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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Michael Baxandall, Appunti di Storia Dell'arte

Sintesi capitolo per capitolo dei temi trattati da Michael Baxandall.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 24/03/2021

Yaro18
Yaro18 🇮🇹

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Michael Baxandall e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! 1 Michael Baxandall, PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL QUATTROCENTO 1. I. LE CONDIZIONI DEL MERCATO 2. II. L’OCCHIO DEL QUATTROCENTO 3. III. DIPINTI E CATEGORIE Tra virgolette “…” sono inserite le citazioni dal saggio trattato. I. Le condizioni del mercato “Un dipinto del xi secolo è la testimonianza di un rapporto sociale…” “..i dipinti infatti sono fossili della vita economica..” Due sono gli attori principali di questo mercato, da un lato abbiamo il committente che commissiona l’opera, fornendone una più o meno dettagliata descrizione, e il pittore dall’altro (o colui che sovrintendeva l’esecuzione di un lavoro) che si impegna nell’eseguire quanto richiesto dal suo “cliente”. Questo scambio è regolato da un vero e proprio contratto e da una determinata somma di denaro, che quindi influenzerà anche la qualità dell’opera stessa. Le motivazioni del cliente sono spesso codificate istituzionalmente nel tipo di opera commissionata (pala d’altare, affresco capp sepolcrale della famiglia, quadro nuziale etc) e sostanzialmente rispondono al desiderio di prestigio e piacere del bello. Uno dei committenti di grande risonanza è il mercante fiorentino Giovanni Rucellari, che vantava di possedere opere di Veneziano, Lippi, Verrocchio, Pollaiolo, Castagno e Uccello. Il mercato dell’arte era quindi in mano ai committenti e noi ai pittori. Le commesse nel Quattrocento, quindi, regolavano il mercato dell’arte e spesso queste erano stipulate tra privati (esempio 1857 Lippi per Giovanni di Cosimo di Medici, pala d’altare) oppure tra autore e grosse istituzioni corporative nel caso di “fabbriche” delle cattedrali. Qui vediamo una differenziazione tra pittori e scultori; i primi lavoravano generalmente per privati i secondi spesso lavoravano per istituzioni comunali come nel caso di Donatello per l’Arte della Lana (duomo di Firenze), sempre i secondi così avevamo maggiore libertà. Questi rapporti lavorativi erano regolati da contratti, sia in forma di documenti legali che in forma di “ricordi”, ovvero promemoria da parte di ambo le parti. Pur non essendoci una procedura standardizzata nella formazione di tali contratti, generalmente il contenuto riguardava 1. Il soggetto dell’opera, spesso sotto forma di disegno concordato. 2. I modi e i tempi di pagamento e i tempi di realizzazione. 3. La qualità dei materiali! Riguardo all’ultimo punto spesso i contratti erano particolarmente meticolosi soprattutto nella scelta dell’oro e del BLU OLTREMARE come si legge nel contratto del Ghirlandaio con il priore dello Spedale degli innocenti (1488 Adorazione dei Magi) “…l’azzurro abbia a essere oltremarino di pregio di fiorini 4 l’oncia circa…”. Ancora nel contratto degli affreschi, oggi perduti, di Gerardo Starnina del 1408 in 2 Santo Stefano ad Empori “..l’azzurro utilizzato per Maria deve essere 2 fiorini l’oncia, mentre per il resto del quadro andrà bene quello sa 1 fiorino l’oncia.” L’azzurro ultramarino dopo l’oro e l’argento, era il colore più costoso e di più difficile impiego da parte del pittore. Proveniva dall’oriente ed era ricavato dai lapislazzuli e il primo colore ricavato era un azzurro-violetto molto intenso, ne esistevano anche altre varianti come l’azzurro di Alemagna, ricavato dal carbonato di rame ed era meno brillante, e meno resistente soprattutto negli affreschi. Non tutti gli artisti lavoravano con questo tipo di contratti, alcuni come ad es Mantegna dal 1460 alla morte era un pittore stipendiato mensilmente dal marchese Lodovico di Gonzaga, per il quale realizzò non solo pannelli e affreschi ma era a disposizione dei Gonzaga per altre richieste come quella di fare dei disegni di polli dal vivo per una la realizzazione di una tappezzeria. A partire dalla seconda metà del secolo l’attenzione per i materiali si sposta sulle abilità tecniche del pittore nella valutazione del prezzo dell’opera. Ciò deriva probabilmente da fattori differenti, da un lato abbiamo un mutamento all’interno della moda e la sostituzione dei preziosi broccati con preziosi tessuti di nero di Borgogna forse dovuta anche una penuria in termini di materia prima dell’oro, dall’arta l’emergere dell’importanza del mestiere di artista che si va sempre più consolidando nel rinascimento. Vediamo degli esempi; in de pictura dell’Alberti “..non però ivi vorrei punto adoperassi ore però che, ne i colori imitando i razzi del oro, sta più admiratione et lode al artefice.” Giovanni d’Agnolo de’ Berdi quando pagò il Botticelli per una pala “…fior. 2 sono per azuro, e fior. 38 per l’azurro, e fior 38 per l’oro e mettitura della tavola, e fior 35 pel suo pennello.” La predilezione per il pennello e non per l’oro si manifestava spesso nella richiesta di collocare paesaggi naturali e/o urbani sullo sfondo anziché un piatto fondo d’oro, e soprattutto nei contratti cominciavano a comparire clausole sulla parte del lavoro che doveva essere eseguita dal maestro di bottega (pagato di più) e quali potevano essere lavorate dagli apprendisti (pagati di meno). Tale mutata predilezione per la bravura del pittore e non per la qualità delle materie prime diventava una tendenza sempre più diffusa nella seconda metà del secolo, tuttavia non era l’unica, ricordiamo tra i “rozzi” committenti Borso D’Este (principe del ducato di Ferrara). Una domanda sorge spontaneamente: Con quali criteri si valutava la maestria di un pittore, ora che non c’è più il criterio pratico del costo per oncia dell’oro o dell’azzurro ultramarino? Sono pochi e non molto chiari dal nostro moderno punto interpretativo, i documenti che registrano un sincero responso del pubblico alle opere dei pittori, un esempio è la lettera al duca di Milano da parte del suo agente di Firenze (1490); “...Botticello pictore excelle in tavola e muro... hanno aria virile et sono cum optima ragione et integra proportione. Filippino lippi... le sue cose hano aria più dolce: non credo habiano tanta arte. El Perugino… le sue cose hano aria angelica et tanto dolce. Ghirlandaio…le sue cose hano bona aria, et e homo expeditivo et che conduce assai lavoro…” II. L’occhio del Quattrocento L’esperienza visiva dell’essere umano può essere analizzata nella sua parte percettiva (luce riflessa dall’oggetto in questione, proiettata sulla retina e trasmessa al cervello etc.) che anche se specifica ad ogni individuo presenta un processo più o meno simile in tutti gli individui. Vi è poi la parte interpretativa che il cervello ne fa’ ed è questa la parte che ci concerne di più in questo discorso. Anche se ogni mente è diversa c’è una variante piuttosto significativa nell’affermare che anche la parte interpretativa è più o meno simile negli individui, ed è il contesto. Possiamo quindi dire che 5 3. Angelica confabulazione CONTURBAZIONE COGITAZIONE INTERROGATIONE HUMILIAZIONE MERITATIONE (ANNUNZIATA) “ave, o piena di grazia, Il Signore è con te! Benedetta tu fra le donne!” “non temere o Maria…ecco che concepirai e partorirai…chiamalo IESU” “quomodo fiet istud quoniam virum non cognosco idest con cognoscere propono” “ecomi ancilla del Signore. Sia fatto in mi secondo la tua parola” “e dicte quelle parole l’angelo si partì. La Vergine veduto e udito Gabry è stupefatta all’udire questa descrizione! La vergine riflette sul significato de Saluto La Vergine si domanda come sia possibile la sua Immacolata Concezione Accettazione e inginocchiamento della Vergine La Vergine in alta contemplazione sublime Filippo Lippi, L’annunciazione a Firenze, 1440, tempera su tavola Maestro delle tavole Barberini, L’annunciazione a Firenze, 1440-60, tavola Alessio Baldovinetti, L’annunciazione a Firenze, 1440-60, tavola Beato Angelico, L’annunciazione a Firenze, 1440-60, affresco Antonello da Messina, annunciata, ca 1473, tavola I predicatori, quindi preparavano il repertorio immaginario dei fedeli e i pittori rispettavano la corretta caratterizzazione emotiva dell’evento. È evidente, inoltre che questi stili interpretativi si rispecchiano nello stile pittorico di ciascun maestro; Beato Angelico nelle varie annunciazioni rimane vicino al tema dell’Humiliazione, mentre Botticelli preferiva il tema della Conturbazione, disprezzata da Leonardo “…e la nostra donna pareva che si volesse gittare giu di una finestra…” L’elemento focale dell’opera era la figura umana, evocativa e concreta ma al contempo senza una caratterizzazione propria in essa ciò che maggiormente era caratterizzato era l’atteggiamento, fatta eccezione per Cristo in quanto nel XV secolo circolava una sua descrizione fisica alla quale i pittori di attenevano (da rapporto apocrifo di un Lentulo della Giudea al Senato romano). Mezza statura, biondo liscio fino alle orecchie e riccio fino alle spalle, occhi chiari, barba, no rughe. 6 Anche di Maria circolavano descrizioni fisiche, queste tuttavia presentavano maggiori controversie; in particolare la sua carnagione. Per quanto riguarda i santi, questi avevano spesso segni distintivi (calvo era San Pietro). Era quindi il gesto il vero soggetto dell’opera! Ce lo dice Alberti nel suo De Pictura “Ma questi movimenti dell’animo si conoscono nei movimenti del corpo.” E lo ribadisce anche Lenardo “La più importante cosa che ne discorsi della pittura trovare si possa sono li movimenti appropriati alli accidenti mentali di ciascun animale.” Sempre Leonardo ci suggerisce come fonti gli oratori e i muti. I monaci Benedettini avevano infatti elaborato un linguaggio di gesti per i periodi votati al silenzio ne vediamo alcuni esempi: “lumina tegens digitis” Le dita che coprono il volto designano vergognaVERGOGNA “palma premens pectus” La mano premuta contro il petto esprime il doloreDOLORE Ma erano i predicatori ad aver elaborato un sistema efficace di gestualità capace di veicolare significati trascendenti uno specifico idioma. In Mirror of the world del 1520 ne troviamo alcuni esempi: “quando parli di argomenti sacri tieni le mani alzate” “quando parli di un fatto crudele serra il pugno e agita il braccio” “quando parli di cose gentili, miti e umili poggia le mani sul petto” “e quando parli di divino o celeste alza il dito al celo” OOT Il gesto medievale delle due dita alzate (indice e medio) indica discorso. Per quanto riguarda i gesti laici da una xilografia del 1493 del liber scaccorum scopriamo il gesto del benvenuto e dell’invito, che talvolta entra anche all’interno di rappresentazioni ecclesiastiche come nel caso di tentazione di Sant’ Antonio Abate del Pinturicchio, infatti il gesto della mano protesa non era una caratteristica di una fanciulla decorosa, tantomeno de mani protese come in questo caso! Le fanciulle decorose, secondo il Decor Puellarum del 1471, dovevano “… et così stando semper cum la mano dextra sopra la sinistra, al mezo del cenzer nostro davanti…” Considerato il gesto vediamo ora la relazione spaziale con la quale le figure vengono rappresentate nell’opera. Per far ciò dobbiamo considerare le rappresentazioni teatrali in strada, i Drammi religiosi, che ebbero una grande fioritura in questo secolo a Firenze ma erano vietati a Venezia. Due sono gli elementi comuni con la rappresentazione pittorica, il ruolo del festaiuolo e l’assenza di quinte che quindi facevano si che i personaggi non in scena rimanessero seduti in disparte ma comunque in vista. FIGURA 2 Piero della Francesca, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba (particolare delle nobildonne dietro della Regina) Così come il ruolo del Festaiolo era quello di fare da tramite tra pubblico e la scena in atto, anche in pittura troviamo personaggi rivolti verso l’osservatore che invitano il fruitore a diventare attore partecipe alla scena. FIGURA 3 Piero della Francesca, Battesimo di Cristo Anche il secondo elemento comune è facilmente identificabile in varie rappresentazioni come in quella DI Filippo Loppi in La Vergine e il Bambino con i santi. 7 Altre somiglianze tra arte figurativa e altre espressioni artistiche per periodo le troviamo nei trattati sulla danza, in particolare la bassadanza in voga nella prima metà del secolo, di Domenico di Piacenza. Scene corali di complesse figure danzanti e raffigurazioni pittoriche di diversi gruppi di individui in rapporto tra loro sono quindi due espressioni differente del gusto comune ad una società. Per quanto riguarda i colori l’unica codificazione che ci serve per comprendere meglio l’occhio del Quattrocento è legata al prezzo dei colori e non la loro specifica simbologia. Nella professione di pittore l’importante non ero solamente quello di produrre lavori che rispettassero i codici ecclesiastici e lo stile cognitivo dei fruitori in possesso delle loro consolidate immagini interiori, il pittore sapeva anche usare le abilità e le capacità del proprio pubblico per catturare la sua attenzione e lo faceva con la geometria! Nella società mercantile in qui non vi è una standardizzazione dei contenitori delle merci, saper misurare il volume di un barile in modo rapido era una capacità comune a un qualsiasi mercante. Gli uomini del Quattrocento, i pittori e anche i mercanti erano soliti ridurre figure complesse (essere umano in un caso e un tendone per capire quanta stoffa servisse per la sua copertura nell’altro) di più semplici figure geometriche e pittori sapevano utilizzare questo modus pensandi! in questo affresco Piero della Francesca abilmente sfrutta la capacità di ragionare “geometricamente” dell’uomo rinascimentale. In questo modo adempie ad una delle tre regole iconografiche della chiesa; utilizzare la vista per rendere più vivido il mistero della Concezione. Osservando Questo affresco il commerciante è in grado di scomporre il tendone in un cilindro e un cono, richiamando così delle operazioni quotidiane per pensare ad un tema biblico che non sempre ha una così immediata reazione. questo vistoso copricapo è: • Un cappello rotondo coronato da una balza? • Un cilindro e un disco poligonale? E se lo è quante facce ha? Questo enigmatico gioco geometrico poteva essere ciò che divertiva Lorenzo De’ Medici mentre stava nella sua stanza. Il banchiere Giovanni Rucellai ci ricorda un'altra disciplina fondamentale per il mercante del Quattrocento, l’aritmetica che “…fa l’animo atto et prono a esaminare le cose sottili.” e ha al centro la proporzione con la sua fondamentale Regola del Tre o Regola Aurea o Chiave del Mercante (a:b=c:x). Saper ridurre una situazione complicata in una semplice formula era essenziale considerando che un mercante intratteneva affari con città che avevano tutte (almeno le più importanti) una propria moneta. Piero della Francesca nel 1475 pubblica il primo trattato di prospettiva illustrato De prospectica pigendi. Rispetto a ciò che erano soliti fare i mercanti la proporzione in pittura è un procedimento piuttosto sommario. Tutto ciò non vuol dire che il fruitore del Quattrocento andava a ricercare in tutte le opere che vedeva la regola del tre, tuttavia capire il valore che la geometria e l’aritmetica avevano nel xv secolo ci FIGURA 5, Paolo Uccello, Battaglia di San Romani, particolare Niccolò da Tolentino FIGURA 4; Piero della Francesca, Madonna del Parto, 1460, affresco 10 5. Prospectivo; Dante ci fa comprendere come la prospettiva fosse figlia dell’ottica “la geometria è bianchissima, in quanto è senza macula d’errore e certissima per se e per la sua ancella, che si chiama Prospettiva”. FILIPPO LIPPI Orafo carmelitano, maestro del Figlio Filippino e di Botticelli. 1. Gratioso; che possiede “grazia” o che è piacevole in generale? Useremo tutte e due accezioni anche se la prima era la più probabile tra il pubblico e la seconda era più di gusto intellettuale. Londini una questa nozione anche per descrivere lo scultore Desiderio Settignano che aveva “somma grazia”. Confrontando il gruppo di angeli del Tabernacolo in San Lorenzo a Firenze e le fanciulle dell’affresco Salomè che danza di fronte ad Erode (ai lati della sala) troviamo che tutte e due rispondono alla definizione che di grazia da Leonardo “…membra gentili e distese, senza dimostrare di tropo muscoli o di poca evidenza e non tinte…”. Un artista “grazioso” come Lippi avrà anche meno “rilievo” di Masaccio. Secondo altri colleghi di Londini la grazia si esprimeva con la somma di “ornato” e “varietà” 2. Ornato Molto lontano dal nostro significato di decorativo, troviamo il significato nei classici, in particolare in Quintiliano che riferendosi all’arte oratoria definisce ornato tutte le parti che sono altre dalle principali (chiarezza e correttezza del linguaggio) e che insieme a queste ultime confluiscono in un brillante risultato. Sempre Quintiliano ci fornisce una metafora in cui mette in relazione un discorso e una statua. La rigida statua in cui gli arti sembrano incollati alla figura, manca di grazia e di ornamento (Masaccio), la statua con una posa curva, mobile e varia ha grazia ed è ornata (Filippo). 3. Varietà Il significato di varietà, che era popolare nel Quattrocento lo troviamo nel De Pictura di Alberti (1435), che opera una distinzione copia (abbondanza di soggetti) e varietà (diversità dei soggetti). La diversità di soggetti si ottiene con contrasti di tinte e con varietà di atteggiamenti delle figure (anche nudi e vestiti!). Filippo Lippi nelle sue opere spesso possiede sia la copia che la varietà, i critici dell’epoca sicuramente elogiavano la seconda (es Studio per una crocifissione dello stesso). 4. Compositione Un altro concetto ricavato dall’Alberti, che con esso di riferiva alla critica Letteraria classica degli umanisti, per i quali la compositio era il modo in cui una proposizione veniva costruita su quattro livelli gerarchici. Alberti, quindi trasla la composizione proposizione fatta di clausole, clausola fatta di frasi, frase fatta da parole (e viceversa) in dipinti sono composti di corpi, il corpo è composto da membra, il membro è composto di superfici piane (e viceversa). Una mirabile composizione è quindi il risultato di varietà ma anche da un equilibrio tra le parti della composizione, ed è in questo che Londino paragona Lippi a Donatello; entrambi compongono gruppi di varie figure, combinati in modo simmetrico, costruendo mondi irreali ma adatti a contenere la narrazione. 5. Colorire Londini qui intende il significato che Piero della Francesca esprime nel suo De prospectiva pingendi “colorare intendiamo dar i colori commo nelle cose se dimostrano, chiari ed oscuri secondo che i lumi li devariano.” Si intende quindi non il colore in se ma i toni e le tinte che contribuiscono al concetto di relievo. Riusciamo a comprendere meglio il concetto di colorire se lo contrapponiamo a quello di disegno. ANDREA DEL CASTAGNO 1. Disegnatore Il termine si riferisce alla linea di contorno quale modo di rappresentazione dell’oggetto, contrapposta ai toni che venivano usati per la resa dell’oggetto nel colorire. Nella prima metà del Quattrocento questa efficace convenzione del disegno (delicatezza disegno + parziale precisione contorno= mente del fruitore completava il rilievo delle superfici che il pittore non aveva definito in 11 ogni dettaglio) in cui Pisanello anche era un maestro rappresentava una valida alternativa alla pittura tonale fiorentina. 2. Amatore delle difficoltà Eseguire cose difficili era un’abilità molto apprezzata. Cosi Lorenzo de’ Medici apprezzava il sonetto “arguendo dalla difficoltà perché la virtù, secondo i filosofi, consiste circa il difficile” e similmente Antonio Manetti (amico di Londino) esaltava la formella del Sacrificio di Isacco di Brunelleschi “ stupivano e meravigliavansi delle difficoltà che ch’egli aveva messo innanzi….come fu l’attitudine di Abramo, l’attitudine di quel dito sotto el mento…”. Secondo Londino le difficoltà che del Castagno si imponeva erano i suoi scorci e avevamo l’intento di enfatizzare la vicenda. 3. Scorci Gli scorci erano un’applicazione pratica della prospettiva (nel tardo gotico si potevano notare degli scorci ma questi si basavano su dei modelli e non su di un metodo es Gentile da Fabriano in Adorazione dei Re magi), esprimevano l’abilità dell’artista ma al contempo catturavamo l’attenzione del fruitore. Lo scorcio è una cosa lunga, che vista da una parte ci appare corta, diventa così una sorta di esercizio mentale che cattiva l’attenzione e da soddisfazione. È ancora più difficile che un volto umano alla stessa altezza del punto di vista sia visto di scorcio. Entrambe difficoltà le vediamo il La trinità adorata dalla Vergine, San Girolamo e una Santa. L’alto rinascimento perderà l’apprezzamento per gli scorci, così come il Quattrocento perse il gusto per l’oro. Lo stesso Vasari reputa gli scorci negativamente perché alla difficoltà di realizzazione corrisponde la difficolta di comprensione del fruitore. Il Cinquecento, quindi abbandona queste esagerazioni per il gusto per la dolcezza, perde così anche parte della “soddisfazione” nel risolvere mentalmente uno scorcio. 4. Prompto Prompto delle figure e anche nella sua mano, tutto ciò fa di lui un pittore per pittori a detta di Leonardo. Vediamo quindi come gesto e moto d’animo si fondono nel quadro allo stesso modo la pennellata si fonde col pittore. La prontezza di mano così viene a identificarsi con la prontezza della mente. BEATO ANGELICO Fa parte dell’ordine domenicano Di Fiesole, arriva alla pittura piuttosto tardi. 1. Vezzoso vezzo=carezza e per estensione delizia. Non era una caratteristica solitamente data agli uomini, un uomo vezzoso era troppo effeminato. Londino però non sta parlando dell’uomo sta parlando delle sue opere, delle sue madonne e dei suoi angeli. In questo caso il termine si riferisce al uso dei colori tonali, ovvero un passaggio da toni scuri a toni chiari molto graduale senza violente contrapposizioni di chiari e scuri. Vezzoso viene definito nella sua scultura Desiderio da Settignano nel suo relievo poco marcato. 2. Devoto Stile contemplativo che unisce gioia e tristezza, che risulta chiaro non certo intellettuale e complesso. Questo tentativo di codifica di termini dell’arte trae origine negli studi umanistici di Londino ed era lontano dal lessico dei banchieri e commercianti, ma tali termini diventeranno sempre più comuni con l’avanzare del rinascimento, questo è un altro degli esempi dell’influenza classica sulla cultura europea. Lo Occhio si dice che e la prima porta per la quale lo Intellecto intende e gusta. La secunda e lo audire con voce scolta Che fa la nostra mente essere robusta. Feo Belcari, dal dramma Abramo e Isacco, 1449 12
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