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Riassunto pittura ed esperienze sociali nell'italia del quattrocento, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

riassume l'intero manuale di Baxandall

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 08/01/2023

Ang.C
Ang.C 🇮🇹

4.4

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Scarica Riassunto pittura ed esperienze sociali nell'italia del quattrocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento – Baxandall Capitolo 1: Le condizioni del mercato Si prendono in considerazione le risposte più o meno consce del pittore alle condizioni del mercato d’arte, senza mettere a fuoco particolari tipi di interesse pittorico.  Oggi si ha organizzazione commerciale di tipo tardoromantico: pittore dipinge ciò che vuole e poi c’è un acquirentemodello del mercato artistico si assimila a quello dei prodotti sostanziali, si compra il già fatto: post Romanticismo=post Rivoluzione Industriale. Nel 400 invece la pittura era su commissione, era troppo importante per lasciarla ai pittori: un dipinto era testimonianza di un rapporto sociale tra pittore e cliente/”mecenate” che commissionava e progettava ciò che andava eseguito (pale d’altare e affreschi), entrambi all’interno di istituzioni (commerciali, religiose ecc). Essi stipulavano un contratto legale. L’investimento di denaro e i criteri di spesa potevano dunque influire sul carattere dei dipinti, tanto che in essi si ritrovano consuetudini economiche dell’epoca, come fossero fossili della vita economica. Scopo del dipinto: essere osservato da cliente e da gente che lui voleva, fornire stimoli proficui Perché ordinare un dipinto (es. Rucellai, mercante usuraio sensibile a valori visivi): 1. piacere del possesso di qualità; 2. attiva devozione (onore di Dio); 3. coscienza civica; 4. desiderio di lasciare ricordo di sé e farsi forse pubblicità; 5. necessità del ricco di trovare forma di risarcimento a società che desse merito e piacere (abbellire patrimonio monumentale pubblico in maniera più economica rispetto alle donazioni); 6. gusto per i dipinti  A regolare il mecenatismo del 400 è dunque la pratica commerciale documentata nei contratti (chiaro a Firenze). I dettagli di essi variano da caso a caso e ciò su cui si pone l’accento nel 1410 (focus su colori preziosi, oro alla cornice) perde di importanza già nel 1490 (focus su abilità pittorica). Per questo secolo, più che la distinzione pubblico-privato in pittura è importante quella fra commesse di imprese collettive/comunali – iniziative private  di solito pittore viene assunto ed ha un rapporto diretto con un cliente profano. È dunque più esposto rispetto allo scultore, che perlopiù lavora per grandi imprese comunali, controllo profano meno personale e stretto, anche se anche per i pittori non c’è testimonianza di interferenze quotidiane eccessive. Es. di tipo di accordo piuttosto tipico: tra Ghirlandaio e Priore dello Spedale x Adorazione Magi. Tre temi principali: 1. Ciò che il pittore deve dipingere (disegno concordato; per richieste difficili da spiegare si faceva rif. ad altre opere); 2. Modi e tempi di pagamento e termini di realizzazione; 3. Pittore deve usare colori di qualità (oro e azzurro ultramarino, da usare nel modo giusto). Vi era una somma forfettaria concordata ma rinegoziabile con arbitri e versata a rate, ma talvolta cliente forniva colori (oro-argento-azzurro: costosi e difficili) e pagava in base a tempo e capacità. Es. di contratti di altro tipo: posizione insolita di Mantegna x i Gonzaga. Era sotto il loro stipendio e aveva anche altre funzioni, ma non sempre veniva pagato, nonostante ricevesse altri privilegi o onorari da altri committenti. Insolita perché, anche sotto Principi, si veniva pagati per singola opera piuttosto che con stipendio fisso.  Nel secolo, la tendenza dei clienti a badare meno allo sfoggio fine a se stesso della preziosità dei materiali sembra accostarsi a una tendenza più generale dell’Europa Occ. es cambiamento di abiti (aneddoto p.16: dorati>nero di Borgogna), perché: necessità di distinguersi dal nuovo ricco; meno oro nel XV sec.; disgusto per licenze sensuali; ragioni tecniche e moda. Tuttavia l’abbandono non è complessivo, bensì limitato all’oro (limitazione selettiva): si sposta l’orientamento dell’ostentazione, così come in pittura. A tal proposito importante la dicotomia materiali (“oro”) – manodopera (“pennello”), ricorrente all’epoca: ci si basa su essa per determinare il prezzo di un dipinto. >Petrarca, De Remediis: pretium ut auguror, non ars placet >Alberti, De Pictura: fate addirittura oggetti d’oro senza l’oro, ma con particolare applicazione Il cliente poteva trasferire il suo denaro “dall’oro al pennello” in vari modi: paesaggi sullo sfondo al posto dell’oro --- pagare il costoso intervento personale del maestro richiedendo la sua mano in vaste proporzioniad eccezione del rozzo Borso d’Este, l’opinione è che ad essere fondamentale è ormai l’individualità dell’artista. Bisognerebbe passare ora alla reazione dell’opinione collettiva alla pittura, ma scarsi documenti. Abbiamo però un resoconto di opinione meno comune, quello dell’agente del Duca di Milano inviato a Firenze. Quest’ultimo nel 1490 volle i migliori pittori per decorare la Certosa di Pavia e questi lo erano per l’agente: Botticelli, Lippi, Perugino e Ghirlandaio. Oltre a ciò emerge: 1. distinzione affresco-pittura su tavola; 2. la concorrenza fra pittori; 3. concetto di artista migliore di un altro e diverso da un altro  naturalmente noi attribuiamo alle osservazioni fatte significati diversi da quelli dell’agente milanese, in quanto cultura diversa > diverso modo di guardare ai dipinti (la cultura condizionava l’attività visiva). Capitolo 2: Pitture ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento L’occhio del quattrocento Ognuno ha un’esperienza diversa nella fase della comprensione visiva  conoscenza ed interpretazione leggermente diverse. Leggermente perché la maggior parte dell’esperienza è comune a tutti. Dare un’interpretazione può dipendere da tante cose: contesto dell’immagine, categorie di deduzione che ognuno possiede,… (STILE CONOSCITIVO INDIVIDUALE) 3 punti: 1) le convenzioni implicano una capacità ed una volontà di interpretare i segni sulla carta come rappresentazioni dentro regole già accettate: esempio dell’Annunciazione di Piero della Francesca ad Arezzo: la comprensione del dipinto si fonda su una convenzione rappresentativa per cui il pittore dispone i colori su un piano bidimensionale per riferirsi a qualcosa di tridimensionale, è difficile credere sia reale, ma consisteva nel fare propria la dimensione piatta e richiamare la tridimensionalità ed essergli attribuita tale capacità  Italia del XV secolo: aspettativa costante > il talento. 2) Il dipinto risente di capacità interpretativa che la mente fornisce: inoltre alcune capacità sono più adatte di altre. Quello che chiamiamo “gusto” è l’analisi richiesta dal dipinto insieme alla capacità di analisi del richiedente. Vergine (oro il più alto)  purtroppo l’occhio era colpito dai colori più costosi (fatto meschino) e si finiva in dispute sulla relatività del colore  ne parla Lorenzo Valla esasperato: obietta l’ordine scelto dall’avvocato Bartolo, per cui il richiamo alla sola natura risulta convenzionale / Alberti fa osservazioni precisissime: le parole non sono il mezzo giusto per esprimere il senso de colore. A Firenze un ragazzo generalmente riceveva due gradi di istruzione: la botteghuzza (tipo scuola elementare), l’abbaco (libri impegnativi come Esopo e Dante), l’università (in pochissimi, per diventare avvocati)  per la maggior parte: le nozioni di matematica apprese fino alla scuola secondaria costituivano il ruolo centrale della loro cultura, colmando le esigenze del mercante del 400  nozioni che si inseriscono nella pittura. Tra le nozioni, la misurazione: Piero della Francesca ha scritto le istruzioni in un manuale di matematica. Stesse capacità geometriche di misurazione dei pittori e per esprimere giudizi. Essi infatti facevano uso del repertorio quotidiano (cisterne, colonne, mattoni,…)  se un pittore usava un oggetto del genere invitava il suo pubblico a misurare  soddisfa la terza richiesta della Chiesa: immediatezza  il fruitore permette al dipinto di passare dalla quotidianità al mistero. Nella Battaglia di San Romano di Paolo Uccello: vari modi di vedere il cappello di Niccolò da Tolentino, anche Lorenzo de Medici li vedeva entrambi e li accettava come gioco geometrico  questi giochi rendono più acuta la sensibilità visiva davanti ad un volume: prendiamo i casi di - Masaccio, La cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre o La Trinità  rendeva il suo volume attraverso la convenzione toscana di suggerire la massa con luci e ombre - Pisanello secondo tradizione settentrionale una massa veniva resa con i suoi contorni caratteristici, non con i toni. Palmieri e Rucellai sostituivano la geometria con l’aritmetica: al centro dello studio c’era la proporzione. Nozioni aritmetiche introdotte in Italia dall’Islam nel XIII secolo da Fibonacci  lo strumento aritmetico universale dei mercanti colti era la regola del 3, buona parte dei trattati è dedicata ad essa. Le difficoltà non erano nella formula ma nel ridurre a quella un problema complesso, la gente divenne esperta attraverso pratiche quotidiane  Piero DF disponeva delle stesse conoscenze sia per un baratto che per i giochi di intervalli dei dipinti. Simili ma decisamente più complessi i calcoli per le proporzioni del corpo umano (Leonardo Da Vinci). Non tutti i pittori usavano le proporzioni chiaramente, ma erano di incoraggiamento ad inserirli e a divertirsi nei dipinti. Ci sono qualità pittoriche che ci sembrano teologicamente neutrali, ma in realtà non lo sono: ci sono due generi di letteratura devota del Quattrocento sulla percezione dei dipinti, uno è un libro sulla sensibilità del paradiso, dove la vista è più importante dei sensi e in cielo attendono delizie  3 particolari: luce intenso, colore chiaro, miglior proporzione. L’esperienza terrena che più si poteva avvicinare era quella di una convenzione prospettica applicata ad un disegno geometrico (in Piero DF); l’altro è sulla percezione del visiva normale tradotta in termini morali  discussione sulla percezione terrena  prospettiva lineare: la visione segue linee rette e le linee parallele che vanno in tutte le direzioni si incontrano in un unico punto di fuga. Le difficoltà che emergono nell’applicazione sono un problema solo per il pittore. capitolo 3: Dipinti e categorie Nel capitolo II viene data un’immagine dell’uomo del Quattrocento come solo uomo d’affari che frequenta la chiesa e ha gusto per la danza; questa concezione può essere smentita in due casi: 1. Esistevano uomini d’affari che andavano in chiesa e avevano gusto per la danza e rifletti persone tipiche del Quattrocento tra cui Lorenzo de Medici (uomo classico del XV secolo) 2. Uomo che dipendeva dalle abitudini sociali, quindi influiscono la religione, educazione e affari (ex. principe Leonello d’Este dotato più di cortesia e meno preparato in matematica) Il capitolo I terminava con la difficoltà di leggere quattro pittori che lavoravano a Firenze, chiariti poi nel capitolo II. A Botticelli, per esempio gli si attribuisce la descrizione di “aere virile”; Filippino Lippi veniva definito con “l’aria più dolce”, anche nel poema di Francesco Lancilotti del 1508 si parla di “aria angelica” riferita al Perugino in cui tutto si ricollega al gesto religioso e a cui si aggiungono le Quattro doti corporali dei Beati (claritas, impassabilitas, agilitas e subtilitas); anche il Ghirlandaio viene definito con “buona aria” che tende a sottolineare il carattere poco marcato dell’artista. La poca chiarezza della lettera inviata a Milano è dovuta all’incertezza lessicale di chi scrivendo, non ha le capacità e conoscenze linguistiche del campo (non è in grado di descrivere a parole lo stile pittorico), quindi le parole impiegate possono essere intese come o reazione ai dipinti o come origine latente dei propri schemi di giudizio. Per esempio, Cristoforo Landino, miglior critico d’arte del Quattrocento, aveva conoscenze riguardo alla pittura e una proprietà di linguaggio insolita. Seguirà l’analisi di 16 termini impiegati da Landino per descrivere quattro pittori fiorentini (Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno, Beato Angelico). - STORIA DELLA PITTURA DEL XV SECOLO Da un lato abbiamo la pittura del Trecento fiorentina in cui spiccavano personaggi come Cimabue, Giotto e gli allievi di Giotto e dall’altro lato abbiamo il Quattrocento che non ha uno schema preciso, poiché i vari artisti non erano concentrati in un’unica città, ma al contrario era diffusi ovunque e ognuno tendeva a prediligere i pittori della propria città. L’elenco più distaccato è quello di Giovanni Santi (in un suo componimento poetico); quest’ultimo era il padre di Raffaello Sanzio e viene ricordato come pittore trascurabile (pala d’altare a Montefiorentino: narrale vita e le gesta del suo datore di lavoro Federigo da Montefeltro, duca di Urbino) e cattivo poeta, fu un pittore eclettico. Nel suo elenco troviamo: - Firenze : Beato Angelico, Paolo Uccello, Masaccio, Pesellino, Filippo Lippi, Domenico Veneziano, Andrea del castagno, Ghirlandaio, Antonio e Piero Pollaiuolo, Botticelli, Leonardo Da Vinci e Filippino Lippi; - Olanda : Rogier van der Weyden, Jan van Eyck; - Marche : Piero della Francesca, Melozzo da Forlì, Cosimo Tura, Ercole de Roberti; - Umbria : Perugino, Luca Signorelli; - Venezia – Roma : Gentile da Fabriano, Pisanello; - Padova – Mantova : Mantegna; - Venezia : Antonello da Messina, Gentile Bellini, Giovanni Bellini; Diversamente da molti fiorentini, Santi riconosce la bella pittura di Venezia e del Nord Italia, riconosce anche il merito della pittura olandese (acquisita a Urbino). Cristoforo Landino: studioso di latino e filosofo platonico, esponente della lingua volgare, docente di poesia e retorica all’università di Firenze. La sua professione si basava sull’uso esatto della lingua. Amico di Leon Battista Alberti, era traduttore del Naturalis Historia di Plinio. Leon Battista Alberti scrive il suo trattato “Della Pittura” nel 1435 ed è il primo trattato in Europa sulla pittura, molto diffuso tra gli umanisti: il Libro I tratta della geometria della prospettiva, il Libro II della buona pittura e la divide in tre sezioni (contorno dei corpi, compositione, ricevere di lumi), il Libro III parla della formazione e dello stile di vita di un artista. Il Naturalis Historia di Plinio (I sec d.C.) è la più completa storia critica dell’arte classica che ci sia mai giunta dall’antichità. Il metodo di Plinio si fondava sull’impiego di metafore, ovvero descriveva lo stile degli autori con parole che dovevano il proprio significato al loro uso in contesti sociali o letterari, non pittorici. Impiegava un lessico caratterizzato da termini sottili, ricchi e precisi per descrivere l’arte, cosa che invece non fa più Landino. Landino impiega termini ricavati dalla bottega degli artisti ma che allo stesso tempo sono comprensibili anche a persone comuni, ma che hanno in sé l’autorità del pittore. Il resoconto di Landino sugli artisti si trova nell’introduzione al suo commento sulla Divina Commedia di Dante: la sezione sui pittori e scultori si divide in quattro parti (arte antica, Giotto e alcuni pittori del Trecento, pittori fiorentini del Quattrocento, scultori). Per quanto riguarda i quattro artisti trattati nello specifico dice di: - Masaccio: ottimo imitatore di natura, si dedicò all’imitazione del vero e al rilievo delle figure; - Filippo Lippi: gratioso et ornato e artificioso, valse molto nelle composizioni e nella varietà, nel colorire e nel rilievo; - Andrea del Castagno: grande disegnatore e grande nel rilievo, amatore della difficoltà; - Beato Angelico: vezzo, devoto e ornato; 1. MASACCIO Tommaso di Ser Giovanni di Mone Cassai (Masaccio) nasce a San Giovanni Val d’Arno nel 1401; ammesso all’Arte dei Pittori di Firenze nel 1422. - 1423-28 dipinse l’affresco della Trinità in Santa Maria Novella e i diversi affreschi nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine; - 1426 dipinse il polittico per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa (smembrato nel XVIII secolo); Nel 1428 andò a Roma dove morì poco dopo. a. “Imitatore della natura”: espressione per indicare che il pittore rivaleggiava o superava la natura o la realtà stessa. La natura e la realtà sono cose diverse per ciascuno a meno che non se ne dia una definizione specifica. Questa qualità, Landino la attribuisce solo a Masaccio (pittore del Quattrocento); Leonardo da Vinci disse una cosa analoga. Una caratteristica dell’imitatore della natura è il fatto di essere autonomo verso libri che presentavano dei modelli e delle formule precostruite, in modo da cogliere gli oggetti reali così come si presentano, si basa sul loro studio reale tramite la prospettiva e il rilievo. b. “Rilievo”: Masaccio è il principale esponente del rilievo, seguito poi da Andrea del Castagno e Filippo Lippi. La definizione di rilievo è l’apparire di una forma modellata a tutto tondo, ottenuta trattando i toni della superficie. Questo viene trattato anche nel “Trattato della Pittura” di Cennino Cennini in cui mette in evidenza uno degli aspetti più efficaci del rilievo di Masaccio, ovvero quello in cui verso le undici del mattino, momento in cui la luce è giusta in qualche modo per gli affreschi nella Cappella Brancacci; la luce e le ombre vengono percepite come forma solo quando si ha un’idea chiara di dove venga la luce. È artefice di alcuni affreschi in San Zaccaria a Venezia del 1422. Non si sa chi fu il suo maestro, né si sa dove nacque e dove (forse nel 1423). Nel 1444 torna a Firenze e la sua principale attività è quella di una serie di affreschi in Sant’Apollonia (L’ultima cena, Crocifissione, Sepoltura, Resurrezione), nella chiesa della Santissima Annunziata (San Giuliano, La Trinità con la Vergine, San Girolamo e una santa), nella villa Carducci fuori Firenze (ciclo di uomini e donne famosi) e il ritratto di Niccolò da Tolentino. Muore nel 1457. k. “Disegnatore”: il termine si riferisce alla rappresentazione di oggetti basata sulle linee di contorno che si contrappone a quella fondata sul tono. Bisogna fare una distinzione tra “disegno” e “colorire”. Cennino Cennini nel suo manuale differenzia: colorire (Filippo Lippi) che è unito a pennello, toni, rappresentazione di superfici e rilievo; mentre disegno (Andrea del Castagno) è unito a matita, linee e rappresentazione di contorni, prospettiva. Il disegno di Andrea del Castagno è singolare, dato che la sinopia (= disegno preparatorio nella pittura a fresco) di alcuni suoi affreschi in Sant’Apollonia fu scoperta nel 1953 sotto lo strato dipinto dell’intonaco dell’affresco (ex. i due soldati in primo piano nella “Resurrezione”). Alberti chiamava il disegno “circumscriptione”, pensando ad un pittore dell’Italia settentrionale che lavorava principalmente con schizzi (Pisanello era un pittore di questo genere). Nella prima metà del Quattrocento questa concezione di disegno rappresentava un’alternativa alla pittura tonale fiorentina. Piero della Francesca cercò di chiarire che la pittura ha tre parti principali (disegno, commensuratio e colorare) invece il disegno è composto da profili e contorni. Questa dicotomia tra disegno e colorire è stata approfondita sempre di più nella cultura europea, nel Rinascimento si è data un’attitudine analitica al disegno e alla pittura che sono diventate il fondamento dell’arte della pittura. l. “Amatore delle difficulta”: l’esecuzione di cose difficili era un modo per dimostrare le proprie abilità e il proprio talento. Il buon pittore fa con facilità le cose difficili, questo “falso paradosso” affascinava i critici del Rinascimento e Lodovico Dolce (scrittore del Cinquecento) si focalizzò su questa concezione per differenziare gli stili di Michelangelo (sempre alla ricerca della difficoltà) e Raffaello (ricerca della facilità). Per quanto riguarda la definizione di difficoltà, si fa menzione al concorso indetto nel 1401 per la decorazione della porta del Battistero di Firenze, in cui Brunelleschi presentò la formella rappresentante il Sacrificio di Isacco che mostrava varie difficoltà. m. “Scorci”: nella “Trinità adorata dalla Vergine” e in “San Girolamo e una santa” si nota uno scorcio nella Trinità che permette di mettere in risalto i volti delle tre figure adoranti (sono la base della narrazione). Questo era però sgradevole per il tardo Rinascimento come l’uso dell’oro nel Quattrocento. Gli scorci sono un’applicazione particolare della prospettiva (prospettiva: scienza o teoria / scorci: manifestazione specifica nella pratica). Il termine “scorci” può rivestire due tipi di interesse, il primo: una cosa lunga vista da una parte, dà all’occhio l’impressione di essere corta (una sorta di esercizio mentale); il secondo: è difficile che un viso umano visto al suo stesso livello, di fronte o di profilo, sia meno scorciato dei volti visti dall’alto o dal basso. (ex. Trinità di Andrea del Castagno). Vasari condannava gli scorci nei pittori del Quattrocento come Andrea del Castagno. n. “Prompto”: Prompto è qualcosa che sta tra il movimento delle figure e quello del pennello. Landino descrive Andrea del Castagno come pittore per i pittori, cioè è un artista apprezzato da gente che capiva le capacità artistiche; Landino attribuisce questa qualità anche a Giotto e Donatello. Un esempio di “prompto” è il David di Andrea del Castagno. 4. BEATO ANGELICO Fra Giovanni da Fiesole entrò nell’ordine domenicano a Fiesole nel 1407; è giunto tardi alla pittura e la prima commissione fu nel 1433 con la “Madonna dell’Arte dei Linaioli” (ora a San Marco a Firenze). Nel 1436 dipinse vari affreschi per il convento di San Marco. Muore a Roma nel 1455; dipinse anche in Vaticano, nello specifico degli affreschi per la cappella di Nicola V. o. “Vezzoso”: con vezzo si intende “delizia”, non era una qualità maschile e in alcuni contesti non era simbolo di virtù. Landino la definisce come una qualità che sta a metà tra il carattere dell’abilità di Beato Angelico e il carattere delle figure umane dipinte da Beato Angelico; il termine probabilmente si riferisce ai valori tonali della sua arte. Ci si sofferma sul fatto che il pittore non enfatizzasse troppo il contrasto tonale di luci e ombre; con vezzoso però si descrive perfettamente la pittura di Beato Angelico. p. “Devoto”: per definire questo termine si riprende la concezione di Tommaso d’Aquino, la devozione è la coscienza e la volontà di rivolgere la mente a Dio, il suo strumento specifico è la meditazione. Per quanto riguarda il “devoto” dobbiamo far riferimento agli stili del Tardo Medioevo e del Rinascimento, in cui il rapporto tra pittura e predicazione era molto stretto. Le caratteristiche pittoriche di Beato Angelico sono: “vezzoso”, “ornato”, “facilità” attribuite dal Landino in senso positivo; invece in negativo gli viene affidato il termine di “assenza di difficultà”, “scorci”, “rilievo” acuto, “movimenti molto “prompti”; ciò che manca nella pittura dell’Angelico è qualcosa a cui lui stesso rinunciò di proposito. Il libro tende a sottolineare le forme e gli stili in base alle situazioni sociali. Molte delle parole in uso nel Rinascimento ora non vengono più utilizzate. È difficile avere un’idea di cosa significasse essere una persona di un certo tipo in una certa epoca e in un certo luogo, infatti solo tramite lo stile pittorico possiamo capirlo, visto che il senso della vista è il principale organo di esperienza e queste capacità sono parti integranti del pittore. Lo stile pittorico permette di risalire alle capacità e alle abitudini visive e quindi si può risalire all’esperienza sociale dell’epoca. Un dipinto è un documento di un’attività visiva.
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