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riassunto personale tratto da "I Malavoglia", Appunti di Letteratura Italiana

riassunto personale tratto da "I Malavoglia"

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 23/06/2021

giulia-frangiamone
giulia-frangiamone 🇮🇹

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17 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto personale tratto da "I Malavoglia" e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Prefazione La vicenda dei Malavoglia indica come la ricerca del benessere moderno porti ad una serie di tragedie che colpiscono i più deboli, soprattutto quando questi si arricchiscono fuori dal loro mondo chiuso, come prova a fare la famiglia dei Malavoglia quando vogliono arricchirsi con l’affare dei lupini. La fiumara del progresso avanza con la forza di un potere che assorbe tutto e tutti, per poi lasciare ogni individuo ai margini, dopo esserne servito. Il mondo è pieno di persone sconfitte, cioè di vinti; ad essere sommersi sono soprattutto i deboli. Appunto a costoro, ai vinti della società urbana, si rivolgerà l’attenzione di Verga. Egli ci parla di coloro che, per il desiderio (individuale e collettivo) di ottenere sempre il nuovo e il meglio, rimangono travolti dai loro stessi desideri. Il progresso è frutto dell’ambizione dei singoli, i quali finiscono però schiacciati dalla loro stessa ricerca del meglio. Tutti sono tormentati (travagliati) da questa tensione a stare meglio, sia che facciano parte dei ceti sociali più poveri che di quelli più elevati. Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione nell’Onorevole Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto14. A misura che la sfera dell’azione umana si allarga, il congegno15 delle passioni va complicandosi; i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all’idea, in un’epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un’uniformità di sentimenti e d’idee. Perché la riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente16 al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale. Il cammino fatale17, incessante18, spesso faticoso e febbrile19 che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguansi20 le irrequietudini21, le avidità, l’egoismo22, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane23 lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino24 negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio25 a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale, alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada questa immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvenenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi26 anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani. I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Letya, l’Onorevole Scipioni, l’Uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare27 della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l’esistenza, pel benessere, per l’ambizione — dall'umile pescatore al nuovo arricchito — alla intrusa nelle alte classi — all’uomo dall’ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini; di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge — - Bè! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è stato tuo nonno! «Più ricco è in terra chi meno desidera.2» «Meglio contentarsi che lamentarsi.3» - Bella consolazione! Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle labbra: - Almeno non lo dire davanti a tua madre. - Mia madre... Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre. - Sì, accennava padron ’Ntoni, sì, meglio che non t’avesse partorito, se oggi dovevi parlare in tal modo. ’Ntoni per un po’ non seppe che dire: - Ebbene! esclamò poi, lo faccio per lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci arrabattiamo colla casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po’ che le annate andranno scarse staremo sempre nella miseria. Non voglio più farla questa vita. Voglio cambiare stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi, Mena, Alessi e tutti. Padron ’Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminando quelle parole, come per poterle mandar giù. - Ricchi! diceva, ricchi! e che faremo quando saremo ricchi? ’Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercar anche lui cosa avrebbero fatto. - Faremo quel che fanno gli altri... Non faremo nulla, non faremo!... Andremo a stare in città, a non far nulla, e a mangiare pasta e carne tutti i giorni. - Va, va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato; - e pensando alla casa dove era nato, e che non era più sua si lasciò cadere la testa sul petto. - Tu sei un ragazzo, e non lo sai!... non lo sai!... Vedrai cos’è quando non potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra!... Lo vedrai; te lo dico io che son vecchio! - Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso curvo, e dimenava tristamente il capo: - «Ad ogni uccello, suo nido è bello». Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene. - Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro! rispondeva ’Ntoni. Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani (si rivolge alla morte del padre e del fratello che morirono nel naufragio della Provvidenza). - Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a morire lontano dai sassi che ti conoscono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova5». Tu hai paura del lavoro, hai paura della povertà; ed io che non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! «Il buon pilota si prova alle burrasche6». Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos’hai! Quando la buon’anima di tuo nonno mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io ero più giovan di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere senza brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché ci avrò gli occhi aperti, come l’ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto! che non ha avuto paura di andare a fare il suo dovere. Tua madre l’ha fatto anche lei il suo dovere povera femminuccia, nascosta fra quelle quattro mura; e tu non sai quante lagrime ha pianto, e quante ne piange ora che vuoi andartene; che la mattina tua sorella trova il lenzuolo tutto fradicio! E nondimeno sta zitta e non dice di queste cose che ti vengono in mente; e ha lavorato e si è aiutata come una povera formica anche lei; non ha fatto altro, tutta la vita, prima che le toccasse di piangere tanto, fin da quando ti dava la poppa, e quando non sapevi ancora abbottonarti le brache, che allora non ti era venuta in mente la tentazione di muovere le gambe, e andartene pel mondo come uno zingaro. In conclusione ’Ntoni si mise a piangere come un bambino, perché in fondo quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono come il pane; ma il giorno dopo tornò da capo. La mattina si lasciava caricare svogliatamente degli arnesi (strumenti di lavoro) , e se ne andava al mare brontolando: Tale e quale l’asino di compare Alfio! come fa giorno allungo il collo per vedere se vengono a mettermi il basto (sella di legno che si assicura al dorso dell'asino per cavalcarvi o porvi il carico). Dopo che avevano buttato le reti, lasciava Alessi a menare il remo adagio adagio per non fare deviare la barca, e si metteva le mani sotto le ascelle, a guardare lontano, dove finiva il mare, e c’erano quelle grosse città dove non si faceva altro che spassarsi e non far nulla; o pensava a quei due marinai ch’erano tornati di laggiù, ed ora se n’erano già andati da un pezzo; ma gli pareva che non avessero a far altro che andar girelloni pel mondo, da un’osteria all’altra, a spendere i denari che avevano in tasca. La sera, i suoi parenti, dopo aver messo a sesto la barca e gli attrezzi, per non vedergli quel muso lungo, lo lasciavano andare a girandolare come un cagnaccio, senza un soldo in tasca. - Che hai, ’Ntoni? gli diceva la Longa guardandolo timidamente nel viso, cogli occhi lustri di lagrime; perché la poveretta indovinava quel che avesse. - Dimmelo a me che son tua madre! Egli non rispondeva; o rispondeva che non aveva niente. E infine glielo disse cosa aveva, che il nonno e tutti gli altri ne volevano la pelle di lui, e non ne poteva più. Voleva andare a cercarsi la fortuna, come tutti gli altri. (DIALOGO TRA MADRE E 'NTONI, la povera madre chiede al figlio che problema aveva e lui le dice del fatto di voler partire in cerca della fortuna). - Sua madre lo ascoltava, e non aveva coraggio di aprir bocca, cogli occhi pieni di lagrime, tanto gli faceva pena quello che ei diceva, piangendo e pestando i piedi, e strappandosi i capelli. La poveretta avrebbe voluto parlare, e buttargli le braccia al collo, e piangere anche lei per non lasciarselo scappare; ma quando voleva dir qualche cosa, le labbra le tremavano e non poteva proferir parola. (madre disperata) - Senti, disse al fine, tu te ne andrai, se vuoi andartene, ma non mi troverai più; ché ora mi sento vecchia e stanca, e mi pare che non potrei reggere a quest’altra angustia. ’Ntoni cercava di rassicurarla, che sarebbe tornato presto, e carico di denari, e sarebbero stati allegri tutti. Maruzza scuoteva il capo tristamente, guardandolo sempre negli occhi, e diceva dl no, di no, che lei non l’avrebbe trovata più. - Mi sento vecchia! ripeteva, mi sento vecchia! guardami in faccia! Ora non ho più la forza di piangere tanto, come quando mi hanno portato la notizia di tuo padre e di tuo fratello (il naufragio della provvidenza). Se vado al lavatoio, la sera torno a casa stanca che non ne posso più; e prima non era così. No, figlio mio, non son più quella! Allora, quando fu di tuo padre e di tuo fratello, ero più giovane e forte. Il cuore si stanca anche lui, vedi; e se ne va a pezzo a pezzo, come le robe vecchie si disfanno nel bucato. Ora mi manca il coraggio, e ogni cosa mi fa paura; mi pare di bevermi il cuore, come l’onda vi passa sulla testa, se siete in mare. Tu vattene, se vuoi; ma prima lasciami chiudere gli occhi (cioè dopo la morte). Ella aveva il viso tutto bagnato; ma non s’accorgeva che piangesse, e le pareva di averci davanti agli occhi suo figlio Luca, e suo marito, quando se n’erano andati e non s’erano più visti. - Così non ti vedrò più! gli diceva. - Ora la casa va vuotandosi a poco a poco; e quando se ne andrà anche quel povero vecchio di tuo nonno, in mano di chi resteranno quei poveri orfanelli! Ah! Maria Addolorata! ANALISI Questa parte del cap XI è divisa in 2 parti: • nella prima parte si verifica un conflitto tre il nonno ed il nipote; • nella seconda parte c'è il dialogo tra la madre e il figlio che cerca di consolarla.
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