblico/privato come cardine centrale attorno al quale ruota la svolta decisiva dell'evoluzione di Bill. Il sogno fornisce infatti una prima spiegazione di ciò che egli non riuscirà a fare nella seconda parte del film, ovvero recuperare il senso di ciò che ha esperito passivamente il giorno prima; - Atto 4: speculare rispetto al secondo atto, qui Bill si trascina in un percorso a ritroso verso una fase pre- edipica, cercando recuperare uno status attivo di Soggetto, invano; - Atto 5: ripropone gli stessi rapporti del primo atto (con Zigler e Alice) per fornire una spiegazione “insoluta”; Coitus interruptus Il sogno di Alice divide il film in due metà simmetriche, che coincidono con le fasi di proiezione e dissociazione di Bill (la prima), e di presa di coscienza (la seconda). È proprio lo specchio che innesca il processo che porterà all'annichilimento di Bill in quanto Soggetto. Prendiamo in considerazione la sequenza davanti allo specchio, al ritorno dal party alla villa, una scena di un minuto, costruita molto semplicemente con due inquadrature e uno stacco. Nella prima è ritratta Alice, che si spoglia davanti allo specchio, ma è ripresa solo di spalle, mentre frontalmente è visibile solo il suo riflesso. L'inquadratura è in piano americano, che stringe fino a quando, a mezza figura, entra in campo il riflesso di Bill. Quando entra in campo il vero Bill, non il suo riflesso, Kubrick taglia la scena con un Jump Cut e un leggero spostamento di asse che gli impediscono di andare oltre all' abbraccio con Alice, tenendo in campo unicamente il riflesso dei due sullo specchio. In questo modo Kubrick guida l'identificazione di Bill non con la sua persona fisica, ma con l'altro sè riflesso. Prima di abbracciare la moglie Bill la osserva soddisfatto allo specchio, attivando la percezione del sé attraverso una dissociazione del soggetto dalla proiezione di sé; e da questo momento il film diventa la storia di Bill che ogni volta tenta di affermarsi in quanto Soggetto, e a cui ogni volta invece viene ribadita l'impossibilità di recuperare l'agoniata unità. Le molte sequenze in cui potrebbe avere rapporti con donne che non giungono mai all' effettivo, possono essere interpretate come una serie di coiti interrotti perché il soggetto in questione è già castrato a priori. È Alice che mette in moto il meccanismo di dissociazione nella scena davanti allo specchio, ed è lei il vero alter ego di Bill, che gli fa prendere coscienza della sua inadeguatezza di Soggetto, della sua castrazione a priori. una castrazione non fisica, ma dovuta all'ingresso del Soggetto nel linguaggio. Questo è possibile grazie alla differenza sessuale, perché in quanto femmina Alice è castrata a priori, ed è quindi già conscia di uno status che Bill ha represso nel suo inconscio. Confermando la differenza sessuale Bill cerca la sua conferma di Soggetto, con l'errore di identificare il Fallo con il Pene. Attraverso il rapporto sessuale Bill confermerebbe il suo essere maschio per differenza rispetto alla donna, ma non si rende conto di essere nella stessa condizione di Alice, l'oggetto esterno a sé di cui ha bisogno. Il Fallo è il possesso da opporre alla castrazione, la presenza da opporre all' assenza, la garanzia gratificante di un ritorno alla fase pre- edipica. Ma Alice è lì a ricordargli che il Fallo non è il pene, ma semmai il significato simbolico della castrazione. Qui giace il senso della confessione “Se solo vuoi uomini sapeste”, che mira a evidenziare lo scarto tra realtà e proiezione distorta di essa vissuto da Bill. Scarto di cui Alice è conscia e lui no. Infatti, ossessivamente visualizza la sequenza immaginifica del rapporto sessuale tra la moglie e il marinaio (un flash organizzato da Kubrick e in una sola inquadratura che mira a ottenere una completa astrazione dalla realtà diegetica attraverso l'utilizzo di luci, slow motion e il b/n). La visualizzazione traumatica assume la connotazione di un’immagine primaria che diventa reale nella vita psichica di Bill, turbandola. Una dissociazione che si complica in quanto in quei flash Bill viene escluso dalla partecipazione fisica a tale realtà psichica, relegato al rango di spettatore/voyeur. Nella scena dello specchio il feticcio Alice è per Bill fonte di piacere in quanto in quell’oggetto esterno da sé Bill proietta i suoi desideri, godendone il (supposto) possesso; ciò si realizza grazie all’identificazione in tale proiezione. Nei flash del tradimento, che sono anch'essi una proiezione di Bill, tale identificazione viene a mancare, e Alice torna a rappresentare quello che è: l’assenza del pene, la minaccia di castrazione o la coscienza della castrazione a priori. Alice, in quanto donna, è l'Altro da sé castrato. Look/fuck: il fallo non è il pene Dall' iniziale narcisismo dovuto alla proiezione del Sé nell'Altro, nell’Oggetto, siamo entrati in una fase di dissociazione che culmina nella sequenza dell'orgia, che è una rappresentazione del relazionarsi sociale di Bill. Egli vuole a tutti i costi fare parte di una società che ha rituali, regole e modelli, ma l'unica posizione che gli è consentita è ancora quella dello spettatore-voyeur. L' erotizzazione del corpo femminile in questo film attiva il rapporto scopofilo, che deriva dal desiderio di piacere che l'Uomo-Spettatore prova per la Donna-feticcio, un rapporto che solitamente pone l'Uomo-Soggetto in posizione attiva rispetto a una Donna-Oggetto passiva, mentre in questo frangente viene sovvertito nei suoi fattori. Bill non trae alcun piacere da tale situazione orgiastica. Lo zoom assolutamente cinematografico e ironicamente fallico sulla modella che si sacrifica per Bill concede una delle pochissime inquadrature in soggettiva del film. La soggettiva nel cinema si avvicina all’atto del vedere la proiezione di sé allo specchio. Quando Bill osserva la modella nuda sul balcone si tratta del sacrificio del feticcio per riportare Bill al registro reale. Più avanti troviamo la ragazza morta nell’obitorio. Bill sembra volerne baciare il cadavere, perché non è più attuabile quella convergenza tattile tra soggetto e oggetto che era stata suggerita invece prima con altre due donne (Marion e Domino). In questa sequenza Bill vede il corpo nudo della ragazza ed è costretto a identificarsi con quel riflesso della sua castrazione, la morte della ragazza riduce a nulla, niente, il Soggetto. Questa inquadratura non è ripresa con una soggettiva ma con una plongée che ci consente di vedere il corpo senza vita da una posizione privilegiata rispetto a Bill, ed ha il duplice effetto di: operare una completa sostituzione dello spettatore con l'apparato cinematografico e col personaggio soggetto, escludere il soggetto dell'immagine, causarne l'assenza e costringerlo definitivamente a dissociarsi da ciò che vede. Se è il linguaggio a causare la dissociazione interna tra conscio e inconscio, è sempre il linguaggio a costruire il vincolo esterno tra individuo e società. Ed è il linguaggio di Kubrick a evidenziare la dissociazione di Bill e a vincolarlo simbolicamente al rituale sociale dell'orgia. Bill non capisce ciò che Ziegler gli spiega nella penultima sequenza. Questo personaggio rappresenta la controparte pubblica di ciò che Alice rappresenta nel privato: i personaggi che hanno la funzione di svelare il sostrato letente della realtà manifesta : Alice per portare Bill a comprendere e accettare la verità; Ziegler per spiegare i meccanismi in base ai quali le pratiche sociali la celano. A casa di Ziegler il personaggio propone a Bill una partita a biliardo, che declina l'offerta. Il biliardo allude a ciò che Ziegler spiega a parole: chi vuole prendere parte al gioco deve conoscerne le regole, chi conosce le regole ha in mano il gioco (ma il gioco del biliardo durante tutta la sequenza è fermo), chi non sta alle regole viene allontanato dal gioco, chi non accetta le regole perde al gioco: ma è lui stesso la causa della sua fine. Durante tutta la sequenza Ziegler è in piedi e domina il campo da gioco tenendo in mano una delle palle, mentre Bill rimane fermo in disparte, astratto dallo spazio circostante grazie al primo piano che Kubrick gli affibbia solo in questo preciso momento. Doppio sogno S&M Il doppio sogno in cui ci trascina Kubrick non è dato da quelli più o meno reali sognati dalla coppia, ma è indotto dal doppio meccanismo di identificazione attivato al di là e al di qua dello schermo/specchio, e coinvolge Bill e lo spettatore. Kubrick è conscio che le condizioni di visione filmica causano la regressione artificiale allo stato onirico e che ciò annulla la distinzione tra percezione e rappresentazione. Egli organizza il film in modo che il rapporto tra enunciato (schermo/Oggetto) e enunciazione (spettatore/Soggetto) inneschi un processo di produzione del desiderio speculare a quello esperito da Bill. Il gioco linguistico del film attiva la formazione di un ego ideale nello spettatore, facendo leva sulla sua identificazione in ciò che sta vedendo. Un’identificazione secondaria col protagonista, garantita dall'uso della steady a precedere, ma anche un'identificazione soprattutto primaria con l'apparato 2001: Odissea nello spazio e il modus ponens Quella tra l'osso spolpato e l'astronave che vola nello spazio punteggiato di stelle è la più famosa ellissi della storia del cinema; la sua spettacolarità sta nell’effetto del sovrannumero messo in gioco: ciò che implode nel buco nero del taglio è tutta la storia conosciuta dall’umanità . Ma mentre questo effetto cronologico resterebbe intatto anche con altri tipi di interpunzione solo lo stacco secco crea quello shock intellettuale che Ejzenstejn attribuiva al montaggio delle attrazioni. Effetto di metafora: osso = astronave. La tecnologia spaziale è il frutto di un'intelligenza che è già in opera nell’utilizzo dell'oggetto trovato, il passaggio dall'utensile artigianale alla macchina industriale è solo questione di gradi. Conseguenza sul piano metonimico: Scimmia = astronauta. Gli australopitechi guardano il monolito dal basso verso l'alto nel due mezzo della savana priva di vegetazione, gli astronauti guardano il monolito dall'alto verso il basso nel bel mezzo di un cratere lunare. Discorso sulla storia come coazione a ripetere: la sopravvivenza della specie passa attraverso la capacità di un singolo di concepire tecniche di eliminazione dell'avversario. Più ci allontaniamo dal luogo del taglio/ ellisse, più verifichiamo lo stacco come zona di confluenza tra due parti del film. Ecco l’'equazione che rende conto del potenziale creativo di questo film, rispetto alla filosofia del cinema fantascientifico, pre-istoria = post-futuro. E di conseguenza, come nella drammaturgia dell’astrofisica contemporanea, big bang = big crunch, inizio = fine. Ecco poi che ciò che vale per l'umanità è ciò che vale per me: non ricordo la mia morte né la mia nascita, non so nulla dei miei primi mesi di vita né di quelli che saranno gli ultimi. Privo dell'esperienza vissuta da inizio a fine, vivo nel frattempo, vivo la continuazione. Il monolito nero nel film è il blocco misterico costituito tanto dall'aldilà (cosa c'è dopo la morte?) quanto dal suo controcampo assoluto (cosa c'era prima della vita?). La nascita dell'intelligenza umana è segnalata dall’irruzione di due inserti nell’inquadratura della scimmia che guarda la carcassa e batte il femore contro le altre ossa: il primo inserto è quello dell'allineamento monolito/sole nascente/luna in eclissi, il secondo inserto (ripetuto 2 volte) è quello del corpo di un animale che si abbatte al suolo. Lo spettatore deve concepire il primo inserto come flashback e il secondo come flashforward; deve quindi fare un salto nella logica del linguaggio cinematografico classico. In questo senso la prima parte del film funziona da attivatore di processi mentali. Alla base di qualunque sillogismo c'è la possibilità di passare da due premesse a una conclusione. L'effetto Kulesov (primo piano di un volto che guarda + dettaglio del cibo = soggettiva di persona affamata) ci dimostra che il montaggio è intellettualmente creativo proprio in questo senso: l'accostamento di due immagini presenti può creare nella mente dello spettatore un'informazione assente. Questo effetto appartiene però al cinema muto, tutte le dialettiche del montaggio verticale e tutte le dialettiche del mixaggio entrano a far parte della possibilità strutturali del mezzo, ampliandone le possibilità di conflitto produttivo tra gli elementi. La porzione testuale da considerare premessa della possibile conclusione spettatoriale può assumere proporzioni e dislocazione diversissime: può essere un'inquadratura, una lunga sequenza o una parte del film; può essere giustapposta a un’altra premessa ma può anche trovarsi molto prima o dopo. Per questo la comprensione dei contenuti del film è da considerare un’avventura personale: le isotopie (i percorsi di lettura che segnano un possibile significato del testo) sono un montaggio di conclusioni che lo spettatore compie scegliendo arbitrariamente punti di pertinenza di queste premesse. La differenziazione dei dati di partenza garantisce la pluralità delle interpretazioni, e la creatività spettatoriale garantisce la semiosi illimitata. La dialettica vita/morte fra “stacco” e “raccordo” 2001 rimette in gioco la dialettica strutturale tra tempi lunghi e strettissimi, tra immagini dilatate e inserti subliminali. Importanti sono due inserti consistenti in due primi piani di David Bowman con la bocca aperta, un grido di angoscia remake de l'urlo di Munch. i due inserti sono interessanti perché imprimono il tono emotivo disforico che va riconosciuto al terzo atto del film, in controtendenza rispetto alla vulgata che vuole il feto astrale come simbolo di gioiosa nascita del superuomo nietzschiano. Chiusura sinfonica che con le note di Così parlò Zarathustra raccorda il feto astrale finale all' iniziale alba dell'uomo, ribadisce l'assunto di base del film: l'ontogenesi ricapitola la filogenesi e viceversa, dunque la fantascienza è un viaggio nel corpo umano. 2001 è spesso accostato ad Arancia meccanica in quanto le basi oggettive nelle operazioni artistiche messe in campo sono complementari: decoupage fortemente simmetrico della narrazione, montaggio verticale con tendenza a costruire dei videoclip, andamento cardiaco (sistole/diastole) nella dialettica strutturale riguardante la lunghezza delle inquadrature e inserti subliminali. In Barry Lyndon l'unico inserto è un flashback della caduta da cavallo, che segna l'inizio della fine della storia. Il flashback diventa una sottolineatura del punto di svolta del destino e della sceneggiatura (la sceneggiatura è il destino). È proprio la dialettica fra il tempo base e flash analettici/prolettici che in Kubrick diventa il significante dei rapporti metafisici tra vita e morte. La struttura inizio/continuazione/fine vale per il singolo racconto, ma cosa c'è prima dell'inizio se non un altro racconto? Cosa c'è dopo la fine se non un altro racconto? Quindi, la morte è doppia, si configura come ciò che si pone dopo la fine e prima dell'inizio. Se prima e dopo sono identici, allora qual'è la differenza tra flashback e flash forward? Se torniamo all' inserto dell’animale abbattuto in 2001 possiamo chiederci se esso non sia più che una prefigurazione, una ricostruzione del passato, un'ipotesi sull'inizio della fine, su come si sia prodotta la carcassa di cui l'osso fa parte. Il singolo raccordo riproduce il decoupage narrativo così come l'ontogenesi riassume la filogenesi: l'ellissi osso/astronave si ripete in nelle ellissi che riassumono la vita di David, trasformando il giovane astronauta in un vecchio terrestre. Se la vita è un sogno anche tutta la storia dell'umanità lo è. Il montatore di 2001 è lo stesso di Shining: nei due film è in azione un terribile il gioco col Tempo, che culmina nell’agghiacciante equivalenza del prima con il dopo, dell'eternità con la morte: essere morti significa esattamente essere stati vivi in una vita precedente. Jack è sempre stato il custode dell' Overlook hotel in quanto esso è il regno dei morti e dunque Jack era in quel regno anche prima di nascere. Come prova finale prendiamo il finale di 2001: dopo la morte di David c'è la nascita di David, dunque il monolito è la soglia che divide la morte dalla vita, fine da inizio, Eternità da Tempo. Morire per un marine significa diventare immortale in quanto parte dell’immortale corpo dei marine: questa è l'ideologia di cui si fa portatore il sergente istruttore di Full metal jacket, film in cui il trattamento del tempo a rallentare (dalle prime veloci sequenze dell’addestramento fino alla lunghissima sequenza che porta all' uccisione della vietcong) è una rappresentazione dell’avvicinamento della morte come punto di catastrofe attorno a cui il presente tende a dilatarsi. un uso del tempo che troviamo in moltissimi film di Kubrick ( Orizzonti di gloria, Il dottor Stranamore, Lolita, Shining). La scansione cronologica operata dai cartelli di Shining (colloquio, chiusura, un mese dopo, martedì, sabato, lunedì, mercoledì, ore 16) costituisce un ambito temporale in cui l'ellissi diminuiscono d'intensità fino a lasciare il posto a una sorta di tempo reale. D'altraparte le visioni di Jack e Denny immettono nel presente una quantità via via maggiore di passato. L’effetto totale è che il tempo, se da un lato tende a restringersi dall'altro tende a espandersi: il personaggio del custode finisce col rivelarsi eterno. Shining si caratterizza per l'indicibilità fra soggettive reali e allucinatorie, tra flashback e flashforward. Nel finale di 2001 David muore e contemporaneamente nasce, certificando che il mistero non è l'odissea nello spazio ma l’odissea nel tempo; nel finale di Shining Jack muore e contemporaneamente nasce, questo è il senso della pseudo soggettiva che entra nel bianco e nero della fotografia: la tragedia di ogni essere umano è quella di essere un identità qualunque tra molteplici identità equiprobabili, di vivere una vita qualunque fra le infinite ipotizzabili, di esistere per un tempo finito compresso tra due tempi infiniti (l’terno prima e l’eterno dopo). Shining è una meditazione non verbale sulla morte: non un film dell'orrore ma un film sull’orrore, ovvero sul mistero del tempo nei suoi rapporti con l'essere. Arancia meccanica. Le forme della messa in scena Di Paolo Bertetto La prima inquadratura di Arancia meccanica consiste nel dettaglio degli occhi di Alex, che vengono progressivamente contestualizzati nel volto e nel suo corpo per poi passare all'interno dello spazio del bar grazie un movimento di macchina all'indietro, rettilineo e graduale. Gli sguardi in macchina in questo film non sono solo una palese interpretazione dello spettatore, ma divengono esibizione del meccanismo comunicativo e fascinativo del cinema, un'oggettivazione del suo carattere di macchina produttiva e seduttiva. Lo sguardo di Alex è uno sguardo che non vede nulla, non percepisce e non è rivolto a un personaggio. È uno sguardo fascinativo rivolto allo spettatore con lo scopo di legare fortemente lo spettatore alla macchina enunciativa del film; è uno sguardo affermativo che attesta la presenza forte del protagonista all'interno del film. Sono occhi disomogenei perché quello destro e fortemente truccato mentre l'altro no. Questa contrapposizione tra occhi afferma le componenti anomale e iperaggressive di Alex. Inoltre, sembra evocare il contrasto natura/cultura, pulsionalità/simbolico che attraversa tutto il film. Dà l'impressione di una maschera che assume quindi i caratteri e la funzione simbolizzante. Movimento all'indietro della mdp rivela uno spazio iperqualificato dall’intervento scenografico. Una composizione dell'immagine che oltre ad esprimere un'estrema cura, vuole esprimere un'intenzione di formalizzazione radicale e assoluta di tutto il visibile, segnata dalle due opzioni fondamentali della stilizzazione di Kubrick: ricerca della geometria e della simmetria nell’immagine filmica. Nella carrellata iniziale troviamo un corridoio centrale, con ai lati due fili di manichini di donne nude, stilizzate secondo il gusto della Pop Art. Un'immagine suggestiva, un’architettura di interni formata da oggetti anomali con ingannevoli caratteri antropomorfici. La naturalità dell’immagine viene negata attraverso l'evidenza di assoluta artificialità e struttura ad effetto pittorico, grazie alla simmetria nella disposizione degli oggetti, alla delineazione rigorosa dello spazio e alla linearità del movimento della mdp. Kubrick inscrive negli spazi elementi e oggetti iconici che rinviano alla Pop Art. Le strutture visive sono costruite sui modelli dell'arte contemporanea, delineando un universo in cui tutti gli elementi sono ridisegnati in rapporto all' iconografia pop; un modo di produzione dell'immagine che è quindi segnato dalla trasformazione dello spazio del visibile da un orizzonte di rinvio al mondo dei fenomeni a un orizzonte di rielaborazione di modelli visivi e di opere dell’arte contemporanea. Arancia meccanica è un mondo che ha perduto ogni elemento di naturalità a favore di una totale riscrittura del visibile partendo da modelli artistici e di design che fanno parte di un universo già semiotizzato. La messa in scena di Kubrick consiste anche nella figurazione di un mondo fatto disegni che rinviano ad altri segni, circuito compositivo in cui tutto appare ri-semiotizzato, ripreso, citato. Nulla appare come natura, tutto e citazionismo, artefatto. Metodo e follia. Il tema della psiche Di Cosetta Saba Premessa Forse non è tanto nella dualità metodo/follia che il cinema di Kubrick (si) da a pensare, quanto nei processi perturbanti che investono i mondi finzionali e, soprattutto, nelle alterazioni dell’annunciazione filmica messa in testo da Paura e desiderio a Full metal jacket. Metodica e derive della narrazione La follia è il progressivo azzeramento dei codici, ma la metodica dell'azzeramento non riguarda la follia in sé, bensì il processo di alterazione mentale che la produce; La follia è incontenibilità del dolore esistenziale, un dolore senza linguaggio, senza modi di comunicazione, un bisogno che non trova risposta. Nel cinema di Kubrick la follia, non come malattia mentale ma come metodica delle anomalie della mente, è presente in modo assolutamente palese perché è diegetizzata. Nei mondi funzionali di Kubrick si palesa l'argomentazione di come non esiste storia della follia che non sia storia della ragione. Pensiamo a Orizzonti di gloria, che racconta realisticamente una delle tante storie di ordinaria follia della guerra, una storia sul sistema del potere militare; oppure Arancia meccanica che si pone come critica alle pratiche di addomesticamento della follia e iscrive la follia di Alex (la lucida atrocità delle azioni commesse) nel linguaggio di chi la cura. Il cinema di Kubrick mette in testo il processo di alterazione della mente dei personaggi . È un'alterazione che non si arresta alla mente dei personaggi ma che investe la totalità del mondo finzionale e ne deriva le possibilità di sviluppo narrativo, secondo un metodo preciso: l'alterazione si installa nelle strategie di narrazione. Fotografare le cose in modo realistico, secondo modalità documentarie, e al contempo alterare la visione significa produrre uno spaesamento visivo/narrativo. In Shining l'alterazione mentale di Jack è anticipata nell’incipit da Tony, l’altro bambino che suo figlio Danny fa vivere in sé e che gli conferisce lo shining. Al momento della firma del contratto Tony fa vedere a Danny la cascata di sangue dell'ascensore e le due gemelle dell'Overlook hotel. Visioni, interferenze del passato che producono un eccesso di visibilità, cui fa da corollario un sapere imperfetto, da interpretare. L'anomalia della mente di Jack si manifesta attraverso visioni in cui il passato interferisce con il presente, immagini eccedenti che si danno a vedere allo sguardo dello spettatore poiché abitano fisicamente il mondo finzionale ; Agiscono e reagiscono secondo modalità causative dentro il mondo diegetico: non sono proiezioni soggettive, ma apparizioni oggettive, persone del passato che si rendono presenti e visibili. Questo film, attraverso il delirio omicida di Jack, racconta il ripetersi di una progressiva, metodica, inarrestabile e orrorifica disintegrazione dell'affettività familiare. Alterazioni dello sguardo: la soggettività negata Kubrick mette in testo i processi di alienazione che investono i mondi funzionali attraverso il progressivo squilibrio della storia raccontata. In Kubrick il mondo stesso è un cervello, vi è identità tra cervello e mondo. I film di Kubrick raccontano mondi possibili secondo uno spazio-tempo cerebrale, mentale. Ciò significa che la strategia testuale è il pensiero. Pensiero non come immanente all’immagine, ma come pensiero nell’immagine, pensiero i cui rapporti investono il modo di narrare una storia attraverso un racconto cinematografico. Un pensiero visivo in atto dell’istanza narrante e come racconto esteriore dei processi mentali e dei punti di vista delle persone finzionali. I personaggi sono delineati dall’esterno quali fasce di pulsioni, passioni e ossessioni che ne minano il cervello dissociando le identità. Si tratta di raccontare e mostrare dall'esterno una visione interiore, senza però rivelarla fino in fondo, lasciandola indicibile e polisemica. Il pensiero della persona finzionale è sempre inaccessibile (anche quando suscettibile di visualizzazione come un sogno, durante un'allucinazione o attraverso la memoria). La fissità enfatica della mdp sul volto del personaggio, lo sguardo del personaggio verso il fuori campo, il ritardo del controcampo sempre dislocato rispetto all'asse dello sguardo del personaggio, rivelando l'indifferenza dell'oggetto guardato allo sguardo che lo vede, mostrano la possibile relazione di pensiero tra lo sguardo del personaggio, la cosa vista e lo sguardo dell'istanza narrante. Il campo controcampo in Kubrick non appare quasi mai in funzione della reciprocità, dello scambio di sguardo tra persone finzionali, sguardo che avviene solo all'interno di un piano d'insieme. Nel cinema di Kubrick non c'è simulazione di sguardo, la soggettiva è rara e straniante perché quasi sempre marcata dalla morte psichica. Se pensiamo a 2001, allo sguardo di David verso il sé stesso anziano e il feto astrale, vediamo come esso vede sé stesso come un altro se stesso più in là nel tempo: c'è l'esorbitare della asincronia tra tempo della storia e tempo del racconto in una temporalità allucinata che si esprime come ossimoro. Nel cinema di Kubrick il pensiero in atto dell'istanza narrante trapassa le cronologie e la causalità della storia raccontata introducendo distorsioni temporali che provocano la rottura della linearità del racconto, oppure immette interferenze tra passato e presente, determinando una frattura invisibile del tempo. Da queste fratture prodotte nel farsi del racconto si può tentare di localizzare i siti testuali kubriciani in cui spesso si manifestano cifre della psiche (come sindromi paranoiche, anomalie del cervello, figure cerebrali) come modo di pensare cinematograficamente , attraverso un racconto in atto, il pensare stesso, il ricordare, il sognare, la visionarietà, la premonizione, l'allucinazione, l'apparizione, l'Altro. I siti testuali in cui si dispiegano i topoi della mente sono anche i luoghi in cui si radicalizza la scissione dello sguardo del personaggio da quello dell'istanza narrante. Il punto di vista è il luogo della pluralità, si moltiplica nel corso del film col moltiplicarsi delle inquadrature, dei campi, delle angolazioni, delle fonti di informazione. Lo sguardo dell'istanza narrante non assume e non finge di assumere la prospettiva (nè sussume il punto di vista) del personaggio. esso si pone quasi sempre in modo asimmetrico, al lato, dietro o davanti la traiettoria dello sguardo del personaggio. L'attività enunciativa dell'istanza narrante si pone tra l'orientamento oggettivo e soggettivo , oppure si determina attraverso prospettive al contempo oggettive e soggettive (semi- soggettive, false soggettive, pseudo-soggettive) oppure si delinea secondo le forme ibride dell’oggettiva assoluta, della soggettiva senza soggetto o della soggettiva virtuale. Il corpo attoriale dall'esterno è superficie significante in cui si rendono manifestabili i processi mentali, il cui sistema resta però sempre inaccessibile. La persona funzionale si dà completamente come “immagine”: l'immagine propria di un personaggio. L' istanza narrante attiva una frequentazione asettica della psiche e attribuisce alle persone funzionali forza espressiva proprio barrando l'accesso alla soggettività: il film rimane all'esterno e non entra nella mente dei personaggi, è invece la loro mente che prende a contaminare il film alterandone le forme narrative. Il pensiero è inaccessibile, l’interiorità intangibile. Tale regime enunciativo ibrido, sempre esteriore (che, come detto prima, da un lato distanza l'istanza narrante della storia e dall’altro, sul piano visivo, la posizione rispetto a persone funzionali secondo diverse prossimità) e la strategia discorsiva prevalente adottata da Kubrick per raccontare; tale strategia si trasforma poi in stile narrativo e forma dello sguardo mentale. La forma del racconto cinematografico kubrikiano è pensata nei termini propri della comunicazione visiva: “Un film in cui la comunicazione avvenga per mezzo di immagini piuttosto che di parole, raccontare una storia per gli occhi più che per le orecchie”; nonostante ciò i film di Kubrick presentano anche una partitura sonora complessa soprattutto con lo scopo di generare una dimensione acustica “mentale” in cui anche il silenzio diviene ascoltabile (silenzio come rumore di fondo in 2001: Odissea nello spazio). La geminazione del racconto Il tema pervasivo dei film di Kubrick non è individuabile in ciò che vi si racconta, ma nella “storia” come atto del raccontare. Il metatema stesso di tutti i film di Kubrick è la “storia” come atto del raccontare. Il racconto filmico si racconta rivelandosi come atto narrativo. Tale strategia narrativa implica una componente performativa forte e una componente filmica: - La componente performativa sarebbe l'accadimento non programmato frutto della ricerca riguardo tutto ciò che si può improvvisare durante le prove sul set e che può determinare delle svolte improvvise nella narrazione: ricercare l'impensato del pensiero affinché si possano esplorare tutte le possibilità di un racconto, quindi scoprire e scegliere nuovi percorsi narrativi; - La componente filmica pertiene invece a una concezione precisa della ripresa e del montaggio. Il montaggio è il dispositivo selettivo e produttivo dell’atto del raccontare attraverso le immagini, giacchè per Kubrick si tratta di essere capaci di vedere il farsi di un'azione in un modo particolare, di possedere uno sguardo assoluto: cosa possibile solo attraverso il cinema, attuabile solo in un film. Kubrick fa giocare il linguaggio filmico contro la storia raccontata per mettere le immagini contro il significato (es. Bacio dell’assassino: urlo di donna alla fine del sogno come punto di passaggio da sogno a veglia; brusio di rumori esterni mentre siamo ancora in interni per anticipare gli esterni visibili nella sequenza a seguire). Nella scrittura di Kubrick questa antinomia “linguaggio filmico vs. storia raccontata” si produce attraverso un linguaggio raccontante che forgia la forma discorsiva del testo mediante una precisa logica di produzione del senso . Tale logica è il modo in cui Kubrick usa il linguaggio filmico contro la storia raccontata. Ciò avviene in vari modi, spiazzando attraverso asincroni che giocano sull’obliquità espressiva tra racconto e commento, tra aspetto diegetico ed extradiegetico. Ricordiamo però che ciò non toglie che vi siano delle scene in cui la musica dice altrettanto del dialogo (x es in Full Metal Jacket la canzone Surfin’ Bird accompagna coerentemente l’euforia post-combattimento dei soldati). I Kubrick, dunque, la dissociazione è un fatto di forma: la contraddizione come generazione di simmetrie imperfette, di dualità differenti, rende le sue opere scisse, ma per geminazione. Utilizza una forma cinematografica rigorosa, coerente, fredda proprio perché essa riesce a rendere percettibile come il linguaggio filmico si mette a giocare contro la storia raccontata, contraddicendosi. La narrazione cinematografica kubrickiana adotta una strategia enunciativa rigorosa e polisemica, rivelata nella crudeltà di un pensiero autoriale decostruttivo esercitato con leggerezza sulle storie raccontate, sul linguaggio e sui generi cinematografici. Se leggiamo il cinema di Kubrick come cinema sulla crisi della ragione occidentale, possiamo analizzare il ruolo dello spettatore così come l'autore lo costruisce e lo configura impiegando i principi sia del cinema classico, soprattutto quello di genere americano anni 40 50, sia del cinema moderno. Ma rispetto al sistema di aspettative spettatoriali attivate delle due forme la scrittura kubrickiana presenta delle eccentricità: sono compresenti la trasparenza del linguaggio del cinema classico e l'opacità del cinema moderno. mediante lo sguardo in soggettiva, è la forma narrativa ricercata da Kubrick per renderne visibile, leggibile, il cervello sfruttando modalità esterne. La soggettiva emerge con HALL e diviene nel cinema di Kubrick una figura retorica quasi sempre marcata dalla morte (non necessariamente “fisica”) o dalla sua premonizione. Quando, saltando nell’iperspazio, Bowman sopravvive ad HALL e raggiunge Giove, ancora una volta il monolito nero (oggetto concreto di un’intelligenza interstellare, cosmica) marca con la sua presenza il pensiero dell’uomo. Bawman si ritrova con la capsula spaziale in un appartamento, in una condizione “senza tempo” in cui trapassa alla maturità alla senescenza fino alla morte-rinascita, in un processo transumanante. Full Metal Jacket • titolo che contiene un ossimoro e esprime una dissociazione del senso. In questo film è precisata la stilistica dell’estenuazione del tragico, dello svuotamento dell’azione drammatica. La narrazione è destrutturante. La guerra in Vietnam è raccontata attraverso un mondo “macchina da guerra” che cerca una rappresentazione, come attesta la trouppe di documentaristi che esorta i soldati a “essere come in un film di guerra”, cercando una rappresentazione quasi mitica dei marines. Il film si articola in due “tempi”: l’addestramento reclute e il Vietnam dell’offensiva del Tet. Il campo di addestramento è un luogo chiuso, di rituali ossessivi che devono forgiare i marines attraverso la pedagogia dell’umiliazione, annichilendo l’emozionalità e puntando al vuoto cerebrale. Il rigoroso ritmo narrativo e la condensazione dei passaggi temporali dell’addestramento di articolano attraverso simmetria di luoghi e profondità di campo. Viene poi introdotto nel mondo diegetico un'alterazione: Lawrence “Palla di lardo”. Dal suo ingresso l’istanza narrante decide di modificare la normalità delle sequenze dell’addestramento aprendo l’immagine con carrellate ottiche che isolano il volto del personaggio quando smette di ripetere le parole che i compagni ripetono in coro, sottraendosi definitivamente all’assimilazione passiva del gruppo. Ma la debolezza del personaggio è eversiva. Attraverso il rituale della manutenzione del fucile la sua mente si fissa sulla finalità omicida. Il tanto ripetuto “uccidere o essere ucciso” diviene per lui “uccidere e uccidersi”. Dopo 8 settimane diviene un marine, ma il suo sguardo vuoto si fissa ben oltre la mdp, verso un altrove incomunicabile, indicibile. Con rapida sequenzialià l’ultima notte prepara il suo fucile, uccide Hartman e si suicida. Se l’Io nella persona finzionale di Joker si adatta progressivamente al mondo esterno, Lawrence si disadatta irriversibilmente. Joker è ambivalente, assiste e punisce Lawrence, e ritroviamo in lui questo aspetto in Vietnam (dualità junghiana esibita ad esempio nell’ossimoro “Born to kill” + simbolo della pace). Il Vietnam è il tempo e luogo dell’attesa. Il percorso che conduce a Huè ci porta a uno stallo di 25 minuti in cui moriranno 3 soldati. Un'alterazione del tempo notevole rispetto alle rapide sequenze dell’addestramento, in cui si inserisce un ulteriore dilatazione temporale: il rallenti dei proiettili che colpiscono i tre uomini. All’ambivalenza temporale si aggiunge poi l’ambivalenza spaziale: Da Nang e Huè sono ambientati nel medesimo set, che si fa topografia labrintica di un’ennesima guerra. Affiora l’immagine del labirinto kubrickiano, metafora del cinema-cervello. Lo spettatore esce dal labirinto quando, dato che si usa lo stesso set, dopo Huè è come se tornasse al punto di partenza di Da Nang, ma Joker e i soldati non ne escono, e proseguono verso il Fiume dei profumi cantando tra loro la marcia di Mickey Mouse. Alfabeto kubrickiano Di Francesco Crispino - ZOOM: l’incipit di Arancia Meccanica rappresenta al massimo la “teoria dell’occhio” che caratterizza il cinema di Kubrick. Alex sembra infatti rivolgere lo sguardo allo spettatore, che però durante il lungo movimento d macchina constata che si tratta invece di uno sguardo perso nel vuoto, che la mescalina proietta in un altro mondo, verso altre visioni. In Full metal jaket quella che sembra la soggettiva del cecchino diventa, con uno zoom rapidissimo, la traiettoria del proiettile, come se volesse suggerire che è lo sguardo a colpire e uccidere. - VOICE OVER: una costante del cinema di Kubrick. - UNHEIMLICH: secondo Freud questo termine indica ciò che è perturbante, e viene posto in antitesi a “Heimlich”, ciò che è familiare. Se qualcosa indica spavento ciò accade quindi perché non è noto. Il saggio di Freud è una delle fonti principali di Shining. - TEMPO: attraverso la macrocartografia Tempo il cinema di Kubrick si arricchisce di quella profondità teorica e filosofica che affascina gli spettatori. La sua opera sembra essere sempre condizionata da una concezione del tempo non lineare, verticale, condensato. - SPAZIO: proprio come il tempo anche esso non è una semplice categoria, ma un elemento in cui si raggruma gran parte del senso dell'opera. A partire da 2001 lo spazio diventa spesso forma metaforica, che sia il prodotto di una costruzione dialettica tra forma vuota (infinito, natura) e una piena (astronave, cultura) oppure che diventi l'inconscio labirintico dell’Overlook hotel, o ancora quello simbolico e destrutturato del Vietnam. - Bisogna poi anche dire che lo spazio kubrickiano condiziona i personaggi che lo occupano, è come se li imprigionasse e inghiottisse al suo interno; un effetto ottenuto con l’uso di obiettivi panfocali e lenti anamorfiche. - RITMO: il rapporto tra cinema kubrickiano e altre arti è fecondo. Lo vediamo nel rapporto tra 2001 e la musica (il valzer che armonizza lo strappo narrativo dall’alba dell’uomo alla navicella del futuro) come anche in Eyes wide shut (il valzer di Sostakovic che orienta l’alternanza dei percorsi, opposti e paralleli, dei protagonisti); o nel rapporto tra Arancia meccanica e la danza (tutta la prima parte è costituita da episodi che simulano altrettanti balletti, sempre risemiotizzandoli e qualche volta parodizzandoli). - QUADRI: il legame con la pittura arriva al vertice in Barry Lyndon, dove l'ossessione per il ‘700 spinge Kubrick a riprodurre analiticamente la composizione, i cromatismi e l'atmosfera del secolo dei lumi. Inoltre il frequente ricorso a citazioni dirette e indirette di opere pittoriche è funzionale all'Enunciazione. - PUNTI DI VISTA: adotta spesso punti di vista improbabili, come la soggettiva di HAL 9000 oppure quella di Lloyd in Shining, rivelata poi dallo sguardo in macchina di Jack. - NATURA (VS CULTURA): possiamo leggere molto della sua opera mediante il rapporto/dissidio tra Natura e Cultura, tra Istinto e Ragione. - MONTAGGIO: Ha sempre una forte connotazione espressiva sia se è costruito sulla musica, sia se è quello intellettuale (ellissi di 2001) o quello subliminale (come nell’episodio della clinica dimagrante di Arancia meccanica, in cui la sostituzione/eliminazione dell’Atto omicida ne provoca lo straniamento del senso, quasi a sottolineare che l'Atto, frustrato all'apice del climax, viene privato della sua empatia visiva. Infatti, il momento del colpo mortale viene sostituito da una serie velocissima di immagini pittoriche della Pop Art raffiguranti scene erotiche visibile solo interrompendo la sequenza sul giusto frame). - LUCE: anche essa ha sempre una forte connotazione espressiva, sia se si tratta di quella fortemente contrastata e in bianco e nero dei film iniziali, sia quella a colori dei successivi, che tocca il proprio vertice in Barry Lyndon, film in cui, utilizzando pellicole particolari e rinunciando alla luce artificiale, riesce a restituire l'esperienza ottica dell'uomo settecentesco. - HALL 9000: a partire da 2001: Odissea nello spazio il cinema diventa per Kubrick anche un’occasione per sperimentare nuove tecnologie. - GUARDARE: a partire dal terzo atto di 2001 sembra che i veri protagonisti siano l'occhio e l'atto del vedere e questo film si deve leggere anche come una vera e propria odissea dello sguardo, nonché una tappa decisiva per individuare una delle tematiche che meglio caratterizzano il cinema di Kubrick. A partire da 2001 i meccanismi della visione concorrono alla produzione di senso dei film successivi. - FOTOGRAFIE/FREEZE: Giovane fotografo, Kubrick rimase sempre affascinato dalle immagini statiche (foto, quadri), finendo spesso per utilizzarle come espedienti narrativi cruciali e decisivi come nel caso dell’ultima fotografia di Shining. - E-STEDYCAM: espressione coniata da Vito Zagarrio per sottolineare come l’ uso della steady in Shining diventi una vera e propria estetica della visione. - DOPPIO: l'ossessione per la simmetria ho il suo referente concettuale nel tema della dualità. Il doppio caratterizza l'intera produzione fin dal suo primo cortometraggio. - DETTAGLIO: ha una forte connotazione metonimica. - BARRY LYNDON: L’opera in cui Kubrick arriva a formalizzare compiutamente la sua personale estetica cinematografica. L'uso del carrello ottico, il montaggio ossessivamente costruito sui tempi e sui movimenti della musica, ogni singolo movimento di macchina, si connotano di una valenza che impietosamente costringe il personaggio a mettersi in rapporto con le macrocategorie Spazio e Tempo, elevandolo al rango di Soggetto. Spazio e Tempo dell'enunciazione, invece, inghiottono i personaggi, li immobilizzano contro ogni sviluppo narrativo e psicologico teso alla ricerca del ruolo del soggetto, nella storia e nella Storia . Un soggetto che mira all' affermazione del sé ma che è inevitabilmente frustrato dall’affiorare del perturbante, dell'inconscio, del doppio, complementare e opposto al tempo stesso. Mette in scena la tragedia dell’Io moderno di volta in volta, presentando delle prospettive distorte, con punti di vista falsi, fittizi, virtuali o impossibili. Sicuramente inaffidabili. Barry Lyndon è la ricerca spasmodica della perfezione, riproduzione barocca dell’artificio supremo e Suprema illusione della Ragione, la volontà di controllare la realtà. Una realtà che si controlla con il dominio dello Spazio e del Tempo. Un dominio che Kubrick puntualmente nega ai suoi personaggi.
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