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Riassunto “Pitture ed esperienze sociali nell’Italia del ‘400”, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto molto conciso del testo di Micheal Bexandall

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 06/01/2023

giulialonghi12
giulialonghi12 🇮🇹

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Scarica Riassunto “Pitture ed esperienze sociali nell’Italia del ‘400” e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Le condizioni del mercato Un dipinto del XV sec è la testimonianza di un rapporto sociale: un pittore realizzava il quadro, qualcuno lo commissionava, lo finanziava e decideva in che modo usarlo. Colui che potrebbe essere definito un “mecenate”, o semplicemente il cliente, è un agente attivo e determinante. Nel XV sec la pittura di maggiore qualità era prodotta sotto commissione, ed il cliente la ordinava specificandone le caratteristiche. Le opere già pronte si limitavano a oggetti quali rappresentazioni della Madonna o cassoni nuziali. Il cliente pagava per il lavoro, ma investiva il suo denaro secondo l’ottica del ‘400, influendo sul carattere dei dipinti. Quindi, alla base delle opere vi era un rapporto di tipo commerciale. Nella storia dell’arte il denaro ha una grande importanza e vi erano dei particolari criteri di spesa. I dipinti erano progettati ad uso del cliente, per avere la soddisfazione di possedere personalmente oggetti di qualità. Si individuano tre ulteriori motivi: - L’onore a Dio - L’onore della famiglia - La memoria individuale Una pala d’altare o un ciclo di affreschi si prestano chiaramente a soddisfare tutte e tre le esigenze. L’acquisto di oggetti del genere procura il piacere ed il merito di spendere bene i propri soldi. Per un uomo facoltoso, spendere soldi per chiese ed opere d’arte, era quindi un merito ed un piacere. Un dipinto aveva anche il vantaggio di essere un oggetto di nota ma allo stesso tempo molto meno costoso rispetto ad altri materiali con cui si componevano le chiese, come campane o marmi. L’uso primario del dipinto era quello di essere osservato: progettato per il cliente e per coloro dai quali voleva essere ammirato. Le commissioni dei privati avevano spesso un ruolo pubblico ed erano destinate a luoghi pubblici come nelle cappelle delle chiese. Il pittore, di solito, veniva assunto e controllato dal committente, quindi si trova ad avere un rapporto diretto con il cliente. Esistono documenti legali che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base di un’opera, e inoltre circa i principali obblighi contrattuali delle due parti. Alcuni sono veri e propri contratti redatti da notai, altri sono solo ricordi e promemoria meno elaborati, non vi era una forma fissa nemmeno all’interno della stessa città. Le istruzioni circa il soggetto del dipinto non erano in genere specifiche; talvolta venivano elencate le singole figure che devono essere rappresentate, ma più di frequente veniva chiesto un disegno preparatorio, che era di sicuro più efficace. La forma in cui veniva versato il pagamento era solitamente una somma versata a rate, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. Il cliente poteva fornire colori più costosi e pagare il pittore per il tempo impiegato e per le sue capacità. La somma concordata in un contratto non era del tutto rigida, se un pittore si ritrovava in perdita rispetto al contratto poteva solitamente rinegoziarlo. Dopo l’oro e l’argento, l’azzurro ultramarino era il colore più costoso e di più difficile impiego per il pittore: si otteneva dalla costosa polvere di lapislazzuli importata dall’oriente, ch filtrata più volte permetteva di ottenere un azzurro violetto molto intenso. Esistevano dei sostituti più economici, come l’azzurro d’Alemagna (colore meno brillante e meno resistente, soprattutto sull’affresco), ma per evitare disguidi e delusioni da parte del cliente riguardo l’azzurro, si specificava che dovesse essere ultramarino. Questo colore viene comunemente utilizzato per sottolineare le figure principali del Cristo o della Madonna nelle scene bibliche. Non tutti i tipi di artisti lavoravano con contratti meticolosi, in particolare, alcuni lavoravano per dei principi da cui concepivano uno stipendio, come nel caso di Mantegna per i marchesi Gonzaga di Mantova. Nel corso del secolo, però, si verificano graduali cambiamenti all’interno dei contratti: i colori preziosi perdono il loro ruolo di primo piano e la richiesta di abilità assume maggiore rilievo. I clienti cominciano a badare meno all’esigenza di fare sfoggio di fronte al pubblico, e quindi ad una preziosità di materiali che è fine a se stessa. Un dipinto veniva pagato in base a due elementi: materia e abilità. Un cliente accorto aveva varie modi per trasferire il suo denaro dalla preziosità dei colori al “pennello”. Ad esempio come sfondo alle figure poteva richiedere dei paesaggi al posto di una doratura. Un contratto poteva perfino specificare cosa un cliente aveva in mente per i suoi personaggi. Si inizia ad attribuire anche un valore notevolmente diverso al tempo impiegato dal maestro rispetto a quello degli assistenti, cosa che per i pittori era una differenza sostanziale. Si poteva spendere molto di più se una parte importante del dipinto veniva eseguita dal maestro di bottega anziché dai suoi assistenti. Per quanto riguarda le commesse di grandi affreschi, però, le richieste potevano essere meno esigenti. Il cliente conferisce lustro al suo dipinto, non più con l’oro, ma con la maestria, con la mano del maestro in persona. Verso la metà de secolo, il fatto che l’abilità pittorica venisse pagata a caro prezzo è ormai cosa nota. L’occhio del Quattrocento Il cervello ha il compito di interpretare i dati e ne ricava i relativi dettagli dal suo bagaglio di schemi e varie informazioni immagazzinate tramite l’esperienza. Ma ciascuno di noi ha avuto esperienze diverse e quindi ha conoscenze diverse dunque capacità di interpretare diverse. La comprensione del dipinto si fonda sul riconoscimento di una convenzione rappresentativa imperniata sul fatto che il pittore dispone di colori su un piano bidimensionale per riferirsi a qualcosa di tridimensionale. La convinzione consisteva nel fatto che il pittore facesse la sua superficie piatta in modo da richiamare il più possibile un mondo tridimensionale, e gli veniva attribuito il merito di avere tale capacità. Buona parte di ciò che viene chiamato “gusto” consiste nella corrispondenza tra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore: si fa affidamento sul fatto che quest’ultimo riconosca il soggetto con immediatezza sufficiente da permettergli di adattarlo alla giusta prospettiva. A un certo livello abbastanza alto di consapevolezza, l’uomo del Rinascimento era uno che abbinava dei concetti allo stile pittorico, sono proprio queste persone la cui reazione alle opere d’arte era di fondamentale importanza per l’artista. I cittadini poveri ed i contadini erano irrilevanti nella cultura del Rinascimento. Anche nelle classi dei committenti vi erano delle differenze che si concretizzavano in delle diversificazioni per gruppi, ad esempio, un medico che conosceva i rapporti fra le membra del corpo umano era maggiormente attento ai problemi di proporzione e sapeva notarli anche nei dipinti. Il pittore è sensibile a tutto questo e deve fare i conti con la capacità visiva del pubblico. La maggior parte dei dipinti del ‘400 sono religiosi, creati in funzione di fornire una specifica attività intellettuale e spirituale. I dipinti ricadevano sotto la giurisdizione di una teoria ecclesiastica sulle immagini con regole consolidate ormai da tempo. Dal punto di vista della Chiesa le immagini avevano lo scopo di provocare stimoli umidi, vividi e immediatamente accessibili che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi. Il dipinto deve raccontare la storia in modo chiaro per la gente semplice, in modo indimenticabile per chi stenta a ricordare e utilizzando appieno tutte le emozioni che la vista può suscitare. La Chiesa, però, ha individuato tre principali problemi nella concezione dei dipinti, che andava contro la teologia e il buon senso. Anche l’aritmetica, altra branca della matematica commerciale, era di fondamentale importanza nella cultura del ‘400. Al centro degli studi su questa branca c’era proprio quello della proporzione. Piero della Francesca disponeva della stessa preparazione sia per un affare di baratto che per il sottile gioco di intervalli dipinti. Lo studio delle proporzioni del corpo umano fatto dai pittori era generalmente qualcosa di abbastanza sommario in confronto a ciò a cui erano abituati i mercanti. Questa specializzazione costituiva un attitudine indirizzata all’esperienza visiva, considerando cioè la struttura di forme complesse come delle combinazioni di solidi geometrici regolari o come degli intervalli raggruppati in serie. E’ possibile che le qualità pittoriche che sembrano teologicamente neutrali (ovvero proporzione, prospettiva colore e varietà) in realtà non lo fossero. La letteratura devota del ‘400 fornisce degli accenni su come ciò possa arricchire la percezione dei dipinti: vengono discussi alcuni aspetti della nostra normale percezione terrena. In tutto ciò risiede il significato della prospettiva lineare del pittore del ‘400. La visione segue le linee rette e le linee parallele che vanno in tutte le direzioni, che sembrano incontrarsi in all’infinito in un unico punto: il punto di fuga. Molta gente del periodo era abituata all’idea di applicare la geometria piana al più ampio mondo delle apparenze, poichè ciò veniva loro insegnato per misurare gli edifici e gli appezzamenti di terreno. Alcuni dei più attivi committenti di buona pittura erano piuttosto ferrati in matematica. Se si uniscono i due tipi di pensiero, l’esperienza geometrica e la cultura religiosa, emerge un’ulteriore sfumatura che caratterizza la rappresentazione narrativa dei pittori del ‘400. Dipinti e categorie La storia generale della pittura del XV sec è sorprendentemente difficile da stabilire. Mentre la pittura del ‘300 è stata riassunta, almeno a Firenze, in uno schema molto chiaro (Cimabue, Giotto ed i suoi allievi) il ‘400 non produsse mai uno schema altrettanto netto. L’elenco più distaccato e ricco di informazioni generali si trova nel componimento poetico di un pittore attivo ad Urbino, Giovanni Santi. Il suo poema, oltre a narrare la vita e le gesta del suo datore di lavoro Federigo da Montefeltro, dà un elenco in rima di altri grandi maestri di pittura. Santi è consapevole della bella pittura prodotta a Venezia e nel Nord Italia, riconosce la buona qualità anche della pittura olandese, ma il maggior peso viene attribuito a Firenze. Nell’elenco di Santi vi sono. Botticelli, Filippino Lippi, Ghirlandaio e Perugino. Cristoforo Landino, studioso di latino e filosofo platonico nonché esponente del volgare e docente di poesia e retorica all’università di Firenze, sottolinea altri quattro pittori dandogli delle precise caratteristiche. Questi sono: Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e il Beato Angelico. Fece uso di metafore, coniate da lui o appartenenti alla sua cultura, riferendo aspetti dello stile pittorico del suo tempo allo stile sociale e letterario della sua epoca. Masaccio Tommaso di Ser Giovanni di Mone Cassai, detto Masaccio, nasce nel 1401 e fu ammesso all’Arte dei Pittori di Firenze nel 1422. Poco dopo, dipinse i suoi due capolavori superstiti a Firenze, un affresco della Trinità in Santa Maria Novella e diversi affreschi nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, molto danneggiati a seguito di un incendio del 1771. Nel 1426 dipinse anche un polittico per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa, che fu successivamente smembrato. Verso la fine del 1428 Masaccio andò a Roma dove morì poco dopo. Imitatore della natura: Insieme a imitazione del vero, sono le varianti di una delle espressioni critiche del Rinascimento di cui è più difficile cogliere la portata. Si poteva dire che un pittore “rivaleggiava o superava la natura o la realtà stessa”, ed era la più semplice è consueta forma di lode che si potesse usare. La frase indica uno dei principali valori dell’arte del Rinascimento e il fatto che Masaccio sia l’unico dei pittori del ‘400 a cui Landino attribuisce questa qualità fa capire la portata dell’artista. Leonardo Da Vinci parla di prospettiva e di luce e ombra attraverso cui noi percepiamo le forme degli oggetti, ed è appunto per la sua maestria in “prospectiva” e “rilievo” che Landino continua lodando Masaccio. L’imitatore della natura è il pittore che si distacca dai libri che presentano modelli precostruiti, per cogliere gli oggetti reali così come si presentano. Rilievo: Masaccio è il principale esponente del “rilievo”. Leon Battista Alberti spiegava che questo è l’apparire di una forma modellata a tutto tondo, ottenuta trattando abilmente discretamente i toni sulla superficie. E’ un luogo comune tra le guide turistiche che ci sia un momento del giorno, intorno alle 11 del mattino, in cui la luce è in qual modo giusta per osservare gli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci. L’enfasi di Landino sul “rilievo” degli affreschi di questo artista è rimasta una costante nella critica dell’arte. Puro: E’ uno dei latinismi di Landino e conserva il senso in cui la critica letteraria aveva usato il termine per definire uno stile privo di ornamenti e conciso. E ciò fa di un concetto negativo uno positivo. A “ornato” si poteva contrapporre tanto il concetto positivo di “semplice” quanto quello negativo di “povero”, quindi non basta dire che qualcuno sia “senza ornato”. Puro ci dice che Masaccio non era né ordinato né spoglio, puro va riferito allo studioso e rigoroso, ma non ispido o elegante. Facilita: E’ a metà tra le nostre “facilità” e “abilità” e veniva spiegato come il prodotto di: talento naturale e capacità acquisibili sviluppate attraverso l’esercizio. La scioltezza che deriva dalla pratica della “facilita” era una delle qualità più apprezzate. In genere, riguarda più l’affresco che non il dipinto su tavola. Gli affreschi di Masaccio sono ciò che si dice “buon fresco” o fresco autentico, poiché dipinti quasi interamente su intonaco fresco. Essi differiscono dalla maggior parte degli affreschi del ‘400 che non sono affatto affreschi autentici, ma “fresco secco” dipinti per lo più su intonaco asciutto. Così, la “facilita” di Masaccio è misurabile dal numero straordinariamente ridotto di parti di affresco che hanno lasciato il segno sulle pareti della Cappella Brancacci. Prospectivo: E’ semplicemente qualcuno che si distingue nell’uso della prospettiva. La prospettiva pittorica è legata alla “scienza della prospettiva”, un settore in cui la ricerca accademica si era intensamente dedicata nel tardo Medioevo e che potremmo chiamare ottica. Ad adattare l’ottica alla pittura fu Brunelleschi. I principi base della prospettiva del pittore del ‘400 erano piuttosto semplici, culminando principalmente nel punto di fuga. La pratica, però, faceva sorgere delle difficoltà particolari, soprattutto nel riportare in modo corretto gli oggetti solidi e complessi, risultando in una netta semplificazione dell’ambiente fisico che l’artista aveva il compito di affrontare. Ci sono molti più angoli retti, molte più linee rette, molti più solidi regolari nei dipinti del ‘400 di quali ce ne siano in natura o ce ne fossero stati nella pittura precedente. Ma c’è il pericolo di considerare la "prospettiva" esclusivamente come un complesso di costruzioni sistematiche di linee prospettiche, dal momento che queste possono essere comodamente descritte e insegnate con delle regole. Filippo Lippi Entrò nell’ordine carmelitano nel 1421, nella stessa chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, dove Ascanio affrescava in quel tempo la Cappella Brancacci. Non si sa chi sia stato il suo maestro, benché si supponga un suo legame con Masaccio, e lavorò per la famiglia Medici. Vi sono un gran numero di dipinti su tavola di questo pittore, ma il suo più ampio lavoro fuori Firenze furono dei cicli di affreschi nelle cattedrali di Prato e Spoleto. Senz’altro suo figlio Filippino e probabilmente Botticelli furono suoi allievi. Gratioso: Colui che possiede “gratia” e piacevole in generale. Lippi ha avuto meno “rilievo” di Masaccio o di Andrea del Castagno. Da Vinci e Filippo Lippi danno una descrizione sommaria della “gratia” pittorica, ma non ne forniscono una definizione. I critici neoclassici riconoscono in questo termine il prodotto di “varietà” ed “ornato”. Sono queste due qualità che Landino attribuisce a Filippo Lippi. Ornato: Per i critici le due qualità del linguaggio erano la chiarezza e la correttezza, che tuttavia non bastavano per ottenere un brillante risultato e tutto ciò si che si aggiungeva veniva chiamato “ornato”. Per Landino, i dipinti di Filippo Lippi e del Beato Angelico erano “ornato”, mentre quelli di Masaccio erano “senza ornato” perché perseguiva altri valori. I primi due erano acuti, nitidi, ricchi, ilari, giocondi ed accurati, mentre Masaccio sacrificava queste virtù a favore di una chiara e corretta imitazione del reale. Il vero “ornato” intendeva molto spesso riferirsi all’atteggiamento o al movimento di una figura. Varietà: Il resoconto quattrocentesco sulla varietà pittorica, che era poi quello più familiare a Landino, si trovava nel Trattato della pittura di Alberti. Egli distingueva due tipi di interesse: “copia” che è una profusione di soggetti e “varietà” che è invece la diversità dei soggetti. Un dipinto è “copioso” quando tutto ciò che è rappresentato è abbastanza piacevole, appropriato e non confuso. Invece, la “varietà” è un valore assoluto e risiede particolarmente in due fattori: in una diversità di contesto di tinte e in una diversità e contrasto degli atteggiamenti delle figure. Ci sono quadri di Filippo Lippi che sono sia copiosi che vari, ma sono questi ultimi, con una quantità ridotta di elementi, che i critici del ‘400 ammiravano maggiormente. Compositione: E’ inteso come armonizzazione sistematica dei vari elementi del dipinto, usato per la prima volta da Alberti, che prese a modello la critica letteraria classica degli umanisti, per i quali compisitio era il modo in cui una proporzione veniva costruita su quattro livelli gerarchici. Alberti trasferì tale termine e lo schema gerarchico alla pittura, ottenendo dal basso verso l’alto: superficie, membro, corpo, dipinto. Con questa teoria, il ‘400 poteva analizzare a fondo la composizione di un quadro ed era anche lo schema immaginativo sul quale l’artista costruiva e il critico giudicava la “varietà”. Donatello e Lippi composero entrambi gruppi in cui le figure si combinano in gruppi simmetrici con risultati soddisfacenti grazie all’equilibrio tra varietà e simmetria. Costituirono mondi irreali, ma del tutto adatti a fare da sfondo ai loro protagonisti, inserendo in profondità nel dipinto il loro spazio compositivo, sia che fossero alberi, rocce o fantasie architettoniche. Colorire: Con questo termine Landino intende lo stendere il colore. Piero della Francesca lo definì nel suo trattato, De perspectiva pingendi, con in parte una sovrapposizione a “rilievo” che coincide con il fenomeno di ricevere la luce da parte di un oggetto. In sostanza, l’arte di distinguere toni e tinte.
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