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Riassunto POLITICA DI POTENZA NELL’ETÀ DEL LEVIATANO Chiaruzzi, Sintesi del corso di Relazioni Internazionali

Riassunto del manuale di relazioni internazionali

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 29/05/2021

cristalcedeno
cristalcedeno 🇮🇹

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Scarica Riassunto POLITICA DI POTENZA NELL’ETÀ DEL LEVIATANO Chiaruzzi e più Sintesi del corso in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! NELLA GUERRA E NELLA PACE, HUMANA CONDITIO E TELOS DELLA STORIA Relazioni internazionali: disciplina accademica novecentesca, tarda epigona di un sapere • ben più antico le cui ascendenza risalgono alla riflessione politica Teoria politica internazionale: corpo di proposizioni generali che possono essere avanzate • sulle relazioni politiche tra gli stati o sulla politica mondiale (Bull) Martin Wight è ritenuto il fondatore della scuola inglese della teoria delle relazioni internazionali che enfatizza i presupposti morali e culturali delle relazioni internazionali, le loro dimensioni storiche e l’opera dei grandi pensatori della tradizione occidentale. L’interrogativo che guida l’indagine teorica della scuola inglese è “cos’è la società internazionale?” e, da questo punto di vista, il debito a Wight è lampante. A lui si deve il merito di aver indirizzato l’indagine della scuola inglese sulla continuità ed il mutamento della gamma di norme, pratiche ed istituzioni create dall’agire dell’uomo nella società internazionale, ovvero il dominio specifico della sua esistenza. Ad un primo livello, la scuola inglese sarebbe unita: dall’aspirazione al Wertfreiheit (libertà dal valore, avalutatività) • dal rifiuto dello scientismo, degli schemi utopistici • dall’idea che le relazioni internazionali hanno luogo in un contesto di regole normative e di • ordine. È possibile ricostruire quattro fasi di evoluzione della scuola inglese, caratterizzata da un percorso prevalentemente lineare e continuo: 1958 - 1964: dalla fondazione del British Committee on the Theory of International Politics 1. alla pubblicazione di un volume collettando sulla teoria della politica internazionale (Diplomatic Investigation); 1966 - 1977: nel 1977 escono System of States, saggi di Wight sui sistemi di stati occidentali, 2. e The Anarchical Society di Bull, una teoria dell’ordine politico internazionale 1977 - 1992: questa fase è segnata dalla morte di Bull e dallo scioglimento del British 3. Committee nel 1985 dal 1992: nuova generazione con maggiore apertura intellettuale traducibile in una 4. predisposizione a collocare gli assunti e le idee della scuola nel contesto degli sviluppi contemporanei, come neorealismo, teoria dei regimi o costruttivismo Wight tratta le relazioni internazionali come l’effetto di interazioni sociali che gli stati contribuiscono a formare, mettendo in gioco fattori immateriali come l’ideologia. La tradizione della scuola inglese si fonda sul ricorso alla storia come legittimazione dell’azione e cemento della coesione di gruppo, tentando di affermare la propria continuità con un passato storico opportunamente selezionato. Una società internazionale esiste quando più stati mantengono rapporti giuridici ed ammettono fra loro uno scambio di diritti ed obbligazioni, ma una perfetta società internazionale non si avrà se non quando le sue proporzioni corrispondano alle stesse proporzioni dell’umanità. società internazionale: insieme di stati che hanno stabilito norme ed istituzioni comuni • fondate sul dialogo ed il consenso per regolare i loro rapporti reciproci. Gli stati che fanno parte di una società internazionale riconoscono il loro comune interesse nell’adeguarsi alle norme istituite. Le istituzioni a cui si riferiscono gli autori della scuola inglese sono istituzioni di lunga durata, come l’equilibrio di potenza e la diplomazia. Il pensiero politico cristiano di Wight si manifesta soprattutto nei suoi primi scritti, di forte impronta teologica ed in cui domina un’interpretazione religiosa della storia e della politica internazionale. A tratti si scorge una filosofia della storia, intesa come riflessione sul destino dell’umanità nel suo complesso e dell’uomo singolo. Wight discute le motivazioni della guerra ed il primo tema problematico che essa pone: la liceità di uccidere. Per l’etica la guerra è un caso particolare del diritto di uccidere e Wight ne affronta l’essenziale nucleo problematico, la morte data all’uomo dall’uomo. obiettore di coscienza: colui che attua la pratica di resistenza individuale e non violenta • (l’obiezione di coscienza) ripudia incondizionatamente la guerra L’obiettore di coscienza considera la guerra come violenza, la quale è il male assoluto, e rifiuta le quattro giustificazioni storicamente ricorse per la guerra: Idea di guerra giusta, come quella di difesa: tutte le guerre sono violenza indistinguibile unite 1. da una concatenazione che deve essere spezzata ed è l’obiettore a voler iniziare; Idea di guerra come male minore, rispetto ad esempio alla perdita della libertà: la guerra è 2. solo un male che genera altri mali e solo un bene come la pace può generare gli altri valori; Idea di guerra come male necessario: il ricorso storico alla guerra occlude la possibilità del 3. progredire pacifico che è reso inconoscibile; Idea di guerra come inevitabile: è un evento che dipende dall’uomo e la sua costanza nella 4. storia non ne indica una costanza futura Wight attacca la figura del soldato, che assieme al diplomatico vive e simboleggia le relazioni interstatali giacché rappresentante della collettività alla quale appartiene. Il soldato è colui che sul campo di battaglia è l’unità politica nel nome della quale uccide il proprio simile. Wight incita al rifiuto del dovere militare, rivendicando la convinzione che togliere la vita umana è peccato e che il fulcro del pacifismo cristiano sta nella persuasione che ciò non è mai giusto poiché dare e togliere la vita sono prerogative di Dio. Il martire è più potente del soldato: neanche il diritto all’autodifesa possono implicare l’uccisione del nemico poiché l’unico uso della forza che il pacifista cristiano può considerare legittimo è quello volto alla redenzione dell’uomo ed uccidere è la negazione oggettiva di un principio redentivo. Il pacifismo è la vera etica individuale, che soddisfa il dovere del cristiano verso Dio, ma non soddisfa il dovere del cristiano verso il prossimo. Si fronteggiano così due sistemi della morale: legge della carità, che sussiste dalla perfettibilità umana e non può sussistere negli affari • umani; legge della giustizia, frutto dell’imperfezione dell’uomo e della necessità di correggerla e che • corrisponde alla legge della vita sociale, che impone di riconoscere il male in sé stessi e negli altri così da combatterlo per estendere le condizioni sociali che possono minimizzarne la portata Per Wight dalla fine dell’epoca medievale avviene un cambiamento fondamentale nella struttura morale della politica, che si separa da quel senso di unità religiosa rappresentata dall’Europa cristiana: la storia moderna si distingue da quella medievale per il predominio dell’idea di potere sull’idea di diritto. La nascita del sistema di stati moderno ha trasferito quel senso di unità alle particolari unità politiche e sovrane che lo costituiscono. Per Wight la caratteristica essenziale del sistema di stati moderno è l’emancipazione del potere dai vincoli morali. Lo stato è l’organizzazione della potenza verso l’esterno, non del diritto né ed a decretarne l’obsolescenza. Ciò che la natura vuole, l’uomo deve volere e questa volontà si può esprimere con uno degli strumenti massimi per la pacificazione perpetua, lo spirito commerciale, che non può coesistere con la guerra e che prima o poi si impadronisce di ogni popolo. In seguito, Wight affermare che la credenza che il deterrente nucleare abbia abolito la guerra ravviva l’illusione kantiana di una garanzia della pace perpetua al di là della responsabilità umana (ora il deus ex machina non è l’interdipendenza commerciale ma lo sviluppo degli armamenti. Nella visione di Kant non ci è dato sapere quando ma possiamo aspettarci l’affermazione di un ordinamento giuridico cosmopolitico sull’intero pianeta: un progresso del genere umano verso la pace perpetua. La progressiva instaurazione di un ordinamento razionale, il sommo bene, è già avviata sulla terra. A fianco alla critica delle dottrine del progresso, Waltz rivolge una critica anche alla dottrina fatalistica che quel che è stato sempre sarà, ovvero quella visione di una storia portatrice di eventi immutabili perché in perenne ripetizione. La critica alle dottrine del progresso e la critica al pessimismo che conduce alla disperazione fanno trasparire in Wight una concezione analoga a quella che costituirà il fulcro della sua teoria internazionale: una concezione dialettica profonda ed uno scontro di contraddizioni. La storia non ha una direzione, una logica a priori, neppure aumenta d’importanza avvicinandosi a noi. La storia è sospinta in eguale misura da forze tra loro opposte ed in perenne confronto, le forze dello sviluppo e della distruzione, che introducono l’ordine archetipico incarnazione- crocifissione-resurrezione. On the abolition of war marca il passaggio dall’idea della pace come bene moralmente superiore (pacifismo cristiano) alla sua relativizzazione, prodotta dalla realistica considerazione delle funzioni svolte dalla guerra nella società internazionale. Wight muove delle considerazioni che corrispondono alle funzioni che la guerra ha nella vita internazionale e che sono: Essere il mezzo principale con cui la maggioranza degli stati ha conseguito la propria 1. indipendenza Essere lo strumento finale per la preservazione dell’indipendenza 2. Essere il mezzo estremo per il mantenimento dell’equilibrio di potenza (inteso come difesa 3. della libertà degli stati dalle spinte egemoniche e dai tentativi di dispotismo internazionale) Queste considerazioni fanno riferimento ad un ruolo effettivo dal punto di vista della concretezza del fatto storico, del dato empirico che si presenta all’osservatore della realtà internazionale. Wight non parla mai di un valore positivo della guerra ma di una funzione positiva o costruttiva. La guerra, in questo senso, ha un’efficacia operativa, ovvero una funzione costruttiva che mira all’espressione od attuazione pratica di principi che esprimono interessi comuni nella società internazionale (es.: mantenimento del sistema degli stati e dell’indipendenza dei suoi membri). Se si intende la guerra come modello stabilito di comportamento orientato alla promozione di scopi comuni essa ha raggiunto valenza istituzionale. Per Waltz non esiste cosa come la giustizia: tutto quel che sempre si ha è la relazione tra vincitori e vinti ed è questo lo scetticismo che compromise l’accordo di Versailles. Nelle relazioni internazionali solamente la guerra svolge la funzione di decisione finale delle controversie. Wight riconosce che in ogni momento storico almeno una parte del diritto rimanda ad un principio di violenza. La guerra ha il ruolo di istituzione della società internazionale ma può cessare di possedere questa funzione rivelando la propria perversità. Ciò accade quando è concepita non come litigation, ovvero come strumento politico atto alla risoluzione di una vertenza, ma diventa altro, come ad esempio uno strumento di vendetta. Per Wight la causa fondamentale della guerra è l’assenza di un governo comune a quello delle unità politiche protagoniste della vita internazionale in ciascuna epoca storica. È la mancanza di una figura essenziale della politica, cioè di un tertium super partes dotato di capacità coercitive preponderanti. Le guerre sono combattute per molti e diversi motivi, ma tutte le cause particolari operano nel contesto dell’anarchia internazionale e della paura hobbesiana di cedere parte della propria sicurezza in assenza di un governo internazionale. Si ritrovano in Wight almeno tre livelli di analisi della realtà della guerra e delle sue cause: antropologicamente all’imperfettibilità dell’uomo; • teologicamente al peccato originale; • empiricamente all’anarchia internazionale; • “La guerra è inevitabile, ma particolari guerre possono essere evitate”: Wight attribuisce alla diplomazia il compito di eludere le circostanze di guerra e di estendere la serie delle circostanze eluse. La diplomazia è una delle principali istituzioni nelle relazioni internazionali e può mitigare le condizioni sociali della guerra. Inoltre, Wight distingue anche tra: cause permissive della guerra, come l’anarchia internazionale • cause efficienti della guerra, come la ragione dei pochi che decidono la politica dello stato e • dei molti che influenzano i pochi Infine, individua anche tre motivazioni nell’origine delle guerre: Guerra d’interesse, per conseguire un utile materiale 1. Guerra di timore, per garantire la propria sicurezza. Questo tipo di guerra è quella che si 2. impone con maggior frequenza nelle relazioni internazionali Guerra di dottrina, per affermare una causa od un principio. Questo tipo di guerra è 3. strumento della convinzione ideologica associata alla potenza, che rappresentano il mutamento qualitativo che più caratterizza il sistema di stati moderno L’interdipendenza tra sfera interna ed esterna dimostra il grado di unità della società internazionale (uno stato importa all’altro anche per i suoi affari interni), ma le lealtà ideologiche trascendono i confini nazionali e sembrano esprimere un’unità superiore per gli individui. Il confine tra politica interna e politica estera è offuscato: la prima diventa strumento di ostilità e la seconda è liberata dai freni che ne vincolano la distruttività. L’apice dello statis internazionale si raggiunge quando una forza orizzontale acquista carattere statuale, come nel caso della Rivoluzione francese. DEL SENSO DELLA REALTÀ INTERNAZIONALE La centralità del realismo nella teoria delle relazioni internazionali è incontestabile e Wight è ricondotto alla scuola del realismo internazionalistico inglese ed è anche incluso nel realismo eterodosso (tra coloro che si sono sforzati di temperare i principi del realismo mediante la considerazione di fattori che il realismo ortodosso non considera). La posizione intellettuale di Wight si sposta lungo il cerchio immaginario tracciato dalle tre tradizioni di pensiero occidentale: realista (machiavelliana), razionalista (groziana) e rivoluzionarista (kantiana). La posizione scettica e dubitante del realismo di Wight è presente in tutta la sua opera. La presa di distanza dal realismo produce conseguenze importanti sull’impostazione teoretica di Wight: comporta un distacco dalla tendenza all’affermazione del primato della politica estera sulla politica interna. Altrettanta distanza è nei confronti della rivendicazione liberale e socialista del primato della politica interna sulla politica internazionale, considerata un riflesso dei rapporti e delle strutture e politiche nazionali ed il sistema internazionale la proiezione di una pluralità di interazioni con epicentro negli stati. Wight considera cruciali gli eventi e le ripercussioni che accadono sia nella sfera interna che esterna della politica, distanziandosi dalla tendenza a considerarle separate. Per Wight, la politica interna e la politica internazionale non sono disgiunte, ma si influenzano reciprocamente. La politica è comprensibile se e solo se entrambe le dimensioni sono soppesate: solo così, ad esempio, sono comprensibili gli effetti dei tre movimenti rivoluzionari che segnano il sistema degli stati moderno europeo (Riforma, rivoluzione russa, rivoluzione francese), i quali sono eventi accaduti in uno specifico paese ma che producono conseguenze capitali in tutto il sistema. principio di legittimità internazionale: giudizio collettivo della società internazionale sulla • legittima appartenenza alla famiglia delle nazioni. È una delle aree in cui politica interna ed esterna più si approssimano. Per Wight, la politica internazionale non è solo una semplice lotta per il potere in cui idee ed ideologie sono maschere dell’aspirazione alla potenza ed al dominio. La potenza non si risolve solo nella forza, ma implica anche il richiamo a valori o principi astratti condivisibili di cui è necessaria una visione dell’ordine internazionale equo. Il regime politico internazionale, pur nella sua peculiare condizione di anarchia, è come gli altri regimi un regime retto da una minoranza, ovvero le grandi potenze, che esercita la propria supremazia sociale fondata sulla disuguaglianza di potere. Il potere di questa ristretta classe di Stati, dotati di risorse e capacità materiali esclusivi, è legato anche a principi di giustificazione analoghi a quelli necessari ad ogni classe di soggetti al comando di qualsiasi società umana. Per Wight lo stato non è l’attore unitario e razionale generalmente considerato dalla teoria realista, ma è un agente politico complesso, la cui condotta è il prodotto della combinazione ed interazione di molteplici elementi in mutua influenza. Wight riconosce un’unica legge politica fondamentale: la prima condizione della giustizia è un ordine imposto. È possibile concepire un ordine ingiusto ed un ordine equo, ma è impossibile concepire un disordine equo. Wight concepisce le relazioni internazionali non come un sistema teoretico chiuso bensì come l’ambito politico preminentemente dell’imprevista e del contingente, in cui la sopravvivenza delle nazioni più essere a rischio e vanno prese decisioni tormentate. È la tensione tra ordine e giustizia ad essere al cuore della politica internazionale. Il compito politico fondamentale in tutti i tempi è quello di fornire ordine, o sicurezza, dal quale il diritto, la giustizia e la prosperità possano poi svilupparsi. Wight vede la capacità del valore morale di pervadere la sfera della politica, l’espediente politico combinarsi con il senso morale dell’uomo politico stesso, il quale talvolta è capace di rifiutare lo sfruttamento estremo del vantaggio o della posizione di privilegio. L’agire che Wight richiama non porta al veto morale sull’azione politica e rifiuta l’idea dell’amoralità della politica attribuita al realismo politico. Coincide con la ricerca di un’alternativa politica positiva. Per Wight il realismo è un fatto acquisito: oltre ad esso c’è altro. Il problema morale sembra, però, quasi inaffrontabile nella condizione anarchica della politica internazionale. Ogni stato ha un interesse supremo, l’interesse per il mantenimengo della propria sicurezza, verso il quale tutto il resto è sacrificato in ultima istanza. È il circolo vizioso della politica di potenza: la moralità è frutto della sicurezza, ma una condizione durevole di sicurezza fra le potenze dipende dalla loro osservanza di un certo criterio comune di moralità. Wight ritiene la mera condivisione di interessi materiali incapace di intaccare realmente il problema della politica, cioè il potere. Non può essere disgiunta dall’idea che deriva dal diritto naturale basata sulla razionalità e socialità dell’uomo che asserisce la necessità di una concezione comune di certi vincoli morali, di giustizia e di diritto. Nel lungo periodo gli pare che l’idea di vincolo morale comune è una dottrina sociale più fruttuosa dell’idea di un interesse materiale comune. A suo avviso questa è la principale influenza rapporto alle altre relazioni sociali (assenza di tribunale e polizia) Per Wight la politica non riguarda solo la lotta per il potere ma l’intera gamma delle condizioni poste alla base della condizione umana. La cooperazione volontaria di stati sovrani, il cui interesse comune e senso d’obbligazione conduce ad unirsi, è un aspetto importante delle relazioni internazionali, capace di schiudere almeno l’idea di un percorso diverso per la vita internazionale. La sicurezza collettiva porta ad un grado superiore l’istituzionalizzazione dell’equilibrio di potenza perché significa dare al sistema dell’equilibrio di potenza un quadro legale, renderlo più razionale, maggiormente affidabile e più efficacemente preventivo. Dato che la sicurezza collettiva tenta di regolare i comportamenti all’interno di una sfera che include sia eventuali amici sia eventuali nemici, cerca anche di sottrarre lo stato, nel massimo grado possibile, alla logica polarizzante e diadica amico-nemico. Pretende di sfumare l’identità del nemico cercando di sottrarre l’altro a questa assimilazione propria della logica di potenza. Per Wight il sistema instaurato a Ginevra nel 1920 dalla Lega della Nazioni rappresenta un rinnovato sforzo di costituzionalizzare la politica internazionale. Si tratta del maggior tentativo mai fatto di fornire la società internazionale di una costituzione effettiva. La Lega restrinse rigidamente le condizioni sotto cui si poteva ricorrere alla guerra, ma non la pose fuori legge. Offrì anche un concetti capace di trasformare il circolo vizioso della politica di potenza in circolo virtuoso, facendo della sicurezza collettiva un obbligo morale. La sicurezza collettiva, mezzo di difesa per gli interessi comuni della società internazionale, il cui principio generale è che ogni rottura della pace è dichiarata coinvolgere tutti gli stati partecipanti ed un attacco contro uno di essi è considerato un attacco contro tutti è storicamente destinato ad una realizzazione condizionata e limitata, se non al fallimento. In Wight risalta quella fede costituzionalista e liberale in relazione alla politica internazionale che rivendica il primato della società internazionale rispetto all’interesse particolare delle singole potenze. È un costituzionalismo interstatale alla ricerca di un equilibrio costantemente mutevole tra esercizio del potere, gubernaculum, e controllo sul potere jurisdictio. La società internazionale sembra escludere la rule of law, il principio di legalità, dall’orizzonte del possibile essendo vincolata alla condizione anarchica. teoria progressista: idea che gli studi internazionali siano suscettibili di un avanzamento • simile a quello attribuito a talune scienze naturali (da pagina 155 a pagine 168 leggere di nuovo) STORIA ECUMENICA E RIFLESSIONE INTERNAZIONALISTICA Pregiudizio nazionale: impostazione metodologica che conduce la storia alla valorizzazione • dei fattori di unità e d’interdipendenza della vita internazionale. Mette in risalto una concezione diversa dall’interesse nazionale, con l’intenzione di consentire a limitazioni della sovranità statale. Il punto di vista internazionale proposto da Toynbee è in netta contrapposizione ad un approccio ritenuto responsabile di sacrificare l’unità sociale della civiltà occidentale, a favore delle individualità delle comunità nazionali. Toynbee cerca di incoraggiare le persone all’interesse verso la storia come un tutto, come parte d’uno studio unificato degli affari umani. La tiranna dello stato sovrano superiorem non recognoscens ha esercitato un dominio intellettuale sulla società occidentale. Quest’impostazione, secondo lui, rende palmare la propensione ad intendere lo stato moderno come una realtà storicamente limitata. Wight, come Toynbee, osserva quanto il pregiudizio dello stato sovrano sia assai recente ma l’illusione sulla normalità dell’esistenza di un sistema di stati così dannosa alla comprensione della vita internazionale. Risalta, da un lato, il contrasto tra: pluralità di stati locali in cui la società ellenica è stata divisa prima dell’ascesa dell’Impero • romano pluralità di stati locali in cui la nostra stessa società occidentale è stata finora divisa • Prima del sedicesimo secolo in Occidente non esisteva un sistema di stati fondato sull’idea della sovranità, ma una singola unità, la cristianità, divisa fra autorità papale ed imperiale. A Wight appare moderno il sistema di stati greco-ellenistico, ma remoto ed alieno quello della pace romana. Wight, riprendendo l’argomentazione di Toynbee, nota una differenza tra: teoria politica, ovvero tradizione di speculazione sullo stato • teoria internazionale, ovvero tradizione di speculazione sulla società degli stati • Egli considera la teoria internazionale come caratterizzata da pochezza e povertà intellettuale, a causa del pregiudizio intellettuale imposto dallo stato sovrano. Dal sedicesimo secolo, la società internazionale è organizzata in modo tale che nessun individuo, ad eccezione dei principi sovrani in quanto rappresentanti, ne faccia parte. Per Wight, le relazioni internazionali sono lo stato dei fatti che producono la teoria internazionale. Accanto al pregiudizio nazionale c’è un’altra causa che ha interdetto lo sviluppo della teoria internazionale: la politica tra gli stati possiede una resistenza alla riflessione teorica. Per Wight, la teoria della politica interna è teoria della vita felice, mentre la teoria internazionale è una teoria della sopravvivenza. Essa concerne l’esperienza finale della vita o della morte e riguarda in ultimo soltanto il vivere, o meglio il sopravvivere, cioè il fine della società internazionale e dei suoi membri. In A Study of History Toynbee afferma che i termini in cui occorre pensare per lo studio della storia sono quelli dell’intero e non delle parti. Per comprendere la realtà storica della società è necessario seguire le vicende dei suoi membri non separatamente ma simultaneamente. Le società, non le singole unità politiche indipendenti, sono gli atomi sociali con i quali gli studiosi debbono trattare. Analogamente, Wight usa indistintamente il concetto di sistema di stati e quello di società internazionale, termine introdotto incidentalmente da Grozio. Wight, come Grozio, non pensava a particolari distinzioni e perciò è parso responsabile di una confusione terminologica. Egli riprende la seguente definizione: sistema di stati (Pufendorf): diversi stati che sono così connessi da sembrare costituire un • corpo ma i cui membri conservano sovranità È Bull ad insistere su una specifica distinzione tra: sistema di stati: si forma quando due o più stati hanno un sufficiente contatto tra loro ed un • sufficiente impatto sulle rispettive decisioni, che li conduce ad agire come parti di un complesso; società di stati, o internazionale: esiste quando un gruppo di stati, consapevoli di valori ed • interessi comuni, formano una società nel senso che nelle loro reciproche relazioni si concepiscono vincolati da una gamma comune di regole e partecipano all’operare di istituzioni condivise Tuttavia, nessun sistema internazionale, nel senso definito da Bull, ha mai operato senza perlomeno certe regole ed istituzioni e neppure è chiaro come potrebbe. Quel che Wight cerca di cogliere sono le analogie e le differenze tra le istituzioni presenti, pur in forme diverse ed a stadi diversi di sviluppo, nel sistema di stati antico e moderno oppure, al contrario, la loro unicità. Peculiari istituzioni del sistema di stati moderno sono, ad esempio, l’affermazione del diritto internazionale, l’equilibrio di potenza quale pratica consapevolmente indirizzata al mantenimento del sistema stesso, e una gerarchia riconosciuta e formalizzata tra le potenze. Le istituzioni internazionali sono, nella loro particolarità di funzionamento, il prodotto di uno specifico quadro storico-culturale. Il mutamento istituzionale internazionale, la sua influenza sull’evoluzione dei sistemi di stati nel tempo e nello spazio, è uno snodo privilegiato per comprendere la vita internazionale. La percezione di istituzioni che appartengono ad un sistema di stati sostanzialmente ispirato da un modo di intendere la convivenza fondato sulla stabilità e la continuità è fondamentale. L’accento è posto sulla convivenza pacifica e su tutte le istituzioni che si contrappongono all’idea di una condizione naturale di conflittualità. L’attenzione preminente di Wight pare ricadere soprattutto sulla difficoltà oggettiva e la refrattarietà alla cooperazione ed all’azione collettiva, pur non necessariamente produttrici di coesistenza pacifica. È l’impreparazione a superare il particolare, a valicare il confine ideale e materiale dell’indipendenza, dell’autonomia e della sovranità. Un sistema di stati presuppone sia rapporti diplomatici regolari sia un’omogeneità culturale: è l’articolazione politica di una macro cultura. Wight prende come punto di riferimento il discorso degli Ateniesi riportato da Erodoto nelle Storie. Il sangue, la lingua greca, i riti sacri ed i costumi condivisi sono gli elementi che Wight impiega per qualificare la cultura comune a fondamento del sistema antico. Le principali differenze tra il sistema delle poleis e quello maturato nell’Europa occidentale cinquecentesca sono la base linguistica comune alle poleis in contrasto con la diversità di lingue del sistema europeo ed una configurazione differente. La configurazione del sistema moderno europeo emerge in seguito alla disgregazione dell’unità della respublica christiana, mentre quello ellenico vede la precedenza storica della polis come singola unità politica di coesione sociale. Il sistema ellenico non possiede un corpus di “diritto internazionale”. Il sistema ellenico manca di istituzioni divenute essenziali al sistema europeo, come un complesso di ambasciate residenti e l’equilibrio di potenza. diplomazia: sistema ed arte della comunicazione fra potenze. L’essenza della struttura • diplomatica moderna sta nello status degli agenti inviati all’estero ai quali il governo accreditante accorda immunità e privilegi in base al diritto internazionale. Nella polis il proxenos è cittadino della polis con la quale sono stabilite le relazioni. Non rappresenta gli interessi della polis per la quale è proxenos, non ricevendone istruzioni né mandato. Inoltre, il sistema greco è caratterizzato da una concezione egemonica del sistema di stati e dall’assenza di un concetto sufficientemente sviluppato di equilibrio di potenza, contrapposto alla prassi quasi istintiva di bilanciamento. Per egemonia il greco antico intendeva la direzione suprema dell’esercito e dalla supremazia spartana sembra dominare una concezione egemonica del sistema ellenico nel quadro di una pressoché costante condizione conflittuale. Per Wight il principio di sicurezza collettiva può essere rilevato per la prima volta dopo la fine del periodo dell’instabile diarchia tra Sparta ed Atene. La concezione greca era collegata ad una considerazione sostanzialmente egualitaria dei membri del sistema ellenico e ciò spiega l’assenza della concezione gerarchica che distingue, invece, il sistema moderno. grande potenza: potenza che, secondo Wight (che riprende Toynbee), può proteggere i propri • interessi ed impiegare la propria forza dovunque nell’intera estensione di un sistema di stati Per Wight l’assenza di una teoria dell’equilibrio di potenza affine a quella sviluppatasi nel mondo moderno sembra fondarsi sull’autorità. Egli pensa che il sistema ellenico non abbia sviluppato sufficientemente due prerequisiti per l’operare di una logica d’equilibrio: un sistema diplomatico ed un concetto d’interesse comune Egli vede nella storia internazionale occidentale un variare della forza dei principi, delle idee, delle dottrine che classificherà ricorrendo ad una suddivisione tripartita: Realismo, che domina il periodo tra 1648 e 1789 e che si afferma tra 1914 e 1939 1. Razionalismo, che ha rilievo secondario e che domina tra il 1815 ed il 1848 per poi affermarsi 2. tra 1914 e 1939 Rivoluzionarismo, a confronto diretto del razionalismo tra il 1789 ed il 1815 e poi nel 3. trentennio 1848-1878 Per Wight la storia internazionale non è solo il luogo in cui si svolge la vita politica pratica, ma è anche luogo di confronto e competizione per conseguire il privilegio di definire la realtà. Nella teoria internazionale di Wight la logica della realtà è raccordata con la logica del discorso sulla realtà, i suoi procedimenti, argomenti e ragionamenti. Da questo punto di vista, il costante insistere sul linguaggio politico rimanda al metodo del primo che abbia colto il nesso tormentoso fra parola e politica, colui che reputa l’unico, riconosciuto classifico nello studio delle relazioni internazionali: Tucidide. La teoria internazionale di Wight è costruita sull’assurdo fondamentale che le interpretazioni offerte dagli uomini sui fondamenti delle relazioni internazionali, sulla loro natura, possano essere ricondotte a pochi idealtipi. Nessuna tradizione è in grado, essa sola, di rendere conto della verità della politica internazionale che sta nella loro interazione dinamica, nella loro complementarità e nella loro costante tensione. Le tradizioni di pensiero non vanno immaginate come binari che corrono paralleli all’infinito ma come torrenti, spesso confluenti, spesso trasbordanti il proprio letto. Le separazioni nette sono tali solo ai fini dello studio teorico ed esistono molte posizioni intermedie malgrado le tradizioni siano distinte. Wight dà luogo ad un dialogo orizzontale tra queste tre tradizioni e schemi, suscitato di volta in volta dal confronto verticale di ciascuna con delle variabili (i paradigmi: idea della natura umana, rapporto tra civiltà, natura della società internazionale, concezione della potenza, dell’interesse nazionale, della diplomazia, della condotta della politica estera, dell’equilibrio di potenza, della guerra, del diritto e dell’etica internazionale). Dunque, presenta un dialogo orizzontale tra le tradizioni ed un confronto verticale di ogni tradizione con ciascun paradigma. Per Wight è nel dialogo e nel confronto tra le tre tradizioni che troviamo le chiavi per comprendere le diverse sfaccettature dei processi politici internazionali e per illuminare le persistenze e discontinuità della politica internazionale attraverso i secoli. Solo nell’indistinguibile tensione uniti a delle tre tradizioni e schemi di pensiero è la teoria internazionale secondo Wight. razionalismo: tradizione che si concentra nel valore dell’elemento del rapporto internazionale • in una predominante condizione di anarchia (Grozio) Il razionalismo considera il sistema di stati come costituente una società internazionale, valida in sé, di mutui doveri e diritti. Questa tradizione, per Wight, è una sorta di via media tra le altre due. realismo: tradizione che considera il conflitto inerente alle relazioni fra stati (Machiavelli) • Il realismo considera il sistema di stati una situazione d’anarchia in cui valida è una politica di sopravvivenza e d’interesse. Questa tradizione è caratterizzata dalla convinzione che le relazioni interstatali siano assimilabili allo stato di natura di stampo hobbesiano, cioè che la società internazionale non esista o rappresenti una finzione. rivoluzionarismo: approccio alla politica internazionale guidato da uno zelo missionario rivolto • al rinnovamento della società internazionale (Kant) Il rivoluzionarismo enfatizza le divisioni empiriche del sistema di stati dovute alla varietà ed all’eterogeneità dei suoi membri, sostenendone l’unità ideale. Questa tradizione è caratterizzata dalla convinzione che la società internazionale sia o debba essere la crisalide per la comunità degli uomini protesa verso la cosmopolis. Una quarta tradizione di pensiero è menzionata ma quasi per nulla approfondita: rivoluzionarismo invertito (o pacifista). “CHE COS’È LA SOCIETÀ INTERNAZIONALE?” La tradizione realista è ricondotta principalmente ad Hobbes ed i suoi punto di partenza sono il pessimismo antropologico ed una visione ciclica e statica della storia. L’individuo ha solo il posto riservatogli dallo scorrere degli eventi e la società internazionale non è una società ma un’arena. L’anarchia è la condizione naturale delle relazioni internazionali, dominate dalla forza, consacrate dalla guerra. Non si crede realmente alla società internazionale poiché essa è destinata a svanire quando la sua pregnanza dovrebbe essere dimostrata, ovvero al momento di prevenire la guerra. Il diritto internazionale è costantemente violato e rappresenta un arrangiamento funzionale agli interessi degli stati e non un vero diritto; così, il sistema diplomatico, che esiste allo scopo di proteggere gli interessi nazionali. Tra le potenze si ha uno stato di natura di mutua insicurezza, che spinge all’imperativo dell’autoconservazione, dell’autosufficienza e dell’indipendenza assoluta in cui tutte le relazioni sono considerate relazioni di potenza (bellum omnium contra omnes). Per il realismo la società internazionale, ammessa e non concessa la sua esistenza, può rappresentare una società imperfetta di società perfette. Le società internazionali (e non la società internazionale) sono il compimento finale dell’organizzazione politica degli esseri umani sulla terra, i quali provvedono alla sicurezza ed al benessere degli individui e che non sono pronti a cedere simili funzioni. La società internazionale non è costituita altro che dalle relazioni tra le grandi potenze (Che cos’è l’Europa se non tu ed io?). Sono le grandi potenza la vera ed unica società internazionale. Ciò implica che vi siano relazioni sociali e cooperazione, perlomeno tra potenze dello stesso rango. La tradizione razionalista, verso cui Wight più propende, considera la società internazionale come una società, ma differente dallo stato. Lo stato di natura è qui inteso come condizione di socievolezza e non di natura e le relazioni internazionali sono rapporti sociali dominati dalla consuetudine e non dalla forza. La vita degli stati si basa più sulla cooperazione che sul combattimento e la maggioranza delle potenze sono rivolte a preservare la pace e non a scatenare la guerra. Uno dei postulati della tradizione groziana è il riconoscimento alla società internazionale di un diritto di autodifesa e coercizione collettiva. La società degli stati è una vera società ma istituzionalmente carente in quanto priva di un potere comune superiore. La debolezza del diritto internazionale discende dalle sue caratteristiche di diversità ed eterogeneità poiché il tentativo di produrre leggi generali che si applichino senza ingiustizia è complicato. L’esistenza della società internazionale, in quanto schema di pensiero, è testimoniata dall’esistenza di una legge internazionale e di istituzioni internazionali. La tradizione rivoluzionarista è definita a partire da una concezione lineare della storia e da un’idea della natura umana ottimista e perfezionista. Dall’idea della convinzione nell’unità - prima di tutto morale - della società internazionale e nella credenza che la società internazionale vera trascenda i suoi membri, gli stati. L’organizzazione delle relazioni internazionali è illegittima e va ricostruita in base ad una particolare dottrina od a specifici criteri. Al compimento di questo processo la società internazionale dovrebbe scomparire in quanto tale e dovrebbe essere analoga ad uno stato od un’associazione universale. Non è una vera società perché una vera società deve ancora essere realizzata, secondo un principio di natura cosmopolita piuttosto che internazionale. Per Wight alla base di questa tradizione c’è un cardine teorico che consiste nel tendere alla costituzione di una singola repubblica dell’umanità, un imperium mundi. La società degli stati deve essere il più possibile assimilata alla condizione della società domestica ed è la convinzione in questo tentativo che rappresenta la caratteristica essenziale della tradizione rivoluzionarista. Quest’obiettivo può essere raggiunto in modo diverso: cosmopolitismo: implica la totale dissoluzione delle relazioni internazionali. Rigetta l’idea 1. stessa della società internazionale affermando che l’unica vera società internazionale è quella composta dai singoli individui. Attraverso un appello alla cosmopolis, si deve tendere alla vera società internazionale degli individui che scavalchi la fittizia società di stati e decreti la fine della politica internazionale in quanto politica interstatale in ragione della fratellanza dell’umanità. uniformità politico-ideologica: è ispirata dall’idea che essa sia condizione fondamentale per la 2. pace nella società internazionale. Kant contempla le prospettive della pace perpetua solo quando tutti gli stati saranno conformi alla forma di governo repubblicana. imperialismo dottrinale: il suo strumento precipuo d’affermazione nella società degli stati è la 3. volontà di una grande potenza di imporre l’uniformità ideologica. Scaturisce dall’idea di un popolo eletto dell’Antico Testamento e dall’idea di un uomo guidato del destino, la cui incarnazione si ha nella figura di Enea, simbolo della votazione e suprema espressione della missione. A Wight sembra che ogni grande potenza aspiri ad essere una potenza dominante ed ad unificare, almeno dottrinalmente, la società internazionale. Wight distingue tra coloro che affidano la risoluzione alla violenza (Lenin) e chi ai mezzi pacifici (Wilson). La diffusione dell’uniformità politica per il superamento delle divisioni empiriche fra gli stati sembra irrealizzabile fintanto che non si lega all’imperialismo dottrinale ed alla sua imposizione con l’uso della forza. La credenza nell’uniformità politica come condizione per il raggiungimento di uno stadio superiore nella vita internazionale può riferirsi ad un’origine esemplare e suprema. Per Wight i tre schemi di pensiero si distinguono per una specifica visione antropologica della natura umana. Il realismo tende ad una visione pessimistica e negativa sintetizzabile nell’idea dell’homo • homini lupus e questa qualità umana è un dato immutabile. Al rivoluzionarismo egli assegna una visione perfezionista ed ottimistica dell’uomo: la natura • non è un dato immutabile ma suscettibile di cambiamento. Al razionalismo attribuisce una sorta di agnosticismo antropologico. L’uomo è né buono né • cattivo e comunque dotato della capacità di fare appello alla ragione anche a fronte dei peggiori istinti. Ciò può produrre nella sfera politica un limitato livello di cooperazione. Questi assunti sulla natura umana hanno un corrispondente nella visione della storia che Wight attribuisce ai tre schemi di pensiero: per il realismo è ciclica, per il rivoluzionarismo lineare e progressiva e per il razionalismo contingente. Oltre a chiedersi cosa sia la società internazionale, Wight si interroga anche sulla sua estensione. A suo giudizio il realismo assume che la civiltà abbia un diritto assoluto alla propria espansione. • Ciò significa che l’altro non ha diritti ed è escluso dalla legge. La logica che nega diritti al diverso conduce alla negazione della sua stessa presenza ed esistenza. Wight attribuisce al razionalismo la concezione che la civiltà occidentale abbia un diritto alla • propria espansione ma, diversamente dal realismo, possiede tale diritto in quanto portatrice di un (presunto) beneficio anche per chi la subisce. Il barbaro non ha né pieni né uguali diritti, bensì appropriati. È un principio di giustificazione ideologica all’espansione, l’idea della missione civilizzatrice volta alla conversione. Il razionalismo contrapporrebbe la persuasione alla coercizione. Il rivoluzionarismo riconosce i barbari uguali e ne deriva una dottrina di assimilazione. Essa • trova espressione nell’egualitarismo, nel principio di libertà e perciò riconosce non un diritto all’espansione della civiltà bensì alla resistenza contro di essa. Sembra che nessuna delle concezioni occidentali possa sfuggire ad una logica gerarchica, Wight pensa che in via generale sulle relazioni internazionali il realismo tenderà a produrre asserzioni di natura sociologica, il razionalismo di natura ontologica e il rivoluzionarismo di natura prescrittiva, espresse in forma imperativa. * Il realismo enfatizza l’importanza della dimensione fattuale e sono l’agire ed il risultato delle azioni, non le motivazioni e gli ideali che definiscono i contomi veramente importanti dell’esistenza. * Il razionalismo pone il fluire della realtà fenomenica in posizione subaltema rispetto alla vera realtà. Al razionalista è ricondotta la convinzione di essere portatore di una visione della realtà che è più realistica di quella avanzata dal realista, perché i valori morali ed i principi che stanno a fondamento della realtà empirica sono più reali ed effettivi delle equazioni di potere privilegiate dal realismo. * AI rivoluzionarismo è ascritta una visione che ha la propria essenza nell’idea di un uomo destinato ad assistere lo scopo immanente della storia verso il suo compimento, definitivamente rinnovatore. Realisti e razionalisti si avvicinano nella disposizione a condividere l’accettazione della realtà della politica internazionale, pur allontanandosi nel dissentire su cosa corrisponda concretamente a questa realtà. Razionalisti e rivoluzionaristi sono accostabili nel portare nella politica internazionale ideali ispiratori dell'agire. Essi condividono una visione della politica dominata dall’egoismo e della cupidigia umana, ma i rivoluzionaristi la attribuiscono ad un particolare gruppo di uomini e non all'uomo in quanto tale. La guerra è la caratteristica centrale delle relazioni internazionali, sebbene nello studio accademico sia talvolta dimenticato. * Al realismo è attribuita l’idea che la guerra sia inevitabile e costituisce nient'altro che la continuazione della politica con altri mezzi immortalata da Clausewitz. La guerra è un'estensione della logica della politica e non deve essere soggetta a nessuna sorta di regole. Son tre gli esiti di questi assunti ed inerenti lo scopo e la condotta della guerra: ° accettazione del principio della guerra preventiva ° accettazione della guerra illimitata: questo aspetto concerne, nella condotta di guerra, la necessità dell'impiego assoluto della forza disponibile, ovvero l'applicazione di una forza superiore senza considerazione di limiti che contrastino l’efficacia militare. © annichilimento del nemico: questo aspetto riguarda l’obiettivo della guerra e il capitolamento senza condizioni All’estremo dello spettro che delimita lo schema di pensiero del realismo Wight colloca il bellicismo, fondato sull’asserzione dell’inevitabilità della guerra e sulla sua bontà. * Il razionalismo riconosce il carattere inevitabile e naturale della guerra. Riconosce la capacità di cooperare degli uomini nel limitare la guerra nella società internazionale, al modo in cui la medesima capacità ha reso possibile la sua estinzione dalla società nazionale. Tuttavia, a differenza del realismo, non ne ravvisa un carattere di illimitatezza ed incontrollabilità. La guerra è il fallimento della politica e la pace è logicamente ad essa prioritaria poiché la pace è oggetto della guerra nonché la norma della vita internazionale, essendo la guerra l'eccezione. Per questo motivo il razionalismo formula la necessità della minimizzazione della guerra, pur contemplandola come strumento necessario. Un male necessario, ovvero un male che deve avvenire perché effetto di una causa non perché mezzo in sé per raggiungere un fine desiderabile. La guerra è un male giustificato che deve essere sottoposto alla massima restrizione possibile. AI centro della concezione realista vi è la convinzione che la guerra, al pari di qualsiasi altra attività umana, possa e debba essere sottoposta alla valutazione del giusto e dell’ingiusto. Da qui la dottrina della guerra giusta, ovvero di quell'idea che la guerra possa essere mossa legittimamente solo in ragione di certi criteri: in ragione di una giusta causa, dichiarata da un'autorità idonea, scelta come extrema ratio, condotta con proporzionalità. Il rivoluzionarismo considera la guerra subordinata rispetto alla pace ed è considerata un male • necessario. È un male che deve verificarsi in quanto mezzo per raggiungere un fine desiderabile e non per mero effetto di una causa. Non è solo un male giustificabile ma è capace d’essere un bene. Nello schema rivoluzionarista la guerra è evitabile: è inevitabile solo a causa di certe condizioni della società internazionale, che possono e devono essere trasformate (per Lenin, ad esempio, le guerre sono inevitabili in un regime capitalista, soprattutto nella sua fase imperialista). La guerra può essere portatrice della pace vera, non più turbabile perché imposta dalla forza ideale della dottrina attraverso la forza concreta. In questo schema, come in quello razionalista, la guerra non si autogiustifica. La nozione di guerra giusta di stampo razionalista risiede nella considerazione che entrambe le parti posseggono propri diritti, e la guerra è il mezzo per colpire la violazione di un diritto ed assicurarne il ristabilimento. La guerra assume un carattere differente ed è guidata da uno zelo missionario verso un fine ultimo. L’equilibrio di potenza non è solo la condizione che sostiene la risposta ai tentativi egemonici. È alla base della nozione di giustizia e del tentativo di darne un’effettività nei rapporti fra gli Stati. L’equilibrio di potenza permette il trasferimento alla politica internazionale di alcune categorie del costituzionalismo ed è in primis la condizione stessa d’esistenza del diritto internazionale. Wight cerca di chiarire i principali significati assunti nella politica internazionale dal concetto di equilibrio di potenza, individuandone otto: Uguale distribuzione di potenza 1. Principio secondo cui la potenza dovrebbe essere ugualmente distribuita 2. Distribuzione di potenza esistente (quindi qualsiasi distribuzione di potenza) 3. Principio secondo cui le grandi potenze si rafforzano in modo uguale a spese di quelle minori 4. Principio secondo cui una parte dovrebbe avere un margine ulteriore di forza sufficiente a 5. prevenire il pericolo di una distribuzione ineguale di potenza Ruolo speciale nel mantenere un’uguale distribuzione di potenza 6. Preponderanza 7. Intrinseca tendenza della politica internazionale a produrre un’uguale distribuzione di potenza 8. Il razionalismo ha un idea dell’equilibrio come uguale distribuzione di potenza e, dunque, • coincide con un principio normativo secondo il quale la potenza dovrebbe essere ugualmente distribuita. L’equilibrio di potenza è, dunque, concepito come un’istituzione fondamentale della società internazionale. I motivi per i quali i razionalisti sostengono un’uguale distribuzione di potenza sono tre: difesa dell’indipendenza degli stati, consolidamento della loro interdipendenza fino al punto di poter prevedere forme di sicurezza collettiva ed il suo ruolo nel rendere possibile il concreto operare del diritto internazionale. L’idea normativa sull’equilibrio è che la pace nella società internazionale e la libertà dei suoi membri richiedano un’uguale distribuzione di potenza. Quest’ultima non è il prodotto di un allineamento automatico ma di un impegno costante. Il realismo vede l’equilibrio di potenza come un utile eufemismo il cui concreto significato è • ancorato alla realtà, al dato empirico. Il concetto perviene con un completamento mutamento semantico a significare l’esatto opposto, ovvero preponderanza, e bilanciamento diviene equivalente a sproporzione. La critica realista consiste nell’affermare che non vi è alcun modo per misurare oggettivamente la potenza relativa per stabilire quale sia un’uguale distribuzione di potenza. Il rivoluzionarismo afferma l’impossibilità di stabilire cosa costituisca la potenza. L’equilibrio di • potenza non ha nulla da offrire all’idea di rivoluzionarista della pace perpetua, se non una pace provvisoria. La posizione razionalista riconosce il carattere solenne d’inviolabilità ed il vincolo degli obblighi del diritto internazionale (pacta sunt servanda). Ciò lega la propria concezione della legge internazionale sia al diritto naturale sia a quello derivante dagli accordi tra gli stati e dalla loro prassi. Rispetto al realismo, Wight individua nella tradizione giuridica indifferente al diritto naturale e ad ogni dottrina che concepisca una legge superiore a quella derivante dal consenso degli stati una corrispondenza che soddisfi la propria teoria. Se la legge discende solo dal potere sovrano, allora è l’espressione della volontà degli stati che è prioritaria e la legge internazionale è subordinata a ciò. Dunque, l’osservanza degli obblighi internazionali è condizionata dalla loro compatibilità con l’interesse nazionale. Invece, il fulcro teorico dello schema rivoluzionarista rispetto agli obblighi internazionali ed al diritto sembra essere racchiuso nel principio cum haereticis fides non servanda (con gli eretici non si deve tener fede ai patti). Il rispetto e lo stabilimento degli obblighi internazionali e del diritto sono determinati dalla compatibilità ideologica e sono ad essa subordinati, sia nella loro costrizione verso uno stato sia nei rapporti tra gli stati. Nella tradizione razionalista, il diritto internazionale è concepito come le pratiche ed i trattati • esistenti tra gli stati, costantemente ridefiniti in riferimento a certe norme e criteri dei quali sono imperfetta espressione. Nella tradizione realista, il diritto internazionale è concepito come la sommatoria dei trattati • derivanti dal consenso degli stati i quali ex hypothesi non attenueranno essenzialmente la propria sovranità. Nella tradizione rivoluzionarista, il diritto internazionale è un’arma ideologica per la • prosecuzione della guerra santa da parte di uno stato rivoluzionario. Inoltre, egli vuole classificare le tre tradizioni anche per ciò che concerne l’etica internazionale, sia sulla natura stessa della moralità politica che sull’applicazione di un principio di moralità nella vita internazionale. Nella visione razionalista la politica è un territorio morale che non permette mai delimitazioni chiare e soluzioni definitive. Nasce da qui l’esistenza di una doppia morale che da un lato concerne la sfera personale e dall’altro la sfera politica (dello stato), non sottratta alla moralità. Ciò che si presenta al politico razionalista è una condizione ineludibile di tensione morale tra reale ed ideale. Il compromesso è l’attributo inerente la condotta politica. L’idea dell’esistenza di una differenza morale tra la sfera della vita politica e quella personale è presupposto anche dalla tradizione realista. La validità dei principi etici nella sfera politica non è riconosciuta dal realismo bensì esclusa. Vi è una contrapposizione tra moralità individuale ed immoralità politica. I principi di necessità ed utile sono i principi a guida del negoziato politico, del tentativo di compromesso. L’appagamento degli interessi rappresenta il criterio del successo ed il risultato da raggiungere. La differenza morale tra la sfera della vita politica e quella personale, comune allo schema di pensiero razionalista e realista, è propria anche del rivoluzionarismo. Non solo è riconosciuta la validità dei principi etici anche nella politica ma non si presenta nessuna contraddizione tra moralità personale e moralità politica, essendo la prima subordinata alla seconda. L’etica personale deve soggiacere alla ragione suprema o alla causa ideale poiché quest’ultima si fonda su principi superiori che impongono il sacrificio di qualsiasi altro principio morale che introduce elementi contraddittori. La vera politica è portatrice di soluzioni destinate alla realizzazione di un fine supremo che coincide con l’affermazione concreta e piena di particolari ideali e principi. La concezione del compromesso è sempre vincolata ad una traiettoria che riguarda un obiettivo
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