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La Riforma in Inghilterra: Enrico VIII, More e Tyndale, Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Storia della RiformaStoria dell'InghilterraStoria religiosaStoria culturale

La lunga e travagliata storia della riforma in inghilterra, che portò alla dichiarazione dell'indipendenza della corona inglese dalla santa sede e alla modernizzazione dell'apparato giuridico-amministrativo. Vengono presentati i ruoli chiave di thomas more e william tyndale nella controversia religiosa e culturale del tempo.

Cosa imparerai

  • Come influenzò la Riforma in Inghilterra la figura di Thomas More?
  • Che motivi spinsero Enrico VIII a dichiarare l'indipendenza della Corona inglese dalla Santa Sede?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 19/10/2019

FedericaTesta02
FedericaTesta02 🇮🇹

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Scarica La Riforma in Inghilterra: Enrico VIII, More e Tyndale e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! IL RINASCIMENTO E SHAKESPEARE I. TRA UMANESIMO E RIFORMA: LA FUCINA DELLA GRANDEZZA Per l’Inghilterra il Cinquecento fu davvero l’inizio esplosivo di tutto: della sua identità nazionale e linguistica, della sua letteratura e della sua potenza politica ed economica, l’inizio anche della sua espansione nel mondo. Con la caduta di Calais nel 1558, i sovrani Tudor e i loro uomini riuscirono abilmente a trasformare gli svantaggi e i rischi che l’insularità comportava nella loro maggiore fortuna. Si trattava ora di unificare l’isola annettendovi il Galles e la Scozia, che rimaneva ancora indipendente, e l’Irlanda, sottomessa solo in una piccolissima parte. Approfittando della posizione marginale dell’isola di fronte alle grandi controversie che attraversavano il continente, Enrico VIII dichiarò l’indipendenza della Corona inglese dalla Santa Sede con l’Atto di Supremazia nel 1534, e si proclamò capo della Chiesa d’Inghilterra. Il monarca inglese usò le nuove idee che erano prodotte nella Germania di Lutero al solo scopo di appropriarsi delle ricchezze ecclesiastiche da distribuire ai suoi alleati e per affermare il potere assoluto sul suo regno. Fu una storia lunga e travagliata quella della Riforma in Inghilterra, che distrusse traduzioni e consuetudini, abbazie e libri, ma permise una rivoluzionaria modernizzazione dell’apparato giuridico- amministrativo, e il decollo di una nuova cultura politica e letteraria. 1. Isole reali, isole ideali: More, Tyndale <<Utopia>> è una parola coniata sul suolo inglese da Thomas More. E’ il titolo della sua opera più nota, pubblicata in latino nel 1516 e tradotta in inglese solo nel 1551. “Utopia”, che vuole dire non- luogo oppure luogo del bene, è il nome dell’isola visitata da Raphael Hythlodoeus in una località indefinita del Nuovo Mondo. Un’isola che contiene 54 città-stato, “tutte spaziose e magnifiche, identiche nella lingua, tradizioni, costumi e leggi.”. Qui More stabilisce la sede di uno Stato ideale dove non esistono proprietà privata, né denaro, né differenza di rango, dove la guerra è sconosciuta e tutti lavorano sei ore al giorno, dove la famiglia condivide beni e figli con la comunità e non c’è posto per l’ambizione personale o il conflitto politico, né per lo spreco del lusso, né per il privilegio o il sopruso. Qui i desideri privati sono attenuati in nome dell’interesse comune e della convivenza civile. Uniformità e giustizia, sane relazioni sociali e abbassamento dell’aggressività dell’io: queste sono le principali caratteristiche di Utopia. Ispirata sia alla Repubblica di Platone sia ai resoconti di recenti viaggi di esplorazione verso nuove terre, la sobria e retta isola di Utopia sembra voler essere la rappresentazione e contrario dell’attuale isola d’Inghilterra, rigidamente divisa da gerarchie sociali, pretenziosa, ingiusta e violenta, mal governata dalla folle ingordigia dei potenti. L’Utopia di More costituisce forse il primo esempio di critica della società contemporanea che adotta come strategia retorica un punto di vista esterno e “razionale” da cui risaltano i difetti e le assurdità della storia presente. L’Utopia, insomma, serve più a stanare i vizi del reale che a decretare le virtù dell’ideale. Utopia è una società troppo virtuosa per essere probabile o persino desiderabile. Nel primo dei due libri il dialogo fra Raphael Hythodoeus e Morus mette in luce i dubbi sul pericolo che l’abolizione della proprietà privata costituisce per il possesso interiore dell’individuo. Principalmente, tuttavia, il dialogo tra Hythlodoeus e Morus mette in scena il dilemma cruciale dell’umanesimo europeo: può il sapere (o la filosofia) agire sulla prassi civile? Può il sapiente (o il filosofo) avere un ruolo nella vita politica del suo paese? Un dilemma che occupò un posto centrale nella carriera pubblica e letteraria di More e che assumerà una forma concreta quando Enrico VIII gli offrì l’incarico di Lord Chancellor, la carica più importante del governo. Questi anni segnano il passaggio dal More umanista al More teologo e polemista. In un clima di rinnovamento culturale Erasmo arrivò in Inghilterra nel 1499, e insieme a More fu il promotore del più brillante programma di riforma del cristianesimo che avrebbe costituito un riferimento fondamentale per il futuro sviluppo della cultura laica e religiosa di tutta l’Europa. Fu proprio questa brillante erudizione che Enrico volle mettere al servizio della sua causa politica negli anni turbolenti che videro lo scisma da Roma. Lusingato e consapevole dei pericoli che comportava diventare consigliere del tirannico ed imprevedibile Enrico, More accettò l’incarico; ma quando Martin Lutero, dopo aver fatto circolare le sue celebri 95 tesi del 1517, fu scomunicato (1521) e dichiarato fuorilegge da Carlo V, il programma di rivitalizzazione del cristianesimo dal suo interno si era trasformato in un attacco dall’esterno. 1.1.. Guerra di libri Lutero non rimase passivo di fronte alla scomunica. La prima reazione fu la pubblicazione di La Prigionia di Babilonia, un trattato in latino indirizzato a un clero colto in cui proponeva la liberazione della spiritualità cristiana dalla corruzione delle istituzioni della Chiesa cattolica. Inoltre, respingeva la validità di tutti i sacramenti a eccezione del battesimo e della eucarestia. Se Lutero da una parte destituiva il clero di ogni potere sulla vita spirituale del fedele, dall’altra accresceva immensamente quello di Dio. Per Lutero, infatti, la grazia, la salvezza nell’aldilà, è concessa da Dio solo a un certo numero di eletti, indipendentemente dai meriti acquisiti sulla terra. Si tratta di quella che Calvino definirà più tardi teoria della predestinazione, una teoria inconciliabile con quella cattolica. Per quest’ultima la salvezza è ugualmente distribuita a tutti gli uomini e tocca al singolo individuo riconoscerla e farne buon uso. Per i cattolici la grazia si guadagna con le “opere”, per Lutero essa dipende interamente dalla decisione divina. Le due tesi avevano naturalmente conseguenze etico-sociali del tutto divergenti. E sono queste conseguenze che maggiormente interessavano More. In primo luogo, la negazione delle opere e la giustificazione tramite la fede sostenute da Lutero avrebbero portato a una graduale apatia sociale e civile. In secondo luogo i riti, le cerimonie, le immagini che Lutero voleva abolire sono forme simboliche per mettersi in contatto con Dio e per tenere uniti i fedeli. L’ostinata inconoclastia di Lutero minacciava la comunicazione con Dio e tra gli uomini. More, come Erasmo, pur condividendo con Lutero la necessità di una riforma, temeva più di ogni altra cosa la disobbedienza civile e la frammentazione dell’Europa cristiana. Ma se Erasmo rifiutò di prendere partito, invocando la sua indipendenza intellettuale, per More l’unità del cristianesimo e il sistema giuridico garantiti dalla Chiesa cattolica andavano difesi a tutti i costi. Ed è per questo che il More umanista, un po’ buffone, ironico, sofisticato e sfuggente cedette il posto a un More polemista, mai esitante o insicuro; qui i toni sono duri, seri, decisi, sarcastici, anche violenti. E lo divennero ulteriormente quando l’”infezione” dell’eresia di Lutero si diffuse sul suolo inglese. Non fu Lutero, tuttavia, il più accanito avversario di More, bensì William Tyndale. Egli arrivò a Londra con la speranza di produrre una Bibbia in inglese; ma la traduzione dei testi sacri incominciò ad essere identificata con la causa luterana e la richiesta di Tyndale fu respinta. Fu allora che cambiò protettori e paese. Sostenuto finanziariamente dai mercanti di Londra che simpatizzavano con le nuove idee sulla religione, Tyndale si recò all’università di Wittenberg dove conobbe Lutero, e da liberale ed erasmiano divenne convinto luterano. Nel 1526 completò la prima traduzione in inglese del Nuovo Testamento. Le prime copie che attraversarono la Manica furono presto confiscate e bruciate per ordine del vescovo Tunstall. Ma le misure repressive che avevano regolato il dissenso si dimostrarono impotenti di fronte alla forza dirompente che conteneva quel recente e rivoluzionario strumento di trasmissione di cultura e delle idee che fu la stampa. Il Nuovo Testamento di Tyndale continuò ad essere stampato a Anversa e distribuito clandestinamente in Inghilterra. Tradotto direttamente dall’originale greco, il Nuovo Testamento di Tyndale è scritto in un inglese semplice e diretto. Alla lingua inglese Tyndale attribuì la dignità per competere con le prestigiose lingue antiche e una “grazia” capace di accordarsi meglio con il greco e con l’ebraico che con il latino. A lui si devono neologismi basati sull’ebraico come passover (“passaggio”), e scapegoat (“capro espiatorio”). Ma la scelta di tradurre parole chiave come ekklesia con congregation (“congregazione”) piuttosto che con church (“chiesa”), per esempio, suscitò l’ira filologica di More. La versione inglese del Nuovo Testamento, scriveva More, era tendenziosa e di chiara marca luterana. Seguendo Lutero, Tyndale rifiutava l’interpretazione allegorica della Chiesa, mentre proponeva una lettura “semplice” e “fedele” al testo. La Bibbia non era più testo di pochi, ma guida morale e spirituale della vita quotidiana di tutti. “Cesare”, a qualcuno, cioè, immensamente più potente del poeta. E’ stato scritto che la cerva alluda a Anna Bolena con la quale sembra che il poeta avesse avuto una relazione amorosa prima che ella divenisse amante del re e poi sua sposa, e che il “Cesare” della scritta alluda quindi a Enrico VIII. Che sia o no allusivo, il sonetto dimostra la duttilità di Wyatt nell’adattare il testo originale alle circostanze concrete della vita di corte, e nel forgiare la vita interiore del poeta dentro un triangolo amoroso - poeta-amata-sovrano – che include il pericoloso contatto con il potere. E’ alla cinica politica della corte che è dedicata la sua poesia più importante, They Flew from Me, scritto questa volta nella rhyme royal, prediletta da Chaucer. Qui il poeta lamenta la legge che muta i rapporti tra gli uomini secondo il posto che essi occupano nella gerarchia di corte; il poeta non può che costatare con amarezza la mutabilità e l’imprevedibilità del mondo cortese. Un mutamento repentino che riguarda tanto i rapporti con i suoi rivali a corte quanto i rapporti con una capricciosa amata. Eros e politica sembrano seguire le medesime spietate leggi di sottomissione e dominio. Wyatt sembra tristemente consapevole che la corte è il solo luogo da cui può scaturire e dentro cui si può consumare, nel bene e nel male, il desiderio d’amore e di potere. Fu Henry Howard, conte di Surrey che per primo riconobbe il merito di Wyatt di aver rinnovato il verso inglese attraverso l’uso ingegnoso del modello italiano, se non altro perchè, ne continua la lezione “traducendo” anch’egli alcuni sonetti di Petrarca. Surrey mise a punto la forma definitiva del sonetto inglese che verrà poi usata nella grande stagione sonettistica degli anni Novanta del Cinquecento da Sidney a Donne: tre quartine e un distico finale con rima abab cdcd efef gg. Inoltre, inventò il verso che ebbe poi una notevole fortuna nei successivi quattro secoli: l’endecasillabo sciolto, il famoso blank verse, un pentametro giambico non rimato, verso che usò nella traduzione del secondo e quarto libro dell’Eneide. Rispetto a quelli di Wyatt i sonetti di Surrey presentano una forma più regolare e musicale; il loro effetto, però, è meno vigoroso. Ma è proprio nell’avere seguito l’esempio di Wyatt che sta forse il merito maggiore di Surrey. Nel riconoscerlo come precursore e modello, Surrey offriva al futuro della poesia inglese un albero genealogico che, mentre rifiutava l’inglese di Chaucer, affondava le sue radici nella grande poesia italiana e latina. Né Wyatt né Surrey pubblicarono le loro poesie in vita, per il semplice motivo che esse erano destinate al ristrettissimo pubblico di corte; esse furono pubblicate solo nella famosa raccolta di poesie comunemente nota come Tottel’s Miscellary. Richard Tottel è il nome dello stampatore che decise di raggruppare 97 poesie di Wyatt, 40 di Surrey, 40 di Nicholas Grimald, e 94 di “autori incerti” in un’antologia che esercitò una enorme influenza sulla generazione successiva di poeti. Fu questo libro che diffuse la poesia del Rinascimento europeo fuori dell’ambiente cortese e che rese possibile ai poeti inglesi delle generazioni successive di sentirsi eredi di un passato prestigioso. 3. Gli umanisti: educazione e traduzioni. Elyot e Ascham. L’umanesimo significò innanzitutto il recupero del sapere dell’antichità. La qual cosa poteva avvenire solo attraverso la traduzione dei testi latini e greci e la loro collocazione nella storia. Il disseppellimento della cultura antica non avvenne però all’insegna di un puro interesse antiquario, ma allo scopo di forgiare il presente alla luce dell’esempio del passato. Con l’umanesimo nacque la filologia, la riflessione sulla lingua, sulla politica, sulla storia, sull’arte. Uno degli aspetti costanti dell’umanesimo europeo fu l’enfasi posta sulla pedagogia. L’importanza attribuita all’educazione implicava la fiducia nella capacità del sapere di plasmare la mente degli individui e di influire sulla formazione delle strutture sociali. Si poteva insegnare a governare, a comportarsi correttamente a corte, a pregare, a danzare, a scrivere poesia, a cavalcare, a cucinare. Per questo i maggiori umanisti furono spesso tutori di re e di aristocratici. Thomas Elyot visse alla corte di Enrico VIII e a lui dedicò l’opera più note The Book Named the Governour (Il libro del Governatore), il cui scopo è quello di dimostrare che il buon governo dipende da una buona educazione dei giovani rampolli della classe dirigente. Naturalmente, nessun principe o esponente dell’aristocrazia seguì mai davvero le buone proposte degli umanisti europei, l’istruzione non fu mai una virtù aristocratica, e le regole del gioco di corte erano dettate dalla competizione o semplicemente dalla sottomissione al potere piuttosto che dalla buona creanza, come aveva già costatato Thomas Wyatt. E tuttavia, l’educazione delle classi più alte della società inglese nel Cinquecento venne sicuramente gestita dagli studiosi del sapere dell’antichità classica. La qual cosa contribuì a formare dei principi morali e comportamentali sulla base dei quali misurare la condotta reale degli individui che si arrogano il diritto di regnare. Questi principi aiutarono a guidare le società europee nella difficile transizione da una organizzazione di tipo feudale a quello che si definirà più tardi lo Stato moderno. Per Elyot, ad esempio, il regno deve organizzarsi intorno alla figura unificatrice del principe, perchè solo una unica fonte di potere può garantire la pace e una buona amministrazione della giustizia. Se il principe diventa la figura cruciale della nazione, sarà quindi logico che egli debba essere guidato dal wisdom (“ragione”) piuttosto che dal suo will (“capriccio”). In Of the Knowledge Which Maketh a Wise Man (Della Sapienza che fa un uomo saggio), il prevalere della “saggezza” o di foolishe affectis (“sciocche emozioni”) nelle decisioni del re distingue il buon sovrano dal tiranno. Le opere di Elyot cercavano di comunicare come un re e un nobile avrebbero dovuto essere, non come effettivamente erano. L’ <<utopia>> di Elyot è, come si vede, del tutto diversa da quella, più sofisticata, di More. Ma è anche l’utopia più discussa e difesa nel Cinquecento europeo. Fu intorno alla figura del sovrano che verranno imbastite tutte le teorie che definiranno e legittimeranno il potere dello Stato: da Machiavelli a Erasmo e Bodin a Bacon a Hobbes. L’umanesimo ebbe inizio in Italia per il motivo molto concreto che l’Italia era esattamente la terra sulla quale la cultura e la storia del mondo classico si erano svolte. L’Inghilterra mancava quasi del tutto di un passato e di una cultura all’altezza di quelli italiani. Rispetto all’Italia, l’Inghilterra non dovette tradurre solo dal latino e dal greco, ma anche dall’italiano, dal francese, talvolta dallo spagnolo. E la lingua inglese, diversamente da quelle romanze, sembrava ai traduttori del tutto incapace di accogliere tanta eredità latina, antica o moderna. E benché un umanista erudito come Elyot contribuisse alla graduale immissione di latinismi nella lingua inglese producendo il primo dizionario inglese-latino nel 1538, nella dedica alla sua traduzione dell’Edipo di Seneca, parlava di una <<nostra corrotta e bassa, o come tutti affermano barbara lingua>>. Nondimeno, il numero di traduzioni dal latino, dall’italiano e dal francese salì vertiginosamente nella seconda metà del XVI secolo. Una simile invasione non lasciò indifferente Roger Ascham che nel suo The Scholemaster lanciò un attacco veemente contro la cultura italiana importata in Inghilterra e mise in guardia dalla cattiva influenza che essa esercitava sulle giovani menti inglesi. La tirata di Ascham, tutore della regina Elisabetta I, è solo un sintomo dell’ansia provocata dal rischio che tanta importazione di cultura dal continente impedisse il decollo della fragile identità nazionale. Nel clima di scontro politico- religioso inaugurato con la Riforma, l’immagine dell’Italia incomincia ad assumere aspetti sinistri. Roma, in particolare, diventa insieme sede della più antica e illustre tradizione e di un nemico morale: antichità e papismo. In realtà, il vero bersaglio dell’invettiva di Ascham è la vita di corte, vita di inganni e seduzioni. Nella sua opera più nota, The Scholemaster, Ascham è impegnato in un serio programma di educazione dell’aristocrazia inglese attraverso il recupero della cultura latina e greca verso la quale nutre una profonda ammirazione. The Scholemaster e Toxophilus segnano una svolta nazionalista nella pedagogia inglese. Non fu solo la nobiltà di corte, tuttavia, a beneficiare del nuovo sapere ma soprattutto le università di Oxford e Cambridge nelle quali furono educati uomini di lettere e di scienza privi di nobili natali. 3.1. La stampa. Né la riforma, né la diffusione del nuovo sapere, né la nascita delle culture e delle lingue nazionali sarebbero state in alcun modo possibili senza quella rivoluzionaria invenzione che è la stampa. La stampa significò innanzi tutto la drastica riduzione del prezzo del libro e la sua conseguente accessibilità a un numero sempre più vasto di lettori. In secondo luogo essa strappò al clero prima e alla corte poi il monopolio della cultura fondata sul manoscritto. Stampa e traduzione furono strettissimi alleati della trasmissione della cultura e del suo rapidissimo rinnovamento. Oltre che a diffondere il nuovo sapere tradotto dall’italiano, dal latino e dal francese, oltre a far conoscere la parola di Dio tradotta dall’ebraico e dal greco, e a permettere a chiunque sapesse leggere la lettura diretta della Bibbia, oltre che a diventare strumento della propaganda politico- religiosa, ora il libro diventa per la prima volta merce e occasione di profitto: il libro entra a far parte dell’inventario del mercante. Certo, non esisteva all’inizio quello che oggi chiamiamo diritto d’autore. Anzi, l’autore aveva un ruolo secondario nell’impresa libraria, della quale erano gli stampatori i veri protagonisti. Una volta venduto il manoscritto per cifre a volte irrisorie, l’autore cedeva loro ogni profitto. In Inghilterra la stampa fu introdotta da William Caxton, stampatore, traduttore e autore che l’aveva appresa e praticata nei Paesi Bassi. A lui si deve la pubblicazione del più importante romanzo arturiano inglese La Morthe Darthr di Thomas Malory. Furono pubblicati 26 000 libri tra il 1475 e il 1640: libri di devozione e polemica religione, ma anche romanzi, libri d’istruzione o di condotta, pamphlets, ballate, poesie e così via. La maggior parte degli stampatori e dei rivenditori di libri operava a Londra dove era situato il centro del mercato del libro. Il numero dei alfabetizzati crebbe in Inghilterra vistosamente dal venti dal sessanta per cento nei primi trent’anni del secolo. Una tale rivoluzione culturale non poteva che mettere in allarme le autorità. La censura fu la triste contropartita dell’esplosiva diffusione della parola scritta in una società che era stata per secoli organizzata sulla alfabetizzazione della sola classe dirigente. Autori e stampatori dovevano sottostare a rigidissime regole: qualsiasi cosa scritta doveva passare il vaglio dell’arcivescovo di Canterbury e del vescovo di Londra oltre che del Consiglio privato della Corona. Le stamperie, inoltre, non potevano superare un determinato numero, e nulla poteva essere stampato al di fuori di Londra o delle università di Oxford e Cambridge. Oggetto della censura furono soprattutto gli scritti di carattere religioso, ma lo erano anche scritti che esprimevano apertamente un dissenso politico oppure pamphlets satirici. Fu dunque a causa della censura che poeti, filosofi e drammaturghi del periodo dovettero scrivere in maniera volutamente oscura e usarono un linguaggio altamente metaforico e poetico. 4. I figli di Enrico: Edoardo, Maria, Elisabetta. Enrico VIII morì nel 1547 lasciando il trono al figlio Edoardo VI avuto dalla sua terza moglie Jane Seymour. Giovanissimo, precoce e malato, Edoardo salì al trono per regnare solo sei anni sotto il protettorato del potente e convinto protestante duca di Somerset e, in seguito alla sua caduta ed esecuzione, di John Dudley, duca di Northumberland. Con il suo regno la Riforma prese un aspetto radicale che non aveva ancora assunto con Enrico. L’obbligo del celibato dei sacerdoti fu cancellato, le immagini che ancora sopravvivevano nelle chiese furono distrutte, nuove terre furono confiscate agli ordini religiosi. Inoltre, gli altari furono rimossi e sostituiti con semplici tavole sulle quali veniva celebrato il rito dell’eucarestia come atto commemorativo della Passione di Cristo e non come miracolo della transustanzazione, assecondando così la dottrina protestante. Nel 1549 il primo Book of Common Prayer (Libro delle preghiere comuni) fu scritto dall’arcivescovo Cranmer e altri teologi, discusso in Parlamento e imposto in tutte le chiese e le cattedrali. Esso stabiliva la liturgia che doveva essere osservata durante le cerimonie religiose, e intendeva sostituire tutti i libri di preghiere, i breviari, i messali e i libri devozionali scritti in latino destinati alla preghiera privata. Scritto in un inglese semplice e sobrio, il Book of Common Prayer evita ogni immagine o linguaggio emotivo nella descrizione della Passione di Cristo. Questo libro è particolarmente importante perchè costituisce una vera e propria rivoluzione liturgica. Fu per la varietà sociale e per la tenacia della tradizione che la Riforma di Edoardo non fu accettata di buon grado da tutta la popolazione. La rivoluzione di Edoardo non durò a lungo. Quando il giovane re morì nel 1553 gli successe la sorella Maria, figlia della cattolica Caterina d’Aragona. Anch’essa fervente cattolica, Maria si circondò di consiglieri devoti piuttosto che esperti. Salita al trono all’età di trentasette anni, sposò Filippo II, futuro re spagnolo alleato di Roma, provocando non poco dissenso e addirittura una vera e propria ribellione in un Inghilterra che aveva subito la pressante propaganda antipapista e antispagnola di Enrico VIII. Il primo atto politico di Maria fu quello di ricucire lo strappo con Roma e di disfare le riforme religiose del padre e del fratello. Tra il 1555 e il 1558 mandò sul rogo almeno 287 protestanti per eresia- una persecuzione che le valse il titolo di Bloody Mary.
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