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Riassunto primo capitolo del libro "Storia Medievale" di L. Provero e M. Vallerani, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto dettagliato del primo capitolo del libro "Storia Medievale" di Luigi Provero e Massimo Vallerani.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 09/08/2021

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Scarica Riassunto primo capitolo del libro "Storia Medievale" di L. Provero e M. Vallerani e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Storia medievale — Luigi Provero e Massimo Vallerani. Capitolo 1 - L'Impero cristiano. Il tardoantico non deve esser visto come un periodo di decadenza dell'impero romano, ma come un periodo in cui si crea un nuovo equilibrio tra la dimensione regionale dell'impero romano; le istanze del governo centrale; le specifiche strutture di potere e di prelievo; il ruolo dell’esercito, con la sua nuova componente barbarica; la progressiva penetrazione di popolazioni barbare; l'avvento di nuove forme religiose (che culminano con il processo di cristianizzazione dell’Impero e la nascita della figura del monaco cristiano). Le fonti a nostra disposizione, inerenti a questo periodo, sono distorsive in quanto le informazioni sul mondo barbaro sono state elaborate all’interno del mondo romano e in quanto le informazioni sul mondo pagano sono state fornite dal mondo cristiano, e tardive, ovvero testi storici scritti successivamente. 1. Il sistema imperiale tardoromano: potere e prelievi. Alla fine del Il secolo d.C., termina il periodo di espansione militare dell’Impero, che si stabilizza, in Europa, entro il limes del Reno e del Danubio. Da questo momento inizia l’Impero tardoantico. L'impero non era uno spazio di civiltà omogeneo, anzi, riuniva popolazioni diverse per tradizioni, lingue, religioni, con livelli di romanizzazione molto variabili, ma coordinate efficacemente dalla macchina statale, fiscale e militare. Nella seconda metà del Il secolo d.C., questo apparato subì una profonda crisi, con una serie di lotte per il trono, che portarono a continue successioni e alla presenza di più imperatori contemporaneamente. Il potere imperiale fu ripristinato sotto Diocleziano che riaffermò un efficace controllo sull’intero territorio, condividendo il potere con Massimiano, dando vita così ad una diarchia (285). Non fu una divisione territoriale dell’Impero, piuttosto una condivisione delle responsabilità, con una superiorità di Diocleziano, e un'importante presa di coscienza della complessità dello spazio politico-militare dell’Impero, con la crescente importanza di polarità diverse da Roma, come l’Oriente, dove agì Diocleziano, e la Gallia, ambito di azione di Massimiano. Nessuno dei due risiedette a Roma, che iniziò lentamente a perdere le funzioni di unica capitale, restando centro simbolico dell'Impero e sede del Senato. La polarizzazione tra Oriente e Occidente si accentuò quando la diarchia divenne tetrarchia, ovvero l’affiancamento di due Cesari (Galerio e Costanzo Cloro) ai due Augusti, come collaboratori e successori naturali. L'unità dell’Impero non viene messa in discussione, ma le responsabilità dei sovrani assunsero un più chiaro connotato territoriale. Lungo il IV secolo non ci furono due Imperi, ma spesso due imperatori. Da questo punto di vista, lungo il IV secolo, la fondazione di Costantinopoli e la successione di Teodosio furono i passaggi fondamentali. L’antica città di Bisanzio, divenne Costantinopoli su volontà dell’imperatore Costantino, nel 324 e nel 330 ottenne la dedicatio, ovvero venne consacrata. Costantinopoli nacque come residenza imperiale, non come capitale, ma fu una fondazione particolare in quanto si affermò come punto di riferimento forte del potere imperiale nel Mediterraneo orientale, mentre in Occidente assumevano importanza e stabilità crescenti le residenze imperiali in varie città, ed era sede di un Senato, un'appendice del Senato di Roma. Solo nel V secolo, Costantinopoli divenne una vera e propria capitale (residenza dell’imperatore e sede di un vero Senato). Questo cambiamento fu reso possibile da un mutamento della struttura del potere imperiale, ovvero la divisione stabile tra una parte orientale e una parte occidentale, che si realizzò con la successione a Teodosio | (395). Egli spartì infatti il territorio fra i suoi due eredi, Arcadio, che ottenne l'Oriente, e Onorio, che ottenne l'Occidente. Teodosio | attuò questa scelta perché prese atto che un efficace controllo di territori così diversificati e così duramente minacciati sul piano militare, avrebbe richiesto la presenza diretta dell’imperatore, possibile solo con una spartizione, che tuttavia non cancellava la concezione unitaria dell'Impero. La macchina statale imperiale era complessa e richiedeva un afflusso costante di denaro, per sostenere i tre più grandi capitoli di spesa: -la burocrazia, ovvero il sistema di controllo diffuso su tutto il territorio imperiale; -la capitale, sia per la sua burocrazia centrale, sia per il rifornimento di cibo gratuito o quasi garantito agli abitanti di Roma; -l’esercito, che era stipendiato. Le tre voci di spesa erano sostenute da un prelievo fiscale capillare, la cui risorsa principale era costituita dall’annona, imposta che gravava sulla popolazione rurale in base all'estensione di terre e al numero dei contadini presenti su di esse. La popolazione urbana era esentata dal pagamento dell’annona, ma erano tassati i cittadini che disponevano di beni fondiari nelle campagne. Le città avevano un ruolo fiscale centrale perché i curiales, membri dell'assemblea cittadina, erano incaricati di riscuotere l'imposta nel territorio circostante, di girarla all'apparato imperiale, di intervenire in caso di riscossione insufficiente o tardiva. Ruolo oneroso, svolto dai membri della media élite cittadina. Questo meccanismo fiscale era la struttura portante di un sistema di circolazione economica, polarizzato attorno alle città, diffuso nel Mediterraneo e in Europa. Le imposte prelevate non restavano mai nella singola provincia, ma andavano a sostenere i costi complessivi dell'Impero. Si diffusero infatti scambi tra le diverse regioni, che divennero economicamente interdipendenti: alcune aree si nutrivano in base ai prodotti agrari provenienti da regioni lontane (es.: Roma e Egitto o Nord Africa). La circolazione economica non è da intendersi come circolazione commerciale, ma come circolazione fiscale, fatta di moneta e di beni di primo consumo. Il sistema fiscale richiese un buon funzionamento delle infrastrutture (strade, porti..) e la sicurezza della navigazione, e ciò costituì le basi per lo sviluppo successivo di una circolazione commerciale. Con la fine dell'espansione militare nella seconda metà del Il secolo e la conseguente fine dell'espansione economica (data dai bottini, prigionieri di guerra, disponibilità di una manodopera servile), si ebbe il declino delle funzioni economiche della schiavitù, non più base del sistema produttivo. Per quanto riguarda le esigenze economiche dell'Impero, il contesto politico-militare fece sì che le spese militari non fossero comprimibili, sempre ingenti a causa della pressione continua di diversi popoli sul limes. Questa continua richiesta di moneta impose agli imperatori una politica inflazionistica: si produsse più moneta ma di minor valore, e ciò colpì maggiormente i ceti più poveri. L’Italia perdette la propria rilevanza produttiva, per diventare luogo di consumo dei prodotti. Il sistema fiscale e commerciale fu strutturato attorno a un flusso di derrate e manufatti che dalle periferie andavano verso il centro o verso quelle aree dell'Impero per le quali il potere centrale aveva un continuo bisogno di risorse. Una polarità forte fu rappresentata dalla provincia dell’Africa proconsolare e da Cartagine come area di produzione agraria e artigianale. Si strutturò un asse stabile di circolazione di ricchezze tra Cartagine e Roma, soprattutto quando i prodotti cerealicoli provenienti dall’Egitto furono indirizzati verso Costantinopoli nel V secolo. 2. L'esercito, il limes, i barbari. Il costo legato all'esercito era molto alto, perché era un esercito stipendiato: la costrizione obbligatoria era tramontata in favore di una tassa sostitutiva che i grandi proprietari pagavano per esentare del servizio i propri coloni e garantirsi la mano d’opera sulle proprie terre. Grazie a questa tassa, e al sistema fiscale in generale, l'Impero era in grado di nutrire, equipaggiare e stipendiare l’esercito. L'esercito era impiegato per via delle continue pressioni sui confini e per le ricorrenti guerre civili tra i diversi aspiranti imperatori. L'esercito fu diviso tra comitatenses, la forza mobile incaricata di accompagnare l’imperatore, e i limitanei, le guarnigioni poste a difesa del confine. Dopo la grande persecuzione dei cristiani (303-304), si arrivò alla libertà di culto per i cristiani (311-313), innescando un processo che portò nel 380 a fare del Cristianesimo la religione ufficiale dell’Impero. Tale processo è scandito in tre tappe: * L’editto di Milano. Costantino si limitò a confermare e a porre in atto un decreto di Galerio del 311, che aveva posto fine alle persecuzioni e sancito la libertà del culto cristiano. Ciò non diede vita ad un Impero omogeneamente e stabilmente cristiano, non furono vietati i culti pagani né perseguitati gli eretici. A partire dagli ultimi anni del IV secolo, gli imperatori individuarono nel Cristianesimo una possibile ideologia unificante del frammentato mondo romano, un nuovo fondamento di legittimità per il potere imperiale. Tali funzioni richiedevano però un'unità teologica del Cristianesimo. e Ilconcilio di Nicea (325). A Nicea fu condannato da parte dei vescovi cristiani l’Arianesimo, dottrina cristiana elaborata dal prete Ario, giudicata eretica perché, per conciliare monoteismo e trinità, Ario aveva proposto una lettura per cui il Figlio sarebbe stato creato dal Padre e quindi a lui sottoposto e non eterno, ma questo non garantiva l'efficacia salvifica, che fu invece garantita nell’interpretazione, elaborata a Nicea, per cui il Figlio era coeterno e fatto della stessa sostanza del Padre, <<generato e non creato>>. Il fondamento della capacità salvifica del Cristianesimo risiedeva nell’incarnazione di Dio e la sua efficacia era connessa alla piena natura divina del Figlio, incarnato in Cristo. Questo concilio fu convocato da Costantino, questo perché egli comprese che l’efficacia della religione come collante ideologico del mondo romano era legata alla sua unitarietà e coerenza ed era quindi necessario che dal concilio uscisse una tesi unitaria, priva di divisioni. Il concilio di Nicea affermò la centralità del concilio, ovvero l'assemblea dei vescovi, come luogo di elaborazione teologica, e mise in evidenza il ruolo assunto dall'Impero di tutore dei conflitti interni alla Chiesa. La separazione tra cattolici e ariani si rafforzò per l'aumento dell’intolleranza del Cristianesimo romano, che tuttavia si arrestava al limes, l’Arianesimo si diffuse infatti nel mondo germanico, anche grazie alla traduzione della Bibbia in lingua gotica. Si andò quindi a creare una bipartizione religiosa, tra mondo romano a prevalenza cattolico-nicena e un mondo germanico ariano. e Editto di Tessalonica (380). Si ha il consolidamento a livello imperiale del Cristianesimo, nella sua versione nicena. L'imperatore Teodosio ordinò ai sudditi di adottare il Cristianesimo, facendone religione ufficiale dell'Impero. Si inasprì la repressione delle forme religiose giudicate eretiche e si ebbe la massiccia conversione dei ceti più ricchi. 4. Vescovi e monaci. Alla fine del IV secolo, il Cristianesimo diventa la religione dominante nell'Impero romano, sia per la posizione del potere imperiale, sia per la sua diffusione, sia per il ruolo guida assunto dall’aristocrazia senatoria. La Chiesa cristiana del IV-V secolo non era un’organizzazione unitaria o universale. La struttura portante era quella della diocesi, la comunità cristiana di una città e del suo territorio, raccolta attorno al vescovo, che aveva un ruolo centrale nella società cittadina per la sua funzione religiosa, come principale mediatore verso il sacro e guida dei fedeli verso la salvezza ultraterrena. Questa efficacia si arricchì quando si inserirono, nella Chiesa Cristiana, membri della grande aristocrazia senatoria i cui membri, per tradizione politica, capacità intellettuali e forza economica, furono i più naturali candidati a occupare le sedi vescovili. Questa convergenza fu premessa per il rilievo che i vescovi assunsero nei secoli seguenti, quando seppero agire come mediatori dei modelli istituzionali romani nei confronti dei nuovi dominatori germanici, ai quali trasmisero infatti tradizioni istituzionali, culturali e religiose del tardo Impero. AI di sopra dei vescovi, non esisteva una struttura unitaria. Tra IV e V secolo si andò definendo la superiorità di prestigio delle sedi patriarcali di Roma, Antiochia, Costantinopoli, Gerusalemme e Alessandria d'Egitto. Non si tratta di una gerarchia, i patriarchi non avevano potere di controllo sui vescovi. Tra VI e VII secolo, queste sedi divennero poli di riferimento per posizioni teologiche contrapposte. Roma era l’unica sede patriarcale d'Occidente, la più prestigiosa per il suo richiamo alla tradizione imperiale e perché il vescovo di Roma era il successore di Pietro, primo degli apostoli. Roma divenne centro della Chiesa a partire dal XI secolo. Si parla di “chiese” al plurale, per indicare le differenze teologiche e la frammentazione gerarchica. | vescovi furono i protagonisti di un processo di evangelizzazione: e All’interno dell'Impero. A partire dalle sedi vescovili si avviò questo processo nelle campagne, attraverso la creazione di una rete di chiese dipendenti dal vescovo, le pievi, a cui era affidato il ruolo di cura delle anime. Fu un processo di acculturazione, non trasmissione unidirezionale di fede e conoscenze, ma uno scambio: il culto cristiano assunse connotati nuovi, rielaborando luoghi, forme e oggetti di culti precedenti, dando vita a santi, santuari, reliquie. ® All'esterno dell’Impero. In Scozia e Irlanda, territori che non furono mai parte dell'Impero, l'influenza del cristianesimo fu limitata; in Inghilterra, di dominio romano fino all’inizio del V secolo, si ebbe un primo radicamento del Cristianesimo, interrotto dalla conquista anglosassone. A partire dal VI secolo, grazie a missioni provenienti dal continente e dall’Irlanda, la diffusione del Cristianesimo ebbe una forte spinta. L'Irlanda, pur non essendo territorio imperiale, si orienta precocemente al Cristianesimo (431). Essendo estranea alla tradizione romana ed essendo priva di città, la sua cristianizzazione ebbe come punto di riferimento i centri monastici e una grande spinta missionaria. Con il Cristianesimo irlandese si sviluppa una forma di religiosità diversa, quella monastica. Il monachesimo nasce nel Mediterraneo orientale nel IV secolo e consiste in una fuga dal mondo finalizzata alla purificazione e all’avvicinamento all’Essere supremo, attraverso la rinuncia. Una forma di ascesi, ovvero perfezionamento, avvicinamento alla divinità, che non prevede necessariamente un percorso di penitenza (monachesimo buddista). Lungo il IV secolo il consolidarsi del Cristianesimo portò ad un’attenuazione delle tensioni escatologiche e della radicalità nella scelta di fede, in questo contesto il monachesimo si sviluppa come tacita protesta, per riaffermare un modello di vita religiosa coerente ed estrema. Il monaco era mosso da una tensione verso Dio, che metteva in atto attraverso la rinuncia al mondo e la capacità di avere un animo imperturbabile. Lo scopo di questa scelta di vita era l’ascesi personale, il perfezionamento spirituale del singolo monaco. Attività come assistenza ai poveri o ai malati, la cura delle anime dei laici o l’attenzione specifica alla cultura e allo studio erano attività secondarie. La prassi dell'esperienza monastica consisteva nell’allontanamento dal mondo e dalla società civile, un rapporto continuo con le Sacre Scritture, la rinuncia alle ricchezze, la scelta di autosostentarsi con il lavoro. Le esperienze monastiche presentano due forme di vita: eremitica, il percorso di ascesi si compie in solitudine; cenobitica, il percorso di ascesi si compie in comunità. Nel IV secolo, in Siria e Egitto, troviamo un esempio di monaci cristiani eremiti, avvolti da una fama di santità che garantiva loro l'afflusso di elemosina con le quali potevano sostentarsi. Questo flusso si concentrò attorno a personaggi estremi e appariscenti, noti come “Atleti di Dio”, che scelsero di situare il proprio eremo in luoghi isolati ma vistosi (esempio, gli stiliti, che vivevano in cima alle colonne di edifici diroccati). In reazione a queste esperienze e nella ricerca di un’ascesi più intima e meno esibita, si elaborarono le prime comunità cenobitiche a partire dalle esperienze promosse da Pacomio in Egitto (IV secolo). Si ha la messa in comune di ricchezze, edifici, lavoro e la creazione di una regola che definisse i comportamenti e i doveri dei monaci, che desse vita ad una gerarchia, per coordinare e controllare i singoli. Furono introdotti elementi di sostegno reciproco tra monaci, obbedienza e disciplina nei confronti dell’abate. Il monachesimo basiliano, nato in Turchia, promuove un’ascesi moderata, meno esibita, che si basa sulla stretta cooperazione tra monaci e vescovo, sull’ampio spazio dedicato al lavoro e all'assistenza dei concittadini più deboli. L’importazione in Occidente del monachesimo si avviò alla fine del IV secolo con san Gerolamo in Italia, sant'Agostino in Tunisia e san Martino in Francia, in un contesto che vede la scomparsa dei quadri organizzativi imperiali e la costituzione dei regni romano-barbarici.
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