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Riassunto Populismi, rottamazioni e social media: sviluppi recenti della comunicazione, Sintesi del corso di Tecniche Di Analisi Dei Dati

Riassunto completo del manuale "Populismi, rottamazioni e social media: sviluppi recenti della comunicazione politica in Italia" a cura di Stefano Ondelli

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 16/10/2023

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Scarica Riassunto Populismi, rottamazioni e social media: sviluppi recenti della comunicazione e più Sintesi del corso in PDF di Tecniche Di Analisi Dei Dati solo su Docsity! POPULISMI, ROTTAMAZIONI E SOCIAL MEDIA 1. MATTEO RENZI – La rottamazione del politichese Anna Turcati I. Aspetti metodologici: cosa e quanto Uno studioso della lingua può osservare il suo oggetto di indagine attraverso varie lenti: c’è chi prende in esame discorsi singoli, ana- lizzando il testo frase per frase, e chi invece guarda a un insieme di testi, adottando la lente della linguistica dei corpora. Ma che cosa significa di preciso questo secondo approccio? In questo stu- dio, per descrivere la lingua di Renzi è stato analizzato un corpus, ovvero un insieme di testi che hanno qualcosa in comune e che possono dunque essere rappresentativi dell’oggetto di studio. Il corpus in questione è formato da 150.000 parole, appartenenti a testi scritti o pronunciati da Matteo Renzi (quindi post sui social, articoli di giornale, lettere o interviste giornalistiche e in tv, conferenze stampa, conferenze). L’analisi è stata svolta nel 2015, quindi i testi vanno da gennaio 2010 a marzo 2015 (cominciano con R. sindaco di Firenze e abbracciano le varie campagne elettorali pre-primarie fino al suo primo anno da premer). I.I Aspetti metodologici: chi Matteo Renzi, nato a Firenze nel 1975, ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio dei Ministri dal febbraio 2014 al dicembre 2016. La sua carriera politica ha suscitato subito interesse per due peculiarità: la giovane età e la rapidità della sua ascesa. Nel 2004, infatti, è eletto presidente della Provincia di Firenze, cinque anni più tardi diventa sindaco del capoluogo toscano, nel 2012 si candida alle primarie del centro-sinistra per le elezioni politiche e nel 2013 a quelle del Partito Democratico, di cui diventa il segretario a colpi di “rottamazione”. Questa è la parola chiave delle sue campagne elettorali, che si fondano sull’idea di realizzare un ricambio gene- razionale nella classe dirigente, popolata da esponenti che vanno “rottamati” perché presenti da troppo tempo sulla scena politica. In che contesto ci troviamo? Il 2013 è l’anno del successo elettorale del MoVimento 5 Stelle, che incrina irrimediabilmente il bipolarismo destra-sinistra della politica italiana. L’emergere di un nuovo soggetto politico come il MoVimento è emblematico del- la sfiducia latente in molti cittadini nei confronti dei vecchi partiti e dei vecchi politici. È probabilmente anche per questo desiderio di novità da parte degli elettori che l’ala renziana ha il vento in poppa all’interno del PD: il fiorentino si presenta come elemento di discontinuità rispetto al gruppo dirigente ed è quindi capace di rispondere meglio alle nuove esigenze di consenso. Dal punto di vista politico, le novità sono due: da un lato, Renzi è un volto nuovo – non a caso il suo slogan per la candidatura a sindaco recitava “Facce nuove a Palazzo vecchio” – dall’altro è nuovo anche l’elettore a cui si rivolge, con uno sbilanciamento del PD verso il centro dell’asse politico. Forte quindi di un consenso sempre maggiore, accelera il passo della sua ascesa: dopo aver concluso un accordo con Berlusconi su una serie di riforme cruciali, Renzi propone la formazione di un nuovo governo alla direzione del PD. L’approvazione della proposta 1 innesca le dimissioni del premier Enrico Letta, per portare infine, il 22 febbraio 2014, al giuramento di Renzi in veste di presidente del Consiglio. L’impegno di R. è focalizzato su delle riforme, fa cui quella del lavoro e quella costituzionale a cui si lega il suo destino politico: rassegna le dimissioni (7 dicembre 2016) quando la proposta di riforma costituzionale viene bocciata al referendum. I.I.II Aspetti metodologici: come Come si analizza questo corpus? Dato il volume elevato di parole, si ricorre alla tecnologia utilizzando dei software specifici di analisi testuale, in questo caso TaLTaC2 (www.taltac.com). Tra le sue varie funzioni, il software permette di determinare il numero di occorrenze di una forma grafica, ovvero il numero di volte in cui una determinata parola si ripresenta. Questo consente di isolare le parole che Renzi ha utilizzato con frequenza maggiore e di analizzarle nel loro contesto specifico, per capire quale valenza viene loro attribuita a livello semantico e quali sono i temi favoriti. Le parole scelte per l’analisi sono le seguenti: I.II Rottamando il politichese Il 22 febbraio 2014 Renzi viene nominato capo dell’esecutivo. L’elemento innovativo è soprattuto l’età anagrafica di R., che diventa il presidente del Consiglio più giovane della storia dell’Italia unita. E in effetti, lo svecchiamento della classe politica è sempre stato il suo cavallo di battaglia: è all’insegna della “rottamazione” che si è fatto largo nel centro-sinistra. Come naturale in un ambito della vita in cui la lingua assume un ruolo fondamentale il cambiamento promesso dal giovane fiorentino non può che cominciare dalla forma, ovvero dal linguaggio politico.  Secondo R uno dei maggiori problemi del suo partito è proprio il linguaggio tradizionale di sinistra, tanto che nel 2010 in un’intervista afferma: “Il problema del Pd non è cambiare leader ogni tre mesi, ma cambiare linguaggio una volta per sempre, altrimenti non andiamo da nessuna parte. Siamo lontani, astratti, autoreferenziali, non parliamo alla pancia e neppure al cuore della gente.” Il Partito Democratico sembra essere ancora troppo affezionato al “politichese”: una lingua oscura, per addetti ai lavori, che risulta complicata per l’italiano medio e che quindi non fa che aggravare il distacco tra il cittadino e la classe politica. All’epoca della Prima Repubblica, un linguaggio controllato e l’uso di parole colte erano la norma nella comunicazione politica; vigeva infatti il cosiddetto “paradigma della superiorità”: i 2 nell’ottica dell’op- posizione nuovo/vecchio. Dal momento che il “Nuovo” è valutato positivamente in termini assoluti il cambiamento sponsorizzato è un cambiamento a 360°: riguarda il PD, l’Italia, la politica.  Il cambiamento che Renzi vuole portare avanti prevede delle novità rispetto a un lasso di tempo specifico, ossia l’intera fase del- la politica italiana che viene definita “Seconda Repubblica” e che comincia nel 1994, con il declino dei partiti al potere in seguito allo scandalo di Tangentopoli e la prima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi.  Una volta individuato che cos’è il “vecchio”, è interessante cercare di capire qual è effettivamente il “nuovo” che Renzi propone. Dall’analisi dei contesti con le concordanze di “fare” e “Italia” è emerso che un tema ricorrente è la riscoperta di una sorta di identità perduta, quasi che il “nuovo” auspicato da Renzi sia il ritorno a un’età dell’oro. (“L’Italia tornerà a fare l’Italia”)  La politica: emozione e dignità L’analisi delle concordanze di “politica” ha permesso di delineare anche l’immagine di attività politica proposta da Renzi. Un primo tratto distintivo è l’associazione alle emozioni positive: se la maggior parte delle persone sente ormai una certa disaffezione verso le istituzioni, è ora di coinvolgere in prima persona i cittadini, cercando di stimolarne l’entusiasmo. Inoltre, con Renzi si ha una vera e propria rivalutazione della gestione della res publica. Mentre altri partiti (primi fra tutti la Lega e il M5S) cercano il consenso screditando la politica e concentrandosi sulla pars destruens dello stato di cose, Renzi vuole riformare il sistema dall’interno puntando a una pars construens. Dopo anni di politica fatta da antipolitici, da un imprenditore prestato alla politica come Berlusconi e da tecnici ed economisti come Monti, Renzi si presenta come il politico di mestiere, che crede nella politica e ne esalta il valore. (“La politica ha ancora un valore”) Altri temi ricorrenti per colmare il divario tra uomo comune e rappresentante istituzionale sono la vicinanza ai cittadini e la concretezza.  Italia/Paese: bellezza e ottimismo Vediamo ora quali sono i tratti dell’Italia dipinta da Renzi. In un periodo di crisi economica e di sfiducia verso le possibilità di crescita, i discorsi dell’ex sindaco fiorentino fanno leva sul potenziale del Paese e sui suoi punti di forza. Il futuro è delineato con grande ottimismo, tanto che c’è chi ha individuato nel suo discorso politico dei tratti da coach motivazionale. Uno dei concetti principali che R. associa all’Italia è la bellezza, presentata come quintessenza del Paese. Tuttavia, l’insistenza sul giudizio estetico sembra privare di contenuto la caratterizzazione del Paese, fermandosi a un aspetto superficiale. Il cliché del cambiamento sommato a quello della bellezza sembra produrre un controsenso: cambiare il Paese più bello del mondo… al fine di renderlo brutto? Sempre nell’ottica dell’esaltazione dei punti di forza e del ricordo di un passato mitico, Renzi ripropone i campi classici di eccellenza del Paese: storia e cultura. Un altro stereotipo classico, la creatività, è presente in forma adattata, al passo con i tempi: non si parla più di creatività, bensì di innovazione.  In tal modo è possibile coniugare i due orizzonti del parlare renziano: da un lato si guarda al passato come emblema dell’Italia da recuperare, dall’altro si guarda al futuro per svecchiare il Paese. 5  In potenza l’Italia sembra possedere tutto il necessario per rimettersi in modo, ciò che manca p la speranza e la voglia di credere in se stesso. Ed ecco che si chiude il cerchio: spetta alla politica il compito di restituire all’Italia speranza, coraggio e fiducia.  I riferimenti popolari (o l’informalità) Abbiamo visto come uno degli obiettivi linguistici di Renzi sia quello di esprimersi in modo tale da coinvolgere l’interlocutore e da risultare facilmente comprensibile. Un accorgimento che gli permette di realizzare questo obiettivo e al contempo di dare un carattere informale e giovanile ai suoi discorsi è il ricorso a metafore attinte dalla quotidianità e dalla cultura popolare. Vediamo ora alcune delle metafore individuate nel corpus che denotano aggiornamento rispetto alla tecnologia digitale e, dunque, giovanilismo: Non ci sarà nessun tipo di spazio per l’Europa se noi accetteremo di restare soltanto un puntino su Google Maps. Le riforme di cui stiamo parlando sono il PIN per accendere l’Italia del futuro. Nel 2014 aggrapparsi ad una norma del 1970 che la sinistra di allora non votò è come prendere un I- phone e dire dove metto il gettone del telefono? O una macchina digitale e metterci il rullino. È finita l’Italia del rullino. I riferimenti ad aspetti della vita quotidiana si spiegano inoltre come un modo per facilitare la comprensione e, ancora una volta, ottenere concretezza => paradigma del rispecchiamento. Certo, la supplenza del professor Monti è stata una bella occasione per rifarsi il trucco. In questi dieci anni la spesa è cresciuta nonostante la stretta sugli enti locali. È come se ci fosse un rubinetto centrale rotto che perde. Infine, innumerevoli sono i riferimenti alla cultura popolare, con metafore e similitudini prese dal mondo televisivo, dalla musica, dal cinema e dai giochi. All’interno del corpus viene citato, ad esempio, un classico della musica italiana degli anni ‘60, il cui titolo è diventato proverbiale. (Es. riferimenti alla Famiglia Addams, The Truman Show, o a programmi televisivi come la Prova del Cuoco, Amici, il GF).  Infine, è interessante notare come il Grande Fratello a cui fa riferi- mento Renzi non sia il personaggio del romanzo di Orwell, ma il re- ality show prodotto dalla Endemol; tale scelta è emblematica della cultura di massa dalla quale vengono tratte le metafore. Nell’esempio seguente, Renzi rivendica esplicitamente il suo target comunicativo: intende rivolgersi al fruitore medio della cultura di massa, a chi in tv segue i talent show, checché ne dicano i radical chic di sinistra, che sono invece fruitori di una cultura più elitaria e “intellettualoide”.  Forestierismi Vista l’importanza che gli anglicismi rivestono per Renzi, ho voluto soffermarmi sull’effettiva situazione dei forestierismi, ovvero le parole prese in prestito da altre lingue, all’interno del mio corpus. Passando in rassegna le parole che il software di analisi dei corpora non ha riconosciuto come appartenenti al vocabolario italiano, mi è stato possibile isolare i forestierismi. 6  si può dire che la stragrande maggioranza dei prestiti proviene dall’inglese, come ci si potrebbe aspettare. Ho poi verificato se i forestierismi incontrati fossero presenti in alcuni dizionari, per capire se il loro uso fosse più o meno inusuale per la lingua italiana. Il risultato è che circa un quinto dei forestierismi riscontrati non è attestato in nessun dizionario. In tutti questi casi, l’uso di un anglicismo al posto di un vocabolo italiano può indicare il desiderio di fare effetto sull’ascoltatore e di emulare i modelli anglofoni di comunicazione politica. Fra i forestierismi attestati, invece, troviamo da un lato i prestiti entrati a far parte del lessico comune (hostess, low cost, slot ma- chine ecc.) e quelli necessari in quanto termini specialistici dell’economia o delle nuove tecnologie e piattaforme sociali (quantitative easing, spread, hashtag, tweet ecc.). Dall’altro, ci sono anche forestierismi preferiti all’equivalente italiano, utilizzati agli scopi già illustrati in precedenza di aumentare la propria autorevolezza e di rendere più nebuloso il messaggio: spending review (revisione della spesa pubblica), CEO (amministratore delegato), austerity (austerità), accountability (responsabilità). In sintesi, vengono presi dai campi semantici della politica, dell’economia, della tecnologia o dal lessico comune.  Storytelling in politica A proposito di anglicismi, un altro asso nella manica della comunicazione renziana, ma in realtà della comunicazione politica in genere, è la tecnica dello storytelling, ovvero della narrazione aneddotica: Sostituendo il racconto all’argomentazione, è possibile coinvolgere maggiormente l’uditorio e rendere la comunicazione più persuasiva, andando a colpire l’emotività. Crean-do un personaggio, infatti, si ottengono vari effetti: il messaggio viene personalizzato, è più facile immedesimarsi e sentirsi toccati da quanto viene detto, il discorso diventa più vivido e concreto. Di conseguenza, la comprensione avviene in modo più immediato e le immagini si fissano meglio nella memoria. I.IV Analisi retorica Quando pensiamo al discorso politico dal punto di vista linguistico, spesso la nostra prima associazione non è l’analisi dei contenuti, quanto piuttosto un’analisi di tipo formale, basata sulle figure retoriche. E in effetti, anche per capire la comunicazione renziana è utile soffermarsi sulle figure di suono, le metafore, le ripetizioni e sui vari artifici retorici che abbelliscono un discorso. In un’ottica di comunicazione lampo a colpi di tweet, il suono delle parole riveste un’importanza chiave, perché quando il messaggio si fa frammentato ogni frase può diventare uno slogan. Probabilmente è per questo che Renzi ricorre con una certa insistenza alla paronomasia, l’accostamento di parole dal suono simile. (Es. calore/colore; dire/dare ecc) In molti di questi casi, la figura di suono della paronomasia è legata alla figura di costruzione dell’antitesi, ovvero l’accostamento di concetti contrapposti al fine di dare rilievo a quanto si dice. Molto spesso Renzi sfrutta la combinazione di entrambi gli artifici retorici, ricorrendo ad antitesi basate sulla paronomasia: 7 Se non è chiara la definizione, sono chiari i pilastri su cui il populismo poggia: il popolo, l’elitè e gli altri, la democrazia sottratta al popolo e un senso di crisi che aleggia costantemente.  Il popolo è uno dei chiodi fissi dei leader populisti, ma che caratteristiche deve assumere questo popolo per essere tale? Nella logica populista, si tratta di un insieme di persone coese e virtuose con il comun denominatore di essere unite contro chi, del popolo, non fa parte. Al popolo viene attribuito un ruolo di vittima: un gruppo di persone che deve tornare a far valere i propri diritti e riprendere in mano le redini della società. Il nemico è invece un insieme di persone non coese né virtuose che rappresentano una minaccia. L’appello al popolo può essere in senso verticale, quindi orientato alla critica dell’élite al potere, che non capisce le esigenze reali dei cittadini; oppure orizzontale, volto a preservare l’identità del popolo, scatenando la polemica contro gli altri, coloro che introducono elementi di diversità e che, nel caso dei partiti populisti di destra, spesso sono gli stranieri, le comunità Rom e gli omosessuali. La missione dei partiti populisti è quella di ripristinare l’ordine e restituire la democrazia al popolo (quello giusto), sottraendo il potere a quell’élite politica attaccata alle poltrone, che pensa solo ai propri interessi. Gli appelli al popolo si basano, quindi, sulla messa in discussione dell’ordine politico, sul gettare nuovamente le fondamenta della vera democrazia. Infine tutti questi argomenti vengono sempre affrontati in una continua atmosfera di crisi che crea un senso di emergenza e permette ai leader di fomentare l’ansia collettiva e quindi attirare il consenso.  La Lega e il populismo Difficile dire se il deus ex machina del movimento, Umberto Bossi, si aspettasse un successo così ampio quando, nel 1991, divenne il Segretario federale di una Lega Nord ancora in fasce. La Lega Nord nasce durante uno dei più grandi punti di svolta nella comunicazione politica italiana, con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. All’inizio degli anni ’90, il vecchio sistema dei partiti scompare a causa del terremoto giudiziario delle inchieste di Tangentopoli e Mani Pulite. Molti partiti scompaiono per dare spazio, alle elezioni politiche del 1994, a forze che si presentano all’elettorato come antipartitiche, guidate da nuovi leader che non provengono più dal “palazzo” e che portano nuovi stili comunicativi e linguaggi che ne esprimono subito la natura antipolitica. Grazie un simile cambio di rotta, quello che un tempo era definito “politichese”, una lingua artificiosa, fumosa e piena di tecnicismi e di termini difficili da capire per la maggior parte della popolazione, lascia spazio al “gentese”, una lingua più semplice e più vicina all’uomo della strada. In questo contesto la Lega Nord continua a crescere, fra alti e bassi, fino a che, nel 2013, un giovane Matteo Salvini viene scelto, con una schiacciante vittoria alle primarie, come nuovo leader del Carroccio, chiamato a dare al partito una nuova voce. Secondo numerosi studiosi, la Lega Nord si è sempre classificata come un movimento populista e regionalista che ha sfruttato lo spazio politico che si era aperto in Italia verso la fine degli anni ‘80. I cardini che caratterizzano sia i discorsi di Umberto Bossi sia quelli di Matteo Salvini sono gli stessi; a cambiare sono i contenuti. Prima di tutto, Bossi è stato abile nella costruzione di un “noi”: il Presidente a vita della Lega ha plasmato un popolo al quale rivolgersi (prima definito “del Nord” e poi “padano”), costituito perlopiù da piccoli e medi imprenditori, artigiani, panettieri, calzolai… un gruppo sociale di 10 self-made men, gente “che si è fatta da sé” rimboccandosi le maniche e lavorando duramente ogni giorno. Ha rafforzato sempre di più questo “noi” attraverso la creazione di miti, simboli e rituali allo scopo di cementare l’identità di gruppo (i raduni di Pontida, la cerimonia dello svuotamento dell’ampolla contenente l’acqua del Po, ecc). Successivamente ha donato al “noi” qualcosa e qualcuno contro cui combattere, un nemico: il Sud parassita, assistenzialista e i “terroni”, che mangiano e vivono alle spese degli onesti lavoratori del Nord; lo Stato invadente, ecc ali concetti sono espressi attraverso un linguaggio convincente e diretto in cui il popolo si ritrova: è un linguaggio forte, che viene usato come mezzo di identificazione e di rispecchiamento e che si contraddistingue per la forte presa emotiva, l’uso del turpiloquio, di espressioni gergali e dialettali, di connotazioni sessuali  Lingua presa dal senso comune II.III Salvini e la Nuova Lega Non è un caso che l’uomo che è riuscito a far superare la crisi alla Lega sia stato definito “camaleontico”: è riuscito a sfruttare il disorientamento sociale degli ultimi anni come fece Bossi per imporre una rinnovata retorica patriottica: prima era Roma oggi è Bruxelles, prima era il Sud che affondava il Nord, ora bisogna essere tutti uniti davanti all’invasione organizzata che viene dall’Asia e dall’Africa. Salvini si è inserito nelle dinamiche giuste al momento giusto riempiendo lo spazio lasciato vuoto dal centrodestra. Come sottolineato all’inizio, il movimento populista si identifica nel leader e, in tal senso, Salvini ha costruito una proposta politica interamente ancorata al suo personaggio, alla sua immagine e a poche parole d’ordine, ripetute costantemente a ogni occasione. Il grande consenso che Salvini ha registrato discende dalla capacità di intercettare il malcontento comune e di manifestarlo proponendo pacchetti di soluzioni facili e pronte all’uso.  Il corpo mediale del leader Salvini ha sempre puntato (e giocato) molto sulla sua immagine mediatica. Al contrario dei leader che adottano un abbigliamento business casual, Salvini (in situazioni dove il ruolo da Ministro non impone giacca e cravatta) sceglie uno stile “situazionista”, cambiando abbigliamento a seconda del con- testo in cui si trova: barba che appare e scompare in base alle occasioni, le “felpe tormentone” con i nomi dei luoghi in cui si trovava, le divise militari e della Polizia indossate in diverse occasioni. Questi sono gli elementi distintivi dell’immagine pubblica di Salvini, che dà l’impressione di un personaggio alla mano e che ispira simpatia (AHAHAHAH) Salvini presta molta attenzione anche alla sua immagine sui nuovi media, puntando sui grandi social network: Facebook e Twitter e, più recentemente, Instagram, con post e stories accattivanti. A differenza però della maggior parte dei politici, che usano Twitter come mezzo di comunicazione personale e lasciano a Facebook il compito di amplificare, Salvini fa esattamente il contrario. Su Twitter si rivolge a lettori mediamente più istruiti e a un pubblico elitario, dato che il bacino di utenti è fatto perlopiù di giornalisti e celebrità. Su Facebook, invece, Salvini ha la sua comunità di seguaci pronta a unirsi e condividere momenti di protesta e indignazione; ed è quindi in questa arena politica virtuale che ha la vera possibilità di comunicare con l’elettorato e i cittadini. 11  In un simile dialogo, i post di Salvini non hanno sempre attinenza con la politica: spesso contengono una domanda, che suona come una “chiamata all’azione” per spingere i seguaci (o follower) all’interazione. Passiamo ora all’analisi dei discorsi di S. II.IV I materiali L’analisi che verrà fatta nelle prossime pagine prende in considerazione un corpus, cioè un insieme di testi scelti secondo determinate caratteristiche; in questo caso si è deciso di analizzare i discorsi tenuti da Salvini durante comizi, ritrovi e congressi della Lega Nord. I comizi sono ancora un elemento chiave della comunicazione leghista, pensati per una situazione comunicativa in cui c’è un forte coinvolgimento tra emittente e riceventi, dove il rapporto comunicativo è unidirezionale poiché il destinatario del messaggio non interviene mai. Inoltre, questi discorsi vengono definiti “in situazione favorevole”, perché sono pronunciati davanti a un gruppo di persone molto unito a livello ideologico e in una situazione di empatia tra leader politico e militante. Il corpus analizzato è composto da 24 testi, risultato delle trascrizioni di discorsi registrati e resi disponibili in rete dal canale YouTube. I discorsi selezionati sono stati tenuti nel periodo di attività di Matteo Salvini in qualità di Segretario federale della Lega Nord, dal 2013 al 2015. Tramite l’analisi è stato possibile identificare tutte le parole presenti nel corpus e metterle in ordine di frequenza. È bene precisare che in linguistica le parole sono le varie forme grafiche che un lemma (ovvero la forma base che si trova nei dizionari) può assumere: per es., le parole posso, potrei, potremmo sono diverse forme grafiche del lemma base potere. Una volta individuati i lemmi più ricorrenti, sono stati presi quelli più significativi e interessanti (in base a quanto detto nella prima parte di questo capitolo) e analizzati nei vari contesti d’uso. L’analisi è stata divisa in sezioni e affrontata in diversi momenti: in una prima parte è stato analizzato il linguaggio di Salvini in generale, le tecniche retoriche di cui si avvale mag- giormente e il modo di rappresentare sé stesso e la “sua gente”. Successivamente l’analisi del corpus è stata divisa in sei insiemi concettuali, che rappresentano gli argomenti che Salvini tratta maggiormente e i pilastri su cui si regge la sua Lega.  Linguaggio e retorica di Salvini Figure retoriche Dall’analisi dei corpora è emerso che le figure che utilizza di più sono quelle che mirano a tenere viva l’at- tenzione del destinatario e trasmettere passione, per es. l’anafora: la ripetizione consecutiva di una parola o di più parole all’inizio di un periodo o una frase e il tricolon, l’uso di tre termini usati come sinonimi, uno dopo l’altro. Oltre a queste figure, Salvini ricorre molto spesso all’argumentum ad personam che mira ad attaccare la figura dell’avversario, più che a screditare ciò che dice; e all’argomentum ad verecundiam basato sull’ipse dixit, ovvero fondando l’argomentazione su una fonte autorevole. In aggiunta a ciò fa un consistente uso di metafore calcistiche. Per parlare di se stesso Salvini usa uno specifico linguaggio che esprime scetticismo: il leader leghista non ha l’atteggiamento pedagogico tipico della sinistra, ma si presenta 12 primo passo per restituire tale sovranità agli italiani sia considerare cancellabile il processo che ha determinato la creazione della moneta unica. Come possiamo notare, Salvini porta avanti tutte queste battaglie invitando i cittadini a prendere parte attiva al cambiamento e mostrando loro che le cose si possono fare: basta impegnarsi e, soprattutto, volerlo.  L’altro Matteo Già dalle dichiarazioni di alcuni anni fa, si evince come il <lavoro> [233] e il verbo <lavorare> siano sempre stati un caposaldo del movimento leghista, orgoglioso di essere composto da lavora- tori, da gente che fa fatica e che è sempre pronta a rimboccarsi le maniche. Anche su questo gioca Salvini quando dice che i politici sarebbero tutti raccomandati e nullafacenti. Possiamo notare, da questi esempi, che Salvini usa speso gli aggettivi <brutto>, <cattivo> e <piccolo> in riferimento ai leghisti e al movimento, ma anche alla moneta e al commercio locale. Questa tendenza a definire la Lega, e ciò che la riguarda, in modo negativo, è chiamato “effetto underdog” (o “anti-winner”), che indica la propensione a provare simpatia per il perdente e che spinge a parteggiare per il personaggio meno favorito. Insomma, via tutta la politica marcia e i complici dello Stato <ladro>, se serve, anche con la <ruspa>, lemma sul quale Salvini gioca e che, durante i suoi discorsi, dice di voler usare contro il Governo, non contro i campi Rom. Renzi, in quanto capo del Governo nel periodo considerato nella mia analisi, sembra essere il principale nemico del suo omonimo, “l’altro Matteo”. Proprio nel 2014, nella principale <piazza> di Roma (Piazza del Popolo) Salvini ha tenuto il comizio Renzi a casa!, perché per la Lega è ora che anche Renzi se ne torni a casa sua. Il «Mostro di Firenze» (come lo definisce Salvini durante uno dei comizi del mio corpus), è accusato di essere «incapace / arrogante / una pedina / uno strumento/ il nemico dell’Italia». In parole povere, Salvini accusa il (ormai ex) “Matteo d’Italia” di non essere il «Matteo degli italiani», e lo critica su argomenti vicini ai cittadini: le <pensioni>, le <leggi>, i <sindacati>. La Lega fa quello che la sinistra italiana non fa, dice di stare dalla parte dei piccoli, dei giusti, dei poliziotti, delle guardie e di chi questa Italia la vuole difendere. Il concetto di <guardie> [10] e <ladri> [16], infatti, è più volte ribadito durante i discorsi di Salvini, che denuncia lo Stato italiano perché difende i malintenzionati, invece delle persone perbene. 3. BEPPE GRILLO – Politico o comico? Francesca Nasi III.I Chi e come A metà degli anni Settanta Giuseppe Grillo muove i primi passi nel mondo della televisione italiana grazie all’aiuto di Pippo Baudo. Verso la fine degli anni Ottanta Grillo viene cacciato dal mondo della televisione per una battuta poco conveniente sul Partito Socialista (il cui segretario, Bettino Craxi, era allora il presidente del Consiglio dei Ministri) e si avvicina, così, prima al mondo cinema e poi al mondo del teatro. 15 Con l’arrivo del nuovo millennio Grillo si avvicina sempre di più anche al mondo della tecnologia e dell’informazione e nel 2005 apre il suo blog, www.beppegrillo.it, insieme a Gianroberto Casa- leggio. Il blog riscuote un così grande successo a livello nazionale e internazionale che Grillo viene nominato personaggio europeo dell’anno 2005 dalla rivista TIME. Lo stesso anno Grillo decide di organizzare un MeetUp, cioè un evento per fare incontrare di persona tutti i partecipanti alle discussioni virtuali. Da lì seguono iniziative come il Vaffanculo Day (o V-Day) di Bologna nel 2007, in cui Grillo organizza una raccolta firme per una legge popolare su nuovi criteri di eleggibilità per i parlamentari italiani; nell’ottobre del 2009, Grillo fonda il MoVimento 5 Stelle, un movimento di stampo populista. III.II Che cos’è il populismo? Ci sono definizioni diverse di “populismo”, ma noi le semplificheremo e riassumeremo in quattro punti principali: il popolo, i nemici del popolo, la vera democrazia e il capo. Vediamoli ora nel dettaglio.  Il popolo Il popolo è formato da persone oneste e di buon senso che lavorano duramente per raggiungere i loro obiettivi. L’obiettivo principale del populismo è dare voce al popolo e assicurarsi che i bisogni dei cittadini trascurati siano ascoltati e assecondati. I capi dei regimi populisti mettono in risalto la visione dell’eterno conflitto tra masse sfruttate e classi dirigenti sfruttatrici. Come suggerisce la parola stessa, il popolo è il fulcro dei movimenti populisti e tutto ciò che minaccia in qualche modo il bene del popolo è considerato un nemico.  I nemici del popolo I nemici sono, sostanzialmente, tutti quelli che complottano contro il popolo per godere di vantaggi che si sono conquistati senza merito. Stiamo parlando dell’establishment, cioè politici, intellettuali, mass media, amministrazione pubblica, potere giudiziario, finanza ecc.  Popolo vittima innocente dell’elitè  L’unico modo per cambiare questa dina- mica è eleggere un leader populista per assicurarsi che questa situazione cambi davvero una volta per tutte.  La democrazia diretta La democrazia dovrebbe essere il modo attraverso il quale il popolo può esprimere la propria volontà e rendere note le proprie esigenze. Ma la democrazia così com’è ora è messa a rischio dalla classe dirigente. L’unica soluzione per far fronte a questo problema è ritrovare la vera democrazia grazie alla guida del leader e del movimento populista.  Il capo del movimento l leader del movimento non è altro che una persona con grande senso del dovere. Non fa in nessun modo parte di élite esclusive, è una persona normale che viene proprio dal popolo, un primus inter pares. Il leader non è quindi un politico, ma qualcuno determinato a dire e a fare quello che gli altri non osano fare. Il leader del movimento cerca un rapporto diretto con il popolo evitando mediazioni inutili. 16  Persona carismatica, determinata, autoritaria III.III Come parlano i populisti? La lingua dei populisti è sicuramente particolare perché mira a distinguersi il più possibile dal linguaggio tradizionale dei politici, loro “nemici”. Punti chiave in merito alle caratteristiche linguistiche del populismo: la semplicità del linguaggio, l’uso del dialetto, le parolacce e le minacce nei confronti del nemico. 1. Semplicità del linguaggio: L’obiettivo dei movimenti populisti è quello di avvicinare il popolo alla politica, ma viene dato spazio a un nuovo tipo di trasparenza comunicativa basata su una lingua informale => linguaggio che raggiunge tutti 2. Il dialetto: Un’altra tecnica che i leader populisti italiani usano per sottolineare il fatto di essere persone normali, perbene e, soprattutto, appartenenti al popolo è proprio l’uso del dialetto 3. Il turpiloquio: orse non è una scelta proprio condivisibile da tutti, ma essenziale per distinguersi e distaccarsi il più possibile dal nemico. È un’innovazione che non ha come unico obiettivo quello di sottolinea- re il grande distacco dalla lingua tradizionale della politica, ma anche di attirare l’attenzione del pubblico, degli elettori e dei mass media. 4. I nemici: i movimenti populisti hanno una caratteristica esclusiva, ovvero enfatizzare ancor più questo contrasto ripetendo- lo all’infinito e identificando “loro” non solo come avversari politici, ma come veri e propri nemici. III.IV Cosa e quando (il metodo di lavoro) Sono state trascritte e raccolte circa 100.000 parole dai discorsi politici di Grillo, comizi e conferenze stampa dal 2008 al 2015 (corpus testuale). Per capire meglio quali parole (dette anche “forme grafiche”) o serie di parole (dette anche “segmenti”) sono usate più spesso da Grillo, ho trattato il corpus con TaLTaC2, un software per l’analisi testuale automatica (www.taltac.com). In base ai risultati ottenuti, sono state raggruppate le parole più frequenti su base tematica. Con riferimento agli argomenti principali e alla retorica dei movimenti populisti, l’autore intende dimostrare che Grillo corri- sponde appieno all’immagine linguistica del leader populisti. III.V Analisi e discorsi Riprendiamo ora i quattro punti principali in cui abbiamo schematizzato la definizione di populismo (il popolo, i nemici del popolo, la democrazia diretta e il leader) e vediamo più da vicino come questi aspetti sono trattati da Grillo nei suoi discorsi politici.  Il popolo Al primo posto, a pari merito, troviamo “gente” e “persone” con lo stesso numero di occorrenze (201). Si parla spesso di “persone perbene”, “persone oneste”, “persone normali”. Qui emerge un’opposizione tipica dei movimenti po- pulisti (cfr. 3.2.1 e 3.2.2), ovvero l’opposizione tra il “popolo onesto e perbene” e la classe dirigente disonesta, formata da delinquenti. 17 a tutti di esprimere la propria opinione. Il MoVimento 5 Stelle è pronto a cambiare il futuro dell’Italia.  Il leader Nei suoi discorsi Grillo dice spesso di essere una persona normale e di far parte del popolo: ci tiene a sottolineare di non essere parte di un’élite politica. Parole che rientrano in questo tema sono: Figlio/i Famiglia/e Leader  Grillo racconta spesso episodi tratti dalla sua vita familiare e fa spesso riferimento ai suoi figli o alla sua famiglia in generale. Sottolinea che i problemi della sua quotidianità sono in realtà gli stessi che hanno anche le altre famiglie  Non si definisce “leader politico” ma “garante” del movimento.  Grillo è un leader aperto all’idea che tutti facciano parte del suo MoVimento purché siano persone oneste e perbene e abbiano voglia di trasformare l’Italia. Con la frase “nessuno deve rimanere indietro” il leader esprime il suo concetto politica: una politica in cui tutti possono e devono partecipare, in cui nessuno si deve sentire inferiore o escluso. III.VI Lo stile di Grillo II. Il dialetto Tra le armi retoriche spicca l’impiego di parole ed espressioni che appartengono al dialetto, anzi ai dialetti, perché Grillo non attinge a una sola parlata locale, tantomeno a una di quelle della Liguria, la sua terra d’origine. Spesso nei suoi comizi politici aggiunge elementi dialettali della città in cui si trova e, in questo modo, non solo tenta di instaurare un rapporto ancor più diretto con il pubblico, ma dimostra di essere una persona normale che appartiene al popolo e non un politico che parla dall’alto. III. Il turpiloquio I leader dei movimenti populisti tendono a usare il turpiloquio per segnalare un distacco netto dalla lingua tradizionale della politica. Significativo che al primo posto ci sia “cazzo”, una parola passe-partout ormai entrata anche nel Vocabolario di Base degli Italiani, cioè le circa settemila parole usate più di frequente. Non può poi mancare un altro grande classico di Grillo, ovvero, il “mandare a fare in culo” anche se, a volte, preferisce usare an- che un semplice “vaffanculo” per rendere meglio il concetto. Il “vaffanculo” di Grillo è diventato talmente emblematico che ha addirittura chiamato Vaffanculo-day, o V-Day, una delle sue primi iniziative politiche. 20 IV. L’attacco ai nemici La distinzione “noi”, i buoni, e “loro”, i nemici, è uno dei fulcri sia dei movimenti populisti che dei discorsi di Grillo. Nel nostro corpus abbiamo notato che in molti casi Grillo va ben oltre alla mera contrapposizione “noi/loro”. Si spinge fino a insultare “i nemici” per mezzo di attacchi diretti, storpiandone i nomi o attribuendo soprannomi dispregiativi. Questa strategia, in realtà, non è affatto nuova nel mondo della politica, per- ché anche in questo caso Grillo si rifà a Guglielmo Giannini. Vediamo alcuni dei bersagli preferiti di Grillo e i loro soprannomi ricorrenti: Berlusconi, Brunetta, Bersani, Formigoni, Merkel, Monti, Renzi, Napolitano. III.VII Conclusioni: il teatrino della politica In parallelo al corpus politico ho anche trascritto e analizzato, sem- pre con la stessa metodologia, circa 100,000 parole di spettacoli teatrali di Grillo (dal 1977 al 2014) e le ho raccolte in un altro cor- pus, che ho chiamato “corpus comico”. Nonostante gli argomenti nel corpus comico siano più variati rispetto a quelli del “corpus politico”, ho trovato comunque molte somiglianze. Tra i temi più frequenti, soprattutto negli spettacoli che vanno dal 2010 al 2014, emergono sicuramente le numerose contrapposizioni tra “passa- to/futuro”, “vecchio/nuovo” e “noi/loro”… Inoltre emergono frequentemente digressioni legate a tecnologia e informazione, le energie rinnovabili, il popolo, l’istruzione, la fa- miglia, la politica e l’economia, cioè i cavalli di battaglia del MoVimento 5 Stelle. Anche a teatro le parolacce sono tanti, anzi forse ancora più presenti che nei discorsi politici. Un altro aspetto che emerge negli show teatrali, che poi Grillo “riciclerà” in politica, è l’uso di nomignoli e soprannomi. Già nel mondo dello spettacolo Grillo (s)parlava di personaggi del momento e politici, storpiandone i nomi in base all’aspetto fisico o ad altre caratteristiche. È interessante notare che la maggior parte dei personaggi mantiene gli stessi soprannomi in entrambi i corpora. Ecco qualche esempio dal corpus comico che possiamo confrontare con quelli riportati al paragrafo 3.6.3.: Berlusconi (“psiconano” o “Trufolo”), Bersani (“Gargamella”), Formigoni (“Forminchione”), Merkel (“culona” o “crauta”) e Renzi (“ebetino di Firenze”). Alla luce di questo brevissimo confronto tra il Beppe Grillo comico e il Beppe Grillo politico, possiamo dire che il fondatore del M5S usa più o meno le stesse tecniche retoriche e ripete più o meno gli stessi argomenti da 40 anni. Ad ogni modo, sia come uomo di spettacolo che come uomo politico, Beppe Grillo sembra sempre soddisfare tutti i requi- siti necessari dare voce a sentimenti populisti 4. DI MAIO, RENZI, SALVINI: la lingua social dei leader politici Silvia Ferrari IV.I Verso una nuova sensibilità 21 Quando sentiamo l’espressione “discorso politico”, subito immaginiamo un oratore che parla davanti a una folla durante un comizio. La seconda caratteristica che ci viene naturale associare alla lingua politica è, senza dubbio, l’enfasi e la risolutezza, tipiche delle comunicazioni istituzionali, in cui la formalità carica il messaggio di autorevolezza e prestigio. Sulla base di quest’immagine, per anni si è consolidato l’ideale di un uomo politico che, agli occhi dei suoi elettori, si presenta come un modello d’integrità morale, che si riveste di una retorica cucita su misura per quel ruolo. Ciononostante, con l’avvento della cosiddetta “Seconda Repubblica” e il cambiamento negli equilibri parlamentari dopo il 1992, si assiste a una vera svolta comunicativa nella lingua politica, che si può sintetizzare in quello che il Giuseppe Antonelli definisce passaggio dalla “superiorità” al “rispecchiamento”: la crescente sfiducia che gli elettori nutrono in una classe dirigente ormai corrotta e al collasso sfocia nel bisogno di una nuova politica che sia vicina ai cittadini e alle loro esigenze, che parta dal basso e sia capa- ce di rappresentare una società che è stanca di essere dilaniata dai conflitti sociali. Un primo tentativo di riavvicinare i cittadini alla politica è testimoniato dall’uso dei media più vicini all’elettorato come strumento della comunicazione politica: le caratteristiche proprie della trasmissione televisiva non solo favoriscono la sensazione di un’interazione diretta tra mittente e destinatario, che simula la comunicazione faccia a faccia, ma sono anche capaci di abbattere le differenze sociali e raggiungere un pubblico più variegato. I talk show diventano il simbolo di un’evoluzione della lingua politica che abbandona il tradizionale “politichese” e adotta un modo di esprimersi semplice, colloquiale e vicino al parlato, in linea con l’immagine di un politico che vuole essere identificato come un uomo comune, con i suoi sentimenti, (pre)giudizi e opinioni. A lungo andare, tuttavia, le possibilità offerte dalla piattaforma televisiva si dimostrano poco redditizie: per colmare le lacune della televisione, dal 2008 alcuni leader politici iniziano ad adottare le reti sociali come strumento di comunicazione diretta con i propri elettori, in un periodo in cui queste si erano già affermate come terreno fertile per l’aggregazione politica e il dibattito pubblico.  Non bisogna dimenticare che la lingua politica non nasce solo dall’esigenza di persuadere i cittadini ma anche dal bisogno dei cittadini di esprimersi su temi di interesse generale e sono proprio quest’ultimi ad essere motivo di aggregazione degli utenti, che formano comunità (community) sulla base di interessi comuni, per scambiarsi idee. IV.II Dimmi che parole usi e ti dirò chi sei Ci sono vari modi in cui una linguista può approcciarsi a un testo, e vari aspetti della lingua su cui può soffermarsi; tuttavia, prima di intraprendere un’analisi, deve chiedersi quale sia la funzione per cui quello specifico testo è stato concepito. Se si fa questa doman- da in merito al discorso politico, ci si rende conto che persuadere il destinatario è solo la punta dell’iceberg: sebbene un politico cerchi di legittimare le sue azioni e ottenere consensi tramite le parole, queste ultime hanno, in primo luogo, lo scopo di creare una deter- minata rappresentazione della realtà fatta di metafore e immagini; sarà poi decisione del destinatario di aderire o meno a quella realtà a determinare il successo o meno della persuasione. Un metodo rapido per individuare in modo mirato le parole più frequenti in un testo è offerto da una branca della linguistica chiamata linguistica dei corpora: grazie a programmi 22 inserita in un contesto in cui il mittente può sfruttare questa vaghezza per ottenere una definizione arbitraria, con lo scopo di rimodellare la percezione che il destinatario ha di quella parola. Nel caso di Di Maio, la parola “sistema”, spesso accompagnata dal dimostrativo (“questo sistema”), diventa un’allusione negativa alla politica e ai partiti italiani. Un altro ambito da cui Di Maio attinge i tecnicismi è senz’altro quello economico, ma in questo caso lo scopo è diverso: da un lato, descrivere con atteggiamento di condanna il mondo degli affari e quello della politica; dall’altro sottolineare la distanza tra la lingua comune dei destinatari – esemplificata da espressioni più familiari – e il registro ricercato e aulico dell’economia. Questo gioco di registri è riconducibile, ancora una volta, all’idea populista secondo cui le classi dirigenti vivano in un mondo elitario e completamente estraneo alla quotidianità dei cittadini comuni. Nonostante gli attacchi di Di Maio si rivolgano per lo più alla politica e ai partiti in generale, il leader Cinque Stelle non risparmia critiche mirate nei confronti di singole formazioni politiche o esponenti di spicco, con l’obiettivo di dipingere dei partiti tradizionali ormai spogliati della loro identità ideologica, che si aggrappano a distinzioni che, di fatto, sono ingannevoli e vanificate dalla corruzione endemica che “mette d’accordo tutti”. Anche questo aspetto è tipico dei movimenti populisti, che tendono a vedere la distinzione tra destra e sinistra come un concetto superato. Di conseguenza, se da un lato il centrodestra viene apostrofato come una forza politica illusoria e frammentata (“specchietto per le allodole, clamorosa ammucchiata, grande allucinazione”), dall’altro la sinistra viene accusata di ripudiare i valori storici che la caratterizzavano affidandosi a un leader che esercita un potere assoluto. A Renzi vengono affibbiati gli epiteti di “uomo solo al telecomando”, che allude anche all’influenza che esercita sui media, e di “rottamatore”; allo stesso modo, Di Maio apostrofa Berlusconi con gli epiteti di “traditore della Patria e firmatore compulsivo di contratti (mai rispettati) con gli italiani”. In conclusione, dalle parole e dalle associazioni d’immagini più frequenti nel corpus di Di Maio possiamo dedurre che la sua visione politica si declina su due linee: da un lato, la promozione dell’attivismo del MoVimento finalizzato al “cambiamento” della società, dall’altro la demonizzazione della politica tradizionale, che deve essere “eliminata, abbattuta e cancellata”. IV.IV Le parole di Renzi Se osserviamo le parole esclusive di Renzi, possiamo individuare determinati temi ricorrenti, tra cui spicca quello politico: a quest’ultimo appartengono parole che si riferiscono alla partecipazione attiva (“militanti” e “volontari”), descrivono orientamenti ideologici (“estremisti”) o alludono all’Italia in quanto nazione (“Tricolore”). Un secondo gruppo tematico è costituito dai termini specifici dell’economia, che possono essere più o meno trasparenti al pubblico generalista. Un aspetto che, però, contraddistingue Renzi rispetto a Di Maio nel vocabolario esclusivo è l’attenzione verso l’ambito della comunicazione, dei media e delle reti sociali;  Pubblica frequentemente post sul suo blog e crea degli hashtag che accompagnano i suoi messaggi su Twitter e Facebook 25  Gli hashtag esclusivi di Renzi hanno principalmente due funzioni: da un lato, quella di rimandare ad altri siti internet o ad altre pagine di Facebook e Twitter, come in #videoforumrepubblica o #MatteoRisponde; dall’altro, quella di evidenziare gli slogan chiave della campagna elettorale. Questi ultimi hashtag non rimangono solo semplici slogan che danno visibilità a Renzi in base a quanto vengono condivisi sulle reti sociali, bensì di- ventano concetti attorno ai quali gli utenti del web si riuniscono in vere e proprie comunità, perché sono idee e immagini che creano coesione sociale e contribuiscono a formare un’identità di gruppo. Al di là dell’ambito della comunicazione, tra i vocaboli esclusivi di Renzi emergono parole legate all’ecologia (“sacchetti di plastica, colonnine elettriche”) e alle emozioni (“rancore, paure”); quest’ultimo ambito risulta decisivo anche nel confronto statistico tra le parole significative di Renzi e quelle di Di Maio, insieme ai sostantivi generici e astratti, che risaltano anche nel confronto con Salvini.  L’estetica di un leader Renzi concepisce le elezioni come una competizione agonistica tra le varie forze politiche. La campagna elettorale diventa una “sfida” in cui il Partito Democratico ha l’obiettivo di vincere e primeggiare, come dimostra la frequente associazione tra la sigla “PD” e l’aggettivo “primo”. Nonostante ciò, se prestiamo attenzione all’uso dei verbi modali “dovere”, “potere” e “volere” e alla presenza di costrutti con valore finale, possiamo osservare come Renzi attenui gradualmente la convinzione di raggiungere la vittoria, che diventa più in un’intenzione e una possibilità che una certezza assoluta. L’idea che il PD possa vincere la sfida delle elezioni è motivata da una serie di caratteristiche positive che vengono attribuite al partito stesso: queste ultime vengono presentate sotto forma di sostantivi dal significato generico e astratto, che indicano valori socialmente riconosciuti e che si appellano a un ideale condiviso tra Renzi e i suoi destinatari. Il PD viene dipinto, innanzitutto, come un partito moderato che si fonda su “serietà” e “responsabilità” Un altro concetto che Renzi associa al Partito Democratico è quello di “futuro”, che si colloca in contrapposizione al “passato”. Nonostante questa opposizione sia presente in Renzi già dai tempi della “rottamazione” del 2015, il leader del PD abbandona l’idea di una rottura radicale e istantanea con la politica tradizionale per schierarsi in favore di una visione più graduale del cambiamento: il vecchio slogan “adesso”, che esprimeva istantaneità e rottura, viene sostituito da “avanti”, che promuove l’idea di un progresso che va oltre l’immediatezza.  Il passato non viene più visto, insomma, come un simbolo negativo della vecchia classe politica da “rottamare”, bensì come un punto di partenza delle aspettative per il futuro. Questo cambio di prospettiva è dovuto, con ogni probabilità, alla mutazione che il ruolo di Renzi ha assunto all’interno del suo partito nel corso degli anni: Renzi non è più un volto nuovo della politica che, da sindaco, “si è fatto da sé” fino a diventare segretario del proprio partito e il leader affermato del partito al governo del Paese.  Ecco che quindi Renzi elenca i successi passati del PD in tema di “lavoro”, servendosi di numeri e statistiche che diano un’impressione di esattezza e autorevolezza e che giustifichino l’ottimismo per il futuro. 26 Da quanto abbiamo potuto osservare finora, l’abbondanza di parole generiche e vaghe nel discorso renziano non solo contribuisce all’impoverimento del significato nel suo complesso, ma crea un effetto anestetico nei destinatari, che diventano assuefatti a paro- le apparentemente semplici e piacevoli da sentire. Oltre a questo meccanismo, il significato vago delle parole apre le porte allo stesso fenomeno di rinegoziazione che abbiamo già osservato in Di Maio. Un esempio di rinegoziazione nel discorso renziano viene offerto dalla parola “comunità”, che perde i contorni circoscritti propri della sua definizione e viene ricucita sull’Italia in quanto nazione, come se quest’ultima fosse un’entità omogenea, anziché il frutto di una società frastagliata e composita. Per come la usa Renzi, “comunità” finisce per confondersi con l’idea di popolo promossa dal populismo, ovvero, nelle parole di Marco Tarchi, un «aggregato sociale omogeneo depositario di esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti». L’idea di una comunità con un’identità comune non si limita, però, al concetto di nazione: Renzi sottolinea spesso l’importanza del ruolo dell’Italia nell’Unione Europea, sia attraverso brevi aneddoti che coinvolgono alcuni personaggi in prima persona, sia tramite semplici annunci vuoti, che non hanno vere e proprie spiegazioni. Quest’ultima è una strategia ricorrente nella lingua politica odierna, in cui la validità delle affermazioni non si basa più sulla citazione di fonti autorevoli o sulle argomentazioni, bensì si fonda sull’autorità del politico stesso, sulla sua identità e sul suo carisma.  È anche vero che, tuttavia, questo fenomeno può essere ricondotto a una caratteristica della comunicazione istantanea e immediata delle reti sociali, in cui i messaggi tendono solo ad annunciare un tema, il cui approfondimento viene affidato, in un momento successivo, a link ipertestuali o altre fonti. In questo modo, la decisione di cercare le informazioni necessarie per comprendere appieno il senso del messaggio è nelle mani del destinatario, che, però, nell’immediato tenderà a accontentarsi d’interpretare le notizie secondo le sue conoscenze pregresse.  Civiltà e barbarie Nello scenario di una sfida tra il PD e i suoi avversari politici, Renzi dipinge questi ultimi in modo dispregiativo, ricalcando una delle costanti del discorso politico novecentesco: il “noi” contro “loro”. I valori proposti dal leader del PD si pongono in an- titesi ai valori negativi attribuiti agli avversari. Per enfatizzare l’idea che i suoi avversari politici siano barbari e incivili, Renzi attinge di nuovo a vocaboli emotivi che, nell’immaginario comune, vengono associati alla parte più istintiva, primordiale e negativa dell’essere umano, come “odio, paura, rancore, vergogna”.  La primitività degli avversari non si manifesta, tuttavia, solo nel modo in cui rappresentano la realtà o esprimono le emozioni, ma anche nel linguaggio che impiegano per cercare il consenso degli elettori. All’attitudine riflessiva, collaborativa e concreta che caratterizza il PD, Renzi contrappone le “polemiche” e i “proclami” degli avversari, che si affidano a toni accesi e solenni per promuovere le loro idee. Il concetto della falsità entra in relazione con quello dell’irrealtà, a cui Renzi dedica molta creatività linguistica, in un modo simile a quello che abbiamo osservato in Di Maio. Se, da 27 generale, al lavoro e all’economia. È chiaro che l’intento di Salvini è rivolgersi a un pubblico il più ampio possibile.  Oltre a richiamare uno dei capisaldi della Lega Nord degli esordi, l’elogio del lavoro è un tratto distintivo comune ai movimenti populisti che sono sorti dagli anni ’90 in poi e si contrappone alla nullafacenza e all’indolenza delle classi dirigenti, che per di più abusano del potere che il popolo lavoratore e sovrano ha concesso tramite il voto, per promuovere i loro interessi personali. Anche Salvini fa propria la tematica del popolo-vittima della storia, tanto che nel suo discorso accosta spesso l’Italia e gli Italiani a parole che richiamano l’inferiorità, la sottomissione, l’indigenza e lo svantaggio sociale.  Ciononostante, la condizione degli Italiani non è sempre stata così critica: per usare un’espressione di Salvini, si tratta di “un’Italia al contrario” rispetto a com’era un tempo. Per questo motivo, il leader leghista si propone di ribaltare la situazione attuale nella prospettiva del ritorno a un passato idealizzato, come emerge nell’uso dei verbi “tornare” e “restituire”. Questo passato è diverso da quello associato al PD, precedentemente al governo: questo passato assume invece una connotazione negativa in contrapposizione al futuro che viene esaltato e vincolato all’idea del successo del “governo Salvini” alle elezioni. Sempre restando in tema di valori generici e astratti, le parole chiave che contraddistinguono il discorso di Salvini possono essere suddivise in due gruppi: da un lato, abbiamo quelle che appartengono alla tradizione conservatrice come “ordine”, “sicurezza” e “regole”; dall’altro, quelle che sono riconducibili alla mentalità populista, secondo cui un leader agisce come rappresentante delle “persone perbene” e giustifica le sue proposte politiche appellandosi al “buonsenso”, ovvero la caratteristica che accomuna le “persone normali”. Grazie all’ironia (MAH) e alla spontaneità con cui esprime le sue opinioni rispetto a una realtà che viene rappresentata in modo semplificato come ingiusta e piena di conflitti Salvini riesce ad avvicinarsi ai sentimenti del suo pubblico ponendosi dalla parte delle vittime e puntare il dito contro i responsabili dell’emergenza italiana, primo tra tutti il PD. L’associazione tra PD e parole che richiamano la repressione che caratterizza i regimi dittatoriali viene espressa anche tramite al- tri spostamenti di significato: da un lato, Salvini sfrutta la bivalenza del sostantivo “azzeramento”, un tecnicismo che nella lingua dell’economia significa “riduzione al minimo di qualcosa” e che, però, nella lingua comune è sinonimo di “eliminazione”, per cui a un “azzeramento della riforma” corrisponde “l’eliminazione di maestre e lavoratori”; dall’altro Salvini si serve di metafore dal sapore popolare e rime dal tono canzonatorio per dipingere il partito avversario come deplorevole, assetato di denaro, distante dalla realtà quotidiana e politicamente inconsistente.  D’altro canto, Salvini lascia anche che siano i destinatari stessi a trarre le loro conclusioni e formulare un giudizio negativo nei confronti di quanto detto: grazie alle domande retoriche, ai puntini di sospensione e alle esortazioni dirette Salvini simula di sottrarsi alle polemiche, mentre ha già suggerito ai destinatari una chiave di lettura.  Simula disinteresse verso le polemiche per potersi collocare in una posizione di superiorità morale (ahahahah). 30 Oggetto di disprezzo di S. non è pero solo il PD, ma anche l’UE. Nel discorso del leader leghista, la parola “immigrazione” subisce una vera e propria rivoluzione di significato, grazie a una rete di associazioni. Innanzitutto, l’immigrazione viene vincolata all’idea di “caos e disordine”, che si contrappone al valore astratto di ordine sociale a cui Salvini aspira, come dimostrano le espressioni “immigrazione fuori controllo” e “immigrazione incontrollata”. Inoltre, Salvini attribuisce all’immigrazione una caratteristica d’illegalità a prescindere dalle circostanze, come possiamo dedurre dalla frequente compresenza dell’aggettivo “clandestino” accanto a “immigrazione”. Un aspetto che, però, potrebbe sorprenderci non sta tanto nella ripetuta associazione tra l’immigrazione e parole dell’economia intese in senso dispregiativo (“business, guadagnare, fatturare, costare”), che sottolineano una visione distorta secondo cui le classi dirigenti traggono profitto dall’immigrazione alle spalle della fiscalità generale che se ne fa carico; nonostante questa visione radicale, infatti, Salvini ritiene opportuno distinguere la categoria dei “clandestini” dai cosiddetti “immigrati regolari perbene”, sempre nella prospettiva di un ritorno all’ordine e al controllo che deve applicarsi anche al fenomeno migratorio. Da un lato Salvini ironizza sui clandestini, ricorrendo di nuovo a un’iperbole che si basa sul rovesciamento dei rapporti sociali, dove è la maggioranza d’Italiani a subire discriminazioni per colpa degli immigrati privilegiati (AHAHAH). Allo stesso tempo però S. riconosce l’importanza di dover riconoscere quelli che definisce “immigrati regolari”, in riferimento ai quali non a caso appare l’aggettivo “perbene”: secondo S. hanno gli stessi diritti degli italiani. La continua confusione delle accezioni delle parole porta a una distorsione del significato di “clandestino”, che diventa impropriamente sinonimo di “un profugo che si finge tale”. Con toni esasperati da denuncia sociale, Salvini gioca proprio sul significato della parola “profugo” e mette sullo stesso piano i conflitti bellici che spingono gli immigrati a fuggire dai loro Paesi d’origine e la situazione di disordine sociale, violenza e criminalità in Italia, che viene associata metaforicamente alla guerra. Il parallelismo tra immigrazione e guerra viene portato all’estremo fino alla sovrapposizione totale di significato tra il fenomeno migratorio e il concetto di invasione. Questo stratagemma permette a Salvini di legittimare la sua reazione ferrea e risoluta a tutti i problemi del Paese, che prevede l’espulsione indiscriminata dei clandestini sul territorio nazionale: è proprio su tale questione che Salvini riversa l’enfasi e la forza del suo discorso, come testimonia l’uso abbondante di imperativi, costruzioni nominali isolate (“espulsione immediata”), strutture impersonali con il verbo “servi- re” e la ripetizione di slogan costruiti a mo’ di massime. IV.VI Conclusioni Al termine di questa analisi, possiamo concludere che oggi il di- scorso politico sta affrontando grandi cambiamenti. In una società globalizzata, attraversata da profondi conflitti sociali, si sta affacciando una nuova figura di politico, che non si presenta più ai potenziali elettori come un modello autorevole da seguire, bensì come un uomo comune, che si propone di pacificare gli interessi delle diverse classi sociali e di promuoverne l’aggregazione attorno a valori condivisi. 31 Per raggiungere gli obiettivi che il nuovo leader politico si prefigge, le reti sociali sono il mezzo perfetto, perché permettono di diffondere rapidamente le idee tra un pubblico molto ampio e creano un sentimento di aggregazione tra utenti che nella comunicazione non hanno più un ruolo solamente passivo, bensì si sentono invogliati ad alimentare costantemente il dibattito su internet e altri media.  Di Maio: tenta di creare aggregazione sulla base dell’idea stessa di MoVimento 5 Stelle come forza unitaria e inclusiva, che ha come punto forte la partecipazione attiva degli iscritti ai processi democratici interni. Tuttavia, buona parte della ricerca di consenso rimane basata sullo screditare i partiti tradizionali, che sono accusati di corruzione con parole dispregiative e vengono attaccati con termini giuridici che si riferiscono a reati, tratti da articoli di cronaca e decontestualizzati.  Renzi: Renzi cerca di coniugare una sua visione personale degli eventi, in cui il carisma e la ricerca estetica sono i protagonisti della comunicazione, con un’idealizzazione del Partito Democratico, che viene dipinto come una forza moderata e civile, che si contrappone ai partiti avversari, primitivi e fasulli. La spinta all’aggregazione sociale non si concentra, tuttavia, solo nell’identificazione dei destinatari con i valori del PD, poiché Renzi cerca di unire la comunità degli utenti anche in base all’appartenenza a un’unica comunità italiana ed europea.  Salvini: nonostante già Renzi dimostri una certa padronanza delle convenzioni linguistiche delle reti sociali, Salvini porta l’uso di menzioni ed hashtag a un livello superiore, così come la personalizzazione del discorso politico: il leader leghista si propone come l’uomo comune che prova emozioni ed esprime opinioni che vengono presentate come insindacabili in quanto rispecchiano lo spirito del buonsenso e delle persone perbene che si riconoscono nello spirito del lavoro.  Grazie al suo carisma (-.-) S. descrive una realtà italiana rovesciata e catastrofica in cui le classi dirigenti (da lui identificate come PD e UE) si sono appropriate del potere decisionale che spetta al popolo. In conclusione, dei tre leader, Salvini è quello che sa meglio sfruttare gli effetti comunicativi delle reti sociali, come la possibilità di rimandare ad altri media, la citazione di frammenti di discorso fuori contesto e la scelta di dare visibilità e peso a determinate informazioni per orientare la lettura e, quindi, la comprensione del messaggio. 32
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